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NEL PROSSIMO NUMERO LEUCEMIA MIELOIDE ACUTA Profilo genetico • Leucemie secondarie • Terapie innovative • La malattia in età pediatrica • Edizioni Medico Scientifiche - Pavia EDIZIONI INTERNAZIONALI srl Editor in chief Giorgio Lambertenghi Deliliers Anno 6 Numero 2 2009 Seminari di Ematologia Oncologica Sindromi mielodisplastiche

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NEL PROSSIMO NUMERO

LEUCEMIA MIELOIDE ACUTA Profilo genetico • Leucemie secondarie • Terapie innovative • La malattia in età pediatrica •

Edizioni Medico Scientifiche - Pavia

E D I Z I O N I I N T E R N A Z I O N A L I s r l

Editor in chiefGiorgio Lambertenghi Deliliers

Anno 6Numero 22009 Seminari

di EmatologiaOncologica

Sindromimielodisplastiche

Vol. 6 - n. 2 - 2009

Edizioni Internazionali srlDivisione EDIMES

Edizioni Medico-Scientifiche - PaviaVia Riviera, 39 - 27100 Pavia

Tel. +39 0382 526253 r.a. - Fax +39 0382 423120E-mail: [email protected]

Editor in ChiefGiorgio Lambertenghi Deliliers

Università degli Studi, Milano

Editorial BoardSergio Amadori

Università degli Studi Tor Vergata, Roma

Mario BoccadoroUniversità degli Studi, Torino

Alberto BosiUniversità degli Studi, Firenze

Federico Caligaris CappioUniversità Vita e Salute, Istituto San Raffaele, Milano

Antonio CuneoUniversità degli Studi, Ferrara

Marco GobbiUniversità degli Studi, Genova

Mario PetriniUniversità degli Studi, Pisa

Giovanni PizzoloUniversità degli Studi, Verona

Giorgina SpecchiaUniversità degli Studi, Bari

Direttore ResponsabilePaolo E. Zoncada

Registrazione Trib. di Milano n. 532del 6 settembre 2007

Il percorso diagnostico 5GIAN MATTEO RIGOLIN, GIANLUIGI CASTOLDI,FRANCESCO CAVAZZINI, ANTONIO CUNEO

La sindrome 5q- 25FRANCESCO ALBANO, LUISA ANELLI

Le terapie emergenti 37VALERIA SANTINI, ALBERTO BOSI

Il trapianto di cellule staminali emopoietiche 51PAOLO ALESSANDRINO

La qualità di vita 60FABIO EFFICACE, FRANCO MANDELLI

Sindromimielodisplastiche

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PeriodicitàQuadrimestrale

ScopiSeminari di Ematologia Oncologica è un periodico di aggiorna-mento che nasce come servizio per i medici con l’intenzione direndere più facilmente e rapidamente disponibili in formazioni suargomenti pertinenti l’ematologia oncologica.Lo scopo della rivista è quello di as sistere il lettore fornendogliin maniera esaustiva:a) opinioni di esperti qualificati sui più recenti progressi in formachiara, aggiornata e concisa;

b) revisioni critiche di argomenti di grande rilevanza pertinenti gliinteressi culturali degli specialisti interessati;

NORME REDAZIONALI

1) Il testo dell’articolo deve essere editato utilizzando il programmaMicrosoft Word per Windows o Macintosh. Agli AA. è riservata la correzione ed il rinvio (entro e non oltre 5gg. dal ricevimento) delle sole prime bozze del lavoro.

2) L’Autore è tenuto ad ottenere l’autorizzazione di «Copyright» qua-lora riproduca nel testo tabelle, figure, microfotografie od altromateriale iconografico già pubblicato altrove. Tale materiale illu-strativo dovrà essere riprodotto con la dicitura «per concessionedi …» seguito dalla citazione della fonte di provenienza.

3) Il manoscritto dovrebbe seguire nelle linee generali la seguentetraccia:

TitoloConciso, ma informativo ed esauriente.Nome, Cognome degli AA., Istituzione di appartenenza senzaabbreviazioni.Nome, Cognome, Foto a colori, Indirizzo, Telefono, Fax, E-mail del1° Autore cui andrà indirizzata la corrispondenza.

IntroduzioneConcisa ed essenziale, comunque tale da rendere in maniera chia-ra ed esaustiva lo scopo dell’articolo.

Parole chiaveSi richiedono 3/5 parole.

Corpo dell’articoloIl contenuto non deve essere inferiore alle 30 cartelle dattiloscritte(2.000 battute cad.) compresa la bibliografia e dovrà rendere lo statodell’arte aggiornato dell’argomento trattato. L’articolo deve essere cor-redato di illustrazioni/fotografie, possibilmente a colori, in file ad altarisoluzione (salvati in formato .tif, .eps, .jpg). Le citazioni bibliografiche nel testo devono essere essenziali, maaggiornate (non con i nomi degli AA. ma con la numerazione corri-spondente alle voci della bibliografia), dovranno essere numeratecon il numero arabo (1) secondo l’ordine di comparsa nel testo ecomunque in numero non superiore a 100÷120. Bibliografia

Per lo stile nella stesura seguire le seguenti indicazioni o consultareil sito “International Committee of Medical Journal Editors UniformRequirements for Manuscripts Submitted to Biomedical Journals:Sample References”.

Es. 1 - Articolo standard1. Bianchi AG, Rossi EV. Immunologic effect of donor lymphocytesin bone marrow transplantation. N Engl J Med. 2004; 232: 284-7.

Es. 2 - Articolo con più di 6 autori (dopo il 6° autore et al.)1. Bianchi AG, Rossi EV, Rose ME, Huerbin MB, Melick J, MarionDW, et al. Immunologic effect of donor lymphocytes in bone mar-row transplantation. N Engl J Med. 2004; 232: 284-7.

Es. 3 - Letter1. Bianchi AG, Rossi AV. Immunologic effect of donor lymphocytes[Letter]. N Engl J Med. 2004; 232: 284-7.

Es. 4 - Capitoli di libri1. Bianchi AG, Rossi AV. Immunologic effect of donor lymphocytes.In: Caplan RS, Vigna AB, editors. Immunology. Milano: MacGraw-Hill; 2002; p. 93-113.

Es. 5 - Abstract congressi (non più di 6 autori)1. Bianchi AG, Rossi AV. Immunologic effect of donor lymphocytesin bone marrow transplantation [Abstract]. Haematologica. 2002;19: (Suppl. 1): S178.

RingraziamentiRiguarda persone e/o gruppi che, pur non avendo dignità di AA.,meritano comunque di essere citati per il loro apporto alla realizza-zione dell’articolo.

Edizioni Internazionali SrlDivisione EDIMES

EDIZIONI MEDICO SCIENTIFICHE - PAVIA

Via Riviera, 39 • 27100 PaviaTel. 0382526253 r.a. • Fax 0382423120

E-mail: [email protected]

Seminari

di EmatologiaOncologica

Periodico di aggiornamento sulla clinica e terapia

delle emopatie neoplastiche

3

EditorialeEditoriale

GIORGIO LAMBERTENGHI DELILIERSUniversità degli Studi di MilanoU.O. Ematologia 1 - Centro Trapianti di MidolloFondazione IRCCS Ospedale Maggiore Policlinico,Mangiagalli e Regina Elena

Seminari di Ematologia Oncologica propone inquesto numero le principali acquisizioni che inquest’ultimo decennio hanno modificato la storianaturale delle sindromi mielodisplastiche, malat-tie che nonostante la loro eterogeneità clinicahanno in comune la clonalità staminale, l’emo-poiesi inefficace e la predisposizione all’evoluzio-ne leucemica. Le anomalie morfologiche sia periferiche chemidollari rappresentano il segno precoce di undisordine complesso che richiede una più preci-sa definizione diagnostica e prognostica. Oggiquesto è possibile grazie all’introduzione di stru-menti come la citofluorimetria, la citogenetica e labiologia molecolare, che hanno portato al ricono-scimento di specifiche entità cliniche (come la sin-drome 5q-), alla valutazione del rischio evolutivobasata su nuovi parametri e alla modificazione deicriteri di eligibilità al trapianto di cellule staminali.Ma l’approccio medico verso queste malattie èsostanzialmente cambiato grazie anche a farma-

ci, come la 5-azacitidina, che agiscono bloccan-do gli enzimi implicati nella metilazione del DNA,responsabile del silenziamento di geni che inter-vengono in molti processi fisiologici, ed agli ana-loghi della talidomide (in particolare la lenalidomi-de) in grado di inibire la secrezione di citochineproinfiammatorie, responsabili della neo-angioge-nesi e dell’eccesso di apoptosi. La loro efficacia è ormai dimostrata da studi inter-nazionali randomizzati che hanno evidenziato unsignificativo prolungamento della sopravvivenza eun ritardo della progressione verso la leucemiamieloide acuta. Ma la scelta della strategia terapeutica più oppor-tuna non può prescindere da altri obiettivi comela valutazione della qualità di vita offerta dai nuovifarmaci, l’utilizzazione di fattori di crescita in gradodi stimolare l’eritropoiesi e la megacariocitopoie-si normale residua, e la possibilità di ridurre i rischilegati al sovraccarico di ferro secondario alle ricor-renti emotrasfusioni.

5

n INTRODUZIONE

Le sindromi mielodisplastiche (SMD) sono un grup-po eterogeneo di neoplasie emopoietiche caratte-rizzate da emopoiesi clonale ed inefficace, altera-zioni morfologiche displastiche a carico delle prin-cipali filiere emopoietiche, citopenia periferica, pro-gressiva insufficienza midollare ed un aumentatorischio di progressione in leucemia acuta mieloide(LAM) (1). La sopravvivenza dei pazienti affetti daSMD varia da alcuni mesi a diversi anni per cui risul-ta di primaria importanza avere a disposizione unsistema classificativo e di valutazione prognosticache permettano di predire la probabilità di soprav-vivenza e di evoluzione in LAM allo scopo di defi-nire il più corretto approccio terapeutico (2).

n SISTEMI CLASSIFICATIVI E PROGNOSTICI

Diversi sistemi classificativi e prognostici sono sta-ti elaborati al fine di predire la sopravvivenza edil rischio di trasformazione in LAM dopo la diagno-si di SMD.

Il primo sistema classificativo fu proposto dal grup-po Franco Americano Britannico (FAB) nel 1982e si basava sulla determinazione della percentua-le di blasti midollari e la presenza di caratteristi-che morfologiche di displasia a livello midollare edel sangue periferico (Tabella 1) (3). La classifi-cazione FAB, che è stata utilizzata per circa 2decadi, ha fornito anche importanti informazioniprognostiche ma non permetteva di predire inmodo preciso la sopravvivenza o la probabilità ditrasformazione in LAM nei singoli pazienti.Nel 1999, allo scopo di meglio rispondere a que-ste esigenze prognostiche e prendendo in consi-derazione anche nuovi parametri biologici qualil’esame del cariotipo, è stato proposto un siste-ma prognostico a punteggio (InternationalPrognostic Scoring System - IPSS) (Tabella 2-3)che ha fornito in modo prospettico una valutazio-ne della probabilità di sopravvivenza e del rischiodi trasformazione in LAM. Esso si basa sulla valu-tazione di 3 parametri: il numero di citopenieall’esame emocromocitometrico, la percentuale diblasti midollari e l’analisi citogenetica, che permet-tono di identificare 4 diversi gruppi prognostici: Low,intermediate-1, intermediate-2 e high con soprav-vivenze e probabilità di evoluzione in LAM com-pletamente differenti (4).Nel 2001, l’organizzazione mondiale della sanità(OMS) ha proposto una revisione dei criteri dia-gnostici FAB (5, 6). Tra le principali novità di que-sta classificazione vi sono:1) la riduzione della percentuale di blasti per ladiagnosi di LAM dal 30 al 20% e la conseguen-te eliminazione della categoria AREB-t e laesclusione della LMMC dai disordini mielodi-

Indirizzo per la corrispondenza

Prof. Antonio CuneoEmatologia, Azienda Ospedaliero UniversitariaArcispedale S. AnnaCorso Giovecca, 203 - 44100 Ferrarae-mail: [email protected]

Il percorso Il percorso diagnosticodiagnosticoGIAN MATTEO RIGOLIN, GIANLUIGI CASTOLDI, FRANCESCO CAVAZZINI, ANTONIO CUNEOEmatologia, Azienda Ospedaliero Universitaria, Arcispedale S. Anna, Ferrara

Gian Matteo Rigolin

Parole chiave: sindromi mielodisplastiche, diagnosi,prognosi.

6 Seminari di Ematologia Oncologica

TABELLA 1 - Classificazione FAB.

Sangue periferico (SP) e midollo (MO) AR ARSA AREB AREB-t LMMC

Blasti• Sangue Periferico (%) <1 <1 <5 >5 <5• Midollo Osseo (%) <5 <5 5-20 20-30 5-20

Morfologia• Diseritropoiesi ± + + + ±• Disgranulopoiesi ± ± + + ±• Dismegacariocitopoiesi – ± + + ±

Conta monocitaria N N N N >1x109/l

Reticolociti D D D D D

Eritrociti D D D D D

Leucociti N/D N/D D D D/A

Piastrine N/D N/D D D D

Morfologia MO• Cellularità N/A A A A A• Diseritropoiesi + + + + +• Disgranulopoiesi ± ± + + +• Dismegacariocitopoiesi ± ± + + +

Sideroblasti ad anello (% Ebl totali) <3% >15% ± ± ±

Evoluzione in leucemia 15% 15% 30-60% 100% 40%

AR: Anemia refrattaria; ARSA: AR con sideroblasti ad anello; AREB: AR con eccesso di blasti; AREB-t: AREB in trasformazione leucemica; LMMC: Leucemiamielomonocitica cronica. N: normale; A: Aumentato; D: Diminuito.

TABELLA 2 - Sistema prognostico IPSS.

Parametro Score

0 0.5 1.0 1.5 2.0Numero di citopenie 0-1 1-2 - -Cariotipo* Good Intermediate Poor -Blasti midollari <5 5-10 - 11-20 21-30

Citopenie: Hb <10 g/dL, plt <100x109/L, conteggio assoluto dei neutrofili <1.8x109/L. Cariotipo: Good = normale, –Y, del(5q), del(20q), Poor = complesso (≥3anomalie), anomalie del cromosoma 7, Intermediate = altre anomalie.

TABELLA 3 - Gruppi di rischio IPSS: sopravvivenza e probabilità di evoluzione in LAM.

Categoria IPSS Sopravvivenza Tempo mediano Morti per LAMmediana (anni) di evoluzione in LAM

(anni)

Low (score 0) 5.7 9.4 19%Intermediate 1 (score 0.5-1.0) 3.5 3.3 30%Intermediate 2 (score 1.5-2.0) 1.2 1.1 33%High (>=2.5) 0.4 0.2 45%

7Il percorso diagnostico

splastici ed il suo inserimento in una nuovacategoria di neoplasie mieloidi denominatadisordini mielodisplastici mieloproliferativi;

2) la suddivisione dei pazienti con AREB nelle dueforme AREB-1 con percentuale di blasti midol-lari tra il 5 ed il 9% e AREB-2 con percentua-le di blasti midollari tra il 10 ed il 19%;

3) l’introduzione di una subentità, la sindrome del5 q-, con blasti midollari < 5% e con la presen-za di una delezione isolata del braccio lungodel cromosoma 5 (7);

4) l’introduzione di una nuova sub-entità, vale adire la citopenia refrattaria con displasia mul-tilineare con e senza sideroblasti ad anello

(CRDM e CRDM-SA), mentre l’anemia refrat-taria e l’anemia refrattaria con sideroblasti adanello sono stati definiti come quadri in cui ladisplasia interessa la sola filiera eritroide;

5) l’identificazione di una categoria di SMD nonclassificabili (SMD-NC) per i pazienti che nonsoddisfacevano i criteri delle altre entità.

Questa nuova classificazione presenta importan-ti implicazioni cliniche in quanto ad esempioprende atto del fatto che i pazienti con displa-sia unilineare hanno una prognosi più favorevo-le rispetto a quelli con displasia multilineare (8,9) e rispondono meglio al trattamento con eri-tropoietina (10-12).

TABELLA 4 - Classificazione OMS 2008.

Patologia Sangue periferico Midollo

Citopenia refrattaria con displasia Citopenia unilineare o bilineare* Displasia unilineare; >=10% delle celluleunifilare (CRDU) Assenza o rari blasti <1%° della linea interessataAnemia refrattaria (AR) Blasti <5%Neutropenia refrattaria (RN)Piastrinopenia refrattaria (RT)

Anemia refrattaria con sideroblasti Anemia Solo displasia eritroidead anello (ARSA) Assenza di blasti Blasti <5%

Sideroblasti ad anello >=15%

Citopenia refrattaria con displasia Citopenie Displasia >10% delle cellule in 2 o piùmultifilare Assenza o rari blasti <1%° linee mieloidi

Assenza di corpi di Auer Assenza di corpi di AuerMonociti <1x109/L Sideroblasti ad anello +/-15%

Anemia refrattaria con eccesso Citopenie Displasia unilineare o multilinearedi blasti - 1 (AREB-1) Blasti <5%° Blasti 5-9%

Assenza di corpi di Auer Assenza di corpi di AuerMonociti <1x109/L

Anemia refrattaria con eccesso Citopenie Displasia unilineare o multilinearedi blasti - 2 (AREB-2) Blasti 5-19% Blasti 10-19%

Corpi di Auer +/-# Corpi di Auer +/-**Monociti <1x109/L

SMD non classificabili (SMD-NC) Citopenie Displasia non equivoca in <10% delleAssenza o rari blasti <1%° cellule in una o più linee mieloidiAssenza di corpi di Auer Blasti <5%

SMD associate a del(5q) isolata Anemia Megacariociti con nucleo ipolobulatoAssenza o rari blasti <1% normali o aumentatiConteggio piastrinico di solito Blasti <5%normale o aumentato Isolata del(5q)

Assenza di corpi di Auer

*Occasionalmente può essere presente. I casi con pancitopenia vanno classificati tra le SMD-NC. **Se i criteri per la diagnosi sono soddisfatti e sono presen-ti i corpi di Auer i pazienti dovrebbero essere sempre classificati come AREB-2. °Se i blasti midollari sono <5% ma ci sono 2-4% di blasti nel sangue periferi-co, la diagnosi è AREB-1. Se la percentuale di blasti midollari è <5% ed i blasti nel sangue periferico sono l’1%, la diagnosi è SMD-NC. #I casi con corpi diAuer e blasti <5% nel sangue periferico e <10% nel midollo sono classificati come AREB-2.

8 Seminari di Ematologia Oncologica

Nel 2008 la classificazione OMS è stata rivista (13,14) e tra le modificazioni più significative (Tabella4) vi sono l’inglobamento della CRDM con e sen-za sideroblasti ad anello in una unica singola enti-tà ed il riconoscimento di 3 distinte subentità condisplasia unilineare: l’anemia refrattaria (AR), la neu-tropenia refrattaria (NR) e la trombocitopenia refrat-taria (TR). Al fine di enfatizzare il significato pro-gnostico dell’incremento della percentuale di bla-sti nel sangue periferico è stato inoltre deciso diincludere i casi con 2-4% di blasti nel sangue peri-ferico e meno del 5% di blasti a livello midollarenel gruppo AREB-1 mentre i pazienti con 5-19%di blasti nel sangue periferico e blasti midollari trail 10-19% sono stati classificati come AREB-2.Nella classificazione 2008 della OMS è stata inol-tre introdotta una entità provvisoria allo scopo dienfatizzare un quadro di SMD con caratteristichepeculiari che viene osservato principalmente nel-l’infanzia e definito “Citopenia refrattaria dell’infan-zia”. Questi pazienti mostrano una percentuale diblasti nel sangue periferico inferiore al 2% e nelmidollo inferiore al 5%, citopenie persistenti asso-ciate a displasia in almeno 2 filiere con un qua-dro midollare generalmente ipoplastico. In assen-

za di anomalie citogenetiche queste forme nonsono facilmente differenziabili dall’anemia aplasti-ca, dalle sindromi congenite con insufficienzamidollare e talora anche dalle CRDM come defi-nite nell’adulto. Le SMD dell’infanzia con percen-tuali di blasti tra il 2-19% nel sangue periferico e5-19% nel midollo vanno invece classificate comele forme dell’adulto. Infine, recentemente è stato introdotto un nuovosistema prognostico dinamico che basandosi sul-la classificazione OMS e valutando l’analisi cito-genetica e la richiesta di supporto trasfusionale(Tabella 5) permette di classificare i pazienti in 5distinti gruppi di rischio che predicono in modoaccurato, in ogni momento durante il decorso del-la malattia, la probabilità di sopravvivenza e di pro-gressione in LAM (Tabella 6: WHO classification-based prognostic scoring system - WPSS) (15).

n DIAGNOSI

Sangue periferico e midolloIl percorso che porta a formulare una diagnosi diSMD si avvale di numerosi strumenti quali l’emo-

TABELLA 5 - Parametri utilizzati nel sistema prognostico basato sulla classificazione OMS (WPSS) (15).

Parametro Score

0 1 2 3

Categoria OMS AR, ARSA, 5q- CRDM, CRDM-SA AREB-1 AREB-2

Cariotipo* Favorevole Intermedio Sfavorevole

Richiesta trasfusionale di GRC** no Regulare

Cariotipo: Favorevole = normale, –Y, del(5q), del(20q), Sfavorevole= complesso (≥3 anomalie), anomalie del cromosoma 7, Intermedio = altre anomalie.**Richiesta trasfusionale di GRC = ≥1 trasfusione di GRC ogni 8 settimane in 4 mesi.

TABELLA 6 - WPSS: sopravvivenza e probabilità di progressione in LAM. (15)

Categoria WPSS Probabilità cumulative di progressione in LAM

Sopravvivenza medianaMesi 2 anni 5 anni

Very low (score 0) 103 0.0 0.06Low (score 1) 72 0.11 0.24Intermediate (score 2) 40 0.28 0.48High (score 3 e 4) 21 0.62 0.63Very high (score 5 e 6) 12 0.79 1

9Il percorso diagnostico

cromo, l’aspirato midollare, la biopsia ossea, l’ana-lisi citogenetica a cui più recentemente si sonoaggiunte valutazioni di tipo citofluorimetrico e dibiologia molecolare che integrandosi concorronoad una sempre più precisa definizione diagnosti-ca e prognostica di questi disordini.L’emocromo è il primo e più semplice esame dilaboratorio che permette di far sospettare un qua-dro di SMD. Il tipico paziente che giunge all’osser-vazione del medico è un soggetto anziano con unaetà media di circa 65-70 anni che presenta unao più citopenie, più frequentemente una anemiaspesso di tipo macrocitico con bassi livelli di reti-colociti, talora associata a neutropenia e/o piastri-nopenia. Alcuni pazienti possono però presenta-re sintomi diversi quali sanguinamenti o sintomilegati ad una infezione o ad una patologiaautoimmune (1).La diagnosi di SMD va pertanto distinta da altrecause di citopenia (Tabella 7). L’esame al microscopio ottico dello striscio di san-gue periferico, con determinazione della formuladifferenziale su almeno 200 elementi leucocitari,può dare informazioni molto utili per una diagno-si differenziale e nel caso delle SMD può mostra-

re accanto alla frequente macrocitosi la presenzadi elementi blastici e di altre caratteristiche morfo-logiche cellulari di displasia quali neutrofili ipogra-nulati o ipolobati, piastrine giganti o ipogranulari,corpi di Pappenheim (16). Al fine di poter rilevaree valutare questi aspetti è tuttavia necessario cheil preparato citologico sia adeguatamente allestitoe colorato con colorazioni tipo May GrumwaldGiemsa o similari (17). Il conteggio della percen-tuale di blasti mediante citometria a flusso non èinvece raccomandato in sostituzione della deter-minazione visiva in quanto non tutte le cellule bla-stiche esprimono il CD34 e la diluizione del cam-pione o artefatti legati alla sua manipolazione pos-sono dare origine a risultati talora confondenti. L’esame di un preparato citologico di aspirato midol-lare adeguatamente allestito rappresenta la piùimportante indagine diagnostica in un paziente consospetta SMD (17). Accanto alla colorazione di MayGrumwald Giemsa o similari deve sempre esse-re allestita anche una colorazione per la determi-nazione del ferro (reazione di Perls) per enume-rare i cosiddetti sideroblasti ad anello. Per un accu-rato conteggio differenziale devono essere valuta-te almeno 500 cellule nucleate midollari. Devono

TABELLA 7 - Possibili diagnosi differenziali.

Carenza di vit. B12 e folati Anemia aplasticaInfezioni virali (HBV, HCV, CMV, Parvovirus B19, HIV, ecc.) Leucemia acutaSostanze tossiche (antibiotici, chemioterapici, piombo, benzene) MieloftisiAnemia dell’anziano non altrimenti spiegata Mielofibrosi - EPNSplenomegalia Hairy Cell LeukemiaPatologie autoimmuni Large Granular Lymphocyte Leukemia

TABELLA 8 - Caratteristiche morfologiche di displasia (18).

Filiera Nucleare Citoplasmatica

Eritroide Multinuclearità, carioressi, mitosi anomale, Vacuoli, difetti di emoglobinizzazione,megalobastosi sideroblasti ad anello

Granulocitaria Forme pseudo-Pelger, ipersegmentazione, Ipogranulazione, corpi di Dohle, vacuolizzazioni,nuclei ad anello, forme giganti, clumping difetti di mieloperossidasicromatinico, granulociti binucleati

Megacariocitaria Micromegacariociti, forme mononucleate, Asincronia nucleo/citoplasmatica, piastrinemegacariociti con nuclei dispersi giganti, piastrine ipogranulate o granulate

Monocitaria Ipersegmentazione, nuclei con forme Aumentata basofilia citoplasmatica, granulazioni bizzarre prominenti

10 Seminari di Ematologia Oncologica

essere inoltre considerate la cellularità midollare,il rapporto mielo-eritroide e la percentuale di bla-sti. Se il rapporto mielo-eritroide è 1 a 1 o minore,dovrebbero essere contate 500 cellule non eritroi-di escludendo i linfociti, le plasmacellule e lemastcellule. Nel caso di rapporto mielo-eritroide paria 1 od inferiore la percentuale di blasti viene valu-tata sulla componente non eritroide.Il midollo è generalmente iper- o normocellulatoanche se in alcuni casi può essere ipocellulato.Per una diagnosi di SMD almeno il 10% delle cel-lule di una data filiera deve mostrare una chiaradisplasia (Tabella 8). Poiché il sistema di classificazione si basa, oltreche sulla valutazione delle alterazioni displastiche,anche sulla determinazione della percentuale del-le cellule blastiche, il loro preciso riconoscimento

è di primaria importanza per l’attribuzione dei sin-goli casi alle diverse subentità, che come visto rive-stono un rilevante significato prognostico (Figure1 e 2). La determinazione della percentuale di bla-sti ha un ruolo importante nella discriminazionetra SMD e LAM. I mieloblasti sono riconosciuti sulla base di diver-se caratteristiche nucleari tra cui l’elevato rappor-to nucleo-citoplasmatico, la presenza di nucleolifacilmente identificabili e la fine cromatina nuclea-re. La forma del nucleo può essere variabile. Il cito-plasma è basofilo e in esso possono essere rico-noscibili o meno granuli o corpi di Auer mentre lazona del Golgi non è evidente. L’eccezione a questa regola è data dalla LAM cont(8;21) dove i blasti possono presentare una pic-cola distinta zona di Golgi con o senza corpi di

FIGURA 1 - Displasia eritroi-de: (A) vaculizzazione citopla-smatiche, (B) ponti intercito-plasmatici. In (C) sideroblastiad anello.

11Il percorso diagnostico

Auer, ma in assenza di altre caratteristiche del pro-mielocito. Recentemente l’International Working Group onMorphology of Myelodysplastic Syndrome (IWGM-SMD) ha revisionato una serie di midolli di SMDe ha formulato alcune raccomandazioni riguardan-ti l’identificazione ed il conteggio dei blasti anchealla luce del fatto che l’OMS non ha emanato rac-comandazioni specifiche su questo aspetto e chela valutazione dei blasti midollari non è uniformenella comune pratica clinica (19). L’IWGM-SMD haraccomandato che i mieloblasti siano inoltre clas-sificati come granulati e non granulati. I blasti agra-nulati corrispondono ai blasti tipo I della classifi-cazione FAB. I blasti granulati sono cellule che han-no le caratteristiche nucleari dei blasti ma hannoanche granulazioni citoplasmatiche: questi blastiincludono i blasti tipo II della classificazione FABed i blasti tipo III come definiti da Goasguen (20).I blasti granulati devono essere differenziati dai pro-mielociti. I normali promielociti presentano unnucleo in posizione centrale od eccentrica con cro-matina fine od intermedia. Il nucleolo è general-mente ben riconoscibile e prominente. L’IWGM-SMD ritiene che la principale caratteristica che per-mette di distinguere il promielocita sia la presen-za di una zona di Golgi ben visibile. Altre caratte-ristiche del citoplasma comprendono granuliazzurrofili uniformemente dispersi, e nella maggiorparte dei casi un citoplasma basofilo. I promielo-citi displastici presentano le caratteristiche del pro-mielocito tra cui un nucleo ovale, o rotondo o inden-tato spesso in posizione eccentrica, una zona delGolgi visibile ed il nucleo con cromatina fine o gros-solana ed un nucleolo ben visibile. Le anomalieche invece definiscono un promielocito come

displastico sono una ridotta o irregolare basofiliacitoplasmatica, una zona del Golgi poco sviluppa-ta, una ipergranularità, una ipogranularità e unairregolare distribuzione dei granuli. Nelle SMD èutile pertanto individuare le seguenti categorie: pro-mielociti normali, blasti granulati e non granulatie promielociti displastici (Tabella 9).La percentuale dei mieloblasti va determinata facen-do un conteggio differenziale di almeno 500 cellu-le nucleate, con il totale che includa almeno 100cellule non eritroidi per aumentare la precisione. Lavalutazione di questi numeri per la determinazio-ne della percentuale di blasti è di particolare impor-tanza soprattutto quando le cellule eritroidi supe-rano il 50% e nei casi in cui il conteggio dei blastiè ai limiti per l’attribuzione ad una diversa catego-ria di SMD con diverso impatto prognostico. Recentemente, in considerazione dell’importanteruolo prognostico che riveste il riconoscimento del-le ARSA rispetto alle altre forme di SMD con side-roblasti non ARSA e considerando alcune incer-tezze nella definizione di sideroblasti ad anello,l’IWGM-SMD dopo aver rivisto numerosi casi dianemia sideroblastica ha inoltre definito dei pre-cisi criteri per il riconoscimento dei sideroblasti adanello (19). I sideroblasti ad anello devono rispondere aiseguenti criteri: avere almeno 5 granuli a distribu-zione perinucleare, i granuli possono sia circonda-re l’intero nucleo, sia essere localizzati in porzionidell’area perinucleare o coprire almeno un terzodel nucleo. Il Working Group ha inoltre definito 3tipi di sideroblasti: tipo 1 (meno di 5 granuli di fer-ro nel citoplasma), tipo 2 (5 o più granuli di ferro,ma non in una distribuzione perinucleare), tipo 3o sideroblasti ad anello (5 o più granuli in posizio-

FIGURA 2 - A. Blasto granu-lato a sinistra e blasto agra-nulato a destra. B. Elementipseudo-Pelger e clumpingcromatinico nel sangue peri-ferico.

12 Seminari di Ematologia Oncologica

ne perinucleare, che circondano il nucleo o inte-ressano almeno un terzo della circonferenzanucleare). Nel conteggio dei sideroblasti ad anel-lo, occorre valutare almeno 100 precursori eritroi-di nei vari stadi maturativi. La percentuale di side-roblasti ad anello ai fini della classificazione rima-ne il 15% come per la classificazione FAB e OMS.

Analisi citogeneticaL’analisi citogenetica midollare è una indagineessenziale che è indicata non solo a scopo dia-gnostico per individuare le caratteristiche anoma-lie cromosomiche ma anche per l’importante ruo-lo nella definizione della prognosi. Per consenso si ritiene che debbano essere ana-lizzate almeno 20-25 metafasi midollari. Il carioti-po deve essere riportato secondo le linee guidaISCN (21). Sulla base di queste linee guida si defi-nisce clone la presenza di 2 cellule midollari chemostrano una anomalia strutturale od acquisizio-ne di materiale cromosomico o di almeno 3 cel-lule midollari che presentino la stessa perdita dimateriale cromosomico. Un cariotipo complessoè invece definito dalla presenza di almeno 3 lesio-ni citogenetiche clonali indipendenti in almeno 2cellule. Durante il follow-up, il cariotipo dovrebbeessere ripetuto in caso di progressione ad alme-no 6-12 mesi di distanza Nei casi dubbi (per esempio in caso di ridottonumero di metafasi) viene raccomandata, per

l’eventuale dimostrazione di una anomalia clona-le, l’indagine FISH in interfase (17) che includaalmeno le sonde per studiare le seguenti regionicromosomiche: 5q31, CEP7, 7q31, CEP8, 20q,CEPY, e p53. In caso di presenza di piccole per-centuali di positività l’analisi dovrebbe essere ripe-tuta. L’utilizzo di una tecnica più sensibile quale laFISH permette inoltre di riscontrare anomalie cito-genetiche in casi in cui, all’analisi citogenetica con-venzionale, il cariotipo risulti normale per i limiti tec-nici di questa tecnica d’indagine (lesioni citogene-tiche occulte, piccoli cloni, monitoraggio malattiaminima residua) (22). Il limite principale della FISHè che essa può tuttavia rilevare solo le lesionigenetiche per le quali vengono testate specifichesonde di interesse. In casi selezionati, in mancan-za di materiale midollare l’indagine FISH può esse-re eseguita su cellule di sangue periferico pur con-siderando che un risultato negativo non escludela presenza di anomalie citogenetiche.Alterazioni cromosomiche sono dimostrabili nel 40-70% dei pazienti con SMD di tipo clonale mentrel’incidenza delle anomalie cromosomiche nelle for-me secondarie si aggira attorno al 90% (23-26).Le delezioni cromosomiche sono le anomalie piùfrequentemente osservate, ma anche le perditeo le acquisizioni di interi cromosomi; le trasloca-zioni sono osservate con minore frequenza(Tabella 10). Nei pazienti con SMD secondarie a trattamenti

TABELLA 9 - Principali criteri morfologici per la definizione dei blasti e dei promielociti.

Aspetti cellulari Blasto non Blasto Promielocito Promielocito granulato granulato normale Displastico

Nucleo Centrale di forma Centrale di forma Ovale, rotondo, Ovale, rotondo,variabile variabile indentato indentato

Centrale od eccentrico in posizione eccentrica

Cromatina fine fine Fine od intermedia Fine o grossolana

Nucleolo 1-2 1-2 Ben riconoscibile Ben visibile

Zona Golgi Non evidente Non evidente Ben visibile Presente ma poco sviluppata

Granuli Non visibili Presenti Azzurrofili irregolare presenza(talora corpi di Auer) uniformemente e distribuzione

dispersi

Citoplasma basofilo basofilo basofilo Basofilia ridotta ed irregolare

13Il percorso diagnostico

chemioterapici includenti alchilanti il cariotiporisulta nella maggior parte dei casi complesso conanomalie che interessano nel 90% dei casi i cro-mosomi 5 e 7 (Monosomia del 7, 7q-, monoso-mia del 5, e 5q-). Nel caso di trattamento con ini-bitori delle topoisomerasi si osservano spesso alte-razioni a carico del cromosoma 11q23 (25). In que-sti pazienti si possono inoltre osservare trasloca-zioni non bilanciate che invece sono rare nelle for-me primitive.Il riscontro di una lesione citogenetica può rive-stire anche un ruolo diagnostico. Non esistonolesioni citogenetiche patognomoniche delle SMDessendo molte delle lesioni riscontrabili anche adesempio nelle LAM specialmente dell’anziano (23).Alcune anomalie ricorrenti sono state recentemen-te riconosciute come evidenza presuntiva per unadiagnosi di SMD in presenza di una citopenia per-sistente in assenza di una diagnosi morfologicadefinitiva (14). Altre anomalie citogenetiche quali del(20q), +8, nonsono invece considerate specifiche essendo sta-te riportate in pazienti con anemia aplastica o altresindromi citopeniche che rispondono bene alla tera-pia immunosoppressiva e/o non mostrano eviden-za morfologica di SMD in un lungo follow-up (27-29). La perdita del cromosoma Y nelle cellule emo-poietiche sarebbe invece un fenomeno associato

all’invecchiamento (30). Pertanto non è ancor chia-ro se queste anomalie sono necessariamente indi-cative di SMD quando le caratteristiche morfolo-giche non sono conclusive.La valutazione del cariotipo alla diagnosi è statainserita in molti sistemi prognostici (IPSS, WPSS)e riveste anche importanza per la risposta al trat-tamento con nuovi farmaci biologici quali ad esem-pio la lenalidomide nella sindrome del 5q- (31) odi pazienti che ricevono trattamenti intensivi (32).In particolare nell’IPSS, sulla base del tipo e delnumero di anomalie sono stati identificati tre grup-pi citogenetici a diversa prognosi e rischio di pro-gressione in LAM. Il riscontro di un cariotipo nor-male, la perdita del cromosoma Y, ed una dele-zione isolata del 5q o del 20q configurano un grup-po di pazienti a basso rischio mentre la presen-za di un cariotipo complesso o il riscontro di ano-malie coinvolgenti il cromosoma 7 identificano ungruppo di pazienti ad alto rischio. Tutte le altre ano-malie vengono considerate a rischio intermedio (4).Questi stessi criteri come visto in precedenza sonostati utilizzati anche nel sistema prognosticobasato sulla classificazione OMS (WPSS) (15).

Sindrome del 5q–Nella classificazione della OMS è stata introdot-ta una nuova entità denominata sindrome del 5q-

TABELLA 10 - Anomalie citogenetiche.

Aberrazioni non bilanciate (acquisizione o perdita Anomalie strutturali (traslocazioni reciproche bilanciate,di materiale cromosomico) inversioni, inserzioni)

^del(5q) - monosomia 5 20-32% Traslocazioni bilanciate 6%^del(7q) - monosomia 7 10-17% ^t(3;21)(q26;q21)^Monosomia 17/17p- 1-7% ^inv(3)(q21;q26)^der/del(11q) 3% ^t(11;16)(q23;p13.3)^del(12p) 2-6% ^t(1;3)(p36.3;q21.1)^del(13q)/ -13 2% ^t(2;11)(p21;q23)^iso17q 1-3% ^t(6;9)(p23;q34)^del(9q) 0,5-1% ^t(12p)^idic(X)(q13) 0,5-1%Trisomia 8 8-21%Del20q 4-14%Monosomia Y 3-10%Trisomia 11 1-2%Trisomia 21 2% ^Anomalie complesse (> di 3 cromosomi) 10-20%

^Anomalie cromosomiche ricorrenti considerate come evidenza presuntive per una diagnosi di SMD in presenza di una persistente citopenia in assenza di unadefinitiva diagnosi morfologica di SMD.

14 Seminari di Ematologia Oncologica

caratterizzata da una percentuale di blasti midol-lari <5%, assenza di corpi di Auer, piastrinosi, tipi-ca displasia megacariocitaria (megacariociti ipo-monolobati, Figura 3), anemia macrocitica, e lapresenza di una isolata delezione del braccio lun-go del cromosoma 5 (7). Questi pazienti sono pre-valentemente donne e presentano un bassorischio di progressione in LAM (10%) e quindi unaprognosi più favorevole delle altre forme di SMD(33). È oggi di fondamentale importanza riconoscerequesta forma di SMD poiché recentemente è sta-to dimostrato che la lenalidomide è in grado dideterminate una indipendenza trasfusionale neidue terzi di questi pazienti con molte risposte cito-genetiche e talora anche remissioni citogenetichecomplete (31). È da sottolineare come anche altreforme di SMD con una del5q isolata od in asso-ciazione ad altre anomalie possono rispondere altrattamento con lenalidomide (34). Sulla base di questi risultati la lenalidomide è sta-ta approvata dalla US Food and DrugAdministration per il trattamento delle SMD trasfu-sioni dipendenti con rischio basso ed intermedio-1 e delezione del 5q con o senza anomalie cito-genetiche aggiuntive.

Analisi molecolare e mutazioni puntiformiLe indagini di tipo molecolare rivestono attualmen-te un ruolo ancora in via di definizione nell’inqua-dramento diagnostico delle SMD. Molte dellerecenti acquisizioni in campo molecolare hanno

consentito di chiarire alcuni importanti aspetti nel-la fisiopatologia di queste forme (35).Tra le metodiche molecolari che oggi vengono uti-lizzate nel campo dell’oncoematologia vi è lo stu-dio dei profili di espressione genica (GEP) con imicroarray. Per quanto attiene alle SMD lo studiodei GEP ha evidenziato come una principale carat-teristica delle cellule staminali nelle SMD sia unaupregolazione degli interferon stimulated genes(ISG) quali IFIT1, IFIT4 e IFITM1 che si ritiene pos-sano avere un ruolo nella fisiopatologia della malat-tia ed in particolare nel contribuire al quadro di cito-penia periferica (36). Caratteristici profili di espres-sione genica sono stati osservati nei pazienti conARSA (upregolazione di geni correlati ai mitocon-dri tra cui quelli coinvolti nella sintesi dell’eme qua-li ALAS2) e con sindrome del 5q- nei quali si èosservata una upregolazione di geni istonici delcluster di geni HIST1 sul cromosoma 66p21 e digeni correlati al citoscheletro actinico ed una dow-nregolazione di geni assegnati alla commonlydeleted region (CDR) sulla regione 5q tra i qualiSPARC e RPS14 (37). Nel complesso tuttavia l’ac-curatezza diagnostica ottenuta con l’uso dei GEPsi aggira attorno al 50% (38). La valutazione deiGEP pertanto, pur molto promettente, necessitadi ulteriori studi per meglio definirne l’impatto dia-gnostico e prognostico.Recentemente è stato poi dimostrato con una tec-nica di RNA silencing che la perdita parziale del-la funzione di RPS14 (ribosomal subunit proteinRPS14) potrebbe avere un ruolo nella patogene-si della sindrome del 5q- e di forme congenite diinsufficienza midollare (39).In certe condizioni cliniche l’analisi mutazionale puòinvece rivestire un ruolo diagnostico. Un esempioè rappresentato dallo studio delle mutazioni di JAK2,ed in particolare della mutazione V617F, nelle SMDcon caratteristiche mieloproliferative quali ad esem-pio la ARSA con trombocitosi (ARSA-T) (40-42) ein alcuni pazienti con del5q (43). Altre anomalie possono essere riscontrate nelleSMD ma il loro impatto diagnostico appare attual-mente meno significativo e più legato ad una evo-luzione prognostica sfavorevole (Tabella 11).Un ulteriore aspetto che sta emergendo è inoltrelegato alla dimostrazione in alcuni pazienti dellapresenza di una disomia uniparentale e di micro-delezioni mediante SNP (single nucleotide poli-

FIGURA 3 - Megacariociti monolobati in corso di sindrome del 5q-.

15Il percorso diagnostico

morphisms) microarray analysis che potrebbe per-mettere di individuare, ad esempio, quei pazienticon cariotipo normale e supposta prognosi favo-revole che invece avranno una evoluzione più rapi-damente progressiva (44).Recentemente, dati di grande significato hanno docu-mentato come oltre alle sindromi mieloproliferative,altre neoplasie mieloidi, e tra queste le mielodispla-sie, possano recare mutazioni del gene TET2 comemomento patogenetico precoce (45).

Esame istologico del midolloL’esame istologico del midollo è oggi raccoman-dato in tutti i casi di sospetta SMD poiché forni-sce informazioni importanti relativamente a diver-si aspetti quali la cellularità globale, la percentua-le di blasti CD34+, la presenza di ALIP (abnormal-ly localized immature myeloid precursors), la fibro-si midollare, l’aumentata angiogenesi. Per una ade-guata valutazione diagnostica il campione di biop-sia ossea è generalmente ottenuto dalla spina ilia-ca postero superiore e deve essere di lunghezzaadeguata (1,5 cm). Il campione deve quindi esse-re adeguatamente decalcificato, ed incluso. Le colorazioni raccomandate sono l’ematossilinaed eosina, il Giemsa, il blu di Prussia, la naftol AS-D cloroacetato esterasi (CAE), e l’impregnazioneargentica di Gomori (17). Per valutare correttamente la cellularità è impor-tante effettuare una correzione per l’età come pro-posto da Tuzuner and Bennett (46, 47).Nei casi di sospetta SMD è inoltre sempre racco-

mandata una valutazione di tipo immunoistochi-mico che utilizzi come pannello minimo di marca-tori il CD34, un marcatore megacariocitario e latriptasi (un antigene correlato alle mastcellule). Incasi specifici possono poi essere utilizzati altri mar-catori quali il CD3, CD20, CD25, CD117 (17). Perla valutazione della percentuale di blasti l’approc-cio migliore è contare le cellule progenitrici CD34positive (48). La valutazione della percentuale diblasti utilizzando il CD34 può risultare difficoltosanei casi in cui i blasti siano CD34 negativi e neipazienti con aumentata densità microvascolarepoiché le cellule endoteliali esprimono il CD34. Inquesti casi la valutazione concomitante delCD117, della mieloperossidasi e del lisozima puòfornire utili informazioni. La valutazione istologica del midollo consente inol-tre di determinare la presenza degli ALIP che rive-stono un importante valore dal punto di vista dia-gnostico e prognostico (49). Una SMD ALIP posi-tiva presenta almeno 3 aggregati (più di 5 precur-sori mieloidi) o cluster (da 3 a 5 precursori mie-loidi) nelle sezioni tissutali. Il CD34 si è dimostra-to utile anche per il riconoscimento degli ALIP, ter-mine che per una maggior precisione oggi si ten-de a sostituire con “accumulazioni multifocali di cel-lule progenitrici CD34+” poiché talora questiaggregati possono essere osservati in vicinanzadi vasi o superfici endosteali il che differisce rispet-to alla classica definizione di ALIP (non vicinan-za a vasi e superfici endosteali) (17). I marcatorimegacariocitari sono utili per un più agevole rico-noscimento dei megacariociti talora visibili in aggre-gati o cluster e delle loro anomalie morfologichee di distribuzione (50).Un ulteriore aspetto che può essere valutato conla biopsia ossea è la presenza di fibrosi midolla-re (51). La diagnosi nelle forme con fibrosi midol-lare non è agevole in quanto l’aspirato midollarerisulta ipocellulato e non adeguato per la valuta-zione della morfologia e della percentuale di bla-sti. Le forme di SMD con fibrosi devono esseredistinte da altre neoplasie mieloidi con mielofibro-si quali la panmielosi acuta con mielofibrosi e laleucemia acuta megacariocitica. Per la mancanza di criteri universalmente accet-tati le forme di SMD con mielofibrosi non sono sta-te incluse nella classificazione 2008 della OMS nel-la quale è stato invece raccomandato di subclas-

TABELLA 11 - Distribuzione della frequenza delle mutazionipuntiformi.

Mutazione Frequenza approssimativa

RUNX1/LAM1 2-25% (in fase di SMD avanzata)

N-RAS 10-45%TP53 5-10%JAK-2 5%FLT3 (FMS-like 5% (spesso come ITD -tyrosine kinase 3) internal tandem

duplication)MLL 5%PTPN11 rara (nelle forme di SMD

degli adulti)

16 Seminari di Ematologia Oncologica

sificare questi pazienti secondo le linee guida perle SMD seguite dal termine “con mielofibrosi” (14). Recentemente è stato dimostrato che la presen-za all’esame istologico di fibrosi midollare identi-fica un distinto gruppo di pazienti con displasia mul-tifilare, elevata richiesta trasfusionale con progno-si sfavorevole (62). La valutazione di questo para-metro rappresenta pertanto un fattore prognosti-co indipendente da considerare nella strategia tera-peutica di questi pazienti. Sempre gli stessi auto-ri hanno inoltre dimostrato che la percentuale dicluster di cellule CD34+ all’esame istologico è unfattore prognostico indipendente che predicel’evoluzione in LAM (52).

Mielodisplasie ipoplasticheNelle SMD il midollo è generalmente normo o iper-cellulato. Tuttavia fino al 20% delle SMD può pre-sentare un midollo ipocellulato (53). Le mielodispla-sie ipoplastiche sono maggiormente frequenti nel-le donne e si osservano con una frequenza cor-relata all’età simile a quella delle SMD primitive.È sempre necessario escludere una precedenteesposizione a sostanze tossiche o chemioterapi-ci poiché un quadro ipoplastico midollare può esse-re frequentemente osservato nelle SMD/LAMsecondarie a chemioterapia.La diagnosi di SMD ipoplastica può talora esse-

re particolarmente insidiosa ed il quadro può nonessere facilmente distinguibile da casi di LAM ipo-plastica o di anemia aplastica, cosa che inveceriveste grande importanza per le ovvie implica-

TABELLA 12 - Ruolo della istologia midollare e valutazioniraccomandate (17).

Distinzione dalla LAM quando vi è contaminazione disangue periferico (CD34-IIC).

Diagnosi di SMD ipoplastiche e distinzione dalle LAM(CD34-IIC).

Distinzione dalla Anemia aplastica.

Valutazione degli ALIP/Accumulazioni multifocali di cel-lule progenitrici CD34+ (CD34-IIC).

Anomala aggregazione e morfologia dei megacariociti(IIC: CD31, CD42, or CD62).

Dimostrazione della fibrosi midollare (impregnazioneargentica di Gomori).

Dimostrazione di aumentata angiogenesi (CD34-IIC).

Diagnosi di una concomitante neoplasia mieloide.

Diagnosi di SMD-NC e di MS-SMD.

Dimostrazione di marcatori citogenetici con la -FISHquando non è disponibile il cariotipo#.

IIC, immunoistochimica ; MS-SMD, mastocitosi sistemica associata alleSMD. #Da non considerarsi allo stato attuale uno standard nella valu-tazione delle SMD.

TABELLA 13 - Marcatori immunoistochimici raccomandati (17).

Marcatore Tipo cellulare

Pannello minimoCD34§ Blasti, progenitori, cellule endotelialiCD31 or CD42 or CD62 MegacariocitiTriptasi Mast cell, basofili, progenitori mieloidi

Pannello esteso a seconda della linea cellulare da analizzareCD117§ Progenitori, mast cellCD3 Cellule TCD20 Cellule BCD25 Subset di cellule T e B, mast cell atipicheCD38 PlasmacelluleCD15* Monociti, granulocitiCD68, CD68R* Monociti, macrofagi, cellule mieloidiLisozima* Monociti, macrofagi2D7, BB1 Basofili§In rari casi, i blasti sono CD34 negativi e il CD117 può essere utilizzato in alternativa. La triptasi è generalmente negativa o mostra solo una debole positivi-tà nei blasti. *I marcatori monocitari e macrofagici possono essere utili per discriminare i monociti immaturi ed i blasti (LMMC vs. LAM). In altri casi non sonoraccomandati.

17Il percorso diagnostico

zioni prognostiche e terapeutiche. Le SMD e leLAM ipoplastiche nel complesso sono una eve-nienza minoritaria ma tuttavia non rara rappresen-tando circa il 10-15% di tutte le neoplasie mieloi-di (54). Sia le SMD che le LAM ipoplastiche si associa-no a citopenia periferica, suggerendo così una dia-gnosi clinica di anemia aplastica acquisita. Inaggiunta, se il midollo è poco cellulato (<20%) puòessere difficile distinguere questi disordini utilizzan-do i soli criteri morfologici applicati agli strisci diaspirato midollare e valutando la percentuale diblasti ed il grado di displasia. In tali casi si rendo-no pertanto necessarie l’esecuzione della terapiaossea e indagini aggiuntive (Tabella 14). È statainvocata nel passato in alcuni casi di questi unapatogenesi autoimmune, ma più recentemente siè dimostrato che questi meccanismi possono gio-care un ruolo in varie forme di SMD, in particola-re in presenza della trisomia 8, attraverso l’espan-sione oligoclonale di elementi CD8 o NK.Recentemente sono state proposte delle linee gui-da allo scopo di permettere una più precisa dia-gnosi e distinzione delle forme di SMD ipoplasti-ca, LAM ipoplastica ed anemia aplastica (56). Trale raccomandazioni proposte, di rilievo è la corre-zione della cellularità per l’età del paziente checomporta una diagnosi di ipoplasia nel 2.2% del-la LAM e nel 7% della SMD (46). Vengono inol-tre raccomandati il conteggio di almeno 100 cel-lule nel sangue periferico e di 500 nel midollo alfine di aumentare l’affidabilità della determinazio-ne della percentuale di blasti. All’esame istologico la diagnosi di SMD viene favo-rita dalla presenza di megacariociti in una struttu-ra architettonica midollare disorganizzata, di fibro-si reticolinica e di ALIP che caratterizzano le for-me più aggressive. Studi addizionali che possono essere di utilità nel-la diagnostica differenziale sono la citogeneticaconvenzionale, la FISH in interfase su cellule disangue periferico e su sezioni di tessuto al fine diricercare anomalie citogenetiche, uno studio cito-fluorimetrico che valuti non solo la percentuale diblasti e l’anomala maturazione ma anche even-tuali cloni EPN (Emoglobinuria ParossisticaNotturna) (57).Anche per le SMD ipoplastiche come per quellecon mielofibrosi non esistono criteri classificativi

universalmente accettati. Pertanto queste formenon sono state incluse nella classificazione 2008della OMS nella quale è stato invece raccoman-dato di subclassificare questi pazienti secondo lelinee guida per le SMD seguite dal termine ipo-plastiche (14).

Criteri minimi per la diagnosi di SMDNella maggior parte dei pazienti la diagnosi risul-ta evidente sulla base dei criteri della classifica-zione FAB/OMS. Talora tuttavia la diagnosi puòrisultare non agevole in casi con una o più cito-penie di lieve entità, senza incremento dei blastidel sangue periferico e midollare, con modestenote displastiche, senza anomalie citogenetiche.Per questi casi sono stati recentemente individua-ti dei criteri minimi per definire il ruolo diagnosti-co dell’analisi citogenetica e citofluorimetrica nel-la diagnosi di SMD (17). Questi criteri si basano su 2 prerequisiti indispen-sabili (entrambi devono essere presenti), e alme-no uno su 3 criteri addizionali legati alle SMD, edi diversi co-criteri (Tabella 15). Le cause di mielodisplasia secondaria e le ano-malie diseritropoietiche congenite dovrebbero

TABELLA 14 - Indagini diagnostiche suggerite per la diagnosidi SMD ipoplastica, LAM ipoplastica e anemia aplastica (56).

Raccomandazioni maggioriEsame dello striscio di sangue periferico: contare alme-

no 100 cellule Valutare la displasia granulocitariaValutare la presenza di blasti

Aspirato midollare: Conteggio differenziale su 500 celluleEsaminare la displasia eritroide, granulocitaria emegacariocitariaEffettuare colorazione per il ferro per i sideroblastiad anello

Biopsia osetomidollareValutare la cellularità (corretta per l’età)Valutare la presenza di ALIP (con CD34, 117, mie-loperossidasi)Effettuare valutazione reticolina

Studi ulterioriCitogenetica standard e FISH in interfaseCitometria a flussoscreening per cloni EPN con metodiche citofluori-metriche e molecolari sensibili

18 Seminari di Ematologia Oncologica

essere preventivamente escluse. Nei casi in cuiun paziente con caratteristiche cliniche e di labo-ratorio coerenti con una SMD abbia caratteristi-che morfologiche non conclusive, una diagnosi diSMD presuntiva può essere effettuata se è pre-sente una anomalia cromosomica specifica(Tabella 16). Se è presente solo una displasia unilineare midol-lare in assenza di anomalie ricorrenti e di unaumento dei blasti nel sangue periferico e nelmidollo, con meno del 15% di sideroblasti ad anel-lo, per porre diagnosi di SMD è raccomandato unperiodo di osservazione di 6 mesi e la ripetizionedell’aspirato midollare (14). Nel caso sia presente una citopenia che coin-volga una o più filiere mieloidi (eritrociti, neu-trofili, piastrine) che sia costante (≥6 mesi), manon vengano soddisfatti i criteri minimi per ladiagnosi di SMD e non si possano individuarealtre condizioni patologiche ematologiche enon, è stata proposta una denominazione delquadro come citopenia idiopatica di incertosignificato (CIIS) (17). Questi pazienti devono essere attentamentemonitorati ed i test diagnostici eventualmente ripe-

TABELLA 15 - Criteri diagnostici minimi (17)*.

(A) Prerequisiti1. Citopenia costante in una o più delle seguenti filiere: eritroide (Hb <11 g/dL); neutrofila (ANC <1500 µL) o megacario-

citica (piastrine <100,000 µL).2. Esclusione di tutti gli altri disordini emopoietici e non come causa primaria della citopenia/displasia°.

(B) criteri decisivi correlati alla SMD1. Displasia in almeno il 10% di tutte le cellule delle seguenti filiere nello striscio midollo: eritroide; neutrofila; o megacario-

citica o >15% di sideroblasti ad anello.2. 5-19% di cellule blastiche nello striscio midollare.3. Anomalie cromosomiche tipiche (mediante citogenetica convenzionale o FISH)#.

(C) Co-criteri§ (per i pazienti che soddisfano i criteri A ma non quelli B, e che mostrano caratteristiche cliniche tipi-che quali ad esempio una anemia macrocitica trasfusione-dipendente)Anomalo fenotipo delle cellule midollari chiaramente indicativo per una popolazione cellulare monoclonale eritroide e/o mie-loide, determinata mediante citometria a flusso.Chiara evidenza molecolare di una popolazione cellulare monoclonale nel HUMARA assay, gene chip profiling, o analisi dimutazioni puntiformi (ad esempio mutazioni di RAS).Marcata riduzione della formazione di colonie (± formazione di cluster) dei progenitori midollari e/o circolanti (CFU-assay).

*La diagnosi può essere formulata quando entrambi i prerequisiti ed almeno un criterio decisivo sono soddisfatti. Se nessun criterio decisivo è soddisfatto, maè molto probabile che il paziente sia affetto da una neoplasia mieloide clonale, i co-criteri devono essere applicati e possono aiutare nel raggiungimento delladiagnosi di SMD o di una condizione definita ‘fortemente sospetta di SMD’. °Dal momento che possono esserci più pazienti con coesistenti neoplasie midol-lari, è importante definire che in alcuni casi una SMD può essere diagnosticata anche in presenza di un’altra patologia possibile causa di citopenia. #Le alte-razioni cromosomiche tipiche sono quelle ricorrenti nelle SMD. Se il cariotipo anomalo è il solo criterio decisivo, la condizione dovrebbe essere consideratacome ‘‘fortemente sospetta di SMD”. §I co-criteri non devono essere intesi come standard nella diagnostica di base delle SMD in tutti i centri. Se non disponi-bili, i casi dubbi devono essere monitorati ed i test ripetuti per porre diagnosi di SMD nel follow-up.

TABELLA 16 - Citopenia idiopatica di incerto (indeterminato)significato (CIIS) (17).

(A) DefinizioneCitopenia in una o più delle seguenti filiere (per più di 6

mesi): eritroide (Hb <11 g/dL); neutrofila (<1500 µL);piastrinica (<100,000 µL)

Esclusa una SMD (vedi ‘B’ e ‘C’)Escluse tutte le altre possibili cause di citopenia (vedi

‘B’ e ‘C’)

(B) indagini iniziali richieste per la diagnosi di CIISAnamnesi dettagliata (farmaci, tossici, mutageni, ecc.)Attento esame clinico comprendente indagini radiologi-

che ed ecografia splenicaEmocromo con conteggio differenziale al microscopio e

completa valutazione biochimica clinica Biopsia osteomidollare ed immunoistochimica Aspirato midollare e colorazione per il ferro. Citometria a flusso midollare e sangue perifericoAnalisi cromosomica con FISH (pannello standard

minimo: 5q31, CEP7, 7q31, CEP8, 20q,CEPY, p53)Analisi molecolare se appropriata (ad esempio riarran-

giamenti del T cell receptor-neutropenia)Esclusione di infezioni virali (HCV, HIV, CMV, EBV, altre)

(C) indagini raccomandate nel follow-upEmocromo con formula e biochimica clinica ad interval-

li di 1-6 mesiIn caso di evidente sospetto di SMD: esame midollare

19Il percorso diagnostico

tuti per poter porre diagnosi di SMD nel follow-up.Sebbene questa entità appaia giustificabile dalpunto di vista clinico-laboratoristico tuttavia non èstata inserita nella classificazione OMS ma vieneutilizzata per descrivere quei pazienti che non sod-disfano i criteri minimi per la diagnosi di SMD (14).

CitofluorimetriaNumerose recenti pubblicazioni hanno evidenzia-to l’utilità dello studio citofluorimetrico nella fasediagnostica e nella definizione della prognosi (58-65). Nella fase diagnostica la valutazione citofluo-rimetrica di una sospetta SMD è di aiuto nella valu-tazione dei blasti CD34+ (60), dei monociti, dellacomponente mieloide maturante (62, 63) e dellacomponente eritroide (64).Lo studio citofluorimetrico può fornire indicazionidi tipo quantitativo e qualitativo. Dal punto di vistaquantitativo è possibile definire la percentuale diblasti che nella maggior parte dei casi esprimo-no il CD34 e quindi concorrere ad un più precisoinquadramento diagnostico soprattutto nei pazien-ti con campioni midollari morfologici subottimali. Dal punto di vista qualitativo è possibile invecericonoscere anomalie fenotipiche maturative che,pur non essendo specifiche per le SMD, è statodimostrato che correlano con il grado di displa-sia valutato all’esame morfologico e pertanto pos-sono essere di aiuto a differenziare le SMD daquadri di tipo reattivo o da altre neoplasie mie-loidi clonali (66).Tuttavia è da sottolineare che la diagnosi finale diSMD attualmente deve comunque basarsi anco-ra su criteri di laboratorio più consistenti quali l’esa-me di preparati citologici midollari e di sangue peri-ferico, l’esame istologico del midollo, la citogene-tica o la FISH (17) (Tabella 17).Lo studio citofluorimetrico può però dare informa-zioni utili a fini diagnostici nei casi in cui la valu-tazione morfologica e citogenetica non siano con-clusive. In tal senso la valutazione citofluorimetri-ca è stata inserita tra i co criteri minimi in un recen-te report della Consensus Conference allo scopodi porre diagnosi di SMD nei casi in cui non sia-no presenti una significativa displasia od un incre-mento dei blasti (17). Questi pazienti devono essere attentamentemonitorati nel tempo per poter confermare il qua-dro di SMD. Recenti studi hanno poi dimostrato

che la citofluorimetria può rivestire anche un ruo-lo nella definizione della prognosi nelle SMD, inquanto i risultati citofluorimetrici correlano con isistemi prognostici attualmente utilizzati (60, 63,64, 67, 68). È stata poi anche dimostrata una cor-relazione tra uno score immunofenotipico e la pro-gnosi in pazienti sottoposti a trapianto di cellulestaminali (65). Nel complesso il principale svantaggio della valu-tazione citofluorimetrica è dato dal fatto che essasi basa su protocolli e tecniche non perfettamen-te standardizzate e che mancano studi multicen-trici prospettici (66). Infine la citofluorimetria puòinoltre essere usata per escludere una diagnosidi EPN o per individuare la presenza di cloni EPNnell’ambito di un quadro di SMD (57).

TABELLA 17 - Anomalie fenotipiche ricorrenti determinatemediante citometria a flusso (17).

CD34+ progenitori mieloidiIncremento assoluto e relativo delle cellule CD34+Espressione del CD15 e/o CD11b (i basofili immaturi pos-

sono coesprimere il CD34 CD11b)Mancata espressione del CD13, CD33, o HLA-DREspressione di antigeni linfoidi: CD5, CD7, CD19, o CD56Ridotta espressione del CD45 Anomala espressione del CD34 (aumentata o ridotta)Anomala ridotta espressione del CD38

CD34+ progenitori B cellulari (CD34+/CD10+)Riduzione assoluta e relativa (rispetto a tutte le cellule

CD34+) delle cellule CD34+/CD10+

Cellule maturanti mielodi (neutrofili)Ipogranularità evidenziata dal ridotto Side ScatterAnomalo pattern di espressione degli antigeni mieloidi Asincrona maturazioneMancata espressione del CD13 o CD33Espressione del CD34Espressione di antigeni linfoidi Ridotta espressione del CD45

MonocitiAnomalie nel pattern di espressione di HLA-DR, CD11b,

CD13, CD14, CD33Mancata espressione di CD13, CD14, CD16, o CD33Espressione del CD34Espressione di antigeni linfoidi ad eccezione del CD4

Precursori eritroidiAnomala espressione del CD45Espressione del CD34Anomala espressione del CD71, CD117, o CD235a

20 Seminari di Ematologia Oncologica

Neoplasie Mielodisplastiche/Mieloproliferative (SMD/NMP)

Le neoplasie mielodisplastiche mieloproliferativerappresentano un gruppo di neoplasie mieloidi concaratteristiche di laboratorio e cliniche in comunealle SMD ed alle neoplasie mieloproliferative(NMP) (Tabella 18) (69). Questo sottogruppo di neoplasie mieloidi includela leucemia mielomonocitica cronica (LMMC), laleucemia mieloide cronica atipica (LMCa), la leu-cemia mielomonocitica giovanile (LMMg), ed unaentità provvisoria nelle SMD/NMP non classifica-bili, la anemia refrattaria con sideroblasti ad anel-lo e trombocitosi (ARSA-T) (70). Tra le subentità considerate in questo gruppo di

disordini mieloidi vi è la LMMC che il gruppo FABaveva inizialmente incluso tra i disordini mielodi-splastici e che invece la OMS ha configurato nel2001 tra i disordini SMD/NMP.Nella revisione del 2008 della classificazione OMSla LMMC rimane tra i disordini SMD/NMP e vie-ne confermata pure la distinzione tra LMMC-1 eLMMC-2, sulla base della percentuale di blasti piùpromonociti nel sangue periferico e nel midollo(LMMC1 blasti + promonociti <5% nel sangue peri-ferico e <10% nel sangue midollare; LMMC2 bla-sti e promonociti >=5% nel sangue periferico o=>10% nel midollo) che ha dimostrato di averesignificato prognostico (71). I casi di LMMC chepresentino eosinofilia dovrebbero essere indaga-ti per la presenza di riarrangiamenti di PDGFRB

TABELLA 18 - Classificazione OMS 2008 delle neoplasie mielodisplastiche mieloproliferative.

Patologia Sangue periferico Midollo

LMMC Monociti >1x109/L Displasia in una o più filiere mieloidiNo fusione BCR/ABL Blasti <20% (i blasti includono<20% di blasti mieloblasti, monoblasti e promonociti)

Non riarrangiamenti di PDGFRA e PDGFRB

Leucemia mieloide cronica Leucocitosi, neutrofilia Displasia neutrofila con o senza altreatipica BCR/ABL negativa Displasia neutrofila filiere displastiche(LMCa) Precursori neutrofili >=10% Blasti <20%

dei leucocitiBlasti <20%No fusione BCR/ABLNo riarragiamenti di PDGFRA e PDGFRB

Leucemia mielomonocitica Monociti >1x109/L Blasti <20%giovanile Blasti <20% (i blasti includono mieloblasti,

GB generalmente >10x109/L monoblasti e promonociti)

Neoplasie mielodisplastiche Caratteristiche di SMD e NMP Caratteristiche miste di SMD e NMPmieloproliferative non classificabili Non precedente diagnosi di SMD Blasti <20%(SMD/NMP-NC) o NMP

Non recente terapie con fattori di crescita o citostaticiNo BCR/ABL o riarragiamenti di PDGFRA e PDGFRB

ARSA-T entità provvisoria Trombocitosi persistente >450 x 109/L Caratteristiche morfologiche di ARSAAnemia Sideroblasti ad anello >=15%BCR/ABL negativa Megacariociti anomali simili a quelliEsclusi i casi con t(3;3)(q21;q26) osservati nelle NMP BCR/ABL negativee inv(3)(q21q26) e isolata del 5qJAK2 mutato nel 50% dei casi (non è criterio diagnostico)

21Il percorso diagnostico

e, nel caso questi vengano riscontrati, classifica-ti come neoplasie mieloidi con eosinofilia associa-ta a riarragiamento di PDGFRB (14). Tra le forme di neoplasie mieloidi SMD/NMP è sta-ta infine inclusa una entità provvisoria che puòentrare in diagnosi differenziale con le SMD, laARSA-T

ARSA-TQuesta forma di neoplasia mieloide recentemen-te descritta è una rara sindrome che associa lecaratteristiche della anemia refrattaria con side-roblasti ad anello e delle sindromi mieloprolifera-tive con trombocitosi quali la trombocitemiaessenziale e la mielofibrosi idiopatica (72-74).Questa nuova entità indicata come ARSA-T rap-presenta lo 0.7% dei disordini mielodisplasticisecondo la classificazione FAB (includendo peral-tro la LMMC). Non c’è una prevalenza del sessofemminile o maschile e non si caratterizza per lapresenza di anomalie genetiche specifiche. Deveinoltre essere differenziata dalla sindrome del 5q-che egualmente può presentare trombocitosi. Ladistinzione tra ARSA-T e NMP può essere pro-blematica in quanto il riscontro di sideroblasti adanello non è raro nelle NMP ed in particolare nel-la LMMC. Pertanto per diagnosticare un quadrodi ARSA-T è necessario che siano anche presen-ti la diseritropoiesi, come nelle ARSA, in presen-za di un midollo ipercellulato con aumentata mega-cariocitopoiesi con forme di grandi dimensioni simi-li a quelle osservabili nelle NMP che raramentesono osservabili nelle SMD. Le ARSA-T presentano nel 50-75% dei casi lamutazione di JAK2 V617F che probabilmente spie-ga la relazione con le classiche NMP (73).Raramente sono state osservate mutazioni di MPL(74). La prognosi di questi pazienti è migliore diquella delle SMD/NMP ma comunque peggiorerispetto a quella della trombocitemia essenzialerispetto alla quale deve essere pertanto differen-ziata (75). È quindi fondamentale effettuare sem-pre una colorazione per il ferro sugli strisci di aspi-rato midollare nei pazienti con sospette neopla-sie mieloidi (76).Rimane tuttavia ancora da definire il migliore valo-re di cut-off per una diagnosi di ARSA-T rispettoad una ARSA che talora può presentare elevatilivelli di piastrine. Nella classificazione OMS del

2001 il cut off era di 600×109/L, mentre in quelladel 2008 è stato abbassato a 450×109/L, per uni-formarsi ai criteri diagnostici della trombocitemiaessenziale.

Disordini mieloproliferativi atipici 5q-/JAK2-positiviRecentemente è stato osservato che alcuni casidi sindrome 5q- con caratteristiche simili a quel-le delle NMP croniche quali trombocitosi presen-tano una frequenza di mutazioni di JAK2 superio-re a quella delle forme non mieloproliferative (40).Rispetto alla classica sindrome 5q, l’anemia di que-sti pazienti è generalmente normocromica men-tre i livelli di globuli bianchi e di piastrine sono disolito superiori rispetto alle forme JAK2 non muta-te. Nei casi 5q-/JAK2-mutati, il midollo mostra unaevidente iperplasia mieloide: i megacariociti pre-sentano i caratteristici nuclei ipolobati o non loba-ti associati alla sindrome 5q-. Rispetto alla clas-sica sindrome 5q- questi pazienti mostrano uncomportamento clinico più variabile.

n CONCLUSIONI

Nell’ultimo decennio il percorso attraverso cuil’ematologo arriva a formulare una diagnosi di SMDsi è arricchito di numerosi nuovi strumenti che cihanno permesso non solo di ottenere una classi-ficazione di questi disordini sempre più sofistica-ta, ma anche di avere informazioni prognostichesempre più precise che ci consentono di disegna-re strategie di trattamento più idonee per i pazien-ti affetti da MDS (77).

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25

n INTRODUZIONE

La sindrome mielodisplastica (SMD) associata adelezione del braccio lungo del cromosoma 5,definita sindrome 5q-, è stata descritta per la pri-ma volta da van den Berghe nel 1974 e rappre-senta il primo disordine ematologico associato aduna specifica delezione cromosomica (1). Ladel(5q), come unica anomalia o in combinazio-ne con altre alterazioni del cariotipo, rappresen-ta il riarrangiamento citogenetico più frequente nel-le SMD ed è osservato nel 15% circa dei casi tota-li e nel 30% dei casi con cariotipo alterato (2). Ipazienti affetti da sindrome 5q- presentano ladel(5q) come unica anomalia cromosomica ecostituiscono circa il 10% dei casi di SMD (3, 4).Anche se i meccanismi molecolari alla base del-la patogenesi della sindrome 5q- non sono anco-ra noti, negli ultimi anni sono stati compiuti note-voli progressi nell’identificazione dei geni poten-zialmente coinvolti nella determinazione del feno-tipo clinico-biologico.

n CARATTERISTICHE CLINICHE ED EMATOLOGICHE

I pazienti con sindrome 5q- presentano anemiamacrocitica, un numero di globuli bianchi norma-

le o leggermente ridotto e un numero normale oaumentato di piastrine (5-8). Nel midollo osseosi osserva una percentuale di blasti inferiore al5%, una displasia eritroide e anomalie morfolo-giche a carico dei megacariociti caratterizzati danuclei piccoli, rotondeggianti o ovali e ipolobula-ti (9). I pazienti affetti da sindrome 5q- presenta-no la del(5q) come singola anomalia del carioti-po e hanno generalmente una prognosi favore-vole ed un basso rischio di trasformazione in leu-cemia acuta mieloide (LAM) (circa il 10%) (5-8)(Tabella 1). L’anemia è generalmente severa, tende a peggio-rare con il tempo e richiede terapia trasfusiona-le, causando frequentemente emocromatosi edisfunzione d’organo (10). A differenza delle altreforme di SMD si osserva una maggiore inciden-za di casi con sindrome 5q- nel sesso femmini-le (Tabella 1).Nel 2001 l’Organizzazione Mondiale della Sanità(OMS) ha pubblicato una nuova classificazione deidisordini ematologici riconoscendo la “sindrome5q-” come una distinta e ben definita entità tra leSMD (11, 12). La presenza di un numero di bla-

La sindrome 5q-La sindrome 5q-FRANCESCO ALBANO, LUISA ANELLIEmatologia con Trapianto, Università degli Studi di Bari

Francesco Albano

Indirizzo per la corrispondenza

Dr. Francesco AlbanoP.zza G. Cesare, 1170124 Barie-mail: [email protected]

Parole chiave: sindrome mielodisplastica, delezione,aploinsufficienza.

TABELLA 1 - Caratteristiche clinico-biologiche della sindrome 5q-.

Maggiore incidenza nel sesso femminileAnemia severaMacrocitosiNumero di leucociti normale o leggermente diminuitoNumero di piastrine normale o leggermente aumentatoBassa frequenza di trasformazione in LAM (10%)Sopravvivenza media prolungataDismegacariocitopoiesi midollare (megacariociti mono-lobulati con nucleo eccentrico)Blasti nel midollo <5%Delezione 5q come unica anomalia del cariotipo

26 Seminari di Ematologia Oncologica

sti superiore al 5% o di altre anomalie cromoso-miche addizionali rispetto alla del(5q) esclude ladiagnosi di sindrome 5q-.

n PATOGENESI

La del(5q) come unica anomalia del cariotipo for-nisce un’opportunità favorevole per studiare la rela-zione genotipo-fenotipo e per identificare le alte-razioni molecolari alla base della patogenesi del-la sindrome 5q-. Recenti studi indicano che il mec-canismo responsabile della sindrome 5q- possaessere legato all’aploinsufficienza per uno o piùgeni localizzati nella regione comune di delezio-ne (CDR) in 5q31-q32 (13). La delezione di ungene in eterozigosi può causare una riduzione del50% della dose genica, ma i meccanismi di omeo-stasi cellulare potrebbero correggere il livello diespressione fino a riportarlo a valori normali. Sela presenza di un solo allele di un gene localizza-to in 5q31-q32 non è sufficiente a garantire un nor-male livello di espressione, questo potrebbe favo-rire l’espansione midollare di un progenitoreemopoietico con del(5q). Per nessuno dei genilocalizzati nella CDR è stata evidenziata una dele-zione biallelica o una mutazione puntiforme a cari-co della copia allelica non deleta supportando quin-di l’ipotesi dell’aploinsufficienza (13, 14).

Definizione della CDRNei casi con SMD e del(5q) le delezioni posso-no estendersi dalla banda 5q31 alla banda 5q33,sono interstiziali e di dimensione eterogenea (5,8, 10, 15). Nei pazienti con SMD ad alto rischioo nei casi di LAM si verifica generalmente la per-dita di una regione più centromerica localizzatain 5q31 (16) mentre nei casi con sindrome 5q-viene persa una regione più distale, localizzatain 5q32-33 (17). La maggior parte dei pazientipresenta delezioni estese che comprendonoentrambe le CDR, ma la caratterizzazione di alcu-ni casi con piccole delezioni altamente informa-tive ha consentito di restringere e definire ciascu-na CDR. Per quanto riguarda la caratterizzazione dellaCDR più prossimale, in 5q31, uno degli studi ini-ziali condotto da William et al. nel 1993 ha iden-tificato la presenza del gene che codifica per il

fattore-1 di regolazione dell’interferone (IRF-1),un attivatore trascrizionale di numerosi geni sti-molati dall’interferone (18). Un altro studio effet-tuato da Le Beau et al. nel 1993 ha definito unaCDR di 2.8 Mb, in 5q31.1, che comprende il geneche codifica per l’interleuchina 9 (IL9) ed il geneche codifica per il recettore del fattore di cresci-ta epidermico (EGR1) (19). Quest’ultimo svolgeun ruolo importante per lo sviluppo e la soprav-vivenza di diversi tipi di cellule e agisce sia comeoncogene che come gene oncosoppressore (20).EGR1 appartiene alla famiglia dei fattori di tra-scrizione WT1 e media la risposta a diversi fat-tori di crescita, mitogeni e stimoli da stress. Lariduzione di espressione di EGR1 è coinvolta indiversi tipi di neoplasie mediante regolazione del-la via di p53 (21-23). Nei topi EGR-/- oppureEGR+/- si osserva un notevole incremento dellasuscettibilità allo sviluppo di neoplasie mieloidi,suggerendo quindi che l’aploinsufficienza perquesto gene possa svolgere un ruolo nell’insor-genza delle SMD o delle LAM (24). La CDR in 5q31 è stata successivamente ristret-ta in pazienti affetti da SMD e da LAM ad unaregione di 1-1.5 Mb contenente i geni per la cicli-na CDC25C, EGR1 e per la proteina associata alfattore MAX (MGA); l’analisi mutazionale di que-sti geni non ha rivelato alcuna alterazione a cari-co della copia allelica non deleta (25).I primi studi finalizzati alla definizione della CDRpiù telomerica, deleta nei pazienti con sindrome5q-, hanno identificato una regione compresa trale bande 5q31-5q33 in cui mappano i geni checodificano per il recettore nucleare NR3C1, peril recettore di superficie b2 adrenergico ADRB2,per la proteina acida di secrezione ricca in cistei-na SPARC, per il recettore del fattore stimolantele colonie CSFR1 e per il recettore del glutam-mato GRIA1 (9). Un’analisi successiva condottadallo stesso gruppo ha definito una CDR più dista-le che si estende per 1.5Mb a livello delle ban-de 5q32-5q33 ed è compresa tra il marcatoreD5S413 ed il gene GLRA1 (glycine receptor,alpha 1 isoform 2 precursor). Complessivamentequesta CDR contiene 16 geni predetti e 24 geninoti, molti dei quali implicati in varie forme di neo-plasie (17) (Figura 1).L’introduzione della nuova tecnologia degli arraybasati sui polimorfismi del singolo nucleotide (SNP

27La sindrome 5q-

array) fornisce un nuovo potente strumento percaratterizzare le alterazioni genomiche di tipoquantitativo. Un recente studio, basato sull’impie-go dell’array 50K dell’Affimetrix, ha identificato nel-la banda 5q33 una CDR di 2,9 Mb compresa trail gene SH3TC2 (SH3 domain and tetratricopep-tide repeats 2) ed il gene GLRA1; tale analisi, tut-tavia, è stata effettuata su un gruppo eterogeneodi casi con SMD e del(5q) e non in modo speci-fico su pazienti con sindrome 5q- (26).

Analisi dei principali geni candidatiDiversi studi sono stati effettuati al fine di identi-ficare geni candidati localizzati all’interno dellaCDR e potenzialmente responsabili della patoge-nesi della sindrome 5q-. Sulla base della CDR di1.5Mb definita da Boultwood nel 2002 gli autorihanno analizzato i geni espressi sia nelle cellu-

le CD34+ che nelle cellule del sangue periferico;lo studio mediante RT-PCR di 40 geni predetti daldatabase dell’Ensembl ha identificato per 33 ditali geni l’espressione nelle cellule staminali emo-poietiche (17). Uno studio successivo ha evidenziato un profilodi espressione genica specifico per i pazienti affet-ti da sindrome 5q- e distinto rispetto ai pazienti conSMD e cariotipo normale oppure con altre ano-malie cromosomiche (27). I risultati di quest’ana-lisi hanno consentito di identificare un’espressio-ne differenziale per i geni HIST1H3H (cluster isto-nico 1, H3h), per ACTR2 (actin binding protein) eWIPF1 (WAS ineracting protein family, member 1)che codificano per proteine del citoscheletro, peril gene C5orf15 e per CTNNA1 (catenina alpha1). Tra questi solo il gene CTNNA1 mappa nellaregione CDR, facendo ipotizzare un effetto di dosegenica dovuto ad aploinsufficienza (27). Altri stu-di hanno rivelato una riduzione del 50% del livel-lo di espressione di diversi geni localizzati nellaCDR come CTNNA1, CDC25C, PP2A e SPARC(28, 29) (Figura 2). L’espressione del geneCTNNA1 è molto più bassa nelle cellule emopo-ietiche dei pazienti con SMD o con LAM caratte-rizzati da del(5q) rispetto ai controlli privi di del(5q)(29). Nella linea cellulare HL-60, una linea di leu-cemia mieloide caratterizzata da del(5q), la copiaallelica non deleta del gene CTNNA1 viene silen-ziata epigeneticamente mediante metilazione edeacetilazione degli istoni; la riattivazione del-l’espressione di questo gene determina riduzio-ne della proliferazione cellulare e induzione del-l’apoptosi. Questi dati sembrano indicare che ilgene CTNNA1 agisca come un classico TSG poi-chè entrambi gli alleli sono inattivati, il primo perdelezione e il secondo con un meccanismo epi-genetico, smentendo quindi l’ipotesi dell’aploinsuf-ficienza (29). Altri geni localizzati all’interno della CDR per i qua-li è stata rilevata una notevole riduzione del livel-lo di espressione sono rappresentati da RBM22(RNA binding motif protein 22) e CSNK1A1(casein kinase 1, alpha 1 isoform 2); i pathway cel-lulari principalmente interessati da questa downre-golazione coinvolgono la catenina WNT/b e il pro-cesso di ubiquitinazione (13) (Figura 2). Un altro studio ha evidenziato una significativa ridu-zione del livello di espressione anche per il gene

23

15.3

15.114

1312

11.2121314152122

3534333231

GM-2 activatorMEGF1SPARCG3BPATOX1

ADRB2

IL17BCSNK1A1PDEADTD

CSF1RPDGFRBRPL7CDX1NTPRCAMK2ATCOF1CD74NDST1RPS14

SynaptopodinDCTN4NAF1ANX6GPX3

GLRA1Cromosoma 5

FIGURA 1 - Geni con funzione nota mappati nella CDR defini-ta da Boultwood nel 2002 e compresa tra il marcatore D5S413e il gene GLRA1.

KIF20a (kinesin family member 20A) nelle cellu-le CD34+ dei pazienti con sindrome 5q- (30); talegene, tuttavia, si localizza esternamente rispettoalla CDR definita da Boultwood et al nel 2002. Lafamiglia delle proteine chinesine è caratterizzatada un dominio motore che consente il legame aicromosomi e al fuso mitotico (31) e il movimentointracellulare di organelli e vescicole (32). KIF20asvolge un ruolo importante nella citochinesi (31)e questo potrebbe spiegare l’aberrante fenotipo deinuclei dei megacariociti nei pazienti con sindro-me 5q- (33) (Figura 2).Secondo i dati sperimentali più recenti i principa-li geni candidati localizzati all’interno della CDR epotenzialmente responsabili della patogenesi del-la sindrome 5q- sono rappresentati dal geneSPARC (secreted protein, acidic, cystein-rich,osteonectin) e dal gene RPS14 (ribosomal pro-tein S14) (Figura 3).Gli studi di espressione genica condotti suipazienti con sindrome 5q- hanno evidenziato una

significativa riduzione del livello di espressione delgene SPARC (34). Questo gene agisce comeoncosoppressore in diversi tipi di neoplasie uma-ne, come il carcinoma ovarico, della mammella,del pancreas e del polmone. SPARC codifica peruna proteina con proprietà diverse a seconda deltipo cellulare in cui viene espressa; le principali fun-zioni riguardano la capacità di adesione con l’am-biente extracellulare, l’inibizione dell’angiogenesie della proliferazione cellulare (34-36). La protei-na codificata dal gene SPARC è in grado, inoltre,di legare alcune citochine come il PDGF e il TGF(34). È stato ipotizzato che l’aploinsufficienza perSPARC nei pazienti con sindrome 5q- possa deter-minare un aumento dell’adesione delle cellule condel(5q) ai componenti della nicchia midollare, manon vi sono ancora evidenze sperimentali in talsenso (34, 37) (Figura 3). Per comprendere il ruo-lo di questo gene nell’emopoiesi sono stati crea-ti dei topi SPARC-/-; in tali topi è stata osservatauna riduzione statisticamente significativa del

28 Seminari di Ematologia Oncologica

Sindrome 5q-

CTNNA1Catenina alfa 1:

adesione cellulare,induzione dell’apoptosi

CDC25CTirosin.fosfatasi della famiglia

delle cdc25:proliferazione cellulare

PP2AProteina fosfatasi 2A:proliferazione cellulare

SPARCProteina secreta, acida, ricca di cisteina:

morfologia e proliferazione cellulare,sintesi della matrice extracellulare

RBM22Proteina 22 RNA binding:

splicing dell’mRNA,proliferazione cellulare

CSNK1A1Caseina chinasi 1, alfa 1 isoforma 2:

proliferazione cellulare

KIF20aMembro 20a della famiglia

delle chinesine: organizzazionedel fuso mitotico, citochinesi

RPS14Proteina ribosomale S14:

struttura dei ribosomi,sintesi proteica

FIGURA 2 - Schema dei principali geni candidati coinvolti nella patogenesi della sindrome 5q-, con l’indicazione della loro funzionee dei processi cellulari in cui sono coinvolti.

29La sindrome 5q-

numero di piastrine rispetto ai topi wild type. È sta-ta osservata, inoltre, una riduzione dei livelli di emo-globina e dell’ematocrito ed un’alterata capacitàdel midollo di formare colonie eritroidi (BFU-E), mala differenza non ha mostrato una significatività sta-tistica (38). La mancata corrispondenza tra il feno-tipo dei topi SPARC-/- e quello dei pazienti affettida sindrome 5q- suggerisce che il gene SPARCnon possa essere l’unico responsabile dellapatogenesi della sindrome ma probabilmente agi-sce in modo cooperativo con altri geni.Un altro possibile candidato responsabile della sin-drome 5q- è il gene RPS14 che codifica per uncomponente della subunità ribosomale 40S. Laproteina RPS14 è costituita da 151 amminoacidie fa parte di un complesso di 33 proteine asso-ciate con l’RNA 18S per formare la subunità ribo-somale 40S (39). La trascrizione del gene RPS14è regolata positivamente da un trascritto antisen-so prodotto a partire dall’introne 1 dello stessogene e negativamente dalla proteina RPS14 (40).Il gene RPS14 può essere regolato anche

mediante meccanismi epigenetici con metilazio-ne a livello di un’isola CpG localizzata all’internodell’introne 1 e associata con un’origine di repli-cazione (41). Uno studio funzionale mediante inter-ferenza con RNA (RNAi) su 40 geni localizzati nel-la CDR in 5q32-5q33 è stato condotto su colturedi cellule CD34+ normali in condizioni che favori-vano la differenziazione in senso eritroide o mega-cariocitario (42). Per identificare i geni coinvolti nel-la patogenesi della sindrome 5q- la strategia è sta-ta quella di valutare i casi nei quali l’RNAi provo-cava un blocco del differenziamento in senso eri-troide preservando però il differenziamento deimegacariociti. Utilizzando questa strategia si è vistoche il gene RPS14 è il più probabile candidatoresponsabile del fenotipo 5q- (42). Gli esperimenti di RNAi condotti per il gene RPS14determinano una riduzione del rapporto tra cellu-le eritroidi e magacariocitiche prodotte in vitro apartire da progenitori normali con aumento del-l’apoptosi delle cellule eritroidi in differenziamen-to. L’inattivazione del gene RPS14 nelle linee cel-

SPARCRPS14

AdesioneDifferenziazione eritroideEspansioneApoptosi

LENALIDOMIDE

Progenitore staminale emopoietico con del(5q)

Progenitore staminale emopoietico normale

Progenitore staminale emopoietico anomalo privo di del(5q)

FIGURA 3 - Modello patogenetico proposto per l’insorgenza della sindrome 5q- sulla base dell’aploinsufficienza dei due principaligeni candidati SPARC e RPS14. Il trattamento con lenalidomide determina riduzione o scomparsa del clone con del(5q) e recupe-ro della normale emopoiesi. Occasionalmente un subclone di cellule anomale preesistenti e non sensibili alla lenalidomide può emer-gere in seguito al trattamento con il farmaco.

lulari CD34+ determina, inoltre, l’accumulo del pre-rRNA 30S e una diminuizione delle subunità 40S(42); questo stesso difetto nel processamentodell’RNA è stato osservato nelle cellule CD34+ deipazienti affetti da sindrome 5q-.La riattivazione dell’espressione del gene RPS14mediante l’uso di vettori virali nelle cellule CD34+dei pazienti con sindrome 5q-, consente il recu-pero del fenotipo eritroide confermando l’importan-za funzionale del gene stesso (42). Gli studi sul-la variazione del livello di espressione genica e lamancanza di un’alterata metilazione del promo-tore della copia allelica non deleta di RPS14 nel-le cellule midollari dei pazienti con sindrome 5q-supportano il modello dell’aploinsufficienza perquesto gene (13, 43).Queste osservazioni suggeriscono che l’alterataeritropoiesi dei pazienti con sindrome 5q- possaessere dovuta ad un difetto funzionale delle pro-teine ribosomali. Questi dati sono stati recentemen-te confermati da un altro studio che ha evidenzia-to un’alterata espressione dei geni coinvolti nellabiogenesi dei ribosomi e nel controllo della tradu-zione in cellule CD34+ di pazienti con sindrome5q- (44). Le proteine ribosomali (RP) svolgono unruolo critico per il processamento dell’RNA pre-ribosomale (pre-rRNA), per l’assemblaggio e lastabilità dei ribosomi, per il traffico intracellularedei pre-rRNA e per la regolazione della traduzio-ne (45). Mutazioni a carico di geni che codificanoper proteine ribosomali sono state rilevate, inol-tre, in sindromi congenite associate ad anemia

come l’anemia di Diamond-Blackfan (DBA) (46, 47)e ad altri disordini midollari come la sindrome diShwachman-Diamond (48). Il meccanismo attra-verso il quale l’alterata funzionalità dei ribosomipossa influire sull’eritropoiesi non è noto anche seè stata osservata un’attivazione delle vie innesca-te da p53 (49). Durante la maturazione eritroidel’intensa sintesi di emoglobina richiede una note-vole attivazione del macchinario della traduzione.In queste condizioni le cellule emopoietichesarebbero estremamente sensibili a qualsiasivariazione nella funzionalità delle proteine riboso-mali dovuta ad esempio ad aploinsufficienza o adinattivazione mutazionale (48). Questo potrebbedeterminare un accumulo di subunità ribosomaliincomplete che potrebbero indurre l’attivazione dimeccanismi apoptotici protettivi contribuendo al fal-limento midollare. Questa ipotesi è supportata dall’osservazione, nel-le cellule midollari dei pazienti con sindrome 5q-rispetto ai controlli normali, di un incremento del-l’apoptosi, di un accumulo del pre-rRNA 30S e diuna riduzione delle subunità 40S (42, 50). L’ipotesiche le alterazioni a carico del macchinario dellatraduzione possano influenzare l’emopoiesi èbasata anche sull’osservazione che i difetti dellesubunità ribosomali possono alterare l’utilizzo delcorretto sito di inizio della traduzione, provocan-do la formazione di trascritti più piccoli (Figura 4).È stata osservata la formazione di trascritti ano-mali a partire da geni che codificano per fattori ditrascrizione come CEPBA (CCAAT/enhancer bin-

30 Seminari di Ematologia Oncologica

Alterazione dell’apparato traduzionale

Sintesi di fattori di trascrizione(CEPBA, GATA1, SCL)

Sintesi di Hb

Alterata differenziazioneeritroide

Alterata differenziazionemieloide

Induzione dell’apoptosi

FIGURA 4 - Il difetto funzionale delle proteine ribosomali nelle cellule staminali emopoietiche potrebbe causare una riduzione dellasintesi di emoglobina e alterazione della trascrizione di importanti fattori che regolano la differenziazione mieloide.

31La sindrome 5q-

ding protein, alpha) (51), GATA1 (GATA bindingprotein 1) (52) e il fattore SCL (stem cell leuke-mia) (53). Le alterazioni a carico di questi fattoridi trascrizione causano deregolazione della matu-razione in senso eritroide e sono coinvolte nellapatogenesi delle LAM.Anche l’aploinsufficienza per il gene RPS14, tut-tavia, non può spiegare da sola il fenotipo clinicodei pazienti con sindrome 5q-; un importante obiet-tivo sarà quello di valutare se l’aploinsufficienzadi RPS14 condiziona il livello di espressione di altrigeni responsabili della patogenesi della sindrome5q- e del vantaggio proliferativo conferito al clonecellulare. Considerando quindi i principali geni candidatiidentificati fino a questo momento, cioè SPARC eRPS14, per la sindrome 5q- è stato proposto unmodello patogenetico basato su due diversipathway intracellulari (37, 54). L’aploinsufficienzaper il gene SPARC potrebbe determinare unaumento dell’adesione delle cellule staminaliemopoietiche con del(5q) allo stroma midollarefavorendo la loro espansione a discapito della con-troparte cellulare normale; tale espansione in con-comitanza con il blocco della differenziazione insenso eritroide causato dalla diminuizione del livel-lo di espressione del gene RPS14 e dall’altera-zione funzionale dell’apparato della traduzionepotrebbe determinare il quadro clinico tipico del-la sindrome 5q- (55) (Figura 3).

n TERAPIA

La terapia trasfusionale e la terapia con i chelan-ti del ferro rappresentano il trattamento standardper i pazienti con le forme più severe di sindrome5q- (55). La richiesta di trasfusioni nei pazienti consindrome 5q- tende ad aumentare nel tempo econsiste mediamente in due trasfusioni al mesedopo un anno di evoluzione della malattia (8, 10,15). Elevati livelli di eritropoietina (EPO) siericainsieme ad una frequente richiesta di trasfusionisono fattori predittivi di una prognosi sfavorevolenei confronti della terapia con Epo nei pazientiaffetti da sindrome 5q- (56, 57).La terapia dei pazienti affetti da sindrome 5q- è radi-calmente cambiata in seguito all’introduzione del-la lenalidomide (Revlimid; CC-5013). Nel 2005 la

Food and Drug Administration (FDA) ha approva-to l’uso di questo farmaco per il trattamento deipazienti con anemia dipendente da trasfusioneassociata a SMD a basso rischio o con rischio inter-medio-1 e con del(5q) in presenza o meno di altrealterazioni del cariotipo. Gli studi effettuati da Listet al., hanno dimostrato che la lenalidomide è ingrado di indurre la remissione citogenetica e di eli-minare la dipendenza dalle trasfusioni in unasostanziale proporzione di pazienti con SMD edel(5q) (58, 59). Nel primo studio sono stati ana-lizzati 43 pazienti con SMD a basso rischio carat-terizzati da anemia dipendente da trasfusione; inseguito al trattamento con lenalidomide è stataosservata una risposta ematologica nel 50% cir-ca dei pazienti (58). I risultati migliori sono stati conseguiti nel gruppodi pazienti caratterizzati da del(5q); nell’83% di que-sti casi è stata ottenuta l’indipendenza da trasfu-sione, in 10 pazienti su 12 è stata osservata unarisposta citogenetica e in 5 casi su 10 una remis-sione citogenetica completa (58). Sulla base deirisultati positivi ottenuti in questa prima analisi, èstato condotto un successivo studio di fase II su148 pazienti con SMD e del(5q) (59). In questo stu-dio sono stati inclusi tutti i pazienti con SMD a bas-so rischio o con rischio intermedio di tipo 1, conanemia dipendente da trasfusione e con del(5q)come singola anomalia o in associazione con altrealterazioni del cariotipo. Tra questi pazienti il 26%presentava la sindrome 5q-. La lenalidomide è sta-ta somministrata secondo la schedula 10 mg/gior-no per 21 giorni, in cicli di 28 giorni, oppure in modocontinuo. L’indipendenza da trasfusione è stata otte-nuta nel 67% dei pazienti trattati per una duratamedia di 4.4 settimane. Nel 9% dei casi è stataosservata una riduzione >50% nella richiesta di tra-sfusioni. L’incremento medio osservato dell’Hb è di5.3g/l; considerando 85 pazienti per i quali eradisponibile il follow up della citogenetica, il 73% hamostrato una risposta citogenetica con il 61% carat-terizzato da una risposta citogenetica completa(59).Un recente studio multicentrico indica che la lena-lidomide è in grado di svolgere un’azione terapeu-tica anche sui cloni cellulari privi di del(5q) (60).In questo studio sono stati analizzati 214 pazien-ti con SMD a basso rischio o con rischio interme-dio di tipo 1 privi di del(5q). Anche in questo caso

la lenalidomide è stata somministrata ad una dosedi 10 mg al giorno in modo continuo oppure per21 giorni, in cicli di 28 giorni (60). La percentua-le media di risposta osservata è del 43% con unadurata media di 41 settimane, l’indipendenza datrasfusione è stata conseguita nel 26% deipazienti (60). Recentemente Adès et al. hanno riportato i risul-tati di un trial clinico di fase 2 che aveva lo sco-po di verificare l’efficacia terapeutica della lena-lidomide in 47 pazienti affetti da SMD con IPSSint-2 o alto rischio e del(5q) (61). La risposta glo-bale al trattamento terapeutico era pari al 27%(diventava il 41% se si escludevano i casi conAREB-T). La percentuale di risposta risultavaessere molto più bassa di quella riscontrata nel-lo studio MDS 003 (76%) (59), d’altro canto que-st’ultimo trial valutava l’efficacia terapeutica del-la lenalidomide soprattutto nei pazienti a bassorischio. Nello studio di Adès risultava evidente che,come già dimostrato nel trial MDS 003, vi eraun’associazione tra la risposta terapeutica e larisposta citogenetica.A differenza dello studio MDS 003, i dati di Adèsnon documentano una correlazione tra la citope-nia indotta dal trattamento e la risposta; questo dato,discordante nei due studi, probabilmente dipendedal fatto che la neutropenia e la piastrinopenia era-no eventi già molto rappresentati all’esordio dellamalattia nei pazienti inclusi nello studio di Adès.L’assenza di anomalie citogenetiche addizionali alladel(5q) ed il numero di piastrine maggiore di100.000/mm3 risultavano essere fattori predittividella risposta al trattamento con lenalidomide.Pertanto i risultati dello studio di Adès documen-tavano che la lenalidomide mostrava un’efficaciaterapeutica soprattutto nei pazienti con un altonumero di blasti midollari e del(5q) come singolaanomalia cromosomica (61).Il principale effetto collaterale associato all’uso del-la lenalidomide è rappresentato dalla tossicità ema-tologica, con il 60% circa dei pazienti che mostra-no una neutropenia o trombocitopenia di grado IIIo IV; questa circostanza ha richiesto una riduzio-ne del dosaggio nell’84% circa dei pazienti trat-tati. È indispensabile effettuare un attento moni-toraggio dei pazienti soprattutto nei primi tre mesidi trattamento. Altri effetti collaterali sono rappre-sentati da diarrea di grado generalmente lieve

(osservata nel 50% dei casi), prurito (42%), rash(36%) e trombosi venosa profonda (3%) (62, 63).

Meccanismo d’azione della lenalidomideLa lenalidomide è un analogo oralmente attivo del-la talidomide che mostra meno effetti collaterali enon causa neuropatia periferica nell’uomo (64). Èun farmaco con una potente attività immunomo-dulatoria, tuttavia il suo esatto meccanismo di azio-ne non è ancora noto. Mostra un ampio spettro diproprietà biologiche come la soppressione dellaproduzione di citochine proinfiammatorie da par-te dei monociti, lo stimolo dell’attività delle celluleT e NK, l’inibizione dell’angiogenesi. I dati in vitrodimostrano che in presenza di lenalidomide nelmezzo di coltura si osserva l’attivazione delle cel-lule T e NK con aumento della produzione di IL-2e di INF-a. Il meccanismo di azione del farmacoappare molto complesso poichè si osserva attiva-zione dell’apoptosi mediata dalla caspasi-8, dimi-nuizione dei livelli di IL-6, IL-12 e del fattore di necro-si tumorale TNF-a e inibizione della fosforilazionedel fattore Akt (65-67).Per quanto riguarda il trattamento dei pazienti affet-ti da SMD, anche se il meccanismo di azione del-la lenalidomide è ancora poco chiaro, si è vistoche è in grado di inibire la crescita dei progenito-ri eritroidi con del(5q) in vitro e probabilmente ini-bisce anche le cellule emopoietiche in vivo alme-no nei pazienti che conseguono una remissionecitogenetica (34, 59). Gli effetti della lenalidomidesono stati testati su colture cellulari di eritroblastiisolati a partire da pazienti con SMD e del(5)(q31);al fine di identificare i target molecolari della lena-lidomide sono stati valutati gli effetti sulla cresci-ta e maturazione delle cellule e la variazione delprofilo globale di espressione genica (34). La lena-lidomide inibisce la crescita degli eritroblasti condel(5q) in differenziazione ma non provoca alcuneffetto sulle cellule con cariotipo normale; il farma-co, inoltre, influenza significativamente il patterndi espressione genica provocando aumento diespressione di geni induttori dell’apoptosi comeSPARC e l’activina A e una diminuizione di espres-sione di molti geni coinvolti nell’eritropoiesi, comeHBA2 (hemoglobin, alpha 2), GYPA (glycophorinA precursor) e KLF1 (Kruppel-like factor 1, ery-throid) (34).La lenalidomide sembra agire in modo selettivo

32 Seminari di Ematologia Oncologica

33La sindrome 5q-

su diversi tipi di cellule caratterizzate da del(5q);sia gli studi in vitro che la remissione citogeneti-ca nei pazienti con SMD dimostrano un’azione delfarmaco su linfociti B e T o sulle cellule di tipo mie-loide (34, 59, 68). La specificità dell’azione dellalenalidomide sui cloni cellulari caratterizzati dadel(5q) può essere spiegata mediante due pos-sibili meccanismi:1) la lenalidomide inibisce selettivamente la fun-zione di proteine importanti per la sopravvivenzacellulare e codificate da geni localizzati nelle regio-ne deleta sul 5q;2) il trattamento con la lenalidomide stimola l’ove-respressione della copia allelica non deleta di pos-sibili TSG localizzati nella CDR. La prima di que-ste due ipotesi è supportata da un recente studioche ha evidenziato una riduzione del livello diespressione nelle cellule con del(5q) dei geniCDC25C e PP2A, entrambi localizzati nella CDR(28). È stato osservato che nella linea cellulare U937l’attività biochimica di entrambe le fosfatasi codi-ficate da questi geni è inibita dal trattatamento conlenalidomide. L’inibizione mediante RNAi del gene CDC25C nel-la linea U937 determina apoptosi in seguito al trat-tamento con lenalidomide nel 45% delle cellule;la percentuale delle cellule in apoptosi aumentafino al 68% dopo inibizione del gene PP2A. Questidati suggeriscono che l’aploinsufficienza per que-ste due molecole, che agiscono come attivatori delciclo cellulare, conferisce sensibilità all’apoptosiindotta dal trattamento con lenalidomide (28).La seconda ipotesi sul meccanismo d’azione del-la lenalidomide è supportata dall’aumento del-l’espressione del gene oncosoppressore SPARCosservato nei progenitori emopoietici con del(5q)coltivati in vitro in presenza del farmaco (34). Lalenalidomide determina anche l’aumento del livel-lo di espressione del noto oncosoppressoreEGR1 nei casi di linfoma di Burkitt e di mielomacaratterizzati da del(5q) (68). Anche se l’azione della lenalidomide consente disopprimere il clone caratterizzato dalla del(5q) epermette il recupero della normale emopoiesi, unprerequisito perchè questo si realizzi è che ci siaun pool residuo di cellule emopoietiche normali nelmidollo dei pazienti (37, 69) (Figura 3). Medianteanalisi con citogenetica convenzionale o con tec-

niche di Ibridazione In Situ Fluorescente (FISH)si è visto che la del(5q) è generalmente presen-te in cellule staminali emopoietiche pluripotenti(CD34+CD38-) e che tra di esse permane ancheuna certa quota di cellule staminali normali (70,71). L’assenza di un numero sufficiente di cellulestaminali emopoietiche normali potrebbe determi-nare una condizione severa di aplasia midollarein seguito alla soppressione del clone 5q-. Inoltre, un subclone di cellule staminali anomalepreesistente e insensibile all’azione della lenalido-mide potrebbere emergere e determinare un disor-dine ematologico più aggressivo (37) (Figura 3).Quest’ipotesi è supportata dall’osservazione chein alcuni pazienti, in seguito al trattamento con lena-lidomide, si verifica l’insorgenza di alterazioni cro-mosomiche diverse rispetto alla del(5q) (33, 69). Per quanto riguarda l’induzione degli effetti col-laterali (neutropenia e trombocitopenia) neipazienti affetti da SMD e trattati con lenalidomi-de è stato ipotizzato che questa azione sia lega-ta all’attività che il farmaco svolge sulle citochi-ne; questa attività che da una parte favorirebberecupero della produzione di eritrociti, dall’altrapotrebbe inibire la granulocitopoiesi e la mega-cariocitopoiesi (72).

n CONCLUSIONI

Il fenotipo clinico e biologico dei pazienti affetti dasindrome 5q- è probabilmente determinato dal-l’aploinsufficienza di diversi geni localizzati all’in-terno della CDR. L’identificazione e lo studio di que-sti geni sta delineando un modello per la compren-sione della patogenesi della sindrome e potrà dareun importante contributo per lo sviluppo di nuovitest diagnostici. L’ipotesi più probabile è che la per-dita di questi geni agisca in combinazione con alte-razioni del microambiente midollare e del sistemadi sorveglianza immunitario nel favorire l’espan-sione e la sopravvivenza del clone cellulare emo-poietico caratterizzato da del(5q).La lenalidomide ha mostrato una specifica azioneterapeutica nei confronti dei cloni SMD con del(5q).Resta ancora da chiarire se questa sua efficaciapossa essere migliorata, soprattutto nei pazienti adalto rischio, modulando il dosaggio terapeutico ocon l’associazione agli agenti ipometilanti.

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36 Seminari di Ematologia Oncologica

37

n INTRODUZIONE

Le sindromi mielodisplastiche (SMD) sono ungruppo eterogeneo di patologie ematologiche clo-nali che interessano la cellula staminale emopo-ietica e che determinano generalmente citopenienel sangue periferico, pur in presenza di un midol-lo osseo ipercellulato, ma displastico (1). La con-seguenza di tali anomalie è la significativa ridu-zione della sopravvivenza, ma anche della quali-tà di vita, indipendentemente dalla progressioneverso una leucemia mieloide acuta. Attualmentesi riconosce sempre più quanto questa patologiasia di per sè impegnativa.L’approccio medico e l’atteggiamento terapeuticonei confronti dei pazienti affetti da SMD è moltocambiato negli ultimi anni, grazie a farmaci chehanno dimostrato efficacia e che riescono a modi-ficare la storia naturale della malattia, ma anchegrazie ad un notevole miglioramento nella terapiadi supporto.Per tale motivo, attualmente è irrinunciabile effet-tuare una diagnosi completa che guidi le decisio-ni terapeutiche che possono essere, se opportu-

namente applicate, molto efficaci. La stratificazio-ne prognostica secondo l’International PrognosticScoring System (IPSS) rimane un cardine delladiagnostica (2), infatti costituisce un validissimostrumento, applicabile anche nel processo deci-sionale per terapie di recente individuazione. Altri“punteggi” prognostici proposti più recentementevalutano anche la dipendenza trasfusionale comeimportante parametro. Il sistema prognostico denominato WPSS (3) sibasa infatti sulla classificazione OMS delle SMD,sulla citogenetica e sulla necessità di trasfusioniregolari. Tale sistema, benché validato sul registroSMD di Düsseldorf (4) , non è ancora ampiamen-te impiegato. Ugualmente, di recente pubblicazione e molto inte-ressante, ma ancora da validare è il sistema pro-posto dall’MD Anderson (5) e quello proposto daSanz, che inserisce tra i criteri prognostici il livel-lo di ferritina sierica (6). L’intensa ricerca di para-metri prognostici più accurati è indice di quanto l’at-teggiamento verso la patologia mielodisplastica siacambiato, grazie appunto alla disponibilità di tera-pie efficaci. La nozione della ampia disponibilità difarmaci attivi deve ancora consolidarsi nella comu-nità medica ed anche ematologica, ma indubbia-mente stiamo assistendo ad un cambiamento radi-cale nei confronti di questa patologia dell’anziano.Le novità più rilevanti riguardano l’uso dei farma-ci ipometilanti: azacitidina e decitabina (DAC), lena-lidomide e il nuovo chelante orale del ferro: defe-rasirox. Inoltre, è stato chiarito anche che i fattoridi crescita eritroidi inducono un prolungamento del-la sopravvivenza se appropriatamente usati.Benchè l’unica terapia curativa rimanga ancora il

Le terapie Le terapie emergentiemergentiVALERIA SANTINI, ALBERTO BOSIUnità Funzionale di Ematologia, AOU Careggi, Università degli Studi di Firenze Valeria Santini

Indirizzo per la corrispondenza

Valeria SantiniUF Ematologia, AOU CareggiUniversità degli Studi di FirenzeVia delle Oblate, 150141 Firenze, Italye-mail: [email protected]

Parole chiave: mielodisplasia, terapia epigenetica,lenalidomide, ferrochelazione.

38 Seminari di Ematologia Oncologica

trapianto di cellule staminali, peraltro applicabilesolo in pochi pazienti affetti da SMD, ci pare oppor-tuno affrontare in dettaglio le opzioni terapeutichesummenzionate.

n AGENTI IPOMETILANTI

Le alterazioni epigenetiche, forse più delle altera-zioni genetiche, si sono dimostrate determinantinella patogenesi delle sindromi mielodisplastiche.La potenziale reversibilità delle modificazioni epi-genetiche del DNA e della cromatina rendono glienzimi implicati bersagli ideali per la terapia. Lametilazione del DNA (l’aggiunta di un gruppo CH3al carbonio in posizione 5 della citosina posta nel-la sequenza 5'CG3') costituisce la dominante alte-razione epigenetica e determina un segnalerepressivo per la trascrizione del DNA. Questosilenziamento reversibile interviene in molti proces-si fisiologici, ma anche nella fisiopatologia delleneoplasie. Gli agenti ipometilanti 5-azacitidina(AZA) e decitabina (DAC) si sono dimostrati capa-ci in vitro ed in vivo di sbloccare il silenziamentogenico proprio delle SMD (7).Gli inibitori della DNA metiltransferasi (DNMT) AZAe DAC sono analoghi della citidina. Tali farmacipossiedono una struttura simile alla citosina ara-binoside (ara-C) e sono dotati di un azoto in posi-zione 5 dell’anello pirimidinico che ne impedisce

la metilazione. Incorporati nel DNA al posto di resi-dui di citosina, bloccano la DNMT, “intrappolando-la” e consentendo la sintesi di nuovo DNA con cito-sina non metilata e la conseguente trascrizione digeni prima repressi (7). AZA è stata approvata dal-la FDA nel 2004 per il trattamento di tutti i tipi FABdi SMD, nel 2008 da EMEA per le SMD a rischioIPSS INT2/alto. DAC è stata approvata da FDA nel2006. Tre studi randomizzati hanno dimostrato che piùdel 10% dei pazienti affetti da SMD trattati con AZAo DAC ottiene una remissione completa (RC) dura-tura e che il 20% raggiunge risposte parziali (RP)Oltre a remissione completa e remissione parzia-le, il miglioramento ematologico è stato ottenutoin circa il 50% dei pazienti (8-11). Uno studio randomizzato condotto qualche annofa ha confrontato la terapia con AZA alla sola tera-pia di supporto, comunque permettendo il passag-gio tra i due bracci dello studio ed è stato poi ria-nalizzato secondo i criteri International WorkingGroup (IWG) aggiornati (8, 9). Tale studio, purdimostrando per i pazienti trattati con AZA un signi-ficativo ritardo nella trasformazione in leucemiamieloide acuta (LMA), non ha consentito di evi-denziare un vantaggio nella sopravvivenza. Per talemotivo, è stato effettuato uno studio internaziona-le randomizzato (11). Il disegno dello studio pre-vedeva uno screening iniziale e successivamen-te una randomizzazione in due gruppi: il primo

Fenaux, Lancet Oncol 2009

Tempo (mesi) dalla randomizzazione

0 5 10 15 20 25 30 35 40

1.00.90.80.70.60.50.40.30.20.10.0

Prop

orzi

one

sopr

avvi

vent

i

15 mesi24 mesi

50.8%

26.2%

CCRAZA

Log-Rank p=0.0001HR = 0.58 [95% Cl: 0.43, 0.77]Decessi: AZA = 82, CCR = 113

Differenza: 9.4 mesi

FIGURA 1 - Sopravvivenza globale: azaci-tidina confrontata a terapie convenzionali.

39Le terapie emergenti

gruppo è stato trattato con azacitidina 75mg/m2/die per 7 giorni ogni 28 giorni, per un perio-do minimo di 12 mesi (n=179); il secondo grup-po (n=179) ha ricevuto a giudizio del curante unadelle seguenti tre opzioni terapeutiche, conside-rate convenzionali: terapia di supporto ottimale,citosina arabinoside a basse dosi o chemiotera-pia ad alte dosi LMA-like. La mediana della dura-ta del trattamento è stata 11,7 mesi nel gruppoazacitidina e 5,8 nel gruppo terapia convenziona-le. I pazienti trattati con AZA hanno ricevuto unamediana di 9 cicli. La sopravvivenza globale media-na è stata di 24,4 mesi nel gruppo trattato con aza-citidina e di 15 mesi nel gruppo terapia conven-zionale. Dopo 2 anni di trattamento è stata rileva-ta una percentuale di sopravvivenza del 50,8% nelgruppo AZA e del 26,2% nel gruppo in terapia con-venzionale Tale studio ha dunque chiaramentedimostrato che il trattamento con AZA determinaun significativo prolungamento della sopravviven-za, e inoltre che la progressione verso la LMA èritardata (26,1 vs 12,4 mesi; p=0,0039) (11). Ipazienti con SMD trattati con AZA hanno ancheriduzione del fabbisogno trasfusionale (nel 45% siraggiunge la indipendenza trasfusionale), della inci-denza di infezioni gravi (33% di casi in meno) edi eventi che richiedono ospedalizzazione (12). Inparticolare è da sottolineare che i pazienti conSMD esprimenti la monosomia del cromosoma 7,isolata o combinata ad altre anomalie cromoso-miche, si sono dimostrati particolarmente sensi-bili al trattamento con AZA. Infatti, i pazienti trat-tati con l’agente ipometilante confrontati con

quelli trattati con le terapie convenzionali hannoottenuto 18.4 contro 10.3 mesi di sopravvivenzae 8.3 contro 4.2, nel caso in cui presentassero lamonosomia del cromosoma 7 isolata, oppure nel-l’ambito di un cariotipo complesso (13). Inoltre, inquesto particolare sottogruppo, si è ottenuta unasorprendente percentuale (26.7%) di remissionicomplete (13). È chiaro che questo dato è estre-mamente interessante e conferma quanto giàosservato per i pazienti con monosomia del cro-mosoma 7 trattati con DAC (14). Si tratta di un pri-mo passo nella terapia di questi pazienti con SMDa prognosi particolarmente sfavorevole. L’osservazione più interessante e innovativa di talestudio, tuttavia, è quella che ha indicato che in tut-ti i pazienti con SMD ad alto rischio trattati con AZA,il raggiungimento del miglioramento ematologicoè già di per sé sufficiente ad ottenere un prolun-gamento della sopravvivenza (15). Questo dato èconfermato per i pazienti che hanno ottenuto siarisposta parziale, che miglioramento ematologicoe anche stabilizzazione di malattia. Chiaramentequesti dati sono assolutamente discordanti con ildogma, valido nelle LAM, secondo il quale remis-sione completa (RC) è condizione imprescindibi-le per prolungare la sopravvivenza. La terapia con agenti ipometilanti, AZA in partico-lare, determina risposte tardive. Infatti, la probabi-lità di ottenere una risposta è del 50% dopo 4 mesidi trattamento e dell’87% dopo 6 mesi (16). Inoltre,il raggiungimento di una qualsivoglia risposta nonpregiudica un miglioramento della stessa: il 48% deipazienti che hanno proseguito la terapia con AZA

K-MSTempomesiTrattamento

AZA (N=117) 21.1vsBSC (N=105) 11.5 9.6 0.56 0.002

AZA (N=45) 24.5vsLDAC (N=49) 15.3 9.2 0.58 0.075

AZA (N=17) 25.1vsStand Chemo (N=25) 15.7 9.4 0.87 0.75

K-MSTempomesi

Hazardratio

Log-rank P

Differenze FIGURA 2 - Sopravvivenza mediana per terapia.Fenaux et al., 2009 (11).

dopo il raggiungimento di un miglioramento ema-tologico (HI) o di una remissione parziale (PR), han-no ulteriormente migliorato la qualità della risposta.La durata ottimale della terapia con AZA non èancora conosciuta, ma si sono ottenuti dati indub-biamente favorevoli continuando i cicli nei pazien-ti responsivi o stabilizzati. Sembrerebbe infatti evi-dente che AZA abbia un effetto progressivamentecumulativo sul clone mielodisplastico e questo è inaccordo con il presunto meccanismo di azione delfarmaco tramite ipometilazione (16). Per la crucia-le importanza della terapia continuata e del man-tenimento, il curante deve essere a conoscenzadegli effetti collaterali del farmaco per poterli tratta-re e così proseguire la terapia con AZA se ragio-nevolmente tollerata, fino alla eventuale progressio-ne di malattia, al fine di massimizzare il beneficioper il paziente.Un’analisi del sottogruppo di pazienti con età supe-riore a 75 anni, inclusi in questo studio ha indica-to che anche questo gruppo di pazienti partico-larmente fragili ottiene la stessa percentuale dirisposta, senza ulteriori effetti collaterali (17).In tutti gli studi condotti AZA è stata somministra-ta sottocute a una dose di 75 mg/m2/die per 7 gior-ni ogni 28 giorni. Benchè sia stato pubblicato unlavoro in cui si utilizzano schemi e dosi alternati-ve, al momento non esiste evidenza che si pos-sa ottenere lo stesso risultato in termini di soprav-vivenza con schemi terapeutici diversi. In partico-lare, lo studio di Lyons (18), peraltro effettuato incommunity hospitals, dunque non controllato, inclu-deva prevalentemente pazienti con SMD conrischio IPSS basso o INT-1, e ne valutava l’effica-cia solo in termini di riduzione del fabbisogno tra-sfusionale. Pare peraltro imprudente estrapolaretali dati alla popolazione con SMD ad alto rischio,per cui AZA è prescrivibile in Europa. A questo pro-posito, occorre però ricordare che nello studio ori-ginale CALGB (8, 9), erano inclusi pazienti appar-tenenti a tutti i sottotipi FAB, compresi AR e ARSA,dunque assimilabili ai pazienti a basso rischio. Talipazienti mostravano ottima risposta ad AZA.Inoltre, dati recenti ottenuti dall’Avida Registry han-no dimostrato che pazienti che presentano clas-si di rischio basso e INT-1 hanno ottenuto bene-fici clinici dalla somministrazione di AZA (19).Nell’Italian National Patient Named Program, 82pazienti con classe di rischio basso e INT-1 sono

stati trattati con AZA e il 39% di questi hanno otte-nuto una risposta: il 12% ha ottenuto remissionecompleta di malattia e nei pazienti responsivi si èregistrato un prolungamento della sopravvivenza(20). Da questi dati si evince che anche un con-sistente sottogruppo di pazienti appartenenti algruppo di rischio IPSS basso e int-1 potrebberogiovarsi di un trattamento con AZA. Tuttavia, taleuso non è consentito dall’EMEA ed è per ora con-sigliabile che avvenga in studi controllati.DAC è l’altro agente ipometilante approvato nel2006 dalla FDA per il trattamento di tutte le for-me di SMD. Il trattamento con DAC, in uno studiorandomizzato, ha prodotto un significativo vantag-gio in termini di risposte ematologiche in pazien-ti con SMD, ottenendo il 17% di risposte (remis-sione completa e remissione parziale) globali, con9% di risposte complete, rispetto allo 0% dellamigliore terapia di supporto (10).In questo studio, come nei precedenti studi euro-pei di fase II (14), la dose e lo schema sono sta-ti i seguenti: DAC 15 mg/m² in infusione di 4 ore,ogni 8 ore per 3 giorni ogni 6 settimane, per untotale di 135 mg/m2 per ciclo. Lo studio randomiz-zato europeo (21), impostato con lo stesso sche-ma dello studio americano, con però la soprav-vivenza come endpoint principale, non ha dimo-strato un vantaggio per i pazienti arruolati: anzia-ni (>60 anni) e con SMD ad alto rischio IPSS etrattati con DAC. La mancata dimostrazione di unprolungamento della sopravvivenza ha determi-nato la non approvazione da parte di EMEA diquesto farmaco, che pertanto non è prescrivibi-le in Europa. Negli Stati Uniti DAC continua adessere impiegata e lo schema terapeutico è sta-to reso più facilmente applicabile, dopo la dimo-strazione che la somministrazione di 20 mg/m2 algiorno in infusione endovenosa di 1 ora per 5 gior-ni ogni 4 settimane è più efficace dello schemasopra discusso (22). Tale terapia può essere effet-tuata in regime ambulatoriale e di day hospital,è assai ben tollerata, ha determinato una rispo-sta completa nel 39% dei pazienti. Lo studiomonocentrico che ha evidenziato l’efficacia di DACcon dosaggio e schema alternativo è stato con-fermato da uno studio multicentrico che ha indi-cato il raggiungimento di remissione completa,remissione parziale e miglioramento ematologi-co nel 51% di una popolazione anziana (età

40 Seminari di Ematologia Oncologica

41Le terapie emergenti

media 73 anni), con SMD a rischio IPSS INT-1,INT2 ed alto (23). Molto interessante, benché sitratti di uno studio retrospettivo, è quello condot-to su 491 pazienti rivoltisi per cure all’MDAnderson Cancer Center dal 1995-2005 e trat-tati o con DAC oppure con chemioterapia LMA-like (24). Sono stati studiati 2 gruppi di pazienticon SMD ad alto rischio, 115 per DAC + 115 cor-rispondenti per età, citogenetica, rischio IPSS. Èrisultato evidente che il trattamento con agenteipometilante induceva una sopravvivenza signifi-cativamente più lunga della chemioterapia.Questa osservazione sottolinea quanto già com-mentato per la terapia con azacitidina: nelle SMDil raggiungimento della remissione completa nonè garanzia di sopravvivenza prolungata, né ènecessaria per ottenerla (24).

n FATTORI DI CRESCITA STIMOLANTI L’ERITROPOIESI

Da tempo è noto che il trattamento con eritropo-ietina (EPO) è efficace nell’indurre un incremen-to dei livelli di emoglobina e talvolta l’indipenden-za trasfusionale. Tuttavia, ancora oggi, a distan-za di una decina di anni dalle prime pubblicazio-ni sull’argomento, l’eritropoietina ed in generale gliagenti stimolanti l’eritropoiesi (ESA) non vengo-no impiegati nella terapia delle SMD in manieraappropriata e solo recenti osservazioni ne hannochiarito la dose ottimale ed il significato clinico. Suqueste osservazioni recenti e sulle possibili con-seguenti applicazioni cliniche di ESA nelle SMDvale la pena riflettere. Una metanalisi che valuta lavori coinvolgenti qual-che centinaio di pazienti affetti da SMD (25), indi-ca che il trattamento con EPO (a dosi di 40-80.000UI alla settimana) induce una risposta eritroide nel27% dei pazienti trattati, risposta che è significa-tivamente migliore se il trattamento si prolunga peroltre 20 settimane. Un’ulteriore analisi dei lavori piùrecenti ha confermato come fattori predittivi dirisposta (26): livelli inferiori a 500 UI/L di eritropo-ietina endogena prima dell’inizio del trattamentoe il tipo FAB AR e ARSA. Sicuramente è emersocon chiarezza il concetto che i pazienti con SMDcandidati a ricevere EPO devono essere avviatia tale trattamento precocemente e riceverne alte

dosi (27, 28), ovvero idealmente 80.000 U setti-manali in bi-somministrazione. Attualmente dun-que siamo in grado di evitare con tali dosaggi ilricorso alle trasfusioni in un gruppo selezionato dipazienti con SMD a basso rischio IPSS, con bas-si livelli di EPO endogena, AR o ARSA, citoge-netica normale e senza dipendenza trasfusiona-le già instauratasi.Queste osservazioni sono dedotte dai dati otte-nuti in gruppi di pazienti eterogenei, affetti da varitipi di SMD e trattati prevalentemente con EPO alfama anche, soprattutto negli studi francesi, con dar-bepoietina. La darbepoetina alfa presenta struttu-ralmente due catene oligosaccaridiche aggiunti-ve rispetto alla EPO. Questa glicosilazione rallen-ta la clearance del farmaco senza interferire conla sua capacità di legarsi ai recettori. L’emivita risul-ta dunque 2-3 volte superiore a quella della eri-tropoietina (25,3 ore vs. 8,5 ore e.v. e 48,8 ore vs.18-24 s.c.), consentendo una unica somministra-zione settimanale o a settimane alterne (29).Somministrata una volta alla settimana per via e.v.o s.c., la darbepoetina raggiunge uno stato di equi-librio entro 4 settimane e non provoca accumulo. Queste caratteristiche particolarmente interessan-ti per il trattamento domiciliare di pazienti cronici,hanno fatto sì che tale farmaco fosse valutato nel-le SMD dalla European Medicines Agency (EMEA).Due studi di fase II hanno recentemente dimostra-to in pazienti con SMD a basso rischio IPSS chedarbepoietina alfa alla dose di 500 mcg ogni tresettimane induceva il 46% di risposte eritroidi mag-giori. Per i pazienti che avevano già ricevuto untrattamento (peraltro sub-ottimale) con EPO, siotteneva il 26% di risposte. Nella stragrande mag-gioranza dei casi (82% dei pazienti trattati) si sonoraggiunti livelli di emoglobina di 11 g/dl. Altri stu-di hanno confermato l’efficacia di darbepoietina300 mcg alla settimana nei pazienti con SMD abasso rischio. Deve essere ricordato che darbe-poietina non è prescrivibile per i pazienti affetti daSMD (30, 31).Al momento attuale non è possibile affermare chedarbepoietina sia più efficace della rHuEPOalfanell’indurre ripresa dell’eritropoiesi nei pazienti conSMD e per tale motivo sono richiesti studi più ampie approfonditi. Certo è che il dato più interessan-te emerso negli ultimi mesi è che i pazienti conSMD trattati con EPO hanno riportato una soprav-

vivenza più lunga dei pazienti trasfusi (32, 33).Questi dati fugano i dubbi sollevati sulla sicurez-za dell’uso degli ESA in malattie neoplastichecome le SMD, insorti a seguito delle osservazio-ni compiute nei tumori solidi, soprattutto nel tumo-re mammario, dove la stimolazione con EPO por-ta addirittura ad una diminuzione della sopravvi-venza. Non solo, ma anche il timore che si incre-mentino gli eventi trombotici sembra non esserefondato per le SMD, sempre che EPO vengaimpiegata come farmaco singolo e non in asso-ciazione con talidomide, lenalidomide o altriagenti che possono incrementare la tendenzatrombofilica dei pazienti.

n LENALIDOMIDE

Lenalidomide è un farmaco orale, analogo di tali-domide. Si tratta di un derivato sintetico dell’aci-do glutamico. Benchè le basi molecolari e biolo-giche della sua attività antineoplastica e immuno-modulante non siano chiarite, lenalidomide inibi-sce la secrezione di citochine proinfiammatorie,induce la proliferazione delle cellule T e la produ-zione di IL-2 e INFg, ed aumenta l’attivazione del-le cellule NK; riesce inoltre ad indurre l’espressio-ne dell’emoglobina fetale attraverso la differenzia-zione delle cellule staminali eritroidi CD34+. Lenalidomide conserva anche l’attività anti-neo-angiogenetica di talidomide. Lenalidomide èstata approvata da FDA per il trattamento delleSMD a basso rischio IPSS, che presentino dele-zione del braccio lungo del cromosoma 5 ed ane-

mia sintomatica trasfusione-dipendente. Daormai qualche anno sappiamo che questo farma-co ha una stupefacente attività selettiva in vitroe clinica sul clone mielodisplastico che porta ladelezione 5q. Infatti , lo studio preliminare di faseII (SMD-001) (34) condotto con lenalidomide sudi una popolazione non selezionata di pazienticon anemia trasfusione-dipendente o sintomati-ca associata a SMD e categoria IPSS prevalen-temente di rischio basso e intermedio-1 (88% deipazienti), refrattaria al trattamento con eritropo-ietina umana ricombinante, ha mostrato che laquasi totalità dei pazienti (10 su 12) che presen-tava la delezione 5q raggiungeva l’indipenden-za trasfusionale e mostrava una risposta citoge-netica completa o parziale, rispetto al 50% cir-ca dei pazienti (14 su 31) appartenenti al sotto-gruppo con altre anomalie cariotipiche, dei qua-li solo una minima parte presentava una remis-sione citogenetica completa.Sulla base di questo studio iniziale, è stato con-dotto uno studio multicentrico internazionale(SMD-003) (35) per stabilire la frequenza dellarisposta eritroide e citogenetica alla terapia conlenalidomide in pazienti con anemia refrattaria tra-sfusione-dipendente associata a SMD e delezio-ne del cromosoma 5q. Dei 148 pazienti che han-no ricevuto lenalidomide, 112 (76%) hanno rispo-sto al trattamento: di questi 99 (67%) hanno rag-giunto l’indipendenza trasfusionale entro la ven-tiquattresima settimana di studio ed i restanti 13hanno avuto una riduzione superiore al 50% nelnumero di trasfusioni richieste. L’efficacia dei dueregimi di trattamento non è risultata significativa-

42 Seminari di Ematologia Oncologica

Sopravvivenza

Mesi

0123

4567

891

0 80 100 150 200

HR 0.61P 0.002

Prob

abilit

à di

sop

ravv

iven

za Progressione in LMA*

Mesi

01

234

56

789

1

0 80 100 150 200

HR 0.89P 0.066

Prob

abilit

à di

sop

ravv

iven

za

*Analisi multivariata secondo Cox

Non trattatiEPO e G-CSF

FIGURA 3 - Sopravvivenza inpazienti con SMD trattati e nontrattati con EPO + G-CSF.Jädersten et al., 2008 (33).

43Le terapie emergenti

mente diversa. La risposta è stata molto rapida,con un tempo mediano alla indipendenza da tra-sfusioni di 4,6 settimane ed un picco nella con-centrazione di emoglobina di 13,4 g/dL, corrispon-dente ad un incremento mediano rispetto al perio-do pretrattamento di 5,4 g/dL. Ad un follow upmediano di circa 2 anni, 53 dei pazienti che ave-vano ottenuto una risposta completa restano tra-sfusione-indipendenti e la durata mediana dellarisposta non è ancora stata raggiunta; è comun-que risultata di durata superiore ad un anno per61 dei 99 pazienti con un’iniziale risposta com-pleta. Un follow-up successivo sui pazienti dellostudio ha confermato una durata mediana dellarisposta ematologica di quasi 116 settimane peri 99 pazienti che avevano ottenuto una rispostaematologica completa e l’indipendenza trasfusio-nale (35) (Figura 4). La cosa interessante è chelenalidomide, a differenza dei farmaci ipometilan-ti, induce specificamente la scomparsa del clone5q e dunque la sua efficacia clinica è spessosegnata da effetti mielosoppressivi che richiedo-no una attenta gestione (36). La neutropenia e latrombocitopenia di grado 3 e 4 sono rispettivamen-te riscontrate nel 54.7% e 43.9% dei pazienti.Un’analisi retrospettiva dei dati dello studio SMD-003 ha stabilito l’esistenza di un’associazione sta-tisticamente significativa tra l’incidenza di una ini-

ziale neutropenia e trombocitopenia ed il succes-sivo ottenimento della risposta ematologica com-pleta e indipendenza trasfusionale nei pazienti trat-tati con lenalidomide, suggerendo quindi che lamielosoppressione che si manifesta nelle prime8 settimane di trattamento sia proprio la conse-guenza di un effetto rapido e diretto del farmacosulla citoriduzione del clone displastico 5q-.L’analisi multivariata ha confermato che una ridu-zione superiore al 75% nella conta dei neutrofilie al 50% nella conta delle piastrine si correla signi-ficativamente con l’ottenimento della indipenden-za trasfusionale. Sono pubblicate precise raccomandazioni pratichesulla gestione ottimale del paziente con del 5q intrattamento con lenalidomide, volte ad ottenere ilmassimo beneficio clinico minimizzando il rischiodi eventi avversi di natura ematologica. Inoltre, inparticolare, il dosaggio del farmaco deve esserediminuito in presenza di insufficienza renale (37).Il dosaggio ottimale di lenalidomide per le SMDcon 5q- è stato stabilito essere 10mg/die per 21giorni a cicli di 28 giorni. Dosaggi superiori han-no dimostrato eccessiva tossicità, mentre dosag-gi inferiori sembrano essere meno efficaci, ma siattendono i risultati dello studio randomizzato conlenalidomide 10 mg/die confrontato a placebooppure a 5 mg/die.

Months

Data and 95% confidence intervals are provided when n ≥5.Hgb values ≤30 days following transfusion were excluded, unless the value wereon or within 3 days preceding a transfusion date.

0 2 4 6 8 10 12 14 16 18 20 22 24

14

12

10

8

6

Hb

(g/d

L)

N = 120Responders (N = 81)Non-responders (N = 39)

FIGURA 4 - Livelli di emoglobina duran-te il trattamento con lenalidomide inpazienti re sponsivi ed in pazienti nonresponsivi. Modificato da List. (34).

Mentre pochi sono i dubbi sull’efficacia di lenali-domide nelle SMD che presentano delezione delbraccio lungo del cromosoma 5, isolata o in asso-ciazione ad altre anomalie, molti invece sono quel-li che riguardano la sua sicurezza. Negli ultimi mesiinfatti, si è accesa una discussione sull’opportu-nità dell’impiego di questo farmaco e sulla valu-tazione rischio-beneficio. Difatti, durante gli studisummenzionati sono stati riscontrati, prevalente-mente in un Centro, una serie di casi di SMD 5q-a basso rischio che sono evoluti in leucemia mie-loide acuta, con una frequenza ritenuta superio-re alla norma (38, 39). Tale preoccupazione ha por-tato EMEA a procrastinare l’approvazione del far-maco in Europa. Sono in corso studi confermato-ri, anche se un riesame dei dati ha dimostrato chela frequenza di trasformazione era inferiore a quel-la rilevata in altri studi su SMD a basso rischio nontrattate. Comunque, questo dato mette in guardiadall’uso indiscriminato del farmaco e fa riconside-rare anche l’opportunità di perseguire comunquel’eradicazione del clone mielodisplastico.L’efficacia di lenalidomide in SMD a basso rischiosenza del 5q, oppure in SMD ad alto rischio è sta-ta osservata in piccoli numeri di pazienti e sonoattualmente in corso studi più ampi per delucida-re questo aspetto.

n FATTORI DI CRESCITA STIMOLANTI LA MEGACARIOCITOPOIESI

Benchè il segno dominante delle SMD sia l’anemia,il 30-50% dei pazienti affetti da SMD presenta pia-strinopenia, causa di eventi emorragici soprattuttoperché spesso accompagnata da piastrinopatia.Come citopenia isolata, è nel 5-10% dei casi il mar-catore d’esordio della patologia displastica. Nellanuova classificazione OMS delle SMD, viene rico-nosciuta anche una entità nosologica a parte, carat-terizzata dalla sola piastrinopenia: citopenia refrat-taria con displasia unilineare, in specifico, trombo-citopenia refrattaria (RT) (1, 40). Diversi meccanismi sembrano essere implicati nel-l’insorgenza di piastrinopenia nei pazienti affetti daSMD: aumento dei meccanismi di apoptosi,distruzione piastrinica immunomediata, fibrosimidollare, displasia megacariocitaria. Nonostante

che la maggior parte dei pazienti con SMD pre-senti questi valori endogeni di trombopoietina(TPO) elevati, è stato ipotizzato che l’utilizzo cli-nico di un fattore di crescita trombopoieticopotesse influire sulla specifica citopenia periferi-ca. I cosiddetti fattori trombopoietici sono una nuo-va classe terapeutica di agenti strutturalmentedistinti da TPO ma capaci di legare e di attivareil recettore specifico per TPO. Si tratta di agenticostituiti da proteine ricombinanti ottenute da “fusio-ne peptidica” (peptibodies), oppure di piccole mole-cole non peptidiche, o ancora di anticorpi agoni-sti del recettore di TPO (41). In passato sono sta-ti fatti tentativi per trattare SMD con piastrinope-nia grave con fattori trombopoietici, quali IL-11,senza grande successo (42). Al momento attua-le, negli Stati Uniti due fattori trombopoietici sonostati approvati per il trattamento della piastrinope-nia autoimmune: eltrombopag, agente orale e romi-plostim, agente a somministrazione sottocutanea.Solo il secondo farmaco, tuttavia, è stato impie-gato nelle SMD, come unico agente o in associa-zione ad agenti ipometilanti.In uno studio di fase I/II con romiplostim sono sta-ti arruolati 44 pazienti affetti da SMD appartenen-ti al gruppo di rischio IPSS basso/INT-1 con con-ta piastrinica <50x109/L e che non ricevevano altrotrattamento che quello di supporto (43). Il fattoretrombopoietico era somministrato per via sottocu-tanea con uno schema che prevedeva l’incremen-to settimanale della dose (300, 700, 1000 e 1500mcg). Il 41% dei pazienti hanno ottenuto una rispo-sta (valutata secondo i criteri di risposta IWG 006)con una durata media di 22.8+/-13.3 settimane.In sei pazienti trattati con dosi di 1000 mcg si ètuttavia osservato un aumento di blasti midollari,risoltosi con la sospensione del farmaco. In trepazienti sono insorti eventi avversi gravi, qualiosteonecrosi, febbre neutropenica e trombocito-penia (43). Tre pazienti hanno dovuto interrompe-re lo studio a causa rispettivamente di trasforma-zione leucemica, diarrea e sclerite. Lo studio conclude che romiplastim è relativamen-te ben tollerato e utile nei pazienti affetti da SMDa rischio basso e INT-1 che presentano trombo-citopenia e storia di emorragia. Dunque, questofarmaco è attivo, ma sono richiesti studi più ampiper verificare il potenziale incremento dei casi diprogressione della malattia verso una leucemia

44 Seminari di Ematologia Oncologica

45Le terapie emergenti

mieloide acuta. Più recente è lo studio di fase IIrandomizzato che ha valutato l’attività di romiplo-stim (500 µg o 750 µg settimanali sc) sulla pia-strinopenia di 40 pazienti affetti da SMD a rischiobasso/INT-1, ma in trattamento con AZA (44). L’incidenza di piastrinopenia (<50 x 109/L) era85%, 62% e 71% rispettivamente per i pazientiche ricevevano placebo, romiplostim 500 µge 750µg. Anche l’incidenza di trasfusioni piastrinicheera del 69% per il gruppo placebo, in confrontoal 46% e 36% dei pazienti trattati con romiplo-stim 500 µg and 750 µg (44).Evidentemente, romiplostim, ma probabilmenteanche eltrombopag (che non è ancora stato valu-tato nelle SMD) (45), essendo due agenti mol-to attivi nello stimolare la megacariocitopoiesi,possono rivelarsi farmaci cruciali nella gestionedei pazienti con SMD, anche durante terapia conagenti ipometilanti. Nell’attesa di conoscere irisultati del lo studio internazionale in atto conromiplostim nelle SMD, è auspicabile che si pro-grammino studi randomizzati di fase III conentrambi i farmaci nei pazienti con le varie clas-si di rischio IPSS.

n TERAPIA FERROCHELANTE

Durante il decorso della malattia, i pazienti affet-ti da SMD sono per la maggior parte costretti aricorrere a emotrasfusioni a causa dell’anemia sin-tomatica e grave che si sviluppa. Per questo moti-vo, il paziente mielodisplastico è a rischio di svi-luppare accumulo di ferro a livello d’organo. Il danno d’organo legato al sovraccarico marzia-le non dipende soltanto dall’entità del sovraccari-co, ma anche dalla velocità di accumulo del fer-ro e dalla durata del sovraccarico stesso. Proprioper evitare, in analogia ad altre patologie cronichetrasfusione dipendenti, l’emocromatosi seconda-ria e lo sviluppo di tossicità d’organo, si imponela terapia ferrochelante (46).L’emocromatosi secondaria inizia a diventaremanifesta quando il ferro corporeo raggiunge leconcentrazioni di 100-200 mg/kg, cioè circa 7-14g in tutto l’organismo. Considerando che un regi-me trasfusionale cronico comporta l’assunzionedi 4-8 g di ferro nell’arco di un anno, i disagi e ilcosto della terapia sono giustificati solo se l’aspet-

tativa di vita del paziente è sufficientemente lun-ga, ovvero di almeno 12 mesi, tanto da poter pre-vedere che il sovraccarico di ferro avrà conseguen-ze cliniche rilevanti (46). Questo punto è all’origi-ne di un dibattito molto ampio ed è fonte di dis-sensi nell’ambiente ematologico internazionale.Difatti, alcuni autorevoli ematologi ritengono chela prognosi delle SMD non sia influenzata dal dan-no d’organo secondario all’accumulo di ferro perle trasfusioni e che le comorbidità e le complican-ze di tali patologie siano tali da rendere superfluala terapia ferrochelante. D’altra parte, il gruppo diPavia ha dimostrato che i pazienti trasfusi hannouna attesa di vita minore dei non trasfusi e che lapiù frequente causa di decesso è correlata a com-plicanze cardiache, verosimilmente non solodirettamente connesse all’anemia, ma anche aldeposito di ferro nel miocardio (47).Oltre al danno d’organo da deposito eccessivo diferro, inoltre, la terapia ferrochelante si proponeanche di detossificare il ferro labile, che si presen-ta nella sua forma extracellulare come ferro nonlegato alla transferrina (Non-Transferrin-BoundIron, NTBI) e nella sua forma intracellulare comeLabile Iron Pool (LIP). Questi aspetti di tossicitàdel ferro (produzione di ROS, alterazione di NF-kB) sono probabilmente ancora più dannosi perl’emopoiesi e nel determinare le complicanze cli-niche in corso di SMD. La terapia ferrochelante ideale dovrebbe mostra-re elevata capacità di controllo del ferro corporeo(alta specificità e affinità per lo ione Fe3+ e altaefficacia chelante), elevata efficienza nel ridurreal minimo la tossicità del ferro (attività mantenu-ta nelle 24 ore, lenta metabolizzazione ed elimi-nazione, buona capacità di penetrazione tissuta-le e di formazione di complessi stabili con il metal-lo), accettabilità del profilo di efficacia-tossicità(relazione dose-efficacia-tossicità chiara e preve-dibile, assenza di ridistribuzione del ferro), sem-plicità di monitoraggio e buona accettabilità da par-te del paziente (elevata biodisponibilità per via ora-le e possibilità di mono-somministrazione giorna-liera). Alcune di queste caratteristiche sono pro-prie di chelanti quali deferoxamina, che tuttavia èstata utilizzata in maniera sporadica nel trattamen-to delle SMD. Infatti, la somministrazione sottocu-te con pompa che doveva agire per l’intera notta-ta ne rendeva l’applicabilità ridotta sia per proble-

mi di compliance dei pazienti, perlopiù anziani chemal gestivano e mal tolleravano la via di sommi-nistrazione, sia per problemi legati a fenomeniemorragici locali a causa della frequente grave pia-strinopenia/patia tipica della SMD. Non ci sonodunque studi con numero di pazienti con SMD suf-ficienti a poter far concludere sulla efficacia edimportanza della ferro chelazione nella storia cli-nica delle SMD. Solo recentemente, sono appar-si due studi, di cui uno piuttosto convincente, dacui era chiaro che un adeguato trattamento di fer-rochelazione garantisce un prolungamento dellasopravvivenza, e questo indipendentemente daltipo di agente ferrochelante impiegato (48, 49).Peraltro, novità assai interessante soprattutto peri pazienti anziani con SMD, è la disponibilità di unnuovo chelante orale. Deferasirox è l’ultimo dei far-maci ferrochelanti disponibile in commercio. Il van-taggio rispetto agli altri prodotti consiste appun-to nella modalità di assunzione orale, nell’emivi-ta che consente la mono-somministrazione gior-naliera e nei pochi e reversibili effetti collaterali cau-sati. L’efficacia di questo farmaco è stata esami-nata in prima istanza in 7 studi prospettici regi-strativi internazionali che hanno coinvolto più di1000 pazienti trasfusione-dipendenti, affetti pre-valentemente da talassemia e seguiti per diversianni (50). Tali studi hanno dimostrato che nei sog-getti beta-talassemici deferasirox, ai dosaggi di 20mg/kg/die e 30 mg/kg/die, è capace di indurre una

riduzione dei livelli di ferritina. Lo studio EPIC, stu-dio multicentrico che include pazienti trasfusionedipendenti per diverse cause, indica la capacitàdel farmaco di ridurre significativamente i livelli diferritina sierica dopo un anno di terapia (50). Studiche includono solo pazienti affetti da SMD dimo-strano sia l’efficacia del farmaco nel ridurre i livel-li di ferritina sierica che i livelli di ferro epatico anchein questa patologia. Inoltre parte dei pazienti conSMD hanno ottenuto una risposta eritroide inseguito a terapia ferrochelante efficace (51). Neipazienti trattati con deferasirox, a fronte di effetticollaterali scarsissimi e perlopiù legati a ridotta tol-lerabilità gastrointestinale,come più sopra accen-nato, si assiste ad un aumento delle concentra-zioni sieriche di creatinina. Negli studi registrativi del farmaco, il 36% deipazienti aveva mostrato un incremento della crea-tinina, generalmente lieve, non progressivo, dose-dipendente, e transitorio. Studi successivi hannochiarito che la diminuzione di clearance della crea-tinina, ancorchè limitata, si mantiene ad un pla-teau durante la terapia, senza progressivo peg-gioramento. EMEA stabilisce che il farmaco è indi-cato per il trattamento del sovraccarico cronico diferro dovuto a frequenti emotrasfusioni (≥7ml/kg/mese di globuli rossi concentrati) in pazien-ti con beta-talassemia major di età ≥6 anni; oppu-re per il sovraccarico cronico di ferro dovuto aemotrasfusioni, in corso di altre anemie croniche,

46 Seminari di Ematologia Oncologica

1.00

0.75

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Tempo dalla diagnosi al decesso (mesi)

Rose et al., 2007

Fun

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lla s

opra

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enza

Terapia di chelazione

Nessuna terapia di chelazione

Sopravvivenza mediana: 63 mesi(tutto il gruppo) 115 contro 51 mesi(pz0.0001)

FIGURA 5 - Sopravvivenza in 170 pazienticonsecutivi con SMD chelati o non chelati.

47Le terapie emergenti

quando la terapia con deferoxamina sia controin-dicata o inadeguata. Ovviamente questa indica-zione comprende praticamente tutti i pazienti conSMD a basso rischio, trasfusione dipendenti e incui l’ attesa di vita sia superiore ad un anno. Negliultimi mesi sono state prodotte molte linee guidae consensus conferences a riguardo della tera-pia (52-54). Generalmente, tuttavia, si concordanell’indicare i pazienti con SMD candidati al trat-tamento come quelli in terapia trasfusionale cro-nica, con una storia di almeno 20-25 trasfusionidi globuli rossi concentrati e/o una ferritinemia≥1000 ng/ml. Al momento attuale, tuttavia, ladisponibilità di farmaci quali l’azacitidina, capacidi modificare la storia clinica delle SMD e prolun-garne significativamente la sopravvivenza, faintravvedere la possibile applicazione della tera-pia ferrochelante anche per pazienti con unamalattia a rischio IPSS più elevato, ma risponden-ti alla terapia instaurata. Inoltre, è fondamentaleche tutti i pazienti con SMD, indipendentementedal rischio IPSS, candidati al trapianto allogeni-co di cellule staminali siano efficacemente ferrochelati, dato che è stato dimostrato da più auto-ri come il livello di ferritina correli direttamente conl’esito della procedura trapiantologica in termini disopravvivenza ed eventi avversi (55).Il gruppo italiano GIMEMA, infine, ha promossouno studio prospettico di fase IIIb, multicentrico,in aperto, a braccio singolo, che prevede un perio-do di trattamento e follow-up della durata di 12mesi. I pazienti arruolati, con SMD a rischio IPSSbasso/INT-1 vengono trattati con dosi di 10-30mg/kg/die per un anno. L’obiettivo dello studio,ancora in corso, chiarirà definitivamente la tolle-rabilità del trattamento, ma anche l’impatto sullaqualità di vita del paziente, aspetto non seconda-rio, e ovviamente l’efficacia della ferro chelazione.

n CONCLUSIONI

La diagnostica e la terapia delle SMD hanno attra-versato un periodo recentissimo di importanticambiamenti che potremmo definire rivoluzionari dalpunto di vista culturale. Una patologia grave e con-siderata incurabile fino a pochi anni fa è divenutauna patologia cronica, appannaggio di pazienti già,in quanto anziani, affetti da altre comorbidità. Non

solo i risultati clinici positivi in termini di sopravvi-venza e miglioramento ematologico, ma anche diqualità di vita fanno sì che gli ematologi, ma anchele aziende farmaceutiche moltiplichino gli sforzi perottenere ulteriori miglioramenti nella terapia. I far-maci discussi più sopra hanno sicuramente un avve-nire, ma è assai probabile che verranno impiegatiin combinazione e/o affiancati da altre molecole, svi-luppate con il preciso obiettivo delle SMD.Ovviamente, tante prospettive terapeutiche e la cro-nicizzazione delle SMD, modificano lo scenario esollevano problemi, etici, di costo dei farmaci e diassistenza domiciliare che, vista l’incidenza di que-sta patologia e l’invecchiamento della popolazioneoccidentale, ci troveremo a dover affrontare nel pros-simo futuro in maniera costruttiva.

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plicanze infettive ed emorragiche e caratterizza-te da una sopravvivenza breve (per questevarianti si utilizza il termine generico di SMD adalto rischio); una percentuale elevata di pazien-ti con SMD ad alto rischio evolve in leucemia acu-ta. L’evoluzione in leucemia acuta non è un even-to esclusivo delle forme ad alto rischio, ma si puòriscontrare anche nel 5-10% dei pazienti conSMD a basso rischio.L’età mediana dei pazienti affetti da SMD si ponefra la sesta e la settima decade di vita. Da studipubblicati in questi ultimi anni risulta che l’inciden-za delle SMD varia in funzione dell’età.È stato calcolato che l’incidenza sulla popolazio-ne generale è di 3-4 nuovi casi anno ogni 100.000abitanti ma si presume che questi dati siano sot-tostimati (2, 3). L’incidenza aumenta nelle fasce dietà più avanzata (=>70 anni), fino a 15-30 nuovicasi/anno ogni 100.000 abitanti. Questi dati sug-geriscono che le SMD sono più frequenti delle leu-cemie acute e delle sindromi mieloproliferative cro-niche con un’ incidenza che è molto vicina a quel-la del mieloma multiplo e della leucemia linfaticacronica. Nell’ultimo quarto di secolo sono stati fatti numero-si tentativi di classificazione prognostica. Nel 1997,l’IPSS (International Prognostic Scoring System) epiù recentemente lo score WPSS (WHO BasedPrognostic Score System) hanno permesso di defi-nire meglio la prognosi. L’IPSS, prende in conside-razione il grado di citopenia, il numero di blasti nelmidollo, la presenza di alterazioni citogenetiche, esulla base di queste variabili permette di individua-

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Il trapianto Il trapianto di cellule staminali di cellule staminali emopoieticheemopoieticheEMILIO PAOLO ALESSANDRINOUnità di Trapianto, Clinica Ematologica, Fondazione IRCCS Policlinico San Matteo, Pavia

Emilio P. Alessandrino

Indirizzo per la corrispondenza

Dr Emilio Paolo AlessandrinoUnità di TrapiantoClinica EmatologicaFondazione IRCCS Policlinico San MatteoViale Golgi, 1927100 Paviae-mail: [email protected]

Parole chiave: sindromi mielodisplastiche, trapiantoallogenico.

52 Seminari di Ematologia Oncologica

re 4 varianti di rischio definite come varianti a bas-so rischio (low risk) a rischio intermedio 1 e 2(Intermediate 1 e Intermediate 2) ed ad alto rischio(high risk). La sopravvivenza mediana è rispettiva-mente di 5.7 , 3.5, 1.7 e 0.4 anni (4).Sebbene l’IPSS venga oggi universalmente utiliz-zato come sistema di riferimento per l’identifica-zione dei pazienti a cattiva prognosi da avviare atrapianto, esso presenta alcune limitazioni dellequali bisogna tener conto: lo studio su cui è sta-to a suo tempo costruito lo score, si riferisce aduna casistica di 816 pazienti affetti da SMD clas-sificati secondo la French American BritishClassification (FAB) che includevano pertanto leanemie refrattarie con eccesso di blasti in trasfor-mazione (AREBt), oggi considerate a tutti gli effet-ti leucemie acute e come tali trattate; la casisticautilizzata da Greenberg per la formulazionedell’IPSS esclude inoltre le varianti di SMDsecondarie ad esposizione ad agenti tossici chehanno generalmente un andamento più aggres-sivo. Più recentemente è stato proposto dal gruppo diPavia uno score costruito su una casistica mono-centrica di SMD definite secondo i criteri propo-sti dalla World Health Organization (WHO). Lo sco-re è stato formulato combinando il dato citogene-tico e la dipendenza trasfusionale. Questo score permette una definizione prognosti-ca più accurata soprattutto per le varianti a bas-

so rischio all’interno delle quali si può individua-re un cluster di pazienti a prognosi favorevole(variante very low risk) ed una variante a bassorischio (variante low risk) all’ interno della qualesi possono enucleare pazienti a prognosi più sfa-vorevole, meritevoli di procedure aggressive (5).Il cardine della terapia è ancora oggi rappresen-tato dalla terapia di supporto e sebbene l’uso difarmaci demetilanti si sia dimostrato efficace nelmigliorare la sopravvivenza dei pazienti affetti daSMD (6), il trapianto allogenico, proposto agli ini-zi degli anni ’80 nei pazienti giovani con SMD infase avanzata, si configura ancora oggi come l’uni-ca terapia in grado di modificare in maniera sostan-ziale la storia naturale della malattia. In una serie di pazienti trapiantati presso ilnostro Centro dal 1988 al 2006, si può osser-vare che il plateau della curva di sopravviven-za si stabilizza al quinto anno dal trapianto dise-gnando una probabilità attuariale del 42% a 15anni (Figura 1). Nei pazienti giovani, trattati precocemente, vieneriportata una probabilità di sopravvivenza libera damalattia del 62% a 3 anni (7).L’introduzione del trapianto a condizionamentoridotto così come la definizione di nuovi fattori dirischio quali il fabbisogno trasfusionale (8), ilsovraccarico marziale (9), la fibrosi (10), hannomodificato i criteri di eleggibilità al trapianto ed han-no aperto nuove problematiche.

SMD sottoposte a trapiantoallogenico di cellule staminali emopoietiche

0 1000 2000 3000 4000 5000

1009080706050403020100

Giorni

Sopr

avviv

enza

(%)

FIGURA 1 - Curva di sopravvivenza relativa a58 pazienti adulti affetti da sindrome mielodi-splastica sottoposti a trapianto presso l’Unità ditrapianto della Clinica Ematologica, FondazioneIRCCS Policlinico San Matteo, Pavia.

53Il trapianto di cellule staminali emopoietiche

n INDICAZIONE E TIMING

Non esistono studi comparativi prospettici volti adimostrare la superiorità dal trapianto rispetto aqualsiasi altro tipo di trattamento. Uno studio casocontrollo confronta due gruppi di pazienti con SMDad alto rischio, trattati con chemioterapia e trapian-to. Con questo studio si dimostra la superiorità deltrapianto anche se limitatamente ad un gruppo dipazienti ad alto rischio, con malattia avanzata (11).È convinzione comune che il trapianto rappresen-ti l’unica possibilità di guarigione per questa malat-tia considerata irrimediabilmente fatale. Tutti ipazienti affetti da SMD sono potenzialmente can-didati al trapianto, tuttavia, il decorso relativamen-te cronico di alcune varianti di mielodisplasia, l’etàavanzata dei pazienti, la presenza di comorbilità,il rischio legato alla procedura rendono, in alcunicasi, quanto mai tormentata la decisione di ese-guire il trapianto. Le perplessità sono giustificatedalla elevata mortalità da trapianto e dall’elevatorischio di recidiva (Tabella 1).Se un paziente è giovane ed è affetto da SMD adalto rischio, la decisione di eseguire il trapianto pre-cocemente è generalmente accolta senza perples-

sità, mentre nei pazienti con SMD a basso rischio,la decisione di eseguire il trapianto è perlomenocontroversa (7).Due studi pubblicati in periodi diversi mettono afuoco il problema del timing del trapianto dandosuggerimenti discordanti. Un’analisi eseguita daRunde su 131 pazienti affetti da SMD o leucemiaacuta evoluta da SMD (LA-SMD) dimostra che iltrapianto eseguito precocemente si correla conuna migliore sopravvivenza e con una mortalitàda trapianto più contenuta; questo studio si riferi-sce ad una popolazione eterogenea di pazienti sot-toposti a trapianto a condizionamento mieloabla-tivo, classificati secondo la classificazione FAB; Il35% dei pazienti era affetto da anemia refrattaria(AR) o anemia refrattaria con sideroblasti ad anel-lo (ARSA), il 21% da AREBt, il 14% da LA-SMD(13).Nel 2004 Cuttler (14) presenta i risultati di una ana-lisi decisionale fatta su 260 pazienti sottoposti a tra-pianto i quali erano stati confrontati con una seriedi 184 pazienti trattati con sola terapia di suppor-to. I pazienti sottoposti a trapianto erano più gio-vani e generalmente con malattia in fase più avan-zata; il follow-up mediano era di 11,4 mesi per la

TABELLA 1 - Risultati ottenuti con il trapianto allogenico di cellule staminali emopoietiche dopo condizionamento mieloablativo.

Autori N° casi Diagnosi SLM Recidiva Mortalità(3 o 5 anni)

Runde et al. (13) 131 AR/ARSA 52% 13% 40%AREB 34% 44% 38%AREBt 19% 52% 60%LA-SMD 26% 50% 48%

De Witte et al. (17) 885 AR/ARSA 55% 13% 37%Rem. Compl. 44% 30% 37%Non responsivi 32% 42% 45%

Sierra et al. (28) 452 SMD 40% 23% 32%

Deeg et al. (25) 109 AR/ARSA 68-70% 5% 29%AREB 45-50% 33-38%AREBt/LA-SMD

Alessandrino et al. (15) 235 AR 80% 9% 14%CRDM 57% 22% 39%AREB1 51% 24% 38%AREB2 28% 56% 34%

SLM: sopravvivenza libera da malattia; SMD: sindrome mielodisplastica; AR: anemia refrattaria; ARSA: anemia refrattaria con sideroblasti ad anello; AREB:anemia refrattaria con eccesso di blasti; AREBt: anemia refrattaria con eccesso di blasti in trasformazione; AREB1: anemia refrattaria con eccesso di blasti ditipo 1; AREB 2: anemia refrattaria con eccesso di blasti di tipo 2; CRDM: citopenia refrattaria con displasia multilineare; Rem. Compl.: remissione completa.

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popolazione sottoposta a trapianto e di 34 mesi perla popolazione che aveva fatto solo terapia di sup-porto. Questo studio confermò che nei pazienti gio-vani, con un performance status soddisfacente,affetti da SMD ad alto rischio, è corretto procede-re immediatamente al trapianto, mentre nei pazien-ti a basso rischio non c’è vantaggio ad eseguire iltrapianto precocemente. Va detto che lo studio diCuttler, a cui in genere i trapiantologi fanno oggiriferimento, mostra alcune limitazioni che rendonodiscutibile la sua applicabilità: si tratta di uno stu-dio retrospettivo che considera solo pazienti sot-toposti a trapianto mieloablativo da donatore con-sanguineo, trascurando il trapianto da non consan-guineo ed il trapianto a condizionamento ridotto.L’introduzione nella pratica clinica del trapianto acondizionamento ridotto così come la definizionedi nuovi fattori di rischio quali il sovraccarico mar-ziale e la fibrosi, hanno modificato i criteri di eleg-gibilità al trapianto ed hanno aperto nuove proble-matiche.

n LA CHEMIOTERAPIA CITORIDUTTIVA PRE-TRAPIANTO

Nei pazienti con SMD, l’incidenza di recidiva variadal 9 al 56% (15). Non esistono studi prospetticiin grado di chiarire se l’ottenimento della remis-sione completa prima del trapianto possa compor-tare un effettivo vantaggio per il paziente; i dati diletteratura disponibili si riferiscono prevalentemen-te a studi retrospettivi sulla base dei quali non èpossibile trarre conclusioni. Uno studio retrospettivo effettuato presso il FredHutchinson Cancer Research Center (FHCRC),suggerisce che la chemioterapia pre-trapianto ridu-ce il rischio di recidiva ma non migliora significa-tivamente la sopravvivenza libera da malattia (16).Si tratta di uno studio relativo a 125 pazienti adul-ti con una età mediana di 47 anni ed una diagno-si di SMD ad alto rischio o leucemia acuta secon-daria; 33 pazienti sottoposti a trapianto avevanoricevuto uno o due cicli di chemioterapia prima deltrapianto, 99 pazienti che rappresentano il grup-po di controllo, avevano eseguito il trapianto fron-tline. Uno studio dell’European Bone Marrow Transpl -antation Group (EBMTG) ha dimostrato un netto

vantaggio per i pazienti sottoposti a trapianto inremissione (17). Castro-Malaspina, in uno studiopubblicato nel 2008, riporta che, in caso di trapian-to T depletato, è consigliabile sottoporre il pazien-te a terapia citoriduttiva pre trapianto al fine di otte-nere la remissione completa o nella peggiore del-le ipotesi un buon controllo della malattia; in que-sto studio (18), la sopravvivenza libera da malat-tia a tre anni era del 50% nei pazienti trapiantatiin remissione completa, del 15% in un gruppo dipazienti che avevano ricevuto un trapianto front-line e 0 per i pazienti con malattia refrattaria.Nakai, in uno studio pubblicato nel 2005, ha inda-gato sul ruolo della chemioterapia pre-trapianto inuna serie di pazienti con SMD o LA-SMD in faseavanzata. In questo caso, un trattamento chemio-terapico pre-trapianto non modificava significati-vamente la sopravvivenza: la probabilità di soprav-vivenza, valutata a 5 anni, era del 54% per ipazienti trattati con chemioterapia e pre-trapian-to e del 57% per i pazienti che avevano eseguitoil trapianto frontline (19).Le perplessità all’uso di un trattamento chemio-terapico pre-trapianto, nascono dal fatto che ipazienti con SMD, sottoposti a chemioterapia, rag-giungono con difficoltà lo stato di remissione com-pleta. Spesso si osservano citopenie prolungateche favoriscono l’insorgenza di infezioni metten-do a rischio la vita stessa del paziente. Il recente uso di trapianti a condizionamento ridot-to ha favorito la formulazione di protocolli di trat-tamento che prevedono un ciclo di chemioterapiaimmediatamente seguito da un trapianto. Con unoschema di questo genere, Schmid ha riportato unasopravvivenza del 40% in una serie di pazienti adalto rischio (20).Non ci sono sufficienti evidenze del ruolo della aza-citidina e della decitabina nel trapianto allogeni-co; ma è ipotizzabile che un trattamento citoridut-tivo con ipometilanti possa costituire un validoapproccio per i pazienti con SMD ad alto rischio. Recentemente è stato riportato uno studio pilotasu 17 pazienti affetti da SMD o LA-SMD trattaticon decitabina prima del trapianto. I pazienti ave-vano un’età mediana di 55 anni ed ad un annodal trapianto, 11 pazienti erano vivi di cui otto inremissione. Questo studio, tuttavia, dimostra solola buona tollerabilità della procedura in un picco-lo gruppo di pazienti ad alto rischio (21).

55Il trapianto di cellule staminali emopoietiche

n IL TRAPIANTO DI CELLULE STAMINALI DA CORDONE OMBELICALE

Il trapianto di cellule staminali da cordone ombe-licale è una procedura proposta dopo qualcheincertezza anche nei pazienti adulti. Gli studi ese-guiti dimostrano che le cellule staminali da cordo-ne ombelicale sono una alternativa adeguata peri pazienti affetti da leucemia acuta, sprovvisti di undonatore HLA identico, e candidati al trapianto (22). I dati relativi al trapianto da cordone nelle SMDsono quanto mai limitati. Uno studio giapponeseriporta i risultati relativi a 22 pazienti adulti conSMD in fase avanzata, sottoposti a trapianto a con-dizionamento mieloablativo; gli Autori di questo stu-dio riportano una sopravvivenza attuariale a 4 annidel 76% ed una incidenza di Graft Versus HostDisease cronica (GvHDc) trascurabile (23).Recentemente in 26 pazienti adulti sottoposti a tra-pianto da cordone ombelicale viene riportata unaprobabilità di recidiva del 28% ed una mortalità datrapianto del 31% (24).Questi dati, sebbene promettenti, non sono tutta-via sufficienti a rassicurare i trapiantologi che ingenere, per questo tipo di patologia, preferisconoricorrere ad un trapianto da donatore non consan-guineo HLA identico 8/8 antigeni o addirittura 6/8antigeni piuttosto che ricorrere ad un trapianto dacordone. Nel prossimo futuro, il dato ormai consolidato del-la minore incidenza di GvHDc e la buona tollera-bilità di trapianti effettuati con cordoni parzialmen-te compatibili, renderà quanto mai appetibile l’uti-lizzazione di questo tipo di procedura.

n I REGIMI DI CONDIZIONAMENTO

Per molti anni, i pazienti affetti da SMD sono sta-ti trapiantati utilizzando regimi di preparazione mie-loablativi che comprendevano le alte dosi di busul-fano o l‘irradiazione corporea totale (TBI) associa-ta a ciclofosfamide. Recentemente, la miglioreconoscenza dei fenomeni alloimmuni che stannoalla base dell’effetto Graft versus Leukemia (GvL),ha portato alla formulazione di programmi di con-dizionamento ad intensità ridotta che trovano nel-le SMD una razionale applicazione.

I condizionamenti mieloablativi (Tabella 1)

La mortalità trapiantologica riscontrata dopo tra-pianto mieloablativo ha motivato per molto tem-po la scelta di limitare il trapianto a pazienti di etàinferiore a 55 anni. Alcuni Autori suggeriscono tut-tavia che anche in pazienti di età superiore a 55anni, il trapianto mieloablativo, può garantirerisultati analoghi a quelli osservati nei pazienti piùgiovani (25, 26). Non c’è evidenza che la combinazione TBI ciclo-fosfamide sia meglio della combinazione busulfa-no ciclofosfamide (27). In uno studio pubblicato daSierra nel 2002 è stata riscontrata, nei pazienti gio-vani con SMD a basso rischio, una sopravviven-za libera da malattia del 72% a tre anni, mentrenei pazienti di età superiore a 20 anni la soprav-vivenza libera da malattia è risultata del 45%; lamortalità da trapianto era del 37%, e l’incidenzadi recidiva del 23% (28).I risultati osservati nel trapianto da non consan-guineo sono meno brillanti, in quanto penalizzatida una più elevata mortalità da trapianto Tabella2 (29). Alcuni Autori, per questo motivo, sollecita-no l’uso di globulina antilinfocitaria al fine di ridur-re l’incidenza di GvHD acuta e la mortalità ad essacorrelata. In uno studio pubblicato da Rembergerche confronta 52 pazienti sottoposti a trapianto dadonatore non consanguineo, trattati con globuli-na antilinfocitaria (ATG) e 104 pazienti sottopostia trapianto da consanguineo dopo un condiziona-mento standard senza ATG, si dimostra che l’usodi ATG riduce significativamente la mortalità da tra-pianto mettendo in evidenza una differenza signi-ficativa in termini di sopravvivenza (30).

I condizionamenti a ridotta intensità(Tabella 3)Si tratta di combinazioni chemioterapiche o che-mioradioterapiche che utilizzano la fludarabinaassociata ad agenti alchilanti (busulfano, treosul-fano, thiotepa, melfalan, ciclofosfamide) sommini-strati a dose ridotte. Buona parte di queste com-binazioni chemioterapiche hanno una tossicità d’or-gano contenuta ma comportano un rischio di graftversus host disease non trascurabile. Dai dati fino ad oggi riportati si può desumere chequesta tecnica di trapianto comporta una morta-lità a breve termine del 3-10% associata ad un

56 Seminari di Ematologia Oncologica

rischio di recidiva del 30-40%. I migliori risultati sipossono ottenere nei pazienti a basso rischio neiquali è stata riportata una probabilità attuariale disopravvivenza libera da malattia del 60-75% a 3anni. Nei pazienti con SMD in fase più avanzataper presenza di blasti, la probabilità di recidiva èsuperiore al 50%.Recentemente sono state proposte nuove com-binazioni chemioterapiche che prevedono l’uso difludarabina associata ad alchilanti somministratia dosaggio mieloablativo. Per queste nuove com-

binazioni, si preferisce usare il termine di condi-zionamenti mieloablativi a tossicità ridotta. Russelha utilizzato la combinazione busulfano/fludarabi-na associata a globulina antilinfocitaria sommini-strata alla dose di 4,5 mg/kg. In questo studio lamortalità a 100 giorni è risultata del 2% nei tra-pianti da consanguineo e dell’8% nei trapianti danon consanguineo. La probabilità di sopravviven-za libera da malattia a due anni è risultata pari al74% nei bassi rischi e al 64% negli alti rischi (31).Questi dati vanno tuttavia interpretati con caute-

TABELLA 2 - Risultati ottenuti con il trapianto allogenico di cellule staminali emopoietiche: sopravvivenza e mortalità di trapianto inrapporto al tipo di donatore.

Autori Condizionamento N. Casi MTR a 3 anni SLM

Deeg et al. (26)Consanguineo mieloablativo 45 28% 56% ad un annoNon consanguineo mieloablativo 64 30% 59% ad un anno

Ho AY et al. (34)Consanguineo ridotto 24 5% 61%Non consanguineo ridotto 38 21% 59%

Jurado et al. (44)Consanguineo ridotto 20 31% 48%Non consanguineo ridotto 40 51% 30%

Nakamura et al. (45)Consanguineo ridotto 19 31% 47%Non consanguineo ridotto 24 37% 58%

SLM: sopravvivenza libera da malattia; MTR: mortalità da trapianto.

TABELLA 3 - Risultati ottenuti con il trapianto di cellule staminali emopoietiche dopo condizionamento ad intensità ridotta.

Autori Condizionamento N° casi Diagnosi MTR SLM

Popat et.al. (39) busulfano+fluda 89 SMD/LA-SMD 23 46-63% (2 anni)fluda/melfalan

Ruutu et al. (40) treosulfan/fluda 45 SMD/LA-SMD 15% 71% (ad 1 anno)(2008)

Alessandrino et al. (41) thiotepa/fluda 50 SMD/LA-SMD 21-45 73-28% (a 5 anni)

Kroger et al. (42) busulfano/fluda/ATG 37 AR/AREB 12%/45% 25-31% (a 3 anni)

Martino et al. (22) fluda/TBI 2Gy 215 SMD 22% 33% (a 3 anni)fluda/alchilanti

Lim et al. (43) fluda/busulfano 75 CRDM 24% 55% (a 3 anni)campath AREB 44% 18%

LA-SMD 21% 47%

SLM: sopravvivenza libera da malattia; MTR: mortalità da trapianto; SMD: sindrome mielodisplastica; LA-SMD: leucemia acuta mieloide evoluta da sindromemielodisplastica. AR: anemia refrattaria; AREB; CRDM: citopenia refrattaria con displasia multilineare; fluda: fludarabina.

57Il trapianto di cellule staminali emopoietiche

la per via della estrema eterogeneità della casi-stica all’interno della quale le SMD erano solo unaminoranza. De Lima riporta 22 casi di SMD trat-tati con fludarabina e busulfano. In questo studiola mortalità da trapianto a 100 giorni è stata del5% con una incidenza di graft versus host disea-se acuta del 25% per i trapianti da consanguineoe del 45% per i trapianti da non consanguineo (32).Lo stesso Autore riporta i dati relativi alla combi-nazione fludarabina e melfalan quest’ultimo som-ministrato alla dose di 140-180 mg/m2. In questogruppo di pazienti la probabilità di recidiva è risul-tata del 33% e la sopravvivenza libera da malat-tia del 30%. Un analogo risultato è stato osserva-to utilizzando la combinazione FAI (Fluda-AraC-Ida) (33). Combinazioni di busulfan, fludarabina edanti CD 52 sono state testate in 62 pazienti affet-ti da SMD e sottoposti a trapianto da donatore con-sanguineo (24 casi) e da donatore non consan-guineo (38 casi). In questo studio è stata riporta-ta una mortalità da trapianto trascurabile, mentrel’incidenza di recidiva variava dal 7% per le for-me a basso rischio, al 50% per le forme ad altorischio (34).Combinazioni chemioradioterapiche non ablativesono state proposte da Storb utilizzando TBI e flu-darabina alla dose di 30 mg/m2 per 3 giorni. Lostudio eseguito su 76 pazienti affetti da SMD hamostrato una incidenza di graft failure del 6%, unaincidenza di recidiva del 43% ed una mortalità datrapianto del 25% ad un anno. Mediamente soloil 20% dei pazienti sopravvive a tre anni (35).

n CONCLUSIONI

Le esperienze fino ad oggi raccolte confermanoche il trapianto è una terapia efficace nei pazien-ti con SMD. I migliori risultati sono stati osservatiin pazienti giovani a basso rischio trapiantati pre-cocemente indipendentemente dal tipo di condi-zionamento utilizzato, mentre nei pazienti con SMDad alto rischio, sottoposti a trapianto a condizio-namento ridotto, è stata osservata una elevata inci-denza di recidiva. Martino, in uno studio retrospet-tivo del EBMTG, riporta una più elevata inciden-za di recidiva ed una ridotta mortalità da trapian-to nei pazienti preparati con un condizionamentoad intensità ridotta. In questo studio la sopravvi-

venza a tre anni è del 39% nel trapianto a condi-zionamento mieloablativo e del 34% nel trapian-to a condizionamento ridotto (36). Scott utilizzan-do la casistica del FHCRC relativa a 172 pazien-ti affetti da SMD, giunge alle medesime conclu-sioni (37). Più recentemente un’analisi effettuatasu un consistente numero di pazienti ha dimostra-to un vantaggio in termini di sopravvivenza liberada malattia per i pazienti sottoposti a trapianto acondizionamento mieloablativo osservati per alme-no 5 anni (38). Non esistono studi prospettici checonfrontino l’efficacia e la tollerabilità del condizio-namento mieloablativo e del condizionamento adintensità ridotta. Il trapianto a condizionamento mie-loablativo comporta una elevata mortalità da tra-pianto e pertanto il suo uso è consigliato in pazien-ti con malattia ad alto rischio di trasformazione acu-ta, di età =< a 55 anni, con un buon performan-ce status e poche comorbilità. In tutti gli altri casiè giustificato il ricorso al trapianto a condiziona-mento ridotto. In ogni caso il performance statusdei pazienti, l’età, la storia clinica, lo stato dellamalattia, la storia trasfusionale, possono aiutarcia scegliere caso per caso quando fare il trapian-to e che tipo di condizionamento utilizzare.

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61

n INTRODUZIONE

Valutare la qualità di vita (QdV) del paziente è oggidivenuto un aspetto molto rilevante in diversi cam-pi della medicina. In Figura 1 viene riportato l’an-damento del numero delle pubblicazioni riguar-danti la QdV in campo medico in generale a par-tire dagli anni settanta. L’oncologia, comunque, rappresenta il campomedico nel quale probabilmente la valutazionedella QdV ha compiuto i maggiori progressi siaper il numero di pubblicazioni, sia per i traguardiraggiunti in termini di consensi dalla comunitàinternazionale oncologica. Solo per citare alcuniesempi, l’American Society of Clinical Oncology(ASCO) (1) supporta la valutazione della QdV trale principali misure di outcome negli studi clinicioncologici da oltre un decennio; la Food and DrugAdministration (FDA), ovvero l’Ente Federale pre-posto alla regolamentazione dei farmaci negliUSA, già a partire dal 1985 (2), considerava unmiglioramento inteso in termini di QdV come pos-

sibile parametro per l’immissione sul mercato diun nuovo farmaco antitumorale. Tra gli obiettivistrategici più importanti del National CancerInstitute (NCI) degli USA c’è quello di assicura-re a tutti i pazienti oncologici i più alti standard diqualità di vita (3) e anche l’OrganizzazioneMondiale della Sanità (OMS) evidenzia che oltrea ridurre l’incidenza e la mortalità oncologica biso-gna migliorare anche la qualità di vita dei pazien-ti (4). Oggi i maggiori gruppi internazionali di ricerca cli-nica considerano sempre la possibile inclusionedella QdV negli studi comparativi di fase III al finedi valutare al meglio l’efficacia del trattamento. Unesempio per tutti è il Clinical Trial Group (CTG) delNational Cancer Institute del Canada (NCI-C) cheda più di un decennio considera la valutazione del-la QdV come mandatoria nei protocolli di ricercadi fase III (5). Se la QdV non viene valutata in unprotocollo di fase III la motivazione deve essereallora esplicitata nel protocollo stesso, fornendo unrazionale del perché non sia necessario valutareanche la QdV del paziente.I progressi avvenuti nel campo della ricerca oncoe-matologica hanno ampliato le possibilità di vita deipazienti, aumentandone in molti casi le possibili-tà di sopravvivenza e di guarigione: basti pensa-re ai traguardi raggiunti nella cura dei tumori del-la mammella in fase precoce o in alcuni tipi di leu-cemie, come ad esempio le leucemie mieloidi cro-niche (6). Ciononostante, il numero complessivo di perso-ne colpite da patologia neoplastica è sempre mag-giore anche in virtù dell’aumento della vita media

La qualità di vitaLa qualità di vitaFABIO EFFICACE, FRANCO MANDELLIGruppo Italiano Malattie Ematologiche dell’Adulto (GIMEMA), Roma

Fabio Efficace

Indirizzo per la corrispondenza

Fabio EfficaceCoordinatore Unità di Ricerca sulla SaluteGruppo Italiano Malattie Ematologiche dell’Adulto(GIMEMA)Centro Dati GIMEMAVia Rovigo, 1 - 00161 Romae-mail: [email protected]

Parole chiave: qualità di vita, sindromi mielodisplasti-che, sperimentazione clinica.

62 Seminari di Ematologia Oncologica

della popolazione. Di conseguenza, in molti casiil paziente oncologico si trova a dover conviverecon la patologia e con gli effetti dei relativi tratta-menti spesso per un periodo prolungato della suavita. I trattamenti che vengono solitamente utiliz-zati in ambito oncologico, a differenza di quantoavviene in altri ambiti della medicina, hanno deglieffetti collaterali rilevanti sulla vita dei pazienti; taliterapie non solo causano una serie di sintomiimportanti e limitazioni funzionali, ma quasi sem-pre investono anche la sfera sociale-relazionale,psicologica e affettiva del paziente. Nei casi in cui alla specifica diagnosi oncologicanon possa poi seguire una realistica aspettativadi guarigione i trattamenti attualmente disponibilisono molto limitati in termini di efficacia clinica espesso generano notevoli effetti collaterali. È faci-le capire, quindi, quanto il punto di vista del pazien-te, valutato attraverso la rilevazione sistematica eformale della QdV sia divenuto con gli anni unaspetto sempre più importante.

n QUESTIONI DI TERMINOLOGIA: QUALITÀ DI VITA E PATIENT-REPORTED OUTCOMES

Nella letteratura scientifica si trovano spesso diver-si termini per descrivere tutta una serie di aspet-ti che attengono in generale allo stato di salute delpaziente, tra questi il termine quality of life è sta-to senza dubbio quello più utilizzato. Non esiste

un’unica definizione del termine QdV e nella let-teratura ne sono state proposte diverse, ognunadelle quali enfatizza un aspetto e si rifà a deter-minate teorie di riferimento. Ad esempio, il grup-po di lavoro sulla QdV dell’OMS proponeva, piùdi dieci anni fa, la seguente definizione: “La per-cezione dell’individuo della propria posizione nel-la vita nel contesto dei sistemi culturali e dei valo-ri di riferimento nei quali è inserito e in relazioneai propri obiettivi, aspettative, standard e preoc-cupazioni” (7). Comunque, quando si parla di QdVin campo medico, ci si riferisce sostanzialmentealla QdV correlata alla salute, ovvero, a quegliaspetti della QdV del paziente che sono maggior-mente influenzati dalla malattia e dagli eventualiinterventi terapeutici. Attualmente esiste un ampio consenso nella let-teratura internazionale su alcuni aspetti fondamen-tali del concetto di QdV in medicina, e cioè cheesso è un costrutto soggettivo, multidimensiona-le e dinamico (8, 9).

SoggettivoIl concetto di QdV è per sua natura un costruttosoggettivo che fa sempre riferimento al sistemasocio-culturale in cui il soggetto è immerso e, per-tanto, deve essere sempre valutato dal pazientestesso. Comunque, anche all’interno dello stesso sistemasocio-culturale di riferimento, varia al variare di cer-te condizioni specifiche quali la patologia e i rela-tivi trattamenti ricevuti.

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FIGURA 1 - Numero di pubblicazionisu PubMed dal 1977 al 2007 indiciz-zate con il termine “quality of life”.

63La qualità di vita

MultidimensionaleLa QdV riguarda la valutazione di aspetti relativial benessere psicologico, sociale, e funzionale,nonché relativi alla percezione dei sintomi fisici(che possono derivare dalla malattia stessa o daglieffetti dei trattamenti ricevuti).

DinamicoNon è un costrutto statico nel tempo, ma varia infunzione delle condizioni di salute del paziente. In riferimento alla terminologia utilizzata, la FDAha supportato negli ultimi anni sempre più l’uti-lizzazione di un termine di più ampio respiro, ovve-ro, quello di Patient-Reported Outcomes (PROs)che oggi si trova spesso riportato nella letteratu-ra (10, 11). Con il termine PRO si viene ad indi-care un qualsiasi tipo di misurazione inerente lostato di salute, in senso lato, riportata del pazien-te stesso. In tale ottica, questa auto-valutazionedel paziente può riguardare la valutazione di uncostrutto multidimensionale (quale appunto quel-la di QdV come precedentemente delineata),oppure la valutazione di aspetti più circoscritti, adesempio, fatigue, dolore o altri sintomi specifici.In tale ottica, si noti come la QdV possa quindiessere considerata come uno dei tanti possibiliPROs.L’approccio terminologico supportato dalla FDA tro-va il suo punto di forza nel fatto che permette diabbracciare un ampio spettro di costrutti teorici che,per definizione, devono essere riportati esclusiva-mente dal paziente stesso. È chiaro, quindi, cheladdove in uno studio clinico il ricercatore non siainteressato a valutare la QdV del paziente ma vogliavalutare un singolo aspetto specifico della salutedel paziente (ad esempio il livello di fatigue in rela-zione al numero di trasfusioni ricevute) questi avràa disposizione degli strumenti ad hoc che gli per-metteranno di valutare solo questo aspetto. Questabreve chiarificazione sui diversi termini impiegatiè rilevante poiché il lettore troverà spesso entram-bi i termini nella letteratura scientifica.Nel presente capitolo, d’ora in avanti, si utilizzeràil termine QdV per maggior coerenza con la piùampia letteratura sull’argomento e per facilitare illettore ma si evidenzia, comunque, che gli aspet-ti metodologici che devono essere affrontati nel-l’implementazione della QdV o di qualsiasi altrotipo di PRO nella ricerca clinica sono gli stessi.

n COME VIENE MISURATA LA QUALITÀ DI VITA?

In ambito medico misurare la QdV del paziente(o qualsiasi altro tipo di PRO) significa essere ingrado di ridurre un fenomeno soggettivo ad unaserie di indicatori che permettano di fare delle infe-renze il più possibile informative. In generale laQdV viene rilevata attraverso la somministrazio-ne di brevi questionari che devono essere com-pilati direttamente dal paziente stesso. Negli ultimi trent’anni, sono stati sviluppati centi-naia di strumenti che possono essere applicati nel-le più diverse condizioni patologiche. Un sito inter-net in cui è possibile trovare un database conte-nente molti degli strumenti che vengono utilizza-ti è quello sviluppato dal Mapi Research Institute,(http://www.proqolid.org), nel quale è riportataun’ampia categoria di strumenti di rilevazione divi-si anche per patologia. Data l’attuale grande disponibilità di questionari (oscale di valutazione) in quest’area, può essere tal-volta arduo per il ricercatore individuare quale siaquello più appropriato allo specifico contesto diapplicazione. È importante, inoltre, che chi si avvi-cina all’utilizzo di questi strumenti sia in grado didistinguere la reale solidità scientifica che è die-tro il processo di sviluppo e validazione del que-stionario specifico. Del resto, tali strumenti, per poter essere impie-gati con successo e fornire informazioni solide sulpiano clinico, devono rispondere a rigorosi stan-dard internazionali e avere comprovate qualità psi-cometriche. Lo sviluppo di strumenti solidi in que-st’area di studi è un processo che solitamente durasvariati anni. La conditio sine qua non di uno studio che impli-chi la valutazione della QdV o qualsiasi altro tipodi PRO è l’impiego di uno strumento che sia sta-to sviluppato e validato in modo metodologicamen-te robusto. Le caratteristiche di un buon strumen-to devono essere accuratamente documentate epubblicate ed esistono oggi linee guida interna-zionali che ne definiscono il processo di sviluppo(12). Una discussione dettagliata di tale aspettoè al di fuori dello scopo di questo lavoro ma, diseguito, si elencano le caratteristiche psicometri-che principali che dovrebbero essere sempre accu-ratamente documentate.

Attendibilità:Quanto lo strumento è affidabile in ter-mini di risultati ottenuti? Utilizzando lo stesso stru-mento nelle medesime condizioni e con lo stes-so tipo di soggetti ma in tempi diversi (presuppo-nendo nessun cambiamento clinico nelle condi-zioni dei pazienti) otterremmo gli stessi risultati?Validità: Diversi tipi di validità sono coinvolti nel pro-cesso di sviluppo di uno strumento di indagine(validità di contenuto, di costrutto ecc.), ma in gene-rale quello che importa sapere è: lo strumentomisura proprio quello che ci si proponeva di misu-rare? Ad esempio, quale validità avrebbe uno stru-mento che si proponga di valutare la fatigue delpaziente, ma che in realtà non ponga le doman-de giuste o mirate a svelare proprio questo aspet-to?Responsività: Occupandoci del campo clinico èpossibile che le condizioni del paziente cambinopiù o meno rapidamente, in questo caso la doman-da è la seguente: quanto lo strumento è capacedi rilevare i cambiamenti avvenuti nelle condizio-ni cliniche del paziente?Esistono poi tutta un’altra serie di aspetti che unbuon strumento dovrebbe avere quali, ad esem-pio, quello di essere costituito da domande estre-mamente comprensibili ed essere quindi acces-sibile anche per pazienti con bassa scolarità. Inoltre, l’interpretazione dei punteggi ottenuti deveessere semplice e clinicamente interpretabile, adogni modo il lettore interessato viene rimandatoalla più ampia letteratura sullo sviluppo di tali stru-menti (12).

Classificazione degli strumenti di rilevazioneGli strumenti di rilevazione in quest’area posso-no essere sommariamente suddivisi in tre ampiecategorie definite in base allo scopo per cui que-sti strumenti sono stati sviluppati.

Strumenti genericiQuesti questionari possono essere impiegati perdescrivere lo stato di salute soggettivo e la QdVdi diverse tipologie di pazienti (indipendentemen-te dalla patologia). Essi consentono, quindi,anche di comparare i profili di salute di diversi grup-pi di pazienti indipendentemente dalla patologia.Tali strumenti non vengono validati, quindi, supopolazioni specifiche di pazienti. Uno strumen-

to degno di nota, che è stato utilizzato anche inpazienti con mielodisplasie (SMD), data la sua pro-vata robustezza metodologica, è il MedicalOutcomes Study 36-Item Short-Form (conosciu-to con l’acronimo SF-36) (13, 14). Questo è unodegli strumenti di rilevazione generici più utilizza-ti al mondo e si compone di 36 domande che inda-gano le seguenti aree della salute: attività fisica,limitazioni di ruolo dovute alla salute fisica, attivi-tà sociali, limitazioni di ruolo dovute allo stato emo-tivo, salute mentale, dolore, vitalità, percezionegenerale di salute.

Strumenti specifici per patologia o trattamentoQuesti strumenti sono stati sviluppati per valutareuna serie di aspetti che possono influire sulla QdVdi pazienti con le più diverse patologie. Gli strumen-ti che rientrano in questa categoria sono stati vali-dati esclusivamente sulla popolazione specifica diriferimento e, quindi, sono molto sensibili a rileva-re, ad esempio, variazioni in termini di QdV lungoil corso di un trattamento. Nel contesto oncologi-co, ad esempio, esistono strumenti per valutarespecificamente la QdV in pazienti affetti dalle diver-se patologie oncologiche, nonché strumenti chevalutano quegli aspetti della QdV particolarmenteinficiati da determinati trattamenti. Nel campo ema-tologico esistono degli strumenti, metodologicamen-te robusti, che possono oggi essere impiegati invari contesti. Per quanto riguarda specifici tratta-menti esistono, ad esempio, strumenti per valuta-re la QdV di pazienti trattati con i biologic respon-se modifiers (15) o strumenti per valutare la QdVdei pazienti sottoposti a trapianto di midollo osseo(16). Per quanto riguarda specifiche patologie esi-stono poi strumenti per pazienti con linfomi (17) dialcuni tipi di leucemie (18).

Strumenti specifici per particolari aree di saluteMentre le prime due categorie di strumenti hannoin comune la caratteristica di valutare una serie diaspetti relativi allo stato di salute del paziente, que-sta categoria comprende una serie di questionariche valutano esclusivamente aspetti specifici (indi-pendentemente dalla patologia e/o trattamento).Esistono, ad esempio, questionari che si focaliz-zano sulla valutazione di ansia, depressione, fun-

64 Seminari di Ematologia Oncologica

65La qualità di vita

zionamento fisico, dolore o fatigue indipendente-mente dalla patologia di riferimento. In alcune situa-zioni il medico potrebbe essere interessato a valu-tare solo un aspetto che si ritenga molto inficiatodalla particolare terapia. Nel contesto di uno stu-dio con pazienti affetti da SMD, ad esempio, il ricer-catore potrebbe essere interessato a valutare quan-to il supporto trasfusionale possa migliorare la per-cezione della fatigue del paziente; in tale ipoteticostudio, è facile immaginare come l’utilizzo di unostrumento che valuti esclusivamente la fatigue delpaziente possa essere particolarmente utile.

n QUALITÀ DI VITA IN EMATOLOGIA: UNA “NUOVA SCIENZA” O EVOLUZIONE DELLA RICERCA CLINICA?

La rilevazione della QdV nell’ambito degli studi cli-nici ha ormai una storia più che ventennale. LaQdV è stata inserita in moltissime sperimentazio-ni cliniche ma va rilevato che questo ha riguarda-to principalmente la ricerca oncologica in pazien-ti con tumori solidi (19-21). C’è oggi un grande gaptra la mole di dati scientifici che abbiamo a dispo-sizione sulla QdV di pazienti con tumori solidi, adesempio tumori del seno, del colon-retto, polmo-ne e prostata e gli scarsi dati di cui disponiamoper pazienti con le più svariate patologie onco-ematologiche. Una disamina delle ragioni che sot-tendono questo gap sono al di là dello scopo diquesto lavoro, comunque, si noti che i grandi suc-cessi ottenuti nella ricerca clinica degli ultimi anniin ambito ematologico hanno senza dubbio con-tribuito al cambiamento a cui stiamo assistendonegli ultimi anni nel mondo della ricerca clinicaematologica. Recentemente, infatti, abbiamo assi-stito ad un incremento nel numero di lavori scien-tifici sulla QdV anche in ambito ematologico e piùin generale ad una attenzione sempre maggioreanche da parte di importanti Associazioni scien-tifiche, quali, ad esempio la European HematologyAssociation (EHA) (22). L’enfasi crescente posta oggi in campo ematolo-gico sulla valutazione della QdV del paziente ètestimoniata anche da recenti linee guida interna-zionali che sempre più pongono l’accento sull’im-

portanza di una valutazione di questi aspetti. Moltilavori hanno recentemente sottolineato la neces-sità di avere dei dati sulla QdV basati sull’eviden-za scientifica in molte patologie ematologiche qua-li ad esempio, le sindromi mielodisplastiche(SMD), le leucemie linfatiche croniche, le leuce-mie acute e la mielofibrosi (23-27). Si vuole evidenziare, comunque, che l’attenzionealla QdV del paziente in ematologia, sebbene solonegli ultimi anni abbia assunto un ruolo nella ricer-ca clinica, ha senza dubbio radici molto lontaneed è stata sempre al centro dell’interesse del medi-co. Nel contesto della pratica clinica, ad esempio,basti pensare alla semplice domanda con cui spes-so si accoglie il paziente durante una visita, ovve-ro “come si sente oggi?”. Anche nell’ambito dellaricerca clinica ematologica, numerosi sono stati glistudi in cui si è spesso tentato di rispondere alladomanda su quale fosse la QdV del paziente esu come questa fosse stata inficiata in modo diver-so dai diversi trattamenti ricevuti. Ad esempio, inun articolo apparso su Lancet già nel 1975 gli auto-ri esplicitamente dichiaravano che la qualità di vitadel paziente con leucemie mieloide acuta è altret-tanto importante quanto la durata della sua vita(28). Successivamente, numerosi altri articolihanno affrontato il tema della valutazione dellaQdV dei pazienti in diverse ricerche, ma fino apoco tempo fa i modi in cui la QdV veniva desun-ta in questi studi erano basati su metodi di rileva-zione indiretta. Ad esempio, si tentava di “misura-re” la QdV del paziente attraverso il numero di gior-ni passati in ospedale o il numero di giorni con feb-bre per avere degli indicatori che permettesserodi valutare quanto la QdV di quel paziente fosseinficiata da un determinato trattamento. Oggi, sappiamo che il gold standard della misu-razione della QdV del paziente deve essere basa-to su una auto-valutazione del paziente stessoattraverso degli strumenti specifici (metodologica-mente robusti) appositamente costruiti (9). Unmetodo di rilevazione della QdV che sia basatoesclusivamente su criteri di tipo indiretto, cioè chenon implichino una valutazione che derivi dalpaziente stesso, oggi non sarebbe più accettatodalla comunità scientifica internazionale come sur-rogato della QdV del paziente. Pertanto, si evidenzia che quello che sostanzial-mente è cambiato nel corso degli ultimi venti anni

in ambito ematologico, e più in generale in cam-po medico, non è tanto l’interesse e l’attenzionedel clinico verso aspetti relativi alla QdV delpaziente quanto il modo di rilevarla. Questo è unconcetto fondamentale per comprendere che oggila valutazione della QdV più che rappresentareuna “nuova scienza” in ematologia sembra esse-re la normale evoluzione di un processo fisiolo-gico che ha portato, col tempo, la comunità medi-ca a considerare la QdV come un parametro chedeve (ed oggi può) essere misurato scientifica-mente. Essere in grado di misurare la QdV signi-fica sostanzialmente capire l’impatto della malat-tia e della terapia dal punto di vista del pazientestesso.

n PERCHÉ È IMPORTANTE VALUTARE LA QDV DEL PAZIENTE NELLA RICERCA CLINICA?

Al di là di questioni di natura etica, che oggi pos-sono porre la valutazione della QdV del pazientecome aspetto importante della pratica medica inmolti contesti, l’utilità di questo tipo di valutazionerisiede soprattutto nelle qualità delle informazioniche si possono desumere da questo tipo di out-come. Il prendere delle decisioni cliniche è divenuto negliultimi anni sempre più complesso in virtù di nume-rosi fattori quali, ad esempio, l’aumentato nume-ro di opzioni terapeutiche per la stessa patologiao la necessità di coinvolgere sempre più il pazien-te nelle scelte terapeutiche. In tale panorama èdivenuta sempre più pressante la necessità diaccedere ad informazioni aggiuntive riguardo l’ef-ficacia di un determinato trattamento. Prendere del-le decisioni cliniche per ed insieme ai pazienti signi-fica, quindi, poter contare su una mole di solideinformazioni cliniche o di laboratorio e per potercompiere delle scelte il più possibile informate econsapevoli. Pertanto, il motivo sostanziale per cui la valutazio-ne della QdV (e di altri tipi di PROs) è divenutaormai un aspetto molto importante è la possibili-tà, attraverso questi tipo di “misurazioni”, diampliare il ventaglio di informazioni su cui poterbasare tali scelte cliniche. Nel contesto delle sperimentazioni cliniche, in par-

ticolare, che ha rappresentato storicamente il set-ting privilegiato di applicazione di questi outcomes,il valore aggiunto deriva dalla capacità di appor-tare informazioni clinicamente utili per capire, inmodo più completo e ponderato il reale valore diun determinato approccio terapeutico o di un far-maco. Valutare la QdV significa, sostanzialmen-te, introdurre in modo formale la prospettiva delpaziente (relativamente all’impatto della malattiae agli effetti del trattamento) quale importante para-metro di valutazione dell’efficacia dell’interventoche viene testato. Rispetto a tutti i parametri tra-dizionalmente utilizzati come misura di outcomela QdV è l’unica misura che possa fornire la pro-spettiva del paziente (11). Ci sono molti esempinella letteratura oncologica su come l’introduzio-ne della QdV quale misura di outcome abbia con-tribuito ad una più completa valutazione dell’effi-cacia di un determinato trattamento (29). Seppurecon minor frequenza, esistono eccellenti esempidi come anche nel campo ematologico (leucemiemieloidi croniche, leucemie linfatiche croniche eSMD) la valutazione della QdV abbia notevolmen-te contribuito a dare delle informazioni che non sisarebbero potute ottenere se non introducendo laQdV come endpoint dello studio. Ad esempio, inuno studio randomizzato di fase III condotto daEichhorst et al. in cui veniva comparata fludara-bina e ciclofosfamide (FC) versus fludarabina (F)in pazienti con leucemia linfatica cronica si è potu-to osservare che sebbene la tossicità complessi-va dei pazienti trattati con FC fosse più elevata(30), questa non si traduceva ipso facto in una peg-giore QdV dei pazienti (31). Lo studio di Eichhorstet al. è un esempio emblematico del possibile valo-re aggiunto di uno studio clinico che valuti anchela QdV, ovvero, quello di avere informazioni poten-zialmente molto utili sulla reale efficacia del trat-tamento dal punto di vista del paziente. Un altrostudio particolarmente interessante è stato lo stu-dio IRIS in cui l’interferone veniva comparato conl’imatinib in pazienti con leucemia mieloide croni-ca (6). Sebbene i risultati clinici di questo studiosiano ormai divenuti molto noti nella comunitàscientifica, grazie ai grandi risultati in termini di effi-cacia clinica a favore dell’Imatinib, si sottolineacome questo grande trial abbia anche incluso lavalutazione della QdV tra gli endpoint secondari.L’informazione, che è derivata dall’analisi dei dati

66 Seminari di Ematologia Oncologica

67La qualità di vita

di QdV dello studio IRIS è stata infatti la prima evi-denza scientifica di quanto la QdV dei pazienti trat-tati con imatinib era in effetti molto migliore rispet-to a quella dei pazienti trattati con interferone (32).I dati di QdV di questo studio sono poi anche ser-viti come ulteriore supporto per le procedure diapprovazione dell’imatinib da parte della FDA qua-le trattamento di prima linea per questi pazienti(33).

L’importanza della metodologia di ricercaUn aspetto che va senza dubbio menzionato, par-lando della possibilità che la valutazione della QdVpossa offrire in termini di valore aggiunto alla ricer-ca, è senza dubbio quello della metodologia. Nellaletteratura sono stati, infatti, riportati molti casi incui la valutazione della QdV in un clinical trial nonha portato a conclusioni scientifiche di valore invirtù di serie limitazioni metodologiche sul pianodel disegno dello studio (34-38). Oggi, si hannoevidenze che la metodologia degli studi di QdV èmigliorata in maniera significativa negli ultimi 15anni e che gli studi più recenti hanno contribuitoin maniera sostanziale a fornire informazioni cli-nicamente più utili (39). In generale, il successodi uno studio di QdV è un processo che inizia conun buon protocollo di ricerca, passa poi attraver-

so un adeguato supporto logistico durante il cor-so dello studio e si conclude con la pubblicazio-ne dei dati in modo chiaro e sufficientemente esau-riente. Questi tre macro aspetti costituiscono i pas-saggi fondamentali di uno studio che possa vera-mente contribuire a dare informazioni clinicamen-te significative sia per i medici che per i pazienti,ed il fallimento anche di uno solo di questi tre pas-saggi può minarne il successo (Figura 2). L’aspetto metodologico relativo al design della QdVin uno studio clinico è di fondamentale importan-za già nel momento della scrittura del protocollodi ricerca in cui una serie di aspetti devono esse-re accuratamente affrontati. Una ricerca clinica cheimplichi la valutazione della QdV come endpointdello studio, ma che non sia implementata nel pro-tocollo di ricerca in modo metodologicamente robu-sto, difficilmente sarà in grado poi di fornire infor-mazioni utili per poter compiere delle scelte tera-peutiche ancora più ponderate e consapevoli. Molte sono le considerazioni che dovrebberoessere fatte a priori e la cui soluzione dipende daun’attenta analisi degli obiettivi della ricerca e didiversi altri aspetti. In primis, comunque, va evi-denziato che questo tipo di misurazione (ancheladdove costituisca un endpoint secondario del-lo studio) deve essere sempre parte integrante

1

2

3Pubblicazione dei risultati

(Deve sempre riportare sufficienti dettagli,tali da permettere ai lettori una corretta

interpretazione dei dati)interpretazione dei dati)

Supporto logistico(Sebbene un protocollo dettagliato sia

il requisito prioritario, un adeguato controllo sulla qualità e completezza

dei dati raccolti è indispensabile)dei dati raccolti è indispensabile)

Protocollo dettagliato(Una serie di questioni metodologiche

devono essere affrontate e risolte già in fase di scrittura di protocollo)

FIGURA 2 - I passi fondamentali perla riuscita di uno studio che implichila valutazione della qualità di vita.

del protocollo di ricerca e articolato in diversesezioni. Oggi sono disponibili molte linee guidainternazionali che possono aiutare il ricercatorea disegnare degli studi di QdV in modo appropria-to ed il lettore viene rimandato ad alcuni di que-sti lavori per una disamina più attenta e dettaglia-ta (40-44). Sebbene una discussione esauriente di tutti gliaspetti che dovrebbero essere affrontati sul pia-no metodologico al momento della scrittura del pro-tocollo esula dallo scopo di questo lavoro, alcunequestioni rilevanti vengono di seguito brevemen-te accennate:Determinare l’obiettivo della ricerca: affermaresemplicemente che si è interessati a valutare laQdV del paziente, in un protocollo di ricerca, nonè sufficiente. È necessario sapere a priori cosavogliamo esattamente valutare, siamo primaria-mente interessati a valutare gli effetti tossici diuna chemioterapia sulle funzioni cognitive delpaziente? Siamo interessati soprattutto a vede-re quanto una terapia ferrochelante possa daredei benefici in termini di fatigue percepita dalpaziente? Affrontare questi aspetti è prioritarioal fine di determinare tutta una serie di altre scel-te metodologiche quali, ad esempio, lo strumen-to di misura più adatto alla specifica situazionedi ricerca. Scegliere lo strumento di rilevazione più adatto:in un protocollo di ricerca la scelta dello strumen-to di misura deve essere sempre giustificata. In pre-cedenza si è sottolineato che la scelta dello stru-mento di misura deve essere fatta secondo crite-ri che garantiscano la solidità psicometrica. Unaricerca che impiegasse uno strumento di QdV nonvalidato o la cui interpretazione dei punteggi nonfosse sufficientemente chiara, difficilmente porte-rebbe a conclusioni utilizzabili sul piano clinico.Oltre a questi aspetti legati esclusivamente allasolidità dello strumento di misura impiegato, esi-stono poi altre considerazioni che vanno fatte.Misurare, infatti, la QdV significa avere uno spe-cifico quesito clinico a cui rispondere e, solo con-seguentemente, cercare lo strumento di rilevazio-ne che meglio possa rispondere a tale quesito.Laddove non può esistere lo strumento “migliore”in assoluto che può essere applicato in tutti i con-testi, esisterà probabilmente il questionario o lascala di rilevazione più adatta alla specifica situa-

zione. Spesso tale scelta non è semplice, poichédipende da molti aspetti contingenti. Fermerestando le considerazioni che dovrebbero sem-pre spingere il medico alla ricerca di strumentimetodologicamente robusti (come precedente-mente riportato) esistono poi molti altri fattori datenere in considerazione per la scelta dello stru-mento. I fattori legati al setting della ricerca, ad esempio:tipologia di pazienti coinvolti, durata dello studioe risorse disponibili sono aspetti molto importan-ti. In un ipotetico studio con pazienti affetti da SMDcon rischio IPSS intemedio-2 o alto (che quindiimplichi probabilmente pazienti di età avanzata econ una sintomatologia evidente), un questiona-rio di facile comprensione e con pochi items sareb-be senza dubbio auspicabile. Al contrario, in unsetting di ricerca che implichi pazienti con pato-logia a più basso rischio sarebbe possibile ipotiz-zare l’utilizzo di uno o più strumenti che richieda-no un maggiore impegno di tempo da parte delpaziente. Nella Tabella 1 si riporta una breve sintesi di alcu-ni degli strumenti più rappresentativi che posso-no essere adatti per pazienti affetti da SMD. Questistrumenti sono stati scelti perché già utilizzati inricerche con questi pazienti e perché la loro soli-dità scientifica è stata confermata in numerosi altristudi internazionali. Tuttavia, si rileva che ci sonoanche altri strumenti potenzialmente utilizzabili conquesti pazienti che potrebbero essere impiegati.Selezione del timing delle rilevazioni: in uno stu-dio longitudinale, ad esempio, va poi valutato quan-do e quante volte sarebbe più opportuno valuta-re la QdV.Anche per questo aspetto, si sottolinea che la scel-ta va fatta in base ad una serie di altre conside-razioni specifiche al setting della ricerca. In un ipo-tetico studio comparativo, ad esempio, una valu-tazione basale (prima del trattamento/randomiz-zazione) della QdV è sempre comunque auspi-cabile. Questa valutazione basale permetterà alricercatore di valutare se ci siano delle differenzesignificative tra i pazienti nei diversi bracci di trat-tamento. È facile intuire come un profilo di QdVdiverso tra i due bracci dello studio, ancora primadi cominciare il trattamento, debba essere noto alricercatore al fine di trarre delle conclusioni sucome la QdV dei pazienti cambi in modo diverso

68 Seminari di Ematologia Oncologica

69La qualità di vita

TABELLA 1 - Alcuni strumenti per la rilevazione più rappresentativi e scientificamente solidi da poter impiegare in pazienti con SMD.

Breve Numero di Disponibilità Tempo stimato Principale descrizione domande nella versione di compilazione riferimento

Italiana (minuti) bibliografico

Strumenti generici (non specifici per patologia)SF-36 Strumento generico 36 Sì 5-10 (13)

di QoL, aspecifico per patologia

Strumenti specifici per patologia (oncologia)EORTC Strumento generico 30 Sì 5 (62)QLQ-C30 di QoL per pazienti

oncologici(indipendentementedalla diagnosi oncologica)

FACT-An Fatigue altri problemi 47 Si 10 (63)relativi all’anemia e loro impatto sulla QoL

Strumenti per la valutazione di aspetti specificiMultidimensional Fatigue 20 Si 5 (64)Fatigue Inventory (MFI)

FACIT-Fatigue Fatigue 13 Sì 5 (65)Scale

MDASI Scala che misura diversi tipi 19 Sì 5 (66)(MD Anderson di sintomi rilevantiSymptom in oncologia (esempio,Inventory) dolore e stanchezza)

Hospital Anxiety Ansia e depressione 14 Si 5 (67)and DepressionScale (HADS)

Nota: Questa tavola include solo un breve compendio di alcuni degli strumenti più rappresentativi e sviluppati con criteri metodologicamente robusti cheposso essere impiegati in pazienti con MDS. Nella letteratura ci sono altri strumenti che possono essere impiegati e il lettore interessato può consultarediversi database. Il più rilevante in quest’area è, ad esempio quello del Mapi Research Institute, (http://www.proqolid.org), nel quale è riportata un’ampiacategoria di strumenti per la rilevazione dei PROs.

durante il corso dello studio. Al di là dell’importan-za di avere una valutazione basale, il numero divalutazioni successive dovrà poi fare riferimentoa questioni di natura logistica e clinica. Sarà impor-tante fare in modo, compatibilmente con la logi-stica dello studio, che la compilazione del questio-nario di QdV avvenga, ad esempio, in concomi-tanza con una visita ospedaliera. Inoltre, questadovrà essere collegata ad eventi clinici rilevanti chesi intendono valutare in termini di QdV percepitadal paziente. Altre considerazioni attengono peresempio alla durata dello studio e alle risorse di

cui si dispone. Ad esempio, in uno studio che nonabbia molte risorse in termini di personale e chesi prospetti essere lungo, pianificare delle valuta-zioni frequenti per tutta la durata dello studiopotrebbe risultare velleitario e rischiare di falliresemplicemente per la mole dei dati mancanti (mis-sing data = questionari di QdV mancanti) che nerisulterebbero. Questioni di analisi statistica: valutare la QdV inuno studio prospettico significa chiedere alpaziente di fare una sua breve auto-valutazionein più momenti durante il corso di un trattamen-

to. Pertanto, in uno studio longitudinale esisteran-no sempre una certa quantità di missing data rela-tivi, ad esempio, alla mancata compilazione delquestionario da parte del paziente. Entro certi limi-ti la quantità di missing data è fisiologica all’in-terno di una ricerca clinica. Le ragioni dei missingdata possono essere molte; ed è pertanto fonda-mentale che la gestione di questo aspetto, dalpunto di vista metodologico, venga affrontata conestrema cautela. Il problema dei missing data, esoprattutto della ragione per cui i questionari diQdV possono essere mancanti, è legato princi-palmente alla rappresentatività del campione ana-lizzato. Ad esempio, in un clinical trial che comparassedue tipi di chemioterapia, la sistematica mancan-za di dati di QdV in uno dei due bracci dello stu-dio potrebbe essere correlata agli effetti più tos-sici di quello specifico tipo di chemioterapia. Inquesto caso, quindi, i pazienti potrebbero sem-plicemente non compilare il questionario di QdVperché sono più debilitati fisicamente. In tale ipotetico scenario, quindi, un tipo di ana-lisi statistica che prendesse solo in considerazio-ne tutti i pazienti che hanno compilato il questio-nario, senza utilizzare delle tecniche di imputa-zione dei dati (per quelli mancanti) o comunquedelle analisi più approfondite e sofisticate, potreb-be portare a delle conclusioni completamentefuorvianti. Le analisi statistiche di ricerche che implicano lavalutazione della QdV pongono dei challengesspecifici che non si trovano nelle classiche ana-lisi di sopravvivenza. Un esempio per tutti è che trattandosi di misureripetute effettuate sugli stessi soggetti, c’è comun-que una correlazione implicita tra le diverse misu-razioni e questa va sempre tenuta in considera-zione con particolari modelli statistici e valutatain base allo studio specifico. In conclusione di questa breve sezione metodolo-gica e al fine di offrire uno strumento concreto esemplice che possa guidare il ricercatore nella scrit-tura del protocollo e nella preparazione della pub-blicazione dei dati, si riporta una breve checklist(44) che elenca una serie di parametri essenzialiche dovrebbero essere sempre considerati in fasedi scrittura del protocollo e soprattutto nella pub-blicazione dei dati (Tabella 2).

70 Seminari di Ematologia Oncologica

TABELLA 2 - Criteri minimi per la valutazione della soliditàmetodologica di uno studio di qualità di vita (adattata daEfficace et al. 44).

ITEMS RELATED TO THE CONCEPTUAL DESIGNA priori hypothesis stated Do the authors have a pre-defined PRO endpoint and/orstated expected changes due to the specific treatment?

Rationale for instrument reportedDo the authors report a rationale for selecting a specif-ic PRO measure?

ITEMS RELATED TO THE MEASUREMENTPsychometric properties reported*Assessed if a previously validated measure was usedor psychometric properties were reported or referencedin the paper.

Cultural validity verifiedAssessed if the measure was validated for the specificstudy population.

Adequacy of domains coveredAssessed if the measure covered, at least, the main PROdimensions relevant for a generic cancer populationand/or according to the specific research question.

ITEMS RELATED TO THE METHODOLOGYInstrument administration reportedDo the authors report who and/or in which clinical set-ting the PRO instrument was administered?

Baseline compliance reported*Do the authors report the number of patients by treat-ment arms providing a PRO assessment before the startof treatment?

Timing of assessments documentedDo the authors report the PRO timing of assessment dur-ing the trial?

Missing data documented*Do the authors report the extent of PRO missing dataduring the trial between treatment arms?

ITEMS RELATED TO THE INTERPRETATION OFOUTCOMESClinical significance addressedDo the authors discuss PRO data being clinically signif-icant from a patient’s perspective and not simply statis-tically significant?

Presentation of results in generalDo the authors discuss PRO findings giving any com-ment regardless of the results

71La qualità di vita

n LA RILEVANZA DELLA QdV NEI PAZIENTI CON SMD

Una diagnosi di SMD implica una serie di proble-mi legati alla malattia stessa e ai possibili relati-vi trattamenti che inficiano la QdV dei pazienti.Data l’eterogeneità delle sindromi mielodisplasti-che e i diversi stadi della malattia al momento del-la diagnosi, è difficile prevedere il decorso natu-rale della malattia, anche perché questo è ulte-riormente influenzato da parametri quali l’età edeventuali co-morbilità associate. Alcuni aspettiprincipali che potenzialmente possono avere unimpatto rilevante nella QdV dei pazienti con SMDsono principalmente quelli legati alla fatigue, allanecessità di ricevere, spesso, un supporto trasfu-sionale, alle possibili complicazioni derivanti dal-le infezioni e all’incertezza sul decorso della malat-tia (45, 46). La fatigue è senza dubbio l’aspettomaggiormente evidenziato nella letteratura scien-tifica quale caratterizzante questa patologia.Alcuni studi preliminari suggeriscono anche chela percezione dei livelli di fatigue possa avere unvalore prognostico per la sopravvivenza deipazienti con SMD (47). Comunque, si noti chepochissimi studi nella letteratura hanno quantifi-cato la fatigue dei pazienti tramite l’utilizzo di misu-re soggettive che chiedevano direttamente alpaziente di compiere una auto-valutazione. La pra-tica tradizionale è stata, infatti, quella di desume-re la fatigue dei pazienti esclusivamente attraver-so i livelli di emoglobina. Il supporto trasfusiona-le rimane oggi l’approccio terapeutico di base perla maggior parte dei pazienti SMD e la necessi-tà di sottoporsi a trasfusioni periodiche può limi-tare la capacità di condurre una vita “normale”.Non esistono, comunque evidenze scientifichesostanziali in quest’ambito perché la maggior par-te degli studi che hanno valutato l’impatto delletrasfusioni in pazienti con SMD raramente han-no anche valutato la QdV. Come rilevano anchealcuni autori, sarebbe opportuno che le decisio-ni di trasfondere o meno i pazienti non fosseroesclusivamente dettate dai livelli di emoglobina maanche dal reale livello di percezione di fatigue delpaziente stesso (48). Un altro aspetto con poten-ziali risvolti negativi sul piano della QdV delpaziente è l’accumulo di ferro derivato da unnumero elevato di trasfusioni ma non esistono

attualmente dati rilevanti sulle complicanze delsovraccarico di ferro dal punto di vista delpaziente. Da una recente revisione sistematica di tutti gli stu-di prospettici pubblicati in quest’area dal 1980 adoggi emerge sostanzialmente come la ricerca sul-la QdV in pazienti affetti da SMD sia esigua (49).Ciononostante, alcune conclusioni preliminariderivanti sia da studi prospettici che da alcunirecenti studi crossezionali possono essere trattee vengono di seguito brevemente discusse.

Studi crossezionaliJansen et al. (48) hanno valutato la relazione traalcune aree di QdV con i livelli di emoglobina in50 pazienti. Gli autori hanno comparato il profilodi QdV rispetto ad una popolazione di riferimen-to (soggetti sani simili per età e sesso) evidenzian-do come questi pazienti avessero delle limitazio-ni importanti in diverse aree della loro salute. Inparticolare la scala del funzionamento fisico e del-la fatigue erano gli aspetti maggiormente inficia-ti. Un altro dato interessante è stata la correlazio-ne tra il livello di emoglobina e il livello di fatiguesoggettivo. Sebbene gli autori abbiano trovato unacorrelazione statisticamente significativa (p=0.03)questa era comunque relativamente bassa(r=.031) e gli autori stessi concludevano che laQdV e la fatigue del paziente possono soltanto inparte essere spiegate dai livelli di emoglobina.Thomas et al. (50) hanno valutato la QdV in uncampione di 97 pazienti con un’età mediana di 69anni e il 49% con diagnosi di AREB, evidenzian-do che sebbene il Karnofsky Performance Status(KPS) fosse stato valutato dal medico come alto(media =87) i pazienti indicavano elevati livelli difatigue. Sebbene quest’ultima fosse molto corre-lata ad aspetti legati, ad esempio, al funzionamen-to fisico (r=.77; p<.001), era correlata solo margi-nalmente al KPS riportato dal medico (r=.31,p<.001) e non aveva nessuna correlazione stati-sticamente significativa con i livelli di emoglobina(r=.02, NS). Steensma et al. (51) hanno recentemente valuta-to un ampio campione di 359 pazienti tramite unasurvey via-web. Circa il 90% dei pazienti riporta-va la fatigue quale sintomo principale. Altre que-stioni riportate come rilevanti dal punto di vista deipazienti erano la comparsa di ematomi ed emor-

ragie (55%), sudori notturni (43%) dolore alle ossa(39%) e febbre (28%). L’aspetto più interessantedi questo studio è stata l’assenza di una correla-zione significativa tra la percezione soggettiva del-la fatigue e il livello di emoglobina. Sebbene gliautori avessero utilizzato due strumenti per la rile-vazione della fatigue molto robusti (ovvero il BriefFatigue Inventory-BFI e il FunctionalAssessmentof Cancer Therapy-Anemia-FACT-An) i punteggiottenuti dai pazienti avevano delle correlazioni nonsignificative e molto basse con i livelli di emoglo-bina rispettivamente per i due strumenti: r=.045 er=.037. Questa mancanza di correlazione era sta-ta verificata sia in pazienti che non avevano mairicevuto trasfusioni sia in quelli che avevano rice-vuto trasfusioni.

Studi prospettici non randomizzatiUn sommario degli studi prospettici condotti inquesti pazienti viene riportato nella Tabella 3 dovevengono anche evidenziate le possibili limitazio-ni. Di seguito tali studi vengono sommariamentediscussi.Hellstrom-Lindberg et al. (52), nel contesto di unclinical trial che valutava l’efficacia clinica di eri-tropoietina (EPO) e G-CSF, hanno valutato la QdVdel paziente prima del trattamento e dopo 12 set-timane utilizzando uno degli strumenti di QdV mag-giormente utilizzati in campo oncologico (ovverol’EORTC QLQ-C30). Gli autori hanno comparato il profilo di QdV di que-sti pazienti al baseline con quello della popolazio-ne normale (stratificando l’analisi per sesso ed età)confermando di nuovo che il profilo di QdV di que-sti pazienti è significativamente più basso rispet-to ad una popolazione normale in diverse aree del-la salute, quali fatigue e capacità di funzionamen-to fisico, sociale ed emotivo. Sebbene il numerototale di pazienti che sono stati coinvolti nella valu-tazione della QdV fosse esiguo (n=36) è statonotato un miglioramento nella scala della valuta-zione globale della QdV e della fatigue (misuratesecondo l’EORTC QLQ-C30) nei pazienti cherispondevano alla terapia (n=12) rispetto a quelliche non rispondevano. Stasi et al. (53) hanno valutato la QdV in un grup-po di 53 pazienti con IPSS a rischio basso o inter-medio-1 trattati con Darbepoetina alfa per 24 set-timane utilizzando, quale strumento di valutazio-

ne della QdV, il FACT-An e la Linear AnalogueScale Assessment (LASA). Il risultato principaleè stato un decremento dei livelli percepiti di fati-gue per i pazienti che rispondevano e una corre-lazione significativa tra i cambiamenti dei livelli diemoglobina e alcuni parametri di QdV.Giagounidis et al. (54) hanno valutato la QdV ingruppo complessivo di 29 pazienti trattati conATRA+alpha tocopherol al basale e dopo 90 e 180giorni utilizzando l’EORTC QLQ-C30. Solo su 20pazienti è stato possibile ottenere una valutazio-ne della QdV. In questo studio nessun pazienteha avuto un miglioramento significativo della QdV.Anche Spiriti et al. (55) hanno valutato l’efficaciaclinica dell’Epo in un campione complessivo di 133pazienti con SMD (IPSS a basso rischio) per 24settimane. La valutazione della QdV è stata effet-tuata utilizzando il FACT-An rispettivamente albasale e dopo 4 e 8 settimane con una complian-ce rispettivamente del 77% (103 pazienti), 73%(97) e 65% (86 pazienti). La principale evidenza emersa è stata un decre-mento nella percezione soggettiva della fatigue peri pazienti responsivi alla terapia e una correlazio-ne significativa tra livelli di emoglobina e perce-zione della fatigue. Un risultato simile, nonostante l’esiguo numero dipazienti coinvolti nello studio (n=11), è stato otte-nuto da Clavio et al. (56) che hanno utlizzato ilFACT-An in pazienti trattati con EPO evidenzian-do un miglioramento della QdV nei pazientiresponsivi alla terapia.

Studi prospettici randomizzatiBalleari et al. (57) hanno comparato l’efficaciadell’EPO e G-CSF con EPO misurando anche laQdV (con il questionario FACT An) al baseline edopo 8 e 16 settimane di trattamento. Complessivamente i pazienti arruolati sono stati30 (15 per braccio) e il numero di pazienti per cuiera disponibile una valutazione della QdV a basa-le e alla 8a settimana era di soli 18 pazienti. Alla16 settimana il numero di pazienti con una valu-tazione della QdV era ulteriormente inferiore (4 nelbraccio EPO e 9 in quello EPO +G-CSF) non per-mettendo una analisi adeguata dei dati. Gli effetti dell’ EPO e G-CSF sono stati analizza-ti nel contesto di uno studio randomizzato in cui29 pazienti sono stati assegnati al braccio speri-

72 Seminari di Ematologia Oncologica

73La qualità di vita

TABELLA 3 - Overview degli studi prospettici che hanno valutato aspetti di QoL in pazienti con SMD.

Autore/anno di Tipo di N. di Trattamento Strumento Principali risultati Principali limitazionipubblicazione studio pazienti utilizzato dello studio

(valutazionedi QoL)

Stasi et al., Non-RCT 53 Darbepoetin FACT-An; Miglioramento della Campione di2005 (53) alfa LASA QoL nei rispondenti pazienti esiguo

alla terapia, specialmente in riferimento alla fatigue

Giagounidis Non-RCT 20 ATRA + EORTC Nessun miglioramento Campione diet al., 2005 Tocopherol- QLQ-C30 rilevante di QoL pazienti esiguo(54) alfa

Spiriti et al., Non-RCT 103 rHEPO alfa FACT-An Miglioramento della QoL Nessuna limitazione2005 (55) nei rispondenti alla terapia sostanziale

Clavio M et al., Non-RCT 11 rHEPO alfa FACT-An Miglioramento della QoL Campione di2004 (56) nei rispondenti alla pazienti esiguo

terapia

Hellstrom- Non-RCT 36 rHEPO EORTC Miglioramento della QoL Campione diLindberg et al., beta+G-CSF QLQ-C30 nei rispondenti alla terapia pazienti esiguo2003 (52)

Kantarijan et al., RCT 170 decitabine EORTC Miglioramento di alcuni Molti dettagli relativi 2006 (61) versus QLQ-C30 aspetti di QoL per i al design della

supportive pazienti trattati con valutazione dellacare Decitabine QoL non riportati

nella pubblicazione (ad esempio, missing QoL data durante il trial)

Balleari et al., RCT 18 rHEPO FACT-An Nessuna differenza tra Campione di2006, (57) Beta versus i due bracci in termini pazienti esiguo

rHEPO Beta di QoL ma, in generale,+ G-CSF Filgrastim un miglioramento della

QoL nei rispondenti alla terapia

Casadevall et al., RCT 57 rHEPO alfa FACT-An Nessuna differenza Campione di2004 (58) + G-CSF tra i due bracci in termini pazienti esiguo

lenograstim di QoL ma, in generale,versus un miglioramento della

supportive QoL nei rispondenti alla care terapia

Kornblith et al., RCT 189 azacitidine EORTC Miglioramento di alcuni Nessuna limitazione2002 (69) versus QoL aspetti di QoL per i sostanziale

supportive C30; Mental pazienti trattati concare Health azacytidine

Inventory;

Leggenda: EORTC QLQ-C30: European Organization for Research and Treatment of Cancer Quality of Life Questionnaire; FACT-An: Functional Assessmentof Cancer Therapy-Anemia; RCT: randomized controlled Trial

mentale (EPO e G-CSF) e 28 al braccio di con-trollo che consisteva nel supporto trasfusionale alloscopo di mantenere i livelli di emoglobina sopragli 8 g/dl. La QdV era stata misurata con il FACT-An e l’unica differenza degna di nota è stata unlieve incremento nel profilo di QdV tra la valuta-zione al baseline e la settimana 28 per i pazien-ti del braccio sperimentale. Sostanzialmente nonvi era nessuna differenza significativa tra i duebracci in termini di QdV, in questo studio vi è sta-ta comunque un’elevata percentuale di missingdata che ha inficiato quindi la possibilità di trarreulteriori conclusioni (58). Un studio randomizzato di fase III condotto dalCALGB ha valutato l’efficacia clinica dell’Azacitidina(AZA) e terapia di supporto comparata con la solaterapia di supporto (59) in un gruppo complessi-vo di 191 pazienti con SMD. In questo studio, comespesso avviene nel contesto dei clinical trials, laQdV era stata introdotta nel protocollo di ricercacome endpoint secondario e i risultati sono statipubblicati separatamente (60). La terapia di sup-porto consisteva sostanzialmente nel supporto tra-sfusionale e nell’uso di antibiotici. La QdV era sta-ta valutata con l’EORTC QLQ-C30 ed il MentalHealth Inventory (MHI) in modo prospettico, ovve-ro, prima della randomizzazione, dopo il 2° e 4°ciclo di AZA e dopo 6 mesi dall’inizio del trattamen-to. Il risultato principale ottenuto era che i pazien-ti trattati con AZA avevano dei minori livelli di fati-gue, dispnea e disagio psicologico e un maggiorlivello percepito nella scala delle capacità di “fun-zionamento fisico”. Kantarjian et al. (61) hanno condotto uno studiorandomizzato su 170 pazienti al fine di compara-re l’efficacia clinica della decitabina (n=89) versoterapia di supporto (n=81). La QdV in questo stu-dio è stata valutata come endpoint secondario uti-lizzando l’EORTC QLQ-C30. Gli autori affermava-no che i pazienti trattati con decitabina riportava-no punteggi più elevati in alcune scale dell’EORTCQLQ-C30, in particolare la scala della valutazio-ne globale della salute (alla fine del 2° e del 4°ciclo di terapia), fatigue (alla fine del 2°, 4°, 5° e6° ciclo di terapia), e dispnea (alla fine 6° ciclo diterapia). Comunque, in questo report una serie diaspetti legati alla metodologia della valutazione del-la QdV non venivano riportati pertanto, attualmen-te, risulta difficile trarre conclusioni sul reale bene-

ficio della decitabina rispetto alla terapia di sup-porto in termini di QdV percepita dal paziente. Adesempio, non veniva riportato il numero dei que-stionari mancanti (missing data) durante il corsodelle diverse valutazioni di QdV e altri dettagliimportanti che sarebbero stati utili ad avere un qua-dro più esauriente della QdV dei pazienti.

n CONCLUSIONI

Sebbene gli studi sulla QdV in oncologia sianoaumentati in modo esponenziale negli ultimi ven-ti anni, apportando delle informazioni clinicamen-te molto utili al fine di comprendere meglio l’effi-cacia del trattamento dal punto di vista delpaziente, questo riguarda principalmente l’area deitumori solidi. In generale, le evidenze scientificheattualmente disponibili per pazienti con patologieematologiche non sono ancora così corpose; inparticolare, la scarsità di studi è ancora più evi-dente nel campo delle SMD. Gli studi attualmen-te disponibili sono pochi e molti di questi presen-tano delle limitazioni metodologiche che ne impe-discono una interpretazione clinica sufficientemen-te esauriente. Uno studio che implichi la valuta-zione della QdV deve necessariamente esserecondotto seguendo dei criteri rigorosi al fine dipoter offrire delle informazioni utili. Comunque, è anche opportuno sottolineare chegli studi che hanno cominciato ad occuparsi di QdVin pazienti con SMD sono abbastanza recenti inquanto le prime pubblicazioni sono apparse solodopo il 2000. Ad ogni modo, l’esigua letteraturaad oggi disponibile sottolinea che l’introduzione diquesto tipo di outcome nella ricerca clinica è fat-tibile e può potenzialmente portare a delle eviden-ze scientifiche di assoluto rilievo nel facilitare sem-pre più le scelte mediche. Nell’ambito degli studi prospettici randomizzaticondotti in pazienti con SMD, l’evidenza più impor-tante riguarda il miglioramento della QdV deipazienti trattati con AZA rispetto alla terapia di sup-porto. Per quanto attiene ai possibili vantaggi intermini di QdV con l’impiego della decitabina(rispetto alla terapia di supporto) risulta ad oggidifficile trarre delle conclusioni robuste data lamancanza di importanti aspetti metodologici nonriportati nel lavoro. Un altro aspetto che emerge,

74 Seminari di Ematologia Oncologica

75La qualità di vita

è che la percezione della fatigue del paziente nonpuò essere desunta esclusivamente dal livello diemoglobina ed è auspicabile che futuri studi neipazienti affetti da SMD utilizzino solidi strumentiper valutare la fatigue secondo la prospettiva delpaziente stesso. L’auto-valutazione del paziente è oggi, infatti, ilgold standard internazionale per l’ottenimento diinformazioni relative alla QdV e non può mai esse-re sostituito da misurazioni indirette.

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