weekly report n°3/2016

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www.bloglobal.net N°3, 17-23 GENNAIO 2016 ISSN: 2284-1024

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Rassegna settimanale a cura dell'Osservatorio di Politica Internazionale (OPI) // (17-23 gennaio 2016)

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N°3, 17-23 GENNAIO 2016

ISSN: 2284-1024

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Weekly Report Osservatorio di Politica Internazionale (OPI) © BloGlobal – Lo sguardo sul mondo

Milano, 24 gennaio 2016 ISSN: 2284-1024 A cura di: Davide Borsani Agnese Carlini Giuseppe Dentice Danilo Giordano Antonella Roberta La Fortezza Giorgia Mantelli Violetta Orban Maria Serra Alessandro Tinti

Questa pubblicazione può essere scaricata da: www.bloglobal.net

Parti di questa pubblicazione possono essere riprodotte, a patto di fornire la fonte nella seguente forma:

Weekly Report N°3/2016 (17–23 gennaio 2016), Osservatorio di Politica Internazionale (OPI), Milano 2016, www.bloglobal.net

Photo Credits: Associated Press; AFP; A. Majeed/Agence Presse France-Getty Images; SPA/Reuters.

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FOCUS

CINA-MEDIO ORIENTE ↴

Il Presidente cinese Xi Jinping ha compiuto dal 19 al 23 gennaio la sua prima

visita di Stato in Medio Oriente dove ha incontrato gli omologhi di Arabia Saudita,

Egitto e Iran. La significativa visita è giunta nel bel mezzo di un forte scontro politico

tra Arabia Saudita e Iran, dovuto all’esecuzione da parte di Riyadh di Nimr Baker al-

Nimr, eminente rappresentante del clero sciita saudita, e delle conseguenti proteste

popolari verificatesi in tutto il Medio Oriente sciita: sin dall’inizio delle manifestazioni

la Cina si è infatti proposta quale mediatore politico tra gli antichi rivali per svol-

gere un ruolo attivo di promozione per la pace e la stabilità nella regione.

Allo stesso tempo questo tour diplomatico si inserisce in un momento molto im-

portante per la politica estera cinese, che mira ufficialmente ad affermare la Cina

quale potenza globale alla pari di Stati Uniti e Russia, anche in altri teatri rilevanti

come il Medio Oriente. Infatti, il viaggio di Xi ha portato alla firma di importanti

accordi di cooperazione economica e di partnership strategica, che hanno tut-

tavia importanti risvolti di carattere politico come le intese firmate con l’Egitto in

favore dei palestinesi di Gaza. Proprio sulla crisi israelo-palestinese Pechino ha rilan-

ciato nuovamente dal Cairo l’idea di porsi come unico mediatore super-partes

plausibile nel dialogo di pace tra l’Autorità Palestinese e il governo di Tel

Aviv, in quanto unica potenza globale capace di poter dialogare senza creare attriti

contro entrambe le parti.

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Xi Jinping, inoltre, è stato il primo leader a recarsi a Teheran dopo lo scoccare

dell’Implementation Day e la fine ufficiale delle sanzioni della comunità interna-

zionale nei confronti dell’Iran, nell’ambito degli accordi sulla gestione del nucleare

persiano. Arabia Saudita, Egitto e Iran rappresentano degli importanti partner del

gigante cinese non solo dal punto di vista energetico, ma anche per la realizzazione

dell’ambizioso progetto di sviluppo interregionale orientato verso i mercati occidentali

“One Belt, One Road” (OBOR), quale combinazione del corridoio terrestre, Silk

Road Economic Belt, e di quello marittimo, la Maritime Silk Road.

Il viaggio di Xi Jinping, a distanza di sette anni dall’ultima visita di un leader cinese

nell’area, giunge subito dopo la pubblicazione dell’Arab Policy Paper (qui il link),

ovvero il documento ufficiale del governo cinese che delinea chiaramente gli indirizzi

politici della Terra di Mezzo nei confronti del Medio Oriente.

LA NUOVA VIA DELLA SETA SECONDO PECHINO – FONTE: XINHUA, US DEPARTMENT OF DEFENSE, GAZPROM, TRANSNEFT, UN, THE WALL STREET JOURNAL

Nella prima tappa in Arabia Saudita, Xi Jinping ha incontrato il Re Salman e ha pre-

senziato all’apertura di un impianto di raffinamento sino-saudita nell’area industriale

della città di Yanbu, sul Mar Rosso. Durante la due giorni di visita, Cina ed Arabia

Saudita, rispettivamente il maggiore importatore di petrolio al mondo ed il maggior

produttore, hanno siglato 14 tra accordi commerciali e memorandum of under-

standing, inclusi importanti contratti energetici e infrastrutturali per sostenere gli

scambi e la costruzione di un impianto nucleare, per un valore totale di 15 miliardi di

dollari. Il Presidente cinese si è augurato, inoltre, la fine di ogni ostilità con l’Iran,

mentre ha espresso il proprio sostegno per la campagna militare che Riyadh sta so-

stenendo nello Yemen, a sostegno del Presidente legittimo Abd Rabbu Mansour Hadi

contro l’avanzata dei ribelli Houthi.

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Nel suo incontro con il Presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi, Xi Jinping ha annun-

ciato il sostegno economico cinese nella realizzazione di progetti infrastrut-

turali in Egitto e nello sviluppo delle attività produttive, nonché nel settore bancario

e in quello dell’innovazione, per un valore complessivo di 15 miliardi di dollari. Pechino

ha infine stipulato due accordi per la concessione di prestiti per un valore totale di

1,7 miliardi di dollari. Il progetto su cui si è concentrata maggiormente l’attenzione

di Xi Jinping è stato la creazione di una zona economica speciale nell’area in-

dustriale a ridosso del Canale di Suez, che servirà ad implementare la strategicità

egiziana all’interno dello scacchiere mediorientale cinese e nella definizione della

“Nuova Via della Seta”. La visita è stata l’occasione inoltre per cementare le storiche

e sessantennali relazioni bilaterali, tra le più lunghe e antiche nella regione. I rapporti

tra i due Paesi si sono mostrati particolarmente stretti nel settore militare, con l’Egitto

che compra parte dei propri armamenti dalla Cina, e nell’ambito aerospaziale. Al ter-

mine del bilaterale con il Presidente egiziano, Xi Jinping ha incontrato i rappre-

sentanti della Lega Araba, che ha sede proprio nella capitale egiziana, per discu-

tere di economia e delle crisi politiche nella regione, tra cui quella israelo-palestinese.

Nella sua ultima tappa in Iran, Xi Jinping ha siglato 17 accordi di cooperazione

commerciale, energetica (soprattutto nel nucleare), culturale e giudiziaria

con l’Iran che aumentano l’importanza della Cina per le politiche commerciali del

Paese persiano. Nonostante le sanzioni della comunità internazionale, Pechino è il

principale partner commerciale di Teheran da sei anni, con un volume di scambi bila-

terali, principalmente concentrati nell’ambito energetico, stimato attorno ai 52 mi-

liardi di dollari, con la Cina che è il principale consumatore del petrolio iraniano.

Obiettivo dell’aggiornamento del rapporto bilaterale è l’aumento dell’interscambio

commerciale fino a 600 miliardi di dollari.

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SIRIA-IRAQ ↴

L’apertura a Ginevra dei colloqui di pace per la risoluzione della guerra civile siriana

rischia di essere posticipata oltre la data ufficiale del 25 gennaio a causa del disac-

cordo delle parti sulla titolarità dei gruppi di opposizione ammessi al tavolo

delle trattative. L’Inviato Speciale ONU per la Siria, Staffan de Mistura, ha avvertito

che non convocherà la sessione negoziale in assenza del riconoscimento del suo man-

dato a definire la composizione delle delegazioni e di una sottoscrizione unanime della

lista dei partecipanti. A compromettere l’avvio del processo diplomatico è dunque lo

scontro tra le potenze regionali e internazionali coinvolte nella crisi rispetto a quali

fazioni ribelli siano legittimate a discutere con il governo di Damasco del futuro as-

setto politico.

De Mistura si è mostrato particolarmente critico nei riguardi dell’Arabia Saudita, ad-

debitando a Riyadh il veto sull’allargamento della rappresentanza delle opposizioni.

L’Alto Comitato delle Negoziazioni promosso dalla diplomazia saudita ha infatti chiuso

nettamente, per voce del coordinatore Riyad Farid Hijab, all’associazione di altri

gruppi ribelli al processo di pace. Hijab, già Primo Ministro di al-Assad tra il giugno e

l’agosto 2012, ha inoltre annunciato che i lavori del Comitato saranno condotti

da Asad al-Zoubi e Mohammed Alloush – quest’ultimo espressione del Jaysh al-

Islam sotto le cui insegne operano brigate islamiste e salafite radicali che Mosca e

Teheran, garanti del Presidente siriano Bashar al-Assad, considerano organizzazioni

terroristiche alla stregua di Jabhat al-Nusra e Stato Islamico (IS) e perciò incompa-

tibili con il disegno della transizione siriana.

La polarizzazione delle relazioni regionali sull’asse sciita-sunnita, recentemente ina-

sprita dall’esecuzione del religioso sciita Nimr Baker al-Nimr e dalla cessazione

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dell’embargo iraniano, pregiudica in tal senso la convergenza su una soluzione con-

divisa. La stessa Turchia accusa la Russia di mettere a repentaglio il processo

di pace e minaccia di disertare l’incontro di Ginevra qualora le milizie e i partiti curdi

siano invitati ai colloqui. Per contro il Cremlino annota la complicità di Ankara

con i gruppi Jabhat al-Nusra e Ahrar al-Sham che combattono le truppe gover-

native ad Aleppo, mentre l’esclusione dei curdi siriani – preziosi alleati degli Stati

Uniti nella repressione dei guerriglieri del Califfato islamico nel nord della Siria – è

parimenti rigettata anche dalle potenze occidentali. A questo proposito, l’inviato della

Russia alle Nazioni Unite, Vitaly Churkin, ha espresso la necessità che il Partito curdo

di Unione Democratica (PYD) prenda parte ai negoziati, auspicando inoltre che siano

invitati anche i leader delle opposizioni che in agosto si erano incontrati a Mosca con

il Ministro degli Esteri Sergej Lavrov.

La Casa Bianca è intervenuta tempestivamente per superare il punto morto raggiunto

dalle trattative, inviando il Segretario di Stato John Kerry e il vice Presidente Joe

Biden rispettivamente a Riyadh e Ankara. Se la diplomazia statunitense ha rico-

nosciuto la preminenza dell’Alto Comitato delle Negoziazioni, Kerry è intenzionato a

ottenere la disponibilità delle potenze sunnite del Golfo rispetto alla convocazione a

Ginevra di altre delegazioni rappresentative delle parti in conflitto nello scenario si-

riano. In una conferenza stampa congiunta con il Primo Ministro turco Ahmet Davu-

toğlu, Biden ha sfoggiato un registro compiacente con l’ambivalente alleato turco,

equiparando il separatismo curdo alla minaccia jihadista e avvisando che Stati Uniti

e Turchia sono pronti a percorrere una soluzione militare contro l’IS qualora non si

giunga alla definizione di un accordo politico tra governo siriano e opposizioni ribelli.

Al cuore del lungo incontro bilaterale, la delegazione statunitense ha offerto i propri

uffici per mediare i rapporti tesi con Baghdad (il governo turco ha firmato un memo-

randum sul conteso utilizzo della base di Bashiqa) e il rafforzamento delle misure di

controllo sulla porosa frontiera meridionale in cambio di un accordo che consenta agli

Stati Uniti di incrementare il peso specifico degli asset militari nel nord dell’Iraq in

vista dell’offensiva dell’esercito iracheno e dei Peshmerga curdi su Mosul, resa ba-

luardo dei guerriglieri del Califfato. L’iniziativa condotta da Biden sembra smar-

care l’amministrazione Obama da una linea di non intervento che ha lunga-

mente caratterizzato l’esposizione americana nello scenario, ma che deve leggersi

secondo la duplice finalità di arruolare fattivamente la Turchia di Erdoğan – incline a

incitare i gruppi salafiti siriani in chiave anti-Assad – contro l’IS e di bilanciare l’in-

fluenza russa nella composizione della partita siriana. Benché Biden abbia tracciato

una netta distinzione di legittimità tra il Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK),

nemico giurato di Ankara, e il PYD, Davutoğlu si è tuttavia mostrato irremovibile

sull’inclusione del secondo nei negoziati di pace in virtù della vicinanza alla causa

separatista rivendicata dal PKK.

Proprio nel Kurdistan siriano, il corpo di spedizione statunitense inviato a sostegno

delle milizie curde sta espandendo la base aerea di Rmelan allo scopo di aumen-

tare i rifornimenti di armi e allestire un hub operativo per la flotta americana nel

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nord-est della Siria. Analogamente, i militari russi avrebbero messo gli occhi sulla

pista d’atterraggio nella vicina Qamishli, formalmente controllato dalle truppe gover-

native di al-Assad. Data la prossimità al confine turco e la sovrapposizione all’area in

cui agiscono i reparti speciali statunitensi, l’interesse russo desta ragionevoli preoc-

cupazioni.

In definitiva, la frammentazione del fronte delle opposizioni e le complesse relazioni

di reciprocità con le terze parti coinvolte nella crisi sembrano avvantaggiare Assad,

forte del ribaltamento dei rapporti di forza determinato dall’ingresso militare della

Russia a fianco delle logore divisioni governative.

Staffan de Mistura si è appellato ai membri permanenti del Consiglio di Sicurezza

ONU per imporre alle fazioni combattenti la cessazione degli assedi intorno a

quattordici aree, tra cui i villaggi di Madaya, Mouadamiya, Foua e Kefraya. Il diplo-

matico ha aggiunto che il governo guidato da Assad ha ignorato ottanta richieste di

accesso alle aree sotto assedio dell’esercito lealista sulle centotredici complessiva-

mente presentate dalle agenzie ONU nell’ultimo anno. Tra le potenze europee, il Se-

gretario della Difesa britannico Michael Fallon ha deplorato le vittime civili provocate

dagli attacchi russi. L’Osservatorio siriano per i diritti umani stima che solo nell’ultimo

mese più di mille civili abbiano perso la vita sotto i bombardamenti russi.

A seguito di un incontro con i Ministri della Difesa di sette Paesi della coalizione in-

ternazionale costituitasi contro la minaccia del Califfato, il Presidente francese Fra-

nçois Hollande ha segnalato che il ritmo della campagna aerea subirà una

decisa accelerazione al fine di agevolare la caduta dei due centri di potere dell’IS,

Raqqa in Siria e Mosul in Iraq. A questo proposito, il Ministro della Difesa iracheno

Khaled al-Obeidi è sicuro che le forze di sicurezza monteranno l’attacco su Mosul

entro la prima metà del 2016. In crescente difficoltà per i bombardamenti occidentali,

il Califfato ha ridotto l’esposizione e dimezzato i salari dei propri combattenti, senza

tuttavia rinunciare ad attacchi mirati in molteplici zone sensibili, in particolare tra

Ramadi e Falluja, come pure attorno a Tikrit.

L’Alto Commissariato ONU per i Diritti Umani ha pubblicato un Rapporto che denuncia

il drammatico impatto del conflitto sulla popolazione irachena. Tra il gennaio

2014 e l’ottobre 2015 sono almeno 18.800 e 36.000 i morti e i feriti civili; oltre tre

milioni gli sfollati. Il rapporto documenta non solo l’efferatezza delle stragi compiute

dall’IS, ma anche le gravi violazioni del diritto internazionale umanitario e gli abusi

commessi dall’esercito iracheno, le milizie popolari sciite e i Peshmerga curdi. Amne-

sty International ha anch’essa diffuso un Rapporto indipendente che evidenzia la de-

liberata distruzione da parte dei guerriglieri curdi di tredici villaggi nel nord dell’Iraq,

abitati da comunità arabe e strappati ai miliziani del Califfato.

Questi rilievi testimoniano la severità delle rivalità settarie e inter-confessionali.

Mu’en al-Khadimi, portavoce della Brigata Badr, ha esplicitato chiaramente che le

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milizie sciite non accetteranno la permanenza dei Peshmerga a Kirkuk e Tuz Khur-

matu. L’andamento del conflitto con i jihadisti dell’IS e la disfatta iniziale dell’esercito

iracheno avevano offerto al Kurdistan iracheno l’opportunità di estendere e consoli-

dare l’influenza nell’area, assumendo il controllo degli importanti giacimenti petroli-

feri. L’avvertimento sopraggiunto dal fronte sciita indica tuttavia che la competizione

territoriale su Kirkuk è stata deposta solo provvisoriamente. Già in novembre erano

esplosi degli scontri tra le formazioni paramilitari sciite del Fronte di Mobilitazione

Popolare e i Peshmerga.

La situazione è ancor più tesa a Basra, dove i maggiori gruppi sciiti – l’Organiz-

zazione Badr, Kata’ib Sayyid al-Shuhada, Kata’ib al-Imam Ali, e il Movimento Nujaba

– hanno respinto l’invio dell’esercito regolare ordinato da Baghdad per contenere la

crescente violenza tribale; un rifiuto peraltro emblematicamente concretizzato da uno

scambio a fuoco tra i militari iracheni e i miliziani di Kata’ib Sayyid al-Shuhada presso

un posto di blocco.

A confermare ulteriormente la fragilità dell’esecutivo guidato da Haider al-Abadi, i

rappresentanti sunniti hanno deciso di boicottare due sessioni parlamentari

per protestare contro l’impunità delle milizie sciite responsabili dei rastrellamenti a

Muqdadiyah e per richiedere il disarmo dei gruppi irregolari nella provincia di Diyala.

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BREVI

AFGHANISTAN, 17-20 GENNAIO ↴

Un’autobomba è esplosa al passaggio di un minibus

che stava trasportando gli impiegati di un canale

televisivo privato legato all’emittente TOLO News,

causando la morte di sette persone. L’attentato,

avvenuto il 20 gennaio nei pressi dell’Ambasciata russa

a Kabul, è stato rivendicato dai Taliban e rappresenta

l’ultimo di una serie di atti terroristici nella capitale afghana miranti ad interrompere

la ripresa dei colloqui per giungere ad una soluzione pacifica della crisi del Paese

centrasiatico. I miliziani Taliban avevano minacciato apertamente in passato le reti

televisive, ree di aver diffuso alcune immagini di esecuzioni sommarie, violenze e

stupri avvenuti all’epoca della presa di Kunduz. Benchè non coinvolta nell’attentato,

l’Ambasciata russa non è stata la prima rappresentanza diplomatica ad essere stata

colpita in questo inizio 2016: il 17 gennaio, un razzo è stato lanciato deliberatamente

contro la sede dell’Ambasciata italiana a Kabul, casando molti danni alla struttura ma

soltanto due feriti tra le guardie a protezione dell’edificio. Gli attentati ai danni di

rappresentanze diplomatiche sembrano un messaggio rivolto direttamente ai

rappresentanti di Afghanistan, Pakistan, Stati Uniti e Cina che si sono incontrati a

Kabul per il secondo meeting del Quadrilateral Coordination Group (QCG), il quartetto

incaricato di trovare una nuova roadmap per il processo di riconciliazione nazionale

afghano. Al termine dei colloqui di Kabul, i rappresentanti del QCG hanno espresso

la loro soddisfazione per i risultati raggiunti, ma le decisioni effettive verrano prese

al prossimo Vertice di Islamabad, alla cui partecipazione auspicano anche i Taliban.

Nonostante i rinnovati tentativi diplomatici, nelle ultime settimane gli insorti afghani

hanno lanciato un’offensiva su tre distretti strategici nella provincia meridionale di

Helmand, area pressochè disabitata ma importante per i traffici di oppio. Oltre alla

rinnovata intraprendenza dei Taliban, dovuta sia alla problematica successione del

Mullah Omar sia all’apparizione dei miliziani del sedicente Stato Islamico, è da

registrare anche un cambio di strategia dei medesimi i cui attacchi non sono più

limitati esclusivamente alle stagioni più permissive dal punto di vista meteorologico,

ma ormai si sviluppano durante tutto l’anno. Inoltre, come riportato anche dai

responsabili delle forze di sicurezza locali, sempre più spesso i Taliban compiono

attacchi lampo che non pemettono agli afghani di mettere in campo le giuste

contromisure.

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LIBIA, 19 GENNAIO ↴

Con due giorni di ritardo rispetto a quanto previsto

dagli accordi di Skhirat del dicembre scorso, il Consiglio

di Presidenza Libico, l’organo collegiale attualmente

facente funzioni di Capo di Stato, ha nominato i membri

del nuovo governo di unità nazionale libico. L’esecutivo

ha attualmente sede a Tunisi, data la difficoltà

ambientale e di sicurezza di Tripoli. Il ritardo nella nomina è stato dovuto

principalmente alle difficoltà sorte in merito al Dicastero della Difesa e al ruolo del

generale Khalifa Haftar. Il Ministero è stato alla fine affidato, con un compromesso,

ad un fedele di Haftar: Madhy Ibrahim al-Barghthy. Il nuovo Governo si compone di

32 Ministri e 4 vice Ministri eletti proporzionalmente al fine di rappresentare le tre

principali regioni libiche (Tripolitania, Cirenaica e Fezzan) e in generale i delicati

equilibri tra fazioni e tribù presenti sul territorio. Per poter iniziare ad operare

concretamente il nuovo governo dovrà ora superare l’approvazione dei due

Parlamenti libici, quello di Tripoli e quello di Tobruk; numerose le difficoltà e i dubbi

circa il futuro di questo governo, soprattutto se si considera il mancato appoggio delle

due Assemblee all’accordo relativo allo stesso Consiglio che lo ha eletto. Del resto

anche qualora tale approvazione dovesse giungere, il nuovo governo dovrà faticare

non poco per trovare una base di consensi in un Paese così lacerato e diviso. La

situazione rimane, dunque, estremamente delicata sia dal punto di vista politico sia

militare. Indubbiamente, il governo appena nominato rappresenta la speranza per

l’Occidente di trovare un interlocutore credibile con cui dialogare per gestire i

problemi legati all’immigrazione e all’avanzata dello Stato Islamico (IS). E infatti,

crescono i timori per l’offensiva lanciata dall’IS in quella che è chiamata la Mezzaluna

petrolifera (la zona costiera intorno a Sirte): da ultimo, il 21 gennaio, i miliziani

affiliati all’organizzazione del califfo al-Baghdadi hanno attacco i terminal petroliferi

libici di Ras Lanuf.

MOLDAVIA, 20 GENNAIO ↴

Con 57 voti a favore, il Parlamento moldavo ha votato

la fiducia al governo di Pavel Filip, esponente del Partito

Democratico della Moldavia (PDM), ex Ministro delle

Comunicazioni e incaricato alcuni giorni prima dal

Presidente della Repubblica Nicolae Timofti per porre

fine alla fase di instabilità politica nazionale che si

protrae dalle elezioni del novembre 2014. Dopo la

bocciatura ad inizio anno del designato Ion Sturza, la

mancanza di una convergenza sull’esecutivo Filip avrebbe difatti comportato lo

scioglimento dell’Assemblea e il ricorso ad elezioni anticipate. Accusati di corruzione

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e di coinvolgimento nello scandalo degli istituti di credito moldavi, che ha peraltro

portato all’arresto dell’ex Primo Ministro Vlad Filat, nell’ultimo anno i partiti filo-

europeisti (PDM, PLDM e PL) – riuniti nella coalizione “Alliance for European

Integration III” – hanno espresso quattro Premier (di cui due facenti funzioni), senza

tuttavia disporre della sufficiente fiducia per proseguire sul percorso riformistico, e in

particolare di avvicinamento alle strutture comunitarie, promosso dal 2009 dai

governi dello stesso Filat e di Iurie Lencă. Di fronte all’assunzione dell’incarico da

parte di Filip, le opposizioni moldave filo-russe (il Partito Socialista e il Partito

Comunista) sono nuovamente scese in piazza per protestare: nell’assalto al palazzo

del Parlamento di Chișinău da parte di alcuni gruppi di manifestanti, dispersi poi dalla

polizia con gas lacrimogeni, sono rimaste ferite 31 persone, di cui 27 agenti. Malgrado

l’impasse politica sia riconducile ad una frattura sull’orientamento di politica estera

del Paese, acuitasi dopo la crisi in Ucraina e alimentata dalla questione della

Transnistria (la regione orientale separatista che dopo la proclamata annessione della

Crimea alla Russia ha fatto formalmente richiesta di ritorno sotto la sovranità

moscovita), il portavoce del Cremlino Dmitrij Peskov ha richiamato le opposizioni ad

astenersi da atti di violenza, chiedendo tuttavia alle autorità di prendere in

considerazione le istanze della minoranza parlamentare. E’ indubbio tuttavia che il

ritorno alle urne nel breve periodo potrebbe verosimilmente segnare la vittoria delle

stesse formazioni filo-russe, con evidenti ricadute sul processo di integrazione

europea che aveva conosciuto una svolta significativa nel corso del 2014 con

l’ottenimento della liberalizzazione dei visti e la firma – nonostante le restrizioni

economiche imposte dal Cremlino – dell’Accordo di Associazione e Stabilizzazione con

Bruxelles.

PAKISTAN, 20 GENNAIO ↴

Nel nord ovest del Pakistan si è consumato un altro

massacro da parte dei gruppi scissionisti Taliban

pachistani in cui hanno perso la vita almeno 20

persone, ferendone altre 50. L’assalto è avvenuto

all’università Bacha Khan, a Charsadda, nella

provincia del Khyber Pakhtunkhwa. Nell’attacco

sarebbero stati uccisi locali i quattro terroristi dalle

forze di sicurezza, mentre cinque sospetti militanti e fiancheggiatori sono stati

arrestati. Una sesta persona è ancora ricercata. Secondo una prima ricostruzione

degli inquirenti, i militanti sarebbero giunti in Pakistan attraversando il confine dalla

frontiera afghana di Torkham. Una presunta rivendicazione dell’atto è stata effettuata

dal comandante di Tehreek-e-Taliban Pakistan (TTP), Omar Mansoor, prima di essere

smentita poche ore dopo sia dai vertici dell’organizzazione, sia dal portavoce del

gruppo, Muhammad Khurasani, che ha invece condannato l’attacco avvertendo che

«chiunque abbia utilizzato il nome del TTP per questa attività anti-islamica (...) sarà

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punito in base alla shari’a islamica». Questo attentato rappresenta il secondo peggior

atto di terrorismo avvenuto nel Paese a distanza solo di quattordici mesi dall’attacco

alla scuola militare di Peshawar, in cui persero la vita 132 ragazzi. Da allora le forze

pachistane hanno ucciso ed arrestato un centinaio di militanti del gruppo. Per i gruppi

talebani in Pakistan e in Afghanistan gli attacchi di soft target (ad esempio università

o scuole) sono diventati un pilastro fondamentale nella strategia di insorgenza contro

le autorità politiche locali e centrali. Da Davos, dove era impegnato nella settimana

del World Economic Forum, il Primo Ministro pachistano, Nawaz Sharif, ha assicurato

che il governo farà qualsiasi cosa per sdradicare la minaccia terroristica dal Paese.

TUNISIA, 20 GENNAIO ↴

Da circa una settimana non conoscono sosta le

proteste sociali partite dalla città di Kasserine, nel sud-

est del Paese, al confine tra Tunisia e Algeria. Da giorni

infatti centinaia di giovani protestano per rivendicare il

diritto al lavoro e accusano la pubblica

amministrazione di corruzione dilagante. Le tensioni e

gli scontri si sono inaspriti quando il giovane disoccupato Ridha Yahyaoui, che

manifestava contro la cancellazione del suo nome dalla lista degli ammessi ad un

incarico presso il Dipartimento Regionale dell’Istruzione, è morto fulminato dopo

essere salito su un pilone della corrente elettrica durante un sit-in. Fino ad ora si

contano 41 feriti tra agenti e forze di sicurezza, mentre uno di loro, rimasto

intrappolato nella sua auto e aggredito a colpi di pietre dai manifestanti, è morto.

Non è ancora chiaro, invece, quanti siano i civili feriti. Le proteste si sono estese dalla

zona della sede del governo regionale a diversi altri quartieri di Kasserine, come quelli

di Ennour e Ezzouhour. Per cercare di far fronte a questa situazione di emergenza, il

Ministero dell’Interno ha dichiarato il coprifuoco in tutto il governatorato di Kasserine

dalle 18 alle 5 del mattino. Negli ultimi giorni, il Consiglio dei Ministri ha inoltre varato

alcune misure specifiche destinate alla promozione dell’occupazione e lo sviluppo

dell’area disagiata. Tra queste l’assunzione di 6.400 disoccupati, lo stanziamento di

3 milioni di euro destinati al finanziamento di 500 progetti, la creazione di una

commissione di inchiesta su presunti casi di funzionari corrotti, la concessione di

terreni demaniali a privati, la creazione nella regione di nove società imprenditoriali

con un capitale di 75.000 euro. Ciononostante, le proteste non sembrano fermarsi.

Nella giornata del 19 gennaio, manifestazioni e marce di solidarietà ai giovani di

Kasserine hanno attraversato numerose città del Paese: Kairouane, Sidi Bouzid,

Regueb Siliana, Zaghouan, Sousse, Kairouan, Kef, El Fahs, Thala, Feriana, fino ad

arrivare a Tunisi. La regione di Kasserine, vicina al confine con l’Algeria, è fra le più

povere della Tunisia. Qui la disoccupazione si attesta intorno al 30% contro una media

di circa la metà nella capitale. Le proteste di Kasserine mettono in evidenza le istanze

di uguaglianza sociale rimaste disattese dopo la rivoluzione del 2010-2011 e le

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diseguaglianze territoriali. Infatti, le zone interne – le prime a sollevarsi contro il

regime di Zine El Abidine Ben Ali a seguito del suicidio del giovane disoccupato

Mohamed Bouazizi – continuano a restare meno sviluppate rispetto al resto del Paese.

A ciò si aggiunge il timore che alcuni jihadisti, rifugiati sui monti sopra a Kasserine,

si possano infiltrare tra la folla dei manifestanti approfittando del clima di tensione.

Pertanto, le forze di sicurezza hanno rafforzato i controlli in determinate aree del

Paese.

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ALTRE DAL MONDO

EGITTO, 21 GENNAIO ↴

Alla vigilia del quinto anniversario del 25 gennaio 2011, quando l’Egitto intraprese il

processo di rivoluzione politico e sociale che si inscriveva all’interno del macro-trend

delle cosiddette “Primavere Arabe” e che portò l’11 febbraio alle dimissioni di Hosni

Mubarak, il Paese è ancora sotto l’onda d’urto del terrorismo islamista. Nel Sinai set-

tentrionale, principale area di insorgenza islamista da parte del Wilayat Sinai, sono

stati uccisi cinque poliziotti ad un checkpoint nei pressi del governatorato di al-Arish.

L’attacco è stato rivendicato appunto dalla branca egiziana dello Stato Islamico (IS).

Più confuso per dinamica e per rivendicazione è quanto accaduto nei sobborghi di

Giza, nell’area metropolitana del Cairo. La polizia e le forze di sicurezza hanno con-

dotto congiuntamente un’operazione anti-terrorismo contro una cellula islamista ope-

rante nella nota località turistica egiziana; i militanti si sono fatti quindi esplodere

provocando l’uccisione di 10 persone (di cui 6 poliziotti) e il ferimento di altre 16 (di

cui 13 militari). L’attacco è stato immediatamente rivendicato sia dal Wilayat ard al-

Kinana, la cellula del mainland egiziano di IS, sia dai miliziani dell’ex gruppo di Ansar

Bayt al-Maqdis. Tuttavia le autorità nazionali hanno smentito ciò, spiegando che

l’operazione era invece diretta contro una cellula di affiliati alla Fratellanza Musul-

mana.

IRAN, 16 GENNAIO ↴

L’Alto Rappresentante dell’Unione Europea per gli Affari Esteri e la Politica di Sicu-

rezza, Federica Mogherini, e il Ministro degli Esteri iraniano, Mohammad Javad Zarif,

hanno ufficialmente annunciato la revoca delle sanzioni contro Teheran nel corso di

una conferenza congiunta presso la sede dell’IAEA a Vienna. La fine delle sanzioni

economiche e finanziarie è conseguente all’accertamento da parte dell’IAEA del ri-

spetto degli impegni presi dall’Iran con la firma dell’accordo sul nucleare con i Paesi

del cosiddetto 5+1 (Regno Unito, Francia, Stati Uniti, Russia, Cina, Germania) lo

scorso 14 luglio. Non saranno tuttavia rimosse le sanzioni imposte dagli Stati Uniti

per via dell’appoggio che Teheran fornisce a gruppi considerati terroristici dagli ame-

ricani, come Hamas, Hezbollah e alcuni gruppi paramilitari iraniani. Gli Stati Uniti

hanno inoltre adottato nuove sanzioni a causa della sperimentazione iraniana di nuovi

missili balistici senza averne l’autorizzazione, provvedimento dichiarato illegittimo dal

Presidente Hassan Rouhani.

ITALIA-UNIONE EUROPEA, 19 GENNAIO ↴

Quella appena trascorsa è stata una settimana di forti tensioni tra il governo italiano

e la Commissione europea. Dopo aver aperto un fronte nel dicembre scorso con la

Germania a proposito del potenziamento del gasdotto Nord Stream a scapito del cor-

ridoio meridionale, che quindi favorirebbe Berlino, Roma si è recentemente scontrata

Page 16: Weekly Report N°3/2016

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con le istituzioni di Bruxelles in merito all’applicazione del piano di 3 miliardi in favore

della Turchia per limitare il flusso di migranti verso l’Europa Centrale. Il Presidente

della Commissione europea, Jean Claude Juncker, ha fatto trapelare il proprio disap-

punto per non avere a Roma un interlocutore credibile né per rendere più sostenibile

il sistema-Paese italiano né per puntellare le politiche europee comuni; il Presidente

del Consiglio dei Ministri, Matteo Renzi, rivendicando il ritorno dell’Italia sulla scena

internazionale come interlocutore di primo piano a tutela dei propri interessi, ha no-

tato come a Bruxelles ci sia qualcuno «forse impaurito da questo nuovo protagonismo

italiano, (che) preferirebbe averci più deboli e marginali, come purtroppo è spesso

accaduto in passato. Se ne facciano una ragione: l’Italia è tornata, più solida e am-

biziosa».

MALI, 19-20 GENNAIO ↴

Tre gendarmi maliani sono stati uccisi nei pressi della località di Mopti, nel centro del

Paese, da uomini armati non ancora identificati. Secondo la polizia locale, gli agenti

sarebbero stati colti di sorpresa e non avrebbero così risposto prontamente al fuoco

nemico. L’area non è nuova a questo tipo di attacchi a postazioni militari da parte di

gruppi jihadisti. Nell’area è infatti molto attivo il gruppo Fronte di Liberazione Macina,

composto in maggioranza da Fulani, minoranza etnica predominante. Il gruppo è tra

quelli ad aver rivendicato il recente attentato all’hotel Radisson, nella capitale Ba-

mako. Nelle stesse ore, il gruppo islamista Tuareg di Ansar Eddin, attivo nel nord del

Mali, ha lanciato un attacco contro le forze internazionali presenti a Kidal,

nell’Azawad. Uno degli obiettivi dell’attacco era un camion militare delle forze

dell’Unione Africana, la cui esplosione ha provocato la morte di dieci persone.

SERBIA, 13 GENNAIO ↴

Il Premier Aleksandar Vučić, leader del partito del Partito Progressista Serbo (SNS)

al governo, ha dato l’annuncio di nuove elezioni parlamentari che si terranno proba-

bilmente il prossimo 24 aprile in contemporanea con quelle locali e quelle per il rin-

novo del governo della Vojvodina, regione settentrionale della Serbia a statuto auto-

nomo. Per la Serbia si tratta della quarta consultazione elettorale in quattro anni; nel

2012 si votò sia per il rinnovo del Parlamento sia per il Presidente della Repubblica,

conducendo alla vittoria di Tomislav Nikolić, del Partito Progressista e alla formazione

di un governo di coalizione presieduto dal leader del Partito Socialista Ivica Dačić.

Sebbene non vi sia una crisi di governo in corso, la decisione di Vučić dipenderebbe

dalla volontà di consolidare la maggioranza parlamentare e allungare proprio man-

dato fino al 2020.

SOMALIA, 21 GENNAIO ↴

Un commando armato si è fatto strada con due autobombe che sono state fatte

esplodere davanti al hotel-ristorante Beach View Cafè, in riva al mare nella capitale

Page 17: Weekly Report N°3/2016

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Mogadiscio. Dopo la prima esplosione si è verificata una sparatoria e quattro jihadisti

si sono asserragliati dentro il locale, dove si stavano celebrando un matrimonio e una

laurea. Le forze speciali somale hanno evacuato la maggior parte dei civili bloccati

nel complesso, ma venti di loro sono rimasti uccisi. Quattro componenti del com-

mando sono stati uccisi ed il leader dello stesso è stato catturato. L’attentato è stato

successivamente rivendicato dal gruppo islamista al-Shabaab, gruppo insurreziona-

lista sunnita attivo in Somalia dal 2006 e affiliato ad al-Qaeda dal 2012.

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ANALISI E COMMENTI

L’OMBRA DEL TERRORISMO “GLOCALE” SULL’INDUSTRIA DEL TURISMO

REDAZIONE ↴

Confermando la tendenza delineatasi al termine del 2015 dopo gli attentati di Parigi,

e coerentemente con le nuove strategie dello Stato Islamico (IS) messo in difficoltà

dalla perdita significativa di territori tra Siria e, soprattutto, Iraq, l’ultima settimana

ha confermato l’aumento della minaccia terroristica a livello globale. Resta allo stesso

tempo vero che gli attentati terroristici che hanno colpito diversi Paesi (Egitto, Tur-

chia, Indonesia e Burkina Faso), seppure vadano inscritti in uno scenario internazio-

nale, trovano per lo più radici in contesti di forte instabilità locale. È di tre feriti, due

austriaci e uno svedese, il bilancio di un tentativo di attacco avvenuto lo scorso 10

gennaio all’hotel Bella Vista di Hurghada, capitale del governatorato del Mar Rosso e

importante meta turistica dello stesso. I due assalitori (tre secondo alcuni testimoni),

che avrebbero fatto irruzione nel resort con alcune armi da taglio e presumibilmente

con alcune armi da fuoco, sono stati uccisi dalle forze di sicurezza (…) SEGUE >>>

L’EREDITÀ DI UN PRESIDENTE. GLI STATI UNITI E LE SFIDE DEL POST-OBAMA

GIANLUCA PASTORI ↴

L’ultimo discorso sullo stato dell’Unione di Barack Obama – pronunciato il 12 gennaio

di fronte alle Camere riunite del Congresso – ha rappresentato un’occasione interes-

sante per cercare di tracciare un bilancio degli otto anni della sua presidenza in ma-

teria di politica estera e internazionale e per valutare quali sfide attendono il suo

successore, che verrà eletto nelle consultazioni del prossimo 8 novembre, quando

verranno rinnovati anche i delegati alla Camera dei Rappresentanti e un terzo di quelli

del Senato. Come più volte osservato, negli anni del secondo mandato, l’immagine

del Presidente che nel 2009, in occasione della sua prima elezione, aveva sollevato

tante aspettative negli USA e fuori, è apparsa alquanto sbiadita. Quella che è stata

da più parti percepita come l’incertezza della Casa Bianca davanti alle differenti crisi

che è stata chiamata fronteggiare – dalla Libia all’Ucraina, passando per la Siria e

l’impegno contro lo Stato Islamico/DAESH in Iraq – ha influito in maniera negativa

sulla percezione degli Stati Uniti nel mondo e ha contribuito fare apparire la loro

azione scoordinata e priva di un’effettiva strategia (…) SEGUE >>>

A cura di

OSSERVATORIO DI POLITICA INTERNAZIONALE

Ente di ricerca di

“BLOGLOBAL-LO SGUARDO SUL MONDO”

Associazione culturale per la promozione della conoscenza della politica internazionale

C.F. 98099880787

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