opi weekly report n°12/2016

29
www.bloglobal.net N°12, 17 APRILE 7 MAGGIO 2016 ISSN: 2284-1024

Upload: osservatorio-di-politica-internazionale

Post on 29-Jul-2016

218 views

Category:

Documents


1 download

DESCRIPTION

Rassegna settimanale a cura dell'Osservatorio di Politica Internazionale (OPI) // 17 aprile - 7 maggio 2016

TRANSCRIPT

www.bloglobal.net

N°12, 17 APRILE – 7 MAGGIO 2016

ISSN: 2284-1024

I

Weekly Report Osservatorio di Politica Internazionale (OPI) © BloGlobal – Lo sguardo sul mondo

Milano, 8 maggio 2016 ISSN: 2284-1024 A cura di: Matteo Anastasi Georgiy Bogdanov Oleksiy Bondarenko Davide Borsani Luttine Ilenia Buioni Agnese Carlini Marta Cioci Giuseppe Dentice Danilo Giordano Antonella Roberta La Fortezza Giorgia Mantelli Violetta Orban Fabio Rondini Maria Serra Alessandro Tinti

Questa pubblicazione può essere scaricata da: www.bloglobal.net

Parti di questa pubblicazione possono essere riprodotte, a patto di fornire la fonte nella seguente forma:

Weekly Report N°12/2016 (17 aprile – 7 maggio 2016), Osservatorio di Politica Internazionale (OPI), Milano 2016, www.bloglobal.net

Photo Credits: The Guardian; Islamic State/The Long War Journal; AP; Reuters; Stephanie Lecocq/European Press-photo Agency; Alfredas Pliadis/Zuma Press; AFP Photo.

1

FOCUS

LIBIA ↴

Insediatosi a Tripoli da circa un mese, e dopo aver ottenuto l’appoggio di numerose

municipalità, della National Oil Company (NOC) e della Banca centrale libica, il go-

verno di transizione guidato da Fayez al-Serraj deve ora affrontare l’opposizione pro-

veniente dal generale Khalifa Haftar e dalle milizie a lui fedeli. Queste ultime, appog-

giate da Egitto, Arabia Saudita e tacitamente dalla Francia del Presidente François

Hollande, controllano a macchia di leopardo buona parte dei territori orientali del

Paese, costituendo uno dei freni principali all’avanzata dello Stato Islamico (IS) in

territorio libico. Proprio le milizie di Haftar, rompendo ogni indugio, il 4 maggio

hanno ufficialmente dato il via alla loro offensiva contro Sirte, roccaforte libica

dell’IS, prendendo il controllo di Zillah, una cittadina a 400 chilometri da Sirte. È

rimasta dunque inascoltata la richiesta del 28 aprile avanzata dal Consiglio presiden-

ziale libico e indirizzata alle forze del generale Haftar di interrompere l’attacco fino a

quando non si fosse nominato un comando congiunto per l’azione militare.

La fazione guidata da Haftar, inoltre, esercita una forte influenza sul Parlamento di

Tobruk, del quale si attende ancora il voto di fiducia al nuovo governo al-Serraj dopo

che il 18 aprile non è stato raggiunto, per la sesta volta consecutiva, il quorum per la

votazione. Il rischio principale contro la stabilizzazione e la sicurezza del Paese sem-

bra dunque provenire dall’opposizione di Haftar e dal suo rifiuto di riconoscere

de facto quanto previsto de jure dall’articolo 8 dell’Accordo di Tunisi firmato

lo scorso dicembre e che ha portato alla formazione di un esecutivo di unità nazionale,

secondo il quale tutti i poteri delle alte gerarchie militari sarebbero dovuti essere

trasferiti alla Presidenza del Consiglio.

2

Lo scontro tra il governo di al-Serraj insediatosi a Tripoli e quello di Tobruk

riguarda anche il controllo del greggio. La gestione della vendita del petrolio

risulta fondamentale in una strategia effettivamente incisiva mirante alla stabilizza-

zione della Libia in quanto la ripresa della produzione energetica si lega indissolubil-

mente alla possibilità per il nuovo governo di accumulare risorse finanziarie e, tramite

questa, al suo consolidamento e alla sua legittimazione. Tobruk ha iniziato a ven-

dere greggio al di fuori dei canali autorizzati dalla NOC, sollevando la forte

opposizione del governo di Tripoli. Il 23 aprile la prima petroliera, la Ditya Ameyna,

battente bandiera indiana è partita dal porto di Hariga carica di circa 650.000 barili

di petrolio. Pochi giorni dopo, il 26 aprile, la guardia costiera maltese, su richiesta

delle autorità di Tripoli, hanno bloccato la nave prima che potesse entrare in porto.

La petroliera è ripartita dopo circa 72 ore per attraccare presso il porto di Zawiya, ad

ovest di Tripoli, e tornare sotto il controllo del governo Serraj. La restituzione del

carico alle autorità legittime libiche ha sollevato le proteste del governo di Tobruk il

quale ha ribadito, tramite diversi canali, il proprio diritto di finanziarsi con la vendita

del petrolio all’estero. Esattamente come per il governo di Serraj, tale commercio è

3

fondamentale anche per Haftar, in quanto fonte di finanziamento per le milizie a lui

fedeli. Finanziamento che il Generale riceve anche tramite ulteriori canali: il 23 aprile,

1.050 veicoli militari sono sbarcati nel porto di Tobruk, sembrerebbe inviati dalla coa-

lizione pro-Haftar, in particolare da Egitto e Arabia Saudita, in violazione dell’embargo

internazionale così come sancito nella Risoluzione 1970 del Consiglio di Sicurezza.

Intanto, il dossier libico continua ad essere uno dei temi caldi nei vertici in-

ternazionali. Il 25 aprile i Capi di Stato e di Governo del G5 (Stati Uniti, Regno

Unito, Francia, Germania e Italia), riuniti ad Hannover per discutere di sicurezza e

immigrazione, hanno dato la loro piena disponibilità a sostenere l’azione di stabiliz-

zazione del governo al-Serraj, escludendo tuttavia, ancora una volta, qualsiasi azione

militare in territorio libico in assenza di un’esplicita richiesta da parte del governo

legittimo del Paese nordafricano. Le parti hanno infatti ribadito che soltanto in un

contesto di legalità internazionale e con l’appoggio del governo libico sarà possibile

parlare di una missione internazionale, smentendo prontamente la voce circolata su-

bito dopo l’incontro di Hannover secondo la quale l’Italia avrebbe deciso di inviare

900 militari in Libia. Il 28 aprile rispondendo ad un’interrogazione parlamentare, il

Ministro degli Esteri Paolo Gentiloni ha ribadito il pieno sostegno dell’Italia alla

linea emersa durante il G5. L’unica richiesta per ora giunta dal governo al-Serraj

in sede di Nazioni Unite riguarda la protezione dei pozzi e dei terminal petroliferi

situati nel Golfo della Sirte tra Sidra e Marsa al-Barga, ai confini tra la Cirenaica e la

Tripolitania. La richiesta, giunta dopo alcuni preoccupanti rapporti della NOC circa la

possibilità di attacchi contro le installazioni petrolifere, non contiene alcun esplicito

riferimento ad un intervento militare internazionale ma fa riferimento esclusivamente

alla protezione dei siti petroliferi e alla forte correlazione esistente tra la gestione

del petrolio e la fattibilità del progetto di riconciliazione nazionale. Una esplicita ri-

chiesta di intervento militare da parte di al-Serraj non sembra, del resto, neanche

scontata dato che potrebbe ulteriormente indebolire il governo sottoponendolo alle

accuse di asservimento all’occidente.

Sembrerebbe intanto profilarsi, in ambito NATO, l’avvio entro qualche mese

dei primi pattugliamenti marittimi al largo della Libia; il via libera all’azione do-

vrebbe arrivare già con il vertice NATO di Varsavia del 7 luglio. Infine, per quanto

concerne la questione legata al problema dell’immigrazione si discute in ambito eu-

ropeo della possibilità di negoziare con la Libia un accordo sui migranti simile

a quello negoziato con la Turchia utilizzando la medesima strategia di gestione

dei flussi migratori. L’Italia e la Germania sembrano appoggiare questa idea ma altri

Paesi, quali ad esempio l’Olanda, hanno sollevato notevoli dubbi sulla fattibilità di un

simile progetto sottolineando le notevoli differenze esistenti tra la situazione statuale

turca e quella libica: un simile accordo per poter concretamente funzionare richiede

infatti l’esistenza di un governo stabile, effettivo e pienamente legittimato. La delicata

situazione libica, dunque, non consentirebbe al momento di muoversi in tal senso.

4

SIRIA-IRAQ ↴

Il bombardamento sull’ospedale pediatrico al-Quds (28 aprile) testimonia lo

sfaldamento della tregua su cui si reggono i colloqui intra-siriani per il superamento

della guerra civile. L’aviazione governativa ha raso al suolo la struttura ospedaliera

nell’area orientale di Aleppo lasciando sotto le macerie almeno cinquantacinque per-

sone, tra cui molti bambini in cura presso la clinica gestita da Medici senza Frontiere.

La rappresaglia delle forze ribelli nei quartieri centrali e occidentali della città ha ul-

teriormente aggravato il bilancio delle vittime. L’attacco rappresenta l’apice ecla-

tante della recente accelerazione dei combattimenti. Secondo l’Osservatorio

siriano per i diritti umani tra il 22 e il 28 aprile oltre duecento civili sono rimasti uccisi

sotto i bombardamenti aerei del regime e i colpi di artiglieria degli antagonisti. Mal-

grado le smentite ufficiali di Damasco, a 24 ore dall’attacco sull’ospedale al-Quds i

caccia siriani hanno bersagliato una seconda clinica nel quartiere di Bustan

al-Qasr. L’agenzia governativa Sana ha riportato che nella stessa giornata (un ve-

nerdì di preghiera) le brigate ribelli hanno esploso colpi di mortaio contro una mo-

schea nell’area di Bab al-Faraj, presidiata dalle forze lealiste, provocando la morte di

almeno quindici persone. Il 3 maggio anche l’ospedale di al-Dabit nel quartiere di

Muhafaza è stato raggiunto dai razzi lanciati da alcune formazioni islamiste. Il Segre-

tario Generale ONU, Ban Ki-moon, ha duramente ricordato che gli attacchi inten-

zionali contro strutture ospedaliere costituiscono crimini di guerra e ha an-

notato che dall’inizio del conflitto in Siria sono morti 730 medici.

Mentre è riportato lo schieramento dell’artiglieria pesante russa alla periferia

di Aleppo per accompagnare l’offensiva dell’esercito di Damasco, il Comitato inter-

nazionale della Croce Rossa ha denunciato il tracollo umanitario in cui è sprofondata

la città contesa. L’organizzazione ha inoltre comunicato di aver allestito un convoglio

umanitario di sessantacinque camion verso al-Rastan, nel governatorato di Homs. Il

5

21 aprile la Mezzaluna Rossa Siriana in collaborazione con le agenzie ONU già aveva

evacuato cinquecento persone dalle aree assediate e ancora largamente interdette al

transito dei soccorsi: 250 civili hanno così lasciato le cittadine di Madaya e Zabadani,

accerchiate dalle truppe governative, in cambio dell’evacuazione di altrettanti civili

dai centri di Fuaa e Kefraya, sotto scacco dei gruppi armati di opposizione.

L’intensificarsi della battaglia su Aleppo sconfessa il processo negoziale di

Ginevra e l’intesa sulla cessazione delle ostilità. L’inviato speciale dell’ONU per la

Siria, Staffan de Mistura, ha ammesso che la tregua è “appesa a un filo” e ha richiesto

l’intervento di Stati Uniti e Russia per rivitalizzare i colloqui di pace. Tuttavia, già il

18 aprile l’Alto Comitato per i negoziati, ossia la principale delegazione delle

opposizioni convocate a Ginevra, aveva abbandonato il tavolo delle tratta-

tive a fronte dei perduranti e indiscriminati bombardamenti governativi, come anche

del mantenimento degli assedi. Il 29 aprile l’esercito regolare siriano ha annunciato

una tregua provvisoria (“un regime del silenzio”) a Damasco, nel Ghouta orientale e

nel nord del governatorato di Latakia – dove le fazioni islamiste e moderate della

ribellione il 18 aprile erano passate al contrattacco minacciando gli avamposti del

regime sulle montagne del Jabal al-Akrad. Significativamente, Aleppo è stata esclusa

dalla disposizione, mentre l’aviazione siriana ha ripreso a rastrellare le periferie della

capitale una volta scaduto il breve cessate il fuoco.

LA BATTAGLIA DI ALEPPO (UPDATE AL 28.04.2016) – FONTE: INSTITUTE FOR THE STUDY OF WAR

I dirigenti delle opposizioni accusano il diretto coinvolgimento russo nei

bombardamenti “criminali” su Idlib, Aleppo e le campagne di Hama. La posizione del

Cremlino palesa evidenti ambiguità: propiziatore e garante della tregua raggiunta lo

scorso 27 febbraio, il governo russo tuttavia sostiene militarmente la stretta dell’al-

leato siriano sui baluardi ribelli. Seppur disposta a cooperare con gli Stati Uniti per il

6

recupero del processo di transizione, Mosca ha dichiarato “illegale” l’espansione della

presenza americana nel teatro bellico. L’amministrazione Obama ha infatti de-

ciso di portare a trecento unità (dalle cinquanta iniziali) il contingente dei

reparti speciali operativo nel nord della Siria per assistere le milizie arabo-curde

contro lo Stato Islamico (IS). I portavoce del Presidente Bashar al-Assad hanno bia-

simato la mossa statunitense quale un atto di aggressione contro la sovranità di Da-

masco. Tuttavia, sia fonti russe che americane hanno diffuso il 4 maggio la notizia

del raggiungimento di un accordo tra Russia e Stati Uniti per la cessazione dei

combattimenti ad Aleppo. Da Ginevra il Segretario di Stato americano John Kerry

ha confermato l’iniziativa, aggiungendo che la guerra civile è tuttavia “fuori controllo”.

L’invito alla ripresa delle trattative sotto egida ONU per il prossimo 10 maggio dunque

non regge la realtà dei fatti, tanto da indurre Regno Unito e Francia a chiedere la

convocazione di una riunione d’emergenza del Consiglio di Sicurezza. Se nei giorni

precedenti la comunità internazionale aveva richiamato tutte le parti in conflitto a

recedere dagli scontri, la diplomazia francese ha nettamente addossato al re-

gime alawita “l’intera responsabilità” del fallimento della tregua.

Intanto si continua a combattere a Homs, mentre nel nord-est le milizie curde

dell’YPG hanno ingaggiato dal 20 aprile violenti scontri con le forze governative a

Qamishli e Hasakah. L’IS ha invece tratto vantaggio dall’inasprimento dei combatti-

menti per scagliare un deciso assalto contro la cittadina di Mare’a, come pure inter-

dire le linee di rifornimento governative a sud di Aleppo e rilanciare l’incursione nel

campo profughi di Yarmouk a spese di Jabhat al-Nusra. Nello stesso fronte ribelle le

rivalità nel Ghouta orientale sono conflagrate in aperte ostilità, laddove i miliziani dei

gruppi salafiti Jabhat al-Nusra, Ahrar a-Sham e Fajr al-Ummah raccolti sotto l’om-

brello del Failaq a-Rahman hanno attaccato i quartier generali del gruppo Jaish al-

Islam, aprendo un duello per la preminenza nella regione.

In sinergia al dispiegamento di unità addizionali e artiglieria a media gittata nel nord

della Siria, l’amministrazione Obama ha deliberato lo schieramento di perso-

nale militare (217 uomini), di elicotteri Apache e di lanciarazzi multipli HI-

MARS in Iraq al fine di incoraggiare la risalita delle forze di sicurezza irachene e dei

Peshmerga curdi su Mosul. L’autorizzazione (a lungo procrastinata) di Baghdad all’im-

piego degli elicotteri Apache in operazioni di combattimento porta i soldati americani,

ufficialmente impegnati in una missione di assistenza all’esercito iracheno, sulla linea

del fronte. Il 3 maggio un Navy Seal è caduto sotto il fuoco jihadista a Tel Skuf, a

nord di Mosul, dove i reparti speciali statunitensi sono impegnati al fianco dei Pesh-

merga curdi. Washington ha promesso alle autorità regionali curde un rinnovato

sforzo finanziario per sostenere la campagna militare. La decisione giunge a seguito

dell’incontro del Presidente Obama con i leader del Consiglio di Cooperazione del

Golfo (20 aprile) ed è stata sottoscritta dalla visita a sorpresa del vice Presidente Joe

Biden a Baghdad.

7

Stante la paralisi istituzionale innescata dal contestato rimpasto di governo

e la spaccatura in seno al Parlamento, la diplomazia statunitense ha prestato i

propri uffici per saldare l’incerta leadership del Primo Ministro Haider al-Abadi. Nono-

stante l’approvazione il 27 aprile di sei nomine tecniche per la ricomposizione del

Consiglio dei Ministri, la tensione resta altissima. Il 26 aprile mentre l’imam sciita

Moqtada al-Sadr richiamava nuovamente migliaia di persone a manifestare contro

l’esecutivo, costringendo le forze di sicurezza a presidiare le sedi istituzionali, disor-

dini all’interno dell’Assemblea Nazionale impedivano ad al-Abadi di prendere

parola durante la sessione parlamentare. Sul Premier pende l’ultimatum di al-

Sadr per completare l’attribuzione dei restanti incarichi ministeriali e di-

sporre misure contro la corruzione. Il 30 aprile centinaia di sostenitori sadristi sono

entrati nella Green Zone e forzato l’aula parlamentare. L’atto di forza dei manifestanti

non ha avuto echi violenti ma l’arrivo di unità militari dalle provincie meridionali per

trincerare il complesso istituzionale rende tangibile la gravità della disputa.

Le schermaglie a Tuz Khurmatu tra le milizie sciite e i Peshmerga curdi contribuiscono

ad alzare il tono delle contrapposizioni settarie ed evocare lo spettro della guerra

civile. Sullo sfondo, continua a infuriare il confronto bellico con il Califfato. L’esercito

iracheno ha riconquistato il distretto di Hit, ma i guerriglieri jihadisti hanno replicato

con una serie di attentati dinamitardi a Baghdad nel quartiere nord-occidentale di

Kadhimiyah, luogo di pellegrinaggio sciita. La deflagrazione di due autobombe nella

città meridionale di Samawa il 2 maggio ha ucciso trentadue persone e sollecitato il

rientro della protesta sadrista nel cuore istituzionale della capitale. Intanto, alcune

milizie sunnite hanno strappato all’IS il 18 aprile i villaggi di Barima e al-Nawaran a

nord di Mosul, ricevendo il sostegno dei Peshmerga curdi e anche quello delle forze

turche operative nell’area.

8

STATI UNITI-GOLFO ↴

Lo scorso 20 aprile il Presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, si è recato in visita

a Riyadh in Arabia Saudita per partecipare al summit USA-Consiglio di Coopera-

zione del Golfo (GCC). L’incontro era focalizzato su tre punti: i conflitti regionali di

Yemen, Siria e Iraq, la lotta al terrorismo e il rapporto con l’Iran che si colloca tra le

questioni prioritarie per il Re saudita. Dopo un’accoglienza piuttosto tiepida riservata

ad Obama al suo arrivo – ad aspettare i coniugi americani non vi era il sovrano Sal-

man, bensì il governatore di Riyadh, Faisal al-Saud – e l’imbarazzo protocollare do-

vuto alla scelta della First Lady di non indossare il velo, la missione del Presidente si

è incanalata subito sul tentativo di ripristinare il rapporto di alleanza settan-

tennale tra i due Paesi, un tempo pilastro della politica statunitense in Medio

Oriente e che oggi attraversa un momento particolarmente teso e difficile a causa dei

sempre più preoccupanti contenziosi sorti tra i due Paesi.

Il primo dei motivi di attrito è la diversa visione dell’Iran tra Obama e Salman.

Mentre per gli Stati Uniti Riyadh dovrebbe imparare a condividere il «Medio Oriente

con i rivali persiani» – dichiarazione rilasciata nell’intervista concessa dal Presidente

al giornalista Jeffrey Goldberg e pubblicata lo scorso marzo su The Atlantic –, l’Arabia

Saudita, a causa di una rivalità religiosa (sunniti vs sciiti), economica (concorrenti

produttori di petrolio) e geopolitica, ritiene l’Iran il principale responsabile dell’insta-

bilità nell’area del Golfo. Inoltre, l’abolizione parziale delle sanzioni economiche che

gravavano sull’Iran, in grado di ridurne considerevolmente l’ultra-decennale isola-

mento internazionale a seguito dell’accordo sul programma nucleare fortemente vo-

luto da Obama, e le dichiarazioni sopra riportate, sono state giudicate dagli al-Saud

un tradimento, che ha portato ad incrinare ulteriormente i rapporti tra i due Stati. È

possibile che l’Iran, a seguito della rimozione delle sanzioni, aumenti il suo raggio di

9

influenza sui Paesi del Golfo, prospettiva questa che preoccupa seriamente la monar-

chia saudita, che nell’ultimo periodo ha dovuto affrontare anche un “fenomeno”

nuovo ossia l’incertezza economica dettata dal calo di prezzo del greggio.

Altro punto di disaccordo tra Washington e Riyadh riguarda la lotta allo Stato Isla-

mico (IS), che nell’ottica del secondo, oltre a non essere la principale priorità, è

ritenuto uno strumento per contenere l’influenza sciita e filo-iraniana nella regione.

Per Obama, accompagnato nella visita anche dal Capo del Pentagono Ashton Carter

e dal Direttore della CIA John Brennan, i Paesi sunniti dell’area del Golfo dovrebbero

«fare di più, anche politicamente, per contenere la minaccia del califfato». Nell’ottica

statunitense, infatti, il contributo dell’Arabia Saudita è fondamentale per te-

nere unito l’asse sunnita contro il movimento di al-Baghdadi e secondo Wa-

shington, che ha bisogno dell’alleato saudita per la guerra sul terreno all’IS, i governi

arabi dovrebbero partecipare al fianco degli USA nel rilancio dell’offensiva contro i

jihadisti e non agire in ordine sparso o con azioni più o meno unificate ma mancanti

di un obiettivo strategico comune.

Altro nodo scottante sull’agenda di Obama è la questione degli attacchi dell’11 set-

tembre 2001. Il Congresso sta proponendo un progetto di legge che, qualora pas-

sasse, sarebbe in grado di rendere il governo di Riyadh responsabile degli attacchi

terroristici alle Twin Towers, in quanto la maggior parte degli attentatori erano di

nazionalità saudita e avevano ricevuto in maniera più o meno diretta un sostegno

economico da conti finanziari riconducibili a Riyadh. Una misura, questa, che permet-

terebbe a qualsiasi Corte di Giustizia americana di risarcire le vittime degli attentati

di New York. Tralasciando la necessaria conformità di tale richiesta alle norme di di-

ritto internazionale relativo alla responsabilità di uno Stato per atti compiuti da privati

(occorrerebbe, infatti, dimostrare che l’Arabia Saudita abbia esercitato un controllo

effettivo e sostanziale sui terroristi per essere ritenuta responsabile dei fatti di New

York), questo creerebbe un illustre precedente estremamente scomodo per molti

Paesi. La Casa Bianca si sta opponendo fermamente alla questione, ma all’interno del

Congresso i pareri favorevoli aumentano. La questione ancor più preoccupante che

accentua l’allarme dei sauditi è rappresentata dalle recenti dichiarazioni di Obama

sulla possibilità di pubblicare un dossier d’inchiesta di 28 pagine “top se-

cret” relativo agli attacchi. Questo potrebbe finalmente rivelare il ruolo effettivo dei

sauditi negli attentati; sauditi che hanno subito minacciato, qualora la legge dovesse

essere approvata, di far mancare 700 miliardi d’investimenti all’economia americana.

In realtà, come afferma Binyamin Appelbaum, giornalista dell’International New York

Times, la vendita degli assets negli Stati Uniti sarebbe economicamente molto più

dannosa per Riyadh che per Washington. In ogni caso, quest’ennesimo attrito tra i

due governi denota una crescente incomprensione nelle relazioni bilaterali che ormai

dura da diversi anni: dalla critica verso l’approccio troppo morbido della presidenza

Obama verso il regime di Assad, contro il quale i regimi sunniti avrebbero spinto

verso un’azione più ferma, al disappunto verso la fretta con la quale Washington ha

10

spinto per rovesciare alcuni regimi del Medio Oriente durante le Primavere Arabe,

fino, appunto, all’accordo sul nucleare iraniano raggiunto l’anno scorso.

Alla fine degli incontri Obama ha confermato che i membri del GCC sono e resteranno

alleati degli Stati Uniti, mentre gli al-Saud sembrano voler aspettare l’arrivo del

nuovo inquilino della Casa Bianca per ridiscutere completamente le condizioni e

la strategia nell’intera regione del Golfo.

11

BREVI

ARABIA SAUDITA, 25 APRILE ↴

Nella settimana in cui a Riyadh si teneva lo US-GCC

summit, Mohammed bin Salman, Ministro della Difesa

e secondo in linea di successione alla corona, ha

annunciato la nuova strategia complessiva del Regno,

nota come Vision 2030 (leggi lo statement ufficiale).

Il piano dovrebbe favorire una rivisitazione

complessiva della struttura economica e delle finanze statali, ancora troppo

dipendenti dagli introiti derivanti dall’export di idrocarburi. Si tratta di un progetto di

ampio respiro – che tocca anche altri piani di azione come le questioni sociali, la

religione e la difesa e la sicurezza del Regno – impostato sullo sviluppo, o meglio

sulla ridefizione, del Fondo pubblico per gli investimenti che si evolverà da fondo per

lo sviluppo nazionale a fondo sovrano incaricato di gestire i principali asset

dell’economia saudita, compresa la cassaforte di Stato, la Saudi Aramco, prossima

alla quotazione del 5-10% delle proprie azioni in borsa. Parallelamente alla

riqualificazione finanziaria, il piano di azione saudita dovrebbe favorire l’espansione

di altre branche dell’industria nazionale, come il settore estrattivo dei minerali.

Questo nuovo fondo dovrebbe garantire una disponibilità finanziaria pari a 2.000

miliardi di dollari, divenendo il grande portfolio di uno Stato-nazione al mondo,

superiore anche al fondo sovrano della Norvegia (pari a 1.700 miliardi di dollari di

budget).

SAUDI ARABIA ECONOMIC PLAN “VISION 2030” – FONTE: GEOPOLITICAL ATLAS

12

Per sovvenzionare Vision 2030 saranno approntati sia una generale riduzione delle

spese militari (il quarto bilancio più ampio al mondo dopo quello di USA, Cina e Russia

secondo il Military Balance dell’IISS) sia profondi tagli sul sistema assistenziale e dei

sussidi, utile inoltre a ribassare il deficit di bilancio pari a circa 87 miliardi di dollari

entro la fine del 2016 dopo l’allarme lanciato dal Fondo Monetario Internazionale sul

rischio di riduzione della liquidità finanziaria entro il prossimo quinquennio. Infine, il

piano saudita prevederà un aumento delle tasse sul valore aggiunto e sui beni di

lusso e un incremento delle tariffe sui pedaggi stradali e la benzina. Secondo le

intenzioni di Mohammed bin Salman – attuale kingmaker della politica interna ed

estera saudita, nonché capo del Consiglio per lo sviluppo economico nazionale –,

Riyadh entro il 2030 potrebbe giungere a «costruire uno Stato senza la dipendenza

del petrolio». Qualora fosse raggiunto tale obiettivo, si tratterebbe di un cambio di

paradigma e di una rivoluzione totale per un Paese con le seconde riserve petrolifere

più ampie al mondo (267 miliardi di barili) e che dipenden per quasi il 90% dagli

introiti dell’oro nero. Nel frattempo, anche se non direttamente collegato con il

progetto Vision 2030, un ampio rimpasto di governo ha visto la sostituzione dello

storico Ministro dell’Energia saudita, Alì al-Naimi, con l’ex Ministro della Salute,

Khaled al-Faleh. Al-Naimi, in carica per oltre un ventennio, tanto da risultare una

delle figure chiave della politica energetica nazionale e internazionale attraverso il

foro dell’OPEC, ha pagato da un lato la grave crisi economica che ha colpito il Paese

alla luce del perdurante basso prezzo del petrolio a livello globale, dall’altro

l’accresciuto potere e accentramento di deleghe e funzioni all’interno dell’esecutivo

del principe Mohammed bin Salman.

SERBIA, 24 APRILE – 4 MAGGIO ↴

La ripetizione delle operazioni di voto in 15 seggi (a

Belgrado, Niš, Vranje e Jagodina, Bačka Topola

Sremski Karlovci, Užice e Kladovo) all’indomani del

voto anticipato dello scorso 24 aprile a seguito delle

presunte irregolarità, ha restituito la fotografia non

solo del prossimo Parlamento serbo ma anche del

futuro scenario governativo del Paese. Secondo quanto riportato dalla Commissione

elettorale, il Partito Progressista Serbo (SNC) del Primo Ministro Aleksandar Vučić ha

ottenuto il 48,25% dei consensi e 131 seggi, 27 in meno rispetto alle consultazioni

del 2014. Il Partito Socialista Serbo (SPS) guidato dal Ministro degli Esteri ed ex

Premier Ivica Dačić ha raggiunto il 10,9% dei voti, confermandosi la seconda forza

sebbene in flessione rispetto alle elezioni del 2014 prima e del 2012 poi. A fronte del

rientro in Parlamento dei radicali (SRS – 8,11%), che hanno evidentemente

beneficiato della recente sentenza di assoluzione da parte del Tribunale

Internazionale dell’Aja nei confronti del suo leader, Vojislav Šešelj, la vera sorpresa

è rappresentata dall’ingresso per la prima volta nell’Assemblea nazionale del partito

13

Dosta je bilo – Restart (DJB - 6,02%) raccolto intorno all’ex Ministro dell’Economia

Saša Radulović e in forte contrasto al SNC. Superano infine la soglia di sbarramento

il Partito Democratico (DS) di Bojan Pajtić (6,02%), il Partito Democratico di Serbia

(Dveri-DSS) di Sanda Rašković Ivić (5,03%) e la coalizione formata dal Partito

Socialdemocratcio (SDS), il Partito Liberaldemocratico (LDP) e la Lega dei Socialisti

Democratici della Vojvodina (LSV) guidata dall’ex Presidente serbo Boris Tadić. La

presenza di tali formazioni non solo rende pertanto lo spettro parlamentare più

variegato rispetto all’esito scaturito dal voto del 2014, ma pone anche una serie di

sfide per l’esecutivo di Vučić. Nonostante la netta affermazione, la mancanza di una

maggioranza assoluta costringerà innanzitutto il Premier conservatore, che aveva

indetto tali consultazioni (di fianco alle già programmate elezioni amministrative) per

rafforzare il proprio mandato e per consolidare il proprio programma sostanzialmente

– ma non completamente – filo-europeista, a cercare un’alleanza di governo. Con

ogni probabilità il partner sarà nuovamente il SPS. Resta tuttavia vero che la stessa

frammentazione del Parlamento e le diversità tra i partiti di opposizione (eccezion

fatta per l’alleanza annunciata tra Dveri-DSS e DJB) potrebbero alimentare lo scontro

politico tra questi stessi e agevolare implicitamente l’azione dell’esecutivo.

SOMALIA, 25 APRILE ↴

In un comunicato diffuso su Twitter e Telegram, il

sedicente Stato Islamico ha affermato che i suoi

miliziani hanno fatto esplodere un’autobomba contro i

militari della missione internazionale dell’Unione

Africana (AMISOM) nella periferia della capitale

Mogadiscio, rivendicando così il primo attacco

terroristico in Somalia da parte del gruppo jihadista. Secondo il bilancio ufficiale, 5

soldati sono morti e altri 12 sono rimasti feriti. A due giorni dall’attentato, è stato

pubblicato sui social media un video in cui viene mostrato il “Commander Sheikh Abu

Numan training camp”, presumibilmente sito nel Puntland, a nord ovest della Paese.

Nel video si vede una dozzina di reclute addestrarsi e ribadire la loro fedeltà ad Abu

Bakr al-Baghdadi, sedicente Califfo dell’autoproclamato Stato Islamico, insieme al

loro presunto leader, Abdikadir Mumin, il quale afferma l’intenzione di voler realizzare

l’agenda del Califfato in Somalia. Mumin è un ex comandante di al-Shabaab che ha

abbandonato il gruppo somalo alla fine dello scorso anno. Da tempo l’IS cerca

un’alleanza con l’organizzazione terroristica affiliata ad al-Qaeda, la quale si è sempre

mostrata refrattaria a subire ingerenze esterne, non volendo perdere il proprio peso

“politico” all’interno del Paese. Tuttavia, nei mesi scorsi i jihadisti del gruppo somalo

hanno iniziato a dividersi tra quanti vorrebbero adottare l’agenda globale del Califfato

e quanti vogliono invece limitare la propria azione alla regione. Tra i primi c’è Jahba

East Africa, un gruppo jihadista nato poche settimane fa da una costola dello stesso

al-Shabaab e che ha giurato fedeltà all’IS riconoscendo Abu Bakr al-Baghdadi come

14

il leader legittimo di tutti i musulmani. Secondo gli esperti, la formazione di questo

nuovo gruppo è indice di quanto l’IS stia espandendo la propria area di influenza

anche in Africa e di come stiano anche aumentando le probabilità di scontri tra fazioni

estremiste rivali. Infatti, come controffensiva, al-Shabaab ha incrementato le

operazioni militari in loco, assaltando e riconquistando Runirgood, cittadina nella

regione del Medio Scebeli situata a 180 km a nord est dalla capitale. Nell’attacco sono

morti 22 soldati somali. In questi stessi giorni, un raid delle forze governative

nell’area di Janale, nella regione del Basso Scebeli a sud di Mogadisco, ha colpito un

campo di addestramento dell’IS uccidendo una dozzina di jihadisti.

STATI UNITI, 26 APRILE – 3 MAGGIO ↴

I risultati delle elezioni primarie nello Stato dell’Indiana

hanno fornito due verdetti importanti nella corsa alla

nomination presidenziale, soprattutto nel fronte

repubblicano, dove si è assistito all’ennesima netta

vittoria di Donald Trump con oltre il 53% dei consensi,

mentre i suoi sfidanti Ted Cruz e John Kasich hanno

raccolto, rispettivamente, il 37% e l’8% delle

preferenze. La netta affermazione in Indiana si aggiunge al filotto di vittorie che il

tycoon newyorkese aveva ottenuto il 26 aprile negli Stati del cosiddetto “Northeastern

Super Tuesday”, ovvero Pennsylvania, Maryland, Connecticut, Delaware e Rhode

Island. Si trattava di Stati della zona orientale degli Stati Uniti, con caratteristiche

demografiche ed economiche diverse, dove The Donald ha ottenuto percentuali di

voto attorno al 60%. L’alleanza siglata solo poche settimane prima dagli altri due

candidati repubblicani Ted Cruz e John Kasich, che consisteva in una dichiarazione di

non belligeranza in alcuni Stati per cercare di convogliare i voti su un unico candidato,

sembra aver avuto l’effetto contrario e rafforzato il consenso della base nei confronti

di Trump. Subito dopo i risultati imprevisti dell’Indiana, Ted Cruz e John Kasich hanno

annunciato il loro ritiro dalla candidatura alla presidenza: Trump, ormai unico

candidato rimasto, nonostante i numerosi commenti feroci all’indirizzo dei due

sfidanti, ha concesso l’onore delle armi ad entrambi, facendo balenare la possibilità

di nominare il Senatore dell’Ohio, Kasich, quale running mate nella sfida

presidenziale. Nei prossimi appuntamenti elettorali Trump, che secondo i calcoli della

CNN possiede 1.053 delegati, dovrà cercare di raggiungere il Magic Number, ossia la

soglia limite di 1.237 delegati che gli consentirebbe la nomina automatica a candidato

del Partito Repubblicano. In realtà, il miliardario newyorkese si sentiva il candidato

designato del partito già dopo l’en plein del 26 aprile, quando dal Mayflower Hotel di

Washington ha tenuto un discorso nel quale, dopo aver criticato l’operato dei suoi

predecessori, Barack Obama e George W. Bush, poi ha esposto i principi della sua

dottrina: riaffermare la presenza americana in Medio Oriente, permettendo quindi un

certo ritorno alla stabilità dell’area, allentare le tensioni con Russia e Cina e, infine,

15

obbligare i Paesi alleati della NATO ad un maggior impegno economico-militare. In

sostanza Trump ritiene necessario una ridefinizione primaria dell’interesse nazionale

americano nel contesto globale. Nel frattempo, nel campo democratico Bernie

Sanders ha vinto a sorpresa le primarie dell’Indiana, Stato nel quale almeno secondo

i sondaggi Hillary Clinton era in vantaggio di almeno 7 punti percentuali sul Senatore

del Vermont. La vittoria di Sanders è stata abbastanza risicata (il 52% dei voti contro

il 47% dell’ex Segretario di stato) e i due candidati si sono divisi in parti quasi uguali

gli 83 delegati disponibili. Nel Northeastern Super Tuesday del 26 aprile Hillary

Clinton aveva ottenuto quattro vittorie su cinque, lasciando a Sanders soltanto il

Rhode Island. Nonostante la recente vittoria in Indiana, Sanders resta molto indietro

nel conteggio dei delegati rispetto a Clinton, dato che l’ex Segretario di Stato può

contare su un totale di 2.223 delegati (mancano quindi 160 delegati per ottenere la

nomina diretta quale candidata democratica alla presidenza). Nei suoi discorsi post-

risultati, la Clinton ha assorbito tutti i temi dell’unico sfidante rimastogli, dimostrando

la volontà di unificare il partito per affrontare l’importante sfida presidenziale di

novembre. Le prossime primarie si svolgeranno in Stati di media importanza, che

assegneranno un numero di delegati contenuto: tutto fa pensare che saranno le

votazioni del 7 giugno in California, con centinaia di delegati in ballo, a consacrare i

due candidati alla carica di Presidente degli Stati Uniti.

CORSA PER LA NOMINATION PRESIDENZIALE – FONTE: AFP-REAL CLEAR POLITICS

16

ALTRE DAL MONDO

AFGHANISTAN, 19 APRILE ↴

Un attacco coordinato contro alcuni edifici dell’intelligence afghana, situati nei pressi

del Ministero della Difesa e dell’Ambasciata USA, è avvenuto nella capitale Kabul.

L’attacco, rivendicato dai talebani, ha causato la morte di almeno 30 persone ed il

ferimento di oltre 300 civili, di cui molti in gravi condizioni. Secondo alcuni testimoni

c’è stata prima una forte esplosione, provocata da un attentatore suicida a bordo di

un’auto, a cui ha fatto seguito il tentativo dei talebani di forzare l’ingresso negli edifici

delle forze di sicurezza afghane. Questo attacco si inscrive nella strategia del terrore

del gruppo islamista che nei giorni scorsi avevano annunciato l’inizio della consueta

offensiva di primavera.

ALGERIA-RUSSIA, 27 APRILE ↴

Il Primo Ministro algerino, Abdelmalek Sellal, si è recato in missione ufficiale a Mosca

dove ha incontrato tutte le più alte cariche della Federazione Russa. La visita è stata

l’occasione per firmare una serie di accordi bilaterali, ma anche per approfondire i

futuri campi di indagine di cooperazione strategica. Mosca e Algeri si sono accordati,

ad esempio, per estendere la loro cooperazione nei settori dei mass media e della

comunicazione, dell’energia e dell’high-tech. Si è discusso anche di importanti inizia-

tive in ambito culturale, ma a suscitare maggiore interesse è stata la firma del me-

morandum d’intesa tra la statale Rosatom, il gigante russo incentrato sulla produ-

zione dell’energia nucleare, e il Commissariato per l’energia atomica algerino.

Quest’intesa rappresenta, infatti, un importante passo avanti nella cooperazione in

ambito nucleare, iniziata già nel 2014 con la firma del “Trattato di cooperazione

sull’uso del nucleare per scopi pacifici”.

AUSTRIA, 24 APRILE ↴

Il primo turno delle elezioni presidenziali austriache ha visto l’affermazione del can-

didato del partito di estrema destra Partito per le Libertà dell’Austria (FPÖ) guidato

da Norbert Hofer, che ha ottenuto il 36,4% dei voti espressi. Hofer dovrà affrontare

al ballottaggio del 22 maggio il candidato arrivato secondo, ovvero Alexander Van

der Bellen, del Partito dei Verdi, che ha ottenuto il 20,4% dei consensi. In elezioni

caratterizzate da un’alta affluenza, circa il 70% degli aventi diritto, e inevitabilmente

condizionate dal tema dell’immigrazione, i due partiti attualmente al governo, il so-

cialdemocratico SPO ed il conservatore OVP, non sono riusciti a portare un loro can-

didato al ballottaggio, ottenendo percentuali di voto molto basse. L’eventuale vittoria

di Hofer al ballottaggio potrebbe portare ad un anticipo delle elezioni parlamentari,

che dovrebbero tenersi nel 2018.

17

CINA, 25 APRILE ↴

La Cina ha annunciato la costruzione di un avamposto militare nelle isole Scarborough

Shoal, situate nel Mar Cinese Meridionale a 230 chilometri dalle coste filippine. Il

governo di Manila, che rivendica la sovranità sulle isole in quanto poste all’interno

della propria Zona Economica Esclusiva, sostiene che la Cina ne abbia acquisito il

controllo effettivo nel 2012 in maniera illegittima. L’azione di Pechino si inserisce nel

piano di proiezione strategica cinese nell’intera area del Mar Cinese Meridionale, nella

quale si concentrano rivendicazioni territoriali di Filippine, Vietnam, Malaysia, Brunei

e Taiwan. Il Segretario alla Difesa statunitense Ashton Carter ha affermato che una

simile escalation delle tensioni potrebbe condurre ad un conflitto regionale e ha di-

chiarato che la presenza militare cinese nelle Scarborough Shoal «è particolarmente

preoccupante per noi, data la prossimità alle Filippine», dal momento che la distanza

da Subic Bay, dove saranno schierate navi da guerra USA, è di sole 120 miglia.

COLOMBIA, 26 APRILE ↴

Il Presidente colombiano, Juan Manuel Santos, ha annunciato un ampio rimpasto di

governo affinché tutte le forze politiche nazionali possano entrare a far parte del

cosiddetto “gabinetto della pace”, un governo di unità nazionale da fondare in occa-

sione della prossima firma degli accordi di pace con le FARC. La notizia dovrebbe

rappresentare un passo importante per la stabilizzazione del Paese, dilaniato per anni

dal conflitto interno tra il governo e le FARC. Infatti, il punto cardine del progetto

politico di Santos è la pacificazione del Paese e la sua decisione è stata preceduta da

un accordo di pace, ancora non ufficialmente firmato dalle parti, ma che sembra aver

spianato il terreno per una soluzione politica del conflitto. Anche i membri dell’oppo-

sizione si sono dimostrati fiduciosi. Alvaro Uribe, ex Presidente della Colombia e op-

positore di Santos, ha annunciato, infatti, che il nuovo governo sarà quello del post-

conflitto, formato da personalità capaci di rappresentare le diverse regioni del Paese

e le sue varie tendenze politiche.

COREA DEL NORD, 6 MAGGIO ↴

Pyongyang ha dato avvio al summit politico più importante degli ultimi trent’anni, in

cui il leader supremo riaffermerà le ambizioni nucleari del Paese: secondo alcune

indiscrezioni sarebbe pronto a lanciare il quinto test nucleare. Si tratta del 7° Con-

gresso del Partito dei Lavoratori, il primo dopo il 1980, il quale tuttavia si svolgerà in

gran segreto. Nonostante i molti giornalisti stranieri invitati a partecipare all’evento

(più di un centinaio), questi non avranno accesso alla sala del congresso, pertanto

sia la durata che l’ordine del giorno dell’evento rimangono per ora sconosciuti. Con

l’incontro verrà eletto un nuovo comitato centrale che nomina un Politburo, organo

decisionale più importante del Partito Comunista. L’argomento principale riguarderà

la politica “byongjin”, che implica la strategia dello sviluppo economico e del raffor-

zamento militare. Secondo gli osservatori stranieri si starebbe assistendo ad un

“mini-boom” dell’economia, che ha visto l’apertura di mercati e piccoli negozi ad ogni

18

angolo della città. Infine, il congresso rafforzerà ulteriormente la figura e il potere del

giovane Kim Jong-un così come fu determinante quello del 1980 per la definitiva

ascesa al potere del padre, Kim Jong-il.

EGITTO, 25 APRILE ↴

Nel giorno della cosiddetta “liberazione del Sinai”, ossia quando l’Egitto per effetto

del Trattato di Camp David del 1978-1979 riuscì a riprendere il controllo della Penisola

persa in favore di Israele dopo la Guerra dei Sei Giorni del 1967, in tutto il Paese si

sono registrate importanti manifestazioni anti-governative organizzate da studenti,

gente comune e rappresentanti delle opposizioni laiche. Oggetto della protesta è stato

in particolare il Presidente Abdel Fattah al-Sisi, duramente attaccato per la cessione

della sovranità nazionale delle isole Sanafir e Tiran nel Mar Rosso in favore dell’Arabia

Saudita. Un atto, questo, percepito come una sorta di compensazione territoriale per

gli oltre 20 miliardi di dollari in aiuti economici e progetti infrastrutturali promessi da

Riyadh al Cairo, ma giudicati dalla popolazione come “un’umiliazione per la dignità

egiziana”. Le manifestazioni, segnate già nei giorni precedenti da una sequela im-

pressionante di arresti, sono state anche l’occasione per fare pressioni sull’esecutivo

in merito al caso Regeni, sempre al centro del dibattito bilaterale con l’Italia. Il Mini-

stro degli Esteri Paolo Gentiloni ha nuovamente attaccato le autorità del Cairo pre-

tendendo maggiore collaborazione nelle indagini per far luce su un caso di omicidio

ancora insoluto e del quale ad oggi sono sconosciute le motivazioni.

FRANCIA-AUSTRALIA, 22 MARZO ↴

Il Primo Ministro australiano Malcolm Turnbull ha ufficialmente annunciato la conclu-

sione del più grande contratto mai sottoscritto dal proprio governo nel settore della

Difesa. Nonostante le proposte presentate dal Giappone e dalla Germania, è stato il

gruppo industriale francese DCNS ad acquisire la commessa, pari a 50 miliardi di

dollari australiani (pari a 32,3 miliardi di euro), per la fornitura di 12 sottomarini

oceanici modello Shortfin Barracuda alla Marina Militare, la cui consegna è prevista a

partire dal 2027, in sostituzione degli attuali 6 sommergibili Collins. Sebbene alcuni

dettagli tecnici siano ancora riservati, sembra certo che i sottomarini, del peso di

circa 4.500 tonnellate, avranno una lunghezza di oltre 90 metri e saranno dotati di

un sistema avanzato di propulsione pump-jet. Secondo le dichiarazioni rilasciate dal

Premier Turnbull, la costruzione dei sommergibili avrà luogo nella città di Adelaide

con l’impiego di acciaio australiano e comporterà la creazione di circa 2.800 posti di

lavoro. Come spiegano fonti dell’Eliseo, l’intesa rappresenta il massimo risultato

dell’export bellico francese e si inserisce nel quadro di un partenariato strategico di

lungo periodo tra Francia e Australia, della durata prevista di 50 anni. Il potenzia-

mento della forza sottomarina è un aspetto essenziale per lo sviluppo della difesa di

uno Stato insulare quale l’Australia, sia per condurre operazioni di sorveglianza dei

propri mari sia per rispondere all’espansione militare di altri Paesi, tra cui la Cina.

19

IRAN, 29 APRILE ↴

Il Paese è tornato alle urne per i ballottaggi dei seggi ancora in bilico dopo le elezioni

parlamentari di febbraio. Secondo i dati ufficiali, hanno prevalso i gruppi moderati e

riformisti vicini al Presidente Hassan Rouhani, che hanno ottenuto il 42% dei 68 posti

in gioco, divenendo il polo più numeroso del nuovo Majles, con 121 deputati. I con-

servatori hanno ottenuto, invece, solo un terzo dei seggi in palio. Simili risultati

aprono la strada al programma di riforme economiche annunciato da Rouhani al mo-

mento della sua elezione, nell’agosto del 2013. Era dal 2005 che a Teheran non si

componeva un Parlamento a maggioranza non conservatrice.

ISRAELE-GAZA, 5 MAGGIO ↴

L’aviazione israeliana ha bombardato obiettivi di Hamas nel nord della Striscia di Gaza

come ritorsione per gli attacchi con razzi e colpi di mortaio condotti dall’organizza-

zione palestinese contro le forze israeliane che stazionano al confine settentrionale

con Gaza. Il portavoce militare israeliano, Peter Lerner, ha affermato che dal 3 mag-

gio «Hamas ha ripetutamente sparato e lanciato colpi di mortaio e razzi contro i

soldati israeliani impegnati in attività operative di difesa nell'adiacenza della barriera

di sicurezza con la Striscia», mentre il portavoce di Hamas, Abou Marzouk, ha ricor-

dato che quanto accaduto ai confini settentrionali di Gaza «è un tentativo di Israele

di mettere in atto fatti compiuti sul terreno per 150 metri oltre la barriera di confine.

Questo è ciò che ha spinto i nostri uomini a ingaggiare questo scontro. Per impedire

ai loro bulldozer di continuare nel loro operato».

ITALIA-INDIA, 3 MAGGIO ↴

Il Tribunale arbitrale dell’Aja incaricato di dirimere l’annosa questione relativa al foro

competente nel caso dell’incidente dell’Enrica Lexie ha decretato, con ordinanza del

29 aprile resa pubblica il 3 maggio, il rientro e la permanenza in Italia del Sergente

Salvatore Girone durante tutto il periodo dell’arbitrato. Il Tribunale ha precisato che

il fuciliere resterà sotto la tutela della Corte Suprema indiana, benché innegabili que-

stioni di umanità ne impongano il rimpatrio dopo quattro anni di lontananza dall’Italia

e nella prospettiva di un arbitrato che non si concluderà prima di 2/3 anni. L’India ha

tre mesi di tempo per coordinarsi con l’Italia e rendere effettiva tale decisione. Dal

canto suo l’Italia ha l’obbligo di garantire che il fuciliere della Marina si presenti ad

un’autorità su territorio italiano designata dalla Corte Suprema indiana a intervalli

temporali stabiliti dalla stessa Corte Suprema e di informare le autorità indiane ogni

tre mesi circa la situazione legata al Sergente. Quest’ultimo dovrà inoltre consegnare

il passaporto alle autorità italiane e non potrà uscire dall’Italia salvo previa autorizza-

zione della Corte Suprema indiana.

20

ITALIA-TERRORISMO, 28 APRILE ↴

Un’operazione anti-terrorismo condotta congiuntamente dai reparti di DIGOS e ROS,

con il supporto dei servizi di sicurezza nazionali, ha portato all’arresto di sei persone

con l’accusa di incitamento al terrorismo internazionale e pianificazione di attentati

contro obiettivi sensibili in Italia. Il blitz, avvenuto a Bulciago, in provincia di Lecco,

ha rivelato l’esistenza di un’organizzazione attiva tra Italia e Siria – anche se non

sono ancora chiare fattivamente le dimensioni e le tipologie di connessioni esistenti

–, che mirava non tanto al reclutamento di personale da portare a combattere nelle

terre dello Stato Islamico, quanto ad individuare soggetti disponibili ad attentati ter-

roristici in Italia, provocando un salto di qualità e paradigma nella strategia stessa

dell’IS nel Paese ma anche nel Continente. Obiettivi dei presunti terroristi erano il

Vaticano e l’Ambasciata di Israele a Roma.

MALI, 22 APRILE ↴

Le autorità maliane hanno arrestato a Bamako il mauritano Fawaz uld Ahmed, so-

prannominato dalle stesse “Ibrahim 10”, ritenuto l’autore di attacchi jihadisti contro

obiettivi occidentali nella capitale Bamako. Secondo le forze di sicurezza locali, l’uomo

si stava preparando a un nuovo attacco. Ahmed è considerato tra i più stretti colla-

boratori di Mokhtar Belmokhtar, il capo del gruppo jihadista al-Mourabitoun, ed è

sospettato di essere la mente degli attacchi a Bamako al Caffè La Terrasse (marzo

2015), al Byblos Hotel (agosto 2015) e all’Hotel Radisson Blu (20 novembre 2015).

L’uomo sarebbe inoltre coinvolto nell’attentato contro la Missione militare dell’Unione

Europea in Mali nell’Azalai Nord-Sud Hotel avvenuto lo scorso 21 marzo. Tutti i sud-

detti attacchi sono stati rivendicati proprio dal gruppo terroristico al-Mourabitoun,

affiliato ad al-Qaeda nel Maghreb Islamico (AQIM).

MAROCCO, 20 APRILE ↴

Re Mohammed VI ha rappresentato il proprio Paese al summit del Consiglio di Coo-

perazione del Golfo (GCC), nella prima partecipazione ufficiale della monarchia nor-

dafricana dopo l’avvio delle trattative per l’estensione della membership al GCC ai

Regni di Marocco e Giordania nel 2011. In un quadro di rafforzamento dei rapporti

economici e strategici con i Paesi del Golfo, Mohammed VI ha garantito l’appoggio

militare alla coalizione a guida saudita operativa in Yemen dal 2015 e ha ribadito

l’impegno del Paese contro il terrorismo dello Stato Islamico (IS). Al termine del

summit le monarchie del GCC hanno riaffermato la sovranità territoriale del Marocco

sul Sahara Occidentale, dando un importante segnale su una delicata questione geo-

politica per il governo di Rabat.

21

MOLDAVIA, 4 MAGGIO ↴

Dureranno fino al 20 maggio le esercitazioni militari “Dragon Pioneer 2016” che ve-

dono coinvolti 198 militari statunitensi al fianco di 165 unità del contingente moldavo

Genio, 3 brigate di fanteria, e un battaglione di peacekeeping. Le manovre, che si

svolgono presso il quartier generale del battaglione Genio e il centro della brigata di

fanteria Moldova nella città di Negrești, prevedono operazioni congiunte di soccorso

medico, di addestramento base e attività di collaborazione con la NATO, e coinvolge-

ranno 58 mezzi blindati statunitensi e 40 veicoli da combattimento moldavi. Sebbene

la Costituzione riconosca lo status di Paese neutrale, la Moldavia mette a disposizione

delle operazioni NATO designate unità e basi di addestramento in linea con il Parte-

nariato per la Pace al quale aderisce fin dal 1994. Ufficialmente con lo scopo di mi-

gliorare la cooperazione tra le forze armate statunitensi e moldave, le esercitazioni

Dragon Pioneer si pongono in continuità con le operazioni “Joint Effort 2015” e rien-

trano nella più ampia strategia dell’Alleanza Atlantica volta a rafforzare la propria

capacità militare nell’Est Europa. Tali esercitazioni si inscrivono peraltro nel contesto

di tensioni circa il conflitto congelato in Transnistria: mentre l’opposizione socialista

e filo-russa ha denunciato Dragon Pioneer come un tentativo di occupazione militare,

il Ministro della Difesa Anatol Șalaru ha infatti ricordato la presenza dal 1992 della

14esima Armata russa all’interno del territorio separatista.

NATO, 3-4 MAGGIO ↴

Curtis Michael Scapparotti, Generale dell’esercito americano, è il nuovo Comandante

Supremo delle Forze Alleate in Europa (SACEUR). È il 18° statunitense a ricoprire

questa carica, sostituendo il suo connazionale Philip Breedlove. In passato Scappa-

rotti ha guidato il comando congiunto delle Nazioni Unite e americano in Corea e ha

preso parte a numerose missioni internazionali (Enduring Freedom in Afghanistan a

Iraqi Freedom in Iraq, Support Hope in Congo e Rwanda e molte altre). Il 3 maggio,

inoltre, Israele ha accettato l’invito dell’Alleanza ad aprire un proprio ufficio perma-

nente a Bruxelles. Scongiurata l’ipotesi di un veto turco alla concessione di una de-

legazione israeliana in Belgio, questo annuncio ha segnato sia una distensione nei

rapporti tra Ankara e Tel Aviv, dopo l’incidente della Mavi Marmara del 2010, sia un

rafforzamento del legame tra Israele e i 28 membri della NATO. Soddisfatto il Premier

israeliano Benjamin Netanyahu: «È un obiettivo per il quale lavoriamo da anni». A

Bruxelles sono stati ammessi anche i rappresentanti di Bahrain, Qatar, Oman e Gior-

dania.

NIGERIA-FRANCIA, 29 APRILE ↴

Durante la visita in Nigeria, il Ministro della Difesa francese, Jean-Yves Le Drian, ha

affermato che la Francia aiuterà il Paese africano nelle attività di contrasto al gruppo

jihadista Boko Haram. Gli accordi di cooperazione militare riguardano in particolare

l’invio di armi ed equipaggiamento a favore delle unità d’élite dell’esercito e della

marina nigeriana e l’avvio di corsi di formazione per i militari di Abuja. In aggiunta,

22

Parigi fornirà assistenza alla Nigeria nell’analisi dei beni recuperati a Boko Haram nel

corso dell’offensiva lanciata la scorsa estate. La collaborazione franco-nigeriana nella

lotta al terrorismo dura ormai dal 2014. Parigi fornisce ad Abuja immagini satellitari

del Lago Ciad sui movimenti degli jihadisti, ottenute grazie ai jet Rafale che sorvolano

quotidianamente la regione. Pertanto, il ruolo dell’Eliseo è quanto mai prezioso anche

da un punto di vista geopolitico, in quanto si pone come alternativa strategica alle

operazioni di counter-terrorism guidate da AFRICOM nella regione.

QATAR-TURCHIA, 28-29 APRILE ↴

In occasione della visita ufficiale del dimissionario Premier turco Ahmet Davutoğlu in

Qatar, è stato concluso un accordo di cooperazione militare fra Ankara e Doha. In

virtù di tale intesa, la Turchia ha installato una nuova base militare sul territorio

qatarina e vi dispiegherà dai 3.000 ai 5.000 uomini – tra cui forze di terra, aeree e

navali –, fornirà addestramento militare all’esercito locale e predisporrà strutture di

condivisione delle proprie informazioni d’intelligence riguardanti gli obiettivi comuni

ai due Paesi. Davutoğlu ha dichiarato che si tratta di una scelta funzionale alla politica

estera turca, mirata al mantenimento della stabilità in Medio Oriente. L’accordo raf-

forza le relazioni fra i due Paesi, già molto cordiali e convergenti sul piano locale in

una posizione anti-Assad in Siria.

RUSSIA, 3 MAGGIO ↴

Il Ministro della Difesa russo Sergej Shoigu ha annunciato che entro la fine dell’anno

la Russia istituirà tre nuove divisioni militari sul suo fianco occidentale, a Rostov sul

Don e nelle regioni di Smolensk e Voronezh. Stando a quanto dichiarato dal Cremlino,

la misura, che dovrebbe prevedere il dispiegamento di 10.000 soldati russi, sarebbe

stata adottata allo scopo di dissuadere l’Alleanza Atlantica dal rafforzare la propria

presenza militare lungo i confini russi: il 29 aprile il Segretario Generale della NATO

Jens Stoltenberg aveva ipotizzato lo schieramento di 4 battaglioni nei Paesi baltici e

in Polonia in ragione dell’approccio aggressivo russo manifestatosi nei recenti voli

radenti di cacciabombardieri russi su navi statunitensi nel Mar Baltico. La possibilità

di un tale potenziamento segue d’altra parte il recente programma di rafforzamento

del fianco orientale della NATO, oltre che il piano del Pentagono di inviare una brigata

corazzata di 4.200 uomini nell’Est Europa, il prossimo febbraio 2017. Le decisioni

russe e statunitensi riflettono un clima di militarizzazione del fronte russo-europeo e

di generale sfiducia, come già emerso dai profondi disaccordi del Consiglio NATO-

Russia dello scorso 20 aprile.

RUSSIA-NATO, 19 APRILE ↴

L’incontro bilaterale tra i rappresentanti della Federazione Russa e i loro colleghi della

NATO, tenutosi nel framework del Consiglio NATO-Russia, ha constatato l’esistenza

di profonde divisioni nella visione reciproca delle due parti. Questo tipo di incontro è

23

stato tenuto per la prima volta dal 2014, quando l’alleanza ha deciso di sospendere

la cooperazione con il suo grande vicino a causa della politica russa in Ucraina. Infatti,

il conflitto nel Donbass e lo status territoriale della Penisola di Crimea sono stati i

punti centrali della recente discussione, evidenziando la grande distanza in materia

tra l’Alleanza Atlantica e il Cremlino. Durante la discussione durata più di un’ora, non

è stato fatto nessun chiaro passo avanti nell’implementazione di un accordo volto a

ridurre il rischio di frizioni militari tra le due parti. Rimangono distanti anche le posi-

zioni sulla crisi ucraina, con Mosca che continua a sostenere ufficialmente la sua

estraneità al conflitto. L’unico vero risultato del meeting è stato sottolineato da Jens

Stoltenberg, Segretario Generale dell’Alleanza Atlantica, che ha espresso le speranze

che questo tipo di incontri possa rappresentare l’apertura di uno spiraglio per il dia-

logo dopo due anni di crescente tensione.

RUSSIA-UZBEKISTAN, 25-26 APRILE ↴

Il Presidente dell’Uzbekistan Islom Karimov ha effettuato una visita ufficiale a Mosca,

nel corso della quale ha discusso con l’omologo russo Vladimir Putin delle prospettive

di sviluppo della cooperazione bilaterale, di questioni regionali e di argomenti di in-

teresse globale. Come riporta il sito ufficiale del Cremlino, il bilaterale ha condotto

anzitutto alla firma di un accordo di cooperazione tra Russia e Uzbekistan sulla forni-

tura di materiale bellico a Paesi terzi. Inoltre sono state concluse delle intese volte a

promuovere la collaborazione inter-istituzionale tra i rispettivi Ministeri degli Esteri e

tra i Ministeri dello Sport dei due Paesi. Ulteriori accordi riguardano programmi di

cooperazione nel settore culturale e della ricerca accademica. Tra i temi affrontati,

particolare rilievo hanno assunto l’aggravamento della situazione di sicurezza in Af-

ghanistan ed il rischio di potenziali ripercussioni sulla stabilità dei Paesi limitrofi. Sul

punto, il Presidente Putin ha proposto una strategia di intervento che assegni un ruolo

di maggiore rilievo all’Organizzazione di Shanghai per la Cooperazione (SCO); al con-

trario, il Presidente Karimov si è mostrato a sfavore di un diretto coinvolgimento

dell’organismo nello scenario politico e militare del Paese. Ciò non solo per evitare

che la SCO possa essere ritenuta interamente responsabile della risoluzione della crisi

afghana, ma anche perché l’interesse dell’Uzbekistan – che detiene la Presidenza di

turno della SCO – sembra attualmente focalizzarsi sugli aspetti di natura economica,

piuttosto che politica dell’organizzazione.

STATI UNITI-REGNO UNITO-GERMANIA, 22-24 APRILE ↴

Il Presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, ha compiuto un importante viaggio in

Europa tra il 22 e il 24 aprile. La prima tappa è stata Londra, dove, oltre a omaggiare

la Regina Elisabetta II per il suo novantesimo compleanno, si è schierato pubblica-

mente al fianco del Primo Ministro, David Cameron, in favore della permanenza della

Regno Unito all’interno dell’Unione Europa in vista del prossimo referendum del 23

giugno sul Brexit. «L’Unione europea non attenua l’influenza britannica, la amplifica.

Un’Europa forte non è una minaccia alla leadership britannica globale; la potenzia».

24

La tappa successiva è stata quella a Hannover, dove Obama ha incontrato il Cancel-

liere, Angela Merkel. Il Presidente ha ribadito la centralità del progetto della Transat-

lantic Trade and Investment Partnership (TTIP) per le relazioni tra Europa e Stati

Uniti; un progetto ancora in corso di negoziato che, però, proprio in Germania sta

incontrando le maggiori resistenze da parte dell’opinione pubblica attraversata tra-

sversalmente da sentimenti anti-americani. L’auspicio è che si possa arrivare a un

accordo entro la fine del 2016.

TURCHIA, 5 MAGGIO ↴

Il Primo Ministro turco Ahmet Davutoğlu ha annunciato le proprie dimissioni dall’in-

carico a partire dal prossimo 22 maggio, quando si svolgerà un congresso nazionale

straordinario del Partito per la Giustizia e lo Sviluppo (AKP). La decisione è stata

presa al termine di un Vertice dell’AKP, in cui si è manifestata l’impossibilità di restare

in carica dopo l’ennesimo scontro col Presidente Recep Tayyip Erdoğan. La crisi di

governo era scoppiata a seguito della decisione dell’AKP di togliere a Davutoğlu la

possibilità di eleggere i leader provinciali del partito, conferendo tale facoltà a Er-

doğan.

25

ANALISI E COMMENTI

BETWEEN TRUMP AND CLINTON: WHAT FUTURE FOR NATO?

FABIO RONDINI ↴

The recent result of Wisconsin Primaries has marked a surprising victory of Ted Cruz

for the Republicans and Bernie Sanders for the Democrats and this unexpected result

has complicated the race to the White House both for Donald Trump and Hillary Clin-

ton. Of course, the situation so created will not be definitive and, in any case, it will

be difficult for Cruz and Sanders to replace the tycoon and the former First Lady, who

still remain the two most likely candidates for the presidency at the moment. In fact,

the trend expressed by Democratic and Republican Party Primaries of 1st March 2016

has substantially marked a contraposition between Trump, for the Grand Old Party

(GOP), and Clinton for the Democrats. Even though foreign policy has hardly played

a decisive role in American electoral campaigns, after having briefly studied the re-

sults of Barak Obama administration, it would be useful to draft some possible sce-

narios that may outcome from elections, which will take place in November, both for

the foreign policy domain and for the US future role in the Atlantic Alliance. This

article will analyze the foreign policy approach towards the NATO for the two most

likely candidates for the White House (…) SEGUE >>>

LE PROSPETTIVE POLITICHE DEL NUOVO VECCHIO IRAN

ALBERTO GASPARETTO ↴

Le recenti consultazioni elettorali valide sia per il rinnovo del Majles (Parlamento)

iraniano sia per l’Assemblea degli Esperti hanno visto l’affermazione dei candidati

facenti parte del blocco politico legato al Presidente Hassan Rouhani. Emblema della

vittoria è stata la constituency della capitale Teheran in cui la fazione riformista-

moderata ha conquistato tutti e 30 i seggi disponibili per il Parlamento (che elegge

290 rappresentanti su tutto il territorio nazionale) e ben 15 membri su 16 all’Assem-

blea degli Esperti, fra cui i primi due della lista riformista, l’ex Presidente Akbar Ha-

shemi Rafsanjani, uno dei principali businessmen del Paese, e il medesimo Rouhani.

Le consultazioni sono ufficialmente le prime in seguito alla parziale rimozione del

regime di sanzioni internazionali seguite allo storico accordo sulla questione nucleare

raggiunto la scorsa estate. en’intesa fortemente voluta da Rouhani da tutto il Paese,

stremato da anni di chiusura e gravato da una crescita inesistente a fronte delle

enormi potenzialità offerte dalla giovane società iraniana (…) SEGUE >>>

IL FUTURO INCERTO DELLE ESPORTAZIONI DI ARMI RUSSE

GEORGIY BOGDANOV ↴

Lo studio del commercio delle armi è un processo complesso dal momento che in

esso i fattori tecnici, legati alle caratteristiche e alle prestazioni degli armamenti,

spesso giocano un ruolo secondario, rispetto agli elementi geopolitici e strategici.

Tale situazione deriva dal fatto che i costi di manutenzione, riparazione e costruzione

26

dell’infrastruttura per ospitare le nuove piattaforme creano un legame duraturo tra il

fornitore e l’acquirente, siano questi armamenti leggeri o pesanti. Nel caso specifico

della Federazione Russa la situazione è ancora più particolare, a causa della posizione

speciale che essa occupa nello scacchiere internazionale. Lo studio condotto dal Public

Sector Research Centre (PSRC) definisce la Russia come una delle due (insieme agli

Stati Uniti) potenze globali, il che è determinato dalla capacità di dispiegare le forze

armate su scala mondiale. L’affermazione del PSRC è basata sul paradigma del rea-

lismo politico nella sua accezione classica, la quale sostiene che è la disposizione dei

mezzi materiali, come forze armate e potere economico, a determinare lo status di

uno stato nell’arena internazionale. Per questo motivo, Mosca deve prestare costan-

temente massima attenzione all’immagine che essa trasmette a potenziali acquirenti

per evitare che si rivolgano altrove (…) SEGUE >>>

CONFLITTI IBRIDI E ZONE GRIGIE: IL DIBATTITO SULLE FORME

DELLA GUERRA NELLA COMPETIZIONE TRA USA, RUSSIA E CINA

ALESSANDRO PANDOLFI ↴

Tra i temi rilevanti in ambito politologico figura sicuramente il cambiamento delle

forme della guerra. Tempi e contenuti di questo filone sono spesso definiti dalla ri-

flessione statunitense, a causa del ruolo di Washington nella struttura politica inter-

nazionale, della sua preminenza militare e della vasta comunità di ricerca (pubblica

e privata). Dopo i recenti “cicli” riguardanti la Revolution in Military Affairs (RMA) e i

conflitti irregolari o asimmetrici (guerriglia, insorgenza, ecc), si è manifestata negli

ultimi anni una forte riemersione dell’argomento tra gli analisti. Uno sviluppo legato

ai cambiamenti nei vari fattori rilevanti (tecnologia in primis) ma anche alla crescente

competizione politica e militare tra le principali potenze. Accanto al tema permanente

della competizione tecnologica e negli armamenti convenzionali, un’attenzione non

indifferente è stata recentemente posta sulla concreta conduzione delle ostilità da

parte di alcuni Stati e sull’elaborazione di approcci irregolari e asimmetrici, spesso

indicati come “ibridi” (…) SEGUE >>>

MULTIPARTITISMO E INGOVERNABILITÀ: LO SCENARIO INEDITO SPAGNOLO

DAVIDE VITTORI ↴

A distanza di quattro mesi dalle elezioni legislative del 20 dicembre, in cui il Partido

Popular (PP) di Mariano Rajoy aveva ottenuto la maggioranza relativa (123 seggi e il

28,72% dei voti) avviando così le prime trattative per la formazione di un governo di

coalizione con i socialisti del PSOE (che avevano raggiunto 90 seggi e il 22,1%), i

partiti politici spagnoli non sono riusciti a raggiungere un compromesso per la forma-

zione di una maggioranza parlamentare (fissata a 176 deputati). I veti trasversali, la

bocciatura anche nei confronti del leader socialista Pedro Sánchez e il raggiungimento

del limite di due mesi dal primo voto di fiducia, hanno pertanto indotto il Re Felipe VI

ad annunciare nuove elezioni per il prossimo 26 giugno. Un fallimento annunciato,

questo, per due ragioni. La prima, e la più scontata, è che il PSOE, dopo un’aspra

campagna contro le politiche del governo uscente di Rajoy, difficilmente avrebbe po-

tuto far digerire al proprio elettorato un compromesso con la controparte popolare.

27

Un governo di grande coalizione sarebbe stato un unicum nella breve storia della

democrazia spagnola, abituata a governi monocolore o con coalizioni totalmente sbi-

lanciate a favore dei due partiti principali. Inoltre, tali elezioni hanno portato ad un

Parliamento colgado tale da non consentire ad un partito di avvicinarsi perlomeno

alla maggioranza relativa (…) SEGUE >>>

LA DIPLOMAZIA OCCIDENTALE TRA RUSSIA E CINA:

LE (POSSIBILI) ALTERAZIONI DELL’EQUILIBRIO STRATEGICO GLOBALE

MIRENO BERRETTINI ↴

Il linguaggio odierno dei commentatori politici è indubbiamente caratterizzato da un

alto tasso di innovazione; sono infatti numerosi i vocaboli mutuati da altri settori o

altre discipline, come molti sono i neologismi. Non tutti hanno avuto fortuna, ma

certamente alcuni sono diventati chiavi interpretative o veri e propri strumenti ana-

litici. Molti di questi nuovi lemmi implicitamente riguardano una trasformazione dei

rapporti tra sovranità e spazio, così come tra dimensione politica e dimensione eco-

nomica. Il linguaggio attuale in poche parole è il prodotto di trasformazioni che sfug-

gono alle tassonomie nominali del vocabolario tradizionale, almeno nella stessa mi-

sura in cui le produce: e allora abbiamo imparato a conoscere “Chindia”, per descri-

vere l’unione geo-economica tra Cina e India che sta ridefinendo i rapporti nel sistema

della divisione internazionale del lavoro, “Chiwan” che invece ‘salda’ Cina e Taiwan

tanto dal punto di vista economico-finanziario tanto da quello culturale; infine “Chi-

merica”, il rapporto ‘simbiotico’ che lega reciprocamente Cina e Stati Uniti. Il mio

elenco potrebbe allungarsi, mi limito invece a menzionare “Chussia”, un costrutto

analogo ai precedenti, che va a delineare il ‘vincolo’ creatosi tra Repubblica Popolare

Cinese (RPC) e Federazione Russa (…) SEGUE >>>

A cura di

OSSERVATORIO DI POLITICA INTERNAZIONALE

Ente di ricerca di

“BLOGLOBAL-LO SGUARDO SUL MONDO”

Associazione culturale per la promozione della conoscenza della politica internazionale

C.F. 98099880787

www.bloglobal.net