opi weekly report n°12/2016
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Rassegna settimanale a cura dell'Osservatorio di Politica Internazionale (OPI) // 17 aprile - 7 maggio 2016TRANSCRIPT
Weekly Report Osservatorio di Politica Internazionale (OPI) © BloGlobal – Lo sguardo sul mondo
Milano, 8 maggio 2016 ISSN: 2284-1024 A cura di: Matteo Anastasi Georgiy Bogdanov Oleksiy Bondarenko Davide Borsani Luttine Ilenia Buioni Agnese Carlini Marta Cioci Giuseppe Dentice Danilo Giordano Antonella Roberta La Fortezza Giorgia Mantelli Violetta Orban Fabio Rondini Maria Serra Alessandro Tinti
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Weekly Report N°12/2016 (17 aprile – 7 maggio 2016), Osservatorio di Politica Internazionale (OPI), Milano 2016, www.bloglobal.net
Photo Credits: The Guardian; Islamic State/The Long War Journal; AP; Reuters; Stephanie Lecocq/European Press-photo Agency; Alfredas Pliadis/Zuma Press; AFP Photo.
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FOCUS
LIBIA ↴
Insediatosi a Tripoli da circa un mese, e dopo aver ottenuto l’appoggio di numerose
municipalità, della National Oil Company (NOC) e della Banca centrale libica, il go-
verno di transizione guidato da Fayez al-Serraj deve ora affrontare l’opposizione pro-
veniente dal generale Khalifa Haftar e dalle milizie a lui fedeli. Queste ultime, appog-
giate da Egitto, Arabia Saudita e tacitamente dalla Francia del Presidente François
Hollande, controllano a macchia di leopardo buona parte dei territori orientali del
Paese, costituendo uno dei freni principali all’avanzata dello Stato Islamico (IS) in
territorio libico. Proprio le milizie di Haftar, rompendo ogni indugio, il 4 maggio
hanno ufficialmente dato il via alla loro offensiva contro Sirte, roccaforte libica
dell’IS, prendendo il controllo di Zillah, una cittadina a 400 chilometri da Sirte. È
rimasta dunque inascoltata la richiesta del 28 aprile avanzata dal Consiglio presiden-
ziale libico e indirizzata alle forze del generale Haftar di interrompere l’attacco fino a
quando non si fosse nominato un comando congiunto per l’azione militare.
La fazione guidata da Haftar, inoltre, esercita una forte influenza sul Parlamento di
Tobruk, del quale si attende ancora il voto di fiducia al nuovo governo al-Serraj dopo
che il 18 aprile non è stato raggiunto, per la sesta volta consecutiva, il quorum per la
votazione. Il rischio principale contro la stabilizzazione e la sicurezza del Paese sem-
bra dunque provenire dall’opposizione di Haftar e dal suo rifiuto di riconoscere
de facto quanto previsto de jure dall’articolo 8 dell’Accordo di Tunisi firmato
lo scorso dicembre e che ha portato alla formazione di un esecutivo di unità nazionale,
secondo il quale tutti i poteri delle alte gerarchie militari sarebbero dovuti essere
trasferiti alla Presidenza del Consiglio.
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Lo scontro tra il governo di al-Serraj insediatosi a Tripoli e quello di Tobruk
riguarda anche il controllo del greggio. La gestione della vendita del petrolio
risulta fondamentale in una strategia effettivamente incisiva mirante alla stabilizza-
zione della Libia in quanto la ripresa della produzione energetica si lega indissolubil-
mente alla possibilità per il nuovo governo di accumulare risorse finanziarie e, tramite
questa, al suo consolidamento e alla sua legittimazione. Tobruk ha iniziato a ven-
dere greggio al di fuori dei canali autorizzati dalla NOC, sollevando la forte
opposizione del governo di Tripoli. Il 23 aprile la prima petroliera, la Ditya Ameyna,
battente bandiera indiana è partita dal porto di Hariga carica di circa 650.000 barili
di petrolio. Pochi giorni dopo, il 26 aprile, la guardia costiera maltese, su richiesta
delle autorità di Tripoli, hanno bloccato la nave prima che potesse entrare in porto.
La petroliera è ripartita dopo circa 72 ore per attraccare presso il porto di Zawiya, ad
ovest di Tripoli, e tornare sotto il controllo del governo Serraj. La restituzione del
carico alle autorità legittime libiche ha sollevato le proteste del governo di Tobruk il
quale ha ribadito, tramite diversi canali, il proprio diritto di finanziarsi con la vendita
del petrolio all’estero. Esattamente come per il governo di Serraj, tale commercio è
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fondamentale anche per Haftar, in quanto fonte di finanziamento per le milizie a lui
fedeli. Finanziamento che il Generale riceve anche tramite ulteriori canali: il 23 aprile,
1.050 veicoli militari sono sbarcati nel porto di Tobruk, sembrerebbe inviati dalla coa-
lizione pro-Haftar, in particolare da Egitto e Arabia Saudita, in violazione dell’embargo
internazionale così come sancito nella Risoluzione 1970 del Consiglio di Sicurezza.
Intanto, il dossier libico continua ad essere uno dei temi caldi nei vertici in-
ternazionali. Il 25 aprile i Capi di Stato e di Governo del G5 (Stati Uniti, Regno
Unito, Francia, Germania e Italia), riuniti ad Hannover per discutere di sicurezza e
immigrazione, hanno dato la loro piena disponibilità a sostenere l’azione di stabiliz-
zazione del governo al-Serraj, escludendo tuttavia, ancora una volta, qualsiasi azione
militare in territorio libico in assenza di un’esplicita richiesta da parte del governo
legittimo del Paese nordafricano. Le parti hanno infatti ribadito che soltanto in un
contesto di legalità internazionale e con l’appoggio del governo libico sarà possibile
parlare di una missione internazionale, smentendo prontamente la voce circolata su-
bito dopo l’incontro di Hannover secondo la quale l’Italia avrebbe deciso di inviare
900 militari in Libia. Il 28 aprile rispondendo ad un’interrogazione parlamentare, il
Ministro degli Esteri Paolo Gentiloni ha ribadito il pieno sostegno dell’Italia alla
linea emersa durante il G5. L’unica richiesta per ora giunta dal governo al-Serraj
in sede di Nazioni Unite riguarda la protezione dei pozzi e dei terminal petroliferi
situati nel Golfo della Sirte tra Sidra e Marsa al-Barga, ai confini tra la Cirenaica e la
Tripolitania. La richiesta, giunta dopo alcuni preoccupanti rapporti della NOC circa la
possibilità di attacchi contro le installazioni petrolifere, non contiene alcun esplicito
riferimento ad un intervento militare internazionale ma fa riferimento esclusivamente
alla protezione dei siti petroliferi e alla forte correlazione esistente tra la gestione
del petrolio e la fattibilità del progetto di riconciliazione nazionale. Una esplicita ri-
chiesta di intervento militare da parte di al-Serraj non sembra, del resto, neanche
scontata dato che potrebbe ulteriormente indebolire il governo sottoponendolo alle
accuse di asservimento all’occidente.
Sembrerebbe intanto profilarsi, in ambito NATO, l’avvio entro qualche mese
dei primi pattugliamenti marittimi al largo della Libia; il via libera all’azione do-
vrebbe arrivare già con il vertice NATO di Varsavia del 7 luglio. Infine, per quanto
concerne la questione legata al problema dell’immigrazione si discute in ambito eu-
ropeo della possibilità di negoziare con la Libia un accordo sui migranti simile
a quello negoziato con la Turchia utilizzando la medesima strategia di gestione
dei flussi migratori. L’Italia e la Germania sembrano appoggiare questa idea ma altri
Paesi, quali ad esempio l’Olanda, hanno sollevato notevoli dubbi sulla fattibilità di un
simile progetto sottolineando le notevoli differenze esistenti tra la situazione statuale
turca e quella libica: un simile accordo per poter concretamente funzionare richiede
infatti l’esistenza di un governo stabile, effettivo e pienamente legittimato. La delicata
situazione libica, dunque, non consentirebbe al momento di muoversi in tal senso.
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SIRIA-IRAQ ↴
Il bombardamento sull’ospedale pediatrico al-Quds (28 aprile) testimonia lo
sfaldamento della tregua su cui si reggono i colloqui intra-siriani per il superamento
della guerra civile. L’aviazione governativa ha raso al suolo la struttura ospedaliera
nell’area orientale di Aleppo lasciando sotto le macerie almeno cinquantacinque per-
sone, tra cui molti bambini in cura presso la clinica gestita da Medici senza Frontiere.
La rappresaglia delle forze ribelli nei quartieri centrali e occidentali della città ha ul-
teriormente aggravato il bilancio delle vittime. L’attacco rappresenta l’apice ecla-
tante della recente accelerazione dei combattimenti. Secondo l’Osservatorio
siriano per i diritti umani tra il 22 e il 28 aprile oltre duecento civili sono rimasti uccisi
sotto i bombardamenti aerei del regime e i colpi di artiglieria degli antagonisti. Mal-
grado le smentite ufficiali di Damasco, a 24 ore dall’attacco sull’ospedale al-Quds i
caccia siriani hanno bersagliato una seconda clinica nel quartiere di Bustan
al-Qasr. L’agenzia governativa Sana ha riportato che nella stessa giornata (un ve-
nerdì di preghiera) le brigate ribelli hanno esploso colpi di mortaio contro una mo-
schea nell’area di Bab al-Faraj, presidiata dalle forze lealiste, provocando la morte di
almeno quindici persone. Il 3 maggio anche l’ospedale di al-Dabit nel quartiere di
Muhafaza è stato raggiunto dai razzi lanciati da alcune formazioni islamiste. Il Segre-
tario Generale ONU, Ban Ki-moon, ha duramente ricordato che gli attacchi inten-
zionali contro strutture ospedaliere costituiscono crimini di guerra e ha an-
notato che dall’inizio del conflitto in Siria sono morti 730 medici.
Mentre è riportato lo schieramento dell’artiglieria pesante russa alla periferia
di Aleppo per accompagnare l’offensiva dell’esercito di Damasco, il Comitato inter-
nazionale della Croce Rossa ha denunciato il tracollo umanitario in cui è sprofondata
la città contesa. L’organizzazione ha inoltre comunicato di aver allestito un convoglio
umanitario di sessantacinque camion verso al-Rastan, nel governatorato di Homs. Il
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21 aprile la Mezzaluna Rossa Siriana in collaborazione con le agenzie ONU già aveva
evacuato cinquecento persone dalle aree assediate e ancora largamente interdette al
transito dei soccorsi: 250 civili hanno così lasciato le cittadine di Madaya e Zabadani,
accerchiate dalle truppe governative, in cambio dell’evacuazione di altrettanti civili
dai centri di Fuaa e Kefraya, sotto scacco dei gruppi armati di opposizione.
L’intensificarsi della battaglia su Aleppo sconfessa il processo negoziale di
Ginevra e l’intesa sulla cessazione delle ostilità. L’inviato speciale dell’ONU per la
Siria, Staffan de Mistura, ha ammesso che la tregua è “appesa a un filo” e ha richiesto
l’intervento di Stati Uniti e Russia per rivitalizzare i colloqui di pace. Tuttavia, già il
18 aprile l’Alto Comitato per i negoziati, ossia la principale delegazione delle
opposizioni convocate a Ginevra, aveva abbandonato il tavolo delle tratta-
tive a fronte dei perduranti e indiscriminati bombardamenti governativi, come anche
del mantenimento degli assedi. Il 29 aprile l’esercito regolare siriano ha annunciato
una tregua provvisoria (“un regime del silenzio”) a Damasco, nel Ghouta orientale e
nel nord del governatorato di Latakia – dove le fazioni islamiste e moderate della
ribellione il 18 aprile erano passate al contrattacco minacciando gli avamposti del
regime sulle montagne del Jabal al-Akrad. Significativamente, Aleppo è stata esclusa
dalla disposizione, mentre l’aviazione siriana ha ripreso a rastrellare le periferie della
capitale una volta scaduto il breve cessate il fuoco.
LA BATTAGLIA DI ALEPPO (UPDATE AL 28.04.2016) – FONTE: INSTITUTE FOR THE STUDY OF WAR
I dirigenti delle opposizioni accusano il diretto coinvolgimento russo nei
bombardamenti “criminali” su Idlib, Aleppo e le campagne di Hama. La posizione del
Cremlino palesa evidenti ambiguità: propiziatore e garante della tregua raggiunta lo
scorso 27 febbraio, il governo russo tuttavia sostiene militarmente la stretta dell’al-
leato siriano sui baluardi ribelli. Seppur disposta a cooperare con gli Stati Uniti per il
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recupero del processo di transizione, Mosca ha dichiarato “illegale” l’espansione della
presenza americana nel teatro bellico. L’amministrazione Obama ha infatti de-
ciso di portare a trecento unità (dalle cinquanta iniziali) il contingente dei
reparti speciali operativo nel nord della Siria per assistere le milizie arabo-curde
contro lo Stato Islamico (IS). I portavoce del Presidente Bashar al-Assad hanno bia-
simato la mossa statunitense quale un atto di aggressione contro la sovranità di Da-
masco. Tuttavia, sia fonti russe che americane hanno diffuso il 4 maggio la notizia
del raggiungimento di un accordo tra Russia e Stati Uniti per la cessazione dei
combattimenti ad Aleppo. Da Ginevra il Segretario di Stato americano John Kerry
ha confermato l’iniziativa, aggiungendo che la guerra civile è tuttavia “fuori controllo”.
L’invito alla ripresa delle trattative sotto egida ONU per il prossimo 10 maggio dunque
non regge la realtà dei fatti, tanto da indurre Regno Unito e Francia a chiedere la
convocazione di una riunione d’emergenza del Consiglio di Sicurezza. Se nei giorni
precedenti la comunità internazionale aveva richiamato tutte le parti in conflitto a
recedere dagli scontri, la diplomazia francese ha nettamente addossato al re-
gime alawita “l’intera responsabilità” del fallimento della tregua.
Intanto si continua a combattere a Homs, mentre nel nord-est le milizie curde
dell’YPG hanno ingaggiato dal 20 aprile violenti scontri con le forze governative a
Qamishli e Hasakah. L’IS ha invece tratto vantaggio dall’inasprimento dei combatti-
menti per scagliare un deciso assalto contro la cittadina di Mare’a, come pure inter-
dire le linee di rifornimento governative a sud di Aleppo e rilanciare l’incursione nel
campo profughi di Yarmouk a spese di Jabhat al-Nusra. Nello stesso fronte ribelle le
rivalità nel Ghouta orientale sono conflagrate in aperte ostilità, laddove i miliziani dei
gruppi salafiti Jabhat al-Nusra, Ahrar a-Sham e Fajr al-Ummah raccolti sotto l’om-
brello del Failaq a-Rahman hanno attaccato i quartier generali del gruppo Jaish al-
Islam, aprendo un duello per la preminenza nella regione.
In sinergia al dispiegamento di unità addizionali e artiglieria a media gittata nel nord
della Siria, l’amministrazione Obama ha deliberato lo schieramento di perso-
nale militare (217 uomini), di elicotteri Apache e di lanciarazzi multipli HI-
MARS in Iraq al fine di incoraggiare la risalita delle forze di sicurezza irachene e dei
Peshmerga curdi su Mosul. L’autorizzazione (a lungo procrastinata) di Baghdad all’im-
piego degli elicotteri Apache in operazioni di combattimento porta i soldati americani,
ufficialmente impegnati in una missione di assistenza all’esercito iracheno, sulla linea
del fronte. Il 3 maggio un Navy Seal è caduto sotto il fuoco jihadista a Tel Skuf, a
nord di Mosul, dove i reparti speciali statunitensi sono impegnati al fianco dei Pesh-
merga curdi. Washington ha promesso alle autorità regionali curde un rinnovato
sforzo finanziario per sostenere la campagna militare. La decisione giunge a seguito
dell’incontro del Presidente Obama con i leader del Consiglio di Cooperazione del
Golfo (20 aprile) ed è stata sottoscritta dalla visita a sorpresa del vice Presidente Joe
Biden a Baghdad.
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Stante la paralisi istituzionale innescata dal contestato rimpasto di governo
e la spaccatura in seno al Parlamento, la diplomazia statunitense ha prestato i
propri uffici per saldare l’incerta leadership del Primo Ministro Haider al-Abadi. Nono-
stante l’approvazione il 27 aprile di sei nomine tecniche per la ricomposizione del
Consiglio dei Ministri, la tensione resta altissima. Il 26 aprile mentre l’imam sciita
Moqtada al-Sadr richiamava nuovamente migliaia di persone a manifestare contro
l’esecutivo, costringendo le forze di sicurezza a presidiare le sedi istituzionali, disor-
dini all’interno dell’Assemblea Nazionale impedivano ad al-Abadi di prendere
parola durante la sessione parlamentare. Sul Premier pende l’ultimatum di al-
Sadr per completare l’attribuzione dei restanti incarichi ministeriali e di-
sporre misure contro la corruzione. Il 30 aprile centinaia di sostenitori sadristi sono
entrati nella Green Zone e forzato l’aula parlamentare. L’atto di forza dei manifestanti
non ha avuto echi violenti ma l’arrivo di unità militari dalle provincie meridionali per
trincerare il complesso istituzionale rende tangibile la gravità della disputa.
Le schermaglie a Tuz Khurmatu tra le milizie sciite e i Peshmerga curdi contribuiscono
ad alzare il tono delle contrapposizioni settarie ed evocare lo spettro della guerra
civile. Sullo sfondo, continua a infuriare il confronto bellico con il Califfato. L’esercito
iracheno ha riconquistato il distretto di Hit, ma i guerriglieri jihadisti hanno replicato
con una serie di attentati dinamitardi a Baghdad nel quartiere nord-occidentale di
Kadhimiyah, luogo di pellegrinaggio sciita. La deflagrazione di due autobombe nella
città meridionale di Samawa il 2 maggio ha ucciso trentadue persone e sollecitato il
rientro della protesta sadrista nel cuore istituzionale della capitale. Intanto, alcune
milizie sunnite hanno strappato all’IS il 18 aprile i villaggi di Barima e al-Nawaran a
nord di Mosul, ricevendo il sostegno dei Peshmerga curdi e anche quello delle forze
turche operative nell’area.
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STATI UNITI-GOLFO ↴
Lo scorso 20 aprile il Presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, si è recato in visita
a Riyadh in Arabia Saudita per partecipare al summit USA-Consiglio di Coopera-
zione del Golfo (GCC). L’incontro era focalizzato su tre punti: i conflitti regionali di
Yemen, Siria e Iraq, la lotta al terrorismo e il rapporto con l’Iran che si colloca tra le
questioni prioritarie per il Re saudita. Dopo un’accoglienza piuttosto tiepida riservata
ad Obama al suo arrivo – ad aspettare i coniugi americani non vi era il sovrano Sal-
man, bensì il governatore di Riyadh, Faisal al-Saud – e l’imbarazzo protocollare do-
vuto alla scelta della First Lady di non indossare il velo, la missione del Presidente si
è incanalata subito sul tentativo di ripristinare il rapporto di alleanza settan-
tennale tra i due Paesi, un tempo pilastro della politica statunitense in Medio
Oriente e che oggi attraversa un momento particolarmente teso e difficile a causa dei
sempre più preoccupanti contenziosi sorti tra i due Paesi.
Il primo dei motivi di attrito è la diversa visione dell’Iran tra Obama e Salman.
Mentre per gli Stati Uniti Riyadh dovrebbe imparare a condividere il «Medio Oriente
con i rivali persiani» – dichiarazione rilasciata nell’intervista concessa dal Presidente
al giornalista Jeffrey Goldberg e pubblicata lo scorso marzo su The Atlantic –, l’Arabia
Saudita, a causa di una rivalità religiosa (sunniti vs sciiti), economica (concorrenti
produttori di petrolio) e geopolitica, ritiene l’Iran il principale responsabile dell’insta-
bilità nell’area del Golfo. Inoltre, l’abolizione parziale delle sanzioni economiche che
gravavano sull’Iran, in grado di ridurne considerevolmente l’ultra-decennale isola-
mento internazionale a seguito dell’accordo sul programma nucleare fortemente vo-
luto da Obama, e le dichiarazioni sopra riportate, sono state giudicate dagli al-Saud
un tradimento, che ha portato ad incrinare ulteriormente i rapporti tra i due Stati. È
possibile che l’Iran, a seguito della rimozione delle sanzioni, aumenti il suo raggio di
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influenza sui Paesi del Golfo, prospettiva questa che preoccupa seriamente la monar-
chia saudita, che nell’ultimo periodo ha dovuto affrontare anche un “fenomeno”
nuovo ossia l’incertezza economica dettata dal calo di prezzo del greggio.
Altro punto di disaccordo tra Washington e Riyadh riguarda la lotta allo Stato Isla-
mico (IS), che nell’ottica del secondo, oltre a non essere la principale priorità, è
ritenuto uno strumento per contenere l’influenza sciita e filo-iraniana nella regione.
Per Obama, accompagnato nella visita anche dal Capo del Pentagono Ashton Carter
e dal Direttore della CIA John Brennan, i Paesi sunniti dell’area del Golfo dovrebbero
«fare di più, anche politicamente, per contenere la minaccia del califfato». Nell’ottica
statunitense, infatti, il contributo dell’Arabia Saudita è fondamentale per te-
nere unito l’asse sunnita contro il movimento di al-Baghdadi e secondo Wa-
shington, che ha bisogno dell’alleato saudita per la guerra sul terreno all’IS, i governi
arabi dovrebbero partecipare al fianco degli USA nel rilancio dell’offensiva contro i
jihadisti e non agire in ordine sparso o con azioni più o meno unificate ma mancanti
di un obiettivo strategico comune.
Altro nodo scottante sull’agenda di Obama è la questione degli attacchi dell’11 set-
tembre 2001. Il Congresso sta proponendo un progetto di legge che, qualora pas-
sasse, sarebbe in grado di rendere il governo di Riyadh responsabile degli attacchi
terroristici alle Twin Towers, in quanto la maggior parte degli attentatori erano di
nazionalità saudita e avevano ricevuto in maniera più o meno diretta un sostegno
economico da conti finanziari riconducibili a Riyadh. Una misura, questa, che permet-
terebbe a qualsiasi Corte di Giustizia americana di risarcire le vittime degli attentati
di New York. Tralasciando la necessaria conformità di tale richiesta alle norme di di-
ritto internazionale relativo alla responsabilità di uno Stato per atti compiuti da privati
(occorrerebbe, infatti, dimostrare che l’Arabia Saudita abbia esercitato un controllo
effettivo e sostanziale sui terroristi per essere ritenuta responsabile dei fatti di New
York), questo creerebbe un illustre precedente estremamente scomodo per molti
Paesi. La Casa Bianca si sta opponendo fermamente alla questione, ma all’interno del
Congresso i pareri favorevoli aumentano. La questione ancor più preoccupante che
accentua l’allarme dei sauditi è rappresentata dalle recenti dichiarazioni di Obama
sulla possibilità di pubblicare un dossier d’inchiesta di 28 pagine “top se-
cret” relativo agli attacchi. Questo potrebbe finalmente rivelare il ruolo effettivo dei
sauditi negli attentati; sauditi che hanno subito minacciato, qualora la legge dovesse
essere approvata, di far mancare 700 miliardi d’investimenti all’economia americana.
In realtà, come afferma Binyamin Appelbaum, giornalista dell’International New York
Times, la vendita degli assets negli Stati Uniti sarebbe economicamente molto più
dannosa per Riyadh che per Washington. In ogni caso, quest’ennesimo attrito tra i
due governi denota una crescente incomprensione nelle relazioni bilaterali che ormai
dura da diversi anni: dalla critica verso l’approccio troppo morbido della presidenza
Obama verso il regime di Assad, contro il quale i regimi sunniti avrebbero spinto
verso un’azione più ferma, al disappunto verso la fretta con la quale Washington ha
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spinto per rovesciare alcuni regimi del Medio Oriente durante le Primavere Arabe,
fino, appunto, all’accordo sul nucleare iraniano raggiunto l’anno scorso.
Alla fine degli incontri Obama ha confermato che i membri del GCC sono e resteranno
alleati degli Stati Uniti, mentre gli al-Saud sembrano voler aspettare l’arrivo del
nuovo inquilino della Casa Bianca per ridiscutere completamente le condizioni e
la strategia nell’intera regione del Golfo.
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BREVI
ARABIA SAUDITA, 25 APRILE ↴
Nella settimana in cui a Riyadh si teneva lo US-GCC
summit, Mohammed bin Salman, Ministro della Difesa
e secondo in linea di successione alla corona, ha
annunciato la nuova strategia complessiva del Regno,
nota come Vision 2030 (leggi lo statement ufficiale).
Il piano dovrebbe favorire una rivisitazione
complessiva della struttura economica e delle finanze statali, ancora troppo
dipendenti dagli introiti derivanti dall’export di idrocarburi. Si tratta di un progetto di
ampio respiro – che tocca anche altri piani di azione come le questioni sociali, la
religione e la difesa e la sicurezza del Regno – impostato sullo sviluppo, o meglio
sulla ridefizione, del Fondo pubblico per gli investimenti che si evolverà da fondo per
lo sviluppo nazionale a fondo sovrano incaricato di gestire i principali asset
dell’economia saudita, compresa la cassaforte di Stato, la Saudi Aramco, prossima
alla quotazione del 5-10% delle proprie azioni in borsa. Parallelamente alla
riqualificazione finanziaria, il piano di azione saudita dovrebbe favorire l’espansione
di altre branche dell’industria nazionale, come il settore estrattivo dei minerali.
Questo nuovo fondo dovrebbe garantire una disponibilità finanziaria pari a 2.000
miliardi di dollari, divenendo il grande portfolio di uno Stato-nazione al mondo,
superiore anche al fondo sovrano della Norvegia (pari a 1.700 miliardi di dollari di
budget).
SAUDI ARABIA ECONOMIC PLAN “VISION 2030” – FONTE: GEOPOLITICAL ATLAS
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Per sovvenzionare Vision 2030 saranno approntati sia una generale riduzione delle
spese militari (il quarto bilancio più ampio al mondo dopo quello di USA, Cina e Russia
secondo il Military Balance dell’IISS) sia profondi tagli sul sistema assistenziale e dei
sussidi, utile inoltre a ribassare il deficit di bilancio pari a circa 87 miliardi di dollari
entro la fine del 2016 dopo l’allarme lanciato dal Fondo Monetario Internazionale sul
rischio di riduzione della liquidità finanziaria entro il prossimo quinquennio. Infine, il
piano saudita prevederà un aumento delle tasse sul valore aggiunto e sui beni di
lusso e un incremento delle tariffe sui pedaggi stradali e la benzina. Secondo le
intenzioni di Mohammed bin Salman – attuale kingmaker della politica interna ed
estera saudita, nonché capo del Consiglio per lo sviluppo economico nazionale –,
Riyadh entro il 2030 potrebbe giungere a «costruire uno Stato senza la dipendenza
del petrolio». Qualora fosse raggiunto tale obiettivo, si tratterebbe di un cambio di
paradigma e di una rivoluzione totale per un Paese con le seconde riserve petrolifere
più ampie al mondo (267 miliardi di barili) e che dipenden per quasi il 90% dagli
introiti dell’oro nero. Nel frattempo, anche se non direttamente collegato con il
progetto Vision 2030, un ampio rimpasto di governo ha visto la sostituzione dello
storico Ministro dell’Energia saudita, Alì al-Naimi, con l’ex Ministro della Salute,
Khaled al-Faleh. Al-Naimi, in carica per oltre un ventennio, tanto da risultare una
delle figure chiave della politica energetica nazionale e internazionale attraverso il
foro dell’OPEC, ha pagato da un lato la grave crisi economica che ha colpito il Paese
alla luce del perdurante basso prezzo del petrolio a livello globale, dall’altro
l’accresciuto potere e accentramento di deleghe e funzioni all’interno dell’esecutivo
del principe Mohammed bin Salman.
SERBIA, 24 APRILE – 4 MAGGIO ↴
La ripetizione delle operazioni di voto in 15 seggi (a
Belgrado, Niš, Vranje e Jagodina, Bačka Topola
Sremski Karlovci, Užice e Kladovo) all’indomani del
voto anticipato dello scorso 24 aprile a seguito delle
presunte irregolarità, ha restituito la fotografia non
solo del prossimo Parlamento serbo ma anche del
futuro scenario governativo del Paese. Secondo quanto riportato dalla Commissione
elettorale, il Partito Progressista Serbo (SNC) del Primo Ministro Aleksandar Vučić ha
ottenuto il 48,25% dei consensi e 131 seggi, 27 in meno rispetto alle consultazioni
del 2014. Il Partito Socialista Serbo (SPS) guidato dal Ministro degli Esteri ed ex
Premier Ivica Dačić ha raggiunto il 10,9% dei voti, confermandosi la seconda forza
sebbene in flessione rispetto alle elezioni del 2014 prima e del 2012 poi. A fronte del
rientro in Parlamento dei radicali (SRS – 8,11%), che hanno evidentemente
beneficiato della recente sentenza di assoluzione da parte del Tribunale
Internazionale dell’Aja nei confronti del suo leader, Vojislav Šešelj, la vera sorpresa
è rappresentata dall’ingresso per la prima volta nell’Assemblea nazionale del partito
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Dosta je bilo – Restart (DJB - 6,02%) raccolto intorno all’ex Ministro dell’Economia
Saša Radulović e in forte contrasto al SNC. Superano infine la soglia di sbarramento
il Partito Democratico (DS) di Bojan Pajtić (6,02%), il Partito Democratico di Serbia
(Dveri-DSS) di Sanda Rašković Ivić (5,03%) e la coalizione formata dal Partito
Socialdemocratcio (SDS), il Partito Liberaldemocratico (LDP) e la Lega dei Socialisti
Democratici della Vojvodina (LSV) guidata dall’ex Presidente serbo Boris Tadić. La
presenza di tali formazioni non solo rende pertanto lo spettro parlamentare più
variegato rispetto all’esito scaturito dal voto del 2014, ma pone anche una serie di
sfide per l’esecutivo di Vučić. Nonostante la netta affermazione, la mancanza di una
maggioranza assoluta costringerà innanzitutto il Premier conservatore, che aveva
indetto tali consultazioni (di fianco alle già programmate elezioni amministrative) per
rafforzare il proprio mandato e per consolidare il proprio programma sostanzialmente
– ma non completamente – filo-europeista, a cercare un’alleanza di governo. Con
ogni probabilità il partner sarà nuovamente il SPS. Resta tuttavia vero che la stessa
frammentazione del Parlamento e le diversità tra i partiti di opposizione (eccezion
fatta per l’alleanza annunciata tra Dveri-DSS e DJB) potrebbero alimentare lo scontro
politico tra questi stessi e agevolare implicitamente l’azione dell’esecutivo.
SOMALIA, 25 APRILE ↴
In un comunicato diffuso su Twitter e Telegram, il
sedicente Stato Islamico ha affermato che i suoi
miliziani hanno fatto esplodere un’autobomba contro i
militari della missione internazionale dell’Unione
Africana (AMISOM) nella periferia della capitale
Mogadiscio, rivendicando così il primo attacco
terroristico in Somalia da parte del gruppo jihadista. Secondo il bilancio ufficiale, 5
soldati sono morti e altri 12 sono rimasti feriti. A due giorni dall’attentato, è stato
pubblicato sui social media un video in cui viene mostrato il “Commander Sheikh Abu
Numan training camp”, presumibilmente sito nel Puntland, a nord ovest della Paese.
Nel video si vede una dozzina di reclute addestrarsi e ribadire la loro fedeltà ad Abu
Bakr al-Baghdadi, sedicente Califfo dell’autoproclamato Stato Islamico, insieme al
loro presunto leader, Abdikadir Mumin, il quale afferma l’intenzione di voler realizzare
l’agenda del Califfato in Somalia. Mumin è un ex comandante di al-Shabaab che ha
abbandonato il gruppo somalo alla fine dello scorso anno. Da tempo l’IS cerca
un’alleanza con l’organizzazione terroristica affiliata ad al-Qaeda, la quale si è sempre
mostrata refrattaria a subire ingerenze esterne, non volendo perdere il proprio peso
“politico” all’interno del Paese. Tuttavia, nei mesi scorsi i jihadisti del gruppo somalo
hanno iniziato a dividersi tra quanti vorrebbero adottare l’agenda globale del Califfato
e quanti vogliono invece limitare la propria azione alla regione. Tra i primi c’è Jahba
East Africa, un gruppo jihadista nato poche settimane fa da una costola dello stesso
al-Shabaab e che ha giurato fedeltà all’IS riconoscendo Abu Bakr al-Baghdadi come
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il leader legittimo di tutti i musulmani. Secondo gli esperti, la formazione di questo
nuovo gruppo è indice di quanto l’IS stia espandendo la propria area di influenza
anche in Africa e di come stiano anche aumentando le probabilità di scontri tra fazioni
estremiste rivali. Infatti, come controffensiva, al-Shabaab ha incrementato le
operazioni militari in loco, assaltando e riconquistando Runirgood, cittadina nella
regione del Medio Scebeli situata a 180 km a nord est dalla capitale. Nell’attacco sono
morti 22 soldati somali. In questi stessi giorni, un raid delle forze governative
nell’area di Janale, nella regione del Basso Scebeli a sud di Mogadisco, ha colpito un
campo di addestramento dell’IS uccidendo una dozzina di jihadisti.
STATI UNITI, 26 APRILE – 3 MAGGIO ↴
I risultati delle elezioni primarie nello Stato dell’Indiana
hanno fornito due verdetti importanti nella corsa alla
nomination presidenziale, soprattutto nel fronte
repubblicano, dove si è assistito all’ennesima netta
vittoria di Donald Trump con oltre il 53% dei consensi,
mentre i suoi sfidanti Ted Cruz e John Kasich hanno
raccolto, rispettivamente, il 37% e l’8% delle
preferenze. La netta affermazione in Indiana si aggiunge al filotto di vittorie che il
tycoon newyorkese aveva ottenuto il 26 aprile negli Stati del cosiddetto “Northeastern
Super Tuesday”, ovvero Pennsylvania, Maryland, Connecticut, Delaware e Rhode
Island. Si trattava di Stati della zona orientale degli Stati Uniti, con caratteristiche
demografiche ed economiche diverse, dove The Donald ha ottenuto percentuali di
voto attorno al 60%. L’alleanza siglata solo poche settimane prima dagli altri due
candidati repubblicani Ted Cruz e John Kasich, che consisteva in una dichiarazione di
non belligeranza in alcuni Stati per cercare di convogliare i voti su un unico candidato,
sembra aver avuto l’effetto contrario e rafforzato il consenso della base nei confronti
di Trump. Subito dopo i risultati imprevisti dell’Indiana, Ted Cruz e John Kasich hanno
annunciato il loro ritiro dalla candidatura alla presidenza: Trump, ormai unico
candidato rimasto, nonostante i numerosi commenti feroci all’indirizzo dei due
sfidanti, ha concesso l’onore delle armi ad entrambi, facendo balenare la possibilità
di nominare il Senatore dell’Ohio, Kasich, quale running mate nella sfida
presidenziale. Nei prossimi appuntamenti elettorali Trump, che secondo i calcoli della
CNN possiede 1.053 delegati, dovrà cercare di raggiungere il Magic Number, ossia la
soglia limite di 1.237 delegati che gli consentirebbe la nomina automatica a candidato
del Partito Repubblicano. In realtà, il miliardario newyorkese si sentiva il candidato
designato del partito già dopo l’en plein del 26 aprile, quando dal Mayflower Hotel di
Washington ha tenuto un discorso nel quale, dopo aver criticato l’operato dei suoi
predecessori, Barack Obama e George W. Bush, poi ha esposto i principi della sua
dottrina: riaffermare la presenza americana in Medio Oriente, permettendo quindi un
certo ritorno alla stabilità dell’area, allentare le tensioni con Russia e Cina e, infine,
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obbligare i Paesi alleati della NATO ad un maggior impegno economico-militare. In
sostanza Trump ritiene necessario una ridefinizione primaria dell’interesse nazionale
americano nel contesto globale. Nel frattempo, nel campo democratico Bernie
Sanders ha vinto a sorpresa le primarie dell’Indiana, Stato nel quale almeno secondo
i sondaggi Hillary Clinton era in vantaggio di almeno 7 punti percentuali sul Senatore
del Vermont. La vittoria di Sanders è stata abbastanza risicata (il 52% dei voti contro
il 47% dell’ex Segretario di stato) e i due candidati si sono divisi in parti quasi uguali
gli 83 delegati disponibili. Nel Northeastern Super Tuesday del 26 aprile Hillary
Clinton aveva ottenuto quattro vittorie su cinque, lasciando a Sanders soltanto il
Rhode Island. Nonostante la recente vittoria in Indiana, Sanders resta molto indietro
nel conteggio dei delegati rispetto a Clinton, dato che l’ex Segretario di Stato può
contare su un totale di 2.223 delegati (mancano quindi 160 delegati per ottenere la
nomina diretta quale candidata democratica alla presidenza). Nei suoi discorsi post-
risultati, la Clinton ha assorbito tutti i temi dell’unico sfidante rimastogli, dimostrando
la volontà di unificare il partito per affrontare l’importante sfida presidenziale di
novembre. Le prossime primarie si svolgeranno in Stati di media importanza, che
assegneranno un numero di delegati contenuto: tutto fa pensare che saranno le
votazioni del 7 giugno in California, con centinaia di delegati in ballo, a consacrare i
due candidati alla carica di Presidente degli Stati Uniti.
CORSA PER LA NOMINATION PRESIDENZIALE – FONTE: AFP-REAL CLEAR POLITICS
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ALTRE DAL MONDO
AFGHANISTAN, 19 APRILE ↴
Un attacco coordinato contro alcuni edifici dell’intelligence afghana, situati nei pressi
del Ministero della Difesa e dell’Ambasciata USA, è avvenuto nella capitale Kabul.
L’attacco, rivendicato dai talebani, ha causato la morte di almeno 30 persone ed il
ferimento di oltre 300 civili, di cui molti in gravi condizioni. Secondo alcuni testimoni
c’è stata prima una forte esplosione, provocata da un attentatore suicida a bordo di
un’auto, a cui ha fatto seguito il tentativo dei talebani di forzare l’ingresso negli edifici
delle forze di sicurezza afghane. Questo attacco si inscrive nella strategia del terrore
del gruppo islamista che nei giorni scorsi avevano annunciato l’inizio della consueta
offensiva di primavera.
ALGERIA-RUSSIA, 27 APRILE ↴
Il Primo Ministro algerino, Abdelmalek Sellal, si è recato in missione ufficiale a Mosca
dove ha incontrato tutte le più alte cariche della Federazione Russa. La visita è stata
l’occasione per firmare una serie di accordi bilaterali, ma anche per approfondire i
futuri campi di indagine di cooperazione strategica. Mosca e Algeri si sono accordati,
ad esempio, per estendere la loro cooperazione nei settori dei mass media e della
comunicazione, dell’energia e dell’high-tech. Si è discusso anche di importanti inizia-
tive in ambito culturale, ma a suscitare maggiore interesse è stata la firma del me-
morandum d’intesa tra la statale Rosatom, il gigante russo incentrato sulla produ-
zione dell’energia nucleare, e il Commissariato per l’energia atomica algerino.
Quest’intesa rappresenta, infatti, un importante passo avanti nella cooperazione in
ambito nucleare, iniziata già nel 2014 con la firma del “Trattato di cooperazione
sull’uso del nucleare per scopi pacifici”.
AUSTRIA, 24 APRILE ↴
Il primo turno delle elezioni presidenziali austriache ha visto l’affermazione del can-
didato del partito di estrema destra Partito per le Libertà dell’Austria (FPÖ) guidato
da Norbert Hofer, che ha ottenuto il 36,4% dei voti espressi. Hofer dovrà affrontare
al ballottaggio del 22 maggio il candidato arrivato secondo, ovvero Alexander Van
der Bellen, del Partito dei Verdi, che ha ottenuto il 20,4% dei consensi. In elezioni
caratterizzate da un’alta affluenza, circa il 70% degli aventi diritto, e inevitabilmente
condizionate dal tema dell’immigrazione, i due partiti attualmente al governo, il so-
cialdemocratico SPO ed il conservatore OVP, non sono riusciti a portare un loro can-
didato al ballottaggio, ottenendo percentuali di voto molto basse. L’eventuale vittoria
di Hofer al ballottaggio potrebbe portare ad un anticipo delle elezioni parlamentari,
che dovrebbero tenersi nel 2018.
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CINA, 25 APRILE ↴
La Cina ha annunciato la costruzione di un avamposto militare nelle isole Scarborough
Shoal, situate nel Mar Cinese Meridionale a 230 chilometri dalle coste filippine. Il
governo di Manila, che rivendica la sovranità sulle isole in quanto poste all’interno
della propria Zona Economica Esclusiva, sostiene che la Cina ne abbia acquisito il
controllo effettivo nel 2012 in maniera illegittima. L’azione di Pechino si inserisce nel
piano di proiezione strategica cinese nell’intera area del Mar Cinese Meridionale, nella
quale si concentrano rivendicazioni territoriali di Filippine, Vietnam, Malaysia, Brunei
e Taiwan. Il Segretario alla Difesa statunitense Ashton Carter ha affermato che una
simile escalation delle tensioni potrebbe condurre ad un conflitto regionale e ha di-
chiarato che la presenza militare cinese nelle Scarborough Shoal «è particolarmente
preoccupante per noi, data la prossimità alle Filippine», dal momento che la distanza
da Subic Bay, dove saranno schierate navi da guerra USA, è di sole 120 miglia.
COLOMBIA, 26 APRILE ↴
Il Presidente colombiano, Juan Manuel Santos, ha annunciato un ampio rimpasto di
governo affinché tutte le forze politiche nazionali possano entrare a far parte del
cosiddetto “gabinetto della pace”, un governo di unità nazionale da fondare in occa-
sione della prossima firma degli accordi di pace con le FARC. La notizia dovrebbe
rappresentare un passo importante per la stabilizzazione del Paese, dilaniato per anni
dal conflitto interno tra il governo e le FARC. Infatti, il punto cardine del progetto
politico di Santos è la pacificazione del Paese e la sua decisione è stata preceduta da
un accordo di pace, ancora non ufficialmente firmato dalle parti, ma che sembra aver
spianato il terreno per una soluzione politica del conflitto. Anche i membri dell’oppo-
sizione si sono dimostrati fiduciosi. Alvaro Uribe, ex Presidente della Colombia e op-
positore di Santos, ha annunciato, infatti, che il nuovo governo sarà quello del post-
conflitto, formato da personalità capaci di rappresentare le diverse regioni del Paese
e le sue varie tendenze politiche.
COREA DEL NORD, 6 MAGGIO ↴
Pyongyang ha dato avvio al summit politico più importante degli ultimi trent’anni, in
cui il leader supremo riaffermerà le ambizioni nucleari del Paese: secondo alcune
indiscrezioni sarebbe pronto a lanciare il quinto test nucleare. Si tratta del 7° Con-
gresso del Partito dei Lavoratori, il primo dopo il 1980, il quale tuttavia si svolgerà in
gran segreto. Nonostante i molti giornalisti stranieri invitati a partecipare all’evento
(più di un centinaio), questi non avranno accesso alla sala del congresso, pertanto
sia la durata che l’ordine del giorno dell’evento rimangono per ora sconosciuti. Con
l’incontro verrà eletto un nuovo comitato centrale che nomina un Politburo, organo
decisionale più importante del Partito Comunista. L’argomento principale riguarderà
la politica “byongjin”, che implica la strategia dello sviluppo economico e del raffor-
zamento militare. Secondo gli osservatori stranieri si starebbe assistendo ad un
“mini-boom” dell’economia, che ha visto l’apertura di mercati e piccoli negozi ad ogni
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angolo della città. Infine, il congresso rafforzerà ulteriormente la figura e il potere del
giovane Kim Jong-un così come fu determinante quello del 1980 per la definitiva
ascesa al potere del padre, Kim Jong-il.
EGITTO, 25 APRILE ↴
Nel giorno della cosiddetta “liberazione del Sinai”, ossia quando l’Egitto per effetto
del Trattato di Camp David del 1978-1979 riuscì a riprendere il controllo della Penisola
persa in favore di Israele dopo la Guerra dei Sei Giorni del 1967, in tutto il Paese si
sono registrate importanti manifestazioni anti-governative organizzate da studenti,
gente comune e rappresentanti delle opposizioni laiche. Oggetto della protesta è stato
in particolare il Presidente Abdel Fattah al-Sisi, duramente attaccato per la cessione
della sovranità nazionale delle isole Sanafir e Tiran nel Mar Rosso in favore dell’Arabia
Saudita. Un atto, questo, percepito come una sorta di compensazione territoriale per
gli oltre 20 miliardi di dollari in aiuti economici e progetti infrastrutturali promessi da
Riyadh al Cairo, ma giudicati dalla popolazione come “un’umiliazione per la dignità
egiziana”. Le manifestazioni, segnate già nei giorni precedenti da una sequela im-
pressionante di arresti, sono state anche l’occasione per fare pressioni sull’esecutivo
in merito al caso Regeni, sempre al centro del dibattito bilaterale con l’Italia. Il Mini-
stro degli Esteri Paolo Gentiloni ha nuovamente attaccato le autorità del Cairo pre-
tendendo maggiore collaborazione nelle indagini per far luce su un caso di omicidio
ancora insoluto e del quale ad oggi sono sconosciute le motivazioni.
FRANCIA-AUSTRALIA, 22 MARZO ↴
Il Primo Ministro australiano Malcolm Turnbull ha ufficialmente annunciato la conclu-
sione del più grande contratto mai sottoscritto dal proprio governo nel settore della
Difesa. Nonostante le proposte presentate dal Giappone e dalla Germania, è stato il
gruppo industriale francese DCNS ad acquisire la commessa, pari a 50 miliardi di
dollari australiani (pari a 32,3 miliardi di euro), per la fornitura di 12 sottomarini
oceanici modello Shortfin Barracuda alla Marina Militare, la cui consegna è prevista a
partire dal 2027, in sostituzione degli attuali 6 sommergibili Collins. Sebbene alcuni
dettagli tecnici siano ancora riservati, sembra certo che i sottomarini, del peso di
circa 4.500 tonnellate, avranno una lunghezza di oltre 90 metri e saranno dotati di
un sistema avanzato di propulsione pump-jet. Secondo le dichiarazioni rilasciate dal
Premier Turnbull, la costruzione dei sommergibili avrà luogo nella città di Adelaide
con l’impiego di acciaio australiano e comporterà la creazione di circa 2.800 posti di
lavoro. Come spiegano fonti dell’Eliseo, l’intesa rappresenta il massimo risultato
dell’export bellico francese e si inserisce nel quadro di un partenariato strategico di
lungo periodo tra Francia e Australia, della durata prevista di 50 anni. Il potenzia-
mento della forza sottomarina è un aspetto essenziale per lo sviluppo della difesa di
uno Stato insulare quale l’Australia, sia per condurre operazioni di sorveglianza dei
propri mari sia per rispondere all’espansione militare di altri Paesi, tra cui la Cina.
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IRAN, 29 APRILE ↴
Il Paese è tornato alle urne per i ballottaggi dei seggi ancora in bilico dopo le elezioni
parlamentari di febbraio. Secondo i dati ufficiali, hanno prevalso i gruppi moderati e
riformisti vicini al Presidente Hassan Rouhani, che hanno ottenuto il 42% dei 68 posti
in gioco, divenendo il polo più numeroso del nuovo Majles, con 121 deputati. I con-
servatori hanno ottenuto, invece, solo un terzo dei seggi in palio. Simili risultati
aprono la strada al programma di riforme economiche annunciato da Rouhani al mo-
mento della sua elezione, nell’agosto del 2013. Era dal 2005 che a Teheran non si
componeva un Parlamento a maggioranza non conservatrice.
ISRAELE-GAZA, 5 MAGGIO ↴
L’aviazione israeliana ha bombardato obiettivi di Hamas nel nord della Striscia di Gaza
come ritorsione per gli attacchi con razzi e colpi di mortaio condotti dall’organizza-
zione palestinese contro le forze israeliane che stazionano al confine settentrionale
con Gaza. Il portavoce militare israeliano, Peter Lerner, ha affermato che dal 3 mag-
gio «Hamas ha ripetutamente sparato e lanciato colpi di mortaio e razzi contro i
soldati israeliani impegnati in attività operative di difesa nell'adiacenza della barriera
di sicurezza con la Striscia», mentre il portavoce di Hamas, Abou Marzouk, ha ricor-
dato che quanto accaduto ai confini settentrionali di Gaza «è un tentativo di Israele
di mettere in atto fatti compiuti sul terreno per 150 metri oltre la barriera di confine.
Questo è ciò che ha spinto i nostri uomini a ingaggiare questo scontro. Per impedire
ai loro bulldozer di continuare nel loro operato».
ITALIA-INDIA, 3 MAGGIO ↴
Il Tribunale arbitrale dell’Aja incaricato di dirimere l’annosa questione relativa al foro
competente nel caso dell’incidente dell’Enrica Lexie ha decretato, con ordinanza del
29 aprile resa pubblica il 3 maggio, il rientro e la permanenza in Italia del Sergente
Salvatore Girone durante tutto il periodo dell’arbitrato. Il Tribunale ha precisato che
il fuciliere resterà sotto la tutela della Corte Suprema indiana, benché innegabili que-
stioni di umanità ne impongano il rimpatrio dopo quattro anni di lontananza dall’Italia
e nella prospettiva di un arbitrato che non si concluderà prima di 2/3 anni. L’India ha
tre mesi di tempo per coordinarsi con l’Italia e rendere effettiva tale decisione. Dal
canto suo l’Italia ha l’obbligo di garantire che il fuciliere della Marina si presenti ad
un’autorità su territorio italiano designata dalla Corte Suprema indiana a intervalli
temporali stabiliti dalla stessa Corte Suprema e di informare le autorità indiane ogni
tre mesi circa la situazione legata al Sergente. Quest’ultimo dovrà inoltre consegnare
il passaporto alle autorità italiane e non potrà uscire dall’Italia salvo previa autorizza-
zione della Corte Suprema indiana.
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ITALIA-TERRORISMO, 28 APRILE ↴
Un’operazione anti-terrorismo condotta congiuntamente dai reparti di DIGOS e ROS,
con il supporto dei servizi di sicurezza nazionali, ha portato all’arresto di sei persone
con l’accusa di incitamento al terrorismo internazionale e pianificazione di attentati
contro obiettivi sensibili in Italia. Il blitz, avvenuto a Bulciago, in provincia di Lecco,
ha rivelato l’esistenza di un’organizzazione attiva tra Italia e Siria – anche se non
sono ancora chiare fattivamente le dimensioni e le tipologie di connessioni esistenti
–, che mirava non tanto al reclutamento di personale da portare a combattere nelle
terre dello Stato Islamico, quanto ad individuare soggetti disponibili ad attentati ter-
roristici in Italia, provocando un salto di qualità e paradigma nella strategia stessa
dell’IS nel Paese ma anche nel Continente. Obiettivi dei presunti terroristi erano il
Vaticano e l’Ambasciata di Israele a Roma.
MALI, 22 APRILE ↴
Le autorità maliane hanno arrestato a Bamako il mauritano Fawaz uld Ahmed, so-
prannominato dalle stesse “Ibrahim 10”, ritenuto l’autore di attacchi jihadisti contro
obiettivi occidentali nella capitale Bamako. Secondo le forze di sicurezza locali, l’uomo
si stava preparando a un nuovo attacco. Ahmed è considerato tra i più stretti colla-
boratori di Mokhtar Belmokhtar, il capo del gruppo jihadista al-Mourabitoun, ed è
sospettato di essere la mente degli attacchi a Bamako al Caffè La Terrasse (marzo
2015), al Byblos Hotel (agosto 2015) e all’Hotel Radisson Blu (20 novembre 2015).
L’uomo sarebbe inoltre coinvolto nell’attentato contro la Missione militare dell’Unione
Europea in Mali nell’Azalai Nord-Sud Hotel avvenuto lo scorso 21 marzo. Tutti i sud-
detti attacchi sono stati rivendicati proprio dal gruppo terroristico al-Mourabitoun,
affiliato ad al-Qaeda nel Maghreb Islamico (AQIM).
MAROCCO, 20 APRILE ↴
Re Mohammed VI ha rappresentato il proprio Paese al summit del Consiglio di Coo-
perazione del Golfo (GCC), nella prima partecipazione ufficiale della monarchia nor-
dafricana dopo l’avvio delle trattative per l’estensione della membership al GCC ai
Regni di Marocco e Giordania nel 2011. In un quadro di rafforzamento dei rapporti
economici e strategici con i Paesi del Golfo, Mohammed VI ha garantito l’appoggio
militare alla coalizione a guida saudita operativa in Yemen dal 2015 e ha ribadito
l’impegno del Paese contro il terrorismo dello Stato Islamico (IS). Al termine del
summit le monarchie del GCC hanno riaffermato la sovranità territoriale del Marocco
sul Sahara Occidentale, dando un importante segnale su una delicata questione geo-
politica per il governo di Rabat.
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MOLDAVIA, 4 MAGGIO ↴
Dureranno fino al 20 maggio le esercitazioni militari “Dragon Pioneer 2016” che ve-
dono coinvolti 198 militari statunitensi al fianco di 165 unità del contingente moldavo
Genio, 3 brigate di fanteria, e un battaglione di peacekeeping. Le manovre, che si
svolgono presso il quartier generale del battaglione Genio e il centro della brigata di
fanteria Moldova nella città di Negrești, prevedono operazioni congiunte di soccorso
medico, di addestramento base e attività di collaborazione con la NATO, e coinvolge-
ranno 58 mezzi blindati statunitensi e 40 veicoli da combattimento moldavi. Sebbene
la Costituzione riconosca lo status di Paese neutrale, la Moldavia mette a disposizione
delle operazioni NATO designate unità e basi di addestramento in linea con il Parte-
nariato per la Pace al quale aderisce fin dal 1994. Ufficialmente con lo scopo di mi-
gliorare la cooperazione tra le forze armate statunitensi e moldave, le esercitazioni
Dragon Pioneer si pongono in continuità con le operazioni “Joint Effort 2015” e rien-
trano nella più ampia strategia dell’Alleanza Atlantica volta a rafforzare la propria
capacità militare nell’Est Europa. Tali esercitazioni si inscrivono peraltro nel contesto
di tensioni circa il conflitto congelato in Transnistria: mentre l’opposizione socialista
e filo-russa ha denunciato Dragon Pioneer come un tentativo di occupazione militare,
il Ministro della Difesa Anatol Șalaru ha infatti ricordato la presenza dal 1992 della
14esima Armata russa all’interno del territorio separatista.
NATO, 3-4 MAGGIO ↴
Curtis Michael Scapparotti, Generale dell’esercito americano, è il nuovo Comandante
Supremo delle Forze Alleate in Europa (SACEUR). È il 18° statunitense a ricoprire
questa carica, sostituendo il suo connazionale Philip Breedlove. In passato Scappa-
rotti ha guidato il comando congiunto delle Nazioni Unite e americano in Corea e ha
preso parte a numerose missioni internazionali (Enduring Freedom in Afghanistan a
Iraqi Freedom in Iraq, Support Hope in Congo e Rwanda e molte altre). Il 3 maggio,
inoltre, Israele ha accettato l’invito dell’Alleanza ad aprire un proprio ufficio perma-
nente a Bruxelles. Scongiurata l’ipotesi di un veto turco alla concessione di una de-
legazione israeliana in Belgio, questo annuncio ha segnato sia una distensione nei
rapporti tra Ankara e Tel Aviv, dopo l’incidente della Mavi Marmara del 2010, sia un
rafforzamento del legame tra Israele e i 28 membri della NATO. Soddisfatto il Premier
israeliano Benjamin Netanyahu: «È un obiettivo per il quale lavoriamo da anni». A
Bruxelles sono stati ammessi anche i rappresentanti di Bahrain, Qatar, Oman e Gior-
dania.
NIGERIA-FRANCIA, 29 APRILE ↴
Durante la visita in Nigeria, il Ministro della Difesa francese, Jean-Yves Le Drian, ha
affermato che la Francia aiuterà il Paese africano nelle attività di contrasto al gruppo
jihadista Boko Haram. Gli accordi di cooperazione militare riguardano in particolare
l’invio di armi ed equipaggiamento a favore delle unità d’élite dell’esercito e della
marina nigeriana e l’avvio di corsi di formazione per i militari di Abuja. In aggiunta,
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Parigi fornirà assistenza alla Nigeria nell’analisi dei beni recuperati a Boko Haram nel
corso dell’offensiva lanciata la scorsa estate. La collaborazione franco-nigeriana nella
lotta al terrorismo dura ormai dal 2014. Parigi fornisce ad Abuja immagini satellitari
del Lago Ciad sui movimenti degli jihadisti, ottenute grazie ai jet Rafale che sorvolano
quotidianamente la regione. Pertanto, il ruolo dell’Eliseo è quanto mai prezioso anche
da un punto di vista geopolitico, in quanto si pone come alternativa strategica alle
operazioni di counter-terrorism guidate da AFRICOM nella regione.
QATAR-TURCHIA, 28-29 APRILE ↴
In occasione della visita ufficiale del dimissionario Premier turco Ahmet Davutoğlu in
Qatar, è stato concluso un accordo di cooperazione militare fra Ankara e Doha. In
virtù di tale intesa, la Turchia ha installato una nuova base militare sul territorio
qatarina e vi dispiegherà dai 3.000 ai 5.000 uomini – tra cui forze di terra, aeree e
navali –, fornirà addestramento militare all’esercito locale e predisporrà strutture di
condivisione delle proprie informazioni d’intelligence riguardanti gli obiettivi comuni
ai due Paesi. Davutoğlu ha dichiarato che si tratta di una scelta funzionale alla politica
estera turca, mirata al mantenimento della stabilità in Medio Oriente. L’accordo raf-
forza le relazioni fra i due Paesi, già molto cordiali e convergenti sul piano locale in
una posizione anti-Assad in Siria.
RUSSIA, 3 MAGGIO ↴
Il Ministro della Difesa russo Sergej Shoigu ha annunciato che entro la fine dell’anno
la Russia istituirà tre nuove divisioni militari sul suo fianco occidentale, a Rostov sul
Don e nelle regioni di Smolensk e Voronezh. Stando a quanto dichiarato dal Cremlino,
la misura, che dovrebbe prevedere il dispiegamento di 10.000 soldati russi, sarebbe
stata adottata allo scopo di dissuadere l’Alleanza Atlantica dal rafforzare la propria
presenza militare lungo i confini russi: il 29 aprile il Segretario Generale della NATO
Jens Stoltenberg aveva ipotizzato lo schieramento di 4 battaglioni nei Paesi baltici e
in Polonia in ragione dell’approccio aggressivo russo manifestatosi nei recenti voli
radenti di cacciabombardieri russi su navi statunitensi nel Mar Baltico. La possibilità
di un tale potenziamento segue d’altra parte il recente programma di rafforzamento
del fianco orientale della NATO, oltre che il piano del Pentagono di inviare una brigata
corazzata di 4.200 uomini nell’Est Europa, il prossimo febbraio 2017. Le decisioni
russe e statunitensi riflettono un clima di militarizzazione del fronte russo-europeo e
di generale sfiducia, come già emerso dai profondi disaccordi del Consiglio NATO-
Russia dello scorso 20 aprile.
RUSSIA-NATO, 19 APRILE ↴
L’incontro bilaterale tra i rappresentanti della Federazione Russa e i loro colleghi della
NATO, tenutosi nel framework del Consiglio NATO-Russia, ha constatato l’esistenza
di profonde divisioni nella visione reciproca delle due parti. Questo tipo di incontro è
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stato tenuto per la prima volta dal 2014, quando l’alleanza ha deciso di sospendere
la cooperazione con il suo grande vicino a causa della politica russa in Ucraina. Infatti,
il conflitto nel Donbass e lo status territoriale della Penisola di Crimea sono stati i
punti centrali della recente discussione, evidenziando la grande distanza in materia
tra l’Alleanza Atlantica e il Cremlino. Durante la discussione durata più di un’ora, non
è stato fatto nessun chiaro passo avanti nell’implementazione di un accordo volto a
ridurre il rischio di frizioni militari tra le due parti. Rimangono distanti anche le posi-
zioni sulla crisi ucraina, con Mosca che continua a sostenere ufficialmente la sua
estraneità al conflitto. L’unico vero risultato del meeting è stato sottolineato da Jens
Stoltenberg, Segretario Generale dell’Alleanza Atlantica, che ha espresso le speranze
che questo tipo di incontri possa rappresentare l’apertura di uno spiraglio per il dia-
logo dopo due anni di crescente tensione.
RUSSIA-UZBEKISTAN, 25-26 APRILE ↴
Il Presidente dell’Uzbekistan Islom Karimov ha effettuato una visita ufficiale a Mosca,
nel corso della quale ha discusso con l’omologo russo Vladimir Putin delle prospettive
di sviluppo della cooperazione bilaterale, di questioni regionali e di argomenti di in-
teresse globale. Come riporta il sito ufficiale del Cremlino, il bilaterale ha condotto
anzitutto alla firma di un accordo di cooperazione tra Russia e Uzbekistan sulla forni-
tura di materiale bellico a Paesi terzi. Inoltre sono state concluse delle intese volte a
promuovere la collaborazione inter-istituzionale tra i rispettivi Ministeri degli Esteri e
tra i Ministeri dello Sport dei due Paesi. Ulteriori accordi riguardano programmi di
cooperazione nel settore culturale e della ricerca accademica. Tra i temi affrontati,
particolare rilievo hanno assunto l’aggravamento della situazione di sicurezza in Af-
ghanistan ed il rischio di potenziali ripercussioni sulla stabilità dei Paesi limitrofi. Sul
punto, il Presidente Putin ha proposto una strategia di intervento che assegni un ruolo
di maggiore rilievo all’Organizzazione di Shanghai per la Cooperazione (SCO); al con-
trario, il Presidente Karimov si è mostrato a sfavore di un diretto coinvolgimento
dell’organismo nello scenario politico e militare del Paese. Ciò non solo per evitare
che la SCO possa essere ritenuta interamente responsabile della risoluzione della crisi
afghana, ma anche perché l’interesse dell’Uzbekistan – che detiene la Presidenza di
turno della SCO – sembra attualmente focalizzarsi sugli aspetti di natura economica,
piuttosto che politica dell’organizzazione.
STATI UNITI-REGNO UNITO-GERMANIA, 22-24 APRILE ↴
Il Presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, ha compiuto un importante viaggio in
Europa tra il 22 e il 24 aprile. La prima tappa è stata Londra, dove, oltre a omaggiare
la Regina Elisabetta II per il suo novantesimo compleanno, si è schierato pubblica-
mente al fianco del Primo Ministro, David Cameron, in favore della permanenza della
Regno Unito all’interno dell’Unione Europa in vista del prossimo referendum del 23
giugno sul Brexit. «L’Unione europea non attenua l’influenza britannica, la amplifica.
Un’Europa forte non è una minaccia alla leadership britannica globale; la potenzia».
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La tappa successiva è stata quella a Hannover, dove Obama ha incontrato il Cancel-
liere, Angela Merkel. Il Presidente ha ribadito la centralità del progetto della Transat-
lantic Trade and Investment Partnership (TTIP) per le relazioni tra Europa e Stati
Uniti; un progetto ancora in corso di negoziato che, però, proprio in Germania sta
incontrando le maggiori resistenze da parte dell’opinione pubblica attraversata tra-
sversalmente da sentimenti anti-americani. L’auspicio è che si possa arrivare a un
accordo entro la fine del 2016.
TURCHIA, 5 MAGGIO ↴
Il Primo Ministro turco Ahmet Davutoğlu ha annunciato le proprie dimissioni dall’in-
carico a partire dal prossimo 22 maggio, quando si svolgerà un congresso nazionale
straordinario del Partito per la Giustizia e lo Sviluppo (AKP). La decisione è stata
presa al termine di un Vertice dell’AKP, in cui si è manifestata l’impossibilità di restare
in carica dopo l’ennesimo scontro col Presidente Recep Tayyip Erdoğan. La crisi di
governo era scoppiata a seguito della decisione dell’AKP di togliere a Davutoğlu la
possibilità di eleggere i leader provinciali del partito, conferendo tale facoltà a Er-
doğan.
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ANALISI E COMMENTI
BETWEEN TRUMP AND CLINTON: WHAT FUTURE FOR NATO?
FABIO RONDINI ↴
The recent result of Wisconsin Primaries has marked a surprising victory of Ted Cruz
for the Republicans and Bernie Sanders for the Democrats and this unexpected result
has complicated the race to the White House both for Donald Trump and Hillary Clin-
ton. Of course, the situation so created will not be definitive and, in any case, it will
be difficult for Cruz and Sanders to replace the tycoon and the former First Lady, who
still remain the two most likely candidates for the presidency at the moment. In fact,
the trend expressed by Democratic and Republican Party Primaries of 1st March 2016
has substantially marked a contraposition between Trump, for the Grand Old Party
(GOP), and Clinton for the Democrats. Even though foreign policy has hardly played
a decisive role in American electoral campaigns, after having briefly studied the re-
sults of Barak Obama administration, it would be useful to draft some possible sce-
narios that may outcome from elections, which will take place in November, both for
the foreign policy domain and for the US future role in the Atlantic Alliance. This
article will analyze the foreign policy approach towards the NATO for the two most
likely candidates for the White House (…) SEGUE >>>
LE PROSPETTIVE POLITICHE DEL NUOVO VECCHIO IRAN
ALBERTO GASPARETTO ↴
Le recenti consultazioni elettorali valide sia per il rinnovo del Majles (Parlamento)
iraniano sia per l’Assemblea degli Esperti hanno visto l’affermazione dei candidati
facenti parte del blocco politico legato al Presidente Hassan Rouhani. Emblema della
vittoria è stata la constituency della capitale Teheran in cui la fazione riformista-
moderata ha conquistato tutti e 30 i seggi disponibili per il Parlamento (che elegge
290 rappresentanti su tutto il territorio nazionale) e ben 15 membri su 16 all’Assem-
blea degli Esperti, fra cui i primi due della lista riformista, l’ex Presidente Akbar Ha-
shemi Rafsanjani, uno dei principali businessmen del Paese, e il medesimo Rouhani.
Le consultazioni sono ufficialmente le prime in seguito alla parziale rimozione del
regime di sanzioni internazionali seguite allo storico accordo sulla questione nucleare
raggiunto la scorsa estate. en’intesa fortemente voluta da Rouhani da tutto il Paese,
stremato da anni di chiusura e gravato da una crescita inesistente a fronte delle
enormi potenzialità offerte dalla giovane società iraniana (…) SEGUE >>>
IL FUTURO INCERTO DELLE ESPORTAZIONI DI ARMI RUSSE
GEORGIY BOGDANOV ↴
Lo studio del commercio delle armi è un processo complesso dal momento che in
esso i fattori tecnici, legati alle caratteristiche e alle prestazioni degli armamenti,
spesso giocano un ruolo secondario, rispetto agli elementi geopolitici e strategici.
Tale situazione deriva dal fatto che i costi di manutenzione, riparazione e costruzione
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dell’infrastruttura per ospitare le nuove piattaforme creano un legame duraturo tra il
fornitore e l’acquirente, siano questi armamenti leggeri o pesanti. Nel caso specifico
della Federazione Russa la situazione è ancora più particolare, a causa della posizione
speciale che essa occupa nello scacchiere internazionale. Lo studio condotto dal Public
Sector Research Centre (PSRC) definisce la Russia come una delle due (insieme agli
Stati Uniti) potenze globali, il che è determinato dalla capacità di dispiegare le forze
armate su scala mondiale. L’affermazione del PSRC è basata sul paradigma del rea-
lismo politico nella sua accezione classica, la quale sostiene che è la disposizione dei
mezzi materiali, come forze armate e potere economico, a determinare lo status di
uno stato nell’arena internazionale. Per questo motivo, Mosca deve prestare costan-
temente massima attenzione all’immagine che essa trasmette a potenziali acquirenti
per evitare che si rivolgano altrove (…) SEGUE >>>
CONFLITTI IBRIDI E ZONE GRIGIE: IL DIBATTITO SULLE FORME
DELLA GUERRA NELLA COMPETIZIONE TRA USA, RUSSIA E CINA
ALESSANDRO PANDOLFI ↴
Tra i temi rilevanti in ambito politologico figura sicuramente il cambiamento delle
forme della guerra. Tempi e contenuti di questo filone sono spesso definiti dalla ri-
flessione statunitense, a causa del ruolo di Washington nella struttura politica inter-
nazionale, della sua preminenza militare e della vasta comunità di ricerca (pubblica
e privata). Dopo i recenti “cicli” riguardanti la Revolution in Military Affairs (RMA) e i
conflitti irregolari o asimmetrici (guerriglia, insorgenza, ecc), si è manifestata negli
ultimi anni una forte riemersione dell’argomento tra gli analisti. Uno sviluppo legato
ai cambiamenti nei vari fattori rilevanti (tecnologia in primis) ma anche alla crescente
competizione politica e militare tra le principali potenze. Accanto al tema permanente
della competizione tecnologica e negli armamenti convenzionali, un’attenzione non
indifferente è stata recentemente posta sulla concreta conduzione delle ostilità da
parte di alcuni Stati e sull’elaborazione di approcci irregolari e asimmetrici, spesso
indicati come “ibridi” (…) SEGUE >>>
MULTIPARTITISMO E INGOVERNABILITÀ: LO SCENARIO INEDITO SPAGNOLO
DAVIDE VITTORI ↴
A distanza di quattro mesi dalle elezioni legislative del 20 dicembre, in cui il Partido
Popular (PP) di Mariano Rajoy aveva ottenuto la maggioranza relativa (123 seggi e il
28,72% dei voti) avviando così le prime trattative per la formazione di un governo di
coalizione con i socialisti del PSOE (che avevano raggiunto 90 seggi e il 22,1%), i
partiti politici spagnoli non sono riusciti a raggiungere un compromesso per la forma-
zione di una maggioranza parlamentare (fissata a 176 deputati). I veti trasversali, la
bocciatura anche nei confronti del leader socialista Pedro Sánchez e il raggiungimento
del limite di due mesi dal primo voto di fiducia, hanno pertanto indotto il Re Felipe VI
ad annunciare nuove elezioni per il prossimo 26 giugno. Un fallimento annunciato,
questo, per due ragioni. La prima, e la più scontata, è che il PSOE, dopo un’aspra
campagna contro le politiche del governo uscente di Rajoy, difficilmente avrebbe po-
tuto far digerire al proprio elettorato un compromesso con la controparte popolare.
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Un governo di grande coalizione sarebbe stato un unicum nella breve storia della
democrazia spagnola, abituata a governi monocolore o con coalizioni totalmente sbi-
lanciate a favore dei due partiti principali. Inoltre, tali elezioni hanno portato ad un
Parliamento colgado tale da non consentire ad un partito di avvicinarsi perlomeno
alla maggioranza relativa (…) SEGUE >>>
LA DIPLOMAZIA OCCIDENTALE TRA RUSSIA E CINA:
LE (POSSIBILI) ALTERAZIONI DELL’EQUILIBRIO STRATEGICO GLOBALE
MIRENO BERRETTINI ↴
Il linguaggio odierno dei commentatori politici è indubbiamente caratterizzato da un
alto tasso di innovazione; sono infatti numerosi i vocaboli mutuati da altri settori o
altre discipline, come molti sono i neologismi. Non tutti hanno avuto fortuna, ma
certamente alcuni sono diventati chiavi interpretative o veri e propri strumenti ana-
litici. Molti di questi nuovi lemmi implicitamente riguardano una trasformazione dei
rapporti tra sovranità e spazio, così come tra dimensione politica e dimensione eco-
nomica. Il linguaggio attuale in poche parole è il prodotto di trasformazioni che sfug-
gono alle tassonomie nominali del vocabolario tradizionale, almeno nella stessa mi-
sura in cui le produce: e allora abbiamo imparato a conoscere “Chindia”, per descri-
vere l’unione geo-economica tra Cina e India che sta ridefinendo i rapporti nel sistema
della divisione internazionale del lavoro, “Chiwan” che invece ‘salda’ Cina e Taiwan
tanto dal punto di vista economico-finanziario tanto da quello culturale; infine “Chi-
merica”, il rapporto ‘simbiotico’ che lega reciprocamente Cina e Stati Uniti. Il mio
elenco potrebbe allungarsi, mi limito invece a menzionare “Chussia”, un costrutto
analogo ai precedenti, che va a delineare il ‘vincolo’ creatosi tra Repubblica Popolare
Cinese (RPC) e Federazione Russa (…) SEGUE >>>
A cura di
OSSERVATORIO DI POLITICA INTERNAZIONALE
Ente di ricerca di
“BLOGLOBAL-LO SGUARDO SUL MONDO”
Associazione culturale per la promozione della conoscenza della politica internazionale
C.F. 98099880787
www.bloglobal.net