weekly report n°24/2015

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www.bloglobal.net N°24, 13-19 SETTEMBRE 2015 ISSN: 2284-1024

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Rassegna settimanale a cura dell'Osservatorio di Politica Internazionale (OPI) // 13-19 settembre 2015

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N°24, 13-19 SETTEMBRE 2015

ISSN: 2284-1024

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Weekly Report Osservatorio di Politica Internazionale (OPI) © BloGlobal – Lo sguardo sul mondo

Milano, 20 settembre 2015

ISSN: 2284-1024

A cura di:

Eleonora Bacchi

Davide Borsani

Agnese Carlini

Danilo Giordano

Antonella Roberta La Fortezza

Violetta Orban

Alessandro Tinti

Questa pubblicazione può essere scaricata da: www.bloglobal.net Parti di questa pubblicazione possono essere riprodotte, a patto di fornire la fonte nella seguente forma: Weekly Report N°24/2015 (13-19 settembre 2015), Osservatorio di Politica Internazionale (OPI), Milano 2015, www.bloglobal.net

Photo credits: Associated Press; AllSource Analysis; Reuters/Mohamed al-Sayaghi; Getty Images; Reuters/Ismail Zitouni ; AFP.

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FOCUS

IMMIGRAZIONE ↴

Il 14 settembre il Consiglio “Giustizia e affari interni” dell’Unione Europea si è riuni-

to a Bruxelles per discutere importanti provvedimenti in merito all’attuale crisi mi-

gratoria. Al termine della riunione straordinaria tra i ministri degli Interni dei 28

Stati dell’UE è stata approvata una decisione che stabilisce un meccanismo “tem-

poraneo ed eccezionale” di redistribuzione di 40mila migranti dalla Grecia

e dall’Italia ad altri Paesi membri. Il sistema di ricollocazione è operativo nei

confronti dei soggetti che necessitano di protezione internazionale che sono giunti,

o giungeranno, sul territorio greco e italiano tra il 15 agosto 2015 e il 16 set-

tembre 2017. La divisione dei rifugiati tra i diversi Paesi sarà effettuata su base

volontaria, garantendo agli Stati ospitanti un contributo di 6mila euro a persona.

Non si è tuttavia giunti all’adozione del piano proposto il 9 settembre scorso dal

presidente della Commissione Europea Jean-Claude Juncker in merito alla distribu-

zione di 120mila migranti tramite un sistema di quote vincolanti predeterminate.

Nel corso di una conferenza stampa Jean Asselborn, ministro degli Esteri del Lus-

semburgo, Paese attualmente alla presidenza di turno del Consiglio dell’Unione, ha

riferito che la maggioranza degli Stati membri ha accettato le istanze della Commis-

sione, ma la discussione è stata «complicata».

Il controverso tema delle quote è all’origine delle principali divergenze tra i Paesi

membri e vede Slovacchia, Repubblica Ceca, Ungheria, Romania e Paesi baltici for-

temente contrari. Secondo la loro opinione il sistema delle quote innescherebbe un

aumento del fenomeno migratorio verso l’Unione, determinando un afflusso di per-

sone non sostenibile dai Paesi dell’Europa orientale e incidendo sul tessuto sociale

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europeo. Tra i risultati raggiunti dall’incontro si registrano l’approvazione di un

piano di sovvenzione e costruzione di campi di accoglienza nelle aree pros-

sime alle zone di provenienza della maggior parte dei richiedenti asilo – in

particolare Iraq, Giordania, Turchia e Libano – e l’impegno al rafforzamento delle

operazioni Triton 2015, Poseidon 2015 ed EUNAVFOR MED. Sono state auto-

rizzate azioni di pattugliamento e controllo nelle zone di confine dell’UE nel Mediter-

raneo, provvedimento che consentirà alle forze dell’ordine di rilevare, confiscare e

distruggere le imbarcazioni utilizzate dagli scafisti per trasportare i migranti.

I ministri degli Interni di Francia, Germania, Grecia, Italia e Ungheria, insieme ai

rappresentanti della Commissione Europea e della presidenza lussemburghese del

Consiglio UE, si sono riuniti a margine dei lavori dell’incontro straordinario del 14

settembre per discutere in particolare dei cosiddetti “hot spot”, i centri di identifi-

cazione dei richiedenti asilo da istituire nei Paesi di prima accoglienza in territorio

comunitario (Italia, Grecia e Ungheria). Francia e Germania sollecitano la loro istitu-

zione prima di procedere al meccanismo di redistribuzione nei Paesi dell’Unione. I

titolari dei dicasteri degli Interni di Francia e Germania, Bernard Cazeneuve e Tho-

mas De Maiziere, hanno affermato: «Diciamo no alla ricollocazione dei richiedenti

asilo senza un sistema potente ed efficace di controllo alle frontiere e senza l'istitu-

zione di questi famosi hot spot, di cui si parla da diverse settimane. Bisogna distin-

guere i richiedenti asilo dai migranti che non ne hanno diritto. Il processo di redi-

stribuzione deve partire dagli hot spot e non deve procedere senza ordine».

La proposta della Commissione sulla distribuzione in quote obbligatorie di

120mila richiedenti asilo, che aveva registrato forti opposizioni in occasione del

vertice del 14 settembre a Bruxelles, è stata approvata dal Parlamento Europeo

il 17 settembre con 372 voti favorevoli, 124 contrari e 54 astenuti. In tal modo, in

aggiunta ai 40mila migranti da redistribuire sui quali si sono già espressi favore-

volmente sia il Parlamento che la Commissione, il numero totale di persone da rilo-

calizzare salirebbe a 160mila. I capi di Stato e di governo si riuniranno in un

vertice straordinario il 23 settembre per dirimere i temi maggiormente contro-

versi.

Continuano nel frattempo le tensioni legate all’imponente flusso di migranti che

preme alle frontiere di alcuni Paesi comunitari. Il 13 settembre la Germania ha

temporaneamente sospeso il libero transito di persone al proprio confine meridiona-

le con l’Austria, seguita il giorno successivo da Slovacchia, Austria e Paesi Bassi che

hanno reintrodotto i controlli alle frontiere. Il 15 settembre è entrata in vigore in

Ungheria una nuova legge che consente l’arresto di chiunque entri illegalmente nel

Paese; i media nazionali hanno inoltre reso noto che Budapest ha richiamato i ri-

servisti per «gestire la situazione del’immigrazione di massa». Situazione

critica anche in Croazia, che ha informato di aver esaurito le proprie capacità di ac-

coglienza e ha chiesto uno stop degli arrivi. Il governo di Zagabria ha creato un ga-

binetto di crisi per fronteggiare l’ondata di migranti che ha raggiunto oltre 15mila

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persone. La Croazia ha deciso di aprire un corridoio per i profughi che vogliono rag-

giungere il nord Europa e il premier, Zoran Milanovic, ha affermato che «il confine

non può essere sigillato e tutta questa gente non la si può trattenere». Intanto, ol-

tre all’annuncio della costruzione di una barriera al confine con la Croazia da parte

del premier ungherese Viktor Orbán, anche la Slovenia ha introdotto controlli ai

confini e la Bulgaria ha schierato un migliaio di soldati alla frontiera con la Turchia.

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IRAQ/SIRIA ↴

Immagini satellitari confermano l’invio presso una base aerea governativa sud di

Latakia, una delle ultime roccaforti ancora in mano a Bashar al-Assad, di armamenti

ed equipaggiamento russi - tra cui carri armati T-90, elicotteri e artiglieria pesante.

Le foto diffuse dal centro AllSource Analysis sembrano inoltre attestare la mobilita-

zione di reparti aviotrasportati nella base di Taganrog, alle porte dell’Ucraina, che

potrebbero costituire forze addizionali destinate a rafforzare la già importante

presenza di Mosca in Siria. Il New York Times riferisce che l’intelligence statuni-

tense avrebbe accertato la presenza di almeno duecento militari russi nella base di

Latakia, la cui capacità di ricezione sarebbe stata ampliata per alloggiare almeno

1500 unità e che nelle prossime settimane potrebbe diventare un hub per i caccia

Mikoyan MiG 31 e Sukhoi Su-25. Negli ultimi giorni almeno sette cargo militari han-

no sfruttato un corridoio nei cieli di Iran e Iraq per raggiungere la costa siriana, ag-

girando il veto americano manifestatosi tardivamente con il rifiuto greco e bulgaro

di aprire il proprio spazio aereo agli imponenti Condor russi. Secondo le opposizioni

ribelli già nel mese di agosto consulenti militari russi avevano prestato assistenza

alle truppe di Damasco a Homs, Slinfah e Hama.

Benché gli obiettivi operativi siano ancora da decifrare, il deciso intervento russo

potrebbe rappresentare un punto di svolta sia nell’andamento dei due con-

flitti sovrapposti combattuti nel teatro siro-iracheno, sia nelle strategia

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delle potenze regionali ed extra-regionali coinvolte nella crisi. L’iniziativa di

Vladimir Putin non volge soltanto a sostegno dello spossato regime di al-Assad, ma

ambisce anche a dirigere la formazione di un fronte internazionale distinto da quello

d’impronta statunitense allo scopo di contrastare lo Stato Islamico (IS). L’ipotesi è

ben più concreta di una suggestione: in occasione del vertice dell’Organizzazione

del Trattato di Sicurezza Collettiva (CSTO) a Dushanbe il 15 settembre, Putin ha

espresso l’intento di costruire attorno all’asse Mosca-Teheran una nuova

coalizione multilaterale che combatta il Califfato a fianco delle truppe di

Damasco. È in questa direzione - che preoccupa le potenze occidentali e sunnite,

ma incontra la condiscendenza irachena - che la diplomazia iraniana ha lavorato

sotto traccia nelle ultime settimane, quando già alla metà di agosto il Generale

Qassem Suleimani - comandante dei Pasdaran iraniani e uomo ombra del governo

Rouhani - aveva raggiunto il Cremlino per negoziare la partecipazione russa nelle

operazioni militari in Siria. Putin ha inoltre paventato la possibilità di prestare assi-

stenza alle truppe tagike per aumentare la sicurezza del confine meridionale con

l’Afghanistan contro la minaccia eversiva del Movimento islamico dell’Uzbekistan,

gruppo affiliato all’IS resosi protagonista di numerosi attentati dinamitardi.

L’inserimento di Mosca nella crisi siriana comporta una necessaria e impervia corre-

zione della politica statunitense. Il rapido e massiccio dispiegamento di forze russe

rende infatti impraticabile l’ipotesi di una zona cuscinetto nel nord della Siria su cui

Stati Uniti e Turchia sembravano infine aver trovato una comunione di intenti.

L’amministrazione Obama ha annunciato un aggiustamento della strategia

adottata in Siria, non un suo stravolgimento. Se sul tavolo delle proposte vagliate

dalla Casa Bianca c’è anche l’offerta russa di un coordinamento delle azioni militari,

la mano tesa da Putin ad Assad apre a soluzioni lontane dalle preferenze di Wa-

shington, che sembra anzitutto intenzionata ad accreditare uno o più gruppi

armati d’opposizione attivi nell’area di Aleppo quale forza alleata sul cam-

po. Sarà certamente l’atteso faccia a faccia tra Obama e Putin nell’ambito della

prossima sessione dell’Assemblea Generale ONU, che si terrà alla fine di settembre

a New York, a imprimere una direzione alla complessa partita siriana. È presumi-

bile che il Presidente russo sceglierà il Palazzo di Vetro per lanciare un ap-

pello contro il terrorismo islamista. Il Cremlino ha annunciato che ai margini

dell’importante appuntamento dell’agenda internazionale ospiterà un incontro aper-

to alle parti in conflitto in Siria per la ripresa dei colloqui di pace.

Intanto, il Generale Lloyd Austin, vertice del Comando Centrale nell’organigramma

delle Forze Armate statunitensi, ha confermato in un’audizione al Senato la parteci-

pazione attiva dei reparti speciali nelle azioni condotte dai guerriglieri curdi

dell’Unità di Protezione Popolare (YPG) nel nord della Siria, seppur (almeno uffi-

cialmente) a soli scopi di assistenza e senza funzioni di combattimento. Se i Pesh-

merga siriani sono stati sinora i principali interlocutori sul terreno, la Turchia preme

tuttavia il governo Obama affinché non incoraggi l’estensione delle aree soggette al

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controllo del YPG in virtù della vicinanza di quest’ultimo al Partito dei Lavoratori del

Kurdistan (PKK) con cui ha riaperto l’annoso confronto armato.

Dopo gli annunci dei giorni scorsi, il Ministro della Difesa Jean-Yves Le Drian

ha ribadito che nelle prossime settimane i caccia francesi colpiranno obiet-

tivi dell’IS anche in territorio siriano. Secondo il Ministro, l’avanzata dei mili-

ziani islamisti nella provincia di Aleppo - dove il Califfato sta cercando di anticipare

l’eventuale dispiegamento turco - prova l’assennatezza della decisione. Attraverso il

portavoce Stéphane Le Foll, il Presidente François Hollande ha aggiunto che i bom-

bardamenti sono necessari e giustificati dal principio di legittima difesa. Anche

l’Australia ha deciso di aggregarsi ai raid nei cieli siriani, mentre le forze speciali

operative nell’Anbar iracheno saranno dimezzate.

Crescono invece le tensioni in Iraq, dove alcuni gruppi paramilitari sciiti hanno

denunciato le manifestazioni popolari nelle province meridionali (a mag-

gioranza sciita) per alzare il livello dello scontro con il governo di Haider

al-Abadi. Contro le indicazioni delle istituzioni centrali, le forze di polizia nella pro-

vincia di Babil hanno violentemente disperso i cortei di protesta e minacciato

l’incolumità dei giornalisti presenti. Il 15 settembre uomini armati affiliati a una mi-

lizia sciita hanno rapito nel centro di Baghdad il consigliere sunnita dell’ex governa-

tore dell’Anbar, mentre due dei diciotto lavoratori turchi sequestrati in agosto sono

stati rilasciati a Basra. Questi preoccupanti segnali d’instabilità non frenano il pro-

cesso di riforme avviato da al-Abadi: sempre nella giornata del 15 settembre, il

Consiglio dei Ministri ha inoltrato al Parlamento l’approvazione della legge per la

cancellazione delle cariche di vice presidente.

Sul fronte dei combattimenti restano inalterate le posizioni dell’IS a Ramadi e Baiji,

dove i miliziani jihadisti hanno ripreso l’offensiva contro l’esercito iracheno. Tutta-

via, le manovre dei Peshmerga curdi intorno a Kirkuk e il successivo schieramento

di centinaia di combattenti del Califfato nella stessa area indicano la possibile ria-

pertura di un terzo fronte nel nord dell’Iraq. Intanto, Baghdad continua a es-

sere oggetto di attentati: il 16 settembre una duplice esplosione ha provocato la

morte di ventitré persone.

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YEMEN ↴

È iniziata, domenica 13 settembre, l’offensiva della coalizione di paesi ara-

bi a guida saudita contro i ribelli Houthi - sciiti filo-iraniani - per la riconqui-

sta della provincia di Marib nello Yemen centro-occidentale, a cui seguirà

l’operazione per la liberazione della capitale yemenita, Sana’a. Con il supporto di

raid aerei, le truppe terrestri formate in prevalenza da soldati degli Emirati Arabi

Uniti, stanno conducendo un’avanzata su due fronti per raggiungere la capitale,

controllata da un anno dagli Houthi. L’esercito guidato da Riyadh sta pertanto pro-

cedendo sia da sud, dalla città di Aden alla volta di Taiz per proseguire verso nord,

sia dalla provincia di Marib dalla quale raggiungerà Sana’a passando attraverso

l’area settentrionale di al-Jawf.

Nella stessa giornata di domenica 13, il Presidente esiliato Abd Rabbu Masour

Hadi ha annunciato che non prenderà parte ai negoziati di pace voluti

dall’Inviato Speciale per la Nazioni Unite in Yemen, Ismail Ould Cheikh

Ahmed. Quest’ultimo aveva dato notizia, alcuni giorni prima, della conferma di en-

trambe le fazioni – il Presidente Hadi e il governo a lui fedele da una parte e i ribelli

sciiti Houthi dall’altra – di essere disposte a partecipare al tavolo negoziale nel cor-

so della settimana successiva. Tuttavia, nel comunicato di Hadi viene sottolineato

che i legittimi leader yemeniti non apriranno alcun dialogo fino a quando i ribelli non

accetteranno la risoluzione del Consiglio di Sicurezza ONU n. 2216 del 14 aprile

scorso. Secondo quanto indicato in tale documento gli Houthi devono, tra le altre ri-

chieste: cessare l’uso della violenza, abbandonare le aree conquistate nel corso del

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conflitto inclusa la capitale Sana’a, nonché cessare ogni attività che spetti in manie-

ra esclusiva alle autorità del Governo dello Yemen. In seguito al rifiuto delle autorità

yemenite l’inviato speciale ONU ha annunciato che si recherà in Arabia Saudita per

tentare nuovamente la via del dialogo, affermando che «non esiste una soluzione

militare al conflitto» e che « tutte le parti in lotta devono impegnarsi urgentemente

e in buona fede nella ricerca di soluzioni politiche al tavolo negoziale con lo scopo di

porre fine agli scontri in Yemen».

Nel frattempo, mercoledì 16, alcuni membri del governo yemenita – tra cui il

Vice-presidente nonché Primo Ministro Khaled Bahah - sono rientrati nel Paese,

recandosi nella città portuale di Aden riconquistata nel luglio scorso. Da

qui, secondo quanto comunicato dal portavoce del governo Rajeh Badi, il legittimo

Governo yemenita cercherà di guidare lo Stato fino a quando non gli sarà permesso

di rientrare a Sana’a. Non è ancora chiaro, tuttavia, se il Presidente Hadi seguirà le

mosse di Bahah o meno. Del 16 settembre è inoltre la notizia di un attentato avve-

nuto contro una chiesa cattolica ad Aden, la quale è stata data alle fiamme. Secon-

do alcune fonti non confermate i responsabili sarebbero membri della cellula di al-

Qaeda nella Penisola Arabica (AQAP). Contro questo gruppo – che rivendicò

l’attentato di Parigi contro il giornale satirico Charlie Hebdo nel gennaio scorso - al-

cuni giorni prima dell’attentato alla chiesa di Aden, è stato condotto un attacco con

drone da parte delle forze armate statunitensi che ha portato all’uccisione di quattro

terroristi.

Nel corso delle ultime settimane le azioni militari della coalizione anti-Houthi si

stanno intensificando per la riconquista della capitale Sana’a. Nonostante

l’evoluzione delle operazioni andasse in questa direzione, la recente escalation del

conflitto sembra essere scaturita da un attentato condotto il 4 settembre per mano

degli Houthi in cui sono rimasti uccisi 60 soldati della coalizione.

Il conflitto yemenita, in cui le forze del Golfo Arabo sono entrate il 26 marzo scorso,

è iniziato nell’estate 2014 con le proteste inizialmente pacifiche del gruppo Houthi.

Il motivo per cui questo movimento – di religione sciita zaydita, che prende il nome

dal primo leader, Hussein al-Houthi – ha iniziato a ribellarsi al Governo centrale, è

stata la decisione di riformare il sistema politico del Paese in favore di una struttura

di tipo federale. Questi cambiamenti avrebbero tuttavia indebolito il potere di cui il

movimento godeva nella Provincia settentrionale di Saada e nelle zone limitrofe.

Grazie all’alleanza con l’ex-presidente Ali Abdullah Saleh, gli Houthi sono riusciti a

rafforzarsi ed a conquistare la capitale nel settembre 2014. Nei mesi successivi il

legittimo Presidente Hadi è stato costretto a trovare rifugio prima ad Aden e poi in

Arabia Saudita per non cadere in mano ai ribelli. Risale appunto al periodo in cui

Hadi si è recato a Riyadh - marzo 2015 - la decisione di formare una coalizione mili-

tare per porre fine all’avanzata dei ribelli sciiti.

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BREVI

GRECIA, 19 SETTEMBRE ↴

Domenica 20 settembre la Grecia tornerà alle urne

per la terza volta, a meno di otto mesi dalle elezioni

del 25 gennaio scorso. Molti sono i risentimenti da

parte dei cittadini nei confronti di Tsipras, tanto che

saranno proprio costoro a ricoprire un ruolo

fondamentale nelle prossime elezioni. Sin dal 1974 i

principali partiti della Grecia sono Nea Dimokratia, per il centro destra, e Pasok, per

il centro sinistra, ma ad oggi guadagnano campo partiti più piccoli tra cui quello di

estrema destra Alba Dorata. Secondo le statistiche di gennaio 2015 nessuno dei

partiti riuscirebbe da solo a formare un governo di maggioranza. Nonostante

Tsipras si sia espresso contro una coalizione con Nea Dimokratia, vi è la possibilità

che i due partiti si uniscano per il bene del Paese. Gli ultimi sondaggi alla vigilia del

voto attribuiscono un lieve vantaggio al partito del premier dimissionario sul suo

avversario conservatore. L'istituto di sondaggio Rass ha attribuito a Syriza il 28.2%

dei voti, rispetto al 27.5% di Nea Dimokratia. L'istituto Marc ha accreditato Syriza

in vantaggio di 1.1 punti percentuali (26.2 rispetto al 25.1), mentre Avghi ha

previsto il 33% dei consensi per Tsipras contro il 30% del leader di Nea Dimokratia,

Vangelis Meimarakis. L'istituto Gpo ha previsto due punti e mezzo percentuali di

vantaggio per Syriza, accreditata del 28.5% rispetto al 26% di Nea Dimokratia.

L’estrema destra di Alba Dorata può contare su un buon livello di consenso non solo

a causa della crisi economica, ma anche dell’aggravarsi della questione

immigrazione, su cui il partito e il suo leader Michaloliakos hanno fatto

pragmaticamente leva. Gli analisti affermano che i sondaggi accreditano i

contendenti di una percentuale di voti troppo simile per poter dire chi vincerà. I

partiti in corsa per il rinnovo dei 300 seggi del Parlamento di Atene sono 19 e

dovranno superare la soglia di sbarramento del 3% per potersi assicurare un posto

nell’assemblea.

LIBIA, 13 SETTEMBRE ↴

Sembra essere giunto alla fase finale il negoziato tra

il governo di Tobruk e quello di Tripoli per la

formazione di un governo di unità nazionale che,

sebbene non risolutivo di per sé, si presenta come il

primo passo sulla strada di un effettivo processo di

pacificazione e stabilizzazione del Paese. L’inviato

speciale delle Nazioni Unite, Bernardino León, ha annunciato domenica 13

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settembre di aver consegnato alle parti un nuovo testo di accordo,

fondamentalmente il medesimo testo negoziato a luglio con circa nove

emendamenti rispondenti soprattutto alle richieste di modifica provenienti da

Tripoli. Ora la parola passa al Congresso generale Nazionale di Tripoli e alla Camera

dei Rappresentanti di Tobruk che dovranno entrambe approvare il testo dell’accordo

entro il termine ultimo del 20 settembre. Il cauto ottimismo dell’inviato speciale

contrasta con l’esistenza di numerose fazioni interne, da entrambe le parti,

contrarie all’accordo. In particolare si teme una possibile azione di boicottaggio

dell’accordo proveniente dai leader delle potenti milizie che controllano il Paese e su

cui i due governi “ufficiali” esercitano un controllo soltanto parziale. L’accordo,

infatti, oltre a disegnare le nuove istituzioni libiche prevede lo smantellamento delle

milizie esistenti e dei loro vertici in vista della formazione di una rinnovata

gerarchia militare nominata dal governo di unità nazionale.

REGNO UNITO, 12 SETTEMBRE ↴

Dopo le dimissioni di Ed Miliband, che sono seguite

alla sconfitta nelle elezioni parlamentari del maggio

scorso per mano dei Conservatori di David Cameron,

il Partito Laburista ha eletto un nuovo leader. Si

tratta di Jeremy Corbyn, che alle urne delle primarie

ha raccolto il 59,5% delle preferenze. La sua elezione

segna un ulteriore spostamento a sinistra dei

Laburisti, che si riappropriano di quell’orientamento socialista già adottato tra gli

anni Settanta ed Ottanta, e che l’ex Primo Ministro Tony Blair aveva sostituito tra

gli anni Novanta e Duemila con politiche più centriste. Corbyn non solo è un

socialista, ma, a dispetto della maggioranza dei britannici, è anche un repubblicano,

ostile alla storica forma monarchica del Paese. Le polemiche successive alla sua

elezione non sono mancate. Da destra ha ricevuto attacchi che lo hanno indicato

come un pericolo per la sicurezza nazionale (si era mostrato in disaccordo con

l’omicidio di Bin Laden nel 2011) e per l’unione in sé (ha fraternizzato con la causa

del Sinn Fein). Inoltre, durante le recenti celebrazioni per la battaglia di Inghilterra,

avvenuta nel corso della Seconda guerra mondiale, si è rifiutato di cantare l’inno,

destando stupore e sconcerto tra molti dei suoi compatrioti. Tuttavia, la Regina

Elisabetta II non ha tardato ad inserirlo nel suo Privy Council, un gesto significativo

(anche se, convenzionalmente, dovuto) per quella che è da poco divenuta il

monarca più longevo nella storia del Regno Unito. Dal canto suo, il primo

provvedimento di Corbyn è stato nominare il nuovo governo ombra. Ad Andy

Burnham, rivale per la leadership del partito, Corbyn ha assegnato gli Interni,

mentre Hilary Ben, già agli Esteri con Miliband, è stata confermata nel suo ruolo.

Nel governo ombra risultano più donne che uomini (16 a 15), benché Corbyn sia

stato accusato di aver riservato loro cariche secondarie.

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ALTRE DAL MONDO

AFGHANISTAN, 13 SETTEMBRE ↴

Un’irruzione armata dei Talebani nel carcere della città meridionale di Ghazni ha

prodotto la liberazione di oltre 350 detenuti. Secondo fonti non confermate dalle

autorità, l’intelligence aveva già individuato nella prigione un possibile bersaglio del

gruppo terroristico. Un assalto analogo ad un carcere di Kandahar nel 2011 aveva

portato all’evasione di circa 500 reclusi.

AUSTRALIA, 15 SETTEMBRE ↴

Malcolm Turnbull, giunto a capo del partito Liberale dopo aver vinto un voto di fidu-

cia interno, è stato nominato nuovo primo ministro. Turnbull ha sostituito alla guida

dell’esecutivo il premier uscente Tony Abbott, battuto il 14 settembre con 54 voti

contro 44, ed è diventato capo del governo. Le consuetudini australiane prevedono

infatti che il leader del principale partito diventi automaticamente primo ministro.

BURKINA FASO, 17-19 SETTEMBRE ↴

Alcuni membri della guardia presidenziale, guidati dal generale Dienderé, ex-capo di

Stato Maggiore particolare del deposto presidente Blaise Compaorè, hanno preso in

ostaggio il presidente ad interim Michel Kafando ed il primo ministro Isaac Zida, sol-

levandoli dall'incarico. I golpisti, dopo aver annunciato la liberazione dei due politici,

sono ora impegnati in colloqui di pacificazione con la mediazione del presidente se-

negalese Macky Sall.

COREA DEL NORD, 15 SETTEMBRE ↴

L’Agenzia di stampa governativa KCNA ha definitivamente confermato i sospetti che

si avevano già da circa due anni: il governo di Pyongyang ha riaperto il principale

impianto per la produzione di combustibile per gli ordini atomici, il complesso di

Yongbyon, chiuso nel 2007 secondo quanto previsto da un accordo tra Corea del

Nord, Corea del Sud, Stati Uniti, Russia e Giappone, in cambio di aiuti economici.

Nella stessa nota, l’agenzia informa che Pyongyang sta procedendo ad accrescere,

quantitativamente e qualitativamente, le proprie testate nucleari. La conferma della

riapertura giunge poco dopo un altro annuncio coreano relativo ad un imminente

lancio in orbita di un satellite, operazione che, secondo la comunità internazionale,

potrebbe celare un test missilistico a lungo raggio. Il rischio non è tanto quello deri-

vante da un possibile concretizzarsi delle minacce coreane nei confronti degli USA

quanto quello di un’escalation nei già delicati rapporti con Seoul.

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GIAPPONE, 18 SETTEMBRE ↴

Il Senato giapponese ha approvato la legge che autorizza, per la prima volta dalla

conclusione della Seconda Guerra Mondiale, lo schieramento di propri soldati in ter-

ritorio estero. La legge, approvata già dalla camera bassa in luglio, ha suscitato le

violente proteste dei membri dell'opposizione e un dibattito acceso nella società ci-

vile, nonostante rappresentasse uno dei punti cardine del programma politico del

premier Shinzo Abe.

ISRAELE, 16 SETTEMBRE ↴

Continuano da giorni gli scontri sulla Spianata delle moschee a Gerusalemme, luogo

sacro alle tre maggiori religioni monoteiste, tra le forze dell’ordine israeliane e ma-

nifestanti palestinesi. Le tensioni sono esplose a seguito dell’applicazione, decretata

dal Ministro della Difesa israeliano Moshe Ya’alon alla vigilia del capodanno ebraico,

del divieto per i gruppi musulmani volontari di presiedere la moschea di Al Aqsa.

Dura la reazione del Primo Ministro israeliano Netanyahu che ha annunciato

l’inasprimento delle pene a seguito dell’incidente in cui un civile israeliano ha perso

la vita a causa della sassaiola degli attivisti palestinesi.

NIGERIA, 16 SETTEMBRE ↴

L'esercito nigeriano ha rivelato di aver liberato decine di persone tenute in ostaggio

dagli estremisti islamici di Boko Haram. L'esercito ha affermato di aver sgomberato

gli accampamenti di Boko Haram nello stato di Borno, nel nord-est del Paese, pur

non precisando il luogo del rapimento dei prigionieri e le loro condizioni.

Page 15: Weekly Report N°24/2015

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ANALISI E COMMENTI

LA GEOGRAFIA E LA STORIA, CROCE E DELIZIA DEL LIBANO

ANTONELLA ROBERTA LA FORTEZZA ↴

La geografia e la storia sembrano aver assegnato al Libano il suo destino. Costan-

temente teso fra il mondo occidentale e quello arabo in una posizione di crocevia fin

dai tempi dell’Emirato del Monte Libano, il Paese dei Cedri si muove come un fu-

nambolo sull’insicura fune che divide la stabilità dal collasso. Incessantemente alla

ricerca del suo equilibrio all’interno e all’esterno, il Libano è forse il Paese del Le-

vante che maggiormente risente dell’instabilità caratterizzante la regione. Un per-

fetto ma alquanto precario gioco di equilibri ha consentito per lungo tempo al Liba-

no di smorzare le tensioni interne dovute alla compresenza di diverse comunità

(principalmente maronita, sunnita e sciita); ma muoversi in spazi così ristretti signi-

fica essere preda, più di altri, di ogni minima alterazione dello status quo così come

esistente. Così, il Libano ha mostrato apertamente e più volte nella sua storia tutte

le contraddizioni, interne ed esterne, amplificandole ed esasperandole. Infatti, a soli

venticinque anni dalla fine della guerra civile, il vacuum istituzionale che si prolunga

ormai da più di un anno, la difficile situazione economica e i nuovi sconvolgimenti

nel contesto regionale fanno del Libano, ancora una volta, una facile preda di quel

settarismo che già in passato ha portato il Paese dei Cedri al collasso. Proprio le

proteste anti-governative che si stanno registrando in questi ultimi giorni, proteste

generate dalla crisi dei rifiuti ma che si sono presto trasformate in una contestazio-

ne politica contro la piaga della corruzione e il sistema di protezione sociale ormai al

collasso, testimoniano la definitiva insostenibilità della situazione libanese nel lungo

periodo (…) SEGUE >>>

LE TRE SFIDE DELLA NIGERIA DI MUHAMMADU BUHARI: DEMOCRAZIA, ECONOMIA,

SICUREZZA

DANILO GIORDANO ↴

La vittoria di Muhammadu Buhari alle elezioni presidenziali nigeriane dello scorso

28 marzo, è stata accolta in maniera positiva dalla popolazione, dalla comunità in-

ternazionale, ma anche dalla Borsa nigeriana che ha fatto registrare un guadagno

superiore all’8% il giorno della proclamazione dei dati ufficiali da parte della Com-

missione Elettorale Nazionale. Buhari, che è stato già al potere in Nigeria dal 1983

al 1985, ha ottenuto un’affermazione netta, vincendo in 21 dei 36 Stati che com-

pongono la federazione e sconfiggendo il presidente uscente Goodluck Jonathan.

Jonathan ha pagata caro la miseria dilagante di gran parte della popolazione, nono-

stante una crescita media del PIL superiore al 6% negli ultimi 5 anni, e l’incapacità

di opporsi alla minaccia terroristica di Boko Haram. Buhari, ex-generale delle forze

armate nigeriane, artefice di una, seppur controversa, campagna anti-corruzione

Page 16: Weekly Report N°24/2015

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durante il suo precedente “mandato presidenziale”, è stato identificato come l’uomo

forte a cui affidarsi, in ultima istanza, per sconfiggere la minaccia jihadista che sta

martoriando il nord-est del Paese. In concreto, però, le sfide che il presidente Buha-

ri dovrà affrontare durante il suo mandato saranno tre: consolidamento del proces-

so democratico, miglioramento delle condizioni economiche della popolazione e

creazione di una cornice di sicurezza stabile e duratura (…) SEGUE >>>

A cura di

OSSERVATORIO DI POLITICA INTERNAZIONALE

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