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Per gli amanti della palla a spicchi d'oltre oceano

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il periodico online per gli amanti della palla a spicchi d’oltre oceano

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Stars ‘N’ Stripesideato da: Domenico Pezzella

scritto da:

Alessandro delli Paoli

Bennedetto Giardina

Raffaele Valentino

Nicolò Fiumi

Domenico Landolfo

Stefano Panza

Vincenzo Di Guida

Guglielmo Bifulco

Stefano Livi

Lorenzo de Santis

info, contatti e collaborazioni:

[email protected]

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Fonte

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NBA FREE AGENCY

LLaa mmoottiivvaazziioonnee::««AA SSoouutthh BBeeaacchh ppeerr vviinncceerree ssuubbiittoo ll’’aanneelllloo»»Come molti oramai ben sapranno, il Calendario Maya prevede,nel 2012, un evento che in un qualche modo sconvolgerà ilnostro mondo. Ora, qualcuno ritiene si tratterà della fine delmondo, altri semplicemente parlano di un evento che cambieràper sempre il modo di ragionare e la concezione della vita avutafino a quel momento. Bene, dopo la prima decade di luglio pos-siamo arrivare ad affermare che il 2012 Maya dell’NBA, percerti versi, potrebbe essere questa torrida estate 2010. Perché?Chiedetelo ai tifosi dei Cavaliers, quando l’8 di luglio intornoalle 20:25 ora locale hanno sentito pronunciare a LeBron Jamesle seguenti parole: “Il prossimo autunno mi trasferirò a SouthBeach, per giocare nei Miami Heat.” Chiedete ai tifosi deiCavaliers se a loro quelle parole non sono parse assimilabili allafine del mondo cestistico, ma non necessariamente solo di quel-lo. Non credete alla fine del mondo? Quanti allora, dopo quellefatidiche parole, arrivate dopo un bailamme di voci e incontri

più o meno segreti, non hanno cambiato idea e percezione neiconfronti di James, e volendo anche della NBA in generale,tenuta in scacco dalla decisione di un singolo talentuoso comepochi, forse nessuno, ma ancora privo di argenteria alle dita?Non c’è un dubbio che quest’estate verrà ricordata come unadelle più strane e attese della storia della Lega, e questo lo sisapeva e diceva già da tempo. Se sarà anche una della estati piùdeterminanti a livello di risultati nella storia, quello solo iltempo ce lo dirà. Intanto ripassiamo tutti d’un fiato questiassurdi otto giorni, partiti dal primo incontro di LeBron Jamesnei suoi uffici di Cleveland, e terminati a Greenwich,Connecticut, nulla a che vedere con il Greenwich di britannichelongitudini, ma lo stesso centro del mondo per una notte.Riavvolgendo il nastro si torna al primo di luglio, al primopomeriggio di quel giorno, all’IMG Building di Cleveland, difronte al quale il front office dei Cavs ha fatto appendere un

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cartellone pubblicitario di svariate decine di metri quadrati diarea con su scritto semplicemente “Home”, giusto per ricordarea qualcuno che l’Ohio è la propria terra natia. E la terra natianon la si abbandona tanto facilmente. Cartellone che altro nonera che un semplice tassello di una campagna pubblicitaria por-tata avanti per convincere James a non andarsene, tappezzandola città di scritte del tipo: “Community”, “Mission”,“Commitment” e appunto “Home”, tutto molto americano, maanche tutto molto indicativo del peso che un giocatore comeJames avrebbe avuto per l’intera città di Cleveland e non soloper la squadra di basket. Ma dicevamo degli incontri con le 6precedenti. Nets e Knicks il primo giorno, Heat e Clippers ilsecondo, Cavs e Bulls il 3 luglio. Partono i cugini da New York.Agli exit pool vanno meglio i futuri Brooklyn Nets. Jay-Z pre-senzia e propone a James svariate partnership (vestiti, profumi,musica), Prokhorov gli racconta per sommi capi che, avendo

guadagnato tutti quei soldi nella giungla del petrolio, si senteabbastanza fiducioso di fare bene nel mondo della pallacane-stro. I Knicks, invece, vanno a vuoto. Nonostante una puntatadei Soprano’s montata apposta per lui, nonostante le parole diMike D’Antoni che gli spiega la sua idea di attacco in campoaperto, nonostante la presenza speciale di Allan Houston, chegli fa un discorso da atleta a atleta. L’inghippo è la voce cheimpazzisce in quelle ore, secondo cui i Knicks avrebbero offertoun contratto di una certa rilevanza a Amarè Stoudemire. Ilrumors costringe il front office della Grande Mela a incontrarsinuovamente con l’agente di Bron il giorno seguente. Che è poi ilgiorno di quel volpone di Pat Riley, che la notte prima ha giàbuttato le basi del suo capolavoro, parlando in anteprima conl’entourage del ragazzo da Akron. Arrivano lui, Spoelstra, il pro-prietario Mickey Arison e Zo Mourning, che anche se non parlala sua influenza la fa sempre sentire. Tre ore tre. 180 minuti di

DIDI

NNICOLÒICOLÒ FFIUMIIUMI

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Fonte foto: http://blog.oregonlive.comFonte foto: http://cdn0.sbnation.comFonte foto: http://blogs.bet.com

cui si verrà a sapere poco o niente. Poi, sfiga, tocca ai Clippers.Animo ragazzi, ci sarà tempo per rifarsi. La franchigia più iella-ta della Lega arriva con soli due rappresentanti, fra cui il GM,Neil Olshey, che James lo avrebbe allenato anni fa a un camp,quando il ragazzo era ancora all’ultimo anno di high school. Ildestino si diverte parecchio. Subito dopo Pat Riley, subito dopola franchigia che si porterà a casa James, tocca ai poveriClippers. Le dichiarazioni di Olshey successive all’incontro, chea differenza degli Heat dura solo un’ora, tutti segni della scarsaconfidenza dei Clips di potercela fare, le lasceremo anche per-dere. Terzo giorno e, mentre i Nets si dichiarano entusiasti del-l’andamento del colloquio, è il momento dei Cavs. James arrivadi buon ora ai suoi uffici, e trova ad attenderlo centinaia di tifo-si posizionati lì dalla dirigenza che lo pregano in ginocchio dirimanere. Poi arrivano i dirigenti della squadra. Incontro lungo,toccante e divertente dicono i presenti. Si passa da un cartoneanimato in stile Griffin con James ovvio protagonista, alle paro-le di Byron Scott in video al discorso del proprietario DanGilbert, certamente più dolci di quelle sentenziate dopo l’addiodell’ex numero 23. E poi sotto con i Bulls , arrivati con il presi-dente Jerry Reinsdorf, il GM Gar Forman, coach Thibodeau eJohn Paxson e accolti non esattamente con petali di rosa daitifosi di Cleveland presenti. Anche in questo caso poche infor-mazioni e parole a riguardo. La voce del momento è cheDwyane Wade parrebbe interessato a indossare la maglia che fudi Michael Jordan. Illusions… Passano tre giorni in cui si parladi tutto. Ognuno fa la sua previsione. Un momento LeBronsembra più vicino ai Cavs, a New York giurano che andrà aChicago, nella Windy City alzano spallucce occhieggiandoBoozer per tirare dalla propria parte il Prescelto. I Clippers?Dai, non scherziamo… Poi, improvviso, il fulmine a ciel sereno.Irrompe sui siti la seguente notizia: “Chris Bosh sembra inten-zionato a raggiungere Dwyane Wade e a giocare per i MiamiHeat.” Che rimane una notizia ufficiosa per poche ore, perché il7 luglio i due diretti interessati ne danno conferma in direttatelevisiva, rigorosamente su ESPN. Carlos Boozer, nel frattem-po firma a Chicago, e i Knicks ingaggiano Stoudemire per dav-vero. Pensare a LeBron a Cleveland è compito per noi romanti-ci. Intanto nuovo colpo di scena. LBJ fa sapere, con regaledistacco, che annuncerà il suo destino in uno speciale televisivodi un ora in diretta su ESPN, alle 21 ora locale della suddetta

Greenwich, in Connecticut, che non è troppo lontana dal NewJersey, quindi ovviamente qualcuno ci ha sentito puzza di mar-cio sotto. Illusions… L’attesa a questo punto si mischia con unminimo di fastidio. In molti cominciano a pensare che questastoria stia andando un pò troppo oltre. Ma intanto è già l’8 diluglio. Ed è mattina in Italia quando su tutti i siti americanispecializzati si cominciano a rincorrere le voci sulla decisionedi LeBron. Miami Heat, South Beach, Dwyane, Chris, sole,anelli, Kobe permettendo. Illusions.. per niente questa volta.Arriva l’orario fatidico, James entra al Boys’n’Girls Club diGreenwich. Sono le 3:18 ora italiana quando comincia un inter-vista di circa una decina di minuti che si concluderà con leparole sopracitate e di cui vi riportiamo nel box a parte tutti ipassaggi. Il dopo decisione è stato: maglie di LeBron James infiamme a Cleveland il passo è breve. Aggiungeteci qualche oraper la lettera ai tifosi in cui Dan Gilbert appella LeBron comeun “codardo che si è tirato indietro in tanti momenti importantidei playoffs”. James, come in effetti ha analizzato nella suaintervista, sa che questa scelta avrà inevitabilmente due effetti,opposti più che mai. Da un lato l’attrattiva di giocare in un triocon Wade e Bosh è in effetti una prospettiva che alletterebbechiunque e a cui non è semplice dire di no, perché è ragionevolepensare che già da ora, momento in cui gli Heat hanno a con-tratto 4 giocatori, Miami sarà una delle favorite al titolo nonsolo per la prossima stagione, ma per un considerevole numerodi stagioni future. Dall’altro c’è quella percezione generale chela gente avrà di lui. Abbandonare Cleveland per andare in casadi Dwyane Wade è stato visto da tutti come un arrendersi all’e-videnza che da solo non ce l’avrebbe potuta fare e ha tolto ulte-riormente alone di onnipotenza a un giocatore che per anni èsembrato un predestinato a prendersi in mano la Lega, mentreora deve chiedere il permesso a Wade e l’aiuto di Bosh. Certoqualcuno potrebbe obiettare che se ti venisse offerto di passareda una situazione dove le tue prime due spalle si chiamano MoWilliams e Antawn Jamison a una dove queste rispondono ainomi di Dwyane Wade e Chris Bosh e tu non accettassi potrestiessere ritenuto un pazzo da un ragguardevole numero di perso-ne. Ma rimane comunque il dubbio che un titolo vinto aCleveland avrebbe avuto più significato di quanti mai ne potràvincere in Florida. Alla fine di tutto ciò, probabilmente, l’uomoche ne esce, nuovamente, vincitore, è Pat Riley. Portarsi a casa

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tre stelle di questo calibro, che già hanno giocato insieme innazionale, riuscendo ad avere comunque un discreto spaziosalariale per completare la squadra è un colpo che definire damaestro è semplicemente riduttivo. La convivenza tra Wade eJames potrebbe non essere delle più semplici, giocatori dipotenza e penetrazione con poco tiro da fuori, mentre Boshcome terzo violino è un lusso che in NBA non si permettono

nemmeno i Lakers. Ma intanto andatelo a spiegare alle difeseche ogni sera dovranno prepararsi contro una squadra che saràsenza nessun dubbio la più seguita, chiacchierata e discussa delprossimo anno. Una squadra dove giocherà un Re che ha abdicato per raggiun-gere l’agognato anello. Perché, anche se sei un sovrano, la palla-canestro rimane pur sempre un gioco di squadra.

Tutta l’intervista in diretta TvIINNTTEERRVVIISSTTAATTOORREE:: Allora LeBron, com'è procede l'estate?JJAAMMEESS:: «Ovviamente penso solo alla free agency». II:: CCoossaa nnee ppeennssii ddii ttuuttttoo qquueessttoo??JJ:: «Due anni fà sono stato io a prendere una decisione per esserein questa situazione quest'anno e poter valutare le offerte di diver-se squadre, potendo così scegliere quella migliore per me».II:: NNoonn hhaaii aavvuuttoo llaa ppoossssiibbiilliittàà ddii eesssseerree rreecclluuttaattoo aall ccoolllleeggee ppeerrcchhèèsseeii ppaassssaattoo ddiirreettttaammeennttee aallllaa NNBBAA ddaallllaa hhiigghh sscchhooooll.. TTii èè ppiiaacciiuuttaaqquueessttaa eessppeerriieennzzaa??JJ:: «Si, me la sono goduta. E voglio ringraziare tutte e sei le squa-dre con le quali mi sono potuto sedere a parlare. E' stata davverouna grande esperienza, emozionante».II:: AAbbbbiiaammoo vviissttoo ccaarrtteelllloonnii ppuubbbblliicciittaarrii ppeerr ttee,, ssqquuaaddrree cchhee hhaannnnoossvvuuoottaattoo iill ssaallaarryy ccaapp ssoolloo ppeerr aavveerree uunnaa cchhaannccee ddii iinnggaaggggiiaarrttii,,ccaarrttoonnii aanniimmaattii iinn ttuuoo oonnoorree,, aaddddiirriittttuurraa BBaarraacckk OObbaammaa hhaa ffaattttoossaappeerree ddii vvoolleerrttii nneeii CChhiiccaaggoo BBuullllss.. CCoommee hhaaii rreeaaggiittoo,, ccoossaa ttiiaassppeettttii ccoommee ccoonnsseegguueennzzaa ddii ttuuttttoo qquueessttoo??JJ:: «Sono cose su cui io non ho controllo. Ho solo sperato che tuttociò portasse al fatto di potermi sedere al tavolo con le diversesquadre e parlare con loro di come aiutarci a vicenda per vincere.Ed è esattamente quello che è successo e che speravo potesse suc-cedere».II:: QQuuaannttee ppeerrssoonnee ccoonnoossccoonnoo ggiiàà llaa ttuuaa ddeecciissiioonnee??JJ:: «Non molti, un numero ristretto, all'interno della mia famiglia».II:: QQuuaannddoo hhaaii pprreessoo llaa ddeecciissiioonnee??JJ:: «Questa mattina. Per giorni mi sono svegliato con idee semprediverse in testa. E' stato un processo lungo in cui mi sono semprechiesto quale fosse la migliore opportunità per me. Ma questamattina mi sono svegliato e ho avuto una conversazione chiarifi-catrice con mia mamma, e dopo questo non ho più avuto dubbi».II:: QQuuiinnddii hhaaii ccaammbbiiaattoo iiddeeaa iieerrii ppeerr ll''uullttiimmaa vvoollttaa??JJ:: «L'ultima volta in cui ho cambiato idea è stato probabilmentequesta notte mentre sognavo! E quando mi sono svegliato stamat-tina sapevo qual'era la decisione giusta da prendere».II:: LLaa ssqquuaaddrraa iinn ccuuii ggiioocchheerraaii ccoonnoossccee ggiiàà llaa ttuuaa ddeecciissiioonnee??JJ:: «Si, hanno avuto modo scoprirlo...»II:: CChhii hhaa aavvuuttoo mmaaggggiioorree iinnfflluueennzzaa ssuu ddii ttee iinn qquueessttaa ddeecciissiioonnee??JJ:: «Ho ascoltato molto la mia famiglia e i miei amici. Il mio agen-te Leon Rose è stato molto importante. Sono tutte persone cheascolto nei momenti in cui devo prendere decisioni rilevanti. Mihanno ricordato che è una decisione di grande interesse per me ela mia famiglia, ma che alla fine deve comunque rendermi felice».II:: QQuueell''èè ssttaattaa llaa mmoottiivvaazziioonnee cchhee ttii hhaa ssppiinnttoo mmaaggggiioorrmmeennttee vveerrssooqquueessttaa sscceellttaa??JJ:: «La possibilità di vincere da subito e anche nel futuro. Per mevincere è la cosa più importante. Voglio aiutare i miei compagni amigliorare e vincere. Non c'è niente di più importante per me». II:: QQuuaannttoo aa ffoonnddoo hhaaii ppeennssaattoo aall ffuuttuurroo nneellllaa ttuuaa pprroossssiimmaa ssqquuaa--ddrraa??JJ:: «Una cosa che non puoi controllare è ciò che accadrà in futuro.Quello che puoi fare è metterti nella migliore posizione possibile,ma nonostante questo non puoi sapere con certezza se vincerai iltitolo l'anno prossimo, o quello dopo o quello dopo ancora. Devimetterti in una posizione in cui sei competitivo e puoi essere piùvicino a quello per cui stai giocando».II:: HHaaii qquuaallcchhee dduubbbbiioo ssuullllaa ttuuaa ddeecciissiioonnee??JJ:: «No, non ho alcun dubbio».II:: TTii mmaannggii aannccoorraa llee uunngghhiiee??JJ:: «Sì, un pò ancora».II:: BBeehh,, cc''èè ppaarreecccchhiiaa ggeennttee iinn qquueessttoo mmoommeennttoo cchhee ssee llee ssttaa mmaann--ggiiaannddoo nneerrvvoossaammeennttee.. QQuuiinnddii ccrreeddoo cchhee ssiiaa iill mmoommeennttoo ddii ppoorrttii llaaddoommaannddaa cchhee ttuuttttii aassppeettttaannoo,, LLeeBBrroonn,, qquueell''èè llaa ttuuaa ddeeiicciissoonnee??JJ:: «Quest'autunno (pausa scenica), è davvero difficile dirlo, mi tra-sferirò a South Beach e giocherò con i Miami Heat».

II:: PPeerrcchhèè ii MMiiaammii HHeeaatt??JJ:: «Come ho detto in precedenza, credo che sia la situazionemigliore per pensare di poter vincere da subito e per gli anni avenire. Non solo vincere in regular season, ma vincere dei titoli,che è quello che voglio più di tutto».II:: EE'' ssttaattoo ddaa ssuubbiittoo nneeii ttuuooii ppiiaannii aannddaarree aa ggiiooccaarree ccoonn DDwwyyaanneeWWaaddee ee CChhrriiss BBoosshh??JJ:: «Ci avevo pensato, ma non posso dire che sia da sempre neimiei piani, perchè non avrei mai pensato che sarebbe stato possi-bile. Ma dopo quello che Miami ha fatto per liberare spazio sala-riale per tutti e tre era difficile dire di no. Sono due grandi gioca-tori. E con me potremo costruire un'ottima squadra attorno».II:: VVooii ttrree oorraa ddiivviiddeerreettee llee lluuccii ddeellllaa rriibbaallttaa.. IInn uunn cceerrttoo sseennssoo ssaarree--ttee iinn ccaassaa ddii DDwwyyaannee WWaaddee cchhee hhaa ggiiàà vviinnttoo uunn ttiittoolloo.. CCoommee ppeennssiicchhee rriiuusscciirreettee aa iinnsseerriirrvvii iinn qquueessttaa ssiittuuaazziioonnee??JJ:: «Secondo me non si tratta di dividere le luci della ribalta.Piuttosto ognuno avrà le proprie. Faremo quello che è meglio perla squadra». II:: CCoommee ssppiieegghhii qquueessttaa sscceellttaa aallllaa ggeennttee ddii CClleevveellaanndd??JJ:: «Per me è molto dura. In questi 7 anni ho dato tutto me stesso aquesta franchigia. Gli oltre 20 mila spettatori che c'erano ad ognipartita mi hanno visto crescere da quando avevo 18 anni, non mene sarei mai voluto andare e il mio cuore apparterrà sempre aquella zona. Ma sento anche che la sfida più grande per me èquello di andare avanti per un altra strada».II:: QQuueell''èè ssttaattaa llaa mmoottiivvaazziioonnee pprriinncciippaallee cchhee ttii hhaa ssppiinnttoo aa llaasscciiaarreeii CCaavvaalliieerrss??JJ:: «Non vedo questa cosa come un lasciare Cleveland, ma piutto-sto come un unire le forze con altri due grandi giocatori. Sentoche abbiamo una grande chance per vincere molti titoli tutti insie-me. E' un momento molto importante per me e per i tifosi. Avreivoluto restare, perché come io ho fatto molto per loro, loro hannofatto altrettanto per me. Ma semplicemente sentivo che era venutoil momento di cambiare». II:: CChhee rreeaazziioonnee ttii aassppeettttii ddaaii ttiiffoossii ddii CClleevveellaanndd??JJ:: «Non ne sono sicuro. Penso che sarà un mix di emozioni. Cisarà chi mi incolperà e non capirà la decisione, e ci saranno i veriamici che mi supporteranno lo stesso. Ma per me Akron e l'Ohiosaranno sempre la mia casa».II:: EErriikk SSppooeellssttrraa ssaarràà iill ttuuoo aalllleennaattoorree.. HHaaii ppaarrllaattoo ccoonn PPaatt rriilleeyy ddiiuunn ssuuoo ppoossssiibbiillee rriittoorrnnoo iinn qquueessttaa ssttaaggiioonnee??JJ:: «No, Pat ha detto che Erik sarà il coach. E' giovane e molto pre-parato, e ha un grande mentore come Riley a cui può chiedereconsigli in ogni momento. Ho grande rispetto per coach Spoelstrae per tutto il coaching staff e sono convinto che daranno il massi-mo per consentirci di vincere il più possibile».II:: RRiiffaarreessttii ttuuttttoo qquueessttoo ddaa ccaappoo??JJ:: «E' stata dura... Perchè ho avuto la sensazione di deluderemolte persone, ho alzato ulteriormente le aspettative che la genteha nei mie confronti. E' stata una scelta difficile perchè io sonouna persona onesta, ma una cosa che mia ha detto mia madre èche alla fine di questo processo decisionale avrei dovuto sceglierequello che era meglio per me e che mi avrebbe reso felice, perchèalla fine sarei stato io a dover convivere con la mia decisione e lesue conseguenze. E, visto che considero mia madre come unadelle mie guide, è stata facile decidere a quel punto».II:: QQuueell''èè ssttaattaa ll rreeaazziioonnee ddii ttuuaa mmaaddrree qquuaannddoo llee hhaaii ccoommuunniiccaattoollaa ttuuaa sscceellttaa??JJ:: «Pensavo che avrebbe avuto un altra reazione, invece mi hadetto di aver fatto la scelta giusta perchè mi avrebbe reso felice,aldilà del fatto che avrei giocato a Miami o che avrei giocato conChris e Dwyane. E queste parole sentite dalla sua voce sono stateun sollievo per me».

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L'Nba e` un mondo strano, molto strano, basti pensare che gli Heat passe-ranno in una sola estate da un manipolo di ragazzi volenterosi ma obbiet-tivamente non adatti alla corsa per il titolo, ad una squadra additata datutti come papabile di passare alla storia come una delle piu` dominantidelle ultime decadi. Fino a 10 giorni fa, Dwane Wade, guardandosi intor-no, vedeva un futuro nebuloso, fatto di un solo titolo, peraltro definitofortunoso da molti, mentre oggi vede al suo fianco due superstar assolutecome James e Bosh, e la squadra che tutto il mondo muore dalla voglia diveder giocare. I dubbi nella testa di Flash non sono stati molti a dire il vero, il desiderioprincipale della medaglia d’oro olimpica a Pechino è sempre stato quellodi rimanere a Miami, troppo legato all’ American Airlines Arena, spessoda lui definita come “casa”, troppo legato al suo mentore Pat Riley, trop-po riconoscente alla franchigia che l’ha reso uno dei migliori giocatoridella lega.Le voci si sono comunque susseguite, e Wade ha in ogni caso ascoltatoattentamente le offerte pervenute in particolare da Knicks e Nets, oltreche dai Bulls, che hanno utilizzato come arma principale nel tentativo diconvincimento, prima ancora che le prospettive tecniche (pur ottime) , leorigini del giocatore, cresciuto proprio nei sobborghi di Chicago e chiara-mente legato emotivamente a quelle terre e a quella citta`.Wade pero` e` rimasto a casa per vincere con la SUA squadra, tanto cheha aiutato Riley ad allestire una superpotenza esponendosi in prima per-sona ,contattando i giocatori ed essendo disposto eventualmente anche arinunciare a qualche soldo, sapendo bene che a 28 anni suonati le prossi-me 3-4 stagioni sono decisive per entrare nella storia di questa fantastica

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LLORENZOORENZO DEDE SSANTISANTIS

Fonte foto: facebook.com

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Fonte foto: facebook.comFonte foto: facebook.comFonte foto: facebook.com

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lega chiamata NBA con uno o due trofei alzati.La consulenza di Wade e` stata indubbiamente decisiva nel con-vincere il Re, ma anche Chris Bosh, in quel famoso weekend incui i tre si sarebbero incontrati per discutere del loro futuro. La partenza del numero 4 da Toronto ( a Miami indossera` lacasacca numero 1) era data quasi per scontata , tanto che persi-no il gm Bryan Colangelo aveva ammesso in tempi non sospettiche la sua permanenza in Canada sarebbe stata “molto difficile”, e molte squadre da quel momento sono state accostate all' exGeorgia Tech. A partire dai soliti Chicago Bulls, che avrebberovoluto firmare Bosh in breve tempo, in modo da poter offrireanche a LeBron James uno scenario allettante (cosa che poi hafatto Miami). Oltre alla franchigia dell'Illinois, anche i Rocketsavevano individuato in Bosh il loro principale obbiettivo dimercato, considerandolo il perfetto complemento a Yao Ming,che proprio in questi giorni ha deciso di rimanere a Houstonrinunciando alla possibilità di diventare free agent. Il generalmanager Daryl Morey aveva difatti dichiarato che con Bosh lasquadra avrebbe potuto vincere addirittura 60 partite nellacompetitiva Western Conference. Ci sono stati anche rumors diun possibile sign & trade con i Lakers che coinvolgesse Bynum

e Odom.Alla fine pero` Bosh ha deciso di firmare con Miami, e la sceltadell'ex Toronto , a conti fatti, e` stata la piu` facile,visto l'altissi-mo potenziale della squadra; probabilmente il 5 volte All Starha capito di poter essere il perfetto complemento a un'altrasuperstar, o addirittura ad altre due, dato che non ha mai dimo-strato di poter reggere il peso di un'intera franchigia sulle spal-le, nonostante nelle interviste precedenti alla sua scelta avesseaffermato di voler essere un leader e il terminale offensivonumero 1 in qualunque squadra per cui avrebbe firmato. Tral'altro il giocatore aveva anche cercato di confondere le acque,dichiarando al Miami Herald riguardo la possibilità di vederloin maglia Heat con il chosen one: “Non credo che possa succe-dere. Non so nemmeno se potrebbe funzionare. Posso sbagliar-mi ma la vedo difficile”. Ovviamente queste parole sono statofrutto di pretattica, per guardarsi in giro e vedere quale sarebbepotuta essere la soluzione piu` conveniente. I Raptors, a conclu-sione del sign & trade, ottengono due future scelte al primo girodel draft 2011 ma quel che e` conta di piu` e` che CB4 giochera`, a partire dal prossimo autunno, all'American Airlines Arena,nella casa di Wade e ora anche di LeBron James.

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La citta` di Miami ha assistito con trepidazione allo speciale di un'orasulla scelta di LeBron James, e quando il prescelto, al termine di unamaratona estenuante di almeno un paio d'anni in cui non si parlavad'altro se non dell'estate 2010 e della scelta del Re, ha reso nota la suadecisione di firmare per gliHeat, per le strade si sono scate-nati dei veri e propri caroselli,come se la squadra avesse vintoun titolo e anche alla presenta-zione dei due nuovi acquistioltre che del confermato Wade,una folla di oltre 10000 personesi e` riversata all'AmericanAirlines Arena e ha mostratotutta la sua trepidazione pervedere i tre in azione. Adessoresta da definire il roster com-pleto, dato che l'unico giocatorecerto di vestire la casacca rosso-nera l'anno prossimo, oltreovviamente ai tre All Star, e`Mario Chalmers, che si dovra`calare nella parte che fu diRajon Rondo nel 2008, quandoal suo secondo anno nella lega(Chalmers iniziera` il suo terzo)guido`da playmaker i big threeal titolo. L'ex Kansas ha dimo-strato di poter competereampiamente nella NBA, ma orae` chiamato al passo successivo,quello di farsi trovare semprepronto per dare il suo apporto ;nessuno si aspetta 10 o 15 tiri diChalmers nella squadra diWade, Bosh e James, quello checi potremmo aspettare, e cheservira` per arrivare fino infondo, sono 6-8 assist a partita,qualche tiro pesante nei finali digara, e soprattutto tanta difesa efosforo. Teoricamente ancheMicheal Beasley e` ancora sottocontratto con gli Heat, ma appa-re pressoche` certa la sua par-tenza, in quanto Riley lo scam-biera` con una squadra con spa-zio salariale in cambio di qual-che scelta al draft(ma non gioca-tori) in modo da trovare i soldida dare ai 3 pezzi da novanta.Proprio Riley, che con questiacquisti ha dimostrato di essereun grandissimo comunicatore,in grado di vendere sempre almeglio il prodotto che ha daoffrire, e` ora chiamato a com-pletare il roster.Paradossalmente pero` proprioora viene la parte difficile delsuo lavoro, in quanto dovra` fir-mare almeno 8 giocatori alminimo salariale per permetter-si le tre medaglie d'oro nel 2008. L'intuito dell'ex coach dei Lakersdovra` portare i pezzi giusti per completare il puzzle, ma va detto checon questo backcourt, che ha tra l'altro una media di appena 26 anni,non ha l'acqua alla gola nel dover vincere subito, anche se ovviamentetutti si aspettano Miami campione NBA gia` nel 2011. Altro capitolo

spinoso, che riguarda Riley piu` che da vicino, e` quello del coach, datoche in molti si aspettano che il 5 volte campione NBA torni a sedersi inpanchina. Per ora sembra che Erik Spoelstra, in ogni caso un buonallenatore, resti al suo posto, ma sembra piu` che probabile che alla

prima difficolta`o al primo mugu-gno di uno dei tre Riley tornera`in pista, magari gia` prima dell'AllStar Game. Anche perche` nonsarebbe credibile pensare cheJames e Bosh abbiano firmatosenza avere comunque ampiegaranzie da Riley circa il suoimpiego da coach qualora “Spo”dovesse fallire la piu` grandeoccasione della sua pur breve car-riera. In ogni caso sono i giocato-ri a vincere i titoli, e possiamotranquillamente affermare che gliHeat hanno preso due giocatoriformidabili, tra cui un 2 volteMvp, cosa non certo usuale ericorrente se pensiamo che l'ulti-mo Mvp a cambiare casacca fuMoses Malone nel 1982, passan-do dai Rockets ai Sixers. OraWade, James e Bosh dovrannodimostrare di potersi bene amal-gamare insieme; vero che i trehanno gia` vinto una medagliad'oro olimpica, ma conviverenella stessa squadra per un annointero e` sicuramente una cosadiversa.Con la loro scelta, James e Boshhanno intrapreso una scorciatoiaper arrivare al titolo, entrando afar parte di una superpotenza, mahanno rinunciato, in particolare ilprescelto, alla fama dell'immorta-lita`.Chiaro che un titolo vinto e`pur sempre un titolo vinto (tral'altro bisogna sempre attendere ilverdetto del campo), ma a 25-26anni si presuppone che un gioca-tore di questo livello lo provi avincere “da solo”. L'esempio piu`che calzante e` quello di KobeBryant, a cui e` stato dato real-mente credito solo dopo che havinto un titolo senza Shaquille O'Neal al suo fianco. Per Wade ildiscorso e` diverso, dato che luiun anello l'ha gia` portato a casada protagonista assoluto nel 2006e inoltre si trovera` a giocare perla sua squadra, da idolo dei tifosie probabilmente da giocatore piu`rappresentativo.Sicuramente Bosh e James tuttoquesto l'hanno messo in preventi-vo e sono pronti a rinunciare allagloria personale per vincere e nonvorremmo essere nei panni degli

altri allenatori NBA, quando nel quarto periodo dovranno decidere chiraddoppiare. Se tutti e tre riusciranno ad evitare gli infortuni e si cale-ranno al meglio in un ruolo comunque nuovo per loro, alloraall'American Airlines Arena ne vedranno delle belle, e a quel puntoavranno si` la licenza di fare i caroselli piu` rumorosi d'America.

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“I sogni son desideri…ma se credi intensamente un giornorealtà diverrà”. Una delle più famose frasi tratte da un’altrettan-te famose colonna sonora di una pellicola animata della WaltDisney. Segni, desideri e realtà. Questo il percorso che i Knickssi auguravano si verificasse per l’arrivo in blu arancio del ‘Re’Lebron James. Ed invece quando i sentori, le intuizioni hannoportato a capire che senza un primo tocco di classe lo stesso‘Re’ non si sarebbe scomodato a sedersi sul trono della ‘GrandeMela’, allora lo scenario è cambiato ed è stato fatto il primopasso. La prima pietra è stata posta. Dopo mesi ed anni didistruzione, di demolizione con tanto di bulldozer e scavatrici,per mettere al tappeto la costruzione malsana e pericolante intutti i lati dei suoi predecessori, il presidente Donnie Walshstringe la mano al primo vero passo verso il futuro (anche se ladecisione è arrivata qualche sera prima ad Hamptons alla finedi un parti a casa di James Dolan, proprietario dei Knicks, alquale Stoudemire era presente con il suo agente HappyWalters). Completo elegante, cappellino azzurro con logo rigo-rosamente arancione sulla parte anteriore, occhi vispi e conten-ti come chi era pronto a considerarsi come rinato o come unbambino a cui si è regalato un pacco di caramelle, anzi faccia-mo 100 milioni di caramelle. «The Knicks are backs». Questa la primissima dichiarazioneche lo stesso Amar’e Stoudemire ha avuto modo di dire agliorgani di stampa più affamati di successi dell’intero pianetaNba. Ed in parte come dargli torto. Lui rappresenta il nuovoche avanza, nonostante i 27 anni di età. Rappresenta la vogliadella società di dimostrare che una volta ripulita l’area è giuntoil momento di porre delle nuova fondamenta al fianco di quellegià presenti e lasciate intatte al loro posto nei lavori di ricostru-zione, come per esempio coach Mike D’Antoni e DaniloGallinari (tanto per citarne qualcuno). Come dargli torto se sipensa che in un sol colpo e 100 milioni di dollari in cinque anni- con l’ultimo in cui The Stats andrà a guadagnare oltre ventimilioni di dollari - New York si è portata a casa una delle ali

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forti più poderose della Lega. Un giocatore che nel-l’immeditato - senza che bisogna aspettare crescite osperanze sopravvalutate - è in grado di apportarealla causa un bottino di oltre venti punti conditi daquei otto, nove rimbalzi di media, quando gli vamale in serata e tenere botta in un settore dove forsenemmeno sapevano cosa era una vera ‘powerforward’ il popolo newyorkese. Ovviamente si staparlando del passato cestistico recente della cittàdella Grande Mela. Basta con i vari Zach Randolph(mandate indietro la mente a quando ‘The Big Z’ eraa New York e non a quello ammirato in questa sta-gione a Memphis che si è conquistato anche unposto nella sera delle ‘stelle’ a Dallas ndr), basta coni vari Eddy Curry, Al Harrington o chi più ne ha opiù ne metta. Ma molto probabilmente basta anchecon un tipo di giocatore che ha fatto il bene dellasquadra nei tempi bui, ma che non era certo ingrado di far fare il salto di qualità: David Lee.Insomma avere per anni una squadra fatta di soliesterni, fatta di giocatori ‘ibridi’ da adattare nei variruoli della front line, ha portato i Knicks a buttarsi acapofitto sui due nomi principalmente appetibili:Chrsi Bosh e appunto The Stats. Le lungaggine rela-tive alla decisione dell’ex Raptors, cosi come sisarebbe detto per un mancato ingaggio al di qualdell’oceano, poco sono piaciute alla dirigenza aran-cio blu che hanno preferito la voglia di accettare lasfida da parte dell’ex Phoenix. «La cosa che più ci ha colpito è stata la voglia diaccettare la sfida e di vestire questi colori. Mettetegliun ostacolo sulla sua strada e lui di sicuro trova ilmodo di superarlo» le dichiarazioni di un D’Antonipiù che soddisfatto. «Si era arrivati ad una situazione [quella della freeagency] in cui nessuno voleva fare la prima mossa.Di fronte all’offerta dei Knicks, mi sentivo fiduciosoed ho fatto la prima mossa. Sono eccitato all’idea diessere parte di una nuova era qui a New York e sin-ceramente mi sento una sorta di ‘pioniere’ in unacittà dove voglio mostrare tutta la mia leadership.

Ma soprattutto voglio ringraziare tutta l’organizza-zione dei Knicks che mi ha dato la possibilità disfruttare questa occasione e di venire in una cittàbellissima come New York».E non poteva iniziare nel modo migliore la suaavventura all’ombra della ‘signora’ più famosa almondo l’ex Suns. Già perché queste parole sonocome l’odore del sangue per uno squalo, come carnefresca per un leone: i giornalisti e la stampanewyorkese (tanto per farvi un’idea basta dareun’occhiata a quello che si è detto a NY dopo la deci-sione di Lebron di andare a Miami ndr). Certo nonadesso, certo non ora dove tutto è bello e tutto èancora rose e fiori, ma al primo cenno di difficoltàsicuramente la parola ‘pioniere’ e ‘leadership’ verran-no spedite a caratteri cubitali su giornali, siti web equant’altro. Ma questa è New York; questa è la stam-pa di New York, della quale si narra di essere statauna delle motivazioni della mancata scelta deiKnicks da parte di ‘The Chosen One’ per non averepoi questo fardello sempre sulle spalle, quello di nonsbagliare per poi essere criticato. Ma del rapportocon la stampa ci sarà tempo per parlarne. Almenoper adesso anche gli addetti ai lavori sono consape-voli che New York si ritrova tra le mani un giocatoreche sicuramente può essere dominante nelle prossi-me 4-5 stagioni, ma che per arrivare dove si vuolearrivare ha bisogno di avere al proprio fianco qual-che altro pianista pronto a dargli il cambio nellaparte di assolo, nei ‘concerti’ al Madison SquareGarden. Almeno per adesso sono consapevoli diessersi messo in casa un giocatore veloce comeKevin Garnett e forte come Rashard Lewis e supe-riore forse a qualsiasi altro giocatore di front linenella Eastern Conference. Una power forward capa-ce di attirare i raddoppi necessari per favorire lepraterie e gli spazi necessari a Danilo Gallinari percolpire dalla distanza o con il quale giocare il pickand roll con ottimi risultati, dal momento che lemani dell’ex Milano, in quanto ad assistenze, nonsono certo male. Di sicuro non sono quelle di Steve

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Felton c’è,Melo e CP3nel mirino

Ormai è inutile piangeresul latte versato. Ormai èinutile pensare a comesarebbe stato se Lebronavesse scelto di abbracciaNew York e non Miami edi spalleggiare Amar’e enon la coppia Wade-Bosh(«Mi meraviglia comeLebron non abbia accet-tato la sfida di divenire il‘Re’ del Madison» hadichiarato addiritturaWalter Frazier). E’ inutileguardarsi indietro. Unquadro nel quale va com-preso assolutamenteanche tutta la querellesulle dimissioni di Walshper il mancato arrivo diLebron. Il presidenteOperativo dei Knicks,però, non sembra essere astato a guardare nelle oree nei giorni successivi alladecisione di Lebron. Ilprimo ‘regalo’ fatto acoach mike D’Antoni èstato l ’arrivo del play-maker dopo la decisionedi Duhon di andare inFlorida (anche lui!) masponda Orlando. Saràdunque Raymond Feltona guidare le danze deiKnicks, mentre già tuttipensano a quando sipotrà costruire un futurobrillante anche senzaLebron ed allora eccospuntare Tony Parker eCarmelo Anthony.

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Nash; e qui si apre uno dei tastidolenti o se vogliamo una delleparti buie della sceltanewyorkese. A Phoenix i piùmaligni hanno messo sul piattodella bilancia proprio la consi-derazione che gran parte degli‘score’ personali a sera diStoudemire siano stati in granparte, se non in tutto, operadelle geniali assistenze delcanadese con la passione delcalcio. E che quindi di reperto-rio gli rimarrebbero le schiac-ciate, che ne fanno attualmente uno dei più poderosi e formida-bili ‘dunker’ della Lega, e canestri da rimbalzi. Dimostrare ilcontrario (anche se non ce ne sarebbe nemmeno bisogno dalmomento che nella stagione 2003-04 con Steph Marbury incabina di regia il conto personale di punti era di 20 abbondantiad allacciata di scarpa ndr), dunque, sarà la principale sfida diAmar’e che avrebbe potuto restare ai Suns se la dirigenzadell’Arizona non avrebbe posto il proprio veto negativo sullapossibilità di firmare al massimo salariale e per sei anni l’HighSchooler natio della Florida. Veto arrivato dopo un’attenta ana-lisi su uno dei dubbi che è stato piazzato sotto il naso anche diWalsh sin dall’annuncio: le condizioni fisiche di The Stats.Condizioni fisiche legate principalmente alle operazioni subitead ognuna delle due ginocchia e marginalmente anche ai pro-blemi agli occhi. Situazioni ritenute non preoccupanti dal frontoffice newyorkese, di grande rilevanza, tanto da puntare sull’e-stensione di Channing Frye e l’arrivo di Hakim Warrick, per ladirigenza dei Suns. Tutto questo potrebbe bastare per chiudereil capitolo dei ‘contro’ alla scelta del nuovo numero ‘1’ deiKnicks, ma ci sarebbe un ultimo paragrafo da affrontare: ladifesa. Una caratteristica che non è mai stata eccelsa durante lasua carriera, ma che nell’ultima stagione ha avuto un nettomiglioramento. Che in squadra non si sia messo il nuovoCharles Oakley o il Patrick Ewing dei bei tempi per quel che

riguarda la propria metà campo, Mike D’Antoni lo sa bene, cosicome sa bene che il 2005 con lui alla guida lo stesso Stoudemireha avuto la sua migliore stagione di sempre. La ‘run and jump’o se vogliamo la ‘seven second or less’ sono strategie e filosofieche ti portano a segnarne uno più degli altri e quindi un difettobypassabile, l’importante è avere All Star che sappia fare il suodovere in attacco e in questo l’ex Olimpia Milano può dormiresonni tranquilli.«La decisione finale – ha commentato Donnie Walsh - è arrivatadopo aver visto la sua voglia di essere parte di questa squadra equindi noi non abbiamo fatto altro che esaudire questa suarichiesta e prenderci un giocatore che fa al caso nostro». Ed allora ‘Welcome in New York e good luck Amar’e.

LA ‘SHOOTING SELECTION’ DI AMAR’E

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«Con ogni probabilità il migliore ‘finisher’ nel traffico della Nba». E’partita da questa frase la lunga chiacchierata su Tnt con Steve Kerr inoccasione del suo ritorno dal momento che prima di accettare il ruolodi Gm dei Suns lo stesso Kerr era stipendiato dalla tv a stelle e striscecome analista televisivo. Ed una delle principali emittenti via cavo enon d’America, non poteva scegliere un protagonista migliore peraffrontare uno dei primi ‘agreement’ della tanto attesa ‘free agency’ del2010 (tanto attesa che la Nba sul proprio sito ufficiale ha dedicatoun’intera sezione denominata ‘Decision’ in cui si parla solo ed esclusi-vamente di quelle che potevano essere le decisioni dei vari protagonistianche se come in una classica pubblicità occulta il tutto era stato crea-to per la decisione finale di Lebron ndr). «Ovviamente al suo fianco dovranno mettere altro talento ed altri gio-catori, ma di sicuro New York ha fatto un grosso passa in avanti assicu-randosi Am’are». Fin qui tutto normale e tutto liscio come in un nor-male discorso di commiato, ma da ex addetto ai lavori dei Suns e quin-di ex general manager di ‘The Stats’ non poteva certo esimersi dal

disquisire su quella che è stata la questioneposta alla base, in chiave polemica ovviamente,del quinquennale milionario intascato daStoudemire: gli infortuni.«Diciamo che le perplessità, anche se minori, ele rassicurazioni sulle sue condizioni fisichesono stati gli elementi determinati per arrivarealla decisione di non offrire il massimo aPhoenix in sei anni ad Amar’e. Diciamo che l’of-ferta si aggirava attorno ai quattro anni. Credoche questo sia l’unico rischio che New York si èassunto e che forse Phoenix non ha voluto assu-mersi, per il resto è uno dei migliori di questaLega». Rischio sul quale è intervenuto inmaniera molto laconica il capo delle operazioninewyorkesi, Donnie Walsh: «Non so se c’è davvero questo rischio, masiamo disposti ad affrontarlo».

L’analisi a TNT dell’ex Gm Steve Kerr

«« Mi sento un pioniere.Mi sento un pioniere.Voglio dimostrare Voglio dimostrare la mia leadership. la mia leadership. I Knicks sono tornatiI Knicks sono tornati»»

LE STATISTICHE DELLA STAGIONE IN ARIZONA

...QUESTI I NUMERI IN CARRIERA...

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I primi giorni di mercato sembravanoscorrere in maniera sinistramentetranquilla, con rinnovi su rinnovi,facendo temere tutti gli appassionatiche la tanto agognata estate 2010sarebbe trascorsa senza fuochi d’arti-ficio. Joe Johnson doveva essere il“premio di consolazione” per quellesquadre che non erano state in gradodi accaparrarsi i pezzi pregiatissimidel mercato. Per lui si parlava soprat-tutto di New York o Chicago. Più esat-tamente si supponeva che Johnsonavrebbe giocato nella franchigia, tra ledue, che non fosse stata in grado diingaggiare LeBron. Come un premiodi consolazione, appunto. Invece dopopochi giorni di mercato è arrivataforse la conferma meno attesa, quellache assicurava Johnson agli Hawksper altri 6 anni e per una cifra vicinaal massimo mai offerto ad un giocato-re: 119 milioni di dollari. Ovviamente agli occhi di tutti appareuna cifra spropositata per un giocato-re di ormai 29 anni, che dunque occu-perà 20 milioni del salary cap degliHawks anche a 34 o 35 anni, certa-mente nel periodo di fase calante del

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rendimento. La dirigenza ha senz’al-tro ritenuto Johnson in grado di inter-pretare il ruolo di uomo-franchigianel corso dei prossimi anni. La squa-dra già quest’anno ha dimostrato divalere le prime piazze ad est, dunquenon sono necessari stravolgimenti perpuntare a qualcosa in più. Si parla diun contratto offerto a ShaquilleO’Neal, uno che potrebbe fare la diffe-renza a livello di playoff, laddove gliHawks hanno mostrato le maggiorilacune. Ma perché Johnson, verso cui fiocca-vano offerte da squadre certamentepiù affascinanti e potenzialmente benpiù ambizione degli Hawks, ha accet-tato di rimanere in una squadra conpochissime chance di vincere qualco-sa a breve, spesso snobbata da stampae tifosi e con uno degli appeals piùbassi della lega? Per soldi, certamente.Atlanta è l’unica che avrebbe potutooffrirgli un contratto di 6 anni anzi-ché 5, e dunque si è garantito, comedetto, una ventina di milioni di stipen-dio anche nel suo 35esimo anno divita. Non poco. Poi senz’altro per il cambio dellagestione tecnica. Atlanta ha salutatocon sollievo coach Mike Woodson, ilcui servizio in Georgia era virtualmen-te finito ben prima dello scorso mag-gio, per sostituirlo con Larry Drew,uomo di fiducia della società e deigiocatori in quanto presente nellostaff della franchigia da ben 17 anni.Forse questa mossa è stata decisivaper convincere JJ a restare in Georgia.Johnson ha chiuso la sua stagione con21.3 punti a partita, 4 in più rispettoalla sua media in carriera. È nei playoff però che doveva darecontinuità di rendimento e dimostra-zione del suo reale valore. Nelle settegare di primo turno contro i Bucks hatoccato i 21 punti, seppur con troppialti e bassi. È contro i Magic, però,che le quotazioni dell’ex Sun sono pre-cipitate: 12.8 punti di media, maientrato in partita in nessuna dellequattro gare di semifinale. Da qualmomento in molti hanno ipotizzatoche non si avesse a che fare con ungiocatore vincente e di carattere, nonil leader di una squadra ambiziosa.Invece è arrivata l’inattesa riconfermain maglia Hawks. Starà a lui dimostrare di meritare taleingaggio faraonico, e starà a lui eleva-re il proprio livello di gioco con l’in-nalzarsi della posta in palio.

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Le Finali NBA ci hanno regalato, oltre a 7 partite intensissime, una serie di storieall’interno di esse che come al solito solo la Lega Americana ci può fornire. Sipotrebbe pescare a caso e si avrebbero i due disfunzionali per eccellenza comeArtest e Rasheed Wallace, giovani lunghi in rampa di lancio come Bynum e Perkinsfermati dagli infortuni, una Mamba alla ricerca del trionfo per entrare definitiva-mente nella storia dei Lakers, e da qui si potrebbe andare avanti per ore. Noi ci fer-meremo, invece, al duello sotto le plance, tra uno spagnolo da Barcellona, precisa-mente dal quartiere di Sant Boi de Llobregat, e un nord americano da Mauldin,Carolina del Sud. Pau uno, Kevin l’altro. Gasol per i Lakers, Garnett per i Celtics. E’stato il duello diretto che più ha fatto brillare gli occhi agli appassionati. Perche èstato un duello totale, sia in attacco che in difesa. Livelli che non hanno raggiuntoaltri match up. Per esempio, Kobe Bryant in attacco ha subito le cure di Ray Allen,ma in difesa si è andato a “riposare” su Rajon Rondo, mentre il veterano di millebattaglie, Derek Fisher, faceva assaggiare i suoi rudi metodi a “He Got Game”. PaulPierce ha dovuto assaggiare il trattamento Artest, che però in attacco, gara 7 aparte, non gli è mai stato neanche lontanamente vicino. Garnett e Gasol, invece, sisono fronteggiati costantemente (salvo variazioni sul tema a firma RasheedWallace). In attacco uno in difesa l’altro, per poi ricambiarsi il favore dall’altraparte del campo. Una sfida fra due personaggi lontani anni luce come cultura.Gasol spagnolo più losangeleno di quanto non ti aspetti. Cresciuto in una famiglia

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di buone tradizioni, ti può sorprendere con le sue conoscenzeculturali, parla un inglese perfetto e ha un fratello che prova aseguire le sue orme a Memphis. In campo è un trattato di pal-lacanestro applicata a un lungo. Tiro dalla media, gancio,semi gancio, passo e tiro. Tutto effettuato con un ambidestri-smo paurosamente naturale. Lotta da anni contro la fama diessere un giocatore un morbido nei momenti “calienti”.Garnett, dal canto suo, ha alle spalle una storia sentita giàaltre volte. Divorzio tra i genitori, nuovo matrimonio dellamadre e gioventù spesa sotto le cure di una figura maschilediversa da quella paterna. Salta dall’high school direttamenteai Pro. In campo lui pure è dotato di una classe sopraffina.Può colpirti dalla media, mettere palla a terra in maniera sor-prendente per un 2.11, segnare in fade away nei pressi delcanestro. Ed è uno dei duri più duri di tutta la Lega. Nota amargine, l’età comincia a farsi sentire e le ginocchia lo hannogià tradito nella post season 2009. La Finale 2010 non è statoil loro primo incontro su un parquet NBA. Le storie si eranogià fatte tese in passato. Sin dalle prima gare tra MinnesotaTimberwolves (prima squadra di Garnett) e Memphis Grizzlies(iniziale militanza di Gasol). Garnett stava raggiungendo l’api-ce del suo sviluppo individuale, mentre Gasol era appenaentrato nella Lega. Da buona tradizione “The Big Ticket” nonha mai risparmiato qualche colpo extra a nessuno, figurarsiallo spagnolo appena arrivato con il numero 3 assoluto al

draft. Andava dato il benvenuto al ragazzo bianco e fighetto.Che però, sotto l’aria apparentemente paciosa e inoffensiva, hamostrato da subito una notevole faccia tosta. Le risposte allemazzate di Garnett non sono mai mancate, e la giocata che hadefinitivamente battezzato lo spagnolo la potete trovare ovun-que in giro per la rete. Minuti finali di terzo quarto in una par-tita dove i T’Wolves banchettano alla Piramide di Memphis.Gasol riceve in post basso marcato da Garnett. Fronteggiacanestro, si impadronisce della linea di fondo e pianta unaschiacciata a due mani poderosa sulla testa di Garnett e dialtri compagni giunti in aiuto difensivo, con fallo a condimen-to. Dal -21 al -19, in quella circostanza, ma è quello che contadi meno. Gasol aveva dimostrato di poter stare al passo conuna delle prime tre ali grandi della Lega. Da quel momento èpassata parecchia acqua sotto i ponti. Compresa una FinaleNBA dove Garnett ha alzato il suo primo titolo NBA propriosotto il naso del numero 16, che l’anno dopo si è rifatto allespese degli Orlando Magic. La Finale di quest’anno è stataun’appendice perfetta alla storia di questi due giocatori, cheovviamente nelle sette partite giocate ha aggiunto un ultimo esuccosissimo capitolo. Gasol ha dominato le prime due gare,chiuse a 24 punti, 10 rimbalzi e 5 stoppate di media con il60% abbondante dal campo, mentre KG arrancava tremenda-mente. Nel mezzo la dichiarazione ormai celeberrima di Pau:“Garnett ha perso parte dell’esplosività che aveva due stagioni

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fa. Ora tira molto di più da fuori. In passato aveva un primopasso devastante e quando entrava in area era molto piùaggressivo. Il tempo passa per tutti, in un modo o in un altropaghiamo tutti il conto.” Che poi avrebbe anche aggiunto: “MaKG resta un grandissimo giocatore e sono certo che ci daràancora filo da torcere in questa serie”, neanche entrato nelleorecchie dei giornalisti presenti in sala stampa, già pronti acorrere da Garnett per riferire l’affronto verbale. Segue un “nocomment” del numero 5 dei Celtics e una solenne arrabbiaturadi Gasol con i media per aver manipolato a piacimento le sueparole (e non si vede come dargli torto). Ma vaglielo tu a spie-gare ai tifosi dei Celtics a quel punto. Che tra gara 3 e gara 5sul proprio campo vedono Gasol evaporare in maniera propor-zionale alla crescita di Garnett, che esalta il popolo biancoverde con una gara 5 da 18 punti, 10 rimbalzi, 5 palle recupe-rate e un dominio difensivo come ai tempi belli. Il Catalanoincassa sul campo le giocate di KG, e in panchina le frecciate,più simili e vere e proprie sciabolate, di Phil Jackson. Ma, acoronamento di una serie pazza e incomprensibile nel suosvolgimento anche per i più grandi esperti, si torna a LosAngeles e i destini si ribaltano. Boston nemmeno ci prova aportarsi a casa l’anello in gara 6 e Gasol sfrutta l’occasione perfarsi perdonare dal suo pubblico sfiorando la tripla doppia,mentre Garnett scrive a referto un triste -18 di plus/minus. Poila stupenda gara 7 cui tutti abbiamo testimoniato. Pensi chesia il terreno di Garnett, e per due quarti e mezzo sembra pro-prio così. Poi si alza dalla mediocrità giallo viola Ron Artest,portandosi in scia Pau Gasol, mentre la maglia rosa, KobeBryant, arranca sulle pendenze vertiginose di una partitasenza domani. Proprio una stoppata dello spagnolo su un’en-trata di Garnett, che con lo stesso movimento lo aveva brucia-to già due volte, cambia definitivamente l’inerzia della partita.Bryant fa giocare i compagni, guadagna qualche libero impor-tante e lascia tiri pesanti a Fisher e Artest. Ma nel finale le duegiocate che lanciano i festeggiamenti giallo viola sono delnumero 16. Prima un canestro in traffico con tre Celtics a cer-care di stopparlo, poi un rimbalzo offensivo sull’ennesimoerrore di Bryant a 27’’ dalla fine con Los Angeles a +3. La defi-nitiva conferma che il nomignolo “Gasoft” lo si può tranquilla-mente riporre in cantina. Andando a vedere le statistiche finalidella serie non si può negare come Gasol abbia fatto decisa-mente meglio del rivale (18.6 punti, 11.6 rimbalzi e 2.6 stoppa-te col 48% dal campo contro 15.3 punti e 5.6 rimbalzi di

Garnett), dato espresso in maniera profonda dal plus/minustotale dei due giocatori: nelle 7 gare di Finale Gasol ha totaliz-zato un +12, a fronte di uno sconcertante -30 di Garnett,pesantemente penalizzato, va detto, dal -16 e -18 di gara 1 egara 6. Subito tornano in mente le parole di Gasol dopo gara1, in cui si faceva riferimento alle condizioni fisiche del nume-ro 5 bianco verde, che alla fine hanno inciso inevitabilmente.Piaccia o no, Garnett sta accusando, come è normale per unessere umano, il peso dell’età, e l’infortunio occorsogli lo scor-so anno non ha certo aiutato. La mancanza di esplosività nelleprime due partite è stata lampante, specialmente in gara 2.L’aria di casa ha poi risvegliato il leone che se n’era stato dor-miente fino a quel momento e lo abbiamo visto giocare, a trat-ti, come il giocatore dominante che vinse l’MVP nel 2003,generando, come effetto non secondario, il tracollo di Gasol,oscurato dalla difesa dell’ex T’Wolves. Gara 6 però, non gioca-ta dai Celtics, è costata molto a Doc Rivers e compagnia. Con Boston così arrendevole, Gasol ha potuto amministrarsiin una partita tranquilla e rientrare mentalmente nella seriearrivando a gara 7 pronto fisicamente e psicologicamente abanchettare contro una frontline orfana di Kendrick Perkins.Dal canto suo Garnett ha risposto da campione quale è, gio-cando alla grande per 3 quarti. Ma nel momento della rimontaLosangelena non ha potuto nulla, vuoi per stanchezza, vuoiper alcuni limiti che anche a lui vengono imputati nei momen-ti caldi. In sostanza, se queste Finali dovevano darci unresponso sui due giocatori in questione, di sicuro l’ago dellabilancia pende a favore del lungo dei Lakers, che nell’arcodella serie è stato più costante nei momenti decisivi, e haavuto picchi di rendimento maggiori rispetto a un Garnettautore di grandi prestazioni in gara 3 e 5, ma assente ingiusti-ficato in almeno 3 partite. La carta di identità parla decisamente a favore dell’uomo dicoach Phil Jackson (30 anni contro i 34 di KG) e in una seriefinale dove si gioca ogni due o tre giorni, con alle spalle già uncentinaio di partite tra regular season e playoff è un dato dinon poco conto. E sarà un dato di cui anche la dirigenzaBostoniana dovrà tenere conto per il futuro della squadra chedeve far fronte a un nucleo (Pierce, Allen, Garnett, Wallace)parecchio in là con gli anni. La storia dei Big Three in quest’e-state potrebbe terminare, mentre a Sant Boi de Llobregat sipreparano a festeggiare qualche altro titolo nel giro di pocotempo.

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IL DOSSIER

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Da dove cominciamo? Iniziamo dalla fine. Rasheed AbdulWallace (Philadephia, 17 settembre 1974) dopo 15 stagionidi militanza nella Nba ha deciso di ritirarsi. Ecco la notizia,quella che un buon cronista deve sempre dare. Poi però c’è ilresto. Si può parlare di un giocatore che in carriera ha viag-giato a 14.6 punti e 6.7 rimbalzi, con un anello di campioneNba al dito, ma senza mai andare neanche lontanamentevicino a vincere il trofeo di Mvp, come di uno dei più granditalenti mai apparsi su un campo di pallacanestro?. Si può, ese avete delle obiezioni a riguardo non vi voglio neancheconoscere. Il confine tra genio e follia è piuttosto labile eSheed era capace di attraversarlo più volte nell’arco dellastessa partita. O lo si ama o lo si odia. Niente mezze misure.Talento, carisma, personalità, follia in dosi debordanti. Sesolo avesse avuto una testa più “stabile” allora non ce nesarebbe stato per nessuno, e oggi se qualcuno c’avessedomandato di Tim Duncan, avremmo risposto in massa,“Tim Duncan chi?”. La gara -7 di finale contro i Lakers èstata il suo canto del cigno. Dominante in post basso conmovimenti enciclopedici (superbo giro e tiro sul piedeperno) tali da irridere un letterato come Pau Gasol.Devastante in difesa, fondamentale nel quale elevava la suametà geniale e azzerava quella folle. E poi quella tripla dal-l’angolo sinistro con le mani quasi fuori dal campo. Labomba della speranza per i Celtics, la pennellata sul suoaffresco da tramandare ai posteri. Questo è Rasheed.L’uomo capace di portare una squadra al titolo ma anche ilgiocatore recordman per falli tecnici, specialità affinatanegli anni di Portland ed elevata a scienza esatta a Detroit.Un 2.11 per 104 kg che trasudava pallacanestro. Il prototipodel numero 4 moderno. Ma Sheed era anche di più. Potevafare tutto su un parquet grazie ad una tecnica individualemai vista in giocatore di quell’altezza. Classe purissima,quasi abbacinante, come quando decideva di andare spalle acanestro in attacco a dare lezioni, oppure quando iniziavaseriamente a difendere rendendo ogni tiro avversario un’av-ventura. Carattere problematico. Un giorno sua madre gli disse: “Attento Rasheed perché in molti non ti capiranno”. Maifrase fu più profetica. Cresciuto a Philadelphia, si svezzòcestisticamente alla Simon Gratz una fra le migliori scuolenon solo di Philadelphia, dove oltre al basket praticavaanche l’atletica leggera (400 metri). Il talento di Rasheed eragià bello limpido e Dean Smith a North Carolina non resi-stette al suo fascino. Due anni a Chapel Hill, una final fourNcaa nel 94-95, una stagione chiusa a 16.6 punti, (63% dal

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VVINCENZOINCENZO DIDI GGUIDAUIDA

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campo), 8.2 rimbalzi e con il record della Atlantic CoastConference (ancora imbattuto) di maggiori stoppate fattedurante una stagione con 93. Al draft è la quarta chiamataassoluta per gli allora Washington Bullets, subito dietro alcompagno di squadra Jerry Stackhouse che va aPhiladelphia. I Sixers non lo scelsero e Rasheed non lodimenticherà. E’ una chiamata strana quella dei Bullets chenel suo ruolo avevano già Chris Webber e Juwan Howard.L’anno dopo si passa a Portland dove stagione dopo stagionediventa una stella. L’apice con i Blazers arriva nel 2000quando la franchigia decide di dare l’assalto al titolo. In fina-

le di Conference Portland va sotto 3-1 con i Lakers, ma gra-zie all’esplosione di Rasheed pareggia il conto e si guadagnail diritto a disputare gara -7. Allo Staples Sheed domina pertre quarti mandando i Lakers a un passo dal baratro.Portland è avanti di 15, sembra fatta. Kobe Bryant non lapensa così. Neanche Shaq. Wallace non segnerà più nelquarto periodo e Portland sprofonderà sotto i colpi della“Shaw-Shaq Redemption”. Il resto è storia. Negli anni inOregon, Sheed apprende tantissimo in campo dai variScottie Pippen, Steve Smith e Arvidas Sabonis. Purtroppofuori frequenta tipetti come Isaiah Rider, Ruben Patterson,

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Bonzi Wells, Qyntel Woods. La sua personalità border lineesplode. I problemi fuori dal campo si acuirono e il rapportocon la città si deteriorò. I Trailbalzers vennero ribattezzatiJailBalzers (Jail significa galera in inglese). Wallace sisuperò quando nella stagione 2002/2003 a Portland c’è ancheil centro camerunese Ruben Bountje-Boumtje. Durante unallenamento, il pivot africano stava svolgendo una sedutaindividuale di fondamentali d’attacco con un assistente alle-natore dei Blazers. Dall’altra parte del campo ci sono Sheede Bonzi Wells, che così, per ingannare il tempo, decidono discommettere su chi sarebbe riuscito a centrare il poveroBountje-Boumtje con una pallonata in faccia da 28 metri. Ciriesce Rasheed (ovviamente) e Bountje-Boumtje se ne va inospedale con il naso fratturato. Inarrivabile. Arriva il 2004 e si passa a nuovo indirizzo. A febbraio vieneceduto ad Atlanta, che lo spedisce dopo una partita aiDetroit Pistons. A Motown c’è Larry Brown, ci sonoChauncey, Rip, Tayshaun e Ben. Il cerchio si chiude. Nellapiù classica riedizione del “ Davide batte Golia”, Rasheedcostruisce l’upset del millennio. Scacco matto ai Lakers inquattro mosse e poi via liscio verso cinque finali di conferen-ce consecutive. I Pistons arrivano a un passo dal diventareuna dinastia, senza mai riuscirci. Un titolo per Sheed e cin-que finali di conference perse. Ma si può diventare leggenda anche senza vincere cinque odieci titoli. Può diventare leggenda un Bad Boys che protestacon gli arbitri ad ogni fischio (ha aspettato gli arbitri fuoridallo spogliatoio alla fine di gara -7, per dirgli due paroli-ne..), che si becca un tecnico in un momento cruciale, salvoandare in attacco e piazzare la tripla della vittoria? Puòdiventare leggenda un giocatore che ricevuta palla in postbasso, con il suo pubblico che urla ,“Sheed, Sheed, Sheed”,infastidito la ridà fuori al playmaker, perché è lui, e solo lui

che decide quando tirare? Può diventare leggenda un gioca-tore che all’interno di una conferenza stampa (a Portland)risponde a dieci diverse domande dei giornalisti con la stes-sa identica frase, “Both teams played hard” (entrambe lesquadre hanno giocato duro), oppure (sempre ai Blazers)cimentandosi nella conduzione di un programma radiofoni-co di musica Rap, fomenta la faida tra Rap East Coast e RapWest Coast, perché da uomo di Philadelphia deve farsirispettare?. La risposta a tutte queste domande è sì, perchéRasheed rappresenta l’altra faccia della luna, la metà oscu-ra, quel misto di talento e follia che non può non affascina-re.Ball dont’lie (la palla non mente). Da leggenda Rasheed èdiventato mito per un episodio passato ormai alla storia.Siamo a Milwaukee ad inizio partita. Al nativo diPhiladelphia viene fischiato un fallo su Andre Bogut (pivotaustraliano dei Milwaukee Bucks). Sheed non condivide perusare un eufemismo. Bogut va in lunetta per due liberi, sba-glia il primo e Wallace urla: “Ball don’t lie”. L’australianotira il secondo ma sbaglia ancora e Rasheed ancora piùforte: “Ball don’t lie”. In questo c’è tutto Sheed, per singolagiocata, il giocatore più dominante della Nba. Al limitarne lagrandezza un carattere così controverso che forse neanche ilDr. Freud ne sarebbe venuto a capo. E’ stato il numero uno (con il secondo indietro anni luce) nelconcorso “avrebbe potuto essere ma non è stato”. Avrebbepotuto essere il più forte di tutti, ma è stato qualcosa didiverso. Forse qualcosa di meglio. Per questo lo ringrazia-mo. Ci mancherai Rasheed. Ball dont’lie. Dulcis in fundoRasheed ha confidato a coach Doc Rivers che gli piacerebbeallenare i ragazzi all’high school perché non vuole avere ache fare con i giocatori Nba. Rivers gli ha risposto: «Nonvuoi avere a che fare con te stesso Rasheed?».

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REPORTAGE

Iverson ‘come back’ part IIISette dicembre 2009. Questa l’ultima data. Questo il momento delsecondo ritorno in campo, il primo nella città che forse non l’hamai dimenticato dopo la decisione di andare via dai Sixers perapprodare ai Nuggets in cerca di gloria che alla fine non è maiarrivata. Sette dicembre e nemmeno a farlo apposta gli avversaridei Sixers erano proprio i Nuggets che intanto l’avevano sbolo-gnato ai Memphis Grizzlies via Detroit grazie al contratto in sca-denza. Allora fu grande attesa. Attesa per un giocatore accoltocome nella migliore rappresentazione del figliuol prodigo delle

parabole evangeliche. Un ritorno per il quale il ‘padre’- tuttaPhiladelphia ed i Sixers – avevano preparato nei minimi dettagliper non rendere lacrime e parole commoventi di qualche giornoprima in conferenza stampa un qualcosa di fine a se stesso. ‘TheLittle Man’, cosi come lo chiamava Larry Brown, aveva fattovenia di tutti i suoi errori compreso quello di aver lasciato forsel’unica città che aveva veramente amato lui e la sua famigliatanto da definirla l’unico posto in cui si è sentito veramente sestesso. Dall’altra parte cosa arrivò? La jersey numero 3, il suo vec-

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DIDI

DDOMENICOOMENICO PPEZZELLAEZZELLA

Iverson ‘come back’ part IIIchio posto negli spogliatoi e soprattutto una serata speciale tuttadedicata a lui con luci, ombre e occhi di bue pronti ad inquadrar-lo nel momento in cui lo speaker pronunciava le fatidiche parole:«…and finally number 3 from GeorgiaTown University, 6-3guard, Allleeeennnnnnnn Ivveerrrssonnnnn…». Dopo di che fututta una serie di normali conseguenze: pubblico in visibilio,entrata trionfale con tanto di bacio al logo a centro del campoper dare un senso pratico ed anche visivo a quello che lo stesso‘Ive’ aveva detto nella conferenza stampa di cui sopra. Undici i

punti di quella serata. Poche le fiammate di un giocatore in evi-dente difficoltà a tenere il passo di una volta, ma si trattava solodella prima, le cose potevano solo migliorare, ed invece. Ed inve-ce sono in un certo senso solo peggiorate. Il livello di ‘iversonite’da quel sette di dicembre non è certo salito come tutti si aspetta-vano un po’ per una condizione non eccelsa, un po’ per gli anniche inevitabilmente passano per tutti (figuriamoci per un gioca-tore che non ha fatto altro che prendere botte per una carrieraintera), un po’ per un sistema ed una squadra che faticava a staredietro ad un ego spropositato a cui però mani e gambe non dava-no gli stessi risultati o, dulcis in fundo, per contro un giocatoreche forse per troppa voglia di dimostrare di voler essere ‘uno qua-lunque’ ha un po’ strafatto ma nel senso contrario di quello chegeneralmente si può usare quando si parla di un giocatore Nba.Vuoi o non vuoi però quelle mani sono state fatte su misura perlo scopo principale di questo gioco. Vuoi o non vuoi sono stati15,5 punti a dicembre. Vuoi o non vuoi sono stati poco sotto agennaio (14,4) fino ad arrivare al momento dell’addio poco dopoil momento più esaltante della stagione a livello di spettacolo,ovvero il weekend delle stelle. Otto partite, quattro punti di mediae alla serie di motivazioni precedentemente indicate una forsemolto più grave: i problemi familiari. Certo gli acciacchi al gomi-to hanno avuto la loro parte, ma le condizioni di salute diMessiah, figlia di 5 anni, ed il rapporto con la moglie il cui divor-zio fu archiviato la stessa settimana dopo la sua dipartita dallacittà dell’amore fraterno, lo portarono al secondo addio nellastessa stagione. Questa volta in tanti avevano parlato di ritirodefinitivo. Di uscita di scena, senza rulli di tamburi od onori delcaso per uno dei più amati, per uno dei più straordinari talentiche il paese a stelle e strisce ha potuto offrire sui ventotto metridi campo, ma anche uno dei più controversi. Talmente contro-verso, che ormai dalla sua pagina Twitter – quella sulla quale amarzo rassicurò tutti i suoi fans relativamente al superamentodegli ostacoli familiari – tutto ci si sarebbe aspettato tranne cheun messaggio chiaro ed incontrovertibile come questo: «I want toreturn in Nba this season. And help any team that wants me…».Tradurlo sarebbe riduttivo per chi legge, ma la sostanza è unasola: Ci si avvia verso un ‘Come Back part III’. Un argomento chesocial network a parte (lo stesso utilizzato anche per promuovereil suo personale camp ed il documentario che lo riguarda perso-nalmente ed intitolato ‘Deconstructing Allen Iverson’), non è statoancora trattato dal diretto interessato con dichiarazioni ufficiali,ma a confermarne la veridicità e la voglia di ‘The Answer’ di tor-nare ad indossare canotta e pantaloncini, è stato lo stesso agente,Moore, che al riguardo ha rilasciato in giro per gli States testualiparole: «Allen sta lavorando duro ed intensamente per preparareil suo ritorno all’attività agonistica ed assolutamente proverà agiocare la prossima stagione. Per grazia di Dio la piccola Messiahsta molto meglio e quindi ora può concentrarsi di nuovo sulbasket. Lui vuole tornare ed aiutare qualsiasi squadra voglia avincere l’anello, ed è nelle condizioni di farlo». Parole pesanti,specialmente le ultime, da parte del manager di Iverson il cuifuturo però non è completamente chiaro. A Philadelphia dalladirigenza si parla di una scelta non ancora consapevole sul suofuturo. Dal Draft tra l’altro è arrivato anche il promettentissimoTurner. In lizza per un posto ci sono sempre Lou Williams e l’exUcla Jrue Holiday. Senza contare che in panchina ci sarà un alle-natore, Doug Collins, i cui rapporti con le stelle non sempre glisono rimasti tra le mani, anzi. Insomma il contorno da mettergliattorno è da valutare ancora nella sua pienezza, certo è che vistoil fascino che ha suscitato nel rivestire quella maglia e le dichia-razioni spese prima di scendere in campo per il ‘PhiladelphiaBis’, i Sixers dovrebbero o meglio dovranno essere l’ultima squa-dra a vederlo calcare un parquet. Ma a questo punto la domandaè: Phila sarà disposto ad accoglierlo ancora?

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Playmaker unico nel suo genere, capa-ce di competere con i gioctaori piùforti nel suo ruolo di tutto il mondo, èl'ago della bilancia di una squadraaltalenante come i Toronto Raptors.Josè Calderon, esploso a Fuenlabrda epoi all'ex Tau Ceramica, ha raggiuntouna maturità. una sicurezza tale che,se la sua carriera non fosse stata falci-diata da troppi, costanti infortuni, disicuro lo avrebbe già già visto in unafinale per l'anello. Di sicuro è staotouno dei primi spagnoli di livello a fareil grande salto dalla lega Acb alla Nba,fosre l'unico insieme a Gasol che halasciato davvero un'impronta. Ha lafortuna doi giocare in un squadramultietnica, dove la componente euro-pea la fa da padrone. Un ambiente incui le sue doti di abile game maker sisono combinate con un sistema di

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gioco aperto, con tiri costruiti e poco spazio per gli indivi-dualismi. I vari lunghi Bargnani, Nesterovic, Garbajosa, leguardie Parker (Maccabi), Belinelli, Turkoglu, sono soloalcuni delle colonne portanti di una squadra dal multifor-me aspetto, capace di grandi sconfitte e di grandi vittorie,di prestigio, specie tra le mura amiche. Parlando conGallinari, altermine della sfida contro i Knicks, l'exOlimpia sottolineava come il play spagnolo fosse stato dav-vero il fattore determinante del gioco dei rossi canadesi.Perchè tutti gli altri esterni possono essere marcati, antici-pati, portati all'errore, mentre per lo spagnolo ogni deci-sione risultava essere fallace e inutile, giacchè puniva unmetro di spazio anche da oltre l'arco, e sse spinto al pres-sing riusciava a inventare assist davvero notevoli per i suoi

compagni. E' stato il primo tra i non lunghi di marca spa-gnola a imporsi, dopo il fallimento di raul Lopez, e l'apri-pista per chi come Navarro, Rodriguez, Fernandez, ha cal-cato i parquet della lega americana con successo, anche seora tutti costoro si ritroveranno in campionato con lamaglia di Barca e Real sollo l'egida di Re Juan Carlos. Iraptors attualmente sono un cantiere aperto, la perdita diBosh potrebbe incidere notevolmente su chi dovesse arri-vare a rimpiazzarlo, ma se ci sarà una soluzione più disci-plinata da parte di Colangelo, senza una star pura, ma conun bel nucleo di giocatori talentuosi, di sicuro la classesopraffina di Josè riuyslterà la chiave e il collante di unasquadra che, destinata sempre al salto di categoria, tende amancare puntualmente l'ultimo passo.

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LE STATISTICHE DELLA STAGIONE IN CANADA

...QUESTI I NUMERI IN CARRIERA...

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Una cosa è certa: più in fondo di cosìnon potranno andare. Si parla ovvia-mente dei New Jersey Nets, squadrache ha chiuso il campionato col peg-gior record di sconfitte, e ha accarez-zato per lungo tempo l'idea di poterraggiungere il poco invidiato record di63 sconfitte in stagione. Partiti comepeggio non si poteva, i Nets hannogiocato per più di metà stagione giàcon la testa al draft, puntando allaprima scelta, ma anche qui, la lotteriaha preferito non premiare la franchi-gia del neo patron Mikahil Prokhrov,magnate russo dalle enormi disponibi-lità economiche, che si è trovata inmano la terza scelta. Reduci da unastagione imbarazzante e senza averpotuto prendere né Wall né Turner, iNets possono pensare solo al mercatodei free agents del 2010, puntando,come già detto, sui petroldollari diProkhrov, e sul secondo salary cap piùbasso della lega, trovandosi con unospazio salariale da 30.5 milioni di dol-lari. La loro posizione, da questopunto di vista sembra essere tra lemigliori, visto che possono contareanche su un gruppo giovane e di buonlivello, pronto a riscattarsi da un'an-nata in cui è girato tutto storto. Almomento, quindi, si riparte da DevinHarris e Brook Lopez, unici puntifermi di questa squadra, e le cessionidi Chris Douglas-Roberts a Milwaukeee di Yi Janlian a Washington nonfanno altro che confermare l'attualepolitica dei Nets, ovvero liberare spa-zio senza distruggere quel poco che èrimasto del nucleo iniziale. Ad oggi iNets presenterebbero un roster insuf-ficiente, con un quintetto formato daHarris, Lee, Williams, Favors e Lopez,e i soli Boone, Humphries e Ross in

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panchina, e dal mercato si cercherà indubbiamente dirinforzare il settore esterni. La prima scelta dei Nets saràovviamente LeBron James, sogno proibito di mezza NBA,ma per sbaragliare la concorrenza degli altri team allacorte del Prescelto potrebbero non bastare gli sforzi econo-mici di Prokhrov. L'ormai prossimo trasferimento aBrooklyn potrebbe essere una tentazione per James, cheoltre a voler competere per il titolo, gradirebbe giocare inuna grande piazza, ma a non convincere il due volte MVPsembra essere il roster. Come già detto, non è certo ungruppo malvagio, ma deve crescere e bisogna capire se ilflop della stagione passata è stato un caso isolato oppureno, insomma, non è un gruppo che da le migliori garanzieper una vittoria immediata. Sempre per quanto riguardagli esterni, la seconda scelta obbligata è Joe Johnson, vistoche Wade sembra essere conteso solo dai Bulls e dagliHeat, ma prima di puntare alla guardia degli Hawks, pro-babilmente la dirigenza dei Nets proverà a correggere iltiro per puntare su Bosh o Stoudemire, rinforzandosi sottole plance e per formare con Lopez una frontline di altolivello. Se dovesse arrivare un lungo, i Nets dovrebberosperare nell'esplosione definitiva di Terrence Williams eCourtney Lee, senza dimenticare la possibilità di metteresotto contratto un altro free agent di medio livello, lascian-

do però poco spazio a Derrick Favors, terza scelta nell'ulti-mo draft, che giocando da ala grande troverebbe postosolo in panchina. Con un eventuale arrivo di Johnson,invece, il settore esterni sarebbe al completo, con Harris,Johnson e Williams nel quintetto di partenza, rimpiazzabi-li da Lee e Ross, mentre sotto canestro verrebbe data aFavors la possibilità di mettere in mostra tutto il suo valo-re, nella speranza che posa formare con Lopez una combodi alto livello in proiezione futura. Inutile discutere suquanto possa cambiare la sorte dei Nets se dovesse arriva-re LeBron James, non tanto per le indubbie qualità del gio-catore, quanto per la reazione a catena che potrebbe pro-vocare questo trasferimento. Se James dovesse accettare larichiesta della franchigia di Prokhrov, difficilmente verràda solo, quindi i Nets potrebbero mettere sotto contrattoalmeno un altro big, e in questo caso i Nets potrebberoambire anche ad obiettivi ben più importanti della sempli-ce partecipazione ai playoff, ma per il momento questerestano solo delle ipotesi. Resta la certezza che la dirigen-za farà di tutto per rinforzare la squadra, per evitare chepossa ripetersi una stagione fallimentare come quella pas-sata, ma è ovvio che gli obiettivi possono variare a secondadei nuovi arrivi. Riusciranno i Nets a convincere James eritornare ai vecchi fasti di inizio millennio?

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AAll--JJeeffff,, aallllaa ccoorrtteeddeeii JJaazzzz

Sono passati ormai tre lunghi annidalla trade che portò Kevin Garnett aiBoston Celtics. In quell’estate del2007, la strada inversa fu percorsa daun allora giovane di belle speranzeproveniente dal Mississipi. Il suo nomeera Al Ricardo Jefferson, meglio cono-sciuto come “Big Al”. Big Al, come KG,era arrivato nel mondo NBA subitodopo il liceo, senza passare dal college,come solo i giocatori dal talento piùcristallino avevano fatto in passato.Appena venuto a conoscenza del tra-sferimento che lo coinvolgeva, Al scris-se qualche parola sul suo blog per rin-

IL PERSONAGGIO - 2 DIDI

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graziare i suoi tifosi passati e per caricare quelli futuri delMinnesota. Jefferson è sempre stato un ragazzo, prima cheun giocatore, riconoscente e leale verso staff e compagni equelle parole furono accolte con grande felicità dalla cittàdi Minneapolis, che aveva appena perso il pezzo più impor-tante della propria storia. «Nessuno potrà mai rimpiazzare Kevin Garnett. Lo so, enon posso promettere di essere come lui. Posso solo pro-mettere che mi impegnerò al massimo per essere il migliorgiocatore possibile e che farò di tutto per aiutare questasquadra a vincere».La prima stagione in maglia T’wolves fu molto positiva perJefferson. Grazie al suo talento offensivo, in particolare dalpost basso, Big Al collezionò 21 punti a partita, condendolicon ben 11 rimbalzi a sera. Numeri che però non servironoad evitare una pessima stagione per Minnesota, che chiusel’annata con un record di 22-60. Ma il giocatore Jeffersoncresceva a vista d’occhio. Il suo attacco diveniva man mano più efficace, il suo tirodai cinque metri era sempre più continuo e il suo ganciodestro stava diventando immarcabile. L’anno successivo imiglioramenti sembravano ancora più evidenti. Jeffersonscrisse per cinquanta partite ben 23 punti a partita, con isoliti 11 rimbalzi, tanto per gradire. Il suo gioco complessi-vo continuava a migliorare e anche in difesa, da sempre ilpunto debole dell’ex Boston, si iniziavano a vedere dei pro-gressi importanti. Ma la malasorte era in agguato. L’8 feb-braio, a New Orleans, i Timberwolves giocavano contro gliHornets una normalissima sfida di Regular Season. Partitaequilibrata fino alle battute finali, con NO vittoriosa per101-97. A trenta secondi dalla fine, però, Big Al si accasciòal suolo tenendosi stretto il ginocchio destro. Dopo gliaccertamenti post partita, si scoprì che Jefferson avevariportato la rottura di più legamenti e che sarebbe dovutoandare sotto i ferri. Stagione finita per il numero 25, e conla sua, quella della sua Minnesota che crollò completamen-te nella parte finale della season, chiudendo 24-58 l’anno,dopo aver mostrato sprazzi di bellissima pallacanestro.Dopo l’operazione, Jefferson superò una riabilitazionedurissima per poter essere in forma per la stagione appenatrascorsa. Effettivamente il ragazzo del Mississipi non saltònemmeno l’opener game di Minnesota, ma la sua mobilitàera evidentemente diversa. I suoi numeri e le sue prestazio-ni risentivano del lungo periodo di inattività e questo sirifletteva su una squadra già di per sé falcidiata da proble-mi tecnici ingenti. Nonostante ciò, Big Al ha chiuso la sta-gione 2009/2010 con 17.1 punti e 9.3 rimbalzi ad allacciatadi scarpe. Cifre di tutto rispetto, considerati i problemi fisi-ci avuti dal leader di Minnesota. La formazione di Minneapolis non ha vissuto, ancora unavolta, una stagione esaltante, chiudendo con un pessimo15-67. Per questo i T-Wolves hanno scelto di cambiarerotta, inserendo nel loro roster la talentuosa ala dei MiamiHeat Micheal Beasley e cedendo Jefferson agli Utah Jazz incambio di 2 future prime scelte e il centro greco KostasKoufos. Ora tocca a Big Al dimostrare tutta la sua classe ela sua voglia di competere dopo anni e anni di lotteria.Jerry Sloan l'ha voluto come sostituto di Carlos Boozer,partito con destinazione Bulls, e questo già dovrebbe esse-re una garanzia. Siamo già pronti a pregustarci i suoi Pick'n'Roll con ilmaestro Deron Williams, le sue mani vellutate e i suoipiedi da ballerino lo aiuteranno molto. Utah lotterà sicura-mente per andare ai Playoff e garantirsi una chance di lot-tare per il titolo. Per questo motivo è importante che AlJefferson torni ad essere se stesso, in forma al 100%. E,potete giurarci, ci proverà con il massimo sforzo. Sulleorme di KG, sperando di calcarne i passi, magari a ritmodi musica. Jazz ovviamente.

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La festa di LA per i LakersLos Angeles ha vinto ancora. Nel modo più bello e gratifi-cante: sconfiggendo i Boston Celtics. Ecco spiegata l’incre-dibile e indescrivibile festa gialloviola dal suono della sirenadi gara7, fino alla chiusura della parata celebrativa di pochigiorni or sono. Sconfiggendo i Celtics, i Lakers raggiungonoil loro sedicesimo trionfo nella storia della lega, uno inmeno rispetto agli acerrimi rivali del Massachussets: diven-ta interessante, a questo punto, capire fin dove possanoarrivare i gialloviola, forti di un roster con almeno altri 2-3anni di estrema competitività, salvo imprevisti. Riuscire a vincere l’ennesimo threepeat nella stagione 2011potrebbe voler dire un totale scompaginamento della geo-politica storica della NBA: agguantare gli eterni irragiungi-bili Celtics: per coach Zen l’eventuale dodicesimo titolo, e ilvanto di aver conquistato più di un terzo degli innumerevolititoli NBA effigiati ai piani alti dello Staples Center. PerKobe Bryant vorrebbe dire il sesto titolo, eguagliando quan-tomeno nell’argenteria l’alieno da North Carolina. Partendodai presupposti di gloria dei due uomini immagine di que-sto ciclo finora biennale di vittorie californiane, riusciamoad inquadrare per il giusto verso il delirio che per transizio-ne è stato trasmesso al resto della squadra e più in generaleal tifoso gialloviola medio. I Lakers, intesi come franchigia,e questi Lakers aspirano al primato assoluto nella storiadell’NBA, e se il traguardo è così vicino, ad un solo titolo didistanza,molto lo si deve al trionfo del 17 giugno scorso allafine di una serie massacrante per emozioni ed energie fisi-che spese. E’ accarezzando questi di gloria che si riesce acapire cosa voglia dire per un Laker festeggiare questo tito-lo contro i biancoverdi. Bellissimi esempi abbiamo potutoosservarli durante la sfarzosa parata celebrativa ( a spesedei Lakers quest’anno; il sacrificio economico sostenutodalla città lo scorso anno dopo la vittoria contro i Magic èstato a lungo ostracizzato, per via della crisi economica glo-bale):in occasione del consueto rendez vous, oramai d’ob-bligo in qualsiasi disciplina sportiva, di osannazione pub-blica per i vincitori.Il pullman dei Lakers in quel momento era il cuore sportivodella città: sul retro, adagiato accanto a Mitch Kupchak pergran parte della festa si ergeva l’onnipresente emblema del-lafranchigia losangelina, quel Magic Johnson che tanto hadato ai Lakers, in termini di vittorie e molto altro, e tantocontinua a dare con la sua stessa presenza carismatica,temuta e rispettata sinceramente nello spogliatoio giallovio-la. E il Mamba?..un Kobe Bryant molto rilassato, in conti-nua interazione con i tifosi e al tempo stesso impegnato conle 2 figlie, non ha mancato di sottolineare nell’intervista diturno, la bellezza, il peso specifico e la gioia incommensu-rabile per aver sconfitto una squadra tradizionalmenteimbattibile per i Lakers, come Boston. Poche parole, anchescontate e di facciata, ma sorrisi che spiegano molto diquanto le sue notti siano diventate tranquille e felici daqualche giorno a questa parte. Spettacolo hollywoodiano è

DIDI

GGUGLIELMOUGLIELMO BBIFULCOIFULCOTHE PARADE

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Another day in‘Paradise’stato regalato anche da un motivatissimo Sasha Vujacic,showman dell’ultima ora, protagonista di una stagioneinconsistente fino alla serie della finale di Conference con-tro Phoenix, fin quando, da lì in avanti, nel bene e nel male,il suo peso sulla squadra si è sentito, fino ai liberi della staf-fa in gara7 a coronare un ottimo sprint finale. Un Vujacic molto coinvolto dicevamo, protagonista di cantida stadio e da tifoso europeo di calcio medio, egocentrismoostentato oltre i giusti limiti, ma comunque una presenzacaratteriale forte nello spogliatoio apprezzata e riconosciutadallo stesso Kobe, non necessariamente per essere il part-ner della divina Maria Sharapova. Era anche la sua festa,giusto così.Menzione onorevole per True Warrior, alias Ron Artest, daQuennsbridge: cappello da camorrista/pappone con tanto disigaro celebratore al merito: di certo non siamo ai livelli del“ritratto di Red Auerbach”, ma l’immagine che Artest halasciato ai posteri riassume egregiamente il suo ruolo nellasceneggiatura di questi Lakers: un genio psicotico/touret-tiano settato su un corpo di oltre 2 metri di altezza per 120chili di muscoli, l’uomo della disgrazia e dello scempiosportivo in certe occasioni, della provvidenza in altre. Undr.Jekyll & Mr.Hyde in campo, un uomo di una generosità edi valori, seppur discutibili su certi aspetti, solidi e coerenti:il tutto condito da una teatralità e un istinto comico di realespessore. Artest a inizio stagione aveva rilasciato le seguentidichiarazioni: «I Lakers hanno vinto il titolo contro i Magic,ma ora ci sono io al posto di Ariza: nel caso in cui i Lakersnon vincano il titolo quest’anno, potrete tranquillamenteritenermi il colpevole dell’eventuale sconfitta». Così non è stato. Onore a Ron Ron. Giusto che sia statasoprattutto la sua festa. Ma non solo. Bei siparietti fornitianche dal “venerabile maestro” Derek Fisher, dal quasi co-MVP delle finals Pau Gasol e da un istrionico Lamar Odom.Una corazzata pluricampione può abbattersi prepotente-mente sulla lega nei prossimi anni; per ora siamo a 3 finalicon 2 titoli vinti in tre anni. Basi buone e prospettive futureottimistiche possono portare alla luce una nuova dinastia,come da tempo non se ne vedevano. Oramai è ufficiale: i Lakers hanno messo la freccia. I Celticssono avvisati.

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DIDI

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EEEE tttt vvvvooooiiii llll àààà ::::la classe del 2010

SPECIALE NBA DRAFT

La notte del draft Nba è magica perché è quella in cui si ini-zia a ‘sognare’ concretamente il futuro: tra le scelte sconta-te, quelle mirate, quelle a sorpresa fatte più in base al talen-to che alla funzionalità di un giocatore alla squadra che lodrafta, e tanti, tanti scontenti. Gli ‘undrafted’, alcuni previsti altri no; quelli che, una voltasmaltita la delusione, si rimetteranno in gioco tra SummerLeague ed Europa. E pur se per diverse franchigie il ‘Futuro’ con la F maiusco-la è iniziato solo il 1° luglio, data in cui LeBron e soci

(intenso come altri appetibilissimi free agent) sono diventa-ti padroni del proprio destino, il draft 2010, che, a parteWall e Turner, è forse senza stelle ma non certo sprovvistodi talento diffuso, ha stuzzicato parecchio interesse, ancheal secondo giro. Proviamo ad analizzarlo a tutto tondo, con una menzioneparticolare per gli stravaganti pantaloni a quadretti di WesJohnson e per il premio simpatia Al-Farouq Aminu, che tragli occhialoni con montatura nera e la voce nasale sembra-va il fratellone di Mars Blackmon.

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JJOOHHNN WWAALLLL ((WWAASSHHIINNGGTTOONN))..

First pick scontatissima, su cuiWashington getta le basi per ripartirel’ennesima volta. E’ la point-guard delfuturo, tra atletismo, velocità, talentopuro, istinto per il gioco ed un tiro dafuori da migliorare. Intanto, fra unacomparison con Rose ed una con Wade,il 20enne di Raleigh ha già in cassaforteun quinquennale con la Reebok da 25milioni di dollari. I capitolini hannoanche preso Kirk Hinrich e la scelta n° 17dai Bulls, intenzionati a liberare spaziosalariale nella corsa a James: il benservi-to ad Arenas è dietro l’angolo, basta solola giusta contropartita.

DDEERRRRIICCKK FFAAVVOORRSS ((NNEEWW JJEERRSSEEYY))

Emblema di come al draft si scelgaspesso il potenziale più che il rendi-mento certo. Perché Favors, entrato nel mondo col-legiale come uno che doveva spaccaretutto, nell’annata a Georgia Tech èandato a corrente abbastanza alterna-ta. Sia chiaro, schifo non ha fatto, male cifre sono normali e gli upside daportare a termine rimangono molti. E’ comunque il lungo ideale da affian-care a Brook Lopez per il migliorgioco fronte a canestro rispetto aCousins.

EEVVAANN TTUURRNNEERR ((PPHHIILLAADDEELLPPHHIIAA))..

Pochi dubbi anche qui: giocatore del-l’anno nell’ultima stagione collegiale aOhio State, versatilone con visione digioco e istinto per il canestro di altolivello. Buon rimbalzista, atleta dacampo aperto, la coppia con AndreIguodala, quella che dovrà riportarein alto i Sixers, è intrigante ma forseun po’ complessa da assemblare. Ilnuovo arrivato Doug Collins, però, hapreferito avere questa preoccupazionepiuttosto che sentirsi dire un domani“e pensare che alla 2 potevano sceglie-re Turner…”.

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WWEESSLLEEYY JJOOHHNNSSOONN ((MMIINNNNEESSOOTTAA))

Solo un anno fa, forse, difficilmentesarebbe stato scelto così in alto. Peròl’ultima stagione a Syracuse è statasolida che più solida non si può, tantoda ‘permettersi’ di presentarti sul palcoper stringere la mano a David Sterncon una mise ai limiti dell’imbarazzogenerale. I Twolves hanno preferitoandare sul sicuro colmando lo spot inala piccola piuttosto che rischiare suun lungo, specie avendo in casa la cop-pia Love-Jefferson.

EEKKPPEE UUDDOOHH ((GGOOLLDDEENN SSTTAATTEE))

Forse la prima vera sorpresa, la suaconsiderazione è cresciuta moltissimose si pensa che un mese fa era ai mar-gini della lotteria. Ma siccome GregMonroe nella Baia aveva fatto storcereil naso a più d’uno per la scarsa tenutadifensiva in un workout contro l’egizia-no Omar Samhan, i Warriors hannopigiato il bottone per Udoh, uno che disecondo nome fa Friday (sì, Venerdì).Esploso dopo il trasferimento daMichigan a Baylor, migliorando nonpoco il proprio gioco offensivo dal postbasso, sia fronte che spalle a canestro,resta comunque un’atleta di agonismo,forza ed energia con upside ridotti. Ladomanda poi è sempre la solita: quantospazio gli darà Don Nelson?

DDEEMMAARRCCUUSS CCOOUUSSIINNSS ((SSAACCRRAAMMEENNTTOO))

Bypassato da Minnesota con cui nonaveva sostenuto alcun workout, dopol’allenamento con i Kings invece Cousinsera diventato la scelta designata di Petriee soci. Nel suo unico anno a Kentuckyha stupito gli scettici per presenza ecostanza, lui che era ed è considerato unpo’ soft e tendente ad ingrassare. Passada Wall a Tyreke Evans in uno stranogiro di talenti Calipariani, può dareimmediato valore al reparto lunghi deicaliforniani.

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GGRREEGG MMOONNRROOEE ((DDEETTRROOIITT PPIISSTTOONNSS))..

Ala forte o centro poco importa, nelbasket moderno. Il clone di ChrisWebber, per movenze e visione di gioco,non ha i piedi per stare troppo sul peri-metro, ed il suo meglio lo dà spalle acanestro o in post medio, dove le qualitàdi passatore sono assolutamente divine.Movimenti spalle efficaci quanto belli, IQcestitico elevato, è sceso fino alla 7 per-ché considerato un po’ soft perchéGolden State ha bypassato dopo un pro-vino andato male. Dumars, che pare avesse promesso lapropria chiamata a Ed Davis, non ci hapensato due volte.

GGOORRDDOONN HHAAYYWWAARRDD ((UUTTAAHH JJAAZZZZ))..

La prima grande sorpresa. Accreditato alprimo giro ma non nella top ten,Hayward è sicuramente un giocatore ditalento, intelligente e perfetto per unsistema come quello di Jerry Sloan. Che,visto passare il treno Monroe (i Jazzerano dati sulle piste di un lungo,temendo di perdere Carlos Boozer), hapensato bene di coprire lo spot di 3 conun atleta intelligente, divenuto fenome-no di culto quest’anno trascinandoButler alla finalissima con Duke. Chissàse fosse entrato quel suo ultimo tiro dametà campo…

AALL--FFAARROOUUQQ AAMMIINNUU ((CCLLIIPPPPEERRSS))..

Combo-forward di quelle versatili, ingrado di giocare sia fronte che spalle acanestro e di farlo con una naturalezzadisarmante, unendo al tutto doti di rim-balzista sopra la media. Difficile riescaa convertirsi definitivamente in ala pic-cola, resta da vedere quanto riuscirà asprigionare il suo talento a metà tra idue ruoli: scelto dalla metà sbagliata diLos Angeles, esploderà o, come tantiClips, si perderà dopo qualche stagio-ne? Oggettivamente, su lui, Griffin,Kaman, il Barone e le altre scelte(Bledsoe e Warren) si potrebbe anchecostruire qualcosa di buono…

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PPAAUULL GGEEOORRGGEE ((IINNDDIIAANNAA PPAACCEERRSS))

Altra scelta abbastanza sorprendente,ma va considerato anche che Birdsognava Hayward ad occhi aperti finoa pochi minuti prima. Ala piccola distazza, con l’amico Danny Grangerformerà una coppia di esterni di gran-de impatto fisico, sempre che non sipestino presto i piedi. Atleta super chericorda un po’ il primo McGrady, ilsalto di qualità glielo hanno fatto fare iprovini individuali, dove ha impressio-nato per il suo tiro in costante cresci-ta.

XXAAVVIIEERR HHEENNRRYY ((MMEEMMPPHHIISS))

Tiratore terrificante e buonissimo atle-ta che dopo un ottimo inizio ha vistola sua unica annata di college basket-ball andare un po’ in calando. Devemigliorare soprattutto nel palleggio enella costruzione di un tiro in avvici-namento, ma ha tutto per fare bene. E,temendo di perdere Rudy Gay, aMemphis hanno preferito cautelarsi.

CCOOLLEE AALLDDRRIICCHH ((OOKKLLAAHHOOMMAA CCIITTYYTTHHUUNNDDEERRSS VVIIAA NNEEWW OORRLLEEAANNSSHHOORRNNEETTSS))..

Scelto dagli Hornets e ceduto a OKCinsieme a Morris Peterson per le scelte21 e 26. Potrebbe essere uno degli affaridell’anno, visto che, avendo già talento inRussell Westbrook e Kevin Durant, il gmSam Presti ha preferito andare a coprirelo spot di centro con un giocatore duro,sporco il giusto e abituato a vedere il pal-lone con il contagocce, tappando unafalla nel roster dei Thunder con un roleplayer potenzialmente di lusso.

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EEDD DDAAVVIISS ((TTOORROONNTTOO RRAAPPTTOORRSS))

Scelta a sorpresa: ala-centro moltoattiva nei pressi del canestro, buonrimbalzista e stoppatore, da affinarecome attaccante, ma con grossi puntidi domanda in quanto ad affidabilità econtinuità. Al netto del futuro ancorasconosciuto di Chris Bosh, pur se ilsuo meglio lo dà vicino a canestro nonsembra proprio complementarissimoad Andrea Bargnani.

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Con l’aggiunta di Corey Maggette eChris Douglas-Roberts negli esterni, iBucks hanno pensato bene di andarsia coprire sotto le plance inserendo l’exVirginia Commonwealth, centro dibuona presenza a rimbalzo e in difesama molto bravo a correre per ilcampo. Conditio sine qua non per gio-care ai ritmi dettati da BrandonJennings.

PPAATTRRIICCKK PPAATTTTEERRSSOONN ((HHOOUUSSTTOONN))

Terzo Wildcat in lotteria dopo Wall eCousins, reduce da tre annate solidis-sime per cifre e soprattutto impattosul gioco; quest’anno era un po’ il col-lante in mezzo ai talentuosi freshmandi Calipari. L’ex compagno di OJ Mayoal liceo può costruirsi, da ala grande,una solida carriera NBA, purchè nongli si chieda di fare il protagonista.

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FFIINNEE PPRRIIMMOO GGIIRROO.. Minnesota, alla sua seconda chiamata(16), ha scelto l’ala bianca Luke Babbitt per poi cederlo aiBlazers con Ryan Gomes ed arrivare a Martell Webster,mentre Chicago (17) ha ‘pickato’ l’unico europeo del primogiro, il francese Kevin Seraphin, cedendolo poi aWashington nell’affare Hinrich. Oklahoma City (18) hadraftato la scheggia Eric Bledsoe, quarta prima scelta daKentucky, girandolo ai Clippers; è il primo di una discretaserie di esterni puri, tra cui il volitivo difensore AveryBradley, finito a Boston (19), il bomber James Anderson,scelto a San Antonio (20) e il duttile Elliot Williams chegiocherà Portland (22). I Thunder girano invece agliHornets le due ali scelte alla 21 (Brackins) e alla 26(Pondexter); altri esterni scelti a questo punto del draftsono il solido Trevor Booker (alla 23, ceduto da Minnie aWashington), l’esplosivo tweener Damion Jones (24, cedutoda Atlanta a New Jersey), Dominique Jones (25, ceduto daMemphis a Dallas) e il posterizzatore di LeBron, JordanCrawford (27, ceduto da New Jersey ad Atlanta). Con la 29il discusso Orton (quinta prima scelta da Kentucky) saràback-up di Howard ai Magic, alla 30 Lazar Hayward siaccasa a Minnesota nello scambio con Booker. La perlamancata di fine primo giro è Greivis Vasquez, scelto alla 28da Memphis e inizialmente indiziato di passare a NewYork: oggettivamente, nessun sistema come quello diD’Antoni poteva essere migliore per esaltare la creativitàdel venezuelano da Maryland. Sarà invece back-up di MikeConley ai Grizzlies.

SSEECCOONNDDOO GGIIRROO.. New Jersey sceglie alla 31 Tibor Pleiss, i

cui diritti finiscono poi ai Thunder; il pivot tedesco dovreb-be comunque rinviare la sua attraversata oceanica perrestare nel Vecchio Continente. Interessanti le chiamatedei Miami Heat, che aggiungono peso e intimidazione inarea con Dexter Pittman (32) e Jarvis Varnado (41), scom-mettendo poi sul recupero di Da’Sean Butler, il superbo all-around di West Virginia infortunatosi al ginocchio a finestagione. Sacramento alla 33 sceglie l’intimidatore HassanWhiteside, le cui quotazioni sono andate in ribasso dopoche lo stesso giocatore si è paragonato ad HakeemOlajuwon…. Detroit alla 36 aggiunge l’atletismo di TerricoWhite, New York punta sul tiratore Andy Rautins (38) esulla versatile ala di Stanford Landry Fields (39), ignoran-do l’ex ‘Born Ready’ Lance Stephenson, nativo di Brooklyn,che da predestinato diventa quarantesima scelta diIndiana. I Lakers pescano l’atletico Devin Ebanks da West Virginiacon la 43 e Derrick Caracter alla 58: non due fenomeni, mapotenzialmente due buoni giocatori per il sistema losange-lino. Solo lunghi o quasi nelle ultime posizioni: Gani Lawala Phoenix (46), Tiny Gallon a Milwaukee (47), LataviousWilliams a Oklahoma City (48), l’inglese Ryan Richards,vicino alla Virtus Bologna nei mesi scorsi, a San Antonio(49), mentre Solomon Alabi scivola sorprendente alla 50(Dallas, poi ceduto a Toronto); Luke Harangody dagli Irishdi Notre Dame strappa una chiamata a Boston (52), l’atleti-ca ala di UConn Stanley Robinson, alla 59, finisce agliOrlando Magic. Alla 54 i Clips portano invece a casa laguardia Willie Warren, già compagno di Blake Griffin aOklahoma.

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II ‘‘TTRROOMMBBAATTII’’.. General manager europei pronti a fregarsile mani, anche se poi scommettere sui rookie è sempremolto raro ad altissimo livello e soprattutto nel massimocampionato italiano. Però la nidiata di ‘undrafted’ di que-st’anno è particolarmente interessante e, se qualcunomagari strapperà un contratto attraverso la vetrina dellaSummer League, diversi varcheranno l’oceano in cerca digloria. C’è Scottie Reynolds, campioncino da Villanovaignorato per carenza d’atletismo e probabilmente per ‘over-scouting’ dopo quattro anni sotto i riflettori: completo,regista e realizzatore, ha tutto per una carriera da stella daquesta parte dell’oceano. Occhio anche al play di KansasSherron Collins, uno con le stimmate del leader, al compu-terino di Gonzaga Matt Bouldin, all’ala forte da SeattleCharles Garcia, il primo underclassmen dichiaratosi perquesto draft ed alla fine rimasto senza cappellino.‘Trombato’ anche Sylven Landesberg, guardia ‘scappata’ daVirginia con la certezza di fare l’NBA ed ora pronto a sbar-

care sul palcoscenico europeo grazie anche al passaportoisraeliano in arrivo per le origini del padre. Così comepotrebbe fare uno dei due campioni in carica non scelti,Jon Scheyer, pronto per il Maccabi Tel Aviv; l’altro è il cen-tro Brian Zoubek. Snobbati anche Mikhail Torrance diAlabama, play puro con stazza (195 cm) di fronte al quale igm NBA sono scappati per un problema al cuore, il from-boliere Aubrey Coleman (25.6 a partita nell’ultimo anno aHouston University), il duttile Jerome Dyson di GTown, ilfolletto di California Jerome Randle, il solido MannyHarris di Michigan e il problematico Tyler Smith, già inEuropa con buone cifre nel finale di stagione (in Turchia,al Bornova); out anche Raymar Morgan di MSU e ElijahMillsap (fratello del Paul dei Jazz); tra i lunghi, a piedianche l’ex prodigio di high school Samardo Samuels e l’au-straliano A.J. Ogilvy, così come l’egiziano di Saint Mary’sOmar Samhan, l’ex UNC Deon Thompson, Wayne Chism diTennessee e il centrone di DePaul Marc Koshwal.

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Zydrunas Ilgauskas decide di lasciare Clevelanddopo 14 anni, per ritrovarsi con Lebron James inquel di Miami, alla ricerca del primo anello in car-riera. Ilgauskas, 35 anni, ha firmato un biennaleda 2.8 milioni complessivi, ma avrà garantito soloil primo anno (a 1.3 milioni). Il lituano era statocercato anche dai Nuggets e dagli Hawks.

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CChhaannddlleerr aa DDaallllaass ppeerr DDaammppiieerrI Dallas Mavericks acquistano dagli Charlotte Bobcats TysonChandler e Alex Ajinca spedendo a Charlotte Erik Dampier,Matt Carrol e Eduardo Najera. In un primo momentoDampier e il suo contratto non garantito da 13 milioni di dol-lari sembravano perfetti per arrivare a un Free-Agent di spic-co, come Lebron o Bosh. Ora Charlotte avrà la possibilità discaricare Dampier e il suo contrattone, eliminando 13 milionidal proprio cap. In più c'è da segnalare il ritorno in Carolinadel tiratore Matt Carroll che ha un salario di 11 milioni didollari per i prossimi 2 anni, in virtù del contratto firmatoproprio con i Bobcats qualche annetto fa e dell'acquisto di unenergy-guy come Najera, che è il tipo di giocatore che faimpazzire Larry Brown. Mentre per Dallas l'inserimento diChandler come dice il GM Donnie Nelson: "Porterà alla nostraFront-line Difesa, aggressività e intimidazione come non neabbiamo mai avute.". Più che altro oltre le dichiarazioni delGM dei Mavs, si fa largo una voce che vede il neo acquisto

dirottato a New Orleans insieme a Caron Butler, per arrivarea prendere CP3, Chris Paul. Illazioni o verità? Ormai in que-sta pazza estate 2010 possiamo aspettarci di tutto.

NBA NEWS

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44445555SSSSTTTTAAAARRRRSSSS ‘‘‘‘NNNN’’’’ SSSSTTTTRRRRIIIIPPPPEEEESSSS

AAll HHaarrrriinnggttoonn aaii DDeennvveerr NNuuggggeettssColpo a sorpresa dei Denver Nuggets,che si assicurano il free agent AlHarrington strappandolo in extremisai Dallas Mavericks. L'ex ala dei NewYork Knicks (17.7 puntin e 4.4 rim-balzi nel 2009/2010) ha firmato uncontratto di cinque anni da 34 milionidi dollari. Harrington porta in dote lacapacità di segnare molti punti inpochi minuti, inoltre, rappresentaun'aggiunta importantissima per iNuggets che nella prima parte di sta-gione dovranno fare a meno diMartin e Anderson per infortrunio.

SEZIONE A CURA DELLA REDAZIONE DISEZIONE A CURA DELLA REDAZIONE DI

TUTTOBASKETTUTTOBASKET..NETNET

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Una notizia clamorosa giunge dall'Arizona. Come riporta l'ArizonaRepublic, i Phoenix Suns sarebbero vicinissimi a Hedo Turkoglu. L'alaturca arriverebbe dai Raptors attraverso una trade con Leandro Barbosa eDwayne Jones. I Raptors a loro volta userebbero Jones imbastendo unoscambio con Charlotte (usando la trade exception derivante dal sign andtrade con il quale Chris Bosh è approdato a Miami) per arrivare a BorisDiaw. Phoenix inoltre è a un passo dal restricted free agent Josh Childress,che ha giocato nelle ultime due stagioni in Grecia con l'Olymopiacos.Atlanta, proprietario del cartellino del giocatore dopo aver rifirmato JoeJohnson (contratto di sei anni per 120 milioni di dollari) non può pareg-giare l'offerta dei Suns (quinquennale da 35 milioni di dollari). Phoenixcompleterebbe il sign and trade con gli Hawks cedendo una scelta alsecondo giro del draft 2012.

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FFiisshheerr rreesstteerràà aall ffiiaannccoo ddii KKoobbeeTanto rumore per nulla. Derek Fisher resta ai Los AngelesLakers. Dopo settimane vissute sul filo, il matrimonio coni Los Angeles Lakers prosegue, grazie alla mediazione del-l'amico Kobe Bryant e sopratutto alla grande umanità deldiretto interessato (che ha rinunciato a un contratto piùvantaggioso dal punto di vista economico offertogli daiMiami Heat). Fisher firmerà un triennale.«Ho deciso di continuare a giocare con Kobe» ha dettoFisher. «Anche se non è il contratto più ricco che mi èstato offerto, è quello sicuramente più valido. Sono sicuro che continuerò ad essere un leader dellasquadra sia dentro che fuori dal campo» ha aggiuntoFisher, che ha concluso così. "Kobe Bryant mi ha chiestodi rimanere dicendomi che avrebbe accettato qualsiasimia decisione. Abbiamo giocato insieme per 11 stagioni,siamo entrati nella NBA insieme da 'ragazzi' ed è sempre

stato un amico fedele. Insieme abbiamo vinto cinque tito-li».

NBA NEWS

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DDuuhhoonn ee QQ--RRiicchh aaii MMaaggiiccQuentin Richardson cambia indirizzo pur rimanendoin Florida. L'ala (8.9 punti di media e 4.9 rimbalzi nellapassata stagione con i Miami Heat) ha firmato un con-tratto pluriennale con gli Orlando Magic.L'acquisizione di Richardson fa presagire la partenzacerta di uno tra Matt Barnes e JJ Redick. Quest'ultimoha firmato giorni ba un offer sheet con i Chicago Bullse al momento i Magic non hanno ancora pareggiatol'offerta per trattenere il giocatore.Il playmaker Chris Duhon, free agent reduce da un'an-nata non entusiasmante a New York, ha raggiunto unaccordo con gli Orlando Magic, sulla base di 15 milioniper i prossimi 4 anni. Duhon, che in carriera ha indos-sato anche la canotta dei Chicago Bulls, diventa così ilsecondo playmaker dei Magic, oltre al titolare JameerNelson. Col suo arrivo Orlando rimpiazza JasonWilliams, che sembra destinato al ritiro dal basket pro-fessionistico.

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Basketball Coaches Clinic

Partendo dai principi base per svi-luppare una propria filosofia digioco, in attacco ed in difesa, EttoreMessina tratterà argomenti comel’attacco alla zona, la costruzione diun attacco alla uomo e il contropie-de primario e secondario. AlSardinia Basketball Coaches Clinic2010, in programma dal 16 al 18luglio al PalaRockfeller di Cagliari, ilcoach del Real Madrid svelerà alcunidettagli della sua efficacissima meto-dologia, quella che l’ha reso uno deicoach europei più importanti e vin-centi dell ’ultimo ventennio.Organizzato dal direttore di Gigantidel Basket, Giorgio Gandolfi, in col-laborazione con il ComitatoRegionale FIP Sardegna presiedutoda Bruno Perra e con il patrociniodella Federazione ItalianaPallacanestro, del ComitatoNazionale Allenatori della FIP e dellaScuola dello Sport Coni Sardegna,oltre al supporto della rivistaSuperbasket e dello sponsor Nike, ilSardinia Basketball Coaches Clinic2010 propone, oltre a quelle diMessina, si avvarrà anche delle lezio-ni tecniche di due personaggi benconosciuti e stimati per il lavoro chesvolgono oltreoceano. Rich Dalatri, assistente e playerdevelopment dei New Jersey Netsdella NBA, parlerà infatti di comeaumentare la forza senza ricorrerealla sala pesi, di esercizi per miglio-rare la reattività e la velocità, dellapreparazione fisica su un campo dabasket e del riscaldamento pre-alle-

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Basketball Coaches Clinic

namento. Kevin Sutton, coach della MontverdeAcademy High School e assistente della Nazionale UsaUnder 17, toccherà l’argomento a lui caro dei fonda-mentali spiegando come migliorare quelli degli esterni equelli per i giocatori in post basso, per poi chiudere coni particolari della costruzione della difesa a uomo. Un clinic che offrirà quindi un ampio ventaglio di argo-menti tecnico-tattici, potendo attingere alle conoscenzedi tre personaggi al top nel loro settore e miscelandodue diverse culture e metodologie di lavoro, quella euro-pea e quella statunitense.Due le importanti novità a livello pratico: il SardiniaBasketball Coaches Clinic 2010 assegnerà ai suoi fre-quentanti 4 crediti Pao che, per gli allenatori che avesse-ro già sanato il Pao 2009/2010, varranno per la stagione2010/2011. L’organizzazione ha poi reso note nei giorni scorsi leconvenzioni con gli alberghi del luogo per gli allenatoriche, frequentando il Sardinia Basketball Coaches Clinic2010, volessero soggiornare a Cagliari. Gli alberghi convenzionati con il Comitato RegionaleSardegna della Fip sono l’Hotel Califfo (www.hotelca-liffo.com, via Leonardo Da Vinci 118, 09045 QuartuS.Elena - Tel. 070 890131-2-3 – Fax 070 890134 –[email protected]), l’Hotel Setar (www.hotelsetar.it,via Lipari 1/3, 09045 Quartu Sant’Elena - Tel. 070892031 - Fax 070 890008 – [email protected]) e l’HotelCagliari Santa Maria (www.ideahotel.it, Circonv. NuovaPirri 626, 09134 Cagliari - Tel. 070 529060 – Fax 070502222 - [email protected]).La quota d’iscrizione è di 50 euro in pre-iscrizione e di65 euro se l’iscrizione verrà effettuata in loco. E’ possibi-le iscriversi contattando il numero di telefono 070-304464, via fax allo 070-304124 oppure tramite emailagli indirizzi [email protected] e

[email protected] Basketball Coaches Clinic 2010. Programma eorari.VVEENNEERRDDÌÌ 1166h. 16.00 Iscrizioni.h. 17.00-18.15 Rich Dalatri - Aumentare la forza senzausare la sala pesi.h. 18.30-19.45 Ettore Messina - Come sviluppare unapropria filosofia in attacco e in difesa.

SSAABBAATTOO 1177h. 9.00 Iscrizionih. 9.30-10.45 Kevin Sutton - Miglioramento dei fonda-mentali degli esterni.h. 10.45-12.00 Rich Dalatri - Esercizi per la velocità e lareattività.h. 12.00-12.15 Break.h. 12.15-13.30 Ettore Messina - Concetti di un attaccoalla zona.h. 16.00-17.15 Ettore Messina - Attacco alla uomo: comecostruirlo e come insegnarlo.h. 17.15-18.30 Kevin Sutton - Miglioramento dei fonda-mentali dei post.h. 18.30-18.45 Break.h. 18.45-20.00 Rich Dalatri - Preparazione fisica sulcampo da basket.

DDOOMMEENNIICCAA 1188h. 9.30-10.45 Rich Dalatri - Riscaldamento prima dell'al-lenamento.h. 10.45-12.00 Kevin Sutton - Costruzione della difesa auomo.h. 12.00-12.15 Breakh. 12.15-13.30 Ettore Messina - Contropiede primario esecondario.

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Dopo aver calcato i campi NFL per dodici anni, Kurt Warner haannunciato, nel gennaio scorso, di volersi ritirare dalle scene. La suastoria non può non cominciare dal negozio di alimentari nell' Iowaperché,dopo tutti questi anni, si stenta ancora a crederci. Nel 1994 fumesso sotto contratto dai Green Bay Packers, dove copriva il ruolodi quarto quarterback dietro il leggendario Ty Detmer, ma venneben presto tagliato e così fu costretto a tornare nella sua città natale,Cedar Falls, dove l'unica cosa che avrebbe potuto lanciare erano glisnack che vendeva. Mai nessuno si sarebbe aspettato che di lì a cin-que anni Kurt, dopo l'esperienza nel football a otto dell'ArenaLeague e una stagione in Europa nelle fila degli AmsterdamAdmirals, avesso potuto giocare una delle migliori stagioni di sem-pre; oltre 4.000 yds lanciate, 41 TD che hanno i St. Louis Rams allaconquista del Super Bowl, nel quale fu eletto MVP oltre a vincere ilpremio come MVP della stagione. La stessa cosa accadde due annipiù tardi, nel 2001, quando venne ancora eletto MVP della lega, allaconclusione di una stagione dove lanciò oltre 5.000 yds, portando il"Greatest Show on Turf", come venivano soprannominati i Rams, alloro secondo Super Bowl in tre anni, uscendo però sconfitti 17-20cpntro Patriots. Nello sport, si sa, le favole durano poco. Gli atletispuntano dal nulla, riescono a sorprendere per una stagione o dueper poi tornare nell'oscurità da dove erano venuti. Così, dopo solotre anni il suo secondo premio MVP, Warner tornò ad essere un gio-catore scarso. Era naturale, un commesso di un alimentari non pote-va essere un Brett Favre. Le due stagioni successive furono caratte-rizzate da atroci intercetti, continui fumbles e contornate da infortu-ni che accompagnarono Kurt ai 33 anni quando venne scaricato daiRams per poi firmare per i New York Giants solo per essere rimpiaz-zato dal rookie Eli Manning durante la stagione. Molti spiegarono ilsuo successo durante la permanenza a St. Louis con la presenza digrandi ricevitori e con il grande gioco offensivo attuato da DickVermeil prima e Mike Martz poi, gli head coach dei due Super Bowl,che perfino io e te avremmo potuto mettere a segno quegli stessinumeri. Dopo l'esperienza newyorkese si trasferì in Arizona nel 2005ma le cose non cambiarono di molto in quanto anche qua vennesostituito da un altro rookie, Matt Leinart. A quel punto molti atleti che si fossero trovati in quella stessa situa-zione avrebbero deciso di farla finita, appendendo gli scarpini alchiodo. Ma Kurt non aveva ancora finito, c'era ancora da giocare ilsecondo atto della sua carriera.m Leinart non era ancora pronto acaricarsi sul groppone la squadra e, nel 2007, Kurt Warner prese ilsuo posto da titolare e registrò le sue migliori statistiche dal 2001. Unanno dopo condusse i Cardinals non solo ai play off dopo nove annidi assenza, ma anche a giocarsi il Super Bowl contro gli Steelersuscendo però sconfitto.In questa stagione, l'ultima partita di Warner non è stata un succes-so, ma la penulitma, vinta contro i Packers 51-45, ha consacrato lasua entrata di diritto nella Hall of Fame. In quella partita Warner, a38 anni, ha completato 29 passaggi su 33, per 379 yds, finendo lagara con più passaggi da touchdown (5) che intercetti (4). Warnernon è stato mai il giocatore da far lasciare la bocca aperta o da farcicadere la birra dalle mani. A differenza di Favre non è mai stato unmaestro dell'improvvisazione capace di farti tenere gli occhi incollatisu di esso in ogni azione; non ha mai avuto il carisma di Tom Bradyo la presenza di Peyton Manning. Kurt Warner era un chirurgo, cheapriva le difese con una precisione quasi perfetta. Di cos'altro c'èbisogno in un quarterback? Fuori dal campo, in pochi erano miglio-ri. E' devoto ai suoi sette figli e possiamo essere certi che non siandrà mai ad impelagare in situazioni "Tiger Woods style". Warnerha deciso di lasciare nel momento giusto, sebbene ha fatto intendereche sulla decisione di ritirarsi hanno influito molto gli infortuni, pen-sando alla salute a lungo termine. Kurt è stato vittima di cinquecommozioni cerebrali durante la sua carriera; in dicembre è statocostretto a tenersi fuori dal campo perché si sentiva la testa “anneb-biata” da un colpo ricevuto in precedenza. Gli infortuni al cervellostanno ricevendo particolari attenzioni in questo periodo, e Warnerrappresenta un importante esempio per i milioni di ragazzi che pra-ticano questo sport. Non c'è da meravigliarsi. Da quei giorni in cuilanciava gli snack nell'alimentari di Cedar Falls, Kurt è diventatofonte d'ispirazione.

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