il castello di aci

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Il Castello di Aci Il Castello di Aci

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Page 1: Il Castello Di Aci

Il Castello di AciIl Castello di Aci

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La Storia Durante il periodo della colonizzazione

greca prima, e della dominazione romana poi, sicuramente la rocca sulla quale si erge il castello normanno fu frequentata per la sua posizione strategica, che permetteva il controllo del mare e del passaggio delle navi dirette verso lo stretto di Messina.Sebbene non si siano conservati resti di strutture di tale periodo, a causa probabilmente della distruzione delle fortezze costiere operata dagli Arabi, gli scrittori antichi ci hanno lasciato il ricordo di famose battaglie navali combattute in queste acque.Anche i rinvenimenti archeologici, soprattutto quelli sottomarini, esposti nelle vetrine del Museo Civico, attestano l'antica frequentazione di questi luoghi.

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Tra il 1071 e il 1081, nell'ambito della conquista dell'isola da parte dei normanni Roberto il Guiscardo e Ruggero d'Altavilla, si deve porre la costruzione del castello di cui ancora oggi si possono visitare le strutture superstiti. Il castello fu in seguito concesso ai vescovi di Catania che proprio qui, nel 1126, ricevettero le sacre reliquie di Sant'Agata, riportate in patria dalla città di Costantinopoli. Sono ancora visibili, all'interno di un ambiente che probabilmente era una piccola cappella, i resti di un affresco che ricorda appunto la consegna delle sacre reliquie della Santa al vescovo Maurizio.

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Nel 1169 una disastrosa eruzione investì il paese di Aci; la colata colmò il braccio di mare antistante la rupe, rendendo inutile il ponte levatoio che serviva a congiungere il castello al paese.Il possesso del castello rimase ai vescovi dì Catania fino al 1239. Quando però il vescovo Gualtiero di Palearia fu rimosso dal suo incarico da Federico II di Svevia, il castello entrò a far parte del Demanio Regio. Poco più tardi, durante il breve periodo angioino (che si concluse con la rivolta dei Vespri Siciliani del 1282), il castello tornò nuovamente in possesso dei vescovi di Catania.

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Dalla fine del XIII secolo fino all'età dei Viceré, il castello fu testimone della lunga lotta che contrappose gli Aragonesi agli Angioini. Federico III d'Aragona, re dì Sicilia, tolse il fondo di Aci ed il relativo castello ai vescovi di Catania e lo concesse all'ammiraglio Ruggero di Lauria come premio per le sue imprese militari.Quando però quest'ultimo passò dalla parte degli angioini, il re fece espugnare il castello (1297).

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Nel 1320, su concessione ancora di Federico III, il possedimento di Aci andò a Blasco d'Alagona ed in seguito al figlio Artale. Nel 1354, durante un assalto del maresciallo Acciaioli, il castello fu espugnato. Artale in breve tempo organizzò una flotta, usci dal porto di Catania e vinse gli angioini in una dura battaglia navale condotta nel tratto di mare tra Ognina ed il castello. In seguito a questa battaglia, passata alla storia come "lo scacco di Ognina", il castello fu liberato.Nel 1396 il castello, allora in possesso di Artale II d'Alagona, fu espugnato da Martino il Giovane (nipote di Pietro IV, re d'Aragona), il quale era sbarcato in Sicilia dopo aver contratto matrimonio nel 1391 con la regina Maria. Alla morte di re Martino, Bianca, nominata vicaria di Sicilia da Martino II, lasciò il castello a Ferdinando il Giusto di Castiglia, nuovo re di Sicilia (1412).

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Nel 1416 il primo viceré di Sicilia, Giovanni di Castiglia, ordinò alcune opere di ristrutturazione del castello, per le quali stanziò la cifra di 20 onze d'oro, dal 1421 il castello rimase nelle mani dei Viceré.Durante il XVI secolo il castello passò nelle mani di diversi privati, finché fu adibito a sede di una guarnigione che aveva il compito di segnalare i pericoli provenienti dal mare alle popolazioni interne ed alle altre fortificazioni vicine, poste lungo la costa. Allo stesso tempo il castello assolveva la funzione di prigione: si hanno testimonianze delle precarie condizioni in cui versavano i detenuti, che spesso venivano lasciati morire d'inedia nelle segrete.

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Una tappa fondamentale nella storia di Aci e del suo castello é l'anno 1528, quando l'imperatore Carlo V la rese libera da ogni vassallaggio erigendola a Comune, dietro il pagamento di ben 72.000 fiorini. Nel 1571, inoltre, si diede incarico a don Vincenzo Gravina di definire lo stemma della città, rimasto così fino ad oggi; lo stendardo veniva custodito all'interno del castello e portato fuori per la festa patronale.

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Nel seicento il castello conobbe un rinnovato splendore, dovuto anche alla radicale opera di ristrutturazione voluta nel 1634 dal re Filippo III, che per l'occasione fece apporre una lapide marmorea all'ingresso.Esso venne anche dotato di artiglieria, della quale é probabile testimonianza il cannone murato sulla terrazza superiore. Il disastroso terremoto che sconvolse la Sicilia orientale nel 1693 recò al castello ingenti danni, che furono tuttavia riparati negli anni successivi dai discendenti del Massa

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Nel XIX secolo il castello entrò a far parte del Demanio Comunale, ma nel 1818 un terremoto provocò nuovamente danni così gravi che esso non poté più essere utilizzato come prigione. Carenti le notizie storiche sulla seconda metà dell'ottocento; il castello tuttavia ispirò in questo periodo a Giovanni Verga la novella "Le stoffe del Castello di Trezza" che, tra amori, tradimenti e fantasmi, narra le affascinanti vicende di don Garzia e di donna Violante.

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Agli inizi del XX secolo il castello di Acicastello divenne deposito di masserizie; durante la seconda guerra mondiale una grotta della rupe venne usata come rifugio antiaereo.Negli anni 1967-69 la Soprintendenza ai Monumenti della Sicilia Orientale restaurò il castello; si trattò tuttavia di un restauro poco filologico, del quale rimane in ricordo una lapide all'ingresso.

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Dal 1985, anno di inaugurazione del piccolo museo posto all'interno del castello, grazie alla promozione di diverse iniziative culturali (mostre, convegni, visite guidate, concerti, studio del materiale paleontologico ed archeologico), esso sta via via assumendo sempre più la fisionomia ed il ruolo che più si addicono ad un monumento storico ed architettonico di tale importanza: non una muta testimonianza storica, ma il centro propulsore di un vivo e continuo dialogare tra i contemporanei ed il passato

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Descrizione unità topografica e architettonica

Il castello sorge su uno sperone di roccia lavica, inaccessibile per tre lati. L'accesso alla fortezza è possibile da ovest, attraverso un ponte in muratura, che adesso sostituisce l'antico ponte levatoio in legno. La complessa struttura si articola presso la sommità dello sperone di roccia lavica: subito si distinguono il dongione (la grande torre) a pianta quadrangolare, attorno al quale si sviluppa il resto del complesso fortificato. La scala conduce in un primo ambiente, un tempo probabilmente coperto a volta, come è possibile notare dagli innesti degli archi che dovevano sostenere la copertura. Sulla sinistra, è possibile osservare alcuni piccoli locali coperti, attualmente adibiti a sale espositive per un piccolo museo. Vi è inoltre un cortile adibito a piccolo orto botanico, dal quale è possibile accedere ad una piccola cappella, denominata "bizantina" per la presenza di miseri resti di un affresco presumibilmente normanno dai tratti bizantineggianti.

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La cappella a pianta rettangolare è coperta da una volta, sostenuta da quattro archi ad ogiva. Un tempo non precisato essa doveva essere per buona parte affrescata con una tinta ocra di sottofondo nella quale si stagliavano figure di santi nimbati, simili alle due immagini, che si possono intravedere nei poverissimi resti, ormai mangiati dal tempo e dall'incuria dell'uomo. Al piano superiore della fortezza si accede attraverso una stretta scala che ha il suo principio presso l'ambiente con presunta copertura a volta. Salendo dalle scale si notano i resti possibili di una prima torre, ovvero di un ambiente dalla probabile pianta quadrangolare e dalle funzioni imprecisate. Subito dopo fa la sua comparsa la grande mole del mastio: il torrione ancora troneggia sulle rimanenti parti della fortezza, sebbene sia per buona parte crollato e conservi solamente una parte delle merlature. L'interno è coperto da una volta, sostenuta da archi ad ogiva.

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La leggenda di Aci e Galatea Aci figlio di Fauno e di una ninfa del Simeto, si innamorò perdutamente della

ninfa Galatea. Galatea poverina, era una ninfa disperata perché amata anche dal Ciclope Polifemo, il quale per amore smise di gettare enormi sassi alle navi che transitavano lungo la sua costa. Un giorno, il Ciclope, preso dalla frenesia di

vedere la sua amata Galatea, si mise a cercarla per tutto il bosco che conosceva molto bene. Grande fu la sua ira nel vedere da lontano Galatea nelle braccia di Aci.

Galatea impaurita si tuffò sott'acqua, nel mare lì vicino, Aci si diede alla fuga ma il Ciclope non esitò a colpirlo con

degli enormi massi che lo ferirono a morte. Gli dei impietositi dalle grida e dal lamento di Galatea, trasformarono il sangue che usciva dalle vene di Aci agonizzante, in acqua che successivamente si trasformò in fiume.

Page 16: Il Castello Di Aci

Realizzato da:

• Ferrara Saverio

• Grioli Charlie

• Pappalardo Massimiliano

• Siracusano Marco