come si costruisce un racconto

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Come si costruisce un racconto www.storiacontinua.com Come si costruisce un racconto La scrittura creativa secondo Storiacontinua.com © Storia Continua Creative Commons - Attribuzione non commerciale – Condividi allo stesso modo – Italia License

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Tecniche e pratiche per scrivere davvero la storia che hai in mente. Sei interessato a migliorare la qualità dei tuo testi? http://www.storiacontinua.com/info/

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Come si costruisce un racconto

La scrittura creativa

secondo

Storiacontinua.com

© Storia Continua

Creative Commons - Attribuzione non commerciale – Condividi allo stessomodo – Italia License

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Perché si scrive?

Per molti scrivere è un gesto istintivo, una sorta di impulso. Chi non ha mai

scritto un diario personale durante la propria giovinezza, o magari delle lettere

d'amore, delle poesie? I cosiddetti nativi digitali, forse, imparano prima a

scrivere su blog di quanto apprendano le regole della grammatica.

Per questi, la scrittura è un flusso che nasce dal bisogno di comunicare, di

esprimere se stessi, a volte per comprendersi più a fondo, altre per ritagliarsi i

propri 15 minuti di gloria. Ma raccontarsi, sviscerare i propri sentimenti, non

significa dedicarsi alla scrittura intesa come arte del narrare. Raccontare una

storia significa essere capaci di catturare l'interesse dei lettori, provocando in

loro un senso di immedesimazione. Di solito ciò avviene per una vicenda che il

lettore può davvero aver vissuto sulla propria pelle e quindi lo rende curioso di

sapere se il personaggio descritto si comporterà come lui ha già fatto, oppure,

farà scelte diametralmente diverse, il che scatena un altro tipo di curiosità,

quello di conoscere quante cose potrebbero ancora accadergli, quante vite

sono per lui ancora possibili.

“Gli uomini hanno bisogno di storie. Non soltanto per trasmettere sapere. Ogni

storia è la custodia della speranza che questa vita non sia l'unica, che se uno

volesse potrebbe avere un'esistenza differente”.

Alessandro Baricco.

È questo che un lettore si aspetta voltando la prima pagina di un libro per cui

ha creduto valesse la pena di spendere del denaro: si aspetta di immergersi in

delle storie, che siano verosimili o fantastiche, che lo facciano riflette o

sognare, ridere o piangere, che siano a volte anche in grado di dare senso e

ordine a ciò che davvero accade nella realtà, già, perché certe volte,

incredibilmente, leggendo un libro, magari acquistato soltanto per un desiderio

di evasione, impariamo invece a dare voce a quelle emozioni che non sempre

sappiamo spiegarci.

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Toccare certe corde non è facile, sono tantissimi i fattori che concorrono alla

buona riuscita di una storia: la creatività, l'immaginazione, la curiosità nei

confronti del mondo che ci circonda, quindi, dimostrarsi degli attenti

osservatori e, non ultimo, degli accaniti lettori. Prima di tutto leggere, sia per

affinare il proprio gusto e poi per sviluppare la capacità di calarsi nei panni del

proprio pubblico, imparando così a giudicare con distacco e senso critico ciò

che si è scritto.

Ma nei libri, chi aspira a diventare uno scrittore è bene che impari a scovare i

propri ferri del mestiere: tecniche, stili, metodi per la costruzione dei

personaggi, per la descrizione dei luoghi; leggere con occhio da chirurgo un

libro, smontarlo pezzo per pezzo per capire come ne è stato costruito

l'impianto narrativo, può essere un ottimo esercizio di scrittura. Apprendere da

chi è già uno scrittore affermato, riconosciuto come tale da un pubblico che lo

segue, può aiutarvi nella stesura della vostra storia, nell'esprimere meglio

l'idea che ne sta alla base.

Perché avete un'idea, giusto?

Sapere cosa vi spinge a scrivere, quale storia volete raccontare e perché, è di

fondamentale importanza. Dovreste sempre porvi tali domande e ricordarvi

delle risposte quando vi accingerete a compiere l'impresa, perché durante la

stesura di un romanzo è molto facile perdere di vista l'obiettivo principale.

Sforzatevi, allora, di scoprire se davvero ne vale la pena, per voi di impegnarvi

e per i futuri lettori di aprire il vostro libro.

Insomma, solo voi potete davvero rispondere alla domanda iniziale: perché si

scrive? Noi possiamo soltanto provare a darvi degli spunti di riflessione e

continueremo a farlo per tutto il seguito di questa nostra guida alla scrittura

creativa.

Come e perché scegliere il tema di un romanzo?

Proviamo a spiegare meglio cosa intendiamo quando diciamo che per scrivere

bisogna avere una buona idea di partenza.

Questo è un passaggio fondamentale, ripetiamo, perché al lettore, a meno che

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non sia un vostro parente o amico, poca importa dei vostri sentimenti

personali, vi concederà il proprio tempo solo se riuscirete ad essere credibili.

Se leggiamo un libro è perché decidiamo di credere a ciò che lo scrittore ci

racconta, anche se si tratta di volpi e di uva, di nani che accolgono una ragazza

in fuga o di attraversare il bosco per andare ad accudire una nonnetta disabile.

E sapete perché? Non perché tutti noi abbiamo una nonna, ma perché tutti

prima poi ci troviamo a dover superare le difficoltà rappresentate da un bosco

impervio: la parte più oscura di noi o della nostra vita.

Ecco un buon tema per una storia di successo, ma non provate a rubarlo,

perché tanto lo ha già scritto qualcun altro!

Quello che vi suggeriamo, invece, è sì di ascoltare la vostra urgenza di

comunicare quella “parte oscura” di voi, ma di plasmarla secondo i contorni di

un'idea originale, darle forma di luoghi, immagini e personaggi da far rivivere

sulla pagina.

Perché se nessuno può davvero suggerirvi di scegliere un certo tema per il

vostro romanzo – aspetto questo della scrittura che attiene ad una sfera troppo

personale, dettato dall'esperienza – si può comunque attenersi a delle regole

generali per provare a realizzare un romanzo con tutti i crismi.

Avrete certamente un personaggio, che sarà spinto da un suo profondo

desiderio ad agire in modi che infrangeranno l'equilibrio iniziale dell'ambiente

in cui si trova, le sue scelte lo obbligheranno a fare i conti con se stesso, fino a

produrre quel cambiamento - l'appagamento (o la perdita) del tanto agognato

desiderio – che è poi la “catarsi” che ci si aspetta di trovare in ogni libro. Quel

qualcosa con cui il personaggio in questione dovrà “fare i conti”, costituisce

quasi certamente il vostro tema, ciò che avete sentito l'urgenza di raccontare.

“Dobbiamo avere un personaggio che, come tutti, tende verso qualcosa e

fugge da qualcos’altro: cioè, semplificando, ha un desiderio e una paura.

La trama ha il compito di creare eventi che ostacolino o assecondino il suo

desiderio spingendolo a fare scelte che lo avvicinano alla sua “area di pericolo”.

La sua area di pericolo tuttavia è anche “il tema” della storia”.

Fabio Bonifacci.

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Certo, è una semplificazione e si potrebbe benissimo obiettare che non tutti i

romanzi rispondono a questi criteri. Ma se siete scrittori alle prime armi, se

ancora non avete messo alla prova il Sartre che è in voi, è bene ancorarsi a

delle solide strutture, che funzionano fin dagli albori della storia della narrativa.

Vi impediranno di lasciarvi andare a delle improbabili e noiosissime

elucubrazioni, che infrangerebbero il tacito accordo fatto con i lettori: date loro

un storia in cui credere e vi conceranno del tempo.

Soltanto se siete disposti ad eclissare il vostro ego manterrete fede allo

scambio. E perché ciò avvenga, una volta individuato il tema del romanzo,

dovete essere sicuri che la trama e i personaggi che andrete a sviluppare

intorno ad esso siano credibili. Insomma, chi dovrà attraversare il bosco per

andare ad accudire la nonna? E perché quest'anziana signora abita da sola e

dall'altra parte del bosco? Non lasciatevi sfuggire alcun particolare e scegliete

con cura come raccontarli, con che stile e tecnica calamitare l'attenzione dei

lettori, ma di questo ci occuperemo più avanti. Il fatto è che prima di

cominciare a scrivere, mettendo di volta in volta il vostro protagonista difronte

a delle scelte e quindi delle nuove situazioni, dovrete essere voi i primi ad aver

preso delle decisioni, per evitare poi di rimanere bloccati nel bel mezzo del

racconto. Dovrete conoscere talmente bene il personaggio e ciò che lo muove,

che qualunque piega prenderà la trama, saprete esattamente come lui reagirà.

Se i lettori gli crederanno, allora, vorrà dire che la vostra scelta sul tema si è

rivelata valida: non risponde soltanto alla vostra esigenza di esprimervi, ma

soprattutto alle esigenze dei lettori, che poi fanno il mercato che produce gli

scrittori, di emozionarsi.

Perché progettare una storia?

Una volta messo a fuoco il vostro tema, dovrete “metterlo in scena”, anzi, nel

vostro caso svilupparlo sulla pagina attraverso le azioni che compierà il vostro

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protagonista. Il personaggio è l'anello di congiunzione tra la trama di un

romanzo e il suo tema principale, traduce per l'appunto in azione ciò che è

inizialmente soltanto un'idea, gli da vita, interagendo con l'ambiente da voi

creato apposta per lui. E perché un personaggio prenda vita, come tutti noi, ha

bisogno di precise condizioni: un obiettivo verso cui tendere (il suo desiderio) e

infiniti ostacoli (le sue paure) da superare per raggiungerlo. Questa potrebbe

essere la prima bozza di uno schema su cui sviluppare una storia. Accanto a

questi primi due riferimenti, potreste aggiungere tutto ciò che conoscete sul

vostro personaggio: chi è, cosa fa nella vita, quanti anni ha, Qual èil suo

passato e soprattutto cosa vuole? Qual èil suo desiderio? Quale sarà l'evento

che spingerà il nostro eroe a rincorrere tale desiderio o magari, perché no, a

fuggirlo?

Si sta così lentamente delineando quella che sarà la struttura portante del

vostro romanzo, che è importante progettare prima e tenere sempre a mente

durante la fase di scrittura vera e propria, per dare alla storia una direzione. Il

lettore dovrà sempre percepire la sensazione che da qualche parte volete

andare a parare, che qualcosa di emozionante accadrà, altrimenti la noia e la

distrazione potrebbero prendere il sopravvento e addio sogni di gloria!

Ma, per il momento, siamo solo all'inizio di quello che è lo schema classico

della narrativa:

Inizio: in questa fase, di solito, si delinea la personalità dei personaggi e

l'ambiente in cui agiscono. E' qui che ci si aspetta di leggere il primo dei colpi

di scena, l'evento che arriverà improvviso a rompere gli equilibri e reclamare

una reazione del protagonista, dando così una svolta alla storia.

Sviluppo: a questo punto ogni azione del personaggio sarà dettata dalla

volontà di porre fine ai conflitti creati dal quell'incidente scatenante, in un

escalation di ostacoli che lo condurranno sino all'apice della vicenda, al climax.

Risoluzione: giunge solitamente dopo un secondo colpo di scena, quando il

protagonista ha messo in campo tutte le sue doti e gli ostacoli sembrano ormai

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insormontabili, la svolta inaspettata arriva per condurre, appunto, la storia

verso la sua risoluzione, nel bene o nel male, al suo finale.

All'interno di questo schema – evidentemente meno rigido di quanto possa

apparire, stando alla quantità e la varietà di storie che vi hanno preso spunto –

tutto può accadere: l'irruzione in scena di nuovi personaggi, il delinearsi di

trame parallele e così via. L'importante è sempre conoscere a menadito i vostri

personaggi e soprattutto i desideri che li muovono.

Infatti, per un numero limitato di oggetti del desiderio, che sono stati

individuati in narrativa:

- un oggetto fisico dotato di un valore intrinseco (denaro, oro, diamanti, ecc.)

- un “oggetto di relazione” (l’amore, l’amicizia, la stima, la fiducia in se

stessi,ecc.);

- un “oggetto di potere” cioè una situazione di dominio (l’eliminazione di un

concorrente, di un rivale, la conquista di una carica pubblica, ecc.)

- un “oggetto di sapere” cioè una conoscenza (un segreto, una confessione,

ecc.).

Alessandro Perissinotto

esistono infinite trame da poter inventare. Lo schema in tre atti, quello classico

aristotelico, vi servirà soltanto nel ricostruire, per grandi linee, il percorso che il

personaggio dovrà fare per ottenere o ricongiungersi con il suo oggetto del

desiderio. Ma è vostro compito di autori, molto sadicamente, impedire questo

ricongiungimento, ideare ostacoli sempre più grandi da disseminare sul

cammino del vostro protagonista e stare a vedere cosa accadrà. Le possibilità,

allora, diventano illimitate.

“Un personaggio di romanzo è chiunque nella strada, è un uomo, una donna

qualunque… Affinché diventino personaggi di romanzo mi sarà sufficiente

metterli in una situazione tale da costringerli ad andare fino in fondo a se

stessi… E’ facile, vedete. Non occorre neanche trovare una storia.

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Semplicemente degli uomini, degli esseri umani, nella propria cornice, nel

proprio ambiente. La piccola spinta che li mette in moto…”.

Georges Simenon.

Un ostacolo potrebbe essere un nuovo personaggio, un nemico, un ambiente

ostile, il fato crudele, insomma, accanto al vostro protagonista, non potrà

mancare la presenza di un antagonista con cui battersi. I loro percorsi,

all'interno del romanzo, saranno speculari, perché tenderanno allo stesso

oggetto del desiderio, ma con finalità opposte: l'uno (il soggetto) per il proprio

bene e l'altro (oppositore) per trovare appagamento nella sofferenza del primo.

Avrete così due schemi paralleli – anche se in realtà potreste sentire l'esigenza

di strutturare uno schema per ogni personaggio utile allo sviluppo della trama

(coloro che aiuteranno o ostacoleranno il soggetto nel suo cammino verso

l’oggetto) – il modo in cui li disporrete, li farete interagire, incontrare e

scontrare i loro percorsi lungo la storia, costituirà il tessuto stesso del vostro

romanzo: l'intreccio narrativo.

Quanto più complicato sarà l'intreccio più utile vi tornerà anche avere uno

schema delle fasi intermedie della trama, cioè delle azioni, che pur non

essendo nodali nella narrazione, dovranno comunque compiere i vari

personaggi affinché partendo da un punto iniziale arrivino ad una fase di

risoluzione.

Fate sempre in modo durante questa fase di sviluppo della trama che ogni

sequenza inserita in scaletta sia collegata al successiva in un crescendo

d'azione, ma soprattutto che vi riconduca al punto di partenza, ossia, al vostro

tema.

Perdonateci, ma concludiamo anche questo capitolo con degli interrogativi:

chiedetevi, davanti alla vostra scaletta completa, se la storia che si è delineata

racconti davvero ciò che vi eravate prefissi di scrivere. Se il vostro desiderio

procede di pari passo con quello del vostro personaggio allora siete sulla strada

giusta. Altrimenti, è proprio a questo che serve uno schema: a riscrivere gli

snodi principali della storia fino a quando non trovate la soluzione ideale.

Riscrivere è un altro degli esercizi consigliati per affinare la vostra tecnica.

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La credibilità del testo

Elaborando la struttura del romanzo avete stabilito un primo punto fermo: un

libro non può contenere soltanto una sequela di incidenti, ostacoli e conflitti,

ma qualunque cosa inventerete dovrà avere un senso all'interno della struttura

della vostra storia, dovrà cioè essere utile nell'avanzamento della trama e

percepita dal lettore come necessaria; nulla potrebbe accadere di diverso da

ciò che gli state raccontando.

Facciamo un esempio: supponiamo di voler raccontare dell'eterno conflitto tra

uomo e donna, allora, avremo un lui e una lei, magari colleghi di lavoro che si

danno battaglia per una promozione. Cosa accadrebbe se i due rimanessero

chiusi, bloccati dentro l'ufficio dove lavorano? Abbiamo un incidente plausibile,

che pone i nostri due proprio davanti al loro conflitto, senza alcuna possibilità

di fuga. La scena potrebbe essere proprio l'inizio della storia, a questo punto si

potrebbe decidere di raccontare a ritroso tutti gli eventi che hanno condotto i

nostri due personaggi in quella condizione, in quell'esatto momento; qualunque

tecnica decidiamo di adoperare, è importante che ci riconduca lì. Se

anticipiamo l'incidente con pagine e pagine dedicate agli esami universitari

dell'uno o dell'altra, il lettore inizierà a sbadigliare, a meno che quegli esami

non lascino intuire il perché di tanto astio nei confronti dell'altro sesso e quindi

anticipino nella sua mente o meglio stimolino la curiosità di sapere ciò che

potrebbe accadere dietro quella porta bloccata.

I due finiranno per sbranarsi o per fare sesso?

Anche questa scelta su l'una o l'altra opzione non può essere lasciata al caso:

tutto dipenderà da come avete caratterizzato i personaggi e da come hanno

fino a quel momento interagito tra di loro. Se avete descritto un timido, è

improbabile che lui si metta all'improvviso a fare delle avance, allo stesso

modo se avete descritto una donna delusa dall'amore, sarà arduo farla

avvicinare al suo nemico giurato. Se ad certo punto della storia, però, fate in

modo che degli alieni sbarchino sul pianeta Terra per liberare i due, è certo che

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il lettore non sbadiglierà più; potrebbe usare il libro come arma impropria

scagliandolo giù dalla finestra, questo sì. Non perché la soluzione aliena non sia

possibile (non c'è limite alla fantasia) ma perché non è plausibile con le

premesse della storia. Qui noi abbiamo creato un mondo realistico, che quindi

risponde in tutto e per tutto alle regole della realtà. L'elemento extraterrestre

infrangerebbe il patto con i lettori, quella che in narratologia viene definita la

sospensione di incredulità. Quando scrivete una storia e create attorno a

questa un vero e proprio mondo, per quanto fantastico o surreale possa

essere, dovete comunque fare in modo che risponda a delle regole ben precise,

regole che in qualche modo vadano a colpire quello che è l'immaginario del

lettore medio, in modo che possa immergersi nel racconto e accordarvi tutta la

sua fiducia ed attenzione.

Proviamo allora a cambiarle queste le regole: se fin da subito mostriamo come

l'uomo bloccato in quell'ufficio riesca a liberare se stesso e la sua collega con

uno sguardo a raggi laser, chiediamo al lettore di immergersi in un modo

realistico, ma in cui vive un uomo che sebbene abbia delle doti eccezionali è

incapace di relazionarsi con le donne. L'effetto curiosità dovuto a questo

contrasto è praticamente immediato. Sappiamo che seguendo le vicende di un

uomo fantastico accadranno cose fantastiche, tra l'altro proviamo anche

simpatia per lui, perché emotivamente ha i nostri stessi limiti e non ci si può

che immedesimare con un personaggio simile. Ecco che le regole di credibilità

che abbiamo stabilito rispondono perfettamente allo scopo: ottenere la fiducia

e l'attenzione del lettore.

La capacità di evocare un mondo possibile, passa ovviamente attraverso il

linguaggio. Ogni genere di narrazione ha un suo registro; supereroi e impiegati

d'ufficio, avranno modi ben diversi di esprimersi. Anche le parole, quindi,

dovranno essere il frutto di una scelta ben ponderata, ancora una volta in

armonia con personaggi e ambientazioni.

Facciamo ancora un altro esempio e torniamo in un mondo realistico: un

automobile attraversa la periferia di una grande metropoli, all'improvviso un

motorino apparso da una traversa gli taglia la strada, il conducente non riesce

a frenare in tempo; difficilmente il motociclista si volterà in direzione

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dell'automobilista per intimargli di essere più accorto:

“Signore, cerchi di stare più attento”.

Non credo proprio.

Il concetto è, invece, riuscire tramite la parola scritta a prendere il lettore per

mano e condurlo proprio lì a quell'incrocio di periferia.

Insomma, un romanzo è un organismo unico in cui tutti gli elementi –

linguaggio, ambiente, personaggi, trama – sono collegati l'uno all'altro e tutti

concorrono a dare senso e direzione alla narrazione.

è assai diverso considerare una narrazione una «somma di parti discrete», cioè

di parti tranquillamente separabili, almeno nel pensiero, l’una dall’altra (non

solo un episodio dall’altro ma anche, ad esempio, il registro linguistico dalla

punteggiatura, il dialogo dalla descrizione dei movimenti, il lessico dalla

sintassi ecc.); e considerarla invece una «totalità organizzata», cioè un

sistema nel quale nessun elemento è pensabile come separato dagli altri - nel

quale, aggiungo, ogni elemento è una sorta di “precipitato” del sistema tutto

(e il sistema tutto ha lo stesso grado di coesione e compattezza, nonché la

stessa forma, di ciascun elemento).

Giulio Mozzi

Per testare la credibilità di un testo e quindi l'efficacia della nostra storia, si

potrebbe provare a scambiare l'ordine sequenziale degli avvenimenti che

abbiamo in scaletta. In una storia che sia credibile, questo non potrebbe

funzionare, ogni avvenimento dovrebbe essere conseguenza diretta e

necessaria di ciò che è accaduto prima. Come nella vita, noi siamo il prodotto

delle nostre esperienze, così nei romanzi i personaggi che impariamo a

conoscere all'inizio di una trama, saranno diversi verso il finale, subiranno quel

mutamento che è obiettivo di ogni storia e prodotto di ciò che è accaduto

durante lo svolgimento della trama.

La caratterizzazione dei personaggi

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Se il linguaggio è una componente fondamentale per la credibilità del testo,

allora, lo sarà certamente per la caratterizzazione dei vostri personaggi, ossia,

per dare loro una personalità che li renda, ancora una volta, credibili all'occhio

del lettore, o ancora meglio, renda credibili i loro desideri e faccia sentire come

necessarie le scelte che faranno per appagarli.

E se come abbiamo già precisato, in un romanzo un elemento non può essere

separato all'altro è chiaro, quindi, che sarà l'ambiente in cui vivono e lottano

questi personaggi ad influenzarne il linguaggio, le azioni e in qualche caso

anche l'aspetto fisico.

Riprendendo l'esempio precedente, dell'impiegato d'ufficio con i super poteri:

ciò che lo caratterizza è proprio l'essere immerso in un ambiente

assolutamente ordinario in contrasto con le sue doti straordinarie. È questo

scarto che ce lo rende simpatico, in qualche modo più affine a noi comuni

mortali. Allo stesso modo, ciò che ha reso alcuni romanzi indimenticabili è stato

proprio il fatto di avere al centro personaggi assolutamente normali, ma alle

prese con vicende straordinarie.

Certo, non tutti i personaggi di una storia ne sono poi i grandi eroi protagonisti,

che svettano su tutti gli altri per coraggio e determinazione. Molto spesso le

doti positive di un eroe non verrebbero mai messe in risalto, se non accanto a

un vero infimo antagonista. Anzi, senza i ruoli cosiddetti “secondari” non

esisterebbero nemmeno i protagonisti. Pensiamo a quale sarebbero state le

sorti di Renzo e Lucia, se Don Abbondio, sprezzante del pericolo, avesse

immediatamente celebrato il loro matrimonio. Insomma, sarebbe stata tutta

un'altra storia. Questo per ribadire che è il modo in cui deciderete di intrecciare

le vicende dei vari personaggi l'una all'altra che darà forza e spessore al vostro

romanzo.

Proprio per capire come i vari personaggi agiranno e interagiranno fra di loro,

per sapere da dove nascono il loro desideri e cosa li spinge a comportarsi un

determinato modo e quindi rendere meglio l'azione attraverso le parole, molti

scrittori trovano utile realizzare per loro delle vere e proprie biografie.

Uno schema tipo potrebbe comprendere:

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l'estetica: aspetto fisico, il modo di vestirsi, segni particolari;

dati anagrafici: età, nome, luogo di origine;

tratti psicologici: carattere, comportamenti, qualità;

estrazione sociale: posizione economica, stile di vita, livello culturale;

Delineare questi tratti potrebbe aiutarvi a definire meglio non soltanto il ruolo

di certi personaggi all'interno della vostra storia, ma anche la loro dimensione

più profonda. È chiaro che la caratterizzazione dei protagonisti necessita di

essere approfondita in tutte le sue sfaccettature, anche quelle più intime e

psicologiche, mentre per i ruoli secondari ci basteranno pochi spunti, a volte un

solo segno particolare, che come abbiamo visto può comunque essere

determinante per l'andamento della trama.

Proviamo sulla base di queste classificazioni a fare un esempio concreto di

caratterizzazione dei personaggi, tornando nel mondo realistico delle strade di

periferia, dove abbiamo incrociato l'uomo in motorino. È chiaro che sullo

sfondo di un tale paesaggio, si muoverà una certa tipologia di personaggi: non

saranno tutti delinquenti, ma quasi certamente saranno tutti dei duri (induriti

dalle difficoltà di vivere ai margini), anche chi non passa le sue giornate

girovagando in sella ad un motorino, ma ogni mattina si alza per andare a

lavoro, attraversando quelle strade sempre sorvegliate da loschi figuri, dovrà

assumere un certo atteggiamento.

Cominciano a delinearsi, così, in poche righe già due tipologie di personaggi:

uno sta sempre in strada, magari sul dorso della mano, tra l'indice e pollice ha

un piccolo tatuaggio, uno di quelli fatti con strumenti artigianali, con

l'inchiostro che dopo un po' diventa verde; l'altro, invece, le mani ce le ha

sempre sporche, per questo quando torna a casa, camminando per le strade

del suo quartiere, le tiene sempre infilate nei tasconi della sua tuta blu, tiene

anche la testa bassa, ma il suo sguardo è vigile e la sua un'andatura rilassata.

Riuscite a vederli? Ci sono bastate poche caratteristiche per definirli. Un

potenziale lettore a questo punto inizia ad intuire che questi due personaggi

hanno una storia alle spalle e vogliono conoscerla. Sta a voi proseguire nel

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gioco di immaginazione: se hanno stili di vita così diversi, perché vivono nella

stessa condizione di degrado? Qual èil loro passato? Magari da piccoli erano

amici, hanno frequentato la stessa scuola, allora, cosa li ha divisi nel tempo?

Ecco, come poche caratteristiche possono aprire spiragli su mondi interi e

infinite possibilità. L'importante è sapere tutto dei vostri personaggi, per

ognuno di loro dovrete costruire una personalità ben definita e distinta dalle

altre, attraverso i metodi appena descritti, ma ognuno di loro dovrà essere

necessario allo svolgimento della vostra storia, ossia, immerso in quella rete di

ostacoli e conflitti che costituiscono lo schema portante del romanzo.

Se il protagonista è il nostro operaio in tuta blu, allora, dovremo fare in modo

che il suo nemico, il perdigiorno in motorino, lo costringa a mettere in

discussione tutto il suo stile di vita, magari perché con i suoi traffici mette

insieme in un giorno lo stipendio che in fabbrica si guadagna in un mese.

L'uomo tatuato cercherà di corrompere l'uomo perbene, ma perché? Ecco cosa

davvero ci interessa sapere di questo nemico, tutta la sua caratterizzazione

dovrà essere finalizzata a rispondere a questa domanda. Voi avrete le vostre

belle biografie che spiegano chi sono questi personaggi: come si chiamano, da

dove vengono, di che colore hanno occhi e capelli ecc... ecc..., tutto questo

sarà utile a voi, ma dal romanzo dovrà trasparire solo ciò che li spinge ad

agire. In questo contesto, infatti, abbiamo soltanto descritto un uomo con un

tatuaggio (un tratto che ci fa intuire appena qualcosa che riguarda il suo

passato) gira in motorino in una periferia intrattenendosi di tanto in tanto con

loschi figuri (il suo modo di interagire con l'ambiente che lo circonda), ma non

abbiamo specificato cosa l'uomo effettivamente faccia. Sarà proprio il suo

piccolo tatuaggio verde a rivelarcelo: potrebbe essere stato in carcere e se c'è

stato, allora, diventa plausibile che il suo girovagare in motorino sia un metodo

per spacciare della droga e se spaccia droga forse è perché è l'unico modo che

ha per sopravvivere, visto che nessuno vuole assumere un ex galeotto, tanto

meno nella fabbrica dove lavorava suo padre, cacciato per lasciare il posto al

vecchio compagno di scuola, che adesso odia, quando lo vede passare in tuta

blu da lavoro, perché quel posto spettava a lui.

Ecco che la storia ha preso una nuova piega, ribaltando i ruoli di “buoni e

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cattivi”, grazie solo ad un tatuaggio, ad un motorino e al modo in cui i due

personaggi con caratteristiche ben definite interagiscono tra di loro.

I dialoghi

Provate ad immaginare come potrebbero esprimersi i due protagonisti della

nostra ipotetica trama. In dialetto? Con poche frasi lapidarie? Con tono

sprezzante o con una certa lentezza, perché prima di parlare ci pensano

sempre su due volte... non si sa mai?

Provate adesso ad immaginare come parlerebbero se si dovessero incontrare

con i nostri due impiegati d'ufficio, fuori dal loro solito ambiente. Riuscite a

sentire come cambierebbe il tono delle loro parole?

Questi esercizi di immaginazione vi sono utili per iniziare a cimentarvi con la

scrittura dei dialoghi. Se partite da una caratterizzazione efficace dei

personaggi allora sarete già a buon punto.

Tenete presente che l'unica ricetta per un dialogo ben riuscito è la credibilità: i

dialoghi non devono essere realistici o spontanei, cioè, i personaggi non

devono parlare come farebbero nella realtà, ma devono parlare come richiesto

dalla narrazione, dal mondo che avete creato apposta per loro. Così come per

le azioni, anche attraverso le parole i personaggi esprimono le proprie

intenzioni; non spiegano se stessi, non delineano un quadro chiaro di chi sono

e cosa vogliono, semmai ne danno solo qualche indizio, sarà il lettore a trarre

le sue conclusioni.

Esempi banali: se un personaggio parla in dialetto, intuiremo qual è il suo

background, se balbetta, invece, inizieremo a farci un'idea del suo stato

d'animo e così via.

Per questo gli interventi del narratore sui dialoghi diretti devono essere molto

concisi e mirati, limitarsi ad introdurre la scena parlata o ad aggiungere tutto

ciò che da un semplice scambio di battute non è deducibile, come il linguaggio

del corpo, il tono di voce (anche se in questo ci viene in aiuto la punteggiatura)

o il luogo in cui avviene un dialogo.

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L'orologio retro illuminato segnava le 20:00. Al di là della porta non si sentiva

più alcun rumore, erano tutti corsi a casa già da un paio d'ore. Dentro quello

sgabuzzino chiuso, al buio e senza finestre, scatoloni colmi di pratiche

archiviate e nessun posto su cui sedersi senza insozzarsi di polvere.

Lui, instancabile, seguitava a colpire la porta con la spalla senza mostrare

alcun sintomo di stanchezza.

“Pensi di riuscire ad aprirla così?” Disse lei da dietro le sue spalle”.

Oppure:

“Pensi di riuscire ad aprirla? Così?” Disse lei con un mezzo sorriso sulla faccia.

O ancora:

“Pensi di riuscire ad aprirla così-ì?” Disse lei torcendosi le mani.

Notate la differenza? Sicuramente sì, sono tre dichiarazioni che attribuiscono

alla nostra impiegata ben tre caratteri diversi, tre caratteri che potrebbero far

prendere alla narrazione altrettante direzioni differenti.

Ricordatevi, quindi, che un dialogo è fatto per portare avanti la narrazione, non

per riassumere al lettore dettagli che forse non gli sono chiari. Per assolvere a

questa funzione, per riassumere in poche righe una conversazione che sulla

pagina risulterebbe troppo lunga, esiste il discorso indiretto.

“Lui, instancabile, seguitava a colpire la porta con la spalla senza mostrare

alcun sintomo di stanchezza. Lei gli chiese se pensava così di riuscire ad

aprirla”.

Usate entrambi i metodi, altrimenti, il rischio è quello di scrivere dei dialoghi da

soap opera, in cui i personaggi hanno bisogno:

1) di ripetere sempre le battute per riprendere dal punto esatto in cui è

finita la puntata del giorno prima;

2) di riassumere allo spettatore le diecimilacinquecentonovantanove puntate

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precedenti.

E a proposito di soap, evitate i luoghi comuni, cose del tipo “Io sono tuo padre”

o “Ti lascio andare perché ti amo”. Se un personaggio è mosso da un conflitto,

costretto a parlare, si esprimerà secondo i sentimenti scatenati da tale

conflitto: con passione, con disperazione o gioia, talvolta senza sapere

nemmeno cosa sta dicendo, questa volta sì, proprio come avviene nella realtà.

Saper gestire il tempo e lo spazio nella narrazione

Il tempo e lo spazio sono aspetti della narrazione che in un romanzo, specie se

molto corposo, si dispiegano su più livelli, sono come stratificati e difficili da

estrapolare singolarmente. Per analizzarli dobbiamo provare per la prima volta

a fare quella operazione di scomposizione quasi chirurgica, che vi abbiamo

consigliato di cominciare ad operare sui libri che leggerete d'ora in avanti;

ovviamente solo dopo aver terminato questa guida alla scrittura creativa!

Partiamo con un primo netto distinguo tra ciò che nella narrazione è fabula –

l'ordine cronologico degli avvenimenti narrati nella storia – e l'intreccio –

l'ordine e le modalità con cui uno scrittore decide di raccontare quegli stessi

avvenimenti.

In una storia avremo, quindi, il tempo e lo spazio fisico della vicenda narrata

(ad esempio: Italia, 2013) e poi lo spazio e il tempo del racconto, intesi come

ritmo e svolgimento della trama, ossia, quanto spazio, proprio come numero di

pagine, decidiamo di dedicare ad una determinata scena, a un personaggio, ad

un luogo.

Di tecniche per ricostruire, attraverso le parole, un'ambientazione spazio-

temporale, ce ne sono moltissime: si può essere più o meno espliciti, si può

chiaramente indicare una data, una stagione, il nome di una città, oppure,

lasciare più margine all'interpretazione di lettori sui dettagli descritti. È chiaro

che se descriverete dei personaggi che parlano al cellulare, ecco, difficilmente

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ci potranno essere fraintendimenti sul tempo in cui è ambientata la vostra

storia.

Quindi, che sia particolareggiata, come nei più classici dei romanzi, o si

soffermi su pochi tratti, come abbiamo fatto con i nostri personaggi, è la

descrizione ancora oggi ad assumere il compito di evocare, ricostruire

l'atmosfera di un luogo geografico, di un determinato periodo storico o sociale,

e quindi preparare emotivamente il lettore a qualcosa che avverrà o lasciargli

intuire ciò che potrebbe accadere.

Passando, però, dal tempo della storia ancora una volta al tempo del racconto,

quando ci si sofferma su una descrizione, non si fa altro che interrompere lo

scorrere cronologico degli avvenimenti, dilatando, viceversa, la narrazione a

scopo puramente stilistico o, come specificato precedentemente, per dare degli

indizi al lettore sulla trama o evocare un'atmosfera. In ogni caso, introdurremo

una pausa del tempo della storia che serve a dare ritmo al tempo del racconto,

lento o più sincopato a seconda anche del linguaggio e della punteggiatura che

decideremo di utilizzare. Preposizioni molto brevi, con interpunzioni molto

ravvicinate, accelereranno la narrazione e viceversa periodi molto lunghi la

rallenteranno. Allo stesso modo, possiamo dedicare decine di pagine ad un solo

avvenimento, oppure, in riassumere in poche righe decine di anni.

Schematizzando:

Tr > Ts: quando il tempo del racconto supera il tempo della storia, siamo

difronte ad un rallentamento o ad una pausa totale dello svolgersi dell'azione.

È questo il caso del ritmo dettato dalle descrizioni o dai commenti dell'autore.

Tr = Ts: il perfetto equilibrio tra racconto e storia, tipico dei dialoghi.

Tr < Ts: in quest'ultimo caso il racconto subisce un'accelerazione notevole,

tutti gli eventi poco interessanti ai fini dello svolgimento della trama vengono

riassunti sommariamente o tralasciati del tutto, dando al lettore soltanto una

rapida indicazione sul tempo trascorso (“molto tempo dopo”; “trascorsi dieci

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anni” ecc... ecc...).

In definitiva, escludendo il caso del discorso riportato, possiamo concludere che

in un romanzo quasi mai il tempo della storia coinciderà con il tempo del

racconto. Diventa, per tanto, importante imparare a gestire il tempo e lo

spazio in un romanzo, attraverso tutte le istanze del discorso narrativo, dalle

pause ai salti temporali e relativo uso, come vedremo più avanti, dei tempi

verbali.

Dal tempo a ritmo

Frequenza di un fenomeno: ritmo crescente, frenetico;

velocità con cui le azioni si susseguono[...]

Sabatini Coletti, dizionario della lingua italiana.

Quante volte vi sarà stato consigliato un libro perché, vi hanno assicurato, si

legge tutto d'un fiato. Cosa significa quando le pagine di un romanzo scorrono

via veloci? Che l'autore ha impresso alla storia un buon ritmo, ha saputo cioè

alternare e coordinare nel racconto le azioni e relativi rallentamenti. Proprio

come le note nella musica, anche le parole nella poesia e nella prosa possono

essere scritte in modo da farle risuonare con un certo ritmo. Se nella prima,

l'alternarsi di versi e spazi rende più esplicite le tecniche attraverso cui si

giunge ad una certa musicalità, nella prosa non sempre il lettore si accorge

delle scelte stilistiche dell'autore. La cosa non è affatto negativa, perché vorrà

dire che lo scrittore avrà raggiunto il suo scopo: far sì che i lettori leggano le

sue pagine tutte d'un fiato, senza mai staccare gli occhi dal libro. Ma noi, che

stiamo ancora analizzando con occhio da chirurgo la narrativa, guardando una

pagina di un libro dovremmo accorgerci di come sia suddivisa, proprio come

una partitura, in periodi, in stacchi, punti a capo e virgolette che aprono e

chiudono dialoghi tra i personaggi. Forse uno degli esempi più lampanti di

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come le parole possano essere disposte sulla pagina per farle risuonare come

musica, è la scrittura di Alessandro Baricco. Alcuni suoi pezzi sono scritti

proprio per ottenere un effetto sonoro, tramite ripetizioni, elenchi di parole,

corsivi che indicano i termini su cui bisogna soffermarsi, fare una pausa.

“La prima cosa è il mio nome, la seconda quegli occhi, la terza un pensiero, la

quarta la notte che viene, la quinta è quei corpi straziati, la sesta è la fame, la

settima orrore, l'ottava i fantasmi della follia, e la nona è carne aberrante,

carne, carne a seccare sulle sartie della vela, carne che sanguina, carne, carne

di uomo ”

Libro Secondo, “Il Ventre del Mare”

Ma come si fa ad ottenere un determinato ritmo? Le frasi brevi, indipendenti,

coordinate tra di loro per mezzo di virgole o congiunzioni (paratassi)

caratterizzano molto spesso le sequenze che necessitano di un ritmo veloce –

le sequenze narrative, quelle che portano avanti l'azione ed espongono gli

snodi principali della trama, o le sequenze dialogiche in cui, come abbiamo

specificato il tempo del racconto corrisponde al tempo della storia – viceversa,

le sequenze descrittive o riflessive, che rallentano invece la storia perché

hanno il compito di riportare commenti e giudizi del narratore o le riflessioni di

un personaggio, vengono spesso scritte attraverso ipotassi, cioè, frasi più

elaborate, costituite da preposizioni principali e subordinate.

Ovviamente questa non è una legge universale e tutto dipende dall'effetto che

vorremmo ottenere: si potrebbero benissimo realizzare delle descrizioni o delle

argomentazioni dal ritmo incalzante o rallentare le azioni fino all'esasperazione.

Prendete ad esempio la classica protagonista di un classico thriller, colta nel

semplice atto di aprire una porta. Dall'altra parte sappiamo che c'è lui, il

mostro assassino e finalmente lo vedremo in faccia, basta solo che lei apra la

porta. Ma l'autore indugia sulla mano e sulla maniglia che lentamente scatta

verso il basso; è un punto di svolta della storia, ma più l'autore si allunga in

periodare elaborato e più crescerà la tensione del lettore.

Ricordate che il ritmo di ogni sequenza va considerato in prospettiva al ritmo

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generale del romanzo. Cioè, per ottenere il famoso effetto “tutto d'un fiato”, è

necessario che le sequenze che compongono l'intreccio del romanzo siano

ordinate secondo un principio di coerenza – per riprendere ancora la metafora

musicale – senza stonature che risalterebbero subito all'orecchio del lettore.

Il ritmo dovrà in qualche modo suggerire, prima ancora delle azioni dei

personaggi o delle loro argomentazioni, il senso profondo di ciò che stiamo

raccontando.

L'estratto de “Il ventre del mare”, che abbiamo riportato come esempio,

racconta di un naufragio: i personaggi navigano alla deriva su un relitto e sono

in troppi per sopravvivere con le poche provviste che sono riusciti a salvare. Il

modo in cui Baricco sceglie di raccontare infonde in chi legge quel senso di

inesorabilità della fine; è il ritmo, prima ancora del racconto dei naufraghi, a

scandire come le lancette di un orologio il tempo che resta loro da vivere.

Un esercizio utile per capire, al di là della mera teoria, cosa si intende per

ritmo nella narrazione è quello di leggere ad alta voce e quando lo fate

rispettate le pause della punteggiatura, la lunghezza delle frasi, le descrizioni e

il tono dei dialoghi, fatelo sia con i romanzi degli autori famosi che con le

cartelle del vostro dattiloscritto. Con il tempo l'orecchio si abituerà a

riconoscere il ritmo ottimale.

Descrizione

È inteso, ormai, che la descrizione è una componente fondamentale per il ritmo

di un romanzo. La descrizione dilata il tempo del racconto, invita il lettore a

soffermarsi su un preciso particolare: un oggetto, una caratteristica di un

personaggio, un luogo. Ragion per cui, il particolare su cui decidiamo di

soffermarci, e invitiamo il lettore a fare altrettanto, non può essere scelto a

caso. Dedicare pagine e pagine ad un oggetto, un personaggio, a un luogo che

nulla aggiungo alla narrazione, risulterebbe una vera e propria stonatura, così

come sorvolare su aspetti fondamentali del racconto, quelli che ne

suggeriscono il senso, stenderebbe come un ombra di incompiutezze sulla

storia. La descrizione, ci aiuta nello stabilire il nostro patto con i lettori, è lo

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strumento principe per suggerire loro le regole del mondo possibile che gli

stiamo presentando e in cui gli suggeriamo, una volta entrati, di sospendere

ogni incredulità.

Infondo, descrivere significa rappresentare, riprodurre su carta – in questo

caso – attraverso le parole ciò che sta nella realtà o solo nella vostra mente.

Quindi, affinché una riproduzione sia efficace necessita di un certo grado di

preparazione: così come abbiamo già fatto per i personaggi, di cui sappiamo

ormai tutto grazie alle loro biografie, anche le ambientazioni del vostro

romanzo vanno studiate, che siano reali o fantastiche, esplorate nei minimi

particolari. I luoghi, gli spazi che descrivete, forse più dei personaggi, sono i

veri protagonisti di una storia, se non altro perché sono sempre presenti e

influenzano l'azione più di quanto facciano le vostre stesse scelte stilistiche.

Anzi, è probabile che sarà il vostro stile ad adattarsi all'ambientazione del

romanzo. Raccontare la periferia italiana nel 2013, sarà ben diverso dal

rappresentare ad esempio la Reggia di Versailles nel 1789. I personaggi,

collocati ognuno nel loro tempo e spazio, avranno modi differenti di agire e di

pensare, che dovranno essere riprodotti con ritmo e toni differenti. Se nel

primo caso potrebbero bastare pochi particolari per far intuire al lettore Qual

èla dimensione in cui lo stiamo portando, nel secondo, proprio per la distanza

che ci separa da quel mondo, perché il lettore ci segua, sfrutteremo descrizioni

decisamente più articolate per ridare vita a quell'etichetta tipica delle corti

nobiliari di tre secoli fa e soprattutto per catturare un particolare momento – il

1789 – che possiamo immaginare carico di timori per un mondo in piena

rivoluzione.

È bastato, notate, fare riferimento a delle coordinate spazio-temporali per

caricare un soggetto di un ipotetico romanzo di significati simbolici. Versailles

1789, è già un indizio sufficiente per capire cosa potrebbe accadere durante il

resto della storia; un'ambientazione ideale per scrivere di libertà, ideali,

rivoluzioni e ingiustizie, magari speranza nell'essere umano, certo, ma se visto

con gli occhi di un Robespierre. E se a catturare i dettagli di questa storia fosse

un nobile? Ecco che il nostro mondo possibile si ribalta ancora una volta: il

ritmo dovrà incutere timore, i luoghi rappresentare la decadenza di un sistema

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destinato a fallire.

La descrizione cattura il punto di vista di chi narra, o dei protagonisti delle

vicende narrate, sul mondo a cui appartengono, per permettere al lettore di

comprenderlo e a sua volta interpretarlo. Per questo è importante scegliere con

cura l'ambientazione per il vostro romanzo: dedicatevi, per iniziare, ai luoghi

che conoscete e se proprio desiderate rappresentare posti in cui non siete mai

stati, il consiglio è quello di studiare, di documentarvi e infine soffermarvi solo

sulla descrizione di quei particolari che possono aiutarvi nell'approfondire il

senso della storia, motivare lo stato d'animo di un personaggio o l'uso di un

certo linguaggio. Altrettanta cura va usata nella scelta del momento esatto in

cui inserire le descrizioni: soffermandoci sui dettagli di una spazio, diamo

anche delle indicazioni sul tempo; un tempo che rimane sospeso o scorre lento.

Il ruolo che farete giocare al tempo e al ritmo nel vostro racconto sarà

determinate per capire quando inserire una sequenza descrittiva o una

dialogica, specie se un dialogo ben scritto può assolvere a molte delle funzioni

svolte dalla descrizione: può introdurre i personaggi, darci indicazioni chiare sui

luoghi in cui si svolge la storia, può perfino sostituire i salti temporali, lasciando

che sia il personaggio in prima persona a chiarire aspetti del suo passato o ad

anticipare eventi.

È chiaro che un dialogo conferisce alla narrazione un certo grado di dinamismo,

sia da un punto di vista grafico – richiamando l'occhio sugli spazi e la

punteggiatura che spezzano la linearità della pagina – sia da un punto di vista

temporale, perché (Tr = Ts) ciò che il lettore legge è esattamente ciò che

accade sotto i suoi i occhi, catturati da quegli spazi e quelle linee.

Ma se il vostro personaggio è alla finestra in attesa che arrivi la sua bella,

come fare a rendere quella sensazione del tempo che scorre (lento come in

ogni attesa) se non attraverso una descrizione del paesaggio che ha davanti?

Quindi, una tecnica efficace potrebbe essere quella di inserire una pausa in

concomitanza con gli stati d'animo e le attese del protagonista.

Il punto di vista

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Se la descrizione ci riporta la percezione del narratore rispetto allo stesso

mondo che ci sta rappresentando, è chiaro come questa sia passibile di

continui mutamenti, dovuti proprio al soggetto che esprime tale percezione e

alla sua posizione rispetto agli eventi narrati. Percezione, soggetto e posizione,

sono i tre elementi che costituiscono il punto di vista di un romanzo.

A seconda del soggetto cui affiderete il compito di narrare dipenderà tutto lo

stile del vostro romanzo, tempi e modi verbali, registro linguistico e tecniche

narrative. Sua sarà la prospettiva su tutto ciò che accadrà e la nostra

conoscenza dei fatti come lettori sarà limitata esclusivamente alla sua

esperienza e ai suoi giudizi. Per questo come autori saremo chiamati a

decidere cosa lasciare fuori da tale prospettiva.

Ecco cos'è essenzialmente il punto di vista: una scelta, su chi o su cosa

vogliamo focalizzare l'attenzione; come quando si scatta una fotografia, si

sceglie un unico soggetto e una porzione di paesaggio, quale sarà questa

porzione dipenderà essenzialmente da chi vogliamo posizionare dietro

l'obiettivo:

un Narratore esterno, con una conoscenza globale di tutti gli aspetti della

trama, il cosiddetto narratore onnisciente, tipico delle narrazioni in terza

persona.

Si colloca ad un piano superiore rispetto al momento in cui avvengono le

vicende narrate e infatti ne conosce già l'epilogo ed è pertanto in grado di

muoversi nel tempo anticipando o posticipando i fatti; allo stesso modo

conosce tutti i personaggi e può esprimere il proprio giudizio su ognuno,

oppure, assumere di volta in volta il loro punto di vista svelandocene i pensieri

e i sentimenti più reconditi. In questo caso, quando il Narratore ne sa più dei

suoi personaggi (N > P) si parla di focalizzazione zero, tipica del romanzo

classico ottocentesco, come “I Promessi Sposi” di Alessandro Manzoni.

Quando, invece, il narratore si limita a riportare i fatti, senza esprimere alcun

giudizio sui personaggi coinvolti, avremo una focalizzazione esterna del

punto di vista, cioè, il narratore ne sa meno dei personaggi di cui racconta le

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vicende (N < P). Sta al lettore dare un giudizio sulla base esclusiva delle loro

azioni, di cui il narratore è solo un osservatore imparziale. Il racconto nudo e

crudo dei fatti, esposti senza alcuna mediazioni, appunto la mimesi – se

vogliamo rifarci alle teorie più classiche, o se preferite alla moderna regola

dello Show don't Tell – consente il più alto livello di coinvolgimento nella

narrazione.

Narratore interno: in questo caso potrebbe essere il protagonista stesso a

raccontare in prima persona la sua storia, o anche un testimone che ha

assistito all'evolversi della vicenda. Un esempio molto comune è quello di

Sherlock Holmes, le cui avventure sono sempre narrate dalla voce del suo

assistente Watson. In entrambi i casi la focalizzazione è comunque interna (N

= P) narratore e personaggio, in pratica, coincidono. È chiaro che chi legge

avrà una conoscenza dei fatti limitata alla diretta esperienza del narratore-

personaggio; ogni evento sarà filtrato dal suo giudizio e non sapremo nulla di

più o di meno di ciò che è già di sua conoscenza, cosa che scatena un forte

senso di empatia per il personaggio in questione.

Infine, una narrazione potrebbe avvenire mostrando di volta in volta il punto di

vista di tutti i personaggi coinvolti. È, il caso della focalizzazione multipla. In

questo genere di narrazioni il lettore non verrà mai a conoscenza di una verità

oggettiva dei fatti, perché come afferma lo scrittore Marco Lazzarotto, soltanto

il narratore esterno ha l'obbligo di riferire la verità, ma i personaggi possono

sempre mentire. La focalizzazione multipla, così, può essere un ottimo

espediente per rappresentare la simultaneità degli eventi all'interno di una

racconto.

Una classificazione più semplice del punto di vista può essere quella introdotta

da Jean Pouillon, che indica:

una visione alle spalle dei personaggi (N > P)

una visone con i personaggi (N = P)

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e una visione dal di fuori (N < P)

Va da se che una volta scelto il punto di vista da cui narrare una vicenda,

questo dovrà rimanere tale per tutta la durata del racconto, proprio affinché il

vostro romanzo nella sua totalità risponda alle regole di coerenza che abbiamo

indicato affrontando la caratterizzazione dei personaggi e la credibilità del

testo. Una componente fondamentale per ottenere questo risultato è l'armonia

dei tempi verbali: una narrazione al presente o una al passato, in prima o in

terza persona, produrranno effetti differenti – di distanza, simultaneità o

contemporaneità rispetto agli eventi – la scelta dipenderà dal grado di

conoscenza che il narratore ha della vicenda.

Un narratore onnisciente può iniziare il suo racconto partendo da qualsiasi

punto della storia e come abbiamo specificato, muoversi agilmente tra

flashback e anticipazioni; così come un narratore protagonista, può raccontare

al passato una vicenda già accaduta, volgendosi indietro nel tempo; i verbi al

presente, viceversa, daranno al lettore la sensazione che la storia si stia

svolgendo davanti ai suoi occhi nell'esatto momento in cui sfoglia le pagine del

libro, dandogli la consapevolezza che qualsiasi cosa potrebbe accadere.

Principali tecniche narrative

A seconda di dove vorremo posizionare il narratore rispetto alla storia ( interno

o esterno ) e ai personaggi ( focalizzazione interna o focalizzazione zero ) se

cioè lasceremo che la sua voce (la voce narrante) assuma il punto di vista di

uno o di tutti i protagonisti delle vicende narrate o semplicemente lo riporti al

lettore con giudizio critico o assoluta imparzialità, potremo allora mettere in

campo differenti tecniche narrative, a vari livelli del racconto:

Linguaggio

discorso indiretto libero: il narratore riporta le parole dei personaggi,

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ma omettendo quelli che sono i verbi introduttivi tipici del dialogo:

“disse” “chiese” “rispose” “affermò” ecc... ecc...).

È una tecnica dettata da un punto di vista assolutamente oggettivo, una

visione dal di fuori dei personaggi, che possono così esprimersi liberamente,

senza alcun filtro.

Giovanni Verga fu maestro di tale tecnica, spiegando, nell'introduzione a I

Malavoglia: “il linguaggio tende ad individualizzarsi, ad arricchirsi di tutte le

mezze tinte, dei mezzi sentimenti, di tutti gli artifici della parola onde dar

rilievo all'idea”.

monologo interiore: è un dialogo che il personaggio fa con se stesso,

riportato sulla pagina in uno stile diretto, così come avviene nella sua

mente, quindi, non sempre con una logica ben precisa, piuttosto per

associazione di idee; molto spesso al presente e in prima persona.

Presuppone una focalizzazione interna, ossia, la voce narrante è

ovviamente quella dello stesso personaggio.

Nella sua accezione più estrema si parlerà, invece, di flusso di coscienza,

tecnica che registra le sensazioni più intime di un personaggio, così come

sembrano affiorare appunto da suo inconscio, per questo viene riportato senza

alcuna punteggiatura, a volte eludendo del tutto le regole grammaticali.

Esempi più noti sono la Coscienza di Zeno di Italo Svelo e l'Ulisse di James

Joyce.

Monologo interiore il primo: “Era un’ultima sigaretta molto importante. Ricordo

tutte le speranze che l’accompagnarono. M’ero arrabbiato col diritto canonico

che mi pareva tanto lontano dalla vita e correvo alla scienza ch’è la vita stessa

benché ridotta in un matraccio. Quell’ultima sigaretta significava proprio il

desiderio di attività (anche manuale) e di sereno pensiero sobrio e sodo”.

Flusso di coscienza il secondo: “..eravamo stesi tra i rododendri sul

promontorio di Howth con quel suo vestito di tweed grigio e la paglietta / il

giorno che gli feci fare la dichiarazione / sì prima gli passai in bocca quel

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pezzetto di biscotti all'anice / e era un anno bisestile come ora sì 16 anni fa /”

Trama

espediente narrativo: “Si può immaginare una conversazione tra due

uomini su un treno. L'uno dice all'altro "Che cos'è quel pacco che ha

messo sul portabagagli?" L'altro "Ah quello, è un MacGuffin". Allora il

primo "Che cos'è un MacGuffin?" L'altro "È un marchingegno che serve

per prendere i leoni sulle montagne della Scozia". Il primo "Ma non ci

sono leoni sulle montagne della Scozia". Quindi l'altro conclude "Bene,

quindi non è un MacGuffin!". Come vedi, un MacGuffin non è niente”.

Così il maestro del cinema Alfred Hitchcock spiegava cos'è l'espediente

narrativo. Lui lo chiama MacGuffin, noi lo chiameremmo “Sarchiapone”; vi

ricordate la famosa gag di Walter Chiari? Ebbene, anche il Sarchiapone non era

niente, eppure, proprio per questa sua natura vacua è stato capace di dare vita

ad uno degli sketch più divertenti della televisione italiana, un botta e risposta

tra Walter Chiari e Carlo Campanini, che avrebbe potuto essere infinito.

Ovviamente, alla fine, il centro della scena è tutto dei due attori e a nessuno

importa più cosa ci sia dentro la gabbia coperta, che però è stata appunto

l'espediente narrativo, la scusa perché i due iniziassero a battibeccare; una

scusa capace di far emergere tutto il carattere di “italiano medio” dei

personaggi interpretati dagli attori.

Tornando alle regole della narratologia, l'espediente narrativo, sebbene non

necessariamente determinante per tutto lo sviluppo della storia – a volte può

essere soltanto una miccia per l'inizio di un racconto che poi procederà verso

tutt'altra direzione – è comunque un oggetto del desiderio per i personaggi, o

ciò che li ostacola nel raggiungerlo, quel qualcosa che li costringe ad agire e

quindi a portare avanti la trama, verso la risoluzione.

Citiamo noi stessi: “il protagonista ha messo in campo tutte le sue doti e gli

ostacoli sembrano ormai insormontabili, la svolta inaspettata arriva per

condurre, appunto, la storia verso la sua risoluzione, nel bene o nel male, al

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suo finale. ” In questo caso, si raccomanda fortemente di evitare le banalità, la

Provvidenza, i miracoli e le mosse di karate. L'espediente narrativo che

conclude una vicenda non deve far storcere il naso al lettore, dev'essere

sempre verosimile e coerente con le premesse della storia.

colpo di scena: è invece un evento inaspettato che ribalta

completamente l'evolversi della trama. È la tecnica che dovrebbe

scatenare in chi vi legge il famoso effetto sorpresa. Ma come si fa ad

ottenerlo? Come si fa a trasformare una gita in campagna in un

terrificante weekend di paura o un padre di famiglia in un assassino con

l'ascia in mano, senza che il lettore se lo aspetti? Innanzi tutto, proprio

avendo lavorato bene sulle premesse, cioè, sulla caratterizzazione dei

personaggi e le ambientazioni. Una volta catturato il lettore lo si può

spiazzare proprio andando a colpire le sue certezze, tutto ciò che ha

creduto di capire del mondo letterario in cui si è inoltrato. Questo implica

un livello di conoscenza minima degli eventi, un punto di vista limitato a

ciò che il narratore vorrà a mano a mano svelargli della trama.

Così, siamo in macchina con un gruppo di ragazzi, un po' fumati, che allegri se

ne vanno ad un concerto. La scena è divertente, cantano, le coppiette si

baciano, poi, prendono su un'autostoppista, una ragazza un po' cenciosa, ma

sono gli anni settanta, vestirsi male e viaggiare in autostop sono cose all'ordine

del giorno, solo che, all'improvviso, “BAM” la ragazza impugna una pistola e si

spara in bocca. Colpo di scena. Un'uscita felice si trasforma nell'inizio di “Non

aprite quella porta”. Ovviamente è un caso limite, nei thriller forse il lettore è

già predisposto ad essere spaventato, ma i meccanismi del colpo di scena

restano gli stessi per qualsiasi genere. Anzi, in una commedia o in un romanzo

drammatico l'effetto, se ben giocato, potrebbe risultare ancora più spiazzante.

finale aperto: espedienti narrativi e colpi di scena sono strumenti che

sicuramente vi aiuteranno nella stesura dell'epilogo della vostra storia. La

cosa importante una volta giunti al finale non è dare risposte a tutti gli

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interrogativi della vicenda o porre rimedio ad ogni conflitto dei

personaggi, piuttosto, mostrare chiaramente che un evoluzione è

avvenuta, un cambiamento palese rispetto alla condizione iniziale. La

tecnica del finale aperto, infatti, lascia il lettore a chiedersi ancora una

volta “e poi cosa accadrà?” Ma a patto che sia avvenuto il cambiamento

di cui sopra. Se i personaggi restano sempre uguali a se stessi, il lettore

non si porrà alcuna domanda, perché sarà sicuro che null'altro potrà

accadere di diverso da ciò che ha già letto.

Intreccio

Sappiamo, ormai, come in un romanzo l'ordine degli avvenimenti così come

l'autore decide di raccontarli, non corrisponde quasi mai a quello cronologico e

ancora come anche il tempo della storia (la durata effettiva della vicenda

narrata) e il tempo del racconto (la durata effettiva della narrazione) non

combacino praticamente mai. Per rendere sulla pagina questa sfasatura

temporale esistono due tecniche fondamentali: l'analessi (o flashback) e la

prolessi (flash-forward). Entrambe sono comunque interruzioni nello scorrere

sequenziale degli eventi, ma la prima ci torna utile per fare un salto indietro

nel tempo e mostrare o spiegare qualcosa che è accaduto prima dei fatti

esposti e ne ha determinato l'andamento; la seconda anticipa ciò che accadrà

successivamente. Gli effetti stilistici dell'uso di flashback e flash-forward

possono essere molteplici: si può confondere il lettore non lasciandogli mai

modo di capire quale sia il presente oggettivo vissuto dal protagonista della

storia, o viceversa chiarirgli ogni dettaglio della vicenda affinché ne riesca a

cogliere anche le tematiche più profonde, oppure, lo si può lasciare con il fiato

sospeso per qualcosa che sa che dovrà accadere, ma non sa esattamente

come.

Un esempio emblematico potrebbe essere il romanzo “Fuoco Pallido” di

Nabokov. È un libro particolare: la prima parte è costituita da un poema in

versi scritto da un fantomatico letterato americano, la seconda è occupata dalle

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note del curatore. Per quest'ultimo, il poema in realtà è solo un espediente

narrativo per raccontare la sua di storia, attraverso un serie di rimandi al

passato. La faccenda diventa intrigante, però, quando questo protagonista un

po' saccente, ci anticipa di essere venuto in possesso del manoscritto solo alla

morte del poeta di cui egli stesso è il sospettato principale. Il romanzo di

Nabokov è in pratica un compendio di tutte le tecniche elencate fin'ora. Ne

consigliamo caldamente la lettura.

E concludiamo con la tecnica della sospensione: come suggerisce il termine

stesso, anche attraverso questa tecnica si interrompe quello che è lo sviluppo

della trama principale, la si lascia appunto in sospeso per iniziare il racconto di

trame parallele, non in modo del tutto arbitrario, ma per dare al lettore

ulteriori elementi di comprensione e aprire così prospettive differenti su una

stessa vicenda. Alla fine tutti i percorsi dovranno ricongiungersi, andare a

ricomporre, come i pezzi di un puzzle, il quadro ultimo e definitivo della storia;

un quadro che per essere compreso necessita di uno sguardo dall'alto, un

punto di vista, come ormai sappiamo, esterno e globale su tutti i personaggi

coinvolti.

Aspetta!

Ho ancora qualche consiglio su come scrivere

↓La prima pagina e il primo capitolo

Eccoci giunti al momento cruciale: abbiamo tutti gli elementi – il tema del

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romanzo, la sua struttura, i personaggi e tutte le tecniche per gestirli al meglio

– quindi, ci siamo, è arrivato davvero il momento di farlo, è arrivato il

momento di scrivere. E come in tutte le cose, partiamo dal principio, dalle

prime righe della prima pagina del primo capitolo. Partiamo dall'Incipit.

L'Incipit è il vostro gancio per afferrare i lettori e trascinarli dentro il racconto.

L'Incipit deve promettere, deve far presagire che qualcosa accadrà e che quindi

vale la pena di continuare a leggere. Anche qui, la scelta delle parole dovrà

essere accurata per introdurre quello che sarà il tono generale di tutta la

vicenda. Un romanzo che inizia con un dialogo, prospetta un ritmo veloce, una

storia d'azione dai toni serrati, viceversa, un descrizione lenta ed accurata può

introdurci nella lettura di un romanzo classico d'altri tempi. Certo, non è

sempre così: un incipit può essere costruito per contrasto e iniziarci con

dolcezza ad storia cruenta, o con sarcasmo al sentimentale e così via.

Prendiamo come esempi alcuni degli incipit scritti dagli autori citati fino a

questo momento:

“Quel ramo del lago di Como d'onde esce l'Adda e che giace fra due catene non

interrotte di monti da settentrione a mezzogiorno, dopo aver formati vari seni e

per così dire piccioli golfi d'ineguale grandezza, si viene tutto ad un tratto a

ristringere; ivi il fluttuamento delle onde si cangia in un corso diretto e

continuato di modo che dalla riva si può per dir così segnare il punto dove il

lago divien fiume. Il ponte che in quel luogo congiunge le due rive, rende ancor

più sensibile all'occhio questa trasformazione: perché gli argini perpendicolari

che lo fiancheggiano non lasciano venir le onde a battere sulla riva ma le

avviano rapide sotto gli archi; e presso quegli argini uno può quasi sentire il

doppio e diverso romore dell'acqua, la quale qui viene a rompersi in piccioli

cavalloni sull'arena, e a pochi passi tagliata dalle pile di macigno scorre sotto

gli archi con uno strepito per così dire fluviale.

“I promessi sposi” Alessandro Manzoni.

“Sabbia a perdita d'occhio, tra le ultime colline e il mare - il mare - nell'aria

fredda di un pomeriggio quasi passato, e benedetto dal vento che sempre

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soffia da nord.

La spiaggia. E il mare.

Potrebbe essere la perfezione - immagine per occhi divini - mondo che accade

e basta, il muto esistere di acqua e terra, opera finita ed esatta, verità - verità

- ma ancora una volta è il salvifico granello dell'uomo che inceppa il

meccanismo di quel paradiso, un'inezia che basta da sola a sospendere tutto il

grande apparato di inesorabile verità, una cosa da nulla, ma piantata nella

sabbia, impercettibile strappo nella superficie di quella santa icona, minuscola

eccezione posatasi sulla perfezione della spiaggia sterminata. A vederlo da

lontano non sarebbe che un punto nero: nel nulla, il niente di un uomo e di un

cavalletto da pittore!.

“Oceano Mare” Alessandro Baricco.

Sebbene il ritmo sia molto diverso e le epoche in cui sono stati scritti

estremamente distanti, i due incipit, allo stesso modo, usano la descrizione

come fosse l'obiettivo di una camera da presa che da una visione globale del

paesaggio, rimpicciolisce il suo spazio di ripresa giù giù fino ad inquadrare

quella macchiolina, quel “punto nero” che sarà poi il protagonista o comunque

uno dei personaggi che porteranno avanti la storia. Quindi, un incipit che parte

dal generale per arrivare al particolare. Ma un incipit può anche catapultare il

lettore nel bel mezzo dell'azione, che è poi la maniera più efficace per tenerlo

ancorato alla storia. È un po' come entrare in una stanza e sorprendere due

persone che... bhé che litigano (che stavate pensando?). La cosa ci scatenerà

tantissime domande e lo stesso avviene quando il narratore ci introduce in una

vicenda proprio sul punto cruciale. Quale metodo migliore se non attraverso un

dialogo? Quando ciò che accade avviene nell'esatto momento in cui lo stiamo

raccontando.

Restiamo su Baricco:

-Allora, non c'è nessuno qui?...BRATH!...Ma che canchero, sono diventati tutti

sordi quaggiù... BRATH!

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-Non strillare, ti fa male strillare, Arold.

-Dove diavolo ti eri cacciato... è un'ora che sto qui a...

-Il tuo calesse è a pezzi, Arold, non dovresti andare in giro così...

-Lascia perdere il calesse e prendi 'sta roba piuttosto...

-Cos'è?

-Non lo so cos'è, Brath... che ne so io... è un pacco, un pacco per la signora

Rail...

-Per la signora Rail?

-È arrivato ieri sera... Ha l'aria di venire da lontano...

-Un pacco per la signora Rail...

Formidabile incipit di “Castelli di Rabbia”. Il successo è assicurato.

Ma prendete ad esempio il dialogo che apre il romanzo “La valle della paura” di

Arthur Conan Doyle:

"Io sono propenso a ritenere... " dissi.

"Già, infatti" m'interruppe Sherlock Holmes in tono d'impazienza.

Credo di essere uno dei più tolleranti mortali della terra, ma francamente il

tono sarcastico di quella interruzione m'indispettì

"Sa, Holmes" dissi seccato "che a volte lei mette a dura prova il suo prossimo?"

Ma era troppo assorto nei propri pensieri per dare una risposta immediata a

questo mio scatto.

Anche questo non ci anticipa nulla della vicenda, ma ci dice tutto dei due

protagonisti e ci immerge immediatamente in quei meccanismi tipici della

focalizzazione interna di un narratore-personaggio, ma non protagonista.

Watson si dichiara subito secondo e tutto ciò che apprenderemo sarà filtrato

dai suoi giudizi, infatti, noi lettori non possiamo sapere se davvero poi Holmes

è così insopportabile o solo preso dai suoi ragionamenti di investigatore

geniale. Ci toccherà continuare a leggere per capire.

Esistono anche incipit in cui è il protagonista in prima persona, invece, a

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presentarsi ai sui lettori, come nello stra-citato Moby Dick:

“Chiamatemi Ismaele. Alcuni anni fa - non importa quanti esattamente -

avendo pochi o punti denari in tasca e nulla di particolare che m'interessasse a

terra, pensai di darmi alla navigazione e vedere la parte acquea del mondo. È

un modo che ho io di cacciare la malinconia e di regolare la circolazione”.

In questo caso l'immedesimazione tra il lettore e il “malinconico Ismaele” è

immediata, è bastato rendere vivo il personaggio accennando subito ad una

sua emozione. Lo stesso effetto si potrebbe ottenere anche attraverso quel

gioco di anticipazione e flashback che abbiamo analizzato in precedenza:

Un tempo i Malavoglia erano stati numerosi come i sassi della strada vecchia di

Trezza; ce n'erano persino ad Ognina, e ad Aci Castello, tutti buona e brava

gente di mare, proprio all'opposto di quel che sembrava dal nomignolo, come

dev'essere.

“I Malavoglia” Giovanni Verga.

Il rimando a qualcosa che non è più è chiaro e ci predispone a leggere la storia

con lo stesso animo della “buona e brava gente”, che vive però in balia della

natura incostante del mare.

Ma se il rimando è a qualcosa che dovrà accadere, allora, saremo avidi di

sapere:

“Fuoco Pallido, poema in distici eroici di novecentonovantanove versi, suddivisi

in quattro canti, fu composto da John Francis Shade (nato il 5 luglio 1998 e

morto il 21 luglio 1959) durante gli ultimi venti giorni di vita, nella sua

abitazione di New Wye, Appalachia, USA.

[…] manoscritto che avevo provveduto a mettere al sicuro prima ancora che il

corpo avesse raggiunto la tomba”.

“Fuoco pallido” Nabokov

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Ci vuole molta pratica ed esercizio per ottenere tali effetti, soprattutto leggete

tanto e imparate dai grandi. Anche se è probabile che chi di voi ha in mente

una storia, visualizzi già un'immagine, una scena che accade per ora solo nella

pura immaginazione. Trasferirla sulla pagina non è cosa facile, ma le tecniche

elencate potrebbero certamente aiutarvi. Chiedetevi, prima di tradurre in

parole quella scena, chi sono i protagonisti e come sono arrivati fin lì. Poi,

scrivete e rileggete ad alta voce finché non trovate il vostro ritmo interno.

Ripetete l'esercizio per ogni scena dello schema, che avete strutturato

seguendo i primi consigli del manuale, perché ogni capitolo del vostro romanzo

dovrà funzionare come un mini-racconto, ognuno con il suo incipit e il suo

finale aperto per spingere il lettore verso il successivo.

In bocca al lupo e buona scrittura!

Fine!

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