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Una feconda contraddizione – Didattica indivualizzata vs didattica cooperativa? Il problema della valutazione all’incrocio tra le “due didattiche” Quaderni GRIMeD n°3 UNA FECONDA CONTRADDIZIONE DIDATTICA INDIVIDUALIZZATA VS DIDATTICA COOPERATIVA? Il problema della valutazione all’incrocio tra le “due didattiche” a cura di Chiara Cateni, Cristina Fattori, Roberto Imperiale, Brunetto Piochi, Adele Veste, Francesca Ricci EDIZIONI Il Capitello I

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Una feconda contraddizione – Didattica indivualizzata vs didattica cooperativa? Il problema della valutazione all’incrocio tra le “due didattiche”

Quaderni GRIMeD n°3

UNA FECONDA CONTRADDIZIONEDIDATTICA INDIVIDUALIZZATA VS DIDATTICA COOPERATIVA?

Il problema della valutazione all’incrocio tra le “due didattiche”

a cura diChiara Cateni, Cristina Fattori, Roberto Imperiale,

Brunetto Piochi, Adele Veste, Francesca Ricci

EDIZIONI

Il Capitello

I

Una feconda contraddizione – Didattica indivualizzata vs didattica cooperativa? Il problema della valutazione all’incrocio tra le “due didattiche”

Quaderni GRIMeD n°3

Il GRIMeD (Gruppo di Ricerca Matematica e Difficoltà) è un associazione priva di fini di lucro impegnata, da quasi un ventennio, nella promozione e nello svolgimento di attività di ricerca su insegnamento e apprendimento della matematica, con particolare riguardo ad allievi con disabilità o con difficoltà di apprendimento variante intese.

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Una feconda contraddizione – Didattica indivualizzata vs didattica cooperativa? Il problema della valutazione all’incrocio tra le “due didattiche”

Quaderni GRIMeD n°3

UNA FECONDA CONTRADDIZIONEDIDATTICA INDIVIDUALIZZATA VS DIDATTICA COOPERATIVA?

Il problema della valutazione all’incrocio tra le “due didattiche”

Elisa BORGA ­ Fabio BRUNELLI ­ Roberto CAPONE ­ Luciano CAPPELLO ­ Antonella CASTELLINI ­ ChiaraCATENI ­ Raffaele CIAMBRONE ­ Elena COSSER ­ Carla CROCIANI ­ Francesco CURATELLI ­ Katia DANZI ­Ginevra DE MAJO ­ Pietro DIMARTINO ­ Maria Assunta DI PAOLA ­ Lucia DORETTI ­ Eleonora FAGGIANO ­

Alfia Lucia FAZZINO ­ Federica FERRETTI ­ Fabiana FERRI ­ Michele Giuliano FIORENTINO ­ Santina FRATTI­ Aaron GAIO ­ Eleonora GUGLIOTTA ­ Roberto IMPERIALE ­ Elena LAZZARI ­ Daniela LUCANGELI ­ AndreaMAFFIA ­ Mariagrazia MARCARINI ­ Maria Alessandra MARIOTTI ­ Chiara MARTINENGO ­ Monica MATTEI ­

Maria Cristina MIGLIUCCI ­ Antonella MONTONE ­ Elisabetta OSSANNA ­ Maria PAGONE ­ DanielaPAVARINO ­ Patrizia PECORARO ­ Michele PERTICHINO ­ Paola PUGLIESE ­ Rosa PUPILLO ­ Luigi

REGOLIOSI ­ Giuditta RICCIARDIELLO ­ Ornella ROBUTTI ­ Lucia SALOMONE ­ Rosa SANTORI ­ DanielaSASSO ­ Erica SCAPIN ­ Leonardo TORTORELLI ­ F. Saverio TORTORIELLO ­ Annamaria TROCCOLI ­ Federica

TURRI ­ Romina VALENTINI ­ Ilaria VERONESI ­ Maria Cristina VIOLA

EDIZIONI

Il Capitello

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Una feconda contraddizione – Didattica indivualizzata vs didattica cooperativa? Il problema della valutazione all’incrocio tra le “due didattiche”

ISBN 9788842691549 Copyraight 2017 bi EDIZIONI Il Capitello S.P.A, Via A. San Sovino 243/22/B Torino

Tutti i diritti sono riservati, nessuna parte di questa pubblicazione può essere riprodotta, memorizzata o trasmessa per mezzo elettronico, elettrostatico, fotocopia, ciclostile, senza il permesso dell'editore.Composizione grafica e tipografica dei testi a cura di EDIZION Il Capitello

http:/ / www.capitello.it e-mail: [email protected]

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INDICE CD

Sezione Comunicazioni

Fabio BRUNELLI, Fabiana FERRI Problem Solving e Cooperative Learning in classi con allievi DSA e BES pag. 3 Roberto CAPONE, Ginevra DE MAJO, Patrizia PECORARO, F. Saverio TORTORIELLO Sport, Inclusione e Matematica: studio di caso in una scuola secondaria di I grado pag. 13 Roberto CAPONE, Paola PUGLIESE, F. Saverio TORTORIELLO, Ilaria VERONESI Quando la competizione diventa inclusione: una esperienza didattica con Scrum pag. 19 Antonella CASTELLINI Problemi? Non solo segmenti! pag. 24

Eleonora FAGGIANO, Michele Giuliano FIORENTINO, Antonella MONTONE, Michele PERTICHINO, Eleonora GUGLIOTTA, Maria PAGONE, Rosa PUPILLO, Giuditta RICCIARDIELLO, Annamaria TROCCOLI Un progetto in Didattica della Matematica:“riconoscersi” tra insegnanti di Scuola Primaria e Secondaria di Primo Grado su Contenuti, Metodologie e Valutazione pag. 29 Federica FERRETTI, Andrea MAFFIA Peer evaluation: apprendimento e valutazione formativa in matematica pag. 39

Aaron GAIO Orienteering e Matematica: algoritmi per la didattica cooperativa pag. 48 Elena LAZZARI Un'esperienza di Flipped Teaching nell'insegnamento-apprendimento della Matematica pag. 58 Mariagrazia MARCARINI Prima e dopo il Cooperative Learning: per una pedagogia dello spazio e un "#Evaluparty" pag. 68 Chiara MARTINENGO, Francesco CURATELLI Laboratori reali e virtuali: l'E-learning per una didattica cooperativa pag. 80 Maria Cristina MIGLIUCCI, Luigi REGOLIOSI Matematica per uno, Matematica per tutti! pag. 91 Maria Assunta DI PAOLA, Antonella MONTONE, Giuditta RICCIARDIELLO La Didattica Cooperativa per promuovere l'inclusione e il successo formativo di tutti e di ciascuno: le superfici piane e l'equiestensione con bambini DSA pag. 102

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Luciano CAPPELLO, Katia DANZI, Erica SCAPIN Alcuni percorsI di Probabilità.Tra il lavoro autonomo con materiali multimediali e il confronto in classe pag. 113 Leonardo TORTORELLI Geometriko: il modello inclusivo per imparare la Geometria pag. 124

Sezione Laboratori Antonella Castellini, Alfia Lucia Fazzino, Rosa Santori Capire…con le mani pag. 131 Carla CROCIANI, Lucia DORETTI, Lucia SALOMONE Problemi del Rally Matematico Transalpino. Dalla gara alla loro utilizzazione in classe in un’ottica di costruzione di saperi e di attivazione di competenze pag. 137 Santina FRATTI, Monica MATTEI, Daniela PAVARINO, Ornella ROBUTTI, Daniela SASSO, Romina VALENTINI Proposte di attività per una didattica inclusiva della matematica pag. 151 Elisabetta OSSANNA, Elisa BORGA, Chiara CATENI, Elena COSSER, Federica TURRI, Maria Cristina VIOLA Geometria con gli specchi: non solo simmetrie pag 169

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PROBLEM SOLVING E COOPERATIVE LEARNING IN CLASSI CON ALLIEVI DSA E BES

Fabio BRUNELLI1 e Fabiana FERRI1

1Istituto Comprensivo Masaccio, Firenze (FI)

Riassunto

Gli autori riferiscono di una sperimentazione ancora in corso nell’Istituto Comprensivo Masaccio di Firenze, dove utilizzano i testi dei problemi del Rally Matematico Transalpino in classi di scuola primaria e secondaria di primo grado. Le classi dove intervengono sono tutte con diversi allievi certificati come DSA o BES.

Introduzione

Digitando le parole “Gare di Matematica” in un motore di ricerca, appaiono termini quali “Università Bocconi”, oppure “Olimpiadi”, e la nostra mente corre a concetti quali “selezione”, “alunni superdotati”, “valorizzazione delle eccellenze”. Diversi colleghi ritengono, in questo senso, che le gare di matematica nelle scuole giovino soltanto agli allievi migliori e finiscano per emarginare ulteriormente quelli in difficoltà. Noi riteniamo al contrario che i testi di queste gare, utilizzati opportunamente con la metodologia del problem solving in piccolo gruppo, possano coinvolgere anche i ragazzi con difficoltà, con giovamento per loro e per tutti.

Metodologia La nostra metodologia è quella del Problem Solving e Cooperative Learning. Non siamo amanti delle terminologie straniere, ma l’espressione italiana “risolvere problemi” ci porta automaticamente a pensare ai problemi dei libri di testo, che generalmente sono solo esercizi, addirittura preceduti da titoletti del tipo “problemi con l’addizione”, “problemi sul Teorema di Pitagora”, ecc. Ci piace utilizzare la parola “problema” nel senso di George Polya: “problema” è una “domanda nuova” che richiede un “ragionamento nuovo” non ancora conosciuto da chi vuole soddisfarla. I testi da noi scelti provengono tutti dalla “banca dei problemi” dell’Associazione Rally Matematico Transalpino e sono stati prodotti nel corso degli anni da un gruppo di esperti di diversi paesi

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europei. Ogni problema è pensato per certi livelli scolastici. Nella nostra sperimentazione abbiamo constatato la ricchezza di spunti didattici provenienti dalla somministrazione dei testi anche a livelli scolastici più bassi o più alti di quelli previsti dagli estensori dei problemi. Questi testi possono essere proposti dall’insegnante in forma ludica (drammatizzare; disegnare la situazione di un problema; rappresentarla in un grafico, in uno schema; discutere con i compagni sulle possibili strategie risolutive da adottare …), così da favorire situazioni di apprendimento fortemente significative. Queste modalità didattiche contribuiscono a creare negli allievi un atteggiamento positivo nei confronti delle difficoltà e mobilitano molti tipi di intelligenze differenti.

Ambiente numeri 6° RALLY MATEMATICO TRANSALPINO - PROVA I gennaio 1998 ©ARMT Problema numero 8 IL RITARDATARIO Nella classe di Luca molti bambini hanno preso la brutta abitudine di arrivare a scuola in ritardo. La maestra propone un patto per i 25 giorni di scuola che mancano alle vacanze di Pasqua. Alla fine del periodo stabilito darà ad ogni bambino 3 caramelle per ogni giorno in cui è arrivato puntuale e ne chiederà 12 per ogni giorno di ritardo. Luca, che è stato presente 25 giorni, non riceve nemmeno una caramella ma neanche ne deve dare alla maestra. Quanti giorni Luca è arrivato in ritardo a scuola? Spiegate il vostro ragionamento. Campo concettuale: Aritmetica, logica. Livello: 4 - 5 - 6 - 7 - 8 Origine del problema: Università di Siena Classe Terza Primaria Nella classe terza dove abbiamo operato, il problema è risultato difficile. Solo due allievi, lavorando insieme nel loro gruppo lo hanno risolto. Tuttavia il lavoro è risultato come sempre proficuo e sono diversi le osservazioni e gli spunti didattici da segnalare. Osserviamo il protocollo migliore, formato da Pietro, Livia e da due compagne di livello modesto. Più che un procedimento di soluzione appare una verifica della soluzione: Luca è arrivato 5 giorni in ritardo a scuola e 20 giorni puntuale (Figura 1):

Figura 1 – Il protocollo migliore

Questo tipo di svolgimento non è raro; specialmente nei problemi non banali, alcuni allievi tendono a intuire la soluzione e, quando devono scrivere il procedimento risolutivo, scrivono una sorta di verifica, oppure un procedimento inverso: dalla soluzione arrivano ai dati. Nell’intervista seguita alla consegna Pietro, leader del gruppo, ha detto tre cose interessanti:

1. Ha ammesso di avere trovato il numero 20 con dei calcoli mentali grazie ad alcuni tentativi che non ha scritto nel protocollo.

2. Ha affermato che nei calcoli mentali è stato aiutato dalla compagna Livia. Lui decideva che calcoli fare e lei li eseguiva a mente e aggiunge: “Quando devo fare delle operazioni a mente a volte mi addormento …”

3. Riferendosi alle due compagne deboli facenti parte del gruppo: “Anche loro hanno lavorato!”

Livia conferma quanto detto da Pietro e aggiunge, riguardo alle due compagne di livello più basso che fanno parte del gruppo: “Loro hanno trovato i dati”.

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Consideriamo il lavoro errato di un secondo gruppo. Il protocollo è formalmente completo. Si leggono dei titoli in colore rosso: Operazioni, Diagramma, Risposta. Nell’intervista seguita alla consegna i ragazzi mostrano come hanno indicato nel loro protocollo con colore diverso le unità e le decine e come hanno riassunto le operazioni in un “Diagramma incatenato” (figura 2):

Figura 2 – Diagramma “incatenato”

Purtroppo il loro procedimento non ha senso. Spiegano di avere diviso 25 giorni per 3 caramelle ottenendo 8 bambini (durante l’intervista si accorgono di avere dimenticato nella divisione il resto di 1). Poi hanno moltiplicato 12 caramelle per 8 bambini ottenendo 96 giorni e infine sottratto 25 giorni a 96 giorni ottenendo 71 giorni, che è la loro soluzione. Nell’intervista ho chiesto diverse volte come poteva Luca arrivare in ritardo 71 giorni se i giorni di scuola mancanti alle vacanze di Pasqua erano solo 25. Ho dovuto insistere; è stato lento il cammino di consapevolezza che il loro risultato era impossibile, perché la risposta giusta doveva essere compresa necessariamente tra 0 e 25. In questo secondo gruppo di bambini vediamo, oltre alle difficoltà nella comprensione del problema, anche la mancanza del senso del numero. Abbiamo osservato la mancanza di senso e significato del numero anche in altri alunni. In un terzo gruppo i bambini hanno diviso 25 giorni per 2 giorni. Durante l’intervista ho chiesto il significato dei due giorni. Risposta: “Sono il sabato e la domenica!” Un quarto gruppo di alunni ha moltiplicato 25 per 3, ottenendo 75 giorni, poi ha diviso 75 giorni per 3, ottenendo 25 giorni, che viene infine fornito come soluzione del problema. Classe quarta primaria Abbiamo lavorato in una quarta di livello buono dove la maggior parte dei ragazzi divisi in gruppi hanno risolto il problema. Prendiamo in esame qualche protocollo. Il gruppo di Federico ammette di avere eseguito delle operazioni “sbagliate”, ma subito afferma che anche queste operazioni sono state utili alla comprensione del problema (figura 3):

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Figura 3 – Operazioni sbagliate ma utili I ragazzi hanno compreso e spiegato bene, sia nel protocollo che nella intervista il meccanismo base del problema (usano il termine “la base”), cioè guadagnare 12 caramelle in quattro giorni e perderle tutte e 12 il quinto giorno. Bello anche che i ragazzi siano consapevoli di avere dato ognuno il suo contributo, anche se riconoscono che qualcuno di loro “ha sparato”, nel senso di azzeccare la soluzione. Il secondo gruppo intervistato è meno omogeneo. Lapo è il leader indiscusso, che tuttavia riconosce di essere stato aiutato dagli altri. L’aspetto emotivo non è trascurabile: i ragazzi hanno litigato, uno ha pianto, ma si sono molto divertiti. Osserviamo nel loro protocollo una figura esplicativa che viene chiamata “grafico” (figura 4):

Figura 4 – Disegno esplicativo (“grafico” per gli alunni). L’orologio a sinistra (segna 8 e mezza) significa l’ingresso puntuale a scuola, con il guadagno di 3 caramelle. L’orologio a destra (segna le 9) rappresenta

l’ingresso in ritardo a scuola, con la perdita di 12 caramelle Nell’intervista due bambine discutono dell’ipotesi poi abbandonata che Luca, dovendo dare delle caramelle alla maestra, potesse anche andarle a comperare, fatto plausibilissimo nella vita reale, ma non funzionale al problema scolastico. Ci ricorda l’attore Massimo Troisi che, nella famosa scena del film “Scusate il ritardo”, si chiede come mai il contadino metta le uova proprio sotto i sacchi della farina e vada al mercato con le tasche bucate.

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Classe quinta primaria La classe quinta in cui abbiamo presentato il problema era suddivisa in dieci coppie e un gruppo di tre allievi. Si tratta di una classe particolarmente problematica: ci sono infatti tre alunni certificati DSA, un BES, un alunno con Sindrome di Down che segue una programmazione individualizzata e due alunni non certificati che presentano difficoltà cognitive nella risoluzione dei problemi. Solo due coppie su dieci non sono riuscite a risolvere il problema, mantenendo comunque un atteggiamento positivo nei confronti del lavoro svolto: “In un problema così serve logica e la volontà di non arrendersi”. Una coppia ha risolto il problema, ma senza saperlo spiegare e in questa coppia era presente uno dei due allievi che di solito ha difficoltà a portare a termine un percorso risolutivo. Aurora e Giovanna si sono inventate “lo schema a medusa” per risolvere il problema: “abbiamo pensato a quanti giorni di caramelle guadagnate occorrevano, 4 … per ripagare un giorno di ritardo … alla fine Luca arriverà 5 giorni su 25 in ritardo e così non prenderà ne dovrà dare nessuna caramella” (figura 5).

Figura 5 – “ Diagramma a medusa” Anche Sara e Guido hanno usato una rappresentazione grafica per risolvere il problema.

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Figura 6 – La rappresentazione grafica Sara nell’intervista dice di se stessa: “ …non sono molto brava a matematica, … ma ho aiutato Guido a scrivere la spiegazione … il problema comunque non era difficile!” Guido si giustifica di averla fatta scrivere a Sara perché ritiene di non avere una bella calligrafia (figura 6). Leo e Alessio, entrambi con PDP hanno trovato un modo tutt’altro che banale per risolvere il problema: procedendo per tentativi e usando ciascuno una calcolatrice: “ … abbiamo fatto delle operazioni … e abbiamo visto che numero ci veniva … fino a che non ci veniva lo stesso numero … 20 giorni sono le volte che Luca è arrivato puntuale e 5 sono i giorni che è arrivato in ritardo … così non ha dato nè ricevuto “ (figura 7).

Figura 7 – I tentativi con la calcolatrice Stefano ed Ilya hanno trovato quattro modi diversi di risolvere il problema (anche se nel quarto hanno fatto errori di calcolo). In questa coppia uno dei due bambini (con PDP) manifesta difficoltà di attenzione; è poco motivato a partecipare, specialmente nei lavori di gruppo e ha poca stima di se stesso. In questa attività invece si è sentito a suo agio e ha contribuito a dare il suo apporto con entusiasmo. Nell’intervista quasi non lascia parlare il compagno, voleva descrivere la situazione del problema, solo lui (figura 8).

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Figura 8 – I quattro tentativi

Scuola secondaria di primo grado, classe prima La classe è stata divisa in sette gruppi, come nella modalità gara. Il problema è stato risolto da tutti, ma la cosa non è stata banale: abbiamo assistito ad accese discussioni all’interno dei gruppi. Il gruppo di Michelangelo inizia molto bene, esplorando le due situazioni limite del problema (sarebbe stata contenta Emma Castelnuovo): 3 caramelle per 25 giorni di puntualità = 75 caramelle da avere dalla maestra; 12 caramelle per 25 giorni di ritardo = 300 caramelle da dare alla maestra. Individuati questi due numeri, che potremmo definire massimo e minimo della nostra situazione, prendono una strada sbagliata senza significato: 300 – 75 = 225 [?] e infine 300 : 25 = 9 [sbagliano anche a dividere] Zaccaria, che pure fa parte del gruppo di Michelangelo, aggiunge il suo procedimento: 3 x 25 = 75, 3 x 20 = 60, 12 x 5 = 60, 60 – 60 = 0 e conclude: “Luca è arrivato in ritardo 5 giorni. Questo modo di lavorare di Zaccaria lo abbiamo definito “procedimento - verifica” ed è basato sostanzialmente su una intuizione, su un calcolo mentale non esplicitato, che viene confermato da una verifica scritta. Il gruppo di Ginevra ha lavorato bene. Scrivono: 4 giorni puntuale e una volta in ritardo per 5 volte, 5 x 5 = 25 giorni in tutto, 25 – 5 (giorni in ritardo) = 20 (giorni puntuale) + 5 (giorni in ritardo) = 25 (giorni che mancano alle vacanze di Pasqua). Il procedimento è formalmente errato ed è al solito un “procedimento verifica”. In ogni caso i ragazzi alla fine forniscono la risposta corretta. Di questo gruppo faceva parte un allievo autistico, che ha fatto un disegno con l’aiuto di due compagne del gruppo ed è venuto alla lavagna a partecipare alla esposizione finale (figura 9):

Figura 9 – Disegno di Alberto Il gruppo di Gemma spiega bene a parole il procedimento corretto, ma quando si tratta di formalizzarlo in una espressione aritmetica commette errori di sintassi (figura 10)

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Figura 10 – Mancano i segni di addizione davanti alle parentesi Il gruppo di Evelina trova la soluzione. Curioso il suo protocollo che mostra un primo procedimento (corretto) cancellato e poi il procedimento-verifica già visto in altri gruppi (figura 11)

Figura 11 – Procedimento cancellato e procedimento -verifica Il gruppo di Desiree risolve e spiega piuttosto bene: “Luca accumula 12 caramelle in 4 giorni nei quali arriva puntuale, però un giorno arriva in ritardo e deve restituire alla maestra 12 caramelle, facendo ciò fino alle vacanze di Pasqua (25 giorni). Tuttavia nei “calcoli” (che sono sostanzialmente mentali e non scritti) mostra un tipico uso errato del simbolo uguale (figura 12)

Figura 12 – Classico esempio dell’uso dell’uguale con il significato di “corrisponde”, “e allora”, eccetera Ambiente figure 7° RALLY MATEMATICO TRANSALPINO - PROVA II marzo . aprile 1999 ©ARMT Problema numero 1. CHIODI E CORDICELLE

Elena e Mario hanno piantato 6 chiodi in una tavoletta come in figura. I due bambini hanno delle cordicelle e provano a formare dei triangoli legandole ogni volta intorno a tre chiodi. Mario riesce a formare 9 triangoli. Quando prova Elena ne forma 18. E voi, quanti triangoli riuscite a formare? Disegnate i vostri triangoli. Campo concettuale: Geometria, Calcolo combinatorio. Livello: 3 - 4 Origine del problema: Università di Parma

La risposta corretta è che i triangoli sono in tutto 18: 8 triangoli rettangoli isosceli piccoli, 4 triangoli ottusangoli scaleni, 4 triangoli rettangoli scaleni, 2 triangoli rettangoli isosceli grandi. Anche in questo caso abbiamo proposto il problema ad alunni di livelli molto diversi, con l’attenzione che nelle classi ci fossero alunni con difficoltà. Anche in questo caso i risultati non sono mancati.

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Classe quarta primaria Abbiamo proposto il problema in una quarta di livello medio. In realtà il problema era stato già affrontato e risolto dagli alunni con la loro insegnante, ma ugualmente lo abbiamo riproposto a coppie: gli allievi si sono impegnati e hanno voluto poi rispondere tutti alle nostre domande. A Ettore e a Jasmine abbiamo chiesto perché di un certo triangolo ne avevano formati solo due, mentre di un altro tipo ne avevano formati quattro (figura 13):

Figura 13 – Una parte del protocollo

Jasmine candidamente ha risposto che altri avrebbero potuto trovare anche ulteriori triangoli. Invece Ettore ha insistito nel dire che non ce n’erano altri: “Di questi ce ne sono otto, perché sono più piccoli, quattro in alto e quattro in basso. Di questi ce ne sono solo quattro, perché sono più grandi, due con la punta in su e due con la punta in giù. Questi sono solo due; sono come una freccia, o va a destra, oppure a sinistra, …” Questi ragazzi ci hanno regalato l’emozione e lo stupore di vedere un ragionamento ancora in embrione. Anche la coppia più debole della classe, costituita da un alunno seguito da una insegnante di sostegno perché con certificazione DSA (dislessico e discalculico) e da una compagna di livello basso, ha trovato tutti i diciotto triangoli della soluzione. Osserviamo un certo disordine: le figure uguali non sono raggruppate e i chiodi sono stati disegnati al centro dei quadretti, invece che all’incrocio delle linee del foglio (strategia più conveniente seguita spontaneamente dai compagni). Tuttavia durante l’intervista il bambino con difficoltà ha dimostrato una sorprendente memoria visiva, indicando con sicurezza ogni figura: “Questo l’ho trovato per primo, questo l’ha trovato lei, questo è di Paolo che poi è andato via”. La sua compagna era ammirata: “Lui è stato il più bravo! Li ha trovati tutti e 18 prima degli altri compagni!” (figura 14).

Figura 14 – Una parte del protocollo

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Conclusioni Il metodo cooperativo in coppie o in piccolo gruppo e il problem solving coinvolgono sia la dimensione disciplinare che la dimensione affettiva e sociale; inoltre favoriscono negli allievi l’uso consapevole delle proprie conoscenze e abilità, la costruzione delle competenze, la costruzione di un atteggiamento positivo nei confronti dell’errore e il superamento di atteggiamenti negativi verso la disciplina. Questi metodi sollecitano anche abilità trasversali, coinvolgendo molte più intelligenze negli allievi, rispetto a quanto può fare l’insegnamento tradizionale della matematica. Alunni di livello basso, che di solito durante il lavoro più consueto hanno difficoltà e rimangono esclusi, in queste occasioni intervengono costruttivamente e riescono a dare apporti utili al lavoro del gruppo. Questo tipo di esperienza riesce a trasformare i ruoli tradizionali: l’insegnante da mero trasmettitore diventa sempre di più mediatore e regista; l’allievo da mero ricettore passivo di conoscenze diventa sempre di più costruttore attivo e consapevole delle proprie conoscenze.

Bibliografia

POLYA G, 1945, How to Solve It - A New Aspect of Mathematical Method. Anche nella recente edizione a cura dell’Unione Matematica Italiana: “Come risolvere i problemi, Logica ed euristica nel metodo matematico”, UTET Università, 2016 (figura 15).

GRUGNETTI L & JAQUET F, (a cura di), Il Rally matematico transalpino. Quali apporti per la didattica?, Atti delle Giornate di studio sul Rally Matematico Transalpino, Brighe 1997-1998, Pitagora Editrice, Bologna.

Figura 15 – La recente edizione italiana del testo di George Polya

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SPORT, INCLUSIONE E MATEMATICA: STUDIO DI CASO IN UNA SCUOLA SECONDARIA DI I GRADO

Roberto CAPONE1, Ginevra DE MAJO2, Patrizia PECORARO2, F. Saverio TORTORIELLO1

1Università degli studi di Salerno – Fisciano (SA) 2Istituto Comprensivo “Picentia” – Pontecagnano (SA)

La realizzazione dell’attività didattica, che andremo a descrivere, si colloca nell'ambito del progetto SIM (Sport, Inclusione, Matematica). Tale progetto è una sperimentazione didattica promossa dal gruppo di ricerca di Didattica della Matematica del Dipartimento di Matematica dell’Università di Salerno e realizzata dai docenti dell’Istituto Comprensivo “Picentia” di Pontecagnano (SA). Il progetto si colloca nella cornice teorica dell’Enattivismo: l’azione è la chiave di volta dell’insegnamento; non si può pensare all’insegnamento da un punto di vista esclusivo, che sia quello dell’insegnante o quello dell’alunno, esso dev’essere interpretato come un percorso da fare insieme, di mutuo arricchimento, in cui l’insegnante non è l’esperto che trasmette concetti ma colui che dirige l’azione degli studenti (Damiano, 1993). È necessaria una nuova interpretazione dell’apprendimento, in cui l’alunno che apprende può essere paragonato allo scienziato che scopre: l’azione è a carico del soggetto, alla didattica è demandato il compito di ricreare gli ambienti adeguati per favorirlo, rispettando le sue caratteristiche personali e le sue tappe di sviluppo. (Bruner, 2009) La motivazione che ci ha spinto a progettare attività didattiche innovative nasce da una analisi epistemologica ben descritta dalle parole di Resnick: “La scuola richiede prestazioni individuali, mentre il lavoro mentale all’esterno è spesso condiviso socialmente; la scuola richiede un pensiero privo di supporti, mentre fuori ci si avvale di strumenti cognitivi o artefatti; la scuola coltiva il pensiero simbolico, nel senso che lavora su simboli, mentre fuori della scuola la mente è sempre direttamente alle prese con oggetti e situazioni; “a scuola si insegnano capacità e conoscenze generali, mentre nelle attività esterne dominano competenze specifiche, legate alla situazione.” (Resnick, 1995). Questa analisi si unisce alla consapevolezza che la didattica frontale non basta più: ne sono convinti docenti e istituzioni, tuttavia non sempre si riesce a svincolarsi da certi schemi che sono ancora consuetudine nella pratica educativa. L’ingegneria didattica che sta alla base della nostra idea progettuale mira a fondere due approcci apparentemente antipodici: una strategia deduttiva di tipo top-down, che muove dall’individuazione degli scopi per ricavarne le modalità dell’azione didattica, e una strategia induttiva, di tipo bottom-up, che muove dalle caratteristiche dell’esperienza didattica per risalire alle finalità che persegue (M. Baldacci, 2004). Abbiamo preferito un modello d’insegnamento centrato sullo studente, diretto dallo studente e facilitato dall’insegnante, che potesse attivare maccanismi motivazionali ed emozionali partendo da problematiche suggerite dagli studenti stessi e formalizzandole in esperienze dirette. Si è scelto come nucleo tematico, in base alle Indicazioni nazionali per il curricolo, “Dati e Previsioni”. L’esperienza didattica è stata realizzata con gli studenti delle classi prime della Scuola Secondaria di I grado. Gli studenti, partendo da un compito autentico1, hanno svolto una indagine statistica sulla tendenza alla pratica sportiva tra i ragazzi della scuola e sullo sport da essi preferito, confrontando i dati anche con quelli nazionali. Il compito autentico sottoposto agli studenti è stato il seguente:

1 I compiti di prestazione o compiti autentici sono “problemi complessi, aperti, posti agli studenti come mezzo per dimostrare la padronanza di qualcosa” (Glatthorn, 1999).

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“Il Consiglio d’Istituto della scuola deve decidere se concedere, per tre giorni settimanali, in orario pomeridiano, l’uso della palestra alla società di basket “Virtus”, che si impegnerebbe a corrispondere 2.000 euro/anno, oppure ampliare l’offerta formativa della propria utenza, utilizzando la palestra per realizzare progetti extracurricolari di sport. Svolgi un’indagine statistica sulla tendenza alla pratica sportiva tra i ragazzi della tua scuola e sullo sport da essi preferito, confrontando i dati anche con quelli nazionali, al fine di orientare le scelte della scuola nella direzione più consona alle esigenze della propria utenza”. La scelta di proporre agli studenti un compito autentico ben si coniuga con l’esigenza di mobilitare le risorse interne dello studente per risolvere problemi, per ricercare soluzioni, per attivare una didattica per competenze2. La scelta dell’argomento è legata all’esigenza didattica di proporre un compito che fosse significativo per lo studente e legato al suo contesto di vita. La scelta di porre gli studenti di fronte a un problema aperto e complesso, ovvero di fronte a situazioni impegnative, che contenessero una dimensione di sfida in rapporto alle conoscenze ed esperienze possedute, nasce dall’esigenza didattica di sollecitare l’attivazione delle loro risorse interne e di porli di fronte a differenti modalità di soluzione. Con tale attività, ci si è proposto che gli studenti raggiungessero i seguenti traguardi di sviluppo delle competenze: saper ricercare dati per ricavare informazioni e costruire rappresentazioni (tabelle e grafici), saper ricavare informazioni da dati rappresentati in tabelle e grafici, usare consapevolmente gli strumenti di calcolo e le potenzialità offerte da applicazioni di tipo informatico, utilizzare consapevolmente le modalità di interazione con i coetanei e gli adulti, consolidare l’autostima; unirsi ai pari in attività di studio proposte (realizzazione e somministrazione questionari, elaborazione dati, ecc.), potenziare le modalità di interazione e comunicazione tramite l’osservazione sistematica di azioni altrui, eseguire in gruppo attività teorico-pratiche proposte dai docenti. Gli obiettivi specifici di apprendimento relativi all’attività svolta sono: saper svolgere un’indagine statistica; utilizzare consapevolmente rappresentazioni grafiche e strumenti di calcolo; analizzare e interpretare rappresentazioni di dati. L’attività, nel suo complesso, vuole far riflettere sui rapporti da instaurare tra scuola e vita, tra riflessione ed esperienza; in altre parole si tratta di riconoscere i link esistenti tra la modalità di conoscenza propria della scuola e la complessità del mondo reale. Si è proposto agli allievi di studiare la tendenza, recente, alla pratica sportiva diffusa a livello nazionale tra i ragazzi dell’età compresa tra i 11 e i 14 anni, e di confrontarla con quella diffusa tra i ragazzi della propria scuola. Il primo problema che hanno affrontato è stato individuare la fonte da cui attingere i dati nazionali. Individuata la fonte, hanno dovuto leggere tabelle e grafici, e ricavarne le informazioni utili. Hanno poi organizzato l’indagine statistica a livello di scuola, al fine di ricavare i dati necessari per attuare il confronto. Una ulteriore indagine statistica, all’interno della scuola, è stata effettuata per individuare gli sport preferiti, gli impianti sportivi frequentati presenti sul territorio, e quanto l’ambiente in cui vivono risponda alle loro esigenze sportive. Lo studente è stato sollecitato a elaborare una prestazione complessa e locale, riferita a un problema concreto; la conoscenza è scaturita dall’interazione concreta con un contesto reale, instaurando una relazione ricorsiva tra esperienza e conoscenza, teoria e pratica; l’insegnamento ha assunto la conoscenza come evento complesso, globale, situato, multidimensionale, per il quale qualsiasi operazione di delimitazione e semplificazione richiede di essere ricondotta alle sue relazioni con il tutto (M. Castoldi, 2005) Una delle metodologie utilizzate nelle attività didattiche realizzate è il cooperative learning. Il gruppo è diventato una risorsa per la risoluzione del problema, non semplicemente il contenitore entro cui si colloca il processo di apprendimento individuale, bensì l’amplificatore e il collettore delle potenzialità individuali.

2Consideriamo la competenza come un sistema coordinato di conoscenze e abilità che sono mobilitate dal soggetto in relazione ad uno scopo (un compito, un insieme di compiti o un’azione) che lo interessano e che favoriscono buone disposizioni interne motivazionali e affettive (Pellerey 2003).

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L’esperienza didattica realizzata ha messo in evidenza come una azione collaborativa tra pari ha contribuito al miglioramento delle competenze anche di studenti in difficoltà, così come è emerso dai test di verifica. È migliorata, inoltre, l’autostima negli studenti e si è sempre registrata una motivazione allo studio degli argomenti affrontati molto alta. L’autobiografia cognitiva proposta a ciascun allievo come momento di riflessione personale al termine del percorso, sotto forma di questionario, ha fatto emergere il grande entusiasmo e il notevole interesse per l’attività svolta. La discussione, la progettazione, la suddivisione in gruppi di lavoro, la collaborazione di tutti per la realizzazione di un prodotto complesso, non privo di difficoltà soprattutto nella creazione delle tabelle, sono state le esperienze positive più evidenziate dagli allievi. Gli studenti, nell’ottica di una didattica interdisciplinare, partendo dalla raccolta dei dati statistici, hanno avuto modo di approfondire temi di natura storica attraverso l’evoluzione delle Olimpiadi nel corso dei secoli. La didattica per competenze, infatti, è stata intesa come proposta didattica interdisciplinare che consentisse punti di osservazione secondo ottiche poliscopiche e rotatorie nella prospettiva di superare un sapere parcellizzato e chiuso all’interno della singola disciplina. [Le competenze] non possono ridursi ad una sola disciplina; esse suppongono e creano delle connessioni tra conoscenze e suggeriscono nuovi usi e nuove padronanze, il che significa che “le competenze generano competenze” (D’Amore, 2000). Una attenzione particolare ha rivestito lo studio delle paralimpiadi per sottolineare quanto lo sport sia in grado di unire le persone, concependo la diversità non come una barriera ma come punto di partenza per costruire un vero e proprio percorso di vita. Sport e scuola sono stati visti nell’ottica dell’integrazione e della condivisione, come due grandi vettori di crescita umana, culturale e sociale. Questo percorso di investigazione della realtà, ha favorito lo sviluppo delle capacità di problem posing e problem solving. Ha, inoltre, investito diversi aspetti: psicologici, percettivi, linguistici e pratici. Durate tutto il percorso, infatti, si è sempre cercato di attivare i processi dell’argomentare e del congetturare per favorire il passaggio dalle nozioni intuitive e dai livelli operativi a forme di pensiero deduttivo e a livelli astratti o virtuali. Di seguito, riportiamo i risultati ottenuti in termini di competenze e di motivazione allo studio. Nella definizione del profilo di competenza (Trinchero, 2015) abbiamo tenuto conto di tre indicatori: Interpretare - Ci si attende che gli allievi individuino la fonte da cui attingere i dati nazionali. - Selezioninotraidatipresentinellafonte,soloquellinecessariallarisoluzionedel

problema.- Leggano e interpretino i grafici in essa rappresentati. Agire - Descrivano il fenomeno su cui intendono indagare. - Identifichino chi è interessato al fenomeno. - Formulino domande inerenti al fenomeno considerato. - Scelgano e disegnino le tabelle per la raccolta delle informazioni - Effettuino lo spoglio. - Trascrivano ed elaborino i dati, calcolando le frequenze assolute, relative, percentuali. - Costruiscano grafici a colonne, graduandoli opportunamente. - Utilizzino EXCEL per costruire tabelle e grafici a colonne. - Argomentino sulle attività svolte. Autoregolarsi

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- Riconoscano la validità del proprio operato, individuando i punti da migliorare e come migliorarli. Tenendo conto di questi tre indicatori, è stata stilata la seguente rubrica di valutazione:

INTERPRETARE A

Livello avanzato

14%

B Livello intermedio 69%

C Livello base 12%

D Livello iniziale 4%

L’alunno: Individua autonomamente la fonte più autorevole dalla quale attingere i dati nazionali. Seleziona in modo esaustivo solo i dati utili alla risoluzione del problema. Legge e interpreta correttamente i grafici in essa rappresentati.

L’alunno: Individua autonomamente più fonti dalle quali attingere i dati nazionali. Seleziona i dati più significativi da fonti diverse. Legge e interpreta correttamente i grafici rappresentati

L’alunno: Condivide consapevolmente la scelta della fonte dalla quale attingere i dati nazionali. Seleziona solo alcuni dati. Legge i grafici rappresentati e, se guidato, interpreta correttamente i grafici rappresentati.

L’alunno, se guidato: Individua, la fonte dalla quale attingere i dati nazionali. Seleziona, i dati più significativi. Legge i grafici rappresentati

AGIRE

A Livello

avanzato 9%

B Livello

intermedio 61%

C Livello base 25%

D Livello iniziale 4%

L’alunno: Pianifica la sequenza delle azioni autonomamente. Descrive con precisione e correttezza tutte le caratteristiche delle attività prese in esame e individua il loro possibile utilizzo.

L’alunno: Pianifica il lavoro in sequenze di azioni in modo dettagliato. Descrive in modo efficace le principali caratteristiche delle attività prese in esame ed il loro possibile utilizzo.

L’alunno: Pianifica il lavoro in sequenze di azioni essenziali. Descrive alcune caratteristiche delle attività prese in esame e alcuni aspetti del loro possibile utilizzo.

L’alunno, se guidato: Svolge il lavoro in sequenze di azioni essenziali. Descrive le caratteristiche essenziali delle attività prese in esame.

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AUTOREGOLARSI

A Livello

avanzato 9%

B Livello intermedio 61%

C Livello base 25%

D Livello iniziale 4%

L’alunno: Motiva argomentando in modo corretto e articolato le scelte delle soluzioni applicate e le sostiene. Trova errori nelle soluzioni applicate dimostrando di riflettere sulle proprie scelte e individua soluzioni alternative.

L’alunno: Motiva argomentando in modo corretto le scelte delle soluzioni applicate. Trova errori nelle soluzioni applicate e riflette su di essi.

L’alunno: Motiva, se guidato, alcune scelte delle soluzioni proposte. Trova, se guidato, alcuni errori nelle soluzioni applicate.

L’alunno: Non motiva le scelte delle soluzioni proposte. Non trova errori nelle soluzioni applicate anche se guidato.

In relazione a ciascun indicatore, è stata riportata la percentuale degli studenti che hanno raggiunto i livelli di competenza descritti. Sia dai risultati in tabella, sia dalle risposte delle autobiografie cognitive si può rilevare il successo dell’azione formativa e l’efficacia della metodologia adottata.

Bibliografia BALDACCI M. (Ed.)., 2004, I modelli della didattica, Carocci.

BRUNER J. S., 2009, The process of education, Harvard University Press.

CASTOLDI, M. Insegnamento muro e ponte, L’Educatore, (1), 08.

DAMIANO E., 1993, L’azione didattica: per una teoria dell’insegnamento, Roma: Armando Editore.

D’AMORE B., 2000, La Didattica della Matematica alla svolta del millennio: radici, collegamenti e interessi, La matematica e la sua didattica, 3, 407-422.

RESNICK L.B., citata in G. Wiggins, Creating test worth taking, “Educational Leadership”, 49, agosto 1992, pp. 26-33.

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RESNICK L.B., 1987, Learning in School and Out, “Educational Researcher”, 16/9, pp. 13-20 (trad. it. in C. Pontecorvo, A.M. Ajello, C. Zucchermaglio (a cura di), I contesti sociali dell’apprendimento, LED, Milano 1995, pp. 61-83).

TRINCHERO R., 2015, Costruire, valutare, certificare competenze. Proposte di attività della scuola, Franco Angeli

WIGGINS G., Creating test worth taking, cit., pp. 26-33.

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QUANDO LA COMPETIZIONE DIVENTA INCLUSIONE: UNA ESPERIENZA DIDATTICA CON SCRUM

Roberto CAPONE1, Paola PUGLIESE2, F. Saverio TORTORIELLO1, Ilaria VERONESI2

1Università degli studi di Salerno – Fisciano (SA) 2Liceo Scientifico Statale “Mancini” – Avellino

Le finalità educative assumono, nella scuola delle competenze, una rilevanza sociale: lo studente deve sviluppare l’attitudine ad organizzare la conoscenza in una comunità in/di apprendimento dove l’insegnante ha la responsabilità non solo di una corretta acquisizione da parte dello studente dei saperi disciplinari, ma anche di coinvolgerlo da un punto di vista emozionale e motivazionale. In questo processo, la scuola è chiamata ancor più a divenire luogo educativo per favorire l’apprendistato alla vita e all’incertezza, l’educazione alla cittadinanza europea e planetaria (Morìn, 2000). La realizzazione dell’attività didattica, che andremo a descrivere, si colloca nell'ambito del progetto "Liceo Matematico" (Capone et al., 2016). Tale progetto è una sperimentazione didattica promossa dal gruppo di ricerca di Didattica della Matematica del Dipartimento di Matematica dell’Università di Salerno. Il Liceo Matematico (LM) fonda le sue radici dottrinali sulle idee filosofiche postmoderne in didattica della matematica (Tortoriello, 2015). Parte del programma educativo è riconducibile alla teoria della complessità di E. Morin che ben si coniuga con il panorama didattico attuale della scuola delle competenze. Esso si articola in corsi aggiuntivi di approfondimento rispetto ai normali corsi scolastici, tesi ad ampliare la formazione dell’allievo e finalizzati a svilupparne le capacità critiche e l’attitudine alla ricerca scientifica. Uno degli scopi del LM è quello di offrire allo studente saperi e competenze affini alla matematica, per potersi orientare consapevolmente nei diversi contesti del mondo contemporaneo; attraverso l’integrazione delle “due culture” e il superamento della dicotomia tra sapere umanistico e sapere scientifico si cerca di cogliere gli aspetti più significativi della matematica attraverso la realtà. Questo percorso di investigazione della realtà, ha favorito lo sviluppo delle capacità di problem posing e problem solving. Ha, inoltre, investito diversi aspetti: psicologici, percettivi, linguistici e pratici. Si è sempre cercato di attivare i processi dell’argomentare e del congetturare per favorire il passaggio dalle nozioni intuitive e dai livelli operativi a forme di pensiero deduttivo e a livelli astratti o virtuali. Una delle metodologie utilizzate nelle attività didattiche del LM è la metodologia Scrum che si basa sulle recenti teorie del cooperative learning che favorisce lo sviluppo cognitivo come processo sociale e la capacità di ragionare aumenta nell'interazione con i propri pari e con persone maggiormente esperte (Vygotsky, 2010). Interagendo con i propri pari, lo studente opera una maggiore elaborazione cognitiva e può ammettere e chiarire la propria confusione. (McKeachie, 1990). Inoltre, lavorare in gruppo accresce le capacità di ragionamento critico. “Scrum è un framework che consente alle persone di risolvere problemi di tipo adattivo complessi e al tempo stesso di rilasciare prodotti di altissimo valore in maniera efficace e creativa” (Ken Schwaber, Jeff Sutherland, 2011). Nella definizione degli autori della guida ufficiale a Scrum, è racchiusa l’essenza di questo strumento che centinaia di migliaia di team di progetto sparsi per il mondo impiegano ogni giorno per realizzare prodotti di valore legati all’ambito della programmazione del software. Il termine trova radici nel Rugby ed indica la «mischia». La metafora fotografa il team come un’unica entità sul campo (il progetto) che deve lavorare insieme in modo che tutti gli attori spingano nella stessa direzione agendo come un unico elemento coordinato.

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Così come durante questa fase i giocatori della medesima squadra si aiutano reciprocamente con l’obiettivo comune di entrare in possesso della palla e andare a meta, allo stesso modo i membri di un team di sviluppo comunicano e si aiutano reciprocamente per raggiungere gli obiettivi che si sono posti. Durante la gara serve il contributo di tutti i giocatori per arrivare alla meta: di quelli più tozzi e robusti per fare muro contro la squadra avversaria, di quelli più agili per correre alla meta, di quelli più alti per recuperare più agevolmente il pallone durante i lanci. Questa metafora è stata trasposta nelle nostre attività. Il docente propone un argomento che viene scomposto in più unità. Gli allievi si dividono in gruppi ciascuno dei quali sceglie di occuparsi di una unità. Ogni allievo diventa quindi esperto di un sotto-argomento e si formano dei nuovi gruppi. Nel nuovo gruppo ciascun allievo ha il compito di spiegare ai compagni la parte di materiale di cui è esperto e verificarne l’apprendimento da parte dei compagni. Al termine ciascun allievo viene valutato sulla conoscenza e sulla comprensione di tutto il materiale. L’utilizzo della metodologia Scrum destruttura completamente l’idea di didattica trasmissiva di tipo tradizionale (mastery learning). E’ destrutturata, nel contempo, sia l’idea di progettazione didattica basata su aspetti programmatici, sia l’idea di una progettazione didattica in cui gli argomenti di studio si presentano in forma paradigmatica. È destrutturato anche l’ambiente di apprendimento e riadattato al concetto di “mischia” non nel senso del disordine che può rievocare il termine, quanto piuttosto nell’idea di inclusione, di ripianificazione continua ma non lasciata al caso. Le attività sono tutte connaturate di un forte aspetto laboratoriale. Il laboratorio di matematica non è un luogo fisico diverso dalla classe, è piuttosto un insieme strutturato di attività volte alla costruzione di significati degli oggetti matematici. Il laboratorio, quindi, coinvolge persone (studenti e insegnanti), strutture (aule, strumenti, organizzazione degli spazi e dei tempi), idee (progetti, piani di attività didattiche, sperimentazioni).” “L’ambiente del laboratorio di matematica è in qualche modo assimilabile a quello della bottega rinascimentale, nella quale gli apprendisti imparavano facendo e vedendo fare, comunicando fra loro e con gli esperti.” (Commissione UMI-CIIM) Il percorso didattico ha coinvolto studenti di due classi prime e una classe seconda del Liceo Scientifico “P.S. Mancini” di Avellino che hanno aderito al Progetto “Liceo Matematico” ed è stato integrato con le attività curriculari. Le attività si sono snodate lungo tutto il corso dell’anno e dal mese di novembre ad oggi ci sono stati quattro incontri con cadenza mensile. L’obiettivo dell’attività didattica è lo sviluppo della competenza “modellizzare”, con attenzione sia a quelle relative all'obbligo di istruzione sia a quelle chiave per la cittadinanza attiva. In particolare, ci si riferisce alle competenze chiave Progettare, Collaborare e partecipare, Risolvere problemi, Individuare collegamenti e relazioni, Acquisire ed interpretare informazioni. Nei mesi di novembre e dicembre si sono organizzate gare a squadre svolte in palestra senza sedie e banchi. In tale modo gli allievi si sono sentiti liberi, anche nella postura corporea, di esprimersi nel modo a loro più comodo. Gli allievi sono stati divisi in gruppi non omogenei di 4 o 5 alunni al massimo ed è stata loro proposta la risoluzione di quesiti impostati sulla modellizzazione di problemi o domande con contesti di realtà. Al primo incontro (novembre) i problemi proposti avevano un grado di difficoltà minore rispetto al secondo incontro (dicembre). Al primo incontro gli allievi hanno lavorato dapprima quasi totalmente in autonomia, cercando di risolvere i quesiti senza chiedere aiuto o confrontarsi; solo successivamente hanno compreso l’importanza della collaborazione reciproca e hanno iniziato ad interagire nel gruppo. Al secondo incontro si è notato un potenziamento delle dinamiche relazionali, maggiore “fiducia” alle attività dei compagni di squadra, si è vista una suddivisione dei compiti su base volontaria. Inoltre, è affiorata la figura del leader che suggeriva strategie da adottare richiamando problemi affini a quelli proposti. Il risultato è stato che i gruppi hanno risolto in

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maniera completa ed organica la quasi totalità dei quesiti proposti. I docenti hanno svolto il ruolo di osservatori. In una seconda fase, svoltasi nei mesi di gennaio e febbraio, gli allievi sono stati suddivisi in tre gruppi omogenei per livelli di competenze. Agli alunni della classe prima sono stati proposti dei puzzle (logici) in legno di figure tridimensionali da ricostruire. Le istruzioni sono state fornite su un unico foglio piccolo per osservare la reazione del gruppo. Si è osservato un comportamento diversificato nei vari livelli: nel gruppo più debole dove inizialmente si sono udite frasi del tipo “non ce la faremo mai”, “l’ho visto varie volte ma non sono mai riuscito a risolverlo”, gli alunni hanno fatto subito squadra e collaborando hanno anche completato per primi la costruzione (contro ogni loro aspettativa). Hanno avuto una grande gratificazione personale per il successo conseguito. Entro la fine dell’attività è comunque emersa la figura di un leader nel gruppo tra pari. La squadra di livello intermedio dapprima si è confrontata su chi dovesse far prevalere la propria posizione, poi con spirito collaborativo hanno lavorato a turno e hanno completato la figura. La squadra del terzo livello, il più alto, non ha completato la costruzione. Infatti subito è partita la gara su chi dovesse far prevalere la propria posizione, gli allievi si contendevano il foglietto delle istruzioni e i pezzi del puzzle. Si è notata subito la competizione per la leadership che ha penalizzato il lavoro di squadra, solo successivamente è prevalso lo spirito collaborativo e si sono messi a lavorare ma il tempo era ormai agli sgoccioli e non hanno completato la figura. Nella seconda superiore invece è stata proposta una la risoluzione di una griglia logica dal titolo “per un giorno speciale” (da un brano informativo opportunamente scritto, come quelli che si trovano sulle riviste in commercio, si devono dedurre informazioni). Si è osservato un comportamento diversificato nei vari livelli: nel gruppo più debole, dopo un iniziale entusiasmo, si è avuto un calo di impegno in concomitanza di alcune difficoltà interpretative del brano. Nel gruppo non c’è stato nessuno che ha cercato di superare lo scoglio (assenza di un leader positivo) e poco dopo gli allievi hanno smesso di cimentarsi. La squadra di livello intermedio dapprima si è confrontata, poi ha lavorato con spirito collaborativo mettendo a disposizione di tutti le abilità individuali, senza che nessuno dominasse gli altri, ma essendo tutti protagonisti positivi. Hanno risolto per primi la griglia. Il gruppo del terzo livello, ha discusso su chi dovesse far prevalere la propria posizione, volevano tutti imporsi sugli altri e, alla fine ognuno ha lavorato autonomamente (alcuni si sono anche isolati fisicamente). Gli allievi hanno risolto la griglia ma non c’è stato lavoro di gruppo. Le attività Scrum descritte si sono basate sulla teoria del processo di apprendimento detta ShuHaRi. Si tratta di un vero e proprio percorso di crescita, diviso in fasi che deriva dalle arti marziali giapponesi, in particolare l’Aikido. Il modello di apprendimento a cui si rifà Scrum è di tipo generativo. Le soluzioni non nascono da conoscenze pregresse come per l’apprendimento adattivo (single loop learning) ma nascono da continue discussioni in un atteggiamento sperimentale continuo e da ricerche di nuovi elementi orientati alla risoluzione di problemi (double loop learning). L’essenza del generative learning consiste nel non considerare il cervello come un consumatore che passivamente riceve delle informazioni, piuttosto come costruttore attivo che giunge alle deduzioni attraverso l’interpretazione delle informazioni. Questa impostazione si rifà alla teoria vygotskijana della co-construction: l’elemento creativo e individuale emerge grazie al cambiamento cognitivo che si esplica nel Zona di Sviluppo Prossimale in cui il venire a conoscenza, la trasformazione, ricostruzione e ristrutturazione si esplica in un contesto sociale (Vygotskij, Cole, 1987). L’attività didattica, in un’ottica inclusiva, è conservativa, nel senso che il raggiungimento di obiettivi specifici di apprendimento è indipendente dal percorso seguito ma è funzione solo dello stato iniziale e dello stato finale. Una proposta didattica può prevedere che tutti gli allievi seguano il medesimo percorso, oppure che, in tutto o in parte, tale percorso si differenzi. In assenza di attriti cognitivi o altri ostacoli epistemologici, lo stato finale raggiunto dagli studenti sarà lo stesso. Ma questo si verifica solo in un processo didattico ideale. Nella realtà, la presenza di ostacoli può comportare anche il raggiungimento di obiettivi differenziati. In altre

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parole, itinerari alternativi possono essere previsti per compensare difficoltà in vista del conseguimento di traguardi uniformi, oppure per conseguire traguardi consapevolmente diminuiti. Al termine delle attività proposte, agli studenti è stato somministrato un questionario anonimo. Dai dati si evince che il 90% ha dichiarato di trovare più piacevole la matematica perché ne ha scoperto l’utilità nel risolvere anche problemi concreti, il 10% ha apprezzato l’attività ma non è in grado di riscontrarne l’utilità in relazione al percorso curricolare. I risultati conseguiti dagli studenti sono riscontrabili anche quantitativamente. Infatti, nel periodo novembre febbraio si sono svolte varie gare di matematica all’interno dell’Istituto. Prendendo come riferimento gli alunni del biennio (coerentemente con le classi coinvolte nel progetto) è emerso che, su un campione di 548 alunni, di cui 63 afferenti alle classi che hanno aderito al progetto “Liceo Matematico”, ovvero una percentuale di 11,5%, dei 12 alunni qualificati per le fasi successive delle Olimpiadi della Matematica, 5 sono del Liceo Matematico (42% del totale). Ai Giochi della Bocconi si sono qualificato 6 studenti dell’Istituto; di questi, ben 5 afferiscono al Liceo Matematico (83% del totale). Al premio Aldo Morelli, si sono qualificati 5 studenti del biennio, di cui 4 del Liceo Matematico (80%). L’azione collaborativa tra pari non si è limitata a potenziare le performances degli alunni eccellenti, come risulta dai dati riportati; ha portato ad un miglioramento delle competenze di tutti gli studenti, anche di quelli in difficoltà, così come è emerso dai test di verifica effettuati su argomenti del programma curricolare. È migliorata anche l’autostima negli allievi e si è sempre registrata una motivazione allo studio degli argomenti affrontati molto alta. Al termine delle attività proposte, agli studenti è stato somministrato un questionario anonimo. Dai dati si evince che il 90% ha dichiarato di trovare più piacevole la matematica perché ne ha scoperto l’utilità nel risolvere anche problemi concreti, il 10% ha apprezzato l’attività pur non essendo allo stato attuale ancora in grado di riscontrarne l’utilità in relazione al percorso curricolare.

Bibliografia

CAPONE R., 2015, Valutare per competenze in Matematica e in Fisica, In "Iniziative di formazione docenti nella Scuola Secondaria di Secondo Grado nel Piano Lauree Scientifiche in collaborazione con il MIUR" – Regione Campania - ISBN 88-8160-271-7.

CAPONE, R., IACONO, U. D., TORTORIELLO, F. S., & VINCENZI, G., 2016, Math high school: a teaching proposal. In History and Pedagogy of Mathematics.

R. CAPONE, MARZANO A.,TORTORIELLO F.S., 2016, La vicarianza dell'esperienza: cultura umanistica e cultura scientifica tra sapere, azione, e riflessione, Congresso SIRD.

CAPONE R., DE LUCA R., LAUDANO F., TORTORIELLO F.S., VINCENZI G., 2016, Math High School: New Perspective in Science Education, Atti Convegno EDaSS, La Coruna 2016 – Spain.

MC KEACHIE W. J.,1990, Research on college teaching: The historical background, Journal of educational psychology, 82(2), 189.

MIUR, 2010, Art.8 del Regolamento recante “Revisione dell’assetto ordinamentale, organizzativo e didattico dei licei ai sensi dell’art. 64, comma 4, del d.l. 25 giugno 2008, n. 112, conv. dalla legge 6 agosto 2008, n. 133”.

MORIN E., 1993, Introduzione al pensiero complesso Gli strumenti per affrontare la sfida della complessità, Sperling & Kupfer, Milano

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SCHWABER K., & SUTHERLAND J., 2011, The scrum guide. Scrum Alliance, 21.

TORTORIELLO F. S., 2015, Nietzsche e la matematica dionisiaca. Archimede, 67(2), 82-87.

VYGOTSKIJ L. S., & COLE M., 1987, Il processo cognitive, Torino: Boringhieri.

VYGOTSKIJ, L. S., 2010, Storia dello sviluppo delle funzioni psichiche superiori, Giunti Editore.

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PROBLEMI? NON SOLO SEGMENTI!

Antonella CASTELLINI I.Comprensivo 1, Poggibonsi (SI)

Riassunto I cosiddetti “problemi con i segmenti” sono ritenuti uno dei punti fondamentali nella scuola secondaria di primo grado. Il nome deriva dal fatto che per la risoluzione viene utilizzato il “metodo grafico” ovvero una rappresentazione dei dati con dei segmenti. Nei testi di solito viene presentato come un modo per risolvere un non meglio precisato “tipo di problema” mentre in altri si riferisce a “problemi di tipo algebrico”. Il metodo quindi è considerato come uno strumento indispensabile, come una chiave, anzi “la” chiave per risolvere tutti i problemi di quel gruppo senza sapere in realtà perché si faccia, a quale gruppo di problemi si riferisca, perché funzioni. Tutto questo a patto che l’alunno riesca a fare questa rappresentazione che in realtà, la maggior parte delle volte, diventa un problema nel problema. La difficoltà sta nel fatto che il nodo concettuale risiede non nella risoluzione del problema ma più a monte, nella traduzione da un linguaggio ad un altro, nella decodifica di alcuni dati “di tipo relazionale e non assoluto. Si chiede in pratica di passare da un linguaggio delle parole ad un linguaggio simbolico e poi ad uno figurato con la rappresentazione dei segmenti. Questo passaggio attraverso diversi registri semiotici invece di facilitare la comprensione la rende complessa e astratta; da qui la necessità di rivedere il percorso che deve iniziare da una riflessione sul linguaggio. Ho pensato di usare una diversa forma di rappresentazione che, a differenza del segmento, rendesse visibile e più comprensibile le quantità discrete. Con questa modalità si cerca di tradurre il testo e di rendere “visibili” le relazione fra i dati per arrivare solo in un secondo tempo alla formalizzazione dello stesso; la risoluzione vera e propria arriva solo dopo come fase conclusiva di un percorso che va dalla lettura alla modellizzazione . Questa modalità di approccio porta velocemente e naturalmente al concetto di traduzione in equazione.

Testo prima della risoluzione I “problemi con i segmenti” sono in realtà problemi risolubili con equazioni (addirittura sistemi di equazioni) che nella prassi della scuola secondaria di primo grado italiana vengono affrontati nella prima classe. Nella maggior parte dei testi vengono “incasellati” in una famiglia di problemi risolubili con procedure standard secondo il cosiddetto metodo grafico che, appunto, usa dei segmenti. Poiché l’incognita non è necessariamente la lunghezza di segmento ma rappresenta genericamente una quantità da determinare, il termine stesso problemi con i segmenti è fuorviante. Inoltre gli allievi vengono “ingabbiati”, dal docente che la propone, in una struttura preconfezionata da lui ritenuta utile proprio perché standard mentre in realtà è articolata e complessa perché passa attraverso diversi registri rappresentativi. Gli allievi incontrano spesso difficoltà nella risoluzione perché vanno a ricercare meccanismi risolutivi imposti e in realtà non chiari. Il percorso, a mio avviso, deve iniziare da una analisi attenta del linguaggio per poi aprirsi alla visualizzazione e alla ricerca di strategie risolutive.

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Ho cercato di capire quali fossero gli ostacoli incontrati dai ragazzi e mi sono resa conto che molto spesso non riescono a cogliere dati diversi da quelli numerici; perdono quelli di tipo relazionale e poi non sanno gestirli. Questo è stato dunque l’inizio. Le informazioni relazionali Abbiamo lavorato sui testi senza occuparci di risolvere il problema e questo ha già lasciato perplessi gli allievi che sono fortemente ancorati al classico problema numerico con calcoli e relativa ricerca di soluzione. Per prima cosa abbiamo cercato di riconoscere le informazioni relazionali e poi su queste abbiamo iniziato la “formalizzazione”. Le relazioni semplici come doppio e triplo ecc, in qualche modo sembrano essere comprese abbastanza bene mentre altre tipo l’esempio seguente, creano dubbi e difficoltà. Marta ha 7 caramelle più di Francesca. Come possiamo scrivere questa informazione sempre in parole?

• M. ha le caramelle di F. ma con 7 in più • Le caramelle di M. sono tante quanto quelle di Francesca con altre 7 • Il numero delle caramelle di M. supera quello delle caramelle di F. di 7 ecc

Ho chiesto poi di cambiare il soggetto e invece delle caramelle di Marta partire da quelle di Francesca:

• Francesca ha 7 caramelle in meno di Marta E successivamente di mettere il 7 come soggetto:

• 7 sono le caramelle che Marta ha in più • 7 è la differenza fra quelle di Marta e quelle di Francesca.

Per accorciare le scritture, dopo diverse discussioni, siamo arrivati a condividere che M = numero delle caramelle che ha Marta F = numero caramelle che ha Francesca e abbiamo provato a riscrivere l’informazione vista da diversi soggetti in modo più “corto” : M = F + 7 F = M – 7 7 = M – F Successivamente ho fatto il viceversa dando loro informazioni simili e chiedendo di tradurle in linguaggio naturale in più modi cioè scegliendo i vari “soggetti” e il tutto è stato oggetto di discussione collettiva in classe. Un punto critico è stato comprendere il termine “supera”; in questo contesto non è inteso come sinonimo di è più grande che porta ad una relazione d’ordine ma essendo un “supera di” va inteso come una uguaglianza. Molti altri sono gli esempi che si possono fare. Il disegno come appropriazione del testo. Dopo questa fase sono passata a cercare una forma di rappresentazione diversa dal segmento. Dato che nella maggior parte dei casi si lavora su quantità discrete, almeno inizialmente, indicare arbitrariamente un segmento come quantità incognita è proprio disorientante. I ragazzi associano al disegno già una quantità fissa che “vedono” nella lunghezza stessa del segmento disegnato. Ho pensato allora di rappresentare l’incognita con un contenitore che non facesse vedere la quantità al suo interno ma che fosse ben comprensibile che questa c’era ed era da determinare. Ho utilizzato un bicchiere di plastica colorata con all’interno ceci: si sentiva che c’erano ma non sapevamo quanti! Ovviamente ogni bicchiere deve contenere la stessa quantità! La rappresentazione concreta dell’esempio precedente è questa che permette di visualizzare benissimo la differenza tra una x (il bicchiere) e gli elementi di x (i ceci)

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F M Che è ben diversa da questa che viene invece tradizionalmente usata F M Riflettiamo: il segmento grigio che idealmente dovrebbe rappresentare il “7” perché è stato disegnato più corto del nero? Potrebbe essere più lungo? Mi serve sapere se è più lungo o meno? Come faccio a capire che è 7? E 7 cosa? Centimetri? Lunghezza di quadretti del quaderno? Credo che questo basti a comprendere quanto per gli allievi sia astratta questa rappresentazione che invece viene considerata una modalità unica tanto da dare il nome ad una famiglia di problemi! Ovviamente posso dare rappresentazioni diverse e chiedere di verbalizzare in lingua naturale e in simboli matematici: esempio Lucia Mario si tradurrà ad esempio in : Mario ha uno (figurine, anni ecc) in più del doppio di (figurine anni ecc) di Lucia M = 2 · L + 1 Finalmente la risoluzione Una volta che i ragazzi si sono “appropriati” dei dati relazionali, di questa simbologia e della relativa rappresentazione grafica diventa facile risolvere un problema come il precedente se ad esempio conosco la somma M + L = 28. Visivamente è immediato: tolgo 1 da 28 e divido per 3 il risultato: trovo l’incognita (numero dei ceci contenuti nel bicchiere). Si procede analogamente se si conosce la differenza e anche per il caso somma e differenza di cui molti docenti mi chiedono spiegazione. Esaminiamolo nel dettaglio: a+b= 15 e a-b= 3 La procedura standard indicata dai testi è : dalla somma si toglie la differenza e si divide per 2 per trovare il valore più piccolo e poi, aggiungendo al risultato la quantità sottratta, si trova il più grande. Abbastanza meccanica e senza senso per un alunno! Questo problema, che sarebbe risolubile con un sistema perché ha due incognite, si trasforma in una equazione se si procede cambiando il soggetto ovvero scrivendo a = b+3 (in pratica metodo di sostituzione). Verso l’algebra Il passo successivo è la vera formalizzazione algebrica; ormai il bicchiere può essere sostituito con lettere o altro. La classica x con cui solitamente si indica l’incognita, resta comunque associata per l’alunno alla quantità da determinare nel contenitore e questo lo aiuta fortemente anche nel calcolo algebrico che affronterà negli anni successivi. Riprendendo il problema precedente M = 2 · L + 1 e M + L = 28 otteniamo : L = x M = 2x + 1 da cui x + 2x + 1 = 28 ovvero 3x + 1 = 28 . se i ragazzi sono abituati a lavorare con le operazioni inverse e in generale a “cambiare soggetto” diventa facile comprendere che 3x = 27. Il passo successivo è chiaramente dividere per 3. In classe io utilizzo quella che loro chiamano macchinetta:

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+ Conclusioni Inserisco come conclusione il commento di una collega che ha provato questo percorso: Quest'anno ho provato. Con parecchi timori in realtà. E' un po' che ci lavoriamo e adesso i ragazzi indicano il mucchio con "x" e scrivono equazioni che risolvono aiutandosi con le macchinette. Ho notato che, oltre a essere più utile, ai ragazzi risulta molto più facile (e piacevole) lavorare così piuttosto che con i segmenti. Per esempio, ad un certo punto ho dato un problema del tipo "somma e differenza tra due quantità". Con i segmenti alla fine il metodo risolutivo lo davo io perché nessuno lo trovava e mezza classe non lo capiva. Con i mucchi, senza dire niente, hanno fatto tutto da soli con facilità. Giada Bini Bibliografia CASTELLINI A., 2016, Against problem solving by segment method, http://www.edimast.it/journals/index.php/edimast/article/view/32/29

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UN PROGETTO IN DIDATTICA DELLA MATEMATICA: “RICONOSCERSI” TRA INSEGNANTI DI SCUOLA PRIMARIA E

SECONDARIA DI PRIMO GRADO SU CONTENUTI, METODOLOGIE E VALUTAZIONE

Eleonora FAGGIANO1, Michele Giuliano FIORENTINO1, Antonella MONTONE1, Michele

PERTICHINO1, Eleonora GUGLIOTTA2, Maria PAGONE3, Rosa PUPILLO4, Giuditta RICCIARDIELLO5, Annamaria TROCCOLI6

1 Dipartimento Di Matematica – Università degli Studi di Bari “Aldo Moro” 2 I.C. “San Giovanni Bosco”, Massafra (TA)

3 I.I.S.S. “Fiore-Sylos”, Terlizzi (BA) 4 I.C. “Massari – Galilei”, Bari (BA) 5 I.C. “Balilla – Imbriani”, Bari (BA)

6 S.S. 1° Grado “Manzoni”, Rutigliano (BA)

Riassunto

Una progettazione didattica in comune fra Insegnanti di Scuola Primaria e Secondaria di Primo Grado è la modalità “vincente” per la costruzione di un curricolo verticale: l’esempio della valutazione

Introduzione

Il progetto è ispirato all’analisi della realtà scolastica, sociale e culturale del nostro territorio, alle richieste emerse dal lavoro pluriennale svolto con gli insegnanti, ai problemi legati all’Insegnamento-Apprendimento della Matematica nella Scuola Primaria e nella Scuola Secondaria di Primo Grado, nonché al confronto con le specifiche ricerche nazionali e internazionali in questi ordini di scuola. Nell’anno 2015/2016 il Progetto ha riguardato circa 90 insegnanti di Scuola Primaria e Secondaria di Primo Grado. Si sono organizzati 3 incontri di formazione della durata di 8 ore svolti in 3 intere giornate e un incontro finale di 3 ore. Ciascun incontro si è sviluppato attraverso una prima parte dedicata ai fondamenti e alle metodologie didattiche del tema previsto e in laboratori, guidati da insegnanti già presenti nei precedenti progetti, finalizzati a costruire materiali da poter sperimentare nelle classi e ricavarne proposte operative. Nei laboratori, “orizzontali”, svolti in sessioni parallele di 4 ore, insegnanti di scuola primaria e secondaria di I grado hanno lavorato insieme per costruire percorsi e attività in continuità verso un curricolo verticale. Motivazioni sul lavoro comune fra insegnanti di Scuola Primaria e Secondaria di Primo Grado L’obiettivo centrale del progetto è stato quello di “riconoscersi” nel lavoro comune tra gli insegnanti dei due ordini di scuola, non solo sui contenuti disciplinari e sulle diverse metodologie di approccio e di sviluppo dei temi nodali della Matematica, ma anche su diverse modalità di valutazione nei due ordini di scuola. Non è consuetudine che insegnanti dei due ordini di scuola progettino e realizzino insieme curricoli verticali, anzi spesso vige una sostanziale diffidenza reciproca; pensiamo quindi che questa sia una “buona prassi”, per una vera costruzione di un

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curricolo verticale, un’esperienza significativa per vivere una scuola ormai indirizzata verso gli Istituti Comprensivi. Infine l’atteggiamento costante verso la ricerca e la sperimentazione ha favorito sempre più il realizzarsi della figura, ormai irrinunciabile nella Scuola Italiana del terzo millennio, del docente-ricercatore. Quadro di riferimento culturale: il rapporto tra valutare in Didattica e valutare in Didattica della Matematica (Pertichino e Laforgia, 2006) La Matematica? “Un gioco nell’aria, per dir così. O addirittura fuori dell’aria, in regioni senza polvere, comunque”. Questa la delicata definizione che Thomas Mann dà della Matematica in Altezza Imperiale. Definizione che, oltre ad essere straordinariamente suggestiva, appare particolarmente efficace a descriverne la levità e quella sua incredibile capacità di addentrarsi in territori ignoti, in viaggi sul limitare del possibile (Musil, 1940). Leggerezza e spirito di avventura che, tuttavia, spesso si perdono nell’insieme delle prassi stanche e routinarie della quotidianità e nelle vuote liturgie che, solennemente, si autodefiniscono quali “criteri, strumenti e procedure di valutazione”. E che invece contribuiscono a strutturare e consolidare sbigottimento per un sapere matematico che appare indeterminato e indistinto, e ansia per il timore di non essere in grado di riprodurre ciò che è stato trasmesso senza essere appreso. Troppo spesso la valutazione è stata strumento notarile finalizzato a legittimare la transizione di un allievo ai livelli scolastici superiori; e per anni, dentro il nostro sistema scolastico, è stata mezzo di selezione, correlato all’estrazione sociale degli studenti; teso a riprodurne le disuguaglianze in entrata, in una Scuola che non si era ancora posta in termini concreti e reali il problema dello svantaggio e dell’insuccesso, del de/condizionamento e del recupero, di una possibile equivalenza degli esiti dentro storie di diversità. Per anni la valutazione è stata tema dibattuto e questione annosa per docenti e alunni e per le famiglie, cui sovente arrivano messaggi di scarsa chiarezza e di insufficiente efficacia. Molteplici i motivi di insoddisfazione, ma comune la sensazione di mancata trasparenza e scarsa attendibilità. Fonti diverse, in modo diverso, hanno tentato di fornire criteri oggettivi di valutazione cui riferirsi, tentativo che non ha diminuito il disagio valutativo dei docenti, consapevoli del fatto che si tratta di strumenti e pratiche che non riescono a mettere a valore la qualità e le diverse modalità di apprendimento di alunni “reali e veri” che mostrano stili di apprendimento plurali, competenze non omogenee, provenienti da storie diverse, che sfuggono anche all’uso delle tecniche più raffinate. Giambelluca e Letta (2005), nel sottolineare tale disagio, suggeriscono di utilizzare un curricolo per soglie di padronanza, organizzato in unità di lavoro articolate in fasi, che preveda prove di verifica in grado di stanare le competenze che realmente si intende testare. Di immediata efficacia la metafora di Niss (1993) che intende la valutazione come un vettore costituito di componenti: il soggetto e l’oggetto della valutazione, gli item, le occasioni; le procedure e le circostanze; il giudizio e la registrazione; la comunicazione dei risultati. In cui i soggetti principali sono legati da una sorta di “contratto valutativo” che si può ipotizzare ricalcato sul modello del contratto didattico di Brousseau. Dal lavoro d’indagine compiuto con gli insegnanti del nostro progetto, è emersa una sostanziale uniformità di modalità e strumenti di valutazione i quali spesso si riducono a griglie che, attraverso indicatori e/o descrittori, attribuiscono una valutazione docimologica mediante cui ogni indicatore ha un peso e di cui poi si fa la media. Dalle indagini è affiorata un’ansia legata, forse, al fatto che le griglie provengono prevalentemente da studi di tipo umanistico e che, nel processo di adattamento che subiscono, elevano, nei docenti, il senso di disagio, avendo la valutazione in Matematica, una specificità strettamente legata ai tratti distintivi della disciplina. È da precisare, inoltre, che, per gli studenti, risulta difficile scoprirsi esaminatori di se stessi attraverso verifiche oggettive, in quanto i test – scrivono Ellerani e Pavan (2003) riportando le considerazioni di Brooks – “sono strutturati per determinare se gli studenti

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conoscano informazioni relative a un particolare corpo di conoscenza. Il focus è esterno, sui materiali, non interno e non una costruzione personale”. L’insegnamento, invece, scriveva Bruner già nel 1971, dovrebbe condurre ogni allievo a scoprire per se stesso. Parlare agli studenti e poi valutarli su ciò che è stato detto produce dipendenza ed una motivazione solo estrinseca all’apprendimento e, per ciò stesso, insufficiente. Un altro degli aspetti su cui si sofferma la letteratura da noi indagata, è il gap tra i modi di insegnamento/apprendimento della Matematica che sono andati evolvendosi, e le più tradizionali pratiche di valutazione, ancora poco attente, nonostante le indicazioni che provengono da recenti ricerche internazionali, OCSE e PISA, alla valutazione di competenze intese come “capacità di attivare e coordinare le proprie risorse interne e di valorizzare quelle esterne disponibili, al fine di portare a termine in maniera valida ed efficace un compito, o una classe di compiti, socialmente rilevante” Pellerey (2004). Tuttavia, pur lungo un cammino irto di difficoltà, la ricerca in campo valutativo è proseguita fino ad occupare un ruolo fondamentale negli interessi professionali di molti docenti, come nel caso del nostro gruppo di ricerca che si è posto l’intento di analizzare l’esistente e di confrontarlo con il quadro teorico della letteratura, per orientare attività di ricerca, finalizzate ad elevare la qualità della valutazione in Matematica. D’altronde – scrive Baldacci (2001) - all’interno di una cultura didattica avanzata è necessario riconoscere alla valutazione il compito fondamentale di regolazione dell’azione didattica, necessario per governare un processo complesso come quello dell’insegnamento- apprendimento in una situazione collettiva. Matematica e Valutazione autentica Alternativa o autentica (Comoglio, 2002) è la valutazione considerata come contrapposta alla valutazione tradizionale o auto/referenziale. La riflessione intorno alle possibilità di una valutazione autentica si è sviluppata negli Stati Uniti negli anni ’90, in contrapposizione a valutazioni fondate essenzialmente su test standardizzati. La prospettiva di una “valutazione alternativa” è stata proposta da Wiggins nel ‘93 ed indica una pratica valutativa che intende verificare non solo e non tanto ciò che uno studente sa, ma ciò che sa fare con ciò che sa, in situazioni adulte, il più possibile vicine a contesti di vita reale. “Valutando, infatti, le abilità e le conoscenze degli studenti in un contesto di mondo reale, gli studenti apprendono il “come” applicare le loro conoscenze e abilità in compiti e contesti diversi.” (Ellerani e Pavan, 2003). Se, invece, delimitassimo l’azione valutativa solo a ciò che un allievo ha appreso, saremmo in grado di controllarne solo l’apprendimento come riproduzione e ricordo di concetti isolati, il cui possesso non dimostra effettive capacità di ragionamento e di soluzione di problemi in situazioni di vita, il processo di costruzione delle conoscenze e la capacità di applicazione di quanto appreso. La valutazione autentica, che ha nell’authentic task uno dei pilastri fondamentali (Ellerani 2005), è una pratica che permette ai docenti di comprendere se gli studenti siano in grado o meno di trasferire ciò che hanno appreso in situazioni nuove, il più possibile simili a situazioni di realtà. Una valutazione che voglia essere autentica dovrebbe accertare, infatti, proprio la capacità di utilizzare le conoscenze apprese e possedute in compiti autentici, attraverso l’attivazione di processi di pensiero complessi. E consentire un giudizio in relazione alle capacità “di pensiero critico, di soluzione dei problemi, di metacognizione, di efficienza nelle prove, di lavoro in gruppo, di ragionamento e di apprendimento permanente” (Arter & Bond 1996). E mettere in campo capacità di osservazione, riflessione e autovalutazione negli insegnanti e negli studenti, concorrendo a rendere migliore il processo d’insegnamento-apprendimento nella sua interezza. Efficace la descrizione delle caratteristiche della valutazione autentica in Wiggins. Essa ha luogo durante il processo d’istruzione e non dopo, e fornisce risultati immediati, tali da consentire ai docenti di perfezionare la propria azione didattica e di monitorare i progressi di ogni singolo studente al fine di meglio curvare i propri interventi. Si fonda sull’osservazione dei risultati di attività prossime a compiti reali e sviluppa creatività, collaborazione, e competenze durevoli, da spendere in contesti sempre diversi, ma sempre vicini a situazioni ordinarie di vita e di lavoro. All’interno di prassi

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autenticamente valutative, agli studenti si chiede di compiere esperimenti scientifici; di condurre ricerche sociali; di argomentare per convincere destinatari dell’utilità di uno specifico prodotto; di scrivere report; di risolvere problemi di Matematica che abbiano applicazioni nel mondo reale. Una valutazione davvero autentica, poiché si pone l’obiettivo di valutare non solo i prodotti finiti, ma anche i progressi e i processi di apprendimento, è necessariamente continuata su tempi lunghi ed è sempre riferita a progetti formativi personali. E sarà significativa se gli studenti ne comprenderanno le ragioni e le procedure; se investiranno tempo ed energie per autovalutare prodotti e progressi; se si confronteranno senza timore, discutendo con serena consapevolezza dei risultati raggiunti; se solleciterà il desiderio di superarsi, trasformando ogni errore in occasione di crescita; se consentirà di avanzare verso livelli successivi; se fornirà una ragione per impegnarsi e sarà ascolto vero; se indicherà la rotta e imprimerà direzioni di senso e significato. La scelta dei temi per la costruzione di un curricolo “verticale” I temi affrontati sono i seguenti: 1. Le frazioni e i numeri razionali 2. La mediazione semiotica: il caso della Geometria 3. Problemi: analisi del testo dei problemi con particolare attenzione ai problemi di Geometria 4. Valutazione Il primo modulo ha riguardato la tematica delle frazioni e i numeri razionali. Il processo di insegnamento – apprendimento delle frazioni è certamente uno dei più studiati da quando esiste la ricerca in Didattica della Matematica, forse perché (insieme al tema, ad esso connesso, dei numeri “decimali”) costituisce uno dei più evidenti insuccessi della scuola, in tutti i Paesi del mondo. Si sono analizzati i legami con le Indicazioni Nazionali e i vari aspetti epistemologici legati alle frazioni e ai numeri decimali. L’attenzione è stata rivolta soprattutto sui diversi significati di Frazione: parte di un “intero”; quoziente; rapporto; operatore (dimensionale); nei punteggi; indicazione di quantità di scelta su un tutto; punto di una retta orientata; misura; percentuale; linguaggio quotidiano; probabilità; numero decimale; numero Razionale. Quindi si sono analizzate le cause didattiche che rendono complesso il processo di insegnamento-apprendimento delle frazioni, ovvero una trattazione scolastica che privilegia l’accezione di frazione come parte di un tutto; piuttosto che le Indicazioni Nazionali, si segue il libro di testo; non si riesce a far «vedere» la frazione come numero; l’insegnante «salta» da un registro semiotico all’altro e lo studente perde gli aspetti semantici. Allora una sola “definizione” non basta ed è stato proposto un itinerario possibile sulle frazioni per oltrepassare questi limiti. Il secondo modulo ha riguardato il tema della geometria. Questo modulo ha visto la collaborazione della Prof.ssa M. A. Mariotti e del Prof. C. Sbordone. Inizialmente si è focalizzata l’attenzione sulle motivazioni che ci hanno portato ad affrontare il tema della Geometria in un percorso di formazione rivolto ad insegnanti di Scuola Primaria e Secondaria di Primo Grado. Infatti “la Geometria (la Geometria Euclidea elementare) occupa una posizione specifica tra le altre branche della matematica e tra tutte le altre discipline per il suo carattere unico che consiste nella unione di logica immaginazione e pratica. [...]” Pertanto “in tutto questo sta l'importanza di insegnare un corso di Geometria in tutte le scuole […].” (Alexandrov, 1992). È naturale la nascita di una necessità di “un’educazione geometrica”, in quanto “non sembra ci sia uno sviluppo spontaneo delle capacità di visualizzazione al di là di un livello abbastanza basso che ha caratteristiche di: essere pertinente rispetto alla esperienza pratica che ciascun di noi ha del mondo fisico; rivelare scarsa consapevolezza dei concetti/proprietà (in atto) evidenziata da prestazioni assai deboli nella verbalizzazione di situazioni spaziali; subire l’influenza e interferenza

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di prototipi/stereotipi (immagini mentali) che si insinuano sfuggendo al controllo concettuale.” (M.A. Mariotti) 3. Dopo aver analizzato le motivazioni che portano allo sforzo necessario da farsi per raggiungere un’educazione geometrica, ci si è soffermati sulla doppia natura della Geometria (dominio pratico e teorico), analizzando la relazione tra Geometria e pensiero geometrico e la relazione tra “concetti spaziali” e “pensiero spaziale”. Il tutto ha portato a soffermarci sull’importanza del disegno in Geometria, legato a quelli che sono i cosiddetti “concetti figurali”. In seguito si è analizzato l’impatto che la Teoria della Mediazione Semiotica ha sull’apprendimento di determinati concetti geometrici, mostrando alcuni esempi che mettono in luce le potenzialità di alcuni artefatti. Infine si è passati ad evidenziare potenzialità e limiti degli ambienti di geometria dinamica, visto questo come un artefatto complesso, ovvero come un sistema di artefatti e una modalità che li combina. (Bartolini Bussi e Mariotti, 2009; Faggiano, Montone e Mariotti, 2016) Successivamente, si sono analizzate le problematiche relative alle relazioni esistenti tra area e perimetro delle figure geometriche. In particolare ci si è soffermati sui rettangoli isoperimetrici e sul percorso svolto per analizzare la variazione dell’area in funzione del perimetro: con l’ausilio di uno spago (che rappresenta il perimetro di un rettangolo) si può osservare come varia l’area della figura, pur mantenendo lo stesso perimetro. Sono state presentate diverse attività da poter svolgere con le classi. Il terzo modulo ha affrontato: • Il ruolo centrale dei problemi nell’educazione matematica: problem solving e pensiero computazionale; • Le difficoltà dei problemi e nei problemi: misconcetti, strutture e linguaggi; • Alcune indicazioni per il lavoro nelle classi. L’ultimo modulo, invece, ha permesso di chiudere il percorso svolto in questo progetto, ponendo l’attenzione su un ulteriore aspetto importante in tutte le discipline, ma soprattutto in Matematica: la valutazione. Ci si è soffermati sulla valutazione iniziale (diagnostica), in itinere (formativa) e finale (sommativa), analizzando gli aspetti principali di cui tener conto quando si deve valutare, in ognuno di questi tre momenti. Infine si è passati, più nel dettaglio, ad osservare cosa si valuta più nello specifico in matematica: l’apprendimento concettuale, l’apprendimento algoritmico, l’apprendimento strategico e l’apprendimento comunicativo. L’apprendimento dei concetti della Matematica è qualcosa di specifico rispetto alle altre discipline. I concetti della Matematica rivestono un aspetto ideale (possono essere considerati astratti, ideali, linguistici, risultato di accordi interpersonali, scoperte, invenzioni, creazioni, ecc). L’apprendimento algoritmico ha due valori fondamentali: quello culturale in quanto la storia della Matematica ci mostra come la creazione di algoritmi sia alla base del suo sviluppo e quello didattico, infatti ogni passo ha una sua funzione e una sua giustificazione logica e concettuale. Un aspetto tipico dell’attività didattica è quello di potenziare e dare importanza a procedimenti e strategie che si usano quando si risolve un problema. Ecco perché è fondamentale analizzare anche l’apprendimento strategico. Nel processo di soluzione di un problema sarà necessario preoccuparsi di: comprendere il problema; tradurre l’enunciato in una forma aritmetica (o geometrica); scegliere delle strategie; utilizzare le strategie in maniera adeguata; validare le risposte. Un aspetto dell’apprendimento matematico, spesso dimenticato, che cerca di mettere in evidenza le capacità di esprimere idee matematiche, giustificando, validando, argomentando, dimostrando e facendo uso di figure, disegni o schemi per comunicare è quello che riguarda l’apprendimento comunicativo. Si tratta di saper scegliere il tipo di linguaggio da usare per comunicare la

3M.A.Mariotti–PresentazioneAccademiadeiLinceiBari,2016

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Matematica, cioè il più opportuno, caso per caso: lingua materna, orale o scritta; linguaggio simbolico specifico, quando è possibile; disegni, figure; schemi; icone… (Pinilla, 2008). Il piano di soluzione: analogie e differenze tra insegnanti e studenti nell’ottica di una valutazione autentica Nell’ambito del quarto modulo abbiamo proposto dei problemi agli insegnanti e quindi ai loro allievi, richiedendo l’esplicitazione di un “piano di soluzione” per poter poi a posteriori fornire una motivata valutazione degli algoritmi di calcolo, della comprensione dei concetti, del processo di soluzione e della scelta dei linguaggi. In questo modo è possibile motivare l’errore e si è consapevoli se vi è o meno la comprensione dei concetti. Nel processo di soluzione si vuole invece indagare la comprensione del testo, la sua traduzione in forma aritmetica (o geometrica), la scelta e l’uso di opportune strategie e infine la validazione dei risultati. Gli insegnanti, nei lavori di gruppo, hanno analizzato gli elaborati prodotti dagli allievi e hanno rilevato alcuni aspetti che riteniamo di mettere in evidenza. Innanzitutto si ritiene che le spiegazioni che vengono richieste nella fase di soluzione, possono permettere di dedurre soprattutto le misconoscenze che hanno gli allievi (“per i bravi e non”, anche se “per i bravi” qualcuno ritiene sia superfluo). Inoltre, il formulare previsioni su risposte e spiegazioni permette di valutare il caso di procedimenti esatti ma spiegazioni o ragionamenti non completi. Gli insegnanti hanno analizzato sia gli elaborati dei bambini di Scuola Primaria sia quelli di Scuola Secondaria e hanno osservato quanto i ragionamenti dei bambini della Scuola primaria spesso risultino più completi di quelli della Scuola Secondaria. Sono tuttavia emerse delle difficoltà legate all’età, in quanto, ad esempio, più domande in uno stesso quesito pongono problemi sui limiti dell’attenzione se proposte agli allievi di Primaria. Il linguaggio adottato dagli allievi ha evidenziato, infine, una capacità di rendere semplici i procedimenti in un tentativo di formalizzazione. Da alcuni elaborati analizzati è emerso, che nel piano della soluzione, ci si sofferma sull’ “Ho fatto”, anziché sull’esplicitazione dei contenuti del problema. Di seguito proponiamo alcuni esempi. Esempio 1 Descrivi la strategia adottata per risolvere l'esercizio: • ho eseguito la sottrazione • ho sottratto dal risultato l'addendo per poi scoprire addendo mancante cioè ho fatto la sottrazione Esempio 2 Nella pasticceria più famosa della tua città il pasticcere più giovane, di 39 anni, ha sistemato sul banco 7 vassoi di pasticcini al cioccolato e 5 vassoi di pasticcini alla crema. Sapendo che ogni vassoio contiene 18 pasticcini, calcola quanti pasticcini sono stati esposti. Scrivi il ragionamento che hai seguito come se dovessi spiegarlo ad un tuo amico più piccolo. ALUNNO A Le operazioni sono 7+5=12 e poi 12x18=216 Io ho risolto questo problema facendo 7+5 e 12x18 e i pasticcini esposti sono 216 ALUNNO B 7x18=126

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5x18=90 126+90=216 Esempio 3 Metti in colonna, spiega la modalità che hai usato e poi esegui le operazioni 12,00+ 2,35= 14,35 Ho messo in colonna normalmente e ho incominciato ad addizionare dai numeri dopo la virgola. Queste difficoltà nella dichiarazione del piano di soluzione si riscontra anche negli elaborati degli insegnanti, dei quali, nel seguito proponiamo alcuni esempi. PROBLEMA 1 La signora Maria confeziona 4 tende rettangolari di 2,20 m di lunghezza e 80 cm di larghezza. Quanti metri quadrati di stoffa sono necessari?

Figura 1 - Problema 1

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Figura 2 - Problema 2

PROBLEMA 2 Sappiamo che il perimetro di un quadrato è 32,4 cm e su ogni lato è disegnato un triangolo equilatero. Calcola il perimetro della figura. PROBLEMA 3 Franco incolla una fotografia rettangolare di dimensioni 22 cm x 15 cm su un cartoncino. Attorno alla fotografia resta una cornice larga 3 cm, come vedi in figura. Quali sono le dimensioni del cartoncino?

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Figura 3 - Problema 3

Figura 4 - Problema 3

Dagli elaborati appare evidente come il significato di “piano di soluzione”, seppur esplicitato nei particolari durante l’incontro, appare del tutto poco significativo, sia per gli insegnanti che per gli studenti. Questo naturalmente ci porta a far pensare che la valutazione del lavoro dei ragazzi non sia certamente nell’ottica della valutazione autentica, di cui abbiamo specificato il significato all’inizio di questo lavoro, ma in un’ottica tradizionale e abbastanza ripetitiva.

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PEER EVALUATION: APPRENDIMENTO E VALUTAZIONE FORMATIVA IN MATEMATICA

Federica FERRETTI1, Andrea MAFFIA2

1 Università di Bologna, Bologna (BO) 2 Università di Modena e Reggio Emilia, Modena (MO)

Riassunto

Il presente contributo si inserisce all’interno delle ricerche svolte nel progetto Comenius FAMT&L dell’Università di Bologna, volto a promuovere un corretto uso della valutazione formativa in matematica. Uno dei principali outcomes del progetto è un corso di formazione pilota svolto con insegnanti in formazione e in servizio, di scuole secondarie di primo e di secondo grado. Durante il corso sono stati utilizzati strumenti e tecniche di video-analisi. A tal fine sono stati progettati, realizzati e analizzati diversi video che ritraggono situazioni reali di valutazione formativa in matematica. In particolare, focus di questo articolo è l’esemplificazione del processo di video-analisi utilizzando un video (tratto dalla web-repository FAMT&L) in cui, durante un lavoro di gruppo che coinvolge competenze argomentative di matematica, si innescano situazioni di valutazione fra pari.

Introduzione

Negli ultimi anni si è affermato sempre più il ruolo della valutazione nelle pratiche didattiche e l’importanza della sua funzione formativa per il miglioramento dei processi di insegnamento/apprendimento. La funzione formativa della valutazione (termine coniato da Scriven, 1967), intesa come accompagnamento dei processi di apprendimento e di stimolo al miglioramento continuo, viene ribadita anche nelle ultime Indicazioni Nazionali (MIUR, 2012) che la affidano a insegnanti, singole istituzioni scolastiche e istituzioni ministeriali.

La valutazione degli apprendimenti dovrebbe essere parte imprescindibile in tutte le fasi del processo di insegnamento-apprendimento e la sua principale funzione è quella regolativa, finalizzata a modulare e adattare continuamente il processo formativo, soprattutto quando orientato all’individualizzazione delle procedure didattiche (Tornar, 2001). La messa in atto di buone pratiche di valutazione formativa richiede specifiche competenze dell’insegnante nonché procedure affidabili e sistematiche; una formazione dei docenti su tali questioni è individuata come necessaria a livello nazionale e internazionale (Bolondi et al., 2016). Proprio in questa prospettiva si inserisce il nostro contributo, che si focalizza sulla video-analisi di situazioni di valutazione formativa in matematica come strumento di formazione per i docenti. In dettaglio, si analizzerà un video della web-repository costruita all’interno del progetto europeo LLP-Comenius FAMT&L – Formative Assessment in Mathematics for Teaching and Learning. Il progetto ha come finalità ultima quella di promuovere un corretto uso della valutazione formativa nella didattica della matematica tramite la formazione docenti con la video-analisi (Ferretti & Lovece, 2015). All’interno di FAMT&L si sono progettati percorsi formativi (in-service e pre-service) per insegnanti di matematica a partire dall’analisi delle loro credenze e pratiche in ambito di valutazione formativa. Alla base di questi corsi vi è la progettazione, realizzazione e implementazione di una web-repository di mini-sequenze di situazioni di valutazione formativa in lezioni di matematica. L’analisi collettiva e individuale di queste sequenze, con il supporto di una

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griglia di analisi costruita ad hoc (Michael-Chrysanthou et al, 2014), ha permesso la promozione di un uso corretto di tecniche e strumenti di valutazione formativa. Per quanto riguarda l’Italia, nella web-repository sono presenti 90 video; la maggior parte di questi ritrae situazioni d’aula in cui gli studenti lavorano in gruppo. Qui si analizzerà una sequenza in cui è mostrata una fase di un lavoro finalizzato alla valutazione delle competenze argomentative degli alunni: uno studente di scuola secondaria di primo grado si confronta con le correzioni fatte al suo lavoro da parte di un gruppo di compagni.

Un progetto europeo per promuovere la valutazione formativa in matematica

Il progetto europeo a cui fa riferimento la ricerca è LLP Multilateral Project Comenius (2013-2016) "FAMT&L – Formative Assessment in Mathematics for Teaching and Learning”4 che ha come obiettivo la promozione di buone pratiche di valutazione formativa in matematica. Uno dei principali outcomes è stato la realizzazione di percorsi di formazione innovativi con l’uso di tecniche di video analisi, volti alla corretta implementazione di pratiche di valutazione formativa al fine di promuovere un efficace apprendimento degli studenti. L’importanza della video-analisi in percorsi di formazione insegnanti Appare ormai condivisa a livello internazionale, nel campo della formazione insegnanti, l’importanza del rapporto tra teoria e prassi, tra conoscenze e competenze. In questa linea di pensiero, è particolarmente rilevante il concetto di ricorsività tra teoria e prassi, cioè un’alternanza tra fasi distinte (ma allo stesso tempo interconnesse) di determinati processi di apprendimento (Atlet, 2003) che sono in grado di tradurre la conoscenza teorica e la metodologia in un'unica azione e, allo stesso tempo, far scaturire la riflessione sulla azione stessa; una riflessione che, a sua volta, diventa nuova conoscenza, e così via (Bolondi et al, 2017). In questo senso, l'identificazione delle vie più adatte verso la concettualizzazione delle proprie pratiche d’insegnamento è un passo fondamentale; una metodologia sempre più utilizzata per perseguire questi obiettivi è la video-analisi. Come rilevato da Bolondi e colleghi (2017), la presenza dei video in attività di formazione per gli insegnanti è sempre più comune, con diverse modalità e sfaccettature (Masats e Dooly, 2011). Il video può essere infatti allo stesso tempo uno strumento di osservazione, di analisi e l’oggetto stesso di osservazione e analisi; può fungere da esempio o modello, (video modeling), oppure può essere una ripresa di proprie pratiche didattiche (video coaching). In ogni caso, come dimostrano numerose ricerche (per es. Santagata, Zannoni, e Stigler, 2007), durante i percorsi di formazione, la video-analisi può e dovrebbe diventare uno strumento efficace per integrare e supportare sia l’osservazione diretta sia l'apprendimento di buone pratiche (nel nostro caso, di valutazione formativa in matematica). I percorsi di formazione realizzati all’interno del progetto FAMT&L si sono sviluppati proprio in questa direzione e, a tal fine, sono stati progettati e realizzati numerosi 4IcinquepartnerdelprogettoComeniusFAMT&LsonotutteIstituzioniUniversitariediPaesieuropeiehannocomplessivamentecompetenzeinpedagogiaedidatticaeinmatematica.Diseguito,ipartnereuropei:

- AlmaMaterStudiorumUniversitàdiBologna(UNIBO),capofiladelprogetto(Italia);

- UniversityofAppliedSciencesandArtsofSouthernSwitzerland-DepartmentFormationandLearning,SUPSI-DFA(Svizzera);

- UniversityofCergy-Pontoise:Universityinstituteofteacherstraining,UCP(Francia)

- UniversityofCyprus,UCY(Cipro);

- HogeschoolInholland/InhollandUniversityofAppliedSciences,Inholland(Olanda).

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video che ritraggono situazioni d’aula reali di valutazione formativa. È stato poi costruito un ambiente di apprendimento on-line ad hoc: la web-repository, in cui sono stati inseriti tutti i video indicizzati con gli indicatori della griglia di osservazione condivisa dai partner del progetto. La web-repository di FAMT&L La web-repository implementata raccoglie micro-sequenze di situazioni d’aula in cui si attua valutazione formativa. La progettazione e la realizzazione dei percorsi di formazione, in particolare della web-repository, si sono fondate sui risultati di indagini iniziali effettuate con studenti e insegnanti circa convinzioni e credenze sulla valutazione formativa: si è cercato di rispondere ai bisogni formativi emersi. Ogni micro-sequenza è stata analizzata con una griglia di osservazione costruita ad hoc e, come vedremo in seguito, ogni video è accompagnato da una breve descrizione e da eventuali materiali ad esso connessi (quali prove di verifica, griglie di correzione, ecc.). Nel web-repository è possibile effettuare ricerche per diversi campi e indicatori; questo strumento si è rivelato idoneo in tutte le fasi della video-analisi. Ogni video è meta-datato secondo macro-categorie inerenti la scuola, la classe, i contenuti e le competenze in gioco, le fasi della valutazione, ecc. e secondo indicatori più puntuali che descrivono le fasi della valutazione formativa5. Un esempio dal web-repository: Joseph e la probabilità In questa sezione si analizza un video tratto dal web-repository di FAMT&L. Il video documenta la discussione tra due gruppi di studenti durante un’attività di valutazione tra pari. Ciascuno degli studenti coinvolti ha lavorato individualmente su alcune consegne tratte da precedenti prove INVALSI destinate agli studenti della classe terza della scuola secondaria di primo grado. I quesiti sono stati selezionati dall’insegnante per la richiesta di argomentazione. Di fatto, lo scopo dell’attività è quello di far esplicitare agli studenti le proprie convinzioni in merito all’argomentazione in matematica. All’attività individuale è seguita una seconda fase di lavoro in gruppo. Ciascuno dei gruppi ha ricevuto gli elaborati degli studenti di un altro gruppo. La consegna data è quella di individuare eventuali errori o imprecisioni nelle soluzioni date e nelle spiegazioni fornite, dando anche dei consigli su come migliorare l’elaborato. Una volta terminata questa seconda fase, ciascuno studente ha ricevuto indietro il proprio foglio con su scritti i consigli dei compagni. Una discussione collettiva viene utilizzata dall’insegnante per raccogliere eventuali perplessità in merito ai consigli avuti. Nella discussione che andremo ad analizzare, Joseph non concorda col consiglio ricevuto dal gruppo di compagni che ha analizzato il suo elaborato relativo alla domanda mostrata in figura 1.

5LadefinizionedivalutazioneformativaacuicisiriferisceèquellacondivisanelprogettoFAMT&L.Perapprofondimentiinmeritoataledefinizionesiveda(Ferretti&Lovece,2015).

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Figura 1 – Domanda D7 della Prova Nazionale del 2013.

Giorgia, Linda e Alice hanno analizzato l’elaborato di Joseph e hanno suggerito al compagno di far ricorso a degli esempi nella propria argomentazione. Infatti, nella sua risposta Joseph si riferisce genericamente a numeri dispari e numeri pari, senza fare riferimento a particolari coppie di numeri. Quando l’insegnante chiede agli studenti di riportare a tutta la classe eventuali perplessità in merito ai consigli ricevuti, Joseph è il primo ad alzare la mano. Insegnante: Vai Joseph! Joseph: Non è obbligatorio mettere gli esempi. Giorgia: Però come ci vuole la spiegazione, gli esempi ci vorrebbero in teoria. Cosa fai te no

con la testa, scusa? Chiara: Dipende se la giustificazione dice tutto e si capisce anche senza esempi. Giorgia: Però se è sbagliata la risposta, come fai a saperlo se non fai degli esempi? Joseph: Ma è giusta... Insegnante: Ok, quindi... Aspetta Giorgia, aspetta un attimo! Quindi gli esempi a cosa ci

servono? Non tanto a... dire se è vero o sbagliato, ma tu stavi dicendo che tu li avresti fatti per far cosa?

Giorgia: Per aiutare a capire... Insegnante: Quindi gli esempi ci possono servire per aiutare a capire. Poi hai detto anche: “Ci

può servire per vedere se è giusto o sbagliato”. Perché in un altro caso, ti stanno dicendo, Joseph, che dove non ti eri fatto gli esempi sei arrivato alla risposta sbagliata.

In questa prima parte della discussione, Joseph contesta il suggerimento delle compagne ritenendo non necessario (lui dice “obbligatorio”) inserire degli esempi a supporto della propria argomentazione. Appare diversa la posizione di Giorgia che ritiene che gli esempi siano fondamentali per supportare l’argomento. L’importanza degli esempi nelle argomentazioni meno mature è stata largamente studiata all’interno della ricerca in didattica della matematica (Antonini, 2011). In letteratura è mostrato che anche gli studenti che sono coscienti del fatto che un esempio non è sufficiente a dimostrare un enunciato generale, necessitano comunque di far riferimento a un particolare caso per spiegare argomenti che possono valere per casi qualsiasi; in questi senso l’esempio funge da esempio generico (Mason & Pimm, 1984). Nella discussione interviene anche Chiara, compagna di gruppo di Joseph. Chiara sostiene che quando la discussione dice “tutto” è possibile comprenderla anche senza far ricorso a esempi. Non è chiaro che cosa la studentessa possa intendere con “tutto”, ma questa espressione potrebbe esprimere la consapevolezza della possibilità di utilizzare un esempio per sopperire alla parziale incompletezza di un’argomentazione. L’intervento di Chiara causa un’immediata reazione di Giorgia che propone un ulteriore utilizzo degli esempi; dice “come fai a sapere se hai sbagliato?”. L’intervento di Giorgia sembra far riferimento all’uso di casi particolari come contro-esempi. Pertanto, in questa brevissima parte di discussione emerge già una varietà di ruoli diversi che gli studenti danno all’esempio all’interno dell’argomentazione in matematica. L’insegnante non prende una specifica posizione, ma comincia a selezionare un primo aspetto emergente dalla discussione focalizzando prima sull’intervento di Giorgia. Di seguito, la discussione continua con il docente che porta l’attenzione di tutti sulle parole di Chiara.

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Insegnante: Però quello che diceva Joseph e quello che stava dicendo Chiara. Se la spiegazione è

chiara e fatta bene gli esempi non servono, che ne pensate? Giorgia: Secondo me no, perché magari hai scritto bene la cosa però... Puoi sapere la teoria a

memoria, ma magari sbagli per un problema di calcolo... Linda: Il Prof. ci dice sempre che se in una verifica scriviamo bene come abbiamo fatto,

anche con degli esempi, anche se il risultato è sbagliato ce lo valuta giusto. Chiara: Sì, ma tenete conto di quello che ha detto dell'INVALSI. Lui ha detto: “Gli esempi

all'INVALSI non bastano, devi dare una spiegazione completa ed esaustiva”. Alice: Però se la spiegazione è complicata? Chiara: Se la spiegazione è esaustiva ed è giusta non c'è bisogno di mettere gli esempi. Poi se

tu vuoi fare anche degli esempi per essere più sicura e arrivare alla spiegazione ben venga.

Insegnante: Ok. Giorgia: Infatti io lì ho scritto che “potevi”, non “dovevi” come nell'esercizio dopo. Insegnante: Ok, quindi cerchiamo di arrivare alla conclusione su questo. Gli esempi sono utili... Joseph: Dai ragazzi mi son confuso, succede... Insegnante: Ora lo vediamo Joseph, finiamo quello dove siamo... Quindi gli esempi sono utili? In coro: Sì. Insegnante: Sì, abbiamo detto per diversi motivi. Sono necessari o fondamentali? In coro: No. Insegnante: No, però purché la spiegazione sia esaustiva. Sebbene i discorsanti siano gli stessi dell’estratto precedente, in questa fase della discussione compaiono le voci di altri soggetti: si tratta delle autorità esterne. In questo caso l’insegnante e l’INVALSI sono le due autorità che dettano le norme su come portare avanti un’argomentazione. Si può notare quindi che la finalità del docente di far emergere le convinzioni degli studenti viene raggiunta durante questa attività: gli studenti esplicitano dei principi regolativi che dipendono dal contesto in cui operano (l’insegnante della loro classe, il test che dovranno svolgere durante l’esame) e che influenzano le loro credenze su come si debba fare matematica. Si tratta di un esempio di quelle che in letteratura sono definite come norme socio-matematiche (Yackel & Cobb, 1996). Il ricorso alla voce delle autorità sembra dare forza a quanto detto da Chiara, tant’è che Giorgia ritratta la propria posizione riconoscendo che l’uso degli esempi non è una norma (“potevi” non “dovevi”). Tuttavia, l’ultimo intervento di Chiara arricchisce il panorama di possibili usi degli esempi: la ragazza infatti dice che gli esempi possono servire a essere più sicuri ma anche per arrivare alla spiegazione. Questo ultima frase sembra riferirsi alla possibilità di usare una serie di casi particolari per arrivare a una congettura più generale; quella che può essere genericamente detta un’esplorazione. L’insegnante propone successivamente di far sintesi. Si noti che nel farlo pone delle domande e, solo alla fine aggiunge un inciso alle risposte degli studenti. Tale inciso (“purché la spiegazione sia esaustiva”) è espresso utilizzando le parole che prima erano state usate da Chiara; l’insegnante fa quindi da “eco” a quanto detto dalla studentessa prima. Di seguito si riporta l’ultima parte della discussione. L’insegnante chiede a Joseph di condividere quanto scritto e quindi l’intervento si sposta dalle convinzioni generali degli studenti sugli esempi al particolare caso della spiegazione data da Joseph: l’elaborato di Joseph funge esso stesso da esempio – nel senso di particolare istanza – per quanto detto finora.

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Insegnante: Joseph ci leggi la spiegazione che tu hai dato all’esercizio? Joseph: No, hanno probabilità di vincere diversa... perché se si moltiplica un numero pari per

un numero dispari, il numero viene pari... se si moltiplica un numero pari per un numero pari, il risultato è pari... invece se si moltiplicano due numeri dispari il risultato viene dispari.

Insegnante: Ok, lui dice: “Ci sono 3 possibilità. Faccio pari con pari e mi viene pari, faccio dispari con pari e mi viene pari, faccio dispari con dispari e mi viene dispari”. E quindi questo in che modo influisce sulla probabilità?

Joseph: Perché c’è 1/3 di probabilità che venga dispari. Insegnante: Bene, molto bene Joseph. Hai ragione, però tu questa cosa non l'hai scritta. Giorgia: Non era esaustiva. Insegnante: La spiegazione non era esaustiva, dice Giorgia. È vero, nel senso che la premessa,

cioè la cosa da cui sei partito è correttissima. Però la domanda era sulla probabilità. Quindi c’era bisogno che tu spiegassi perché quella probabilità era in un certo modo. Quindi nel tuo caso per esempio: “Quindi solo in un caso su 3 avremmo ottenuto un risultato dispari”. Domanda, era veramente un caso su 3?

Joseph: No, va beh... Insegnante: Quanti casi erano? Alice: Era 9/36, che semplificato è 1/4. Insegnante: È un caso su 4, addirittura... Perché pensate alla tabella che abbiamo fatto anche in

genetica, o quando l'abbiamo fatto con maschio e femmina. È la stessa storia. Sono 4 possibilità: dispari e pari, e pari e dispari tornano 2 volte.

Linda: È come con il più e il meno. Insegnante: O come col più e il meno quando fai più per meno, meno per meno. Esatto è la stessa

storia. Quindi occhio Joseph: in questo caso qui, cos’è che poteva essere utile? Tu come hai fatto Alice a scoprire che erano 9 su 36?

Alice: Io ho fatto la tabella che abbiamo fatto anche in classe... cioè mettendo i numeri da 1 a 6 e poi da 1 a 6 in una tabella... e poi ho fatto le tabelline e ho sottolineato tutti i dispari in modo da capire quale fosse la probabilità maggiore.

All’inizio l’insegnante fa notare a Joseph l’incompletezza dell’argomentazione. Di fatto lo studente riporta l’analisi dei risultati dei prodotti fra numeri pari e dispari senza indicare la conclusione che giustifica il proprio “no”. L’argomentazione della forma

prodotti tra pari e dispari à probabilità dispari è 1/3 à la probabilità non è uguale era riportata dallo studente solo nelle componenti che sono agli estremi; l’insegnante aiuta lo studente a far emergere anche la componente centrale ma, ancora una volta, non lo fa esplicitando una consegna, ma ponendo una domanda allo studente (“come influisce sulla probabilità?”). Si noti che in questa fase il docente non pone l’accento sul fatto che la teoria matematica utilizzata a supporto dell’argomentazione sia corretta a meno ma solo sulla (non) completezza dell’argomentazione. Solo successivamente viene richiesto un commento sul numero dei casi. Viene messo in dubbio che il conteggio sia corretto e viene lasciata la possibilità agli altri studenti di correggere il compagno. Conclusioni L’analisi di questa discussione mostra la varietà di concezioni che gli studenti possono avere a proposito dell’uso degli esempi in matematica: esempi generici (Mason & Pimm, 1984), contro-

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esempi e casi particolari all’interno di un’esplorazione. Inoltre, emergono convinzioni relative agli aspetti normativi che regolano l’attività matematica scolastica, sottolineando l’importanza del ruolo dell’insegnante così come della valutazione esterna. Nella discussione analizzata, la valutazione tra pari è un momento in cui gli studenti possono prendere responsabilità del proprio appreso, ascoltare le parole dei compagni e non solo la valutazione “autorevole” dell’insegnante. D’altra parte, questo tipo di discussione fornisce anche l'opportunità al docente di guidare gli studenti verso la consapevolezza della non sufficienza degli esempi per fondare un’argomentazione generale (Pedemonte & Buchbinder, 2011). In letteratura è largamente mostrato come questo tipo di valutazione tra pari abbia un importante ruolo formativo per quel che riguarda l’ascolto reciproco, la gestione dell’errore e lo sviluppo di varie competenze di tipo metacognitivo. Come leggiamo nella definizione condivisa di valutazione formativa assunta in FAMT&L, la valutazione tra pari si inserisce direttamente nei processi di valutazione formativa, infatti: “.. la valutazione formativa .. coinvolge lo studente nell'analisi dei propri errori / debolezze e delle proprie capacità per promuovere sia l’autovalutazione sia la valutazione tra pari e la partecipazione attiva nel processo di insegnamento/apprendimento” (p. 51, Ferretti & Lovece, 2015) Come abbiamo visto nella situazione appena analizzata, gli studenti, in modo reciproco e alternato ricoprono i ruoli sia del “valutato” sia del “valutatore”, analizzando le situazioni dai due punti di vista. Ed è proprio durante questi processi che si innescano spesso momenti di autovalutazione, determinanti in ottica formativa. Nei video della web-repository di FAMT&L sono presenti diverse sequenze che ritraggono questi momenti e alcuni indicatori della griglia di osservazione condivisa nel progetto sono stati declinati proprio in questa direzione. Qui vogliamo anche sottolineare che si tratta di occasioni particolarmente importanti proprio per l’insegnamento/apprendimento della matematica. Di fatto, questa attività valuta traguardi delle Indicazioni Nazionali come “Sostiene le proprie convinzioni, portando esempi e controesempi adeguati […]”(MIUR, 2012, p. 51) e contemporaneamente permette di lavorare verso tali traguardi. L’analisi non puntuale mostrata nella sezione precedente è solo un esempio dei possibili aspetti che possono essere discussi in un’attività di formazione insegnanti basata su video come quelli presenti nel web-repository di FAMT&L. Questo ed altri video sono stati oggetto di discussione durante i corsi di formazione pilota del progetto FAMT&L e, oltre a sostenere il pensiero riflessivo degli insegnanti, hanno innescato processi efficaci in ottica di cambiamento di convinzioni sulle tecniche e pratiche di valutazione formativa. Sono stati infatti analizzati (e sono in corso di pubblicazione) i dati del disegno pre-sperimentale col quale si sono valutati i risultati del corso pilota; si hanno avuto risultati positivi in termini di cambiamento di convinzioni, autoefficacia degli insegnanti e in termini di nuove e migliori conoscenze e abilità di valutazione formativa in matematica. In relazione ai contenuti e ai processi matematici in gioco, ad esempio, durante il corso di formazione pilota si è analizzata questa situazione con il supporto del quadro teorico per l’argomentazione di Tulmin (1958). La realizzazione dello stretto legame tra teoria e pratica, veicolata dalla video analisi, è risultata una metodologia estremamente efficace anche per la comprensione di teorie e schemi di didattica della matematica adatti per l’interpretazione di pratiche didattiche. La maggior parte degli insegnanti del corso, dopo l’approfondimento di alcuni concetti teorici, ha analizzato la situazione in modo più puntuale, cogliendo in profondità anche elementi che, ad un primo sguardo “ingenuo”, non erano stati colti. Le esperienze maturate all’interno del progetto sono state molto positive sotto diversi aspetti; i disegni pre-sperimentali attuati hanno confermato un’effettiva efficacia dell’uso della video-analisi; l’analisi delle situazioni video ha avuto incidenze positive sotto diversi aspetti. La situazione analizzata in questo contributo, inoltre, è stata particolarmente apprezzata dai corsisti in quanto si inserisce nell’ottica di utilizzare in ottica formativa le valutazioni standardizzate; il docente, infatti, innesca lavori di gruppo, discussioni e momenti di valutazione fra pari a partire

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dalla risoluzione di quesiti di prove INVALSI che hanno rivelato difficoltà diffuse a livello nazionale. Diverse ricerche mostrano quanto tecniche e strumenti di valutazione formativa fondati sull’utilizzo delle valutazioni standardizzate siano particolarmente idonei per un miglioramento delle pratiche d’aula (Bolondi et al., 2016). Chiaramente questo tipo di affermazioni non può essere generalizzato a qualsiasi attività di formazione basata su video. Qui abbiamo voluto riportare un esempio virtuoso, sperando che possa supportare la nostra argomentazione in qualità di esempio generico, ma consapevoli che un esempio non può essere sufficiente a dimostrare un enunciato generale.

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ORIENTEERING E MATEMATICA: ALGORITMI PER LA DIDATTICA COOPERATIVA

Aaron GAIO1 1 Università degli Studi di Palermo, Palermo

Riassunto L’orienteering è da molto considerato una delle discipline sportive più adatte al mondo della scuola per il suo carettere multidisciplinare, già dalla scuola primaria. Le attività che saranno descritte mirano dunque all’interdisciplinarietà, coinvolgendo in primis la matematica, la geografia e l’educazione fisica. Nel progetto, l’obiettivo è stato quello di trovare dei collegamenti meno tradizionali ad alcuni altri contenuti matematici, quali la teoria dei grafi e gli algoritmi. Il nostro principale obiettivo di ricerca è una proposta didattica per discutere e migliorare l’assenza di attività di matematica discreta, con algoritmi del computer e altri temi nella scuola italiana. All’interno di esso, descriveremo più nel dettaglio alcune attività su questi temi che utilizzano la didattica cooperativa, mostrando come, nei casi analizzati, essa possa essere utile ad un apprendimento più dinamico dei temi trattati e a dare maggiori stimoli agli studenti nel risolvere i problemi proposti.

Introduzione

Il presente documento mira ad esporre ed illustrare dei percorsi didattici svolti nel corso dell’anno scolastico 2015/2016 con 2 diverse scuole, la Scuola Media “T. Garbari” di Pergine Valsugana (TN) e l’Istituto Comprensivo di Primiero (TN), coinvolgendo le classi di primo anno di scuola secondaria di primo grado e terzo, quarto e quinto anno di scuola primaria, in percorsi laboratoriali, in collaborazione con gli insegnanti di matematica ed educazione motoria, per una durata complessiva intorno alle 10 ore per ogni classe. Molte attività sono state quindi provate più volte, nell’ottica di un percorso di ricerca che segue la metodologia della design research (Cobb et al. 2003, Plomp et al. 2006), ed è stato raccolto materiale (registrazioni video, registrazioni audio, materiale cartaceo prodotto dagli studenti, interviste), utilizzato per un’approfondita analisi dei punti di forza e debolezza dei task studiati e presentati agli studenti e le loro reazioni a queste nuove proposte didattiche. La sperimentazione si inserisce in un più ampio percorso nell’ottica di una costruzione verticale di competenze sui temi sopracitati. L’interesse degli insegnanti è sempre stato notevole riguardo alle tematiche prescelte, pur se le conoscenze presenti spesso non sono sufficienti per poterlo insegnare (si veda un questionario mirato al tema, su circa 150 insegnanti a confermare questi fatti).

Base di partenza e contesto nazionale

Sono stati raccolti dei risultati da un questionario preliminare, somministrato a circa 150 insegnanti, principalmente in servizio e divisi abbastanza equamente tra scuola primaria e secondaria di vario grado. Il questionario è stato somministrato utilizzando una piattaforma online. L’analisi dei risultati segue principalmente un approccio quantitativo, pur analizzando qualitativamente alcune delle risposte, codificando con parole chiave alcune risposte aperte registrate. Analizzando i risultati, gli insegnanti, specialmente ai livelli scolastici più bassi, ammettono di non avere le conoscenze necessarie per insegnare questi argomenti a scuola. Le domande andavano ad indagare la loro esperienza pregressa nei campi della matematica discreta, algoritmi e crittografia. Il

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72.5% degli insegnanti dichiara di non aver avuto insegnamenti formali riguardo a questi temi, con una percentuale che si alza ancora alla scuola primaria (vedi Tabella 1).

Teachers in: Yes No formal knowledge

Elementary school (1-5) 5.8 % 94.2 % Middle school (6-8) 15.7 % 84.3 %

Secondary school (9-13) 65.3 % 34.7 % Total 27.5 % 72.5 %

Tabella 1 – Esperienza degli insegnanti su crittografia ed algoritmi.

Inoltre, agli insegnanti è stato chiesto se avessero esperienze precedenti nell’insegnare questi argomenti o se “fossero interessati ad approfondire l’insegnamento di algoritmi, crittografia o altri argomenti di matematica discreta ai loro studenti”, e le risposte ottenute (vedi Tabella 2) sono state abbastanza promettenti e di incentivo per iniziare il nostro percorso di ricerca.

Teachers in: Interested Don't know Not Interested Elementary school (1-5) 57.2 % 25.7 % 17.1 %

Middle school (6-8) 84.2 % 5.3 % 10.5 % Secondary school (9-13) 69.3 % 19.2 % 11.5 %

Total 67.5 % 18.75 % 13.75%

Tabella 2 – Interesse degli insegnanti su crittografia ed algoritmi.

Da un punto di vista più qualitativo, abbiamo ottenuto delle risposte abbastanza significative: “Non sono un esperto in questo campo, ma credo davvero che alcuni metodi di insegnamento innovativo sarebbero apprezzati nel mondo scolastico”, “contestualizzare argomenti matematici per renderli più accattivanti, ed insegnare cose che sono utili ed allo stesso tempo sembrano vere, facendo imparare della matematica importante, è la strada da seguire”. La sensazione è che queste risposte possano essere prese come un promettente punto di partenza per sviluppare dei progetti, che possano essere di interesse per il mondo scolastico, così come per il curricolo nazionale. ll Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca ha pubblicato, nel 2012 le attuali Indicazioni Nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo di istruzione (MIUR, 2012). Le indicazioni nazionali non sono più una descrizione dettagliata dei programmi scolastici da seguire, ma forniscono delle linee guida all’interno di cui le scuole e gli insegnanti possono muoversi. Sono quindi stabilite delle norme generali a cui tutte le scuole devono attenersi con obiettivi generali del processo di formazione e obiettivi specifici di apprendimento di competenze. Lo sviluppo di capacità del problem solving è sottolineato nelle Indicazioni: “Favorire l’esplorazione e la scoperta, al fine di promuovere il gusto per la ricerca di nuove conoscenze. In questa prospettiva, la problematizzazione svolge una funzione insostituibile: sollecita gli alunni a individuare problemi, a sollevare domande, a mettere in discussione le conoscenze già elaborate, a trovare appropriate piste d’indagine, a cercare soluzioni originali.” Nello specifico della scuola primaria e della secondaria di primo grado, ci interessa sottolineare la richiesta di: • leggere e comprendere testi che coinvolgono aspetti logici; • costruire ragionamenti, sostenendo le proprie idee e confrontandosi con il punto di vista degli altri;

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• un atteggiamento positivo rispetto alla matematica, capendo come gli strumenti matematici siano utili per operare nella realtà.

Metodologia di ricerca ed inquadramento teorico

Il metodo di insegnamento segue il modello della Realistic Mathematics Education (Gravemejier, 1994) e della Guided Reinvention of mathematics (Brousseau, 1970-1990). La “Guided Reinvention of mathematics”, riscoperta guidata della matematica è basata sul concetto di matematica come attività umana di Hans Freudenthal. L’educazione dovrebbe dare agli studenti l’opportunità di “re-inventare” da sè la matematica facendola; il focus è sull’attività, sul processo di matematizzazione (Freudenthal, 1973)). La “Realistic Mathematics Education” (RME) è il nostro inquadramento teorico, anch’essa centrata sulla visione di matematica come attività umana (Freudenthal); “The idea is to allow learners to come to regard the knowledge that they acquire as their own private knowledge, knowledge for which they themselves are responsible.”(Gravemeijer). L’obiettivo principale sarà quello di sviluppare delle local (i.e. specifiche per ambito) instructional theory (LIT) che permetteranno agli studenti di “inventare da soli la matematica” (Weber & Larsen, 2008). Questo processo ha bisogno di due passi: un primo in cui gli “studenti sono coinvolti in attività disegnate per invocare un apprendimento informale importante; un secondo passo in cui sono “coinvolti in attività progettate per supportare la riflessione su queste nozioni informali con l’obiettivo di promuovere lo sviluppo di concetti formali” (Weber & Larsen). La metodologia di ricerca prescelta è quella della design research o design experiments (Cobb, 2003), a volte tradotto in italiano come ricerca basata su progetti. Ai fini di questa tesi, viene preso in considerazione l'approccio evolutivo (Plomp & Nieveen, 2007); obiettivo dell'approccio evolutivo è quello di progettare e sviluppare l'intervento (Steffe, 1983) e la costruzione di principi di progettazione nel processo di sviluppo, basati sulla ricerca. L'obiettivo è quello di esplorare nuovi ambienti di apprendimento e di insegnamento, per verificare la loro efficacia; di sviluppare in qualche modo nuovi metodi, strumenti e azioni didattiche per migliorare ulteriormente nel campo del problem solving e del pensiero logico, utilizzando argomenti per qualche verso inconsueti come gli algoritmi e la crittografia, per gli studenti della scuola primaria. L'obiettivo è quindi quello di contribuire allo sviluppo di nuove teorie di insegnamento e apprendimento, prendendo in considerazione i processi di apprendimento nella situazione specifica, con contenuti e obiettivi ben definiti. La design research è del tutto appropriata in questa situazione, dato che ci troviamo di fronte una nuova esperienza che dobbiamo analizzare con attenzione, cioè su scala locale, considerando tutti i diversi elementi presenti nell'ambiente di apprendimento. Il teaching experiment sarà un esperimento in aula in cui il ricercatore (o ricercatori) collaborerà con gli insegnanti nell'assumere il ruolo dell’insegnante. Da un lato, l'insegnante è una parte del gruppo di progettazione e sarà un ruolo chiave nello sviluppo e revisione delle attività, dall'altro, non tutti hanno la conoscenza necessaria e ritengono importante la presenza di una guida per sperimentare questa nuova esperienza e nuovi contenuti da presentare.

Computer Science Unplugged La filosofia dietro il progetto Computer Science Unplugged (Bell, Witten, Fellows, 1998-2015; Casey et al., 1992) è quella di ripensare l’insegnamento della tecnologia e dell’informatica. La vera Computer Science, la scienza dei computer, è basata su algoritmi, risoluzione di problemi e procedure da completare. Il computer è il mezzo che ci permette di utilizzare l'informatica e renderla potente, ma il cuore scientifico della materia non è dipendente dal calcolatore disponibile. Computer Science Unplugged - imparare l'informatica divertendosi - incoraggia la risoluzione di problemi, propone un approccio basato su storie da raccontare, giochi e problemi matematici

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ambientati nel mondo reale. Le idee che stanno dietro il progetto CS Unplugged sono molteplici: • nuove attività sulla logica e gli algoritmi per cicli di istruzione inferiori a quelli dove vengono presentati di solito; • idee matematiche in qualche senso profonde (spiegate solitamente soltanto all’università o addirittura problemi ancora aperti in matematica) possono essere presentate anche a bambini del primo ciclo scolastico; • matematica sempre più come materia interdisciplinare; • voglia dei matematici professionisti di mettersi in gioco per la divulgazione della materia, anche verso un pubblico non esperto; • le attività per bambini sono di solito molto creative da parte dell’insegnante in materie riguardanti lettura, scrittura, arte ma non nelle scienze ed in particolare nella matematica (questa visione piace molto anche agli insegnanti); • stimolare gli alunni a cercare da soli non solo la soluzione ma anche la strategia risolutiva; questo permette di entrare meglio nel problema e renderlo proprio.

Descrizione delle attività I task che stiamo per descrivere fanno parte di sequenze di insegnamento che sono state proposte per scuole e gruppi di età diverse nel corso degli anni scolastici 2015/2016 e 2016/2017. In un contesto di design research, le attività sono state sperimentate molte volte, sempre con un'analisi a priori insieme agli insegnanti e con uno sguardo retrospettivo al termine di ogni lezione. Gli studenti di due scuole diverse sono stati coinvolti: 2 classi di 3° grado (38 studenti), 5 classi in 4° grado (85 studenti), 4 classi di 5° grado (68 studenti), 9 classi in 6° grado (180 studenti) e 2 classi al 7 ° e 8 ° grado (41 studenti). La proposta didattica fatta alle scuole come “Orienteering e Matematica” collega l’attività sportiva di orienteering da anni proposta alle scuole primarie ad alcune attività del progetto internazionale Computer Science Unplugged precedentemente descritto, che è un insieme di attività didattiche sperimentali per insegnare l’informatica e gli algoritmi matematici attraverso il gioco utilizzando carte, calamite, pastelli e tanta attività fisica che porterà i ragazzi a camminare per la classe o a correre in giardino facendo attività di problem solving. Andremo a presentare in modo divertente, ad esempio, gli algoritmi del computer con il problema del trovare la strada migliore su una mappa, procedure di cifratura per tenere nascosti i dati, raccontate colorando dei disegni, labirinti in cortile ed orienteering nei parchi, per conoscere il territorio ed imparare a ragionare divertendosi! Nello specifico, diversi percorsi sono stati inizialmente proposti per differenti gradi scolastici: ● classi 2^ e 3^, scuola Primaria

introduzione a piante e mappe, vista dall’alto, destra e sinistra, punti cardinali; esperienze di gioco sul problema dei percorsi minimi, del map coloring, labirinti e problemi di orientamento spaziale; il tutto per arrivare in modo divertente a completare un percorso di orienteering nel nostro territorio.

● classi 3^ e 4^, scuola Primaria blocchi e figure, da 3D in 2D; come viene disegnata una mappa? Simbologia e legende delle varie carte geografiche; labirinti e percorsi, il problema dei ponti di Eulero, percorsi minimi su un grafo, algoritmi di ordinamento; esercizi pratici, con i punti cardinali e la bussola, il tutto per arrivare in modo divertente a completare un percorso di orienteering nel nostro territorio.

● classe 5^, scuola Primaria e classe 1^, secondaria di primo grado mappe, carte geografiche e satelliti, come vengono disegnate? Problemi di ottimizzazione di percorsi e figure geometriche, grafi e percorsi minimi/migliori; Algoritmi di ricerca e ordinamento, scelte di percorso e valutazione dell’efficienza, in

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teoria matematica e sulla mappa, per arrivare ad applicare il tutto ad un vero percorso di orienteering nel parco/bosco.

Da questa base, che rappresentava il punto di partenza proposto agli insegnanti, si sono poi personalizzati dei percorsi di insegnamento tarati sulle singole classi e sulle richieste dei docenti. Si comincia solitamente con qualche task "facile da eseguire" per capire meglio il problema che stiamo affrontando con gli studenti. Come abbiamo detto in precedenza, gli studenti sono lasciati liberi di provare da soli e trovare un modo per arrivare ad una soluzione. Vogliamo che ri-scoprire l'algoritmo (o algoritmi) che è funzionale per risolvere un problema predeterminato. Nel dettaglio, vorremmo raccontare alcune delle peculiarità di una selezione di attività svolte, ai vari livelli scolastici. Ai livelli più bassi lo spunto matematico/informatico è quello di parlare di “pre-coding”, facendolo in modo appunto unplugged e collegato al movimento nello spazio, attività tanto importante quanto a volte trascurata. La nostra sequenza di attività "unplugged" occupa solitamente 3 o 4 slot di lezione di una/due ore e segue ad una breve introduzione su come funziona il computer ed i numeri binari, oltre ai pixel dello schermo, sotto forma di giochi. Il nucleo centrale di questa sequenza è quello di imparare a dare e ricevere istruzioni, per poi, in futuro, applicarlo al linguaggio del computer. Un primo gioco a coppie, in cui i due bambini non si vedono tra di loro e devono però comunicare verbalmente, con lo scopo di far riprodurre l’uno all’altro una figura, formata con vari oggetti e forme di carta a loro disposizione. Questi task servono sì per dare delle istruzioni in sequenza, ma fanno anche emergere la capacità di orientamento spaziale dei bambini con oggetti che hanno in mano (vedi Figura 1).

Figura 1 – Due delle attività descritte in questa prima parte. Destra e sinistra sono quelli che creano più problemi, ma anche alcune ambiguità di parole quali “sopra” o “sotto” generano alcune incomprensioni. All’attività segue una discussione con la classe e l’insegnante. L’attività infine più collegata all’orientamento nello spazio porta i bambini all’interno di un percorso, costruito fisicamente in classe, di solito con attrezzi della palestra. In questo percorso di nuovo l’obiettivo è quello di dare le istruzioni, ad un volontario che impersona un “robot”, per arrivare al termine del percorso senza andare fuori strada. Di nuovo, l’orientamento spaziale, i

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concetti di destra e sinistra, creano difficoltà nei bambini, amplificate dal fatto che stanno osservando il percorso dall’esterno e non ci sono dentro in prima persona (vedi Figura 1). Per migliorare l’apprendimento e la condivisione tra loro di questi punti, l’attività è stata ripetuta a gruppi, lasciando a loro la libera organizzazione del lavoro e mettendoli in condizione di collaborare per arrivare alla creazione degli algoritmi corretti per concludere il percorso. Molte altre attività trattano invece i temi della matematica dei percorsi, ossia la teoria dei grafi; materia ostica che abbiamo voluto cercare di rendere spiegabile anche ai più giovani. Nel trattare la teoria dei grafi, soprattutto alla scuola primaria, le definizioni formali e la “modellizzazione” del problema con i grafi veri e propri può, almeno in una fase iniziale, essere evitata, poiché andrebbe ad introdurre troppi formalismi e distoglierebbe la concentrazione dei ragazzi dall’attività matematica vera e propria. Ma allora? Come presentare questo argomento a scuola? Abbiamo cercato di farlo, creando dei giochi pratici in cui gli studenti inizialmente quasi non si rendono conto di star facendo matematica, e a cui solo in seguito, segue una discussione, a seconda del livello scolastico, sulla matematica che c’è “in background”. Facciamo alcuni esempi. Introduciamo il problema del Minimal Spanning Tree (rif.) in un grafo con la storia della città fangosa (Figura 2): tanto tempo fa c'era una città che non aveva strade. Gironzolare nella città era particolarmente difficile dopo un temporale perché tutt'intorno c'era solo fango – le macchine si bloccavano nel fango e le persone si sporcavano sempre i loro stivali. Il sindaco della città decise così che qualche strada doveva essere pavimentata ma non voleva spendere più soldi del necessario perché voleva costruire anche una piscina. I cittadini si accordarono allora su due condizioni: devono essere pavimentate abbastanza strade perché sia possibile per ognuno andare dalla propria casa ad un'altra qualsiasi casa e la pavimentazione deve costare il meno possibile. Le strade hanno un costo pari alla loro lunghezza (in piastre).

Figura 2 – Modello della città fangosa con una possibile soluzione evidenziata.

Il problema matematico è quello di trovare un sottoinsieme del grafo (che risulterà essere un albero in questo caso) che colleghi tutti i vertici ed allo stesso tempo sia quello minimo tra tutti quelli che hanno questa caratteristica. Gli studenti riescono a ricostruire, senza che siano stati presentati in precedenza, i principali algoritmi utilizzati in informatica per la risoluzione del problema. L’attività viene svolta in pratica, con gruppi di 7-10 alunni alla volta, con l’utilizzo di un tappeto e rendendo pratico il problema (vedi Figura 3). Al gruppo viene presentata la storia e richiesto, come in un gioco di ruolo, di trovare una soluzione. Spesso è necessario lasciar trovare una prima soluzione funzionante e poi stimolare il fatto che questa si può migliorare, modificandola e/o togliendo pezzi per utilizzare meno piastre per risolvere il problema.

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Figura 3 – Gli studenti nell’attività con il tappetto che modellizza la città fangosa. Anche l’orienteering con l’utilizzo di una mappa si presta molto bene a modellizzare la teoria dei grafi. Ecco che il noto problema del commesso viaggiatore, dove abbiamo un commesso che deve consegnare dei pacchi in diverse città e poi ritornare alla base di partenza, cercando di fare meno strada possibile, diventa un gioco con la mappa. Con una semplice pianta del cortile (vedi Figura 4), o anche di un campo e dei birilli, possiamo costruire rapidamente un tale gioco. Il problema per gli alunni sarà quello di passare per tutti i punti segnati sulla mappa, facendolo nell’ordine che preferiscono, cercando il percorso più veloce.

Figura 4 – Mappa del cortile della scuola, con punti da trovare in sequenza libera.

Un ultimo problema della teoria dei grafi, tra i tanti proposti, che vogliamo analizzare è quello dei circuiti di Eulero. Il famoso problema dei ponti di Kӧnigsberg (Figura 5) richiede di trovare un percorso, partendo da un qualsiasi punto, che possa attraversare tutti i ponti presenti, una ed una sola volta, senza cioè ripassare più volte sullo stesso, in qualsiasi direzione.

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Figura 5 – Gli studenti nell’attività con il tappetto che modellizza la città fangosa. Il problema è analogo a quello di disegnare delle figure “senza staccare la matita dal foglio” (problema dei percorsi di Eulero) e senza ripassare la stessa linea più volte e si può riprodurre anche in pratica, di nuovo con mappa da orienteering questa volta di una città, proponendo un percorso da seguire sulla mappa, percorrendo tutta la linea segnalata, ma di nuovo, una sola volta per ogni tratto (vedi esempio in Figura 6).

Figura 6 – Percorso “segui-linea” in città e problema matematico dei percorsi di Eulero.

Risultati osservati e conclusioni

In conclusione, sono stati provati vari percorsi, bilanciati più o meno sulla matematica o sulla geografia in base alle esigenze dei docenti, ma sempre con uno sguardo al collegamento tra le discipline. L’analisi dei dati è principalmente un’analisi video (con percezione e concezione, come in Zack &

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Tverski, 2001) qualitativa; sono stati registrati sia i lavori di gruppo che le discussioni in classe. Inoltre il materiale a disposizione è composto anche da note prese sul campo, interviste agli insegnanti, trascrizioni dei video e materiali prodotti dagli studenti. L’attenzione è posta principalmente sull’attività di apprendimento degli alunni, come singoli ed in relazione con il gruppo (Davidson & Kroll, 1991). Tra i risultati di interesse osservati, oltre allo sviluppo delle capacità di orientamento spaziale già citate nei precedenti paragrafi, abbiamo degli importanti risvolti nel campo della didattica cooperativa, combinata con l’approccio prescelto della Guided Reinvention of Mathematics. L’approccio scelto, assieme agli argomenti affrontati, che sono “nuovi” agli studenti e quindi eliminano le differenze dovute alle conoscenze pregresse, hanno fatto sì che le attività proposte si siano rivelate molto adatte ad una didattica inclusiva. Il tipo di problemi proposti, spesso con una caratterizzazione nello spazio e la resa reale dei ragionamenti, hanno permesso inoltre di abbattere alcune barriere per quegli alunni che hanno qualche difficoltà in più nel formalizzare la matematica ed in generale nel pensiero astratto. Questo fare matematica in maniera più pratica si posiziona come un primo passo verso una successiva formalizzazione dell’attività svolta. La dinamica cooperativa dell’approccio, inoltre, ci ha mostrato come molti alunni traggano vantaggi nell’apprendimento dal discutere e collaborare con gli altri. Ad esempio, attraverso alcuni video registrati in classe, si osserva come, secondo il punto di vista di Vygotskij sulla zona di sviluppo prossimale, alcuni alunni che inizialmente non capiscono, traggano vantaggio dalla conversazione con i compagni per giungere prima all’intuizione che permette di capire appieno il problema (Gaio & Di Paola, 2016), e successivamente siano anche aiutati nella formalizzazione dei concetti. Per concludere, crediamo nella valenza del progetto presentato su molti aspetti, quello dell’interdisciplinarietà, per far vedere ancora una volta come la matematica, magari un po’ più insolita di quella “tradizionale” in classe, sia all’interno di molte altre materie scolastiche e problemi attuali; sull’importanza di un approccio pratico per rendere più inclusivo l’insegnamento, sull’aspetto dei problemi cooperativi e delle dinamiche di apprendimento che ne possono scaturire. Le prospettive di sviluppo ed ampliamento di un tale problema sono molteplici: dai collegamenti al più tradizionale corso sull’orienteering (vista dall’alto, cartografia, scale e misure, punti cardinali, etc.) a percorsi matematici sulla teoria dei grafi e sugli algoritmi per gli anni scolastici successivi.

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UN’ESPERIENZA DI FLIPPED TEACHING NELL’INSEGNAMENTO-APPRENDIMENTO DELLA MATEMATICA

Elena LAZZARI

Dipartimento di Matematica e Informatica, Università degli studi di Ferrara (FE)

Riassunto

In questo contributo si vuole presentare un’esperienza didattica, attuata in una classe prima di scuola secondaria di secondo grado nell’ambito di un laboratorio di approfondimento sui sistemi di numerazione e svolta in modalità flipped learning. L’obiettivo è quello di indagare alcuni aspetti di questa metodologia che potrebbero migliorare il processo di insegnamento-apprendimento della matematica. L’indagine viene svolta esaminando le opinioni degli studenti che hanno partecipato al laboratorio, per scoprire se i protagonisti di tale processo hanno osservato in prima persona miglioramenti su se stessi e sul proprio modo di apprendere.

Introduzione

“L’attuale modello educativo riflette il periodo in cui è stato progettato: la rivoluzione industriale. Gli studenti sono educati in una catena di montaggio che rende efficiente la loro educazione standardizzata. Gli viene richiesto di sedere in file ordinate ad ascoltare un “esperto” che presenta una disciplina e di ricordare all’esame le informazioni ricevute. Eppure in qualche modo, in questo clima, ci si aspetta che tutti gli studenti ricevano la stessa educazione”6 (Bergmann e Sams, 2012; Trad. it., p.15). Queste le parole di Jonathan Bergmann e Aaron Sams, insegnanti di chimica in una scuola nel Colorado, considerati i due pionieri dell’innovativa metodologia didattica chiamata flipped learning, o apprendimento capovolto. Secondo i due autori il modello educativo usato oggi non può essere efficace per tutti gli studenti, per via della loro intrinseca eterogeneità. Ad alcuni mancano le basi per affrontare una specifica materia, altri hanno un diverso ritmo di apprendimento, altri ancora semplicemente non sono interessati. Dopo più di due secoli dalla rivoluzione industriale la società è completamente mutata, in continua evoluzione, ha bisogno di una scuola che favorisca la crescita e lo sviluppo dei talenti individuali dei suoi allievi, non occorre più che i ragazzi sappiano riprodurre un insieme consolidato di conoscenze (Cecchinato e Papa, 2016). Ciò che viene portato in primo piano sono quindi le competenze, che devono diventare il nuovo obiettivo dell’insegnamento, per aumentare quella connessione tra scuola e società che negli ultimi anni è diventata sempre più labile (Castoldi, 2009). Queste le ragioni principali che hanno portato alla nascita e soprattutto alla diffusione del flipped teaching. L’esperienza didattica esposta nel contributo si è svolta con tale approccio, in occasione di un laboratorio di approfondimento sui sistemi di numerazione. Il laboratorio è stato creato nell’ambito del progetto Piano Lauree Scientifiche, organizzato dall’Università degli Studi di Ferrara per le scuole secondarie di secondo grado, ed attuato per la prima volta. I ventisette studenti che hanno partecipato al progetto erano i membri di una classe prima di un liceo scientifico della città. Il laboratorio, della durata complessiva di 12 ore, si è svolto nella seconda metà del primo semestre e per gli studenti è stata la prima esperienza con un approccio educativo diverso da quello tradizionale.

6Trad.it.acuradiSergioVastarella

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L’impostazione di un generico precorso in modalità flipped, e in particolare del nostro laboratorio, viene descritta nel paragrafo successivo, con una breve trattazione della teoria educativa nel quale questo metodo si inserisce e delle strategie didattiche di cui fa uso. Segue una breve presentazione del laboratorio e dell’esperienza, senza entrare nel dettaglio. Il cuore della comunicazione consiste infatti nell’analisi delle opinioni degli studenti rispetto al percorso svolto, dal quale proveremo a trarre alcune conclusioni. Flipped learning e inquadramento teorico Il flipped learning è una metodologia didattica legata a un’impostazione di tipo costruttivista, il cui assunto di base consiste nella visione della conoscenza della realtà come costruzione tanto individuale quanto sociale (Carletti e Varani, 2005). Ciò significa portare nel cuore dell’azione didattica l’apprendimento e i suoi processi, decentralizzando il ruolo dell’insegnante e modificando la trasmissione passiva dei saperi. Per far ciò non è sufficiente capovolgere i due momenti fondanti nell’educazione tradizionale - spiegazione in classe e compiti a casa - come la versione divulgativa del metodo prevede. Ciò che deve essere rovesciato è il processo stesso di apprendimento. Gli studenti dovranno costruire attivamente i saperi di ogni disciplina, eliminando la fase di ascolto passivo e memorizzazione acritica. Per evitare malintesi il Flipped Learning Network, ha evidenziato che i termini flipped classroom - classe capovolta - e flipped learning - apprendimento capovolto - non sono interscambiabili. Col primo vocabolo si intende semplicemente la spiegazione a casa e compiti a scuola, secondo l’accezione più comune e semplificata. Questo non può certo essere considerato sinonimo di apprendimento capovolto, il quale comporta anche l’inserimento dei processi di insegnamento-apprendimento in contesti differenti dai classici, l’utilizzo di strategie didattiche avvalorate e delle nuove tecnologie (Vastarella, 2016). Le strategie a cui si fa riferimento sono per lo più quelle di active learning, in particolare l’inquiry based learning e il peer learning, che da diverse esperienze sembrano essere le più proficue (Cecchinato, 2014). Per fronteggiare un tale cambiamento di impostazione didattica, anche il docente dovrà modificare il suo ruolo, trasformandosi da saggio e divulgatore della disciplina a guida a supporto degli studenti. L’insegnante ha così modo di assistere gli alunni nella fase più delicata della costruzione delle conoscenze fungendo da facilitatore, favorendo le loro inclinazioni, capacità, talenti e interessi (King, 1993). Ciò permette di dare particolari attenzioni agli alunni in difficoltà e maggiori stimoli a quelli più brillanti; con il flipped learning sembra veramente possibile attuare una personalizzazione della didattica (Bergmann e Sams, 2012). Il ciclo di apprendimento non segue più lo schema classico formato da lezione frontale/studio individuale/verifica finale, ma è scansionato da tre fasi connesse tra loro da un filo conduttore: la sfida. Secondo il pensiero di Guy Brousseau per uno studente non è infatti possibile costruire una conoscenza significativa senza un reale interesse e un coinvolgimento in essa. Perciò la costruzione di concetti deve essere motivata e stimolata, inserendola in contesti legati alla quotidianità dei ragazzi (D’Amore e Sbaragli, 2011). La didattica capovolta in effetti riprende molti punti della Teoria delle situazioni (Brousseau, 1986), in particolare della situazione a-didattica (Vastarella, 2016). La prima fase, il lancio della sfida, è fondamentale essendo il momento in cui bisogna attirare l’attenzione degli studenti attivando il loro interesse. Per farlo si posso proporre problemi in contesti quotidiani, dibattiti provocatori, analisi di situazioni reali e ricerche personali. Inoltre in questa occasione è possibile chiarire il contesto o richiamare prerequisiti, fornendo informazioni non esaurienti. Gli approcci sono vari - video, testo, immagini, file multimediali - e possono essere attuati a casa, prima della lezione, o in aula. La seconda fase, la conduzione della sfida, ha come scopo quello di sviluppare una mentalità scientifica mostrando quanto sia sterile un’assimilazione acritica delle conoscenze. Si tratta quindi di far svolgere attività di scoperta e riflessione, applicando strategie cognitive e procedure di

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indagine specifiche della matematica, producendo anche materiale che potrebbe essere utile in un secondo momento. Per favorire questo processo vengono sfruttate strategie di apprendimento attivo, come quelle già citate in precedenza. Il ciclo si conclude con la rielaborazione e valutazione del processo stesso. Chiudere la sfida consiste in un dibattito collettivo guidato dall’insegnante che coinvolge l’intera classe, non solo con l’obiettivo di chiarire, rendere espliciti e consolidare i contenuti, ma anche di costruire e sviluppare competenze, riflettendo sui procedimenti e sulle strategie attuate. Si tratta dunque di un vero e proprio debriefing, che può essere prolungato al di fuori dell’aula prevedendo attività di consolidamento, ulteriori ricerche e pratiche applicative. È questa inoltre la fase in cui la valutazione interviene maggiormente, anche se il processo valutativo è in realtà integrato nell’intero percorso didattico ed è presente in ogni fase del ciclo di apprendimento. La volontà è quella di non analizzare solo i prodotti, ma anche e soprattutto i processi, passando da una valutazione dell’apprendimento ad una valutazione per l’apprendimento, fornendo frequenti feedback in forma di consiglio, più che di giudizio, per rendere gli studenti maggiormente consapevoli e motivati. La valutazione diventa quindi formativa e partecipativa, restando coerente alla teoria costruttivista di riferimento, che punta ad un apprendimento autoregolato, consapevole e motivato (Cecchinato e Papa, 2016). La valutazione sta quindi mutando, non limitandosi più a un mero accertamento di conoscenze, ma dando attenzione anche a “quanto il soggetto sa utilizzare il proprio sapere per agire nel contesto di realtà in cui si trova a vivere” (Castoldi, 2009, p.27) - accertamento di competenze - per questo motivo viene chiamata valutazione autentica. Da queste brevi considerazioni si può osservare come il flipped learning fondi le sue radici in teorie didattiche conosciute e impieghi strategie educative sostenute dalla ricerca da diversi anni, la cui efficacia è stata ampiamente dimostrata. Il merito del metodo flipped è di averle strutturate in un modello dinamico e integrate con le nuove tecnologie, permettendone una diffusione e un attecchimento nella scuola come mai era accaduto in precedenza. Struttura del laboratorio ed esperienza in classe Il laboratorio è composto di tre parti della durata di quattro ore ciascuna:

• i sistemi di numerazione nella storia; • il sistema di numerazione decimale; • il sistema di numerazione binario.

Ognuna di queste ha come obiettivi, oltre l’acquisizione dei contenuti, anche lo sviluppo di particolari competenze. Proposito comune a tutto il laboratorio è lo sviluppo di competenze generali come comunicare, collaborare e partecipare, agire in modo autonomo e responsabile, in accordo con le Indicazioni Nazionali per Licei del 20107. Le attività proposte, anche per questo motivo, sono state svolte sfruttando strategie di peer education. La prima parte del percorso punta a competenze di carattere generale, anch’esse presenti nelle Indicazioni Nazionali, come progettare, individuare collegamenti e relazioni, acquisire e interpretare l’informazione. L’attività principale consiste infatti in una ricerca con produzione di elaborati, allo scopo di condividere successivamente i risultati con il resto della classe. Gli studenti hanno dimostrato impegno ed interesse, ma essendo il primo approccio ad attività di questo tipo si sono manifestate alcune carenze, in particolare nelle abilità socio-relazionali e di interpretazione dell’informazione. Infatti molti gruppi hanno deciso di suddividere i punti nodali da ricercare tra i componenti e di lavorare individualmente, proponendo in molti casi un prodotto disomogeneo, mal strutturato e a volte ripetitivo. A seguito della valutazione di carattere formativo, diversi gruppi hanno potuto modificare il proprio lavoro migliorando l’elaborato.

7PiùprecisamentealDecretoMinisterialen.9,27gennaio2010

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La seconda parte ha come fine lo sviluppo di competenze specifiche legate al problem solving, al ragionamento e alla prova matematica (D’Amore, 2003). Si tratta infatti di scoprire le ragioni sottostanti gli algoritmi delle quattro operazioni per numeri a più cifre e l’argomentazione degli artifici che rendono “magici” alcuni giochi di prestigio. Sono emersi preponderanti gli effetti del modello educativo tradizionale che ha abituato gli studenti ad assimilare acriticamente le conoscenze senza interrogarsi sulle motivazioni, le origini e gli sviluppi (D’Amore, Sbaragli, 2011). Si è cercato di incrinare questo contratto didattico (Brosseau, 1980), che impediva agli alunni di comprendere anche solo il testo dei problemi, scoprendo che l’interesse stimolato dalla sfida è riuscito a condurli fino al termine delle attività di problem solving. L’ultima parte ha come obiettivi il progresso di competenze legate ai processi di connessione/relazione tra idee matematiche e di modellizzazione (D’Amore, 2003). Le attività ruotano attorno ad un gioco sfidante la cui strategia vincente si basa sul codice binario. Lo scopo è quello di proporre versioni alternative del gioco originale adattando la strategia vincente alle nuove situazioni. Nuovamente il problema principale è stato la lettura del testo, d'altronde gli studenti non sono abituati a svolgerla (Malara, 1993): la loro superficialità in una fase così delicata li ha portati in un primo momento a svolgere l’attività scorrettamente. Dopo la revisione dell’insegnante al lavoro di ogni gruppo in corso d’opera, gli alunni non solo hanno dimostrato di saper modellizzare il problema e trovare le connessioni utili per risolverlo, ma hanno anche messo in luce il loro lato creativo proponendo varianti del gioco adeguate. Risultati del questionario finale e riflessioni Al termine del laboratorio è stato chiesto agli studenti di compilare il questionario finale per conoscere il loro parere rispetto all’esperienza vissuta8. Le questioni poste hanno lo scopo di indagare se i benefici noti del flipped teaching9 fossero stati avvertiti anche dai protagonisti dell’esperienza già dopo una breve applicazione del metodo. È infatti risaputo che gli effetti di strategie di apprendimento attivo possono essere visibili solo dopo un utilizzo duraturo e costante nel tempo (Carletti e Varani, 2005). Ciò nonostante, come mostreremo nel seguito, i risultati dell’indagine sulle opinioni degli studenti sembrano aver confermato alcuni primi risultati positivi. Il primo fatto indagato riguarda l’aspetto motivazionale, proponendo le seguenti domande.

1. Le lezioni svolte durante il laboratorio sono state più divertenti rispetto ad una normale lezione di matematica? Sì No Altro: _________________________ Motiva la risposta precedente.

2. Gli argomenti trattati durante il laboratorio sono risultati più interessanti rispetto a quelli spiegati di solito durante le ore di matematica? Sì No Altro: _________________________ Motiva la risposta precedente.

3. Che sensazioni hai provato durante le attività proposte durante il laboratorio?

8Ilquestionariofinaleèstatocompilatoda25studenti.9Iltermineflippedteaching,oaltrianaloghi,nonsonostatiusatinelledomandedelquestionario.Essendoquestodestinatoastudenti,pernonappesantirelerichiesteconlinguaggiospecifico,sièpreferitofarriferimentoallamodalitàflippedinserendoterminidiusocomune,come“laboratorio”.

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Alla prima domanda ha risposto affermativamente la quasi totalità della classe, apprezzando in modo particolare il fattore di novità, la possibilità di potersi confrontare con i compagni e di poter partecipare attivamente alle lezioni (Tabella 1)10. L’unico studente che ha risposto negativamente ha spiegato che, amando la matematica come disciplina, trova le lezioni tradizionali altrettanto interessanti.

Sì 24 (96%) Novità 6 (24%) Confronto fra compagni

8 (32%)

Partecipazione attiva

9 (36%)

Altro 5 (20%)

Tabella 1 - Giustificazioni alla risposta affermativa della domanda 1 con relativo numero di studenti e percentuale

Riportiamo nel seguito alcune delle opinioni degli studenti che hanno dato risposta affermativa a titolo di esempio. Sara: “Poiché non bisognava solo stare attenti e prendere appunti ma anche metterli in pratica e verificare ciò che si era capito dalla lezione”. Paola: “È stato divertente lavorare in gruppo con i miei compagni di classe, sperimentando nuovi metodi”. Elia: “Perché abbiamo lavorato a gruppi, siamo stati noi a spiegare gli argomenti ai compagni, non come al solito quando la professoressa fa lezione”.

Sì 19 (76%) No 0% Altro 6 (24%)

Stimoli interessanti 7 (32%)

Dipende dagli argomenti

3 (12%)

Novità 5 (20%) Altro 3 (12%) Interdisci-plinarità 3 (12%)

Partecipa-zione attiva 3 (12%)

Altro 3 (12%)

Tabella 2 - Giustificazioni alle risposte della domanda 2 con relativo numero di studenti e percentuale Alla seconda domanda il 76% degli studenti ha risposto positivamente grazie agli stimoli interessanti offerti dal laboratorio, al fattore di novità, all’interdisciplinarità delle attività e alla partecipazione attiva alle lezioni. Esplicative del risultato ottenuto sono le seguenti: Chiara: “Penso che ci abbiano invogliato maggiormente a lavorare, cosa che non accade spesso durante una normale lezione”. Elia: “Perché ho scoperto molte cose e ciò mi ha permesso di ingrandire il mio bagaglio culturale”.

10Lemotivazionideglistudentiallarispostachiusadatacontengonoanchepiùdiunagiustificazione,perquestomotivonellatabellaconsiderata,cosìcomeinquellesuccessive,lasommadellepercentualiriferiteallemotivazionipotrebberononcoincidereconlapercentualerelativaallerispostedelladomandachiusa.

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Il restante 24% ha dato altre risposte; in Tabella 2 una schematizzazione della situazione che si è venuta a presentare. Al terzo quesito l’80% degli alunni ha dichiarato di aver percepito sensazioni positive mentre studiava matematica durante il laboratorio. Più nel dettaglio, il 36% dice di aver provato interesse e curiosità, il 20% vero e proprio divertimento e un altro 20% ha avvertito un’atmosfera di collaborazione, come espresso dalle seguenti risposte. Micol: “Alcune attività mi sono piaciute molto come lavorare in gruppo e preparare le presentazioni per l'origine dei numeri, è stato entusiasmante e produttivo”. Chiara: “Mi sono molto divertita, mi piace scoprire nuove cose e anche capire il perché di eventi ecc.” Il restante 20% non ha provato sensazioni specifiche, o queste sono dipese dagli argomenti affrontati durante i singoli incontri. Il corpo centrale del questionario indaga diversi aspetti di grande interesse per il flipped teaching; riportiamo le domande poste prima di entrare nel dettaglio dei responsi.

4. Come ti sei trovato a lavorare in gruppo con i tuoi compagni? Bene Male Altro: _________________________ Motiva la tua risposta precedente.

5. Ti sei sentito più o meno seguito dall'insegnante durante questo laboratorio rispetto ad una normale lezione? Più seguito Meno seguito Altro: _________________________

6. Sei riuscito ad apprendere gli argomenti trattati (sistemi di numerazione nella storia, sistema di numerazione decimale, sistema di numerazione binario)? Sì, come nelle normali lezioni di matematica Sì, meglio che in una normale lezione di matematica No, capisco meglio con una normale lezione di matematica Altro: ______________________________

7. Pensi di aver imparato qualcos'altro (oltre gli argomenti già detti nella domanda precedente) da questa esperienza? Se sì, quali?

8. La valutazione usata durante il laboratorio è sempre stata tempestiva e i voti erano sempre affiancati da un commento (scritto o orale) riguardo il vostro lavoro. Pensi che questo ti sia stato utile? No, a me interessava solo il voto No, non mi è stato utile in alcun modo Sì, ho capito il motivo dei miei errori e ho modificato i miei comportamenti Sì, così sapevo perché avevo ottenuto quel voto Altro :____________________________ Motiva in modo più approfondito la tua precedente risposta.

Al quarto quesito la quasi totalità degli studenti ha risposto di essersi trovata bene a lavorare in gruppo. Le motivazioni principali sono state due: l’aiuto ed il sostegno profuso dagli altri membri - il 40% - definiti spesso disponibili e impegnati, e l’occasione di divertimento e socializzazione - il 52% . In una lezione tradizionale tutto ciò manca, o addirittura viene evitato, essendo visto come una semplice fonte di distrazione (Damon, 1984), così come è stato espresso da Matilde: “A scuola non molto spesso si può lavorare in gruppo, cosa invece secondo me molto utile per rafforzare i rapporti con i compagni e abituarci a fare gioco di squadra”. Un unico studente ha segnalato di non essersi trovato sempre a proprio agio, e ciò è dipeso dai compagni di gruppo.

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La quinta domanda va ad indagare un aspetto molto importante del flipped learning, legato alla possibilità di individualizzare l’apprendimento. L’obiettivo in tal caso è capire se tale opportunità fosse stata colta anche dagli studenti. Il 44% di questi ha dichiarato di essersi sentito ugualmente seguito dal docente, il 28% maggiormente assistito ed il restante 28% meno seguito rispetto al modello educativo tradizionale. Sembra quindi che non tutti siano riusciti a percepire la presenza costante dell’insegnante, nonostante il tempo dedicato ai singoli gruppi e a ogni alunno. Forse per chiarire meglio la situazione sarebbe stato utile approfondire cosa gli studenti intendessero con “ugualmente” o “meno seguito”. Simile è il quadro di risposte che viene a presentarsi per il sesto item: il 68% della classe afferma di aver acquisito gli argomenti come in una lezione normale, il 28% pensa di aver appreso meglio mentre l’8% dichiara che l’efficacia dipendeva dall’argomento trattato. Di grande interesse sono le opinioni espresse in riferimento alla settima domanda. Il 76% degli studenti ha affermato di aver appreso altro oltre gli argomenti trattati. Un 28% ha dichiarato semplicemente di aver imparato giochi di magia, di strategia e l’origine dei numeri, riferendosi quindi agli stimoli offerti per affrontare gli argomenti su cui verteva il laboratorio. La restante parte, il 48%, è riuscita a guardare più in profondità, notando miglioramenti su competenze fondamentali come quelle socio-relazionali, comunicative e organizzative (Tabella 3). Riportiamo a titolo di esempio alcune risposte degli alunni. Sara: “Sì, lavoro di gruppo, come esporre un lavoro e rielaborazione degli appunti”. Lea: “Si, saper utilizzare i giusti siti per le ricerche di matematica, saper lavorare in gruppo e spinto a farmi delle domande”.

Sì 19 (76%) Stimoli 7 (28%) Competenze socio-relazionali

8 (32%)

Competenze comunicative e organizzative

7 (28%)

Altro 2 (8%)

Tabella 3 - Giustificazioni alle risposte affermative della domanda 7 con relativo numero di studenti e percentuale

Anche la domanda otto è stata occasione di riflessione per gli studenti che hanno risposto positivamente nel 100% dei casi. Il 20% ha trovato utile ricevere frequenti feedback soltanto per capire le motivazioni che sottostavano la loro valutazione, ma l’80% li ha percepiti come importante strumento per modificare i propri comportamenti e migliorare il loro apprendimento, come ben espresso da Anita: “Il voto è solo un numero. L'importante è comprendere i propri errori in modo da non ripeterli più”. L’ultima parte del questionario ha lo scopo di determinare il livello di apprezzamento per il laboratorio e per l’approccio flipped alla matematica.

9. Cosa ti è piaciuto di più del laboratorio? Cosa ti è piaciuto di meno? E cosa cambieresti? 10. In futuro ti piacerebbe partecipare ancora a laboratori come questo su altri argomenti di

matematica? Sì No

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11. Ti piacerebbe studiare matematica sempre così (con queste modalità)? Sì No

Le risposte alla nona richiesta sono state, come prevedibile, le più disparate (Tabella 4).

Piaciuto di più Piaciuto di

meno

Lavorare in gruppo 8 (32%) Poco tempo 6 (24%)

Sist. di num. binario

7 (28%) Sist. di num. nella storia

3 (12%)

Sist. di num. nella storia

3 (12%) Troppi compiti a casa

2 (8%)

Tutto 3 (12%) Altro 3 (12%) Altro 3 (12%)

Tabella 4 - Risposte alla domanda 9 con relativo numero di studenti e percentuale

L’apprezzamento è emerso preponderante, tanto che molti allievi non sono riusciti a trovare un aspetto negativo dell’esperienza. Chi si è esposto in tal senso, oltre a esprimere preferenze sugli argomenti trattati, ha segnalato il poco tempo a disposizione come un aspetto spiacevole dell’esperienza. In effetti gli obblighi organizzativi del laboratorio non permettevano elasticità sui tempi, aspetto che può essere in parte migliorato se e quando la metodologia verrà applicata quotidianamente dall’insegnante. Infine tutta la classe ha asserito che vorrebbe partecipare nuovamente a esperienze di flipped learning e il 72% che addirittura vorrebbe studiare la matematica sempre con queste modalità. Conclusioni I risultati ottenuti con il questionario appena analizzato possono far nascere diverse riflessioni riguardo i miglioramenti che il flipped teaching può apportare, consapevoli del fatto che le conseguenze dell’applicazione di metodologie di apprendimento attive sono visibili solo dopo lunghi periodi (Carletti e Varani, 2005). L’aspetto che ha evidenziato i maggiori benefici è senz’altro quello relativo alla motivazione in matematica, infatti le percentuali di risposte positive nei primi tre quesiti sono state molto alte, tra il 76% e il 96% , decisamente superiori rispetto agli item che indagano altre questioni come la significatività dell’apprendimento, l’individualizzazione dell’apprendimento o la valutazione autentica. Anche le ultime domande che studiano l’apprezzamento espresso dagli studenti rispetto alla metodologia didattica, ha avuto risposte affermative in alta percentuale, tra il 72% e il 100%. La motivazione è uno dei fattori considerati rilevanti nell’insegnamento-apprendimento della matematica. Precisamente: l’atteggiamento è il costrutto che permette di determinarlo (Zan R., 2000), ed è parte di quelli che, più in generale, vengono chiamati in didattica della matematica fattori affettivi. Questi interagiscono profondamente con i fattori cognitivi ed hanno un ruolo determinante in attività che sono state considerate per molto tempo puramente cognitive, come ad esempio il problem solving (Di Martino, 2011). Se il flipped teaching riuscisse realmente a migliorare tale aspetto, come questa primissima esperienza suggerisce, sarebbe un utile strumento per l’insegnamento-apprendimento della matematica. Da queste brevi riflessioni emerge la necessità di sviluppare ulteriori ricerche che rendano più chiaro il legame fra i fattori affettivi e il flipped learning in matematica, per poter dare maggiori certezze ad una metodologia didattica che sta muovendo i suoi primi passi nella scuola italiana.

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ZAN R., 2000, Atteggiamenti e difficoltà in matematica, ‘L’insegnamento della matematica e delle scienze integrate’, 23 (5), pp. 441-466

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PRIMA E DOPO IL COOPERATIVE LEARNING: PER UNA PEDAGOGIA DELLO SPAZIO E UN “#EVALUPARTY”

Mariagrazia MARCARINI Università degli Studi di Bergamo

Riassunto

La riflessione che si propone in questo scritto riguarda le azioni che precedono e seguono il Cooperative Learning. Ancora prima di porsi nella dimensione di proporre ai propri studenti il Cooperative Learning, è necessario fare una riflessione non solo su come impostarlo, ma anche su come strutturare l’organizzazione spaziale dell’aula. Per la buona riuscita della didattica cooperativa c’è la necessità di creare un ambiente di apprendimento collaborativo, organizzando innanzi tutto un setting adeguato, anche se le aule delle nostre scuole sono spesso piccole e sovraffollate e diventa complicato riorganizzare i banchi. A queste azioni che precedono la didattica cooperativa, ne seguono altre che, in realtà, non sono successive, ma legate da un continuum operativo e didattico che va accuratamente pianificato e che riguarda la valutazione che deve essere autentica e pianificata, in modo da rendere l'apprendimento un piacere e l'esame una festa: #Evaluparty.

Introduzione Ancora prima di porsi nella dimensione di proporre ai propri studenti il passaggio da una didattica tradizionale al Cooperative Learning, è necessaria una riflessione non solo su come impostarlo, ma anche su come strutturare l’organizzazione spaziale dell’aula. Il tema non è così banale perché da «organismi biologici, quali siamo, codifichiamo o traduciamo stimoli ambientali in azioni potenziali. Ciò significa che concettualizziamo gli oggetti non in modo astratto tramite simboli, bensì simulando percettivamente il modo in cui essi devono essere toccati, maneggiati o utilizzati»11; pertanto, diventa indispensabile per la buona riuscita della didattica cooperativa ripensare agli spazi dell’aula. Vero è che le aule delle nostre scuole sono spesso piccole e sovraffollate e diventa complicato riorganizzare i banchi, ma poiché, «gran parte della nostra conoscenza concettuale è di fatto incarnata, nel senso che è neurologicamente mappata nel sistema senso-motorio che controlla tutti i movimenti consapevoli e tiene traccia delle nostre sensazioni corporee»12 è fondamentale dare una conformazione adeguata allo spazio, riadattando il setting proprio in funzione di una nuova modalità didattica. Affinché la cooperazione sia valida non basta sollecitare gli alunni a lavorare insieme o a collaborare tra loro, oltre a individuare quali competenze si debbano sviluppare, ma appare necessario mettere a fuoco quali metodologie e strumenti didattici possano permettere di eseguire un’attività in modo cooperativo13. Tra questi c’è, prima di tutto, la necessità di creare un ambiente di apprendimento collaborativo, organizzando un setting adeguato. Nelle scuole, molto spesso gli insegnanti trascurano l’influenza e l’importanza che l’organizzazione degli spazi ha sugli allievi e sul loro apprendimento14. I modelli d’insegnamento, infatti, sono solitamente legati all’organizzazione spaziale.

Due modelli contrapposti: comportamentista e costruttivista Si propone, inizialmente, l’analisi di due modelli tra loro contrapposti sia per il ruolo svolto dal 11H.F. MALLGRAVE, L’empatia degli spazi. Architettura e neuroscienze, Raffaello Cortina Editore, Milano 2015, p. 79. 12 Ivi, p. 80. 13M. MARTINELLI, In gruppo si impara. Apprendimento cooperativo e personalizzazione dei processi didattici, SEI, Torino 2004, p. 68. 14P. BARRETT, Y. ZHANG, F. DAVIES, L. BARRETT, Clever classrooms. Summary report of the HEAD Project (Holistic Evidence and Design), University, of Salford, Manchester 2015, p. 3.

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docente e dallo studente, sia per la disposizione degli spazi: il modello comportamentista e il modello costruttivista, per arrivare poi al modello dell’apprendimento attivo. Nell’impostare un’azione didattica, è importante avere chiaro se si vuole svilupparla attraverso un’ottica di insegnamento o di apprendimento, tenendo conto che i due aspetti, tra loro inscindibili, sono, comunque, due modi diversi di intendere e sviluppare le conoscenze dell’allievo. La natura del rapporto tra studente e insegnante è sempre di tipo asimmetrico in tutti modelli, ma con sostanziali ed importanti differenze. Nel modello comportamentista, al centro del processo ci sono esclusivamente l’insegnante e l’informazione da trasmettere; si apprendono nozioni e ciò che viene programmato sono quasi esclusivamente le operazioni, poiché il trasferimento dell’informazione e lo studio rappresentano già una garanzia di apprendimento15. Volendo schematizzare questa diversa impostazione, l’ottica del compito di realtà permette di cogliere, in modo chiaro, i rapporti tra docente e discente attraverso la rigidità del rapporto in cui è il docente che fissa contenuti, vincoli e obiettivi ai quali l’allievo deve adeguarsi16.

Al contrario, nel modello costruttivista si pone al centro del processo lo studente che deve apprendere; è necessario, quindi, progettare gli stimoli da fornire, le operazioni da compiere e le situazioni in cui si può far prendere coscienza all’allievo del percorso effettuato. È evidente che sono due ottiche opposte: nel primo caso ci sono contenuti da trasmettere, nel secondo caso, ci sono delle competenze che devono essere acquisite ed è, quindi, un processo che garantisce l’unità dell’apprendimento e un dinamismo della mente17.

15 F. SANTOIANNI, Modelli e strumenti di insegnamento. Approcci per migliorare l’esperienza didattica, Carocci, Roma 2010, pp. 29-36. 16M. MARCARINI, Pedarchitettura. Linee storiche ed esempi attuali in Italia e in Europa, Studium, Roma 2016, p. 105, cfr. in A. MAGISTRALI, Il compito di realtà: un modello di interazione antropologica, Scuola e Università per la Ricerca, 5.10.12, su http://www.sara.udanet.it/?mcode= home&cmpcode=tagcloud&cmd=dtlpubliclis t&idtag=88#, visitato il 20.12.2013. 17L. GUASTI, Didattica e significato del metodo, in L. GUASTI (a cura di), Saggi sul metodo, Vita e pensiero, Milano, 2002, pp. 13-16.

Chiedeuntitoloformale

DOCENTE Fissaobiettivi,contenutievincoli STUDENTE

Chiedediapprendere

Figura 1 Approccio comportamentista basato sull’insegnamento, con l’insegnante al centro del processo, in un’ottica esclusivamente trasmissiva, in M. Marcarini. Pedarchitettura. Linee storiche ed esempi attuali in Italia e in Europa, Studium, Roma 2016, p. 105, cfr. in http://www.sara.udanet.it/?mcode= home&cmpcode=tagcloud&cmd=dtlpubliclist&idtag=88#, con alcune variazioni in relazione all’obiettivo del presente paragrafo.

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Analizzando, con l’aiuto di Peter Lippman, il rapporto tra le teorie dell’apprendimento e gli ambienti educativi è possibile individuare le relazioni che sussistono utilizzando il piano cartesiano, suddiviso in quattro quadranti che illustrano un continuum bidimensionale da attivo a passivo, in ciascuno dei quali vengono messi in relazione l’allievo e l’ambiente di apprendimento. Entrambi possono essere attivi e passivi e, sulla base delle diverse combinazioni, è possibile identificare la teoria dell’apprendimento e dell’insegnamento associata. Il termine passivo implica

sottomissione, il che significa “non essere attivo”, “non partecipare” e “non opporre resistenza alle forze esterne”. In ciascuno di questi due continuum ci saranno diversi livelli di attività o passività in relazione al discente e agli ambienti18. Nel quadrante 2, l’ambiente di apprendimento è attivo e l’allievo è passivo. In questo sistema, la mente è vista come un vaso vuoto, una “tabula rasa”, in attesa che l’ambiente imprima la sua traccia. Questa è la prospettiva comportamentista, di natura trasmissiva e viene messa in evidenza la figura dell’insegnante, lo studente è sollecitato da un’attività basata sull’associazione tra uno stimolo ed una risposta, non è un modello elaborativo e l’insegnamento serve a fare apprendere abitudini. In questo approccio il setting è costituito dai banchi in file parallele rivolti verso la cattedra e le spiegazioni vengono recepite senza che ci sia una interazione, pensieri indipendenti, domande ecc. Questa è l’impostazione classica che si trova in tutte le scuole del

18P. C. LIPPMAN, Evidence–Based Design of Elementary and Secondary schools. A Responsive Approach to creating Learning Environments, John Wilwy & Sons, Inc., Hoboken New Jersey 2010, p. 127, cfr. in C. DENT-READ AND P. ZUKOW-GOLDRING, Introduction: Ecological Realism, Dynamic Systems Approaches to Development, in C. Dent-Read and P. Zukow-Goldring (Eds.), Evolving Explanation of Development: Ecological Approaches to Organism-Environments Systems, American Psycological Association, Washington DC. 1997, pp. 1-22, e in A. COLLINS, Cognitive Apprenticeship and Instructional Technology, Cambridge, MA.BBN Laboratories 1993, (Eric Document Reproduction Service N. 331465), p. 12 e p. 976.

Figura 2 Approccio costruttivista basato sull’apprendimento con lo studente al centro del processo, in un’ottica dialettica in M. Marcarini, Pedarchitettura. Linee storiche ed esempi attuali in Italia e in Europa, cit., p.105, cfr. in http://www.sara.udanet.it/?mcode= home&cmpcode= tagcloud&cmd=dtlpubliclis t&idtag=88#, con alcune variazioni in relazione all’obiettivo del presente paragrafo.

Figura 3 Rapporto allievo-ambiente. in P. C. LIPPMAN, Evidence–Based Design of Elementary and Secondary schools, cit., p. 128.

COMPITO

Offrestrumenti,stimoliesupporto

DOCENTE STUDENTEFissaobiettivi,vincoliechiedesupporto

Imponevincoli Richiedecompetenze

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mondo19. Il quadrante 3 presuppone che l’ambiente di apprendimento sia passivo e l’allievo attivo, non solo vengono prese in considerazione le competenze, gli obiettivi e le attività, ma sono considerati anche i ruoli del discente e del docente. Il modello costruttivista, insieme ad altri modelli attuali, come ad esempio la Teoria delle Intelligenze Multiple di Gardner, nati nel corso del Novecento sulla spinta degli studi di Piaget, Vygotskij e Bruner, viene considerata, oltre alla componente cognitiva, anche la variabile emotiva e la dimensione individuale dello studente. È un modello che ha introdotto aspetti inediti come quelli di comunità e/o di contesto di apprendimento, considerando anche la relazione tra l’insegnante e lo studente, oltre che gli stili di apprendimento20. In questo modello, lo studente è visto come un costruttore che riesce ad organizzare in modo autonomo e personale le proprie conoscenze e l’insegnante ha una funzione di guida e segue il percorso dell’allievo mediante un costante monitoraggio e tutoraggio con una relazione di continuo e reciproco scambio con l’ambiente mediante l’esperienza, lo studente «costruisce la realtà, dalla quale viene a sua volta trasformato»21. Nel quadrante 4 l’allievo e gli spazi di apprendimento sono attivi. Nonostante le teorie della conoscenza abbiano indagato su come le persone acquisiscono conoscenze e sui processi che si attivano a livello cognitivo, per la maggior parte, non sono sufficientemente aperte al problem solving, all’apprendimento e allo sviluppo del pensiero preriflessivo. Gli studiosi della Practice Theory, sono interessati a capire come le persone si appropriano della conoscenza per se stessi. Questa teoria esamina l’apprendimento in relazione alle attività delle persone nel loro contesto storico-sociale, culturale e si basa sulla Zona di Sviluppo Prossimale (ZSP) di Vygotskij, definita come la distanza tra il livello di sviluppo attuale della persona quando lavora da sola e il livello di sviluppo che potrebbe raggiungere con l'aiuto di altre persone, che siano adulti o dei pari con un livello di competenza maggiore22. In questo caso, l’ambiente è considerato come un mediatore di apprendimento, perché gli esseri umani sviluppano e acquisiscono conoscenze dalle loro interazioni con l’ambiente, naturale o artificiale e con altre persone; l’ambiente fisico influenza gli studenti, il loro apprendimento e i contenuti che devono essere appresi. Sulla base di questi aspetti, il Commons Learning (LC), che è un luogo attivo per l'apprendimento, deve essere inteso come un sistema permanente di attività collettiva con le proprie regole condivise ed elaborate. È necessario considerare come l’allievo influenza l’ambiente sociale e come l’ambiente sociale lo stimola o lo forma e come agiscono sugli studenti le influenze degli ambienti fisici23.

Gli spazi di apprendimento e il setting: nuove visioni I nuovi spazi di apprendimento offrono l’opportunità di sviluppare gli aspetti cognitivi specifici, attraverso la promozione di attività peculiari ed essere descritti come centri di attività che devono poter essere progettati e organizzati per supportare: attività individuali, attività uno-a-uno, in piccolo e grande gruppo. Il setting, che deve essere preparato, è necessario per promuovere diverse strategie di apprendimento, nelle quali gli studenti acquisiscono conoscenze e competenze. Utilizzando questa teoria, si possono prevedere spazi flessibili per supportare gli studenti in percorsi di apprendimento che incoraggino il Cooperative Learning e altre modalità di apprendimento24. Questo soprattutto per cercare di ricomporre la frattura tra il fare e il sapere, tra la prassi e la teoria, tra il sapere pratico e sapere teorico che ha portato alla gerarchizzazione delle scuole e dei saperi25. 19F. SANTOIANNI, Modelli e strumenti di insegnamento, cit., pp. 29-36. 20 P. C. LIPPMAN, Evidence–Based Design of Elementary and Secondary schools. A Responsive Approach to creating Learning Environments, cit., pp. 130-134.21F. SANTOIANNI, Modelli e strumenti di insegnamento, cit., pp. 68-73. 22L. S. VYGOTSKY, Pensiero e linguaggio, Giunti Barbera, Firenze 1980, p. 130.23P. C. LIPPMAN, Evidence–Based Design of Elementary and Secondary schools. A Responsive Approach to creating Learning Environments, cit., pp. 134-140. 24 Ivi, p. 137. 25 G. BERTAGNA, Lavoro e formazione dei giovani, Editrice La Scuola, Brescia 2012, p. 43.

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Figura 4 Modelli di organizzazione dello spazio funzionali al Cooperative Learning, in Equipe Formazione Digitale M. GABBARI, R. GAGLIARDI, A. GAETANO, D. SACCHI, Lo “spazio d’azione”, uno strumento per insegnare – Rivoluzionare lo “spazio-aula-scuola” per una didattica attiva, sul sito: http://bricks.maieutiche.economia.unitn.it/2016/03/18/lo-spazio-dazione-uno-strumento-per-insegnare-rivoluzionare-lo-spazio-aula-scuola-per-una-didattica-attiva/, ultima visita 20.12. 2016. Per svolgere attività di Cooperative Learning sarebbe opportuno avere banchi componibili e sedie entrambi con le rotelle per essere facilmente spostati, composti o ricomposti a seconda delle esigenze, l’ideale sarebbe disporre di tavoli “origami desk” che hanno la particolarità di potersi comporre in modi diversi, nelle foto alcune delle possibili soluzioni (Fig. 5).

Figura 5 Origami-Desk. Nelle immagini diversi modi di comporre l’elemento base: Table Element, Collaboration Pinwhell, Coll. Exagonal, Coll. Offset, Coll. Triangle, Coll. Leaf, ecc., cfr. su http://www.smartdesks.com/igroup-collaboration-furniture-smartdesks.asp ultima visita il 10.02.17. Questa strutturazione dell’ambiente scolastico e formativo “a geometria variabile”, rende possibile un “arricchimento digitale integrato” degli spazi di apprendimento o degli spazi della formazione, abilitandoli alla mediatizzazione digitale 26 e permette, attraverso la tecnologia, sia la personalizzazione degli apprendimenti, sia di sviluppare il Cooperative Learning.

26 P. M. FERRI, I nativi digitali e i personal media, in M. E. MINCU, A ciascuno la sua scuola. Teorie, politiche e contesti della personalizzazione, Sei, Torino 2011, p. 117.

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Il Cooperative Learning richiede, quindi, un ambiente adeguatamente strutturato, che può essere organizzato anche utilizzando, appunto, le Tic, in particolare le Aule TEAL (Tecnology Enable Active Learning), che vengono definite anche “Aule 3.0” e permettono contemporaneamente oltre che un’interazione tra gli studenti del gruppo stesso, anche uno scambio con studenti degli altri gruppi e con l’insegnante27.

27 All’Istituto E. Fermi di Mantova il 20.03.13 è stata inaugurata la prima aula TEAL il 29.11.13. All’Istituto L. Pacioli hanno progettando l’aula 3.0 a ‘geometria variabile’ e il MIT di Boston sta collaborando con questi istituti e con altre scuole in Italia per valorizzare questo nuovo modello di didattica cooperativa.

Figura 6 Modelli di organizzazione dello spazio funzionali al Cooperative Learning, in EQUIPE FORMAZIONE DIGITALE M. GABBARI, R. GAGLIARDI, A. GAETANO, D. SACCHI, Lo “spazio d’azione”, uno strumento per insegnare – Rivoluzionare lo “spazio-aula-scuola” per una didattica attiva, cit., ultima visita 20.12. 2016.

Figura 7 Modelli di organizzazione dello spazio funzionali al Cooperative Learning, IN EQUIPE FORMAZIONE DIGITALE M. GABBARI, R. GAGLIARDI, A. GAETANO, D. SACCHI, Lo “spazio d’azione”, uno strumento per insegnare – Rivoluzionare lo “spazio-aula-scuola” per una didattica attiva, cit., ultima visita 20.12. 2016.

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L’Aula TEAL

La tecnologia “TEAL” è stata messa a punto dal Dipartimento di Fisica del MIT, (Massachussets Insitute of Tecnology) nel 2008. Il progetto è nato negli ultimi anni Novanta, in seguito alla necessità, esposta da John Belcher28, di innovare l’insegnamento nelle lezioni di Fisica e di trovare

una modalità per migliorare l’apprendimento dei suoi studenti, avendo rilevato una mancata corrispondenza tra i metodi di insegnamento tradizionale e quello che realmente imparavano i suoi studenti. Gli studenti del primo anno di Fisica, infatti, avevano difficoltà ad afferrare i concetti e le lezioni frontali, pur essendo utili per molti scopi, risultavano poco efficaci a causa della loro natura passiva e del poco coinvolgimento degli studenti. Nel progetto “TEAL”, Belcher ha collaborato con Peter Dourmashkin e David Litster con un nuovo mix di pedagogia, tecnologia e design. L’aula TEAL ha una superficie di poco inferiore ai 300 metri quadrati29 e contiene una stazione di lavoro per un istruttore e/o insegnante nel centro della stanza, circondata da 13 tavoli circolari per gli studenti, con nove posti ciascuno. Tredici lavagne e otto proiettori video con schermi sono posizionati sul perimetro della stanza. I gruppi sono formati mescolando studenti di diversi livelli di conoscenza, per facilitare la Peer Education e il Cooperative Learning. Ogni gruppo utilizza un computer per visualizzare le diapositive delle lezioni e raccogliere dati provenienti da esperimenti.Le lezioni hanno una durata di 20 minuti, intervallati con domande e discussioni, visualizzazioni ed esercizi. I docenti pongono domande e gli studenti discutono e rispondono attraverso un elettronic polling system utilizzando i loro PC e non svolgono più lezione da un luogo fisso, ma girano tra i tavoli con un microfono senza fili per raggiungere tutti gli studenti e parlare del loro lavoro, valutare la loro comprensione, facilitando l’interazione e promuovere

l’apprendimento migliore. Gli studenti utilizzano simulazioni animate, progettate per visualizzare i concetti e svolgere esperimenti in gruppi durante le lezioni ed anche sistemi di risposta personali che stimolano l’interazione tra studenti e docenti30.

28 John Belcher è professore di fisica presso la divisione Astrofisica del MIT di Boston e con il Prof. Peter Dourmashkin sono i responsabili per lo sviluppo di diversi programmi di studio in cui viene utilizzata la tecnologia TEAL (Tecnology Enable Active Learning). 29 Le aule sono di “3000 square feet” sul sito: http://web.mit.edu/edtech/casestudies/teal.html, ultima visita il 10.02.17. 30 Sul sito http://icampus.mit.edu/projects/teal/, ultima visita il 10.02.17.

Figura 9 Aula Teal in planimetria, sul sito http://icampus.mit.edu/projects/teal/ ultima visita il 10.02.17.

Figura 8 Aula TEAL al MIT di Boston, cfr. sul sito http://icampus.mit.edu/projects/teal/ ultima visita il 10.02.17.

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Sono state utilizzate molte tecniche di valutazione dei risultati di apprendimento mediante questa tecnologia ed è stata dimostrata l’efficacia di questo metodo. I metodi didattici, utilizzati con la tecnologia “TEAL”, producono circa il doppio di apprendimento rispetto all’istruzione tradizionale. Identici risultati sono stati ottenuti anche in studi effettuati presso altre università31. Gli studiosi, supportati dalle loro ricerche, spiegano che il miglior apprendimento avviene applicando la teoria alla pratica (apprendimento attivo) e questa metodologia promuove rappresentazioni concettuali che possono soddisfare diversi stili di apprendimento32. Altri ricercatori, raccomandano l’utilizzo della tecnologia TEAL ed evidenziano in una ricerca per l’impatto positivo sugli apprendimenti degli studenti33. È in questa visione che va sviluppato il percorso educativo personalizzato o cooperativo: è in atto un cambiamento epocale e la scuola deve rinnovarsi, sia sotto il profilo didattico, sia dal punto di vista spaziale.

31 Sul sito http://web.mit.edu/edtech/casestudies/teal.html, ultima visita il 10.02.17. 32Ivi, p. 251. 33 C. EHRMANN, S. W. GILBERT, F. MCMARTIN, The TLT GROUP (Teaching, Learning and Tecnology), Factors Affecting the Adoption of Faculty-Developed Academic Software: A Study of Five iCampus Projects, 2006, pp. 44-63.

Figura 10 Aula Teal all'Istituto Fermi di Mantova, in M. MARCARINI. Linee storiche ed esempi attuali in Italia e in Europa, cit., p. 202, (F. d. A).

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Per una valutazione autentica, progettata e condivisa: #Evaluparty Cambiando le modalità didattiche e utilizzando una pratica pedagogica innovativa, è necessario ripensare anche al momento della valutazione, perché una valutazione tradizionale serve a solo legittimare e a convalidare le conoscenze e non l’apprendimento reale dello studente. I problemi che si incontrano nella valutazione dell’apprendimento sono stati ampiamente dibattuti

negli ultimi anni da molti studiosi che per il numero dei contributi e per gli sviluppi pratici che ci sono stati, ha assunto le dimensioni di un vero e proprio “movimento di pensiero” verso la valutazione autentica o alternativa che può essere considerata come contrapposta alla valutazione tradizionale o, in modo più preciso, alla valutazione misurata attraverso forme standardizzate34. Nella valutazione tradizionale si evidenzia un limite, si valuta «ciò che un ragazzo “sa”, si controlla e si verifica la “riproduzione”, ma non la “costruzione” e lo “sviluppo” della conoscenza e neppure la “capacità di applicazione reale” della conoscenza posseduta»35.

Una valutazione autentica dovrebbe esprimere un giudizio più esteso dell’apprendimento e cioè della capacità «di pensiero critico, di soluzione dei problemi, di metacognizione, di efficienza nelle

prove, di lavoro in gruppo, di ragionamento e di apprendimento permanente»36. Nella valutazione autentica c’è la convinzione che l’apprendimento scolastico non è un accumulo di nozioni, ma capacità di generalizzare, di utilizzare e di trasferire la conoscenza acquisita a contesti reali. Verificando l’apprendimento con maggior autenticità, c’è la possibilità sia per gli insegnanti, sia per gli studenti di autovalutarsi e di riflettere su se stessi in modo che si possa migliorare il processo di insegnamento o di apprendimento, in tal modo «gli uni (gli insegnanti) scoprono il loro ruolo come “mediatori” dell’apprendimento, gli altri (gli studenti) si scoprono esaminatori di se stessi»37. C’è un altro aspetto da prendere in considerazione: i test e la valutazione hanno una parte importante nella vita degli studenti e per tutti sono stati fonte di brutti ricordi, solo sentire la parola “test” o valutazione, infatti, negli

34 Nato negli Stati Uniti agli inizi degli anni ’90, il movimento della valutazione autentica o alternativa si si contrappone in modo critico alla valutazione diffusa di orientamento comportamentista fondata soprattutto su test standardizzati. Questo contrasto non ha gli stessi riferimenti per quanto riguarda il contesto italiano. 35 M. COMOGLIO, La valutazione autentica, in «Orientamenti Pedagogici», 49 (1), 2002, p. 94. 36 J. ARTER, & L. BOND, Why is assessment changing, in (Eds.), A handbook for student performance assessment in an era of restructuring, (I-3: 1-4), Association for Supervision and Curriculum Development, Alexandria VA 1996, p. 1. 37 M. COMOGLIO, La valutazione autentica, cit., pp. 95-96.

Figura 12 Ascoltando, cfr. http://mariaacaso.blogspot.it/2014/02/2014-evaluparty-haciendo-del.html, ultima visita 10.02.2017.

Figura 11 Maria e Nico, cfr. http://mariaacaso.blogspot.it/2014/02/2014-evaluparty-haciendo-del.html, ultima visita 10.02.2017.

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studenti si producono una serie di reazioni provocate dalla paura, come vertigini e sudori freddi: «la valutazione non dovrebbe essere un’arma, ma un aiuto e uno strumento per imparare»38. Un esempio di come sia possibile modificare il momento della valutazione, lo offre la professoressa Maria Acaso proponendo alcune riflessioni. Prima di tutto la studiosa ritiene sia importante decentrare, ed è ciò che accade in atti educativi non formali dove l'apprendimento avviene senza ossessione di risultati quantitativi. La seconda proposta prevede di trasformarla in ricerca e

utilizzare metodi qualitativi, infine, è necessario essere creativi e cominciare a pensare altre forme di rappresentazione del sapere superando il paradigma positivista numerico che è solo uno dei possibili sistemi di rappresentazione39. Decentrare la valutazione non significa che non si debba analizzare ciò che sta accadendo in aula o che non si dovrebbe riflettere sul processo, ma come in molti aspetti al di fuori dell’educazione formale, la riflessione non consiste solo nel valutare i progressi o le regressioni degli studenti, ma analizzare l’evoluzione di tutta la comunità40. La studiosa scrive che ha sempre cercato di utilizzare pratiche democratiche di valutazione, soprattutto cercando, appunto, di decentralizzare il processo di valutazione, mediante valutatori esterni. Focus Group, progetti e, ultimamente, performance, video e… torte di mele sono stati alcuni dei dispositivi utilizzati per rappresentare e valutare le conoscenze degli studenti. Maria Acaso ritiene sia necessario pensare la valutazione come una creazione, come un'opportunità per motivare gli studenti. Autovalutazione, auto-correzione, valutazione precoce, valutazione negoziata sono alcuni dei processi per quella che la studiosa chiama ricerca creativa e #rEDUvolution41. Propone, inoltre, di utilizzare attività e prestazioni pratiche degli studenti come sistema di valutazione che, però, deve essere progettato e concordato con gli studenti; ha effettuato, in questa direzione, una sperimentazione presso UCM (Universidad Complutense de Madrid) con tre gruppi di studenti che hanno sviluppato un ruolo assolutamente centrale nel loro processo di valutazione e che è stata definita “#rEDUvolucionaria”; un processo costituito da tre elementi: uno strumento di valutazione “boomerang”, inteso come una restituzione in cui hanno offerto la loro visione sulla materia e sugli argomenti, un gruppo di discussione in cui sono venute alla luce questioni importanti riguardo il loro percorso di apprendimento e, infine, quello che hanno definito “#EVALUparty”, che consiste essenzialmente in una festa, in cui la studiosa ha effettuato interviste semi strutturate con ogni studente, utilizzando la ricerca qualitativa come alternativa alla

38 M. ACASO LÓPEZ-BOSCH, rEDUvolution. Hace la revolución en la educatión, Editorial Paidós Ibérica, Barcelona 2013, p. 189.39Ibidem, p. 190.40 Ibidem, p. 195. 41 Cfr. in http://mariaacaso.blogspot.it/2014/02/2014-evaluparty-haciendo-del.html, ultima visita 22.12.2016.

Figura 13 Fotografia rubata a Maria, cfr. http://mariaacaso.blogspot.it/2014/02/2014-evaluparty-haciendo-del.html, ultima visita 22.12.2016.

Figura 14 Aeroplanini come appunti, cfr. http://mariaacaso.blogspot.it/2014/02/2014-evaluparty-haciendo-del.html, ultima visita 22.12.2016.

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valutazione quantitativa. Con quest’ultimo strumento sono state fatte le valutazioni; il voto numerico, come viene richiesto dal sistema scolastico, è stato fissato insieme allo studente42. Con #rEDUvolution, in pratica, per valutare è stata introdotta anche una narrazione, con una modalità scherzosa, leggera e informale, inoltre, alcuni studenti interrogati si sono travestiti con strani cappelli in modo che la conversazione non fosse una vera e propria interrogazione di valutazione. L’#EVALUparty ha funzionato: non c’era tensione e nervosismo tra gli studenti, niente ansia e musi lunghi. Sono state fatte interrogazioni approfondite, in cui si è potuto condividere con molti studenti il tempo, l'umorismo, il calore; è stato un tempo realmente vissuto piuttosto che una situazione costruita in modo rigido e ansiogeno. Questa modalità ha trasformato la valutazione in qualcosa di diverso rispetto a come viene concepita nella formazione tradizionale. Ovviamente il sistema scolastico impone una valutazione numerica, che in realtà è diventata di secondaria importanza, ciò che ha contato è stata la riflessione, l’apertura all’altro, il comprendere ed effettuare le connessioni tra gli argomenti, il fermarsi a pensare e poi proseguire nell’apprendimento e argomentando in modo da arrivare a conoscere l'altro e se stessi43. Ricerca qualitativa, discrepanza, processo inverso (il boomerang), esperienza pratica, narrazione ed “#EVALUparty” hanno proposto una modalità di valutazione molto diversa da quella tradizionale, riuscendo, infatti, a trasformarla in un'esperienza e in una pratica reale a cui partecipano gli studenti, senza considerarla un processo ansiogeno legato a sanzioni e punizioni, ma come un passo necessario per sviluppare un sistema di valutazione autentica e performativa che permetta agli studenti di riflettere su questo processo, di effettuare connessioni e, infine, di conoscere meglio se stessi e se stessi in relazione con gli altri44.

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LABORATORI REALI E VIRTUALI: L'E-LEARNING PER UNA DIDATTICA COOPERATIVA

Chiara MARTINENGO1, Francesco CURATELLI2

1 DIMA - Università di Genova , Genova (GE) 2 DITEN - Università di Genova, Genova (GE)

Riassunto

In questo lavoro presentiamo un'esperienza di didattica cooperativa nell'insegnamento della Matematica in Corsi di Studio dell' Università di Genova. In particolare presentiamo, nell'ambito dell'e-learning, alcune idee per una didattica cooperativa basata su specifiche metodologie didattiche e che utilizzi un approccio laboratoriale virtuale. Il laboratorio virtuale che presentiamo si avvale di AulaWeb, un servizio di supporto on-line alla didattica dell'Università di Genova, sviluppato su piattaforma Moodle ed accessibile tramite browser. Descriviamo nel lavoro le modalità e le caratteristiche dei laboratori virtuali e mostriamo, attraverso vari esempi, come gli studenti possano avere un'esperienza efficace di didattica collaborativa, migliorando sia le loro conoscenze specifiche sia le loro capacità cognitive e meta-cognitive. Descriviamo infine come la didattica collaborativa stia portando a migliorare le modalità di valutazione degli apprendimenti degli studenti.

Introduzione Ormai da vari anni, percentuali molto alte degli studenti della Scuola di Scienze e della Scuola Politecnica a Genova manifestano debolezze, sia sui prerequisiti matematici, sia sulla comprensione dei significati dei vari concetti, sia sull'approccio attraverso un ragionamento logico-matematico ai problemi che scaturiscono nelle discipline più applicative e sperimentali. Tra questi vi sono gli studenti che non superano il test delle conoscenze iniziali, che, nella Scuola di Scienze, sono circa il 50% degli iscritti al I anno, sfiorando il 70%. in alcuni CdS. Appare quindi evidente che gli studenti "deboli" dovrebbero essere accompagnati con strategie didattiche opportune non soltanto nella fase di ingresso, ma anche e soprattutto in seguito. In questo lavoro presentiamo un' esperienza di didattica cooperativa nell'insegnamento della Matematica in Corsi di Studio dell' Università di Genova, come prosecuzione dei contenuti del contributo "Laboratori e tutorati: proposte per affrontare le difficoltà in matematica dalla scuola primaria all'Università" (Martinengo, Curatelli, 2015). In particolare presentiamo, nell'ambito dell'e-learning, alcune idee per un approccio laboratoriale virtuale. Poiché queste idee riguardano le metodologie didattiche e non i contenuti (anche se nel presente articolo verranno esemplificate attraverso contenuti specifici), possono essere adattate in ogni situazione di difficoltà di apprendimento della matematica, e di altre discipline che usano contenuti matematici, come per esempio l'Ingegneria Elettronica. Di norma i corsi a contenuti matematici vengono erogati in modo tradizionale, tramite lezioni frontali alla lavagna, sia di carattere teorico che di svolgimento di esercizi. In aggiunta, nell'ambito dell'insegnamento di Istituzioni di Matematiche per il CdS di Chimica e Tecnologie Chimiche (CTC) e il CdS di Scienza dei Materiali (SdM), ormai da anni stiamo sperimentando metodologie didattiche che mirino ad incoraggiare gli studenti ad assumere un ruolo attivo nello sviluppo del loro processo di apprendimento. Per operare efficacemente in questa direzione è fondamentale il ruolo del tutorato didattico che permette percorsi flessibili di apprendimento a seconda delle esigenze dei singoli studenti. Infatti il tutorato viene proposto attraverso un approccio di tipo laboratoriale basato su specifiche metodologie didattiche e in cui si possa sperimentare un metodo collaborativo, cioè vedere concretamente "l'equivalenza dell' imparare e del cum-laborare"

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sperimentando che "l'imparare è il complesso costrutto cum-prehendere → ad-prehendere → cum-dividere" (Imperiale, 2016). Un importante sviluppo si è poi potuto avere condividendo le attività laboratoriali attraverso modalità di e-learning realizzando così dei veri e propri laboratori virtuali, di cui descriveremo le modalità e le caratteristiche e forniremo diversi esempi. I laboratori virtuali hanno favorito la "creazione di una comunità di apprendimento che ha contribuito allo sviluppo di competenze matematiche e di problem solving" (Barana & altri, 2016), che è risultata molto apprezzata dagli studenti. Anche se la metodologia didattica basata su un approccio di tipo laboratoriale e collaborativo è importante per tutti, si è rilevata fondamentale per la formazione degli studenti deboli. Infatti le sole lezioni frontali, di teoria o di svolgimento di esercizi, anche se condotte in modo interattivo con gli studenti, non permettono certamente un'interazione con tutti gli studenti e facilmente ne risultano esclusi proprio i più deboli. Inoltre l'esperienza di un approccio laboratoriale e di una didattica collaborativa risulta formativa anche dal punto di vista dell'apprendimento di strategie didattiche per tutti gli studenti che potrebbero dedicarsi nel futuro all'insegnamento di una disciplina scientifica. Questo approccio metodologico sta portando anche ad un miglioramento nelle modalità di valutazione nell'insegnamento. Infatti l'insegnamento si pone degli obiettivi formativi che riguardano sia i contenuti specifici sia l'acquisizione di un approccio metodologico corretto all'apprendimento di discipline scientifiche, basato sull'uso del linguaggio e del ragionamento matematico come strumento per l'interpretazione del mondo reale e non come mero bagaglio astratto di nozioni. Anche se il metodo tradizionale di valutazione, esame costituito da una o più prove scritte e dall'orale, permette di accertare con accuratezza il grado di raggiungimento degli obiettivi formativi, esso ha due limiti: 1) valuta quasi esclusivamente il risultato finale dell'apprendimento, e 2) tende a creare, soprattutto nello studente debole, uno stato emotivo ansioso che spesso influisce negativamente sulla resa dello studente. Invece, la sperimentazione di una didattica cooperativa sta portando in modo naturale ad una valutazione che non tenga conto soltanto del risultato finale dell'apprendimento, ma anche dei processi di apprendimento seguiti dallo studente, del suo percorso a partire dalla una situazione iniziale che per ciascuno assume connotazioni differenti. Siamo ancora in una fase sperimentale (che forse è giusto che non si concluda mai) nel definire nuove modalità di valutazione, ma i primi segnali da parte degli studenti sono molto positivi e gli studenti si sentono rassicurati, motivati e stimolati dalle iniziative intraprese. Laboratori reali (in aula). Il tutorato didattico è usato ormai da molti anni per aiutare lo studio personale degli studenti. Nella maggior parte degli insegnamenti della Scuola di Scienze il tutorato didattico tradizionale è organizzato sotto forma di esercitazioni guidate in aula che seguono il ritmo delle lezioni frontali (in Martinengo, Curatelli, 2015, un'analisi più dettagliata delle varie modalità di tutorato). Durante le esercitazioni guidate gli studenti risolvono esercizi proposti dal docente e hanno a disposizione un tutor per chiarire eventuali dubbi. Come prima innovazione, nell'ottica di un tutorato fra pari con i ruoli predefiniti in modo esplicito (Pesci, 2011a,b), da alcuni anni abbiamo sperimentato, nell'insegnamento di Istituzioni di Matematiche per CTC e SdM, il contributo di alcuni vice-tutor, cioè di studenti che si offrono volontari per aiutare i tutor nel rispondere alle domande dei loro compagni. Inoltre accanto al suddetto tradizionale tutorato didattico, rinominato tutorato veloce, nell'ottica di una didattica di tipo collaborativo, è stato attivato da alcuni anni una nuova forma laboratoriale: il tutorato lento. In esso gli studenti lavorano sotto la guida di uno o due tutor seguendo una metodologia ad hoc che si basa sulla seguente considerazione, motivata da tanti anni di osservazioni delle procedure mentali degli studenti. Se uno studente non sa fare un esercizio o commette degli

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errori, spesso non è sufficiente spiegargli, a voce o per iscritto nella correzione di un compito, come andava fatto l'esercizio, a maggior ragione se la spiegazione è fatta alla lavagna per tutti. Di fatto molto spesso, anche quando lo studente dice di aver capito, ripete l'errore la volta successiva. Per avere un beneficio effettivo e duraturo è quindi necessario capire dove e per quale motivo il ragionamento dello studente si inceppa, e andare alla radice del suo problema. Per operare in questa direzione, la strategia applicata è quella di formare, durante le esercitazioni guidate, piccoli gruppi di lavoro (di 3-4 studenti), che svolgano gli esercizi assegnati. Nel lavoro di gruppo gli studenti vengono invitati a procedere secondo le seguenti linee metodologiche di tipo laboratoriale:

1. Motivare sempre quello che propongono di fare, in modo che gli studenti si rendano consapevoli che molti errori si possono evitare proprio spiegando il ragionamento seguito (si possono vedere esempi in Martinengo, Curatelli, 2015);

2. Confrontare, in un dialogo all'interno del gruppo, le proprie strategie con quelle degli altri compagni, scoprendo se sono sbagliate e perché, oppure se si può rispondere in più modi corretti.

3. Confrontare le strategie in situazioni apparentemente simili e verificare se funzionano o no e perché;

4. Trascrivere le idee che vengono fuori nel gruppo, i ragionamenti corretti e i motivi per cui non funzionano i ragionamenti sbagliati.

Il gruppo forma quindi una piccola comunità di apprendimento che favorisce la cooperazione; infatti quando "due lavorano insieme c'è più verbalizzazione perchè, se uno propone di procedere in un certo modo l'altro chiede perchè, e il primo deve dare spiegazioni" (Lichtner, 2011). La partecipazione sistematica a queste attività collaborative porta lo studente ad ottenere benefici sia relativamente agli apprendimenti matematici sia relativamente alle relazioni interpersonali che gli saranno utili nella sua carriera lavorativa futura. Rispetto agli apprendimenti gli studenti ottengono infatti "una maggiore consapevolezza dei contenuti e una migliore padronanza linguistica, capacità di riflessione sulle strategie e sugli errori propri o dei compagni, autonomia nel lavoro e flessibilità nella gestione del tempo", mentre in riferimento alle relazioni interpersonali imparano "attenzione agli interlocutori, abitudine all'ascolto e ad intervenire in modo opportuno, la capacità di condividere risorse, e i momenti di difficoltà e di successo" (Pesci, 2016) Abbiamo potuto constatare direttamente i benefici della didattica cooperativa sperimentata nel lavoro in piccoli gruppi, in quanto gli studenti sono stati aiutati nelle loro capacità cognitive e meta-cognitive, e in particolare a passare da un apprendimento di tipo meccanico ad una comprensione sempre più piena dei significati e a un gestione produttiva del loro pensiero. Un importante sviluppo si è poi potuto avere condividendo le attività laboratoriali attraverso modalità di e-learning realizzando così dei veri e propri laboratori virtuali. Laboratori virtuali.

Negli ultimi dieci anni l'e-learning sta assumendo un ruolo decisivo nell'educazione per le enormi opportunità offerte, che permettono di personalizzare l'insegnamento rendendolo più vicino alle esigenze cognitive e affettive degli studenti (Ferrari, 2011). Si stanno moltiplicando le ricerche e le sperimentazioni nell'ambito dell'e-learning sia a livello della Scuola Superiore (ad esempio Reggiani, 2011) che in ambito universitario (ad esempio Albano e Ferrari, 2007). Particolarmente usata per l'erogazione di supporti didattici on-line è la piattaforma Moodle (Ferrari, 2006), attraverso la quale sono condotte varie sperimentazioni (ad esempio Ciavarella & al., 2011). In particolare l'Università di Genova ha realizzato AulaWeb, un servizio di supporto on-line alla didattica sviluppato su piattaforma Moodle ed accessibile tramite browser. Ogni docente ha la possibilità di aprire su AulaWeb un modulo dedicato ad un suo insegnamento in cui mette a disposizione degli studenti tutti i materiali ritenuti utili per lo studio dei contenuti e la preparazione dell'esame.

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Nell'ambito della sperimentazione relativa alla didattica cooperativa, accanto ai laboratori in aula, nell'a.a. 2016-17 abbiamo realizzato un laboratorio virtuale, mediante l'uso di AulaWeb. Rispetto ad altre esperienze, l'obiettivo principale che contraddistingue il nostro laboratorio online non è la semplice creazione di un ambiente software che renda facile comunicare in linguaggio matematico senza la conoscenza preliminare di strumenti particolari (ad esempio Latex), ma piuttosto quello di estendere al laboratorio online le metodologie didattiche usate nel laboratorio in aula e descritte nel paragrafo precedente. Per la realizzazione del laboratorio virtuale, tra le varie possibilità offerte da Aulaweb è stata scelta l'attivazione e gestione di un forum del tipo Domande-Risposte. Il docente posta un intervento sotto forma di domanda (con titolo tutorato online n. x) e gli studenti postano la loro risposta in un intervento. C'è inoltre la possibilità di allegare la soluzione tramite un file, anche in formato immagine, soluzione adottata dalla grande maggioranza degli studenti, in quanto permette di acquisire tramite smartphone l'immagine della pagina scritta e trasmetterla facilmente. Comunque questa modalità risolve alla radice anche il problema di scrivere in linguaggio matematico, usando formule, grafici, ecc. Escludendo i docenti e i ruoli parificati, gli utenti del forum possono vedere i vari interventi in risposta alla domanda, ma solo se hanno postato un loro primo intervento. Questo vincolo obbliga gli studenti a provare a dare la propria risposta in autonomia, il che non impedisce che gli studenti che sono abituati a lavorare in gruppo ne possano parlare tra loro. Agli studenti è stato spiegato chiaramente il funzionamento del forum, specificando loro che il primo intervento poteva essere una semplice dichiarazione di difficoltà o addirittura vuoto, anche se ovviamente è raccomandato di provare a spiegare i motivi per cui non erano riusciti ad impostare una risposta. Non è stato posto alcun limite di tempo per le risposte e ciascuno può dedicarsi alle sue risposte nel momento ritenuto più opportuno. E' utile rilevare che il laboratorio virtuale risulta un prolungamento delle attività del laboratorio in aula, ma contemporaneamente facilita anche coloro che, per motivi di impegni, di lavoro o altro, hanno fatto la scelta di non frequentare i tutorati in aula. Infatti si può lavorare al laboratorio virtuale senza nessun vincolo di presenza in aula, nei luoghi e nei momenti più adatti per intervenire.

Come tutti i laboratori, anche il forum del tutorato online è un forum di lavoro, in cui gli studenti hanno la possibilità di operare secondo le linee metodologiche evidenziate sopra. Infatti i primi interventi in risposta alla domanda vengono commentati, sia che siano corretti, sia che non lo siano; se le risposte contengono errori o imprecisioni si fornisce uno spunto per la riflessione, e gli studenti sono invitati a pensare ed eventualmente a postare una nuova versione della soluzione. Nel seguito, a meno che non ci siano o idee originali da evidenziare o al contrario errori e imprecisioni nuovi rispetto a quelli degli interventi precedenti, gli interventi non vengono commentati. Dal confronto tra la loro soluzione, le soluzioni precedentemente postate e i relativi commenti, gli studenti possono capire se la loro risposta è corretta o se contiene errori e quali. Inoltre il fatto di constatare che spesso gli errori commessi sono molto comuni e che si può lavorare insieme per capirli e correggerli rende meno problematica la constatazione dei propri errori dal punto di vista dell'autostima e della motivazione. Il funzionamento ottimale del forum sarebbe un laboratorio autogestito, in cui gli studenti stessi collaborano tra loro, proponendo problemi, proponendo e motivando strategie risolutive, discutendo degli errori e dei modi di correggerli, condividendo e ampliando i propri saperi e in cui il docente si limita ad una supervisione "silenziosa", intervenendo solo se è strettamente necessario. Tuttavia arrivare a questo tipo di gestione del laboratorio non è facile, soprattutto se, come spesso succede, durante il loro percorso scolastico gli studenti non hanno mai avuto una esperienza di didattica collaborativa. Per favorire l'interazione tra studenti abbiamo allora chiesto la collaborazione di studenti volontari come vice-tutor del laboratorio virtuale: a ogni studente disponibile ad assumere il ruolo di vice-tutor è stato assegnato un tutorato online, con il compito di commentare i vari interventi, di cercare di individuare le risposte non corrette e di suggerire una strada corretta, aiutando i propri compagni a ragionare in modo corretto. Diversi studenti hanno inizialmente accolto questa proposta con entusiasmo, pur manifestando il timore di "non essere capaci". Tuttavia il timore è venuto meno quando hanno

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capito che il forum serve per imparare insieme e che la discussione su loro eventuali errori o imprecisioni è importante per chiarire le idee a coloro che commettevano lo stesso errore. Di fatto il ruolo di vice-tutor è stato assunto a turno da una gran parte degli studenti che hanno partecipato al forum.

Esempi di attività nel laboratorio virtuale.

Per perseguire l'obiettivo di facilitare un apprendimento profondo e duraturo, è fondamentale che le domande postate siano esercizi di tipo non standard, che aiutino di più la comprensione semantica dei concetti e il ragionamento piuttosto che apprendimenti di tipo meccanico. Ad esempio nell'ambito dello studio delle funzioni spesso viene proposto il classico esercizio: data una funzione, determinare il dominio, gli zeri, il segno, la derivata, i massimi e i minimi, la crescenza/decrescenza. Il limite di questo tipo di esercizio è che spesso gli studenti deboli tendono a studiare singolarmente i vari elementi ma perdono la visione generale di insieme del problema, e di conseguenza non riescono a disegnare il grafico. Invece, accompagnare gli esercizi di tipo classico con esercizi del tipo di quelli proposti nei tutorati 10 e 13 favorisce in modo efficace il ragionamento:

Tutorato online 10 Dato il grafico rappresentato in Fig. 1, dire quale delle seguenti funzioni rappresenta:

)2(ln)( 21 += xxxf )(ln)( 2

2 xxxf = 23)(ln)(

xxxf =

Spiegare bene il motivo per cui si è scelta una funzione e perché si sono escluse le altre.

Figura 1 – Grafico del tutorato online 10

Tutorato online 13 Dire, motivando in modo esauriente la risposta, se uno dei grafici rappresentati in Fig. 2 (quello in colore rosso o blu o verde) rappresenta la funzione )1(ln)( 2 += xxf .

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Figura 2 – Grafico del tutorato online 13

Quando le risposte fornite dagli studenti contenevano errori, si è cercato di non fornire direttamente la soluzione, ma soltanto degli spunti per la riflessione e di incoraggiare il confronto con le soluzioni e i relativi commenti precedentemente postati; questo in modo particolare quando nel post lo studente manifestava dubbi e perplessità in relazione o alla comprensione del problema posto o alla sua risoluzione. In effetti questo tipo di dichiarazione è da considerare positiva perché manifesta l'attivazione di processi meta-cognitivi di consapevolezza del proprio apprendimento; in questo caso l'incentivazione al confronto tra possibili strategie risolutive fornisce un aiuto concreto nell'attivazione dei processi cognitivi. Infatti spesso lo studente ha poi segnalato di aver capito l'errore e la correzione, anche senza una richiesta esplicita in tal senso. Per esempio consideriamo il seguente tutorato 2:

Tutorato online 2 Data la funzione )3(ln)( += xxf :

• disegnare il grafico di )(xf

• disegnare il grafico di )(xf

• disegnare il grafico di ( )xf

• determinare un numero a tale che il punto di Gf di ascissa a appartenga al terzo quadrante.

Uno studente, nella sua risposta, pur disegnando in modo corretto il grafico richiesto al secondo punto, fornisce delle motivazioni errate, e dichiara di non capire la differenza tra la funzione richiesta nel secondo punto e quella richiesta nel terzo punto. In Fig. 3 vediamo il commento del docente, in cui, oltre a incentivare la lettura e il confronto con le risposte precedenti, viene fornito un input per chiarire l'errore commesso e la differenza tra le due funzioni coinvolte.

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Figura 3 – Un commento al tutorato online 2.

In certi casi gli altri utenti sono stati sollecitati a cercare di spiegare gli errori commessi dai loro compagni. Una studentessa risponde correttamente a tutte le domande del tutorato 2, tranne che al terzo punto, per il quale risponde come in Fig. 4:

Figura 4 – Esempio di risposta errata al tutorato 2.

Possiamo vedere in Fig. 5 il commento del docente e la risposta di un altro studente.

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Figura 5 – Esempio di interazione con gli studenti.

Anche i vice-tutor hanno cercato di attenersi a questo modo di operare. Vediamo un esempio relativo al seguente tutorato 16.

Tutorato online 16 Data la funzione )(xf il cui grafico è rappresentato in Fig. 6, dire spiegando esaurientemente la risposta, se:

• l' integrale definito tra -2 e 0 rappresenta l'area della regione di piano compresa tra Gf, l'asse x e le rette x=-2 e x=0

• l' integrale definito tra 0 e 3 rappresenta l'area della regione di piano compresa tra Gf, l'asse x e le rette x=0 e x=3.

• l' integrale definito tra -2 e 3 rappresenta l'area della regione di piano compresa tra Gf, l'asse x e le rette x=-2 e x=3

• l'integrale definito tra -2 e 3 assume un valore positivo o negativo

Figura 6 – Grafico del tutorato online 16

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Una studentessa pur avendo risposto correttamente alle prime tre domande, risponde alla quarta dicendo che un integrale definito non può mai essere negativo perché rappresenta un'area. Vediamo in Fig. 7 la risposta della vice-tutor.

Figura 7 – Esempio di risposta di uno studente vice-tutor.

E' da notare che, anche se evidentemente gli studenti vice-tutor si esprimono spesso in modo ancora ingenuo e incompleto, la riflessione sulle risposte degli altri li ha aiutati moltissimo ad affrontare e chiarire i vari concetti più in profondità, a sforzarsi di capire le motivazione degli errori altrui, a cercare di dare degli input per far loro capire dove il ragionamento si è inceppato e a individuare la strada corretta, a cercare di usare in modo sempre più efficace il linguaggio come veicolo delle idee. Dalla valutazione del tutorato alla valutazione degli studenti

In definitiva il lavoro nel laboratorio on-line, è risultato molto soddisfacente per tutti gli attori coinvolti:

Gli studenti. Un numero piuttosto alto (circa il 50%) di studenti ha partecipato al lavoro dei laboratori online con assiduità e impegno svolgendo una gran parte dei tutorati proposti e ottenendo un miglioramento negli apprendimenti e nella riflessione meta-cognitiva. Ogni studente si è sentito da una parte oggetto di un percorso individualizzato, mirato al superamento delle sue specifiche difficoltà, sia quelle di tipo semantico, sia quelle sui contenuti, sia quelle di tipo psicologico. D'altra parte ogni studente si è sentito inserito in un gruppo che lavora insieme, in cui si "elimina la competizione, favorendo la relazione" mettendo a disposizione di tutti le proprie "opinioni, saperi, conoscenze" (Imperiale, 2016).

In Fig. 8 una testimonianza dal forum:

Figura 8 – Una risposta sull'efficacia del laboratorio online.

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Inoltre, come già detto, gli studenti vedono la possibilità di veder valutato non solo il risultato finale ma tutto il percorso seguito nel loro cammino di apprendimento. Non sono pochi ad esempio i casi in cui le risposte ai primi tutorati erano molto scarne e corredate da poche motivazioni, ma andando avanti si sono fatte più complete e meglio spiegate.

Gli studenti vice-tutor. Hanno svolto il loro compito con grande disponibilità e il fatto di essere responsabilizzati nei confronti dei loro compagni li ha portati, come già detto, a cercare di andare alle fonti del ragionamento e, in alcuni casi, anche ad essere più ordinati nella produzione di elaborati scritti. Lo svolgimento di questo compito ha anche messo in particolare risalto le peculiarità di ragionamento di ciascuno, e in specifici casi questo ha contribuito ad arricchire di nuove idee tutti gli utenti del forum.

I docenti. Il laboratorio on-line, ancora più che il laboratorio reale, è stato molto utile anche ai docenti perché ha permesso di individuare con più precisione i concetti che comportano le maggiori difficoltà, consentendo un feedback molto utile per il miglioramento della didattica frontale.

Riguardo alla valutazione del lavoro fatto nell'ambito della didattica cooperativa, osserviamo che il tutorato on-line facilita il compito di valutare il lavoro svolto. Infatti in primo luogo rimangono a disposizione nel forum gli elaborati degli studenti, in una forma agile da consultare, cosa che non sarebbe possibile nel tutorato in aula. Inoltre, un aspetto fondamentale è che rimane non solo il lavoro nel suo risultato finale, ma tutto il percorso intrapreso. Al momento si è deciso di valutare con un punteggio-bonus da aggiungere al voto dello scritto il lavoro svolto nel laboratorio online, indipendentemente dalla correttezza degli interventi. Oltre a ciò il lavoro dei vice-tutor che si sono alternati sui tutorati online verrà valutato ai fini del corso, per esempio in sostituzione della prova orale. In futuro, sia le modalità di valutazione che quelle di svolgimento del tutorato online saranno oggetto di ulteriore approfondimento. Una possibilità è quella di far fare una relazione agli studenti intervenuti nel laboratorio online, sulla falsariga delle relazioni che gli studenti devono di norma produrre sulle attività di laboratorio. Tale relazione potrebbe sollecitare una riflessione specifica di tipo meta-cognitivo sui processi mentali di ciascuno di loro e dei loro compagni e aiutarli a consolidare il modo di esprimersi attraverso il linguaggio. Tra gli sviluppi futuri che si intendono perseguire, ci sarà anche un progetto per estendere l'uso dei laboratori online e le nuove modalità di valutazione ad altri CdS della Scuola di Scienze e ad altre Scuole e ai Corsi di recupero per gli studenti che non superano il test delle conoscenze iniziali.

Riferimenti bibliografici

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BARANA A, MARCHISIO M., RABELLINO S., 2016, Assessment of individual and collaborative e-learning in problem solving activities, ‘Atti Convegno EMEMITALIA, 2016’, in stampa.

CIAVARELLA M., CORIASCO S., MARCHISIO M., BALDONI M., RABELLINO S., 2011, Studiare Matematica con Moodle e Maple, in M. Baldoni, C. Baroglio, S. Coriasco, M. Marchisio, and S. Rabellino (Ed) ‘E-learning con Moodle in Italia: una sfida tra passato, presente e futuro’, Collana I Manuali, chapter I.3, Seneca, pages 35-50

FERRARI P.L., 2006, Moodle all’U.P.O. Le opportunità offerte da Moodle per l’insegnamento universitario: il caso della matematica. In ‘Atti del Convegno MoodleMoot Italia, II edizione.

URL: http://www.moodlemoot.it/file.php/5/documenti/presentazioni/ferrari.pdf

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FERRARI, P.L., 2011, Le potenzialità dell'e-learning in educazione matematica e il ruolo della ricerca, ‘TD Tecnologie Didattiche’, 19 (3), pp. 136-141.

IMPERIALE R., 2016, La risoluzione collaborativa dei problemi, ‘Seminario GRIMeD’, Taranto.

LICHTNER M.,2011,Comprendere per valutare, ‘Atti del Convegno Nazionale GRIMeD n. 17’, Bologna: Pitagora.

MARTINENGO C., CURATELLI F., 2015, Laboratori e tutorati: proposte per affrontare le difficoltà in matematica dalla scuola primaria all' università, ‘Atti del Convegno Nazionale GRIMeD n. 19’, In Quaderni GRIMeD n.2, Torino: Il Capitello, pp. 126-135.

PESCI, A., 2011a, Sollecitare la riflessione meta-cognitiva in attività di tutoraggio per valorizzare le risorse di tutti gli studenti, In: ‘Atti Matematica & Difficoltà n. 17’ , Bologna: Pitagora, pp. 69-78.

PESCI, A., 2011b, Studi di esperienze collaborative in presenza per una loro eventuale implementazione online, ‘TD Tecnologie Didattiche’, 19 (3), pp. 183-188.

PESCI, A., 2016, Imparare collaborando, ‘Seminario GRIMeD’, Taranto.

REGGIANI M., 2011, Collaborare online nella scuola superiore: compiti, ruoli, motivazioni. ‘TD Tecnologie Didattiche, 19 (3), pp. 176-182.

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MATEMATICA PER UNO, MATEMATICA PER TUTTI!

Maria Cristina MIGLIUCCI, Luigi REGOLIOSI

Associazione Tokalon, Roma (RM)

Riassunto

Il contributo nasce dall'esperienza didattica nella scuola secondaria di primo grado e dall’attività di ricerca per la pratica di Tokalon Matematica, riguardante l’insegnamento della matematica nella scuola dell'obbligo e la formazione degli insegnanti in servizio, in collaborazione con il Laboratorio di Matematica per la formazione primaria del Dipartimento di Scienze della Formazione dell'Università Roma Tre. Si sostiene la tesi che a partire dall’esigenza di uno si arrivi a rispondere all’esigenza di tutti. Davvero possiamo parlare di due didattiche e non di una sola? Manthanein significa imparare: la matematica è un insieme di idee, concetti e metodi che sono alla base della capacità di conoscere di ciascuno. Matematica è osservare, costruire, immaginare, sperimentare, ricercare, giocare, esperire, intuire, sentire, toccare, raccontare, scoprire, cercare, provare, confrontare, risolvere, sbagliare, parlare. Matematica è tutto questo - e anche di più… - per tutti.

Introduzione

Il triennio della scuola secondaria di primo grado è un percorso di formazione destinato a lasciare un segno profondo nel rapporto di ciascun ragazzo con la matematica. Esso costituisce un momento di passaggio, dalle esperienze infantili e dalla scolarizzazione primaria, verso il “futuro matematico” degli allievi. Calcoli, figure geometriche, formule, tabelle hanno animato gli anni della scuola primaria, così come giochi e colori lo avevano fatto durante quelli della scuola dell’infanzia. L’incontro con la matematica è già avvenuto, ne è stata fatta già abbondante esperienza, purtroppo non sempre positiva. Ci si accosta infine, a partire dalla prima media, alla matematica intesa come disciplina. Si manifesta di conseguenza, acutamente, la doppia presenza della matematica nella scolarizzazione e nella vita, tanto più nel nostro secolo: l’istruzione matematica condizionerà i progetti di vita, a partire dalla scelta di un mestiere, eppure la matematica è presente a scuola soprattutto perché, nella tradizione europea, essa è parte essenziale della formazione (della cultura, o paideia). Questa doppia presenza è stata sottolineata efficacemente da Federigo Enriques, un autore che ispira il nostro lavoro45:

“Abbiamo rilevato il valore delle matematiche in tutti i rami dell’attività scientifica e pratica, nonché la potenza che esse recano allo spirito. […] Qui si affaccia di solito la domanda se all’insegnamento debba darsi piuttosto lo scopo formativo o informativo. Ma il dilemma è mal posto. Se coll’insegnamento informativo si intende di porgere all’allievo una serie di nozioni da accogliere passivamente come un dono, questo non ha ragion d’essere in alcun ordine di scuola, perché il dono di cosa estrinseca non arricchisce il povero che ne ignora l’uso: il maestro dona soltanto se stesso quando trascina e commuove e comunica qualcosa della propria vita al suo figlio spirituale. L’acquisto della cultura suppone sempre l’apprendimento dell’uso che possa farsene; il quale esige la partecipazione attiva dell’educando, e ha un valore formativo.”

45ENRIQUES F., 1938, Lematematichenellastoriaenellacultura,pagg.184-186,Bologna:Zanichelli

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La matematica nasce da pratiche concrete del contare e del misurare che i giovani alunni conoscono, in modo semplice e concreto, fin da bambini; ora si tratta di compiere un salto e penetrare un mondo di enti astratti, con un maggior intervento del pensiero simbolico. Fin dai primi passi la matematica suscita sentimenti in chi la studia. Paura, disinteresse, scoraggiamento, rifiuto si contrappongo alla naturale curiosità e fascino che questa disciplina è in grado di suscitare. Il distacco crescente dall'intuizione legata alla percezione può aumentare l'interesse in alcuni, ma la situazione può peggiorare in altri. Negli ultimi anni, ovunque nel mondo, si sottolinea che oltre a far apprendere matematica, la scuola deve assumersi il compito di far maturare negli alunni un atteggiamento di apertura verso questa disciplina e di disponibilità continua all’apprendimento46. In aula, le emozioni di ragazze e ragazzi si sovrappongono ai sentimenti di chi dapprima è stato allievo e ora la insegna (e, si spera, senza smettere mai di studiarla). La paura di taluni insegnanti di fronte alla matematica si amplifica di fronte al compito di insegnarla e al rischio di sbagliare; e comunque anche coloro che hanno passione per la disciplina che insegnano non sono liberi dal timore, insicurezza e preoccupazioni al riguardo. In parte, ciò è quasi inevitabile, come si legge nella Lettera VII di Platone: “Non è questa mia, una scienza come le altre: essa non si può in alcun modo comunicare, ma come fiamma s'accende da fuoco che balza: nasce d'improvviso nell'anima dopo un lungo periodo di discussioni sull'argomento e una vita vissuta in comune, e poi si nutre di sé medesima” (341 c-e). Tuttavia, i timori degli insegnanti derivano anche dalla mancata presenza di una riflessione su questi argomenti nei corsi di laurea universitari di matematica e di scienze naturali; dalla mancanza di una formazione culturale in storia della matematica e in epistemologia che può fornire la cornice culturale necessaria ad avere fiducia e prendere l'iniziativa. La presenza di alunni in difficoltà, con più lenta maturazione intellettuale, linguistica o emotiva, è un incoraggiamento per saltare degli steccati, rischiare con il linguaggio e i mezzi espressivi, e lanciarsi in proposte che freschi di laurea potrebbero sembrare poco “scientifiche”, pericolosamente “non rigorose”. Ne forniamo alcuni esempi di idee per animare la lezione e il discorrere delle settimane a scuola, integrandosi armoniosamente con l'avanzamento del “programma”. Queste idee si basano sullo studio nell'ambito delle matematiche complementari e sulla ricerca di testi, esempi, materiali, immagini, filmati, proposte. Rischiando, abbiamo avuto la conferma che i ragazzi – anche coloro che trovano ostacoli nell'ordinario lavoro a scuola – si impegnano fino in fondo per le cose che ritengono importanti, per le cose che imparano a conoscere, per quelle che hanno il piacere di scoprire. Come ha scritto Polya47, il miglior modo per imparare qualsiasi cosa è scoprirla da soli, e potremo anche aggiungere: essere protagonisti, in classe, contribuendo a qualcosa che coinvolge tutti.

La varietà di proposte Nel percorso di scoperta e conoscenza lungo tutta la vita, i tre anni della scuola secondaria di primo grado rappresentano la prima vera grande occasione per accompagnare ed appassionare i ragazzi alla disciplina matematica. Concepire questi tre anni come un'esperienza complessiva aiuterà a organizzare le tappe e a costruire un ritmo insieme alla classe. E, come in tutte le cose, la prima impressione conta, specie se si devono mettere in discussione preconcetti e sentimenti negativi.

46QuestoaspettoèrecepitonelleIndicazioniNazionaliperilcurricolodellascuoladell’InfanziaedelPrimoCiclooggiinvigoreinItalia(D.M.16novembre2012).Benprimadell'introduzionedellaparola“competenza”sicercavaditenerpresentequestiaspettiindidatticadellamatematicadistinguendoadesempiofra“contenuti”,“procedure”e“atteggiamenti”.47POLYAG.,1970,Lascopertamatematica.Capire,imparareeinsegnarearisolvereproblemi,vol.II[Mathematicaldiscovery,vol.II,1967],Milano:Feltrinelli

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Lo spettacolo Facciamo Numero 48 ha dato la possibilità ai ragazzi della classe prima 49 di ripercorrere alcune questioni matematiche – alcune a loro già note, altre no – nella loro semplicità, attraverso le parole della protagonista Alice. In ogni scena, attraverso racconti e ragionamenti ad alta voce, la protagonista fa emergere interrogativi interessanti e considerazioni ingenue che coinvolgono il pubblico, suscitando commenti ed interventi. (Fig. 1)

Figura 1 – Il lupo, la capra e il cavolo Partendo da un divertente dialogo preistorico, si introduce la nascita dei numeri, li si definisce poi facendo riferimento agli assiomi di Peano, si risolvono problemi, si osserva il mondo e le sue forme. Lo spettacolo si conclude con un problema: la protagonista saluta i ragazzi proponendo il “Paradosso delle stanze d’albergo” di David Hilbert. Il teatro ha dato la possibilità ai ragazzi di riscoprire la parola “divertimento” e “leggerezza” abbinati alla parola “matematica”. I temi affrontati o soltanto citati sono stati ripresi in classe attraverso lavori di gruppo e piacevoli e curiose conversazioni, i problemi posti e proposti sono stati argomento di varie discussioni. Nel corso dell’intero triennio abbiamo sperimentato in più occasioni la possibilità di affrontare alcuni contenuti disciplinari attraverso l’utilizzo formativo del gioco. Un gioco è una sfida intellettuale, un gioco ci sorprende, ci ricorda di sorridere. Tutte emozioni e sentimenti che chi vuole studiare matematica impara o deve imparare a conoscere. I bambini sperimentano attraverso il gioco, ma anche per ragazzi e adulti questo è un forte strumento formativo. È un’esplorazione, non un impegno, ma un piacere che permette di familiarizzare e sperimentare concetti astratti ed impegnativi. La matematica stessa è un gioco, come sottolineava Miguel de Guzmán, e la antica tradizione dei problemi ricreativi fornisce anche enigmi e divertimento. Vi sono poi i giochi veri e propri, come i giochi di società oppure gli scacchi, dove spesso si trovano molte concezioni matematiche soggiacenti. Nella classe prima50, dopo aver rivisto il concetto di numero, aver definito l’insieme dei numeri naturali ed aver infine introdotto le prime definizioni della geometria euclidea, si è provata l’esperienza ludica degli scacchi per presentare il concetto di corrispondenza e la rappresentazione cartesiana (cercando quindi di combinare numeri e geometria).

48SpagnolettiZeuli,E.Facciamonumero:unospettacolomatematicoperbambini,‘PubblicazionionlinedelLaboratoriodiMatematicaperformazioneprimaria’,DipartimentodiScienzedellaFormazione,UniversitàRomaTre,www.mat.uniroma3.it/users/primaria/Spagnoletti_Facciamo%20numero%205.2.15.pdf49Classeprimascuolasecondariadiprimogrado,a.s.2015-2016,compostada24alunni,5alunniconBisogniEducativiSpeciali.50Classeprimascuolasecondariadiprimogrado,a.s.2016-2017,compostada27alunni,1alunnocondisabilitàcertificatasecondolegge104/92,2alunniconaltriBisogniEducativiSpeciali.

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Figura 2 – Scacchiera. I pezzi sulle tavole quadrate, costruite dai ragazzi stessi con cartoni o compensato, sono state costruite con materiali di riciclo

Questa attività ha messo in luce l’importanza della riflessione, dell’osservazione e del ragionamento: l'aspetto sia visuo-spaziale e geometrico (visione, spazio bidimensionale, movimento); e la componente strategica, basata anche sulla scelta e la decisione. Nella classe seconda51, sempre lavorando per gruppi orizzontali eterogenei, si sono introdotti alcuni giochi da tavolo volti a migliorare la capacità di scelta e di determinazione di una strategia. In classe si gioca a “Il prato dei conigli” (Fig. 3), immaginando di essere nel paese di Ortino, dove la lattuga e le carote sono sempre fresche: un grande prato è popolato da tantissimi conigli di tutti i colori, alcuni corrono, altri sono in piedi e altri ancora accovacciati.

Figura 3 – “Il prato dei conigli”, ed. Creativamente Al sorgere del sole inizia il gioco e prima che tramonti occorre sommare in maggior numero di “punti-carota.” Vi sono carte che indicano un confronto tra la cardinalità di due insiemi finiti, altre carte che fanno ragionare sulla collocazione nello spazio, altre sui multipli ed i divisori, infine carte che aiutano a familiarizzare con le frazioni (la metà, un terzo, tre quarti...). Sempre in classe seconda52, allo scopo di rendere familiari parole tecniche come congruenza, isoperimetria ed equivalenza, e ancor di più di interiorizzare il loro significato anche mettendo a confronto questi concetti, abbiamo giocato con il Tangram. Esso offre un’esperienza concreta che avvicina in modo intuitivo ai concetti di conservazione e di confronto di superfici piane. Nel corso dell’attività è stato 51Classesecondascuolasecondariadiprimogrado,a.s.2015-2016,compostada27alunni,1alunnocondisabilitàcertificatasecondolegge104/92,3alunniconaltriBisogniEducativiSpeciali.52Classesecondascuolasecondariadiprimogrado,a.s.2016-2017,compostada24alunni,5alunniconBisogniEducativiSpeciali.

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possibile ri-prendere temi geometrici significativi come operare con forme geometriche, riconoscere figure anche se diversamente orientate nel piano, calcolare misure di superficie, confrontare e sperimentare fenomeni di conservazione delle superfici e certamente riflettere sulle isometrie ed i movimenti rigidi nel piano. Non è mancato chi, dopo personali ed autonome ricerche a casa, ha riportato ai compagni la sorpresa provata ad esempio nello scoprire che con il Tangram si possono realizzare infinite figure ma solo pochissimi poligoni convessi. Qualcuno si è cimentato anche con lo Stomachion (o Loculus Archimedius53): il gioco consiste in 14 pezzi di avorio piatti, con varie forme poligonali, che all’inizio formano un quadrato 12×12. Come nel Tangram, lo scopo del gioco è usare i pezzi per costruire altre immagini. Problema più arduo da risolvere è quello poi di formare quanti più quadrati possibili con i 14 pezzi. Nella classe terza 54della scuola secondaria si introduce il concetto di probabilità matematica di un evento casuale ed il relativo calcolo del suo valore. Le carte da gioco (napoletane, piacentine o francesi) hanno sempre il loro fascino. Si possono anche adoperare in modalità fai da te, altrimenti utilizzare mazzi già pronti. In un’attività in gruppi omogenei si riflette circa l’opportunità o meno di mettere in atto determinate strategie di gioco, imparando come si “contano” le possibilità di vittoria.

Il problema del problema Un problema è come un sasso gettato nello stagno: smuove le acque, introduce dinamismo dove prima era la quiete. Ovviamente ogni “provocazione” ha i suoi rischi. Un problema suscita curiosità e desiderio di misurarsi in una sfida, diffidenza dinanzi ad una soluzione che sembra irraggiungibile, paura di sbagliare, deludere e deludersi. Risolvere problemi, e in generale ragionare, può costare fatica. Negli ultimi anni, la vasta gamma di problemi “scolastici” in senso stretto, alle volte appesantiti dalla monotonia derivata da una lunga tradizione è stata, per fortuna, affiancata da un altrettanto ampio ventaglio di proposte a carattere più vario, per lo più derivate da gare matematiche. Abbiamo proposto in classe 55 una serie di problemi presi dai testi del Rally Matematico Transalpino, tra cui il seguente56: “Luca ha ricevuto una scatola di costruzioni con una tavoletta quadrettata e 16 piastrelle tutte della stessa forma. Egli prova a formare dei quadrati con alcune o con tutte queste piastrelle, mettendole una di fianco all’altra, senza che si ricoprano e, se possibile, senza lasciare nessun foro. Se non è possibile costruire un quadrato senza fori, vuole che questo sia esattamente al centro del quadrato e che lasci vedere solamente un quadretto della quadrettatura. Con dieci di queste piastrelle, Luca è riuscito a formare un quadrato (Fig. 5), ma non è soddisfatto: il suo quadrato non è completo e il foro non è esattamente al centro. E voi sapreste formare un quadrato senza fori, più grande o più piccolo di quello disegnato, con solo alcune o tutte le 16 piastrelle? Se sì disegnatene uno sulla quadrettatura. E potreste formare un quadrato con un foro esattamente al centro, che lasci vede solo un quadretto della quadrettatura, sempre con alcune o con tutte le 16 piastrelle? Se sì, disegnatene uno sulla quadrettatura.”

53MORELLIG.,2009,LostomachiondiArchimedenelletestimonianzeantiche,‘Bollettinodistoriadellescienzematematiche’,XXIX,2,pp.181–206.54Classeterzascuolasecondariadiprimogrado,a.s.2016-2017,compostada27alunni,1alunnocondisabilitàcertificatasecondolegge104/92,3alunniconaltriBisogniEducativiSpeciali.55Classesecondascuolasecondariadiprimogrado,a.s.2015-2016,compostada27alunni,1alunnocondisabilitàcertificatasecondolegge104/92,3alunniconaltriBisogniEducativiSpeciali.56RallyMatematicoTransalpino,17.01.04,Cat.3,4.http://rmt.diism.unisi.it/wp-content/uploads/2014/11/Prova-I-17%C2%B0-web.pdf

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Figura 5 – Rally Matematico Transalpino, 17.01.04, Cat. 3,4

Come affrontare la risoluzione? Si tratta di affrontare quello che Polya esprime con chiarezza: devising a plan57. Nessuno schema prestabilito, nessuna formula magica alla quale appellarsi per la scelta del piano risolutivo. I problemi ci aiutano a ricordare – a differenza degli esercizi, che danno meno spazio alla creatività e lo stile individuale – che ciascun ragazzo può fare matematica e può trovare nella matematica un suo punto di forza: ognuno può sperimentare a modo suo e scoprire ciò che è possibile e ciò che egli è capace di inventare. La risoluzione non prevede necessariamente la conoscenza di chissà quali formule o algoritmi. Non è necessario formalizzare svolgimenti e/o dare giustificazioni di tutti i passaggi o deduzioni effettuate: uno schizzo, un diagramma e qualche parola rendono l'idea. Bisogna solo leggere, immaginare e poi rappresentare, utilizzare ciò che si ha a disposizione (carta, forbici, gomme, righelli, matite) per trovare e costruire soluzioni. In classe terza58 si è dovuto far fronte al problema, quasi insormontabile per qualcuno ma comune per tutti, dell’organizzazione del tempo: tempo per lo studio, tempo per lo sport, tempo per gli amici e soprattutto tanto, troppo tempo perso dietro a tablet e videogiochi. Per “risolvere” il problema si è colta così l’occasione di riflettere e lavorare sulla statistica: continuamente inondati e confusi da numeri, dati, deduzioni, statistiche e sondaggi, ma, come diceva il grande Mark Twain, "le statistiche sono come i lampioni. Le possiamo usare per fare luce, ma non come l'ubriaco, che ci si appoggia". Abbiamo così proposto un’indagine che ha portato i ragazzi a raccogliere dati e ad elaborarli su un tema per loro così importante. Lo spunto per questa iniziativa è venuto da una riflessione presente in un libro59 che stavamo leggendo in classe: qual è “il tempo per i compiti a casa”? Ciascun ragazzo si è impegnato nel monitorare il proprio tempo per un periodo prestabilito, divisi in gruppi eterogenei poi hanno organizzato, elaborato ed analizzato quanto era emerso nella loro indagine statistica. Sulla costruzione dell'indagine e sulla scelta delle categorie ci sarebbe da scrivere un intero libro! Inizialmente avevamo deciso solamente sei categorie: tv, tablet/pc/smartphone, studio, sport/attività, telefono, lettura. Per controllare eventuali incongruenze sulle stime dei dati proposti avevamo stabilito che alle 168 ore settimanali a disposizione andavano tolte le 30,5 ore di scuola, le 7x9=63 ore di sonno, le 7 ore dedicate ai pasti (un'ora al giorno ci sembrava congruo), le 7 ore dedicate al bagno (per bagno si intende anche vestirsi...) e così ne rimanevamo 60,5. Dalla tabella (Fig. 6) emergeva chiaramente che qualcuno aveva fatto male le sue stime, poiché risultava impegnato più ore di quelle che aveva a disposizione!

57POLYAG.,1967,Comerisolvereiproblemidimatematica,Logicaeeuristicanelmetodomatematico[Howtosolveit,1945],Feltrinelli:Milano58Classeterzascuolasecondariadiprimogrado,a.s.2016-2017,compostada23alunni,dicui3alunniconBisogniEducativiSpeciali.59CERASOLIA.,2016,MatematicaAmica,Feltrinelli

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Figura 6 – Indagine statistica: prima tabella

Così è nata la nostra indagine con le nuove categorie mostrate dalla tabella Fig. 7, rappresentata con diversi grafici attraverso il software Excel. Citiamo le osservazioni più significative del dialogo relativo alla costruzione dell'indagine: 1) "per capire come usiamo il nostro tempo non si può decidere che le ore di sonno, dei pasti, del bagno sono uguali per tutti, perché così si "sporcherebbe" il campione decidendo che tutti abbiamo lo stesso stile di vita!" (infatti, dall'indagine risulterà che le ore di sonno, dei pasti e del bagno variano non poco tra uno studente e un altro) 2) "ci sono attività che svolgiamo contemporaneamente: io vedo la tv, mentre chatto su WhatsApp [...] io ascolto la musica mentre studio [...] io gioco col tablet mentre sono al bagno..." (infatti, introdurremo il multitasking, ovvero ci saranno delle attività che potranno essere svolte contemporaneamente segnando il tempo impiegato in entrambe le categorie ma anche nella colonna "multitasking" che funziona da controllo sul tempo totale a disposizione - 24 h al giorno) 3) "ci sono attività che non sono misurabili: non posso calcolare quanto tempo sto su WhatsApp, il tempo che uso il cellulare per scrivere messaggi, il tempo che ascolto la musica, spesso sottofondo alle nostre attività principali" (infatti, abbiamo scelto di calcolare il tempo dedicato alle telefonate e non ai messaggi per evidenti ragioni e non abbiamo inserito la musica tra le categorie perché prevaleva l'ascolto di musica come sottofondo...)

30,5scuola,63sonno,

7pasti,7bagno

TV TABLET/PC/SMARTPHONE STUDIO SPORT/ATTIVITA' TELEFONO LETTURA TOTALE ALTRO

10,5 8,5 19 8 0,8 2 48,8 11,7 81%0,5 4 10 5 1 3,5 24 36,5 40%3 0,5 12 2 2 21,5 41 19,5 68%8 7 14 4 1 3 37 23,5 61%3,5 21 14 2 1 0 41,5 19 69%6 9 14 7 11,5 8 55,5 5 92%7 8 14 7 20 2 58 2,5 96%5 4 16 0,5 10 1 36,5 24 60%18 4 17 7,5 11 3 60,5 0 100%21 7 21 3 22,5 3 77,5 -17 128%18 18 21 2 2 0 61 -0,5 101%4 6 20 8 0,5 12 50,5 10 83%8 10 16 20 8 1 63 -2,5 104%11 10 20 5 4 3 53 7,5 88%14 4 14 5 20 14 71 -10,5 117%5 10 20 0 5 1,5 41,5 19 69%3 2,5 18 6,5 0,5 3 33,5 27 55%6 8 18,5 6,5 0,8 2 41,8 18,7 69%

11,5 8,5 18 2,5 1,5 1 43 17,5 71%7 7,5 14,5 14,5 7 1,5 52 8,5 86%7 3,5 21 18 1,5 0 51 9,5 84%10 4 14 5 30 0,5 63,5 -3 105%14 4 14 0 28 3 63 -2,5 104%8,7 7,3 16,5 6,0 8,2 3,9 50,8 9,77,0 4,0 14,0 5,0 1,0 3,0 41,5 19,07,0 7,0 16,0 5,0 4,0 2,0 51,0 9,5

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Figura 7 – Indagine statistica: tabella definitiva

4) "la categoria altro ci permetterà di calcolare quanto tempo ci rimane da dedicare a noi stessi" (questa osservazione è stata l'occasione per discutere con la classe del fatto che tutto il tempo che impegniamo può essere “per noi” e coloro che avranno tante ore di “altro” semplicemente saranno più costretti a domandarsi se quel tempo vogliono dedicarlo a loro stessi oppure sprecarlo) Ci ha colpito poi vedere come i ragazzi abbiano lavorato con il software Excel poiché pensavamo che non fosse sufficiente il tempo previsto per le attività in laboratorio e soprattutto che avrebbero avuto grosse difficoltà a riprendere il lavoro a casa. Invece, nonostante le molteplici versioni del software a disposizione dei ragazzi (si andava dal 2003 al 2016 e c'era anche chi a casa usava OpenOffice!), se la sono cavata egregiamente scoprendo personalmente anche diverse funzioni, comandi e possibilità di personalizzazione di grafici e tabelle: tale risultato ci ha fatto riflettere sulla nostra riluttanza a portare gli studenti in laboratorio perché si pensa che sia necessario avere tutto pronto per guidarli nel lavoro; in realtà, anche se è faticoso per il docente che gira a destra e a sinistra, gli studenti - almeno quelli di questa classe - sono molto bravi ad imparare come utilizzare il foglio elettronico, senza bisogno di essere "imboccati" passo dopo passo! I ragazzi, dunque, attraverso l'osservazione dei dati relativi a loro stessi e ai propri compagni hanno scoperto quanto è prezioso il tempo che abbiamo a disposizione su questa terra: un lavoro per uno, che è divenuto un lavoro per tutti. Quanto scrive Ana Millán Gasca riferendosi alla scuola primaria è stato da noi riscontrato anche nella scuola secondaria di primo grado60: “I problemi possono essere proposti e risolti con l’intera classe, con il contributo di tutti, in piccoli gruppi oppure individualmente, a seconda del grado di difficoltà. Questa modalità di approccio 60MILLANGASCAA.,2016,Numerieforme.Didatticadellamatematicaconibambini,pagg.174-175,Bologna:Zanichelli

SONNO BAGNO PASTI TRASPORTI SCUOLA STUDIOINTERNET-APP-

FILESPORT-ATTIVITA' CHIAMATE TV LETTURA VIDEOGIOCHI ALTRO MULTITASKING TOTALE

60,75 5,38 7,25 6,00 29,88 9,88 4,88 6,50 2,88 10,75 4,00 4,63 15,50 0,25 168,0058,63 5,06 7,15 9,85 27,85 9,08 3,19 2,17 0,56 6,46 1,21 3,42 34,40 1,02 168,0057,25 7,00 10,63 3,63 28,75 7,20 5,27 2,63 2,31 5,81 20,75 3,75 17,08 4,05 168,0058,08 9,73 12,53 5,58 26,80 13,58 10,08 3,00 1,65 9,83 3,08 2,83 15,80 4,53 168,0049,50 6,00 4,95 3,41 30,63 9,00 13,50 4,10 2,50 5,50 0,75 8,20 34,72 4,75 168,0066,52 7,60 7,69 5,83 33,08 9,25 4,54 3,13 0,81 3,42 4,08 0,08 22,12 0,17 168,0051,00 8,00 7,88 4,50 28,25 7,50 7,50 5,25 1,75 14,00 4,75 5,00 22,63 0,00 168,0063,63 4,92 7,81 6,81 30,44 21,23 5,06 0,00 4,25 3,44 4,75 1,88 19,23 5,44 168,0063,19 2,15 10,69 4,16 27,19 11,26 3,73 7,48 0,51 5,57 1,42 0,19 30,47 0,00 168,0058,50 7,14 9,09 2,22 24,42 15,04 7,75 2,75 1,94 10,79 0,39 0,00 28,48 0,50 168,0077,38 5,59 3,72 3,92 32,00 18,00 13,10 0,75 1,50 9,54 0,04 0,00 2,73 0,25 168,0064,88 7,00 12,63 7,38 27,00 17,00 0,13 7,00 0,03 2,75 7,75 3,38 11,75 0,65 168,0049,50 5,67 7,75 3,92 29,00 14,50 31,00 16,00 5,33 17,25 0,00 16,50 14,08 42,50 168,0065,13 6,67 7,54 0,25 32,43 16,46 9,38 6,25 4,96 9,50 2,50 0,00 9,78 2,83 168,0063,77 6,04 13,00 1,83 27,25 12,02 7,79 2,38 0,30 11,50 2,42 0,02 19,76 0,08 168,0053,38 8,63 8,35 3,63 25,50 15,18 21,33 0,00 0,55 7,60 0,50 4,18 50,40 31,20 168,0062,95 3,63 8,71 1,44 30,38 17,33 1,47 5,26 0,36 5,28 2,70 2,26 27,49 1,25 168,0061,00 10,08 12,54 4,25 21,38 22,08 4,04 9,00 0,46 7,75 9,63 1,00 10,04 5,25 168,0062,00 5,55 7,95 4,44 33,75 11,29 3,62 6,41 0,99 8,39 2,03 4,92 19,65 2,97 168,0062,00 7,00 2,97 0,85 37,05 9,50 6,83 2,00 4,17 7,00 4,50 7,79 29,14 12,80 168,0062,44 3,94 6,00 6,69 27,13 12,06 4,81 5,88 1,19 8,81 0,00 8,63 26,69 6,25 168,0061,00 7,01 6,39 4,15 28,00 6,01 3,26 6,25 2,63 9,39 0,00 1,65 37,19 4,93 168,0054,50 5,49 7,60 4,75 33,75 15,36 16,38 0,00 0,80 14,00 0,25 1,03 20,18 6,08 168,00

60,30 6,32 8,29 4,32 29,21 13,03 8,20 4,53 1,84 8,45 3,37 3,53 22,58 5,99

61,50 6,35 7,84 4,16 28,50 12,82 6,05 3,61 1,34 8,07 2,22 2,54 21,15 3,51SONNO BAGNO PASTI TRASPORTI SCUOLA STUDIO

INTERNET-

APP-FILE

SPORT-

ATTIVITA'CHIAMATE TV LETTURA

VIDEO

GIOCHIALTRO MULTITASKING

RANGE 27,88 7,93 10,03 9,60 15,68 16,07 30,88 16,00 5,31 14,50 20,75 16,50 47,67 42,50

MAX 77,38 10,08 13,00 9,85 37,05 22,08 31,00 16,00 5,33 17,25 20,75 16,50 50,40 42,50

MIN 49,50 2,15 2,97 0,25 21,38 6,01 0,13 0,00 0,03 2,75 0,00 0,00 2,73 0,00

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permette di esercitare l’autonomia e lo spirito di iniziativa, obiettivo tra l’altro delle competenze chiave. A ciascuno è garantita la libertà di cercare una propria via, di scelta degli strumenti necessari e più idonei (schemi, disegni geometrici, rappresentazioni, numeri). L’aspetto fondamentale è il ragionamento che accompagna la strategia scelta nel tentativo di convincere l’insegnante e i compagni della giustezza della risposta; e poi anche il mettere a confronto strategie diverse per vedere quale è più appropriata o efficiente. Nella risoluzione di problemi si allena la perseveranza, la capacità di accettare gli errori e di correggersi e lo spirito di collaborazione con i propri pari, tutte componenti del lavoro scientifico e aspetti formativi che contribuiscono alla maturazione non solo intellettuale. […]”

La conversazione matematica La bellezza segreta della matematica è lì che aspetta di essere scoperta. Attenzione però: si eviti la tentazione di svelare, forse con le migliori intenzioni. Ritorniamo a Polya61: “Non rivelare subito tutto il tuo segreto, fallo indovinare dagli studenti prima di dirlo, fa loro scoprire da soli quanto è possibile. Suggeriscilo. Non forzarlo.” Il percorso compiuto da soli o insieme alla classe è tutto da assaporare: l’insegnante ha sì il compito di scegliere il problema, ma – ancor più importante – ha il potere di orientare la discussione ed insegnare a sviluppare un metodo di lavoro. Così nascono le vere e proprie conversazioni matematiche, nel corso di tutto quel che avviene, imprevedibile, tra l’inizio e la fine di un problema: “[…] Si impara a parlare di matematica, a spiegare strategie scelte, a descrivere la via seguita sia nella risoluzione di un problema che in un calcolo mentale, a ragionare su un errore, a chiedere chiarimenti su una consegna, a confrontare il proprio punto di vista con quello dei compagni. La “conversazione matematica” si concentra proprio su questioni come l’esattezza, il confronto, il risultato, l’approssimazione, le strategie di soluzione, le prove, i modi di rappresentazione, e la visione matematica della realtà.”62 È necessaria una guida in questa scoperta, una guida che conosca più che l’obiettivo la molteplicità di strade da poter percorrere. È necessaria una guida che fornisca il ritmo, che diversifichi le situazioni, che presenti molteplici esempi e applicazioni, che sappia far leva sulle risorse di tutti. Ecco perché parliamo di varietà: di situazioni, di approcci, di proposte, di forme di valutazione. I risultati raggiunti non hanno riguardato soltanto un generico atteggiamento positivo nei confronti della disciplina, perché una visione più completa e umanistica della matematica ha un influsso immediato sull'assimilazione dei suoi concetti. E soprattutto hanno riguardato, coinvolto e valorizzato tutti e non qualcuno. Ecco perché parliamo di matematica come libertà. Libertà di scelta per ciascuno nella varietà di possibili strategie. Libertà di scelta nella vasta gamma di materiali cui l’insegnante può attingere. La matematica libera emozione nella sua quasi surreale concretezza. La matematica argomento di una conversazione costante: si passeggia in essa e attraverso di essa costruendo nessi e portando varietà di proposte e usando problemi, che pongono davanti alla realtà non solo attraverso i racconti ma attraverso le cose, in una stringente argomentazione delle sue argomentazioni. I ragazzi tutti devono sentirsi conquistatori di orizzonti e non prigionieri di formule e percorsi. L’educazione, e quindi l’educazione matematica, “comprende l’uomo tutto intero, facoltà, funzioni e attitudini comprese, invece di svilupparne una sola, la memoria, a detrimento di tutte le altre e

61POLYAG.,1970,Lascopertamatematica.Capire,imparareeinsegnarearisolvereproblemi,vol.II[Mathematicaldiscovery,vol.II,1967],Milano:Feltrinelli62MILLANGASCAA.,2016,Numerieforme.Didatticadellamatematicaconibambini,pagg.176-177,Bologna:Zanichelli

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delle attitudini dell’individuo63” e soprattutto comprende gli uomini tutti, che nella loro singolarità e unicità crescono tra tutti e con tutti.

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LA DIDATTICA COOPERATIVA PER PROMUOVERE L’INCLUSIONE E IL SUCCESSO FORMATIVO DI TUTTI E DI CIASCUNO: LE SUPERFICI

PIANE E L’EQUIESTENSIONE CON BAMBINI DSA

Maria Assunta DI PAOLA1, Antonella MONTONE2, Giuditta RICCIARDIELLO3

1Scuola dell’Infanzia “Cometè” - Bari 2Dipartimento di Matematica Università degli Studi di Bari

3I.C. “Balilla-Imbriani” – Bari

Introduzione

La sperimentazione didattica che si presenta in questo lavoro nasce dalla volontà di consentire a tutti gli alunni di una classe IV Primaria (I.C. “Balilla-Imbriani” – Bari) di costruire alcuni significati matematici, quali i concetti di superficie di una figura piana e di equiestensione, nonché di sviluppare un atteggiamento positivo verso la Matematica, attraverso esperienze significative che la rendano una disciplina “reale”. La mediazione con gli artefatti utilizzati durante l’intero percorso, ha permesso agli alunni di ancorare i diversi significati matematici emersi durante le attività, ad esperienze dirette e tangibili, verificando direttamente la veridicità di ogni tesi proposta. Tale metodologia da un lato ha permesso l’inclusione degli alunni con bisogni educativi speciali (BES), dall’altro ha stimolato i più creativi a creare ipotesi, a cercare soluzioni e a confrontarsi con l’altro, sempre nel rispetto della diversità delle opinioni di tutti.

Riferimenti teorici L’idea di fondo è che si possa dare a tutti i bambini l’opportunità di risolvere problemi e costruire significati non solo con l’aiuto del linguaggio, ma anche con quello degli occhi e delle mani (Vygotskij, 1987, p. 26; Radford, 2002 e 2003; Lakoff & Núñez, 2005), mediante l’uso di artefatti manipolativi, che permettano l’evoluzione dei significati, attraverso un apprendimento cooperativo. Pertanto le attività con gli studenti sono state progettate e analizzate in un quadro di riferimento teorico che utilizza artefatti, come strumenti di mediazione. In questo lavoro il termine artefatto fa riferimento al significato assunto da Rabardel (1995), secondo cui esso è un oggetto, materiale o simbolico, progettato per un particolare scopo, che diventa strumento quando ad esso si associano gli schemi d’uso sviluppati dal suo utilizzatore nel corso dell’azione, determinata da un compito particolare. Inoltre, poichè l’approccio di Rabardel non si pone come obiettivo quello di studiare l’uso degli artefatti nel campo dell’educazione, ma è stato sviluppato nel campo dell’ergonomia cognitiva, si farà riferimento agli studi basilari di Vygotskij (1987) e alla nozione di artefatto cognitivo di Norman (1993). Gli studi di Vygotskij, includendo una dimensione evolutiva, risultano particolarmente utili per l’analisi cognitiva della funzione di uno strumento. Gli strumenti infatti, come ha mostrato Vygotskij, hanno un ruolo determinante nella strutturazione delle “funzioni cognitive” individuali. Importante dal nostro punto di vista è la distinzione che Vygotskij fa tra strumenti e segni: i primi sono utilizzati dagli esseri umani nella sfera pratica per raggiungere scopi, altrimenti irraggiungibili, e sono pertanto orientati esternamente; i secondi, definiti anche strumenti

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psicologici o di mediazione semiotica, sono orientati internamente e supportano le attività mentali. Secondo la prospettiva vygotskijana, dunque, le potenzialità semiotiche di un artefatto risiedono nel processo di internalizzazione che modella lo sviluppo cognitivo ed ha la propria base nell’uso di segni, che vengono prodotti per realizzare un compito e per comunicare con chi collabora a tale compito. Sviluppata da Bartolini Bussi e Mariotti (2009) in una prospettiva vygotskijana, la Teoria della Meiazione Semiotica prende in considerazione il sistema complesso di relazioni semiotiche tra gli elementi fondamentali che riguardano l’uso di artefatti nella costruzione di significati matematici: l’artefatto, il compito, il sapere matematico oggetto dell’attività, e i processi di insegnamento- apprendimento in classe. In accordo con tale teoria, l’idea fondamentale è che uno strumento, incorporando un sapere, possa offrire, a chi lo usa, una via di accesso proprio al sapere che in esso è incorporato (Vygotskij, 1987). Per cui un artefatto può essere visto in riferimento a un significato matematico e quindi come tale può diventare uno strumento di mediazione semiotica: l’allievo lo usa per svolgere un compito e l’insegnante lo usa con l’intenzione didattica di sviluppare significati matematici. Inoltre, riuscire a costruire i significati matematici attraverso l’utilizzo dei sensi (piegando, tagliando, confrontando, sovrapponendo…) motiva all’apprendimento tutti coloro che fanno parte del gruppo classe: l’apprendimento diventa una sfida, una scoperta nella quale ciascuno apporta il suo personale e originale contributo (Butterworth, 1999). Metodologia L’intero percorso strutturato tra lavori di gruppo alternati ad attività individuali, ha consentito a tutti gli alunni di costruire concetti matematici e di confrontare strategie risolutive, arricchendo ciascuno delle idee e delle intuizioni degli altri attraverso la metodologia del Cooperative Learning (Johnson, D. W., & Johnson, R., 1999, 2009). Oltre al cooperative learning, il problem solving, , la peer education, e il tutoring, sono state alcune delle diverse metodologie applicate e si sono rivelate strategie vincenti per questo lavoro: esse risultano centrali ed essenziali per una didattica che ponga l’inclusione come principio cardine.

I compagni di classe sono la risorsa più preziosa per attivare processi inclusivi. Fin dal principio del percorso gli alunni sono stati incentivati a lavorare su collaborazione, cooperazione, in un clima di classe aperto all’ascolto sereno e costruttivo; in particolare, si sottolinea l’efficacia del lavoro collaborativo in coppia o in piccoli gruppi. La scelta di una didattica attiva, ovvero un insieme articolato di metodologie di insegnamento che pongono lo studente come soggetto attivo del proprio processo di apprendimento, ponendo in rilievo le specificità di ognuno, ha favorito il raggiungimento comune degli obiettivi prefissati. Il problem-solving e la metodologia laboratoriale hanno richiesto una progettazione capillare, con obiettivi formativi e didattico-disciplinari chiari e tassonimicamente organizzati, in modo tale che la concatenazione dei concetti e la costruzione della conoscenza fosse facilitata. Per conseguire tale risultato si è resa indispensabile l’adozione di metodologie e tecniche attive e l’impiego di artefatti attraverso i quali gli alunni sono riusciti ad ancorare i concetti alla realtà, costruendo significati matematici, ricorrendo ai propri sensi (piegature, ritagli, manipolazione…) e diventando così protagonisti del proprio processo di apprendimento.

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La ricerca sperimentale Carta di identità della classe La classe nella quale è stata realizzata la sperimentazione si presenta particolarmente complessa ed eterogenea: è costituita da 20 alunni, di cui 5 con DSA certificato, una alunna BES con livelli al minimo della soglia e gravi difficoltà nell’ambito matematico, un alunno disabile con docente di sostegno per 12 ore e una educatrice professionale per 5 ore, 5 alunni stranieri di cui uno in grave difficoltà comportamentale, relazionale e di apprendimento, in attesa di valutazione neuropsicologica. Tale composizione ha evidenziato numerosi bisogni educativi speciali: ciascun alunno, con le proprie caratteristiche e peculiarità, è al centro del proprio percorso di scoperta e apprendimento, richiede attenzione particolare ed interventi individualizzati che lo conducano, guidato, al conseguimento degli obiettivi progettati e al successo formativo, come il resto dei compagni. La scelta è stata quella di progettare un percorso inclusivo, incentrato sull’uso di artefatti manipolativi, nell’ottica di una didattica cooperativa. Il progetto L’idea di partenza è stata quella di consentire agli alunni di questo gruppo classe di usufruire di strumenti concreti e appartenenti alla quotidianità, per costruire i concetti di superficie e di equiestensione. Un percorso teorico, fondato sulla astrazione e sulle formule, non avrebbe consentito mai ad alunni con dislessia, discalculia, problemi di memorizzazione, astrazione e categorizzazione di riconoscere il legame tra un rettangolo e i concetti di superficie e perimetro; ugualmente difficile sarebbe stato mettere in relazione l’area di un triangolo con quella di un rettangolo, come pure riconoscere l’equiestensione di figure piane. Le unità di lavoro Ogni unità di lavoro ha seguito il seguente schema, ripetuto al termine di ogni fase:

- Warm up che coincide con una situazione-problema che richiede ‘azione’, ‘riflessione’ e ‘creatività’ da parte degli alunni

- Esplicitazione e condivisione degli obiettivi. - Lavoro di gruppo: attività di tipo cooperativo e laboratoriale, in gruppi regolati da norme

note e condivise. All’interno dei singoli gruppi gli alunni hanno un ruolo specifico assegnato (segretario, responsabile del turno di parola, progettista…); tali ruoli ruotano a seconda dalla situazione che si deve affrontare e del problema da risolvere. I gruppi sono eterogenei o di livello, a seconda degli obiettivi prefissati.

- Lavoro individuale. - Verbalizzazione scritta o orale, di gruppo o individuale, a seconda delle situazioni e degli

obiettivi. - Valutazione e autovalutazione: verifica di quanto appreso, livello di soddisfazione del

lavoro svolto in modo individuale o nel gruppo. -

La progettazione e le fasi “Dalle Indicazioni Nazionali allo sviluppo di alcune competenze” Il percorso progettuale ideato, fortemente ancorato alle Indicazioni Nazionali e in particolar modo

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ai Traguardi di competenze riconducibili più specificatamente alla geometria, è teso a rendere esplicito il legame tra geometria piana (in particolare le figure elementari quali rettangolo e triangolo) e realtà, in un’ottica di scoperta ed elaborazione di concetti, piuttosto che di astrazioni e memorizzazione di formule, ricorrendo all’uso di artefatti, strumenti atti a favorire le modellizzazioni. Le attività sono state progettate in un’ottica di sviluppo di competenze: determinare e confrontare misure, progettare e costruire modelli concreti di vario tipo sono alcuni dei traguardi particolarmente rilevanti in un processo di acquisizione di competenze trasversali, oltre che disciplinari. L’aspetto di maggiore interesse di questa ricerca sperimentale è legato a due traguardi fondamentali dello sviluppo del pensiero matematico e “scientifico” in generale: costruire ragionamenti formulando ipotesi e sostenere le proprie idee, confrontandosi con il punto di vista di altri (Indicazioni Nazionali, 2012). I momenti di scambio e dialogo tra gli alunni, finalizzati alla ricerca di dati e informazioni, hanno permesso di descrivere, denominare e classificare figure in base alle loro caratteristiche geometriche, per poter costruire rappresentazioni geometriche, in un’ottica di ascolto e apertura verso le idee dell’altro. In questo modo la Matematica diviene strumento di conoscenza della realtà, nonché mezzo per agire nel quotidiano, favorendo il graduale processo di creazione della propria autonomia di pensiero. Infine, un rapporto che permetta di operare nel concreto ha portato (e porta sempre) a sviluppare quel positivo atteggiamento rispetto alla Matematica, in contrapposizione al sentire comune che vede la nostra disciplina come strumento di selezione e di emarginazione dalla scuola e dalla cultura in generale.

Le fasi

Il presente percorso, articolato in fasi e attività distinte, ha previsto l’utilizzo di diversi artefatti, solitamente in uso nella classe e già noti agli alunni coinvolti. Tali strumenti sono stati opportunamente scelti di volta in volta, perché portatori di significati matematici specifici, sempre correlati all’obiettivo da perseguire in ciascuna fase.

Lo schema seguente illustra lo svilupparsi motivato delle fasi del percorso.

Argomento della attività… …per far emergere Strumenti e/o artefatti

Il problema di Didone: perimetro e superficie

Il problema di figure con uguale perimetro e superficie diversa

Storia - Filo di cotone - Lim

L’area del rettangolo Dedurre la formula per calcolare la superficie del rettangolo

Tabella delle tabelline

L’area del triangolo Dedurre la formula per calcolare la superficie del triangolo

Cartoncino colorato

L’area del triangolo è sempre la metà di un rettangolo

Scoprire la relazione tra la superficie del triangolo e quella del suo rettangolo di origine

Carta quadrettata e cartoncino colorato - Geopiano

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Equiestensione Confrontare triangoli con stessa base e altezza

Cartoncino colorato – carta quadrettata

All’avvio del percorso è stata realizzata una lezione di revisione, attraverso semplici attività ludiche, durante le quali gli alunni hanno riportato alla memoria conoscenze pregresse e concetti noti, individuando facilmente gli elementi necessari a costruire il concetto di superficie (dimensioni del rettangolo e definizione di altezza). Per far conoscere il concetto di superficie sarebbe stato troppo poco motivante per gli alunni introdurre direttamente la formula che permette di calcolare l’area di un rettangolo e, conseguentemente, quella di un triangolo. Il concetto di superficie è stato quindi introdotto attraverso il racconto di una leggenda: “Il problema di Didone”. Una volta chiaro il significato di tale concetto, si è proseguito con l’utilizzo di un artefatto costruito ad hoc, la ‘tabella delle tabelline’ (Mariotti & Maffia, 2016). In questa fase i bambini sia pure a livello intuitivo hanno cominciato ad utilizzare parole e segni personali attraverso cui è stato possibile riconoscere l’idea di figure equivalenti. Successivamente, ricorrendo all’uso di artefatti, quali carta quadrettata e cartoncino colorato, si è passati dalla superficie del rettangolo, alla scoperta della formula per calcolarne il valore. Tale attività aveva come obiettivo iniziale il calcolo della superficie di un rettangolo dato. L’artefatto scelto era un rettangolo su carta quadrettata di 19×14, del quale è stata calcolata la superficie con diverse strategie: qualcuno ha contato i quadretti all’interno (cercando il modo più veloce per farlo), qualcun altro ha effettuato la moltiplicazione delle due dimensioni. In seguito si è chiesto di unire due dei vertici del rettangolo con una diagonale (nozione già nota) e, successivamente, a tagliare lungo la stessa. Queste alcune delle spontanee riflessioni: D.: “Ho ottenuto due triangoli!” S.: “Quindi il rettangolo si divide in due triangoli.” A.(H): “Sono uguali. Li ho sovrapposti.” S. (D.S.A.): “Sono sovrapponibili e congruenti.” I bambini sono stati invitati a riflettere sul risultato ottenuto, ovvero due triangoli congruenti, ed è stata posta la domanda: “Sapendo che l’area del rettangolo di partenza si misura con b×h, come è possibile calcolare l’area del triangolo? ” G.: “Questo (base) per questo (altezza), poi devo dividere per due, perché il triangolo è la metà del rettangolo. 266÷2=133 (area del triangolo)”. Grande l’entusiasmo di aver scoperto la “formula magica” (così denominata durante le attività precedenti) per calcolare la superficie del triangolo: M.S. (D.S.A.): “Facciamo base per altezza diviso due!”. L’osservazione di un alunno, convinto del fatto che questa formula possa andar bene solo per un triangolo scaleno e non per un equilatero o altri, è servita da aggancio per l’attività successiva. Divisi in gruppi di livello omogeneo, con diverse tipologie di triangoli di carta a disposizione e attraverso l’ausilio di un cartoncino colorato di forma rettangolare, gli alunni sono riusciti a generalizzare la formula per calcolare la superficie del triangolo, verificando che ogni triangolo ha un rettangolo di origine. (Fig. 1, Fig. 2).

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Fig. 1 Fig. 2

Figura 1: S., G., I., E., A. (D.S.A.): “Abbiamo tagliato questo (triangolo scaleno) lungo l’altezza e abbiamo unito i pezzi, formando un rettangolo”

Figura 2: G., S., G.: “Abbiamo preso l’isoscele e il suo gemello; uno l’abbiamo diviso a metà, messo così (capovolgendolo), e abbiamo formato il rettangolo di origine. Con base per altezza diviso due, eliminiamo il gemello”

A. (D.S.A.): “Per ogni triangolo esiste un rettangolo che è composto da due triangoli uguali”. S. (D.S.A.): “Ogni triangolo ha un rettangolo di origine”. Tale scoperta è stata rinforzata con l’attività successiva, la quale ha visto come artefatto il geopiano, già utilizzato dalla classe. Questo strumento ha permesso di astrarre il concetto di triangolo e rispettivo rettangolo di origine, confermando la “formula magica” necessaria per calcolare la superficie di qualunque triangolo, facendo riferimento all’esperienza visiva che ha dato forma alla generalizzazione. Dopo un breve riepilogo dei concetti precedenti, sono stati distribuiti ai bambini due triangoli, isoscele e scaleno rettangolo, con stessa base e stessa altezza. Obiettivo era quello di far comprendere intuitivamente che triangoli con stessa base e stessa altezza sono necessariamente equiestesi. Gli alunni sono stati invitati a riflettere sulle figure consegnate e a fare qualsivoglia considerazione. Gli stessi hanno iniziato a confrontare i due triangoli, sovrapponendoli o misurandone le dimensioni, traendo le proprie conclusioni oralmente e condividendole con la classe. S.: “Ho notato che hanno la stessa base”. P.: “E anche la stessa altezza:” G. e P.: “Sono figure identiche perché base e altezza sono uguali. La superficie è uguale, sono equiestesi.” A questo punto si è deciso di verificare quest’ultima ipotesi, sovrapponendo le due figure, tagliandone una delle due in piccole porzioni e incollando i vari pezzi per rendere più evidente il concetto (Fig. 3).

Figura 3: Sovrapposizione delle due figure e verifica dell’ipotesi.

Fase finale è stata la verifica degli obiettivi raggiunti, effettuata attraverso una attività di tipo

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laboratoriale e non secondo esercizi di tipo compilativo: gli alunni, osservando una striscia di carta quadrettata sulla quale sono disegnati diversi triangoli con stessa base e stessa altezza, ma di forma diversa e con angoli diversi, hanno verificato che le figure date sono equiestese, motivando le loro spiegazioni e raccontando il ragionamento che li ha condotti alla risposta. Ciascuno ha seguito un percorso risolutivo personale (contando, misurando base e altezza, sovrapponendo…), ma tutti sono riusciti a giungere alla medesima conclusione. In fine agli alunni è stato chiesto di verbalizzare il loro ragionamento, raccontando il procedimento seguito per arrivare alla conclusione richiesta. Pur essendo abituati a verbalizzare tutti i passaggi delle varie attività, i bambini hanno avuto difficoltà a raccontare, per iscritto e in assoluta autonomia, la sequenza di azioni svolte. Probabilmente, la verbalizzazione è stata realizzata in maniera quasi automatica, dando per scontati alcuni passaggi fondamentali che risultano assenti nella maggioranza delle verbalizzazioni o che vengono descritti solo in parte. M.S. (D.S.A.): “Ho prima misurato l’altezza dei triangoli e ho scoperto che i triangoli sono uguali perché la base dei tre triangoli è sempre di 9 e l’altezza è sempre 14. Però nel terzo triangolo ho visto che l’altezza esce fuori dal triangolo ed è la prima volta che l’ho visto. Quindi se hanno la stessa base e la stessa altezza vuol dire che sono equiestesi.”

Alcune fasi del percorso

Esplicitiamo due fasi del percorso, così come sono state progettate e realizzate nel loro svolgimento didattico: Il problema di Didone e la Tabella delle Tabelline.

1. Come attività di warm up è stato scelto il racconto del “Problema di Didone”. Nella prassi didattica per introdurre argomenti nuovi, tenere viva l’attenzione e favorire l’ascolto, si fa abitualmente ricorso a racconti di storie e favole. Gli alunni con DSA inseriti nella classe hanno una spiccata attitudine all’ascolto, poiché si sentono ‘alleggeriti’ dai compiti che invece li fanno sentire affaticati, come la scrittura o la lettura individuale a voce alta. La leggenda narra che “Didone, figlia di un re di Tiro, fuggì dalla sua terra e approdò sulla costa africana. Qui chiese al signore del luogo di poter acquistare un po’ di terra lungo la spiaggia: un pezzo non più grande di quanto potesse essere cinto con una pelle di bue. Egli acconsentì a questa modesta richiesta e le offrì generosamente una grande pelle. Didone si fece furba due volte, e riuscì ad ottenere ben più terra di quanta il signore del luogo avesse immaginato. Tagliò infatti la pelle in sottilissime striscioline che legò insieme in modo da formare una fune. Si trovò poi di fronte al problema: ‘Qual è la figura di area massima che si può circondare con una fune di data lunghezza i cui estremi poggiano su una linea retta’ Didone trovò la soluzione del problema e divenne la fondatrice e regina della prospera città di Cartagine.” Abbiamo simulato il problema di Didone, utilizzando un semplice oggetto di uso comune, un lungo filo di lana (Fig. 4) che rappresentava la pelle di bue tagliata a listelli. L’interesse suscitato dal racconto ha motivato ipotesi e soluzioni del problema: gli alunni hanno teso il filo e grazie alla loro fantasia sempre ricca e produttiva, hanno immaginato di trovarsi, come Didone, sulle rive del mare e a delimitare una superficie di forma approssimativamente semicircolare.

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Figura 4: la simulazione Figura 5: la verbalizzazione

Il “teorema in atto” sotteso al problema di Didone – ovvero che la figura maggiormente estesa, a parità di perimetro, è una circonferenza – è stato volontariamente lasciato in sospeso, per dare maggiore rilievo ad un concetto più essenziale in questa fase del percorso, quello di superficie. Gli alunni stessi hanno richiamato alla memoria concetti a loro già noti (regione interna, regione esterna e confine), fissando l’attenzione sull’idea di superficie, distinguendola dal perimetro (rappresentato proprio dalla lunghezza del filo). A questa attività ha fatto seguito la visione di un filmato sul problema di Didone, attraverso l’uso della LIM, presente in classe. La LIM ha avuto una funzione compensativa per gli alunni con DSA. Gli alunni con DSA sono stati dispensati dalla verbalizzazione e a loro è stata fornita la stampa del testo che riassumeva le attività svolte, prodotto a più mani da tutti gli alunni che con interventi ordinati, hanno dettato all’insegnante quanto accaduto durante la lezione. La docente può così scrivere sulla LIM ciò che viene detto e poi stampare e distribuire agli alunni in situazione di bisogno tale sunto. Talvolta alcuni alunni con DSA con compromissione della scrittura sono stati invitati ad utilizzare un altro PC portatile presente in classe, sul quale hanno potuto verbalizzare le attività utilizzando il programma di videoscrittura.

2. Il concetto di superficie è stato visualizzato nella figura geometrica piana più nota: il rettangolo. L’artefatto scelto è la “Tabella delle Tabelline”: si tratta di un reticolato di dieci colonne per dieci righe, simile ad una tavola pitagorica, ma senza i numeri all’interno delle caselle quadrate. All’esterno sono presenti i numeri da 1 a 10, in orizzontale e verticale, per guidare gli alunni alla scoperta delle moltiplicazioni possibili. All’interno delle 100 caselline quadrate, ognuna delle quali rappresenta una unità, è presente un pezzetto di velcro che consente di attaccare dei rettangoli di cartoncino colorato plastificato, che risultano essere i prodotti di ciascuna moltiplicazione e si scopre il valore della superficie corrispondente, contando i quadratini al suo interno. Sono stati realizzati tutti i prodotti possibili corrispondenti alle moltiplicazioni per rendere visibile la differenza fra rettangoli aventi lo stesso perimetro e diversa area. Tale strumento si presenta molto efficace per il rinforzo di conoscenze pregresse e per il conseguimento di nuovi contenuti, soprattutto in considerazione delle caratteristiche e dei bisogni della classe: conoscere, memorizzare, ripetere le tabelline; associare a ciascuna moltiplicazione un risultato che non è solo numerico, ma visivo e concreto; intuire e verificare la proprietà commutativa della moltiplicazione; manipolare oggetti e a affinare la manualità fine. Tale artefatto ha guidato gli alunni al riconoscimento dell’equiestensione. La tabella ha consentito di individuare la relazione tra alcune moltiplicazioni, permettendo di effettuare un riscontro diretto tra i risultati. La riflessione è stata guidata su quelle moltiplicazioni che presentano lo stesso risultato (1x6 e 2x3;

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2x6 e 3x4; 4x10 e 5x8…), facendo manipolare, confrontare, sovrapporre i rettangoli di cartoncino con lo stesso numero di quadretti, ovvero con la stessa superficie. La manipolazione dei diversi rettangoli colorati e le domande (“Come sono le figure?”, “Come sono le due superfici?”) atte a innescare processi di riflessione e scoperta, hanno condotto la classe alla consapevolezza che le figure che rappresentano lo stesso risultato, seppur apparentemente diverse, possono definirsi ‘equivalenti’. Prendendo in considerazione i rettangoli corrispondenti a 2×3 e 1×6, ci si è chiesti: questi rettangoli hanno qualcosa in comune? Tutti insieme rispondono: “Hanno lo stesso risultato!” Posizioniamo le tavolette 2×3 e 1×6 sulla Tabella delle tabelline:

Figura 6: la moltiplicazione 2 x 3 Figura 7: la moltiplicazione 1 x 6

Qui di seguito parte del dialogo tra docente e alunni: - “Come possiamo dire che si ottiene lo stesso risultato?” E.: “Li contiamo!” - “Quindi le tavolette 1×6 e 2×3 sono uguali?” S.: “La forma è diversa. Il valore è uguale.” P.: “I due rettangoli sono equivalenti” - “Le due figure sono sovrapponibili?” E.: “Si, puoi dividere a metà quello arancione (1×6) e sovrapporlo, oppure tagliare il giallo (2×3). Perché 3+3 fa 6.” Prendendo in analisi altre due tavolette, 2×6 e 3×4, si è proceduto nello stesso modo. I bambini hanno contato, chi solo base e altezza, chi l’insieme dei quadratini, per verificare che il risultato dell’operazione corrispondesse effettivamente con il prodotto. Ci si è chiesti: come sono le figure? J.: “Diverse; altezza e lunghezza sono diverse.” S.: “Le figure sono sovrapponibili, quindi uguali.” E come sono le due superfici? M.S.(D.S.A.): “L’interno, quindi la superficie, è uguale.” G.: “Sono equivalenti.” M.: “Le superfici sono uguali.” A questo punto si sono prese in considerazione le tavolette 2×10 e 4×5. Sono state individuate le dimensioni, definite anche come base (b) e altezza (h) ed è stato facile individuare quella che dai bambini è stata definita la “formula magica”. P.: “Nel rettangolo bisogna moltiplicare base per altezza per sapere la superficie.” A. (H): “Invece di contare, facciamo la moltiplicazione”. Alla fine della lezione, i bambini hanno tirato le somme e verbalizzato l’attività seguendo le varie sequenze e descrivendo la conclusione alla quale si è giunti insieme.

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Figura 8: La verbalizzazione di gruppo, sul quaderno

Conclusioni Il comune denominatore dell’intero percorso realizzato è stato l’inclusione. All’interno di una realtà così variegata e, a tratti complessa, l’unica possibilità per favorire il raggiungimento comune degli obiettivi, è quella di mettere in atto una didattica attiva, un insieme articolato di metodologie di insegnamento che pongono l’alunno come soggetto attivo del proprio processo di apprendimento. Il Cooperative Learning ha reso possibile che l’apprendimento prendesse forma durante attività in piccoli gruppi, durante le quali gli alunni si sono aiutati reciprocamente, sentendosi corresponsabili del reciproco percorso. Gli alunni in difficoltà hanno mantenuto più costante l’attenzione, lavorando più a lungo sul compito e con risultati maggiormente vantaggiosi. È migliorata la motivazione intrinseca, si sono istaurate relazioni più positive e ciò ha consentito di maturare rispetto reciproco e spirito di squadra. Anche i più deboli sono stati in grado di avviare e sostenere le proprie idee e accettando quelle dei compagni, costruendo ragionamenti finalizzati al confronto e alla devoluzione. Attraverso attività riconducibili al problem solving (come la stessa verifica finale) hanno permesso agli alunni di affrontare situazioni nuove finalizzate al raggiungimento di un obiettivo, senza che esista una procedura prestabilita. Gli alunni hanno attivato un’analisi interpretativa e analitica delle conoscenze apprese, avviandosi alla attivazione delle competenze. Entrambe le metodologie appena citate, sono perfettamente in linea con ciò che viene esplicitato al’interno delle Indicazioni Nazionali del Curricolo per la Scuola Primaria. L’esperienza ha, inoltre, portato alla scoperta delle relazioni tra i vari concetti e al passaggio dal particolare al generale. La generalizzazione ha consentito di appropriarsi di concetti e strutture matematiche, consentendo agli alunni di affrontare e risolvere problemi non strutturati. Ultimo, ma principale elemento, caratterizzante l’intero percorso, è stato l’uso significativo degli artefatti utilizzati, mediante i quali, come previsto nella progettazione delle attività, è stato possibile far emergere e far evolvere i significati matematici legati ai concetti di superficie di una figura piana e di equiestensione.

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ALCUNI PERCORSI DI PROBABILITÀ

TRA IL LAVORO AUTONOMO CON MATERIALI MULTIMEDIALI E IL CONFRONTO IN CLASSE

Luciano CAPPELLO1, Katia DANZI1, Erica SCAPIN1

1 DiCoMat Lab, Dipartimento di Matematica, Università degli Studi di Trento

Abstract

In questo articolo discutiamo alcuni percorsi sulle distribuzioni di probabilità rivolti alle classi quarta e quinta del liceo scientifico e delle scienze applicate, ma essi si possono adattare e proporre anche in altri indirizzi di studio. L’intento è realizzare una didattica ricca, che permetta allo studente di dare un senso alla matematica che affronta a scuola, di disporre a lungo di ciò che apprende e di sviluppare competenze matematiche e trasversali prima che contenuti. L’approccio proposto è orientato al lavoro autonomo dei ragazzi e costituisce un esempio di didattica individualizzata, che si attua mediante il supporto di materiali originali, quali video didattici, file GeoGebra o Excel e fogli di lavoro strutturati. D’altro canto, secondo le recenti acquisizioni della ricerca, è previsto il confronto tra pari e con il docente. L’efficacia delle attività proposte è stata sperimentata in diverse scuole del Trentino e del Veneto. I materiali e la loro descrizione motivata sono disponibili all’indirizzo [7].

Solo dei percorsi sulla probabilità? Le Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola secondaria di secondo grado (2010) [11] prevedono nuovi contenuti e nuove attenzioni metodologiche, anche per l’insegnamento e l’apprendimento della matematica. In particolare esse estendono lo studio della probabilità a quasi tutti gli indirizzi, dalla classe prima alla classe quinta. Del resto mediante modelli probabilistici relativamente semplici si possono esaminare situazioni davvero interessanti (anche per gli studenti): l’overbooking, i sondaggi, le vincite al Superenalotto, il bombardamento su Londra durante la Seconda Guerra Mondiale, il decadimento radioattivo… Ma quest’ultima è solo una delle ragioni per le quali l’argomento si presta a realizzare percorsi didattici ricchi, nel senso che discuteremo nella sezione successiva. Stabilito il tema - alcune distribuzioni notevoli di probabilità - ci siamo proposti di sperimentare una modalità didattica centrata sull’attivazione dello studente e orientata a valorizzarne il lavoro autonomo. In sostanza, come vedremo, si è trattato di un tentativo di individualizzare l’azione didattica. Pertanto il primo passo è consistito nel progettare e realizzare dei materiali che i ragazzi potessero utilizzare anche da soli. E per farlo abbiamo presto individuato nel software GeoGebra e nei video didattici due strumenti dalle enormi potenzialità formative. In realtà sul tema della probabilità sono disponibili vari riferimenti, quali il Syllabus per la prova scritta di matematica per l’Esame di Stato del Liceo scientifico proposto dalla commissione UMI-CIIM [16], manuali per il primo anno dei corsi universitari [3, 10, 13] nonché testi in adozione nelle scuole secondarie (che però sembrano seguire un approccio piuttosto addestrativo [6 e 14, capitolo 5]). Ma il nostro lavoro ha come sfondo soprattutto le riflessioni e le sperimentazioni condotte da diversi docenti, con la consulenza scientifica del prof. Stefano Bonaccorsi, in attività coordinate dal DiCoMat Lab del Dipartimento di Matematica dell’Università di Trento [8].

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I criteri didattici Quali contenuti proporre? E con quali attenzioni didattiche? Per rispondere a queste domande, discutiamo prima alcune finalità didattiche di più ampio respiro, che esprimono ciò che in fondo intendiamo realizzare assieme agli studenti. Vedremo poi come esse si declinano nel percorso in scelte didattiche specifiche, e dunque in parole e azioni concrete. • Costruire un senso della matematica che si affronta a scuola

Non basta che lo studente sappia fare. Egli dovrebbe conoscere le ragioni di ciò che fa in matematica, comprenderne la necessità e riconoscerne l’utilità. Ad esempio nell’affrontare un problema, egli non dovrebbe avere come unica risorsa l’applicazione meccanica di una formula. Pertanto dovrebbe essere guidato ad investigare sugli oggetti matematici per arrivare a costruirne un significato e percepirlo gradualmente come il proprio.

• Fare in modo che ciò che si apprende resti disponibile a lungo Le lezioni non dovrebbero avere come orizzonte la verifica sommativa sul percorso, ma la costruzione di saperi di cui lo studente possa disporre anche in seguito. Del resto tale posizione non è nuova, visto che già Dante Alighieri ammoniva nel canto V del Paradiso “non fa scienza, senza lo ritenere, aver inteso”. Pertanto è indispensabile individuare i saperi essenziali e, in particolare, i contenuti fondamentali a partire dai quali ricostruire ciò che non si ricorda. Così il nostro assunto diventa inevitabilmente un criterio di scelta mediante il quale stabilire contenuti e modalità didattiche.

• Sviluppare competenze matematiche e trasversali Secondo le Indicazioni nazionali la scuola ha l’ambizioso e impegnativo compito di promuovere lo sviluppo di competenze/abilità, prima che l’insegnamento e l’apprendimento di contenuti specifici. Ciò vale anche per la disciplina matematica, che dovrebbe dunque favorire la maturazione di abilità specifiche (quali costruire e analizzare modelli matematici, condurre e comprendere una dimostrazione, manipolare espressioni algebriche in vista di un obiettivo, utilizzare più registri rappresentativi e passare consapevolmente da uno all’altro) e altre di natura più trasversale, come interpretare testi, progettare, comunicare, argomentare... L’impiego di tali abilità nel percorso andrebbe di volta in volta esplicitato e condiviso davvero con gli studenti in modo che essi possano apprezzare a pieno il senso delle attività e trovare dei solidi riferimenti sui quali fondare la propria formazione.

• Organizzare le attività in un curriculum coerente Le attività didattiche non dovrebbero costituire episodi isolati, ma essere parti di un percorso. Come sostiene G. Anzellotti [1], esse vanno adeguatamente introdotte e collocate in una prospettiva più ampia e unitaria che abbia come sfondo lo sviluppo e la manutenzione degli apprendimenti nell’intero ciclo scolastico, nonché il passaggio all’Università. Anzi: “Nessun argomento ha valore o interesse di per sé, ma ogni argomento lo acquista se introdotto al momento giusto, in connessione con altre problematiche (...) sono le connessioni effettive (applicazioni, analogie, ...) che danno ai giovani l’impressione di fare scoperte e la soddisfazione di sentirsi creativi”(B. de Finetti).

• Seguire un approccio fattivamente laboratoriale Si tratta di un’affermazione impegnativa. In sostanza significa che non vorremmo semplicemente raccontare la matematica, ma fare matematica assieme agli studenti. Pertanto il laboratorio è una situazione in cui lo studente è attivo, esplora in prima persona, progetta, congettura, comunica, ri-organizza… non è appiattito al ruolo di spettatore che si limita a scegliere una formula da un elenco predisposto da altri. E il fatto che per realizzare tali obiettivi a volte si utilizzino strumenti e attrezzature non ne costituisce l’aspetto caratterizzante. D’altronde, come sosteneva Polya, “la matematica non è uno sport per spettatori”.

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Percorsi di un percorso La proposta si rivolge agli studenti delle classi quarte e quinte del liceo scientifico e delle scienze applicate, ma si può adattare per essere discussa anche in altri indirizzi di studio. L’idea è di iniziare dallo schema delle prove ripetute. È uno schema di base visto che da esso si ricavano le altre due distribuzioni fondamentali menzionate nelle Indicazioni nazionali: la distribuzione normale e la distribuzione di Poisson. Restano così identificate tre fasi che corrispondono ai tre percorsi di cui ci occupiamo e che costituiscono altrettanti segmenti di un più vasto percorso sulla probabilità per la classe quarta e quinta. Tuttavia non lo esauriscono dato che non introducono il linguaggio delle variabili aleatorie e delle distribuzioni di probabilità, pur utilizzandolo. I materiali, le motivazioni specifiche sottese e le indicazioni per l’uso in classe sono interamente disponibili all’indirizzo [7]. Di seguito ne discutiamo i caratteri essenziali. Uno schema di base: il modello delle prove ripetute Il primo percorso può essere proposto già nella classe quarta; non prevede infatti particolari prerequisiti se non la legge della moltiplicazione per eventi indipendenti. Il suo naturale sviluppo è la rilettura degli aspetti affrontati mediante i nuovi occhi offerti dal formalismo delle distribuzioni. Insomma prepara alla distribuzione binomiale. • Overbooking e sondaggi

Per iniziare, l’idea è di esaminare alcune situazioni motivanti (nel senso illustrato in [2, 5 e 9]), quali l’overbooking o i sondaggi, e condensarle in opportune domande-stimolo sulle quali gli studenti sono chiamati ad investigare. Un esempio è il seguente. “Consideriamo un dato volo. Assumiamo che chi ha acquistato il biglietto si presenti all’imbarco con probabilità p e siano stati venduti V biglietti (V > capacità di posti dell’aereo). Qual è la probabilità che almeno un passeggero non trovi posto sull’aereo?” L’aspetto interessante è che situazioni apparentemente così diverse si possono modellizzare mediante una sequenza di prove ripetute, ciascuna caratterizzata da due soli esiti possibili, uno dei quali si indica convenzionalmente come “successo”.

• Una modellizzazione Il passo successivo consiste nel rappresentare in modo espressivo tali sequenze, per esempio mediante un grafo ad albero. Acquisita una certa confidenza con la situazione, magari su esempi più elementari quali lanci di monete o dadi, si può precisare il modello generale. Si tratta di esplicitare la questione centrale (valutare la probabilità di ottenere un dato numero di successi nella sequenza di prove), esprimere mediante una formula la probabilità richiesta e introdurre una notazione specifica per facilitare la comunicazione. Il supporto fondamentale all’intera attività è costituto dal video didattico che abbiamo realizzato per mostrare in modo espressivo (anche per il docente) i caratteri dell’attività e in particolare come si può ricavare volta per volta la probabilità richiesta.

• Torniamo ai problemi guida Dopo aver consolidato gli strumenti matematici così introdotti, gli studenti dovrebbero essere in grado di rispondere, con una certa autonomia, alle domande stimolo poste all’inizio. L’attività è arricchita dalla possibilità di ricorrere al foglio Excel, che permette di fissare l’attenzione sul procedimento e sul suo controllo piuttosto che sul calcolo.

• Mettiamoci le mani! Alcuni esperimenti numerici Fin qui abbiamo sviluppato potenti strumenti matematici per esaminare quantitativamente situazioni diverse, ma non vogliamo certo ridurre il percorso all’analisi di formule. Intendiamo esaminare più a fondo i nuovi oggetti matematici introdotti. Pertanto investighiamo sulla

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funzione che esprime la probabilità di un dato numero di successi, effettuando esperimenti numerici e grafici mediante l’ausilio di strumenti informatici quali Excel e GeoGebra (Fig. 1). Si compie così un primo importante passo verso un approccio unitario alla valutazione delle probabilità relative ad un dato esperimento aleatorio. Ossia verso la distribuzione di probabilità.

Figura 1 - Finestra grafica del file GeoGebra che permette di visualizzare

il grafico della distribuzione binomiale al variare del numero di prove.

• Un modello materiale Abbiamo considerato finora modelli grafici o algebrici del problema delle prove ripetute. Perché non esaminare anche un modello materiale, o almeno simulato, ossia la tavola di Galton?

L’ordine nel caos: la distribuzione normale e il TLC Conviene collocare questo percorso nella classe quinta, dato che presuppone il linguaggio delle variabili aleatorie e la distribuzione binomiale, nonché gli aspetti di base del calcolo integrale. • Altezze di una popolazione, errori nella misura, approssimazione della binomiale

Nella rappresentazione di varie situazioni in statistica o nelle scienze naturali e sociali spesso interviene uno speciale tipo di curve, dette “a campana” per la loro forma. Tali curve compaiono ad esempio nella distribuzione delle altezze in una popolazione omogenea e la distribuzione degli errori accidentali, ma anche nell’approssimazione della distribuzione binomiale. In quest’ultimo caso ricade la modellizzazione di problemi come il seguente, che comportano calcoli dispendiosi se affrontati con il solo strumento della distribuzione binomiale. Avendo stimato la probabilità che il singolo elettore voti il candidato A, calcolare la probabilità che il numero di elettori che votano A cada in un dato intervallo. Le situazioni descritte hanno rivestito un ruolo cruciale nello sviluppo del calcolo delle probabilità, pertanto ha senso proporle agli studenti per motivarli a studiare tali curve e, in particolare, ad esaminarne il significato probabilistico.

• Una famiglia di funzioni: aspetti analitici Le curve “a campana” sono il grafico delle funzioni di una speciale famiglia a due parametri e il primo passo da compiere è investigarne le proprietà analitiche.

• Una famiglia di funzioni: interpretazione probabilistica Il passo successivo consiste nell’interpretare i parametri dal punto di vista probabilistico e constatare che tali funzioni sono delle densità di probabilità. Restano così definite delle variabili aleatorie e ad esse si dà il nome di “variabili aleatorie normali”.

• Il procedimento di standardizzazione

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Precisati i termini, si arriva a discutere di come calcolare probabilità relative a tale variabile. Ora, le densità normali non ammettono primitive esprimibili elementarmente, perciò è necessario ricorrere agli strumenti informatici oppure alle tavole. Ma esse sono relative alla variabile normale standard, ossia alla variabile di media 0 e varianza 1, dunque per utilizzare le tavole serve ricondurre ad essa, ossia standardizzare, la variabile aleatoria normale; questa è solo una delle ragioni per esaminare tale operazione, che è comunque utile, più in generale, per confrontare valori di grandezze relativi a situazioni diverse. Questo segmento del percorso si presta ad essere affrontato in modo innovativo: mediante due video espressivi (Fig. 2) che abbiamo realizzato per supportare il lavoro autonomo degli studenti.

Figura 2 - Motivazione del procedimento di standardizzazione nel video

“Standardizzazione della variabile aleatoria normale”.

• Aspetti di calcolo e applicazioni Consolidati gli aspetti più strettamente matematici mediante semplici esercizi, gli studenti possono cimentarsi nella risoluzione di problemi inseriti in contesti vicini al reale. In tal modo acquistano ancor più valore gli strumenti matematici finora introdotti e nel contempo gli studenti sviluppano competenze quali l’interpretazione di testi e l’argomentazione.

• Uno strumento potente: il teorema limite centrale (TLC). Torniamo al problema guida. A questo punto del percorso gli studenti dovrebbero disporre degli strumenti per comprendere una versione semplificata del teorema limite centrale. Allora perché non proporlo, anche se non compare esplicitamente nelle Indicazioni nazionali? Il risultato permette infatti di calcolare più agevolmente la probabilità che i valori della variabile binomiale cadano in un dato intervallo e dunque di semplificare il calcolo in vari problemi, quali l’overbooking e i sondaggi che abbiamo introdotto come situazioni motivanti.

Modellizzazione di eventi rari: la distribuzione di Poisson Questo percorso può essere affrontato già nella classe quarta dopo aver esaminato il modello delle prove ripetute. Invece la sua versione completa è pensata per la classe quinta, quando gli studenti dispongono del linguaggio delle distribuzioni (discrete) di probabilità. • Il numero di telefonate, vincere al SuperEnalotto, bombe su Londra …

Pensiamo sia efficace introdurre la distribuzione di Poisson come uno strumento matematico che consente di modellizzare situazioni caratterizzare da eventi “rari”: l’arrivo di una telefonata in un intervallo di tempo breve (5 secondi) al centralino di una piccola azienda, l’emissione radioattiva, fare “6” al SuperEnalotto … Informalmente con “rari” intendiamo che tali eventi accadono “poche” volte rispetto al numero di prove che si considerano. In questi contesti ci poniamo un problema di conteggio:

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determinare la probabilità che in un intervallo fissato l’evento in esame (la telefonata, l’emissione, …) accada un certo numero di volte. Ad esso si riconduce anche una questione che storicamente preoccupava gli inglesi durante la Seconda Guerra Mondiale: “Il bombardamento su Londra con le bombe V1 era mirato? Ossia le forze tedesche disponevano di una tecnologia così avanzata da riuscire a colpire obiettivi specifici da grande distanza?”

• Il modello binomiale In un primo momento preferiamo rappresentare la situazione mediante un opportuno modello binomiale, con il quale gli studenti dovrebbero avere già confidenza. I limiti di tale rappresentazione dovrebbero poi far nascere l’esigenza di costruire un modello più efficiente dal punto di vista computazionale e più espressivo, cioè che dipenda dal parametro che caratterizza la situazione: il numero medio di realizzazioni dell’evento nell’intervallo fissato.

• Un nuovo modello L’idea è di considerare il limite della distribuzione binomiale quando il numero di prove tende all’infinito, in opportune ipotesi. La formalizzazione di tale costruzione è un significativo esercizio sui limiti, che presentiamo come attività guidata per il lavoro autonomo dello studente, ma che può essere omessa senza per questo precludere la comprensione di quanto segue.

• La legge dei piccoli numeri: la distribuzione di Poisson Abbiamo così ottenuto l’espressione analitica di una nuova distribuzione di probabilità che si indica come distribuzione di Poisson o come “legge dei piccoli numeri”. Essa dipende da un parametro che ha il significato di numero medio di realizzazioni dell’evento nell’intervallo considerato. Data la sua importanza, merita investigarne ulteriormente il significato mediante attività laboratoriali che ne evidenzieranno la portata geometrica ed il legame con gli indici della distribuzione.

• Non solo calcoli Prima di proseguire con attività più impegnative è opportuno che gli studenti sappiano operare con sicurezza con la distribuzione di Poisson. Pertanto proponiamo alcune questioni di consolidamento: quesiti dall’Esame di Stato, esercizi teorici e rappresentazione di situazioni reali. Anzi perché non coinvolgere direttamente gli studenti nella raccolta dei dati (Fig. 3)? Comunque tali attività favoriscono anche lo sviluppo di abilità/competenze quali l’interpretazione del testo, il passaggio da una forma di rappresentazione all’altra, l’argomentazione, l’autovalutazione…

Figura 3 - Gli studenti utilizzano il modello di Poisson per effettuare previsioni. Poi confrontano i valori di probabilità forniti dal modello con le frequenze relative desunte dai dati reali: il numero giornaliero di nati

nell’ospedale.

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• Torniamo alle questioni iniziali Ancora più rilevante dal punto di vista didattico è la discussione di alcune applicazioni dello schema di Poisson in contesti più articolati, quali il lancio di bombe V-1 su Londra durante la Seconda Guerra Mondiale, l’esperimento storico di Rutherford sull’emissione radioattiva o il numero di vincitori al SuperEnalotto. Infatti, in tali ambiti, il modello consente di effettuare previsioni oppure di fare affermazioni significative; ad esempio permette di dire che il bombardamento su Londra non fu necessariamente mirato oppure che è plausibile che le emissioni radioattive siano casuali e “uniformi” (Fig. 4). All’efficacia di tali attività contribuisce il supporto fornito dal video didattico che abbiamo realizzato e che sfrutta immagini dell’epoca, per rafforzare così l’idea che le questioni affrontate nascono da problemi reali.

Figura 4 - In tabella sono confrontati il bombardamento di Londra con l'emissione radioattiva,

due situazioni che possono essere analizzate mediante il modello di Poisson. • Indici della distribuzione

Il legame tra la distribuzione binomiale e quella di Poisson viene ancora sfruttato in un’ultima attività esplorativa: la determinazione degli indici della distribuzione di Poisson. Questi si possono ottenere come limite dei corrispondenti indici della binomiale mediante l’attività interattiva proposta.

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Dall’approccio didattico ai materiali a supporto delle attività Come abbiamo accennato, uno dei nostri assunti era promuovere l’attivazione dello studente e il lavoro autonomo, per sviluppare l’autonomia e assecondare i ritmi personali di apprendimento (come illustrato, ad esempio, in [17]). D’altra parte i ragazzi dovrebbero potersi confrontare tra loro e con il docente, in accordo con le recenti acquisizioni della ricerca secondo le quali nella costruzione del sapere è fondamentale l’interazione e la comunicazione con gli altri individui [4 e 15]. Pertanto è opportuno ricorrere anche ad altre modalità didattiche: al lavoro a gruppi, che sfrutta le potenzialità insite nel confronto tra pari e a lezioni di tipo partecipato. Così abbiamo progettato e realizzato dei materiali specifici che si adattano flessibilmente a più approcci didattici. Si tratta di video, file GeoGebra ed Excel, fogli di lavoro nonché dispense. Le prime tre tipologie indicate sono rivolte essenzialmente al lavoro autonomo dello studente, ma si prestano a essere utilizzate anche in attività collettive, a seconda dei tempi e delle esigenze della classe. • VIDEO

I video sono la modalità di comunicazione più innovativa che abbiamo adottato. Essi possono suscitare interesse e catturare l’attenzione degli studenti che li sentono particolarmente vicini alla propria sensibilità. Inoltre fondono vari registri comunicativi, dal linguaggio naturale alla rappresentazione grafica, permettendo così una comunicazione efficace e diretta. Ma c’è un aspetto ancora più interessante per i nostri scopi: i video consentono di essere esaminati seguendo i ritmi di apprendimento propri di ogni studente, infatti una sequenza si può mettere in pausa e rivedere anche più volte, soffermandosi sugli aspetti più delicati. Pertanto sembrano proprio costituire il supporto ottimale per il lavoro autonomo dello studente. E, in questo senso, i percorsi realizzati promuovono anche una didattica individualizzata. Ora, quali segmenti del percorso conviene proporre nella forma di video? Noi abbiamo individuato essenzialmente tre ambiti didattici. - Presentazione delle situazioni motivanti e del problema guida, perché il filmato consente di

prospettare molte situazioni differenti in modo espressivo e in poco tempo (un esempio è il video “Probabilità in prove ripetute” [7]).

- Analisi e spiegazione di un procedimento teorico, laddove è preponderante la rappresentazione grafica ed efficace la visualizzazione dinamica (esempio ne è il video “Standardizzazione della variabile aleatoria normale” [7]).

- Esempio di riferimento per la modellizzazione di una situazione reale. In particolare visualizzare foto o filmati rafforza la contestualizzazione del problema (esempio significativo è il video “Bombe su Londra” [7]).

• FOGLI DI LAVORO Si tratta di testi su carta nella forma di: - Tracce di attività, ossia materiali che costituiscono una guida per comprendere un

argomento specifico e sviluppare abilità. - Esercizi, ovvero esempi di calcolo o applicazioni che mirano alla comprensione critica del

procedimento. - Dimostrazioni, quindi attività che hanno come obiettivo provare formalmente una tesi,

promuovendo in particolare l’uso di strumenti matematici in vista di uno scopo. Abbiamo strutturato questi materiali, secondo lo schema “richiesta, suggerimento, risoluzione” allo scopo di renderli fruibili per il lavoro autonomo dello studente. D’altra parte i fogli di lavoro possono essere utilizzati anche per il lavoro collettivo, magari organizzato in piccoli gruppi in modo da sviluppare abilità quali collaborare, comunicare, discutere e operare confronti tra posizioni differenti…

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• FILE GEOGEBRA

L’uso del software GeoGebra è richiesto in vari fogli di attività che abbiamo costruito. Sopperisce ad un limite dei video: permette di interagire costruttivamente con gli oggetti rappresentati. E, più in generale, supporta l’elaborazione di congetture, consente di effettuare simulazioni e costituisce così uno strumento di previsione e controllo. In particolare abbiamo realizzato dei file GeoGebra per comprendere caratteristiche specifiche delle distribuzioni di probabilità o operare confronti tra due distribuzioni. Infine l’uso degli slider permette di visualizzare in modo dinamico come cambiano i grafici al variare di alcuni parametri.

• DISPENSE Sono delle note scritte che costituiscono un riferimento per lo studio e offrono un’esposizione motivata dei contenuti e degli aspetti del percorso che si affrontano in classe. Ma c’è dell’altro: le dispense offrono un modello di produzione scritta e di sistemazione organizzata di segmenti del percorso; bello sarebbe che sulla base di tale modello gli studenti stessi riuscissero a realizzare gradualmente sintesi analoghe in altri contesti.

La declinazione in classe: le sperimentazioni Le attività così progettate sono state sperimentate in diversi licei veneti e trentini nel corso degli anni scolastici 2015/16 e 2016/17, mediante interventi di 4 o 5 unità orarie per ciascun percorso (per una descrizione dettagliata si veda [6 e 14, capitolo 6]). Si è subito presentata una questione nodale: come bilanciare nell’intervento in classe i due approcci didattici proposti, ossia lavoro individuale e confronto collettivo? La nostra scelta è stata di ottimizzare il tempo-scuola, impiegandolo per condividere, precisare, affinare e discutere gli aspetti che i ragazzi avevano prima affrontato individualmente. Ad esempio, gli studenti possono esaminare a casa il video relativo al bombardamento su Londra, sulla base di questo affrontare l’attività sul decadimento radioattivo e poi discuterla in classe durante la lezione successiva. Oppure possono utilizzare il video relativo alla standardizzazione della variabile aleatoria normale per provare autonomamente a risolvere esercizi mirati e poi discuterli a coppie in classe. Abbiamo poi affrontato un’ulteriore questione: i video possono sostituire il docente? In effetti essi ricreano una modalità di comunicazione che si avvicina a quella della lezione in aula, ma difficilmente gli studenti, da soli, sanno coglierne i diversi aspetti sottesi. Il docente non può essere sostituito. Anzi, riveste un ruolo fondamentale: prima per introdurre i materiali, condividerne il senso nonché orientarne l’uso; e in seguito per discuterli e fornire indicazioni su come rielaborarli. L’intervento in classe è stato esaminato da varie angolazioni: attraverso il confronto con il docente, mediante domande mirate rivolte agli studenti anche via email e attraverso questionari on-line. È emerso un generale apprezzamento sia per i contenuti trattati che per l’approccio proposto. Ad esempio, alla domanda “i materiali proposti ti hanno aiutato in modo significativo a comprendere l’argomento?”, ha risposto “sì” il 95,2% degli studenti che hanno affrontato uno dei tre percorsi. E Francesco scrive “L’aspetto che mi è piaciuto di più è l’idea di non dare niente per buono a prescindere, ma di motivare ogni singolo passaggio e ragionamento, avere la possibilità di applicare subito sugli esercizi quello che si è appena imparato, per capire davvero cosa si sta facendo e perché. Credo sia il modo migliore per portarsi via dalla lezione qualcosa”. E lo crediamo anche noi. Conclusioni

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Ci sembra che i materiali e l’approccio didattico proposti siano efficaci e permettano di realizzare percorsi che hanno un senso per docenti e studenti, in accordo con i criteri discussi in una delle precedenti sezioni. L’entusiasmo mostrato dai ragazzi e il coinvolgimento degli insegnanti lo confermano. Di più: l’esperienza ha dato modo a molti docenti di parlare del proprio lavoro, di mostrarlo e di confrontarsi su cosa proporre in classe, su come farlo e con quali obiettivi. L’università è entrata a scuola e la scuola ha dialogato con l’università. D’altra parte rimangono delle questioni aperte: quali materiali realizzare per introdurre le variabili aleatorie e le distribuzioni di probabilità? Come collocare in modo organico il percorso di probabilità nell’ambito del curricolo di matematica? Si tratta di un lavoro che difficilmente si può affrontare senza il supporto di strutture (e persone) quali il DiCoMat Lab. L’idea è di ripensare l’organizzazione dei contenuti mediante un approccio analogo a quello che P. Picasso così descrive: “A quattro anni dipingevo come Raffaello, poi ho impiegato una vita per imparare a dipingere come un bambino.” Ciò non rappresenta, in definitiva, proprio quanto ci proponiamo di realizzare assieme ai nostri studenti?

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GEOMETRIKO: IL MODELLO INCLUSIVO PER IMPARARE LA GEOMETRIA

Leonardo TORTORELLI

Liceo Scientifico “Leonardo da Vinci”, Maglie (LE) Bocconi Pristem, Milano (MI)

Riassunto

Geometriko è un modello didattico sperimentale basato sulla Teoria degli insiemi e sulla gerarchia dei quadrilateri che ben si integra con le didattiche tradizionali. Nell’utilizzare Geometriko, il compito dei docenti non è più solo quello di fare lezione, di spiegare che cosa è un trapezio, di risolvere i problemi alla lavagna, ecc., quanto di creare, dove possibile, situazioni che consentano agli alunni di operare anche a livello relazionale e psichico, immergendoli in situazioni di apprendimento e contesti formativi stimolanti. Pertanto, al fine di ottenere un risultato ottimale, il docente ha a disposizione uno strumento raffinato, che, attraverso l’uso incrociato di più registri semiotici, sottopone i “giocatori” a una sequenza di attività e operazioni verbali, di calcolo, visuo-spaziali e laboratoriali tramite le quali gli alunni possono pervenire all’acquisizione delle conoscenze e delle competenze che vanno ben oltre la Geometria.

Introduzione a Geometriko (di Bruno D’Amore)

«Ma come, un gioco?» «Sì, ma è un gioco che si basa sulla geometria.» «Sulla geometria?» «Sì, sui quadrilateri.» «E come si fa a giocare con dei quadrilateri?» «Non è che giochi con i quadrilateri, ma con le proprietà dei quadrilateri.» «Siamo daccapo: come si fa a giocare con delle proprietà dei quadrilateri? Deve essere una cosa mortalmente noiosa…» «No, guarda, tutto quel che vuoi, ma non noiosa; puoi beccare una “Fucilata geometrika”, gioire per aver trovato Santa Pitagora o imprecare se peschi il Caprone Ugo: vedrai che divertimento…» «Stai scherzando, vero?» «Sì, è questo il bello; sto scherzando, giocando e imparando.» Ho sentito Leonardo, l’autore di questo gioco, raccontarlo a un pubblico di insegnanti di tutti i livelli scolastici durante un convegno, e ho visto come attirava l’attenzione; i ruoli, le strategie, le carte speciali, le trovate ingegnose per far ridere. Tutti abbiamo capito benissimo come, attraverso questo gioco, un ragazzo possa imparare a districarsi nel mondo apparentemente facile dei quadrilateri. Definizioni canoniche e altre meno, descrizioni che tengono conto solo delle proprietà intrinseche delle figure e non delle posizioni casuali, spesso stereotipate, come spesso capita nei libri di testo, frasi, disegni, accostamenti, rinvii… tutte situazioni ben scelte che portano all’apprendimento. Come solo l’attività, l’impegno, il coinvolgimento personale possono fare; perché se spieghi, lo studente interpreta e non è raro che si costruisca misconcetti; mentre se si arrangia per conto proprio per raggiungere uno scopo (battere l’avversario), l’implicazione personale cambia. Più sai e meglio giochi, più conosci e più è facile che tu vinca. 64

64TORTORELLIL.,2014,Geometriko,Trento:EricksonEditore.

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Il laboratorio di matematica Le caratteristiche fondamentali di un laboratorio di matematica sono essenzialmente tre: 1. l’uso di strumenti come mediatori nei processi d’insegnamento-apprendimento; 2. una didattica che risulti adeguata alle esigenze e alle situazioni attuali della scuola e quindi su misura rispetto ai tempi di apprendimento dell’alunno; in definitiva che sia legata:

• alla percezione e ai sensi • allo sviluppo e all’uso del sapere teorico • allo sviluppo delle attitudini al ragionamento;

3. una specifica attenzione allo sviluppo delle dinamiche d’interazione sociale in classe. Geometriko è pensato e realizzato al fine di possedere tutte e tre le caratteristiche e pertanto si propone come strumento ottimale per l’apprendimento laboratoriale della geometria piana e di competenze tipiche delle attività laboratoriali.

La struttura del “gioco”

A ogni giocatore vengono assegnate in modo casuale 4 Carte Quadrilatero. In figura 1, a titolo di esempio, si possono osservare la carta quadrilatero “Trapezio Isoscele” e la carta “Quadrato”. Su ciascuna di queste carte sono riportati i quadrilateri sia utilizzando il registro verbale che quello figurale. Sono assegnati, inoltre, a ciascuna carta, dei punteggi che vanno da 5 a 100 proporzionalmente alla “forza” di ciascun quadrilatero. Più nel dettaglio, in termini di confronto, dati due quadrilateri Q1 e Q2, Q1 ha più punti di Q2 se e solo se Q1 possiede tutte le proprietà di Q2 e ne aggiunge altre. Ogni quadrilatero riporta un indicatore di forza analogico molto utile nel caso di utilizzo da parte di alunni che presentano particolari DSA.

Figura 1 – Alcune carte quadrilatero di Geometriko.

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Vince il contendente che, alla fine del tempo stabilito (generalmente 90 minuti per la primaria, l’ora di lezione per la secondaria) riesce a conservare il maggior numero di punti quadrilatero. Come è possibile “bruciare” le carte quadrilatero degli avversari e quindi ridurne i punti quadrilatero in possesso? Si utilizza una delle 8 Carte d’Attacco (suddivise in tre categorie: Carte Definizione, Carte Proprietà, Carte Teorema) assegnate a inizio gara. Alcune di esse sono riportate in figura 2. Scuola primaria (livello I), scuola secondaria di I grado (livello II), e scuola secondaria di II grado (livello III) utilizzano carte d’attacco elaborate su misura al grado di appartenenza. La gestione ottimale di queste carte e di quelle quadrilatero richiede competenze di problem solving e di gestione oculata delle risorse.

Figura 2 – Alcune carte d’attacco di Geometriko.

Esiste, infine, una terza categoria di carte: le flash card. Ogni contendente ne riceve una a inizio partita e una ogniqualvòlta viene eliminato un avversario. In figura 3 sono raffigurate due flash card fondamentali: Santa Pitagora e il Caprone Ugo molto apprezzate da docenti e psicologi dell’apprendimento.

Figura 3 – Alcune flash card di Geometriko.

Al fine di stimolare la motivazione allo studio della Geometria, gli studenti della classe che meglio svolgono la verifica scritta di Geometria ricevono in premio di tre carte aggiuntive (una per tipo).

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I laboratori di Geometriko sono organizzati come veri e propri tornei: dopo alcune partite di prova si passa al torneo di classe, a un torneo di istituto, a un torneo regionale e infine, al Torneo Nazionale sotto l’egida del Centro Pristem dell’Università Bocconi di Milano.

Alcuni eventi didatticamente rilevanti - Ogniqualvòlta un contendente resta con una sola Carta Quadrilatero è chiamato a fare il Sorteggio della Speranza e cioè a estrarre un numero e svolgere in un tempo prestabilito un test/quesito/problema/dimostrazione di geometria piana inedito o un test INVALSI o un quesito preso da altri giochi matematici associato al numero sorteggiato. - Sono previste dinamiche che penalizzano i giocatori che operano “senza cognizione di causa” e in particolare quelli che, durante l’attività, manifestano misconcezioni. Queste occasioni risultano molto preziose per tutta la classe, in quanto, in tale frangente, può essere sempre adottata – in un “fertile” clima ludico – la preziosa didattica dell’errore.

L’evoluzione del modello

Nei suoi primi due anni di vita, si è avuta una profonda evoluzione del modello anche grazie ai tornei pilota che sono stati organizzati dalla Rete Nazionale di Didattica della Matematica “Emma Castelnuovo”. Il successo è nei numeri: Torneo di classe pilota (maggio 2014, 19 studenti iscritti); Torneo provinciale di Treviso (a.s. 2014/2015, circa 400 studenti iscritti); 1° Torneo nazionale (a.s. 2015/2016, 3.600 studenti iscritti). Dalla seconda edizione del 2017, il Torneo Nazionale è entrato a far parte del paniere dei giochi del Pristem dell’Università Bocconi di Milano e risultano attualmente iscritti al 2° Torneo Nazionale ben 12.400 studenti provenienti da tutte le regioni italiane.

La matematica di Geometriko

Uno degli aspetti più interessanti del Torneo nazionale di Geometriko è la standardizzazione dei saperi geometrici coinvolti durante le varie fasi: tutti i 12.400 iscritti al II Torneo nazionale hanno studiato i fondamenti sui triangoli e i quadrilateri dalle venti pagine della dispensa teorica di Geometriko. È ormai risaputo che la gerarchia dei quadrilateri non è uniforme su tutti i manuali di geometria euclidea, in particolare, sui quadrilateri si distinguono nettamente due scuole di pensiero: nella prima, quella classica, il parallelogramma è considerato un particolare trapezio, nella seconda, invece, gli insiemi dei parallelogrammi e dei trapezi sono considerati insiemi disgiunti. Quel che è spontaneo chiedersi è: «Geometriko, essendo un modello didattico che si basa sulla gerarchia dei quadrilateri, quale delle due tendenze segue? ». La risposta non è né semplice e né banale, poiché, in realtà, Geometriko non abbraccia integralmente nessuna delle due scuole e ciò vuol dire che, in un certo senso, dal punto di vista teorico contiene dei tratti originali che lo distinguono da tutte le altre pubblicazioni. Nella “dispensa teorica di gioco”, infatti, si stabilisce un compromesso tra le due scuole mediante alcuni accorgimenti sulle definizioni dei vari trapezi. In particolare, sono state rimosse quelle che sono state le cause dello “scisma” del “popolo” dei parallelogrammi da quello dei trapezi. Si espone, in breve, il paradosso che ha portato alla suddetta separazione. Per lunghissimo tempo si è lavorato con il seguente diagramma di Eulero Venn che “dipinge” il mondo dei quadrilateri come rappresentato in figura 4.

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Figura 4 – “Mondo Quadrilatero” secondo il diagramma di Eulero Venn classico.

Il bug di questa interpretazione era sostanzialmente nella definizione di trapezio isoscele, definito come un quadrilatero con almeno una coppia di lati paralleli e lati obliqui congruenti. Sembra una definizione “tranquilla”, ma nasconde un’insidia: è soddisfatta anche dai parallelogrammi (definiti come quadrilateri convessi aventi i lati opposti paralleli). In prima analisi ciò sembrerebbe non costituire un problema, approfondendo la questione però, ci si imbatte in un doppio paradosso: il parallelogramma è un trapezio isoscele, ma non soddisfa né la pima caratterizzazione dei trapezi isosceli (la quale implica che gli angoli adiacenti ad almeno una delle due basi siano congruenti), né la seconda (che implica per il trapezio isoscele l’avere le diagonali congruenti). Conclusione: si ha che il parallelogramma soddisfa la definizione di trapezio isoscele, ma non le sue caratterizzazioni! Si riportano a seguire tutte le definizioni contenute nella “dispensa teorica di gioco” e successivamente, nella figura 5 un diagramma di Eulero Venn che rappresenta il mondo quadrilatero secondo Geometriko (Tortorelli L., 2011). Definizione (Quadrilatero Scaleno) Dato un piano, si definisce quadrilatero scaleno un quadrilatero che non ha né angoli e né lati congruenti.

Definizione (Trapezio) Dato un piano, si definisce trapezio un qualunque quadrilatero convesso che ha almeno una coppia di lati paralleli. Definizione (Trapezio Scaleno) Si definisce trapezio scaleno un trapezio che non ha né angoli né lati congruenti. Definizione (Trapezio Rettangolo) Si definisce trapezio rettangolo un qualunque trapezio in cui almeno uno dei lati residui è perpendicolare alle basi.

Definizione (Trapezio Isoscele) Si definisce trapezio isoscele un qualunque trapezio con una sola coppia di lati paralleli in cui i due lati residui (anche detti lati obliqui) sono congruenti.

Definizione (Parallelogramma) Si definisce parallelogramma un qualunque quadrilatero convesso avente i lati opposti paralleli.

Definizione (Deltoide) Si definisce deltoide un qualunque quadrilatero avente i lati consecutivi a due a due congruenti.

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Definizione (Rettangolo) Si definisce rettangolo un qualunque quadrilatero convesso che ha tutti gli angoli retti. Definizione (Rombo o Losanga) Si definisce rombo o losanga un qualunque quadrilatero convesso che ha tutti i lati congruenti. Definizione (Quadrato) Si definisce quadrato un qualunque quadrilatero convesso che ha tutti gli angoli retti e i lati congruenti.

Figura 5 – “Mondo Quadrilatero” secondo Geometriko (Tortorelli, 2011).

Da tale diagramma, si ricavano le seguenti informazioni: – l’insieme dei trapezi è un sottoinsieme dell’insieme dei quadrilateri; – l’insieme dei parallelogrammi è un sottoinsieme dell’insieme dei trapezi e cioè, ogni

parallelogramma è un particolare trapezio; – i quadrati sono rombi e rettangoli; – alcuni rombi sono rettangoli (i quadrati); – non tutti i rettangoli sono rombi; – i rombi e i quadrati sono deltoidi; – tutti i quadrati sono trapezi, ma non trapezi isosceli; – se un quadrilatero è un parallelogramma, allora è un trapezio. Non è vero il contrario: esistono

trapezi (trapezi scaleni, trapezi rettangoli e trapezi isosceli) che non sono parallelogrammi; – l’insieme dei trapezi scaleni, quello dei trapezi isosceli e quello dei trapezi rettangoli sono insiemi

disgiunti (cioè a intersezione vuota);

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– l’insieme dei quadrati e quello dei trapezi isosceli sono disgiunti; – l’insieme dei quadrati e quello dei rettangoli sono inclusi in quello dei trapezi rettangoli. Tali considerazioni non sono per nulla né banali né scontate e offrono l’occasione per lavorare proficuamente (idealmente in un liceo scientifico) con i quantificatori e varie tecniche dimostrative permettendo l’acquisizione di apprendimenti efficaci poiché generatori di competenze sia nel campo della Teoria degli insiemi che nell’ambito della geometria euclidea.

Riferimenti bibliografici

TORTORELLI L., 2014 (edizione febbraio 2017), Geometriko, Trento: Erickson.

TORTORELLI L., 2017, Corso di Geometria Verticale (in fase di pubblicazione).

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CAPIRE CON ...LE MANI

Antonella CASTELLINI1, Alfia Lucia FAZZINO1, Rosa SANTORI2

1I.Comprensivo 1, Poggibonsi (SI) 2I.Comprensivo C. Angiolieri, Siena

Riassunto Il laboratorio che viene proposto prende spunto da queste parole di Emma Castelnuovo:vedere oltre le figure e i numeri. La sua matematica è una matematica per scoperta, una matematica attiva che nasce dalla realtà, dal manipolare oggetti e che permette di argomentare e congetturare. Il suo “mettere le mani in pasta” significa usare i materiali per arrivare all’astrazione; dunque collegare mani e cervello in un continuo percorso di andata e ritorno in modo da permettere agli alunni di esplorare fenomeni, di visualizzarli, di vivere esperienze in prima persona. Oggi più che mai, nell’epoca dei “nativi digitali”, dei giovani dalle connessioni rapide, la Scuola, quella con la S maiuscola, ha il dovere di “rallentare” i tempi, di portare a riflettere tutti quegli alunni che arrivano subito al termine di una azione senza porsi dubbi, convinti di avere sempre e subito la soluzione vera a portata di un clik. Con le attività che proponiamo in questo laboratorio si cercherà di emozionare il docente che per primo deve essere coinvolto affinchè possa trasmettere all’allievo, stimolandone osservazione, manualità, espressione scritta e orale, un forte spirito di ricerca.

Geometria solida dimenticata

Solitamente nelle scuole, a partire dall’infanzia, prevalgono attività centrate sul piano: dalle linee alle figure piane. Raramente si affronta la geometria 3D che viene demandata alla secondaria di primo grado dove si riduce spesso alla risoluzione di problemi standard con uso di formule e limitatamente alla classe terza.

Il percorso dovrebbe essere esattamente l’opposto: il bambino vive in 3D e la sua realtà è quella che gli permette di toccare e afferrare oggetti. Sono necessarie esperienze pratiche ma significative che diano senso a concetti astratti. Dicembre 2016 il Grimed scrive : “2017 è numero straordinario…..è primo, quindi solo……come qualcuno di noi…..” e ci sentiamo di aggiungere anche più di qualcuno. “…il disegno, sostiene Emma Castelnuovo, fissando lo stadio definitivo della figura, non permette tutti quei tentativi che si possono fare lavorando con un materiale e che portano alla effettiva comprensione della costruzione……; l’esercizio grafico non rappresenta il punto di partenza per un primo corso di geometria, ma lo stadio a cui si arriva dopo aver fatto delle esperienze concrete lavorando con un materiale……”1 Una scuola, come sostengono Carla Degli Esposti e Nicoletta Lanciano, collaboratrici di Emma Castelnuovo, “……. che può diventare un modello di comunicazione della scienza basato sul ragionamento autonomo e critico”2 Lo svolgimento delle nostre attività è centrato sul Problem solving, sono previsti momenti di lavoro di gruppo tra studenti (valore sociale della Matematica come sosteneva E.Castelnuovo)3 e momenti di discussione in classe dei processi seguiti e dei prodotti ottenuti.

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Diario di bordo puntuale dell’attività che contribuisce a consolidare e arricchire il linguaggio che, lentamente, da linguaggio naturale diventa specifico. Una didattica che: - vede gli studenti attivi nella soluzione di situazioni problematiche in forte antitesi con una didattica prevalentemente trasmissiva che prevede uno studente attento ma passivo, nell’unico ruolo di ascoltatore ubbidiente (un metodo per diventare cittadini e cittadine consapevoli )2. -non si crea problemi di tempi, al contrario della didattica tradizionale, poiché si sa bene che il dilatarsi del tempo del laboratorio sarà poi recuperato successivamente quando la metodologia di lavoro appresa renderà possibili “salti pindarici” in una concatenazione di apprendimenti e competenze a cascata come una sorta di “Domino”. -permette una valutazione vera poiché crea momenti in cui è possibile verificare, al termine dell’attività ma anche durante, competenze matematiche, relazionali ed organizzative dell’alunno (valutazione formativa).

Attività Il problema dei contenitori: scatole, barattoli, tetrapack. (problemi E.Castelnuovo)

1) Da un foglio di carta quadrato di lato 18 cm (fig. a) ritaglia, ai quattro angoli, dei quadratini di lato 1 cm e ripiega le strisce mancanti dei quadratini in modo da formare una scatola.

fig.a

Qual è l’area del fondo della scatola ? Quale altezza ha la scatola e quale volume ? Ritaglia poi dei quadratini di lato 2,3,4, .. cm e costruisci effettivamente queste scatole. Cerca di giudicare ad “occhio” e anche riflettendo : avranno tutte lo stesso volume ? Calcola poi i volumi. Osserverai che il volume massimo si ottiene togliendo dei quadratini di 3cm. Costruisci una tabella a due colonne indicando in una, la lunghezza x del lato che tagli e nell’altra il valore del volume e traccia il grafico.

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Ti accorgerai che la curva non ha assi di simmetria. 2) Risolvi l’esercizio precedente supponendo il lato del quadrato lungo 12 cm. Troverai che il volume massimo si ottiene asportando dei quadratini di lato 2 cm. Se fai altri esempi numerici, osserverai che il volume massimo si ha sempre per un valore del quadratino uguale a 1/6 del lato del quadrato. Questo risultato è molto utile per i costruttori di scatole, i quali hanno infatti interesse a costruire delle scatole di massimo volume con una data quantità di materiale.

Se si indica con a la lunghezza del lato del quadrato da cui si parte, con x quella del lato che si taglia e con y il volume, come sarà espressa la lunghezza del lato della base quadrata ? a-x e l’area di base ? (a-x )2 e il volume ? (a-x )2x =(a 2 + x2-2ax )x =a2x +x 3 -2ax 2 3) Un foglio di cartone rettangolare ha le dimensioni 36 cm e 24 cm. Ritaglia, ai quattro angoli, dei quadratini uguali e ripiega le strisce in modo da formare una scatola. (fig. b)

l(x) V(y) 1 162x1=256 2 142x2=392 3 122x3=432

max 4 102x4=400 5 82x5=320 6 62x6=216 7 42x7=112 8 22x8=32 9 02x9=0

L(x) V(y) 1 112x1 =121 2 82x2 =128 max 3 62 x3= 108 4 42x4 =64 5 22x5=20 6 02x6=0

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fig. b Osserva le variazioni del volume della scatola nei casi in cui i lati dei quadratini siano 1,2,3, …. ,11,12 cm.

Verifica che il volume massimo si ha per un valore del lato del quadratino compreso fra le seste parti delle dimensioni del rettangolo. (INFATTI è 5 che sta tra 4 e 6 ) 4) Con un cartoncino rettangolare di dimensioni 24 cm e 10 cm costruisci dei contenitori a forma di parallelepipedo aventi tutti come perimetro di base 24 cm e come altezza 10 cm. Considera ad esempio il caso in cui la base sia un quadrato, o sia un rettangolo avente una dimensione tripla dell’altra, o un triangolo equilatero, o un cerchio (in tal caso prendi π = 3) Calcola volume e superficie totale. Quali osservazioni puoi fare ? Una volta costruiti questi recipienti, completali con una base e verifica sperimentalmente quale recipiente ha la maggiore capacità. Da un punto di vista pratico, pensi sia più facile costruire un contenitore avente per base un triangolo equilatero o un contenitore avente per base un rettangolo di cui una dimensione è tripla dell’altra ?

L(x) V(y) 1 34x22x1=748 2 32x20x2=1280 3 30x18x3=1620 4 28x16x4=1792 5 26x14x5=1820 max 6 24x12x6=1728 7 22x10x7=1540 8 20x8x8=1280 9 18x6x9=972 10 16x4x10 =640 11 14x2x11=308 12 12x0x12=0

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5) Cerca di risolvere l’esercizio precedente senza fissare la lunghezza delle dimensioni del rettangolo; indicale perciò con a e con b. Come indicherai il lato del quadrato di ugual perimetro ? E il lato del triangolo equilatero ? Scrivi la formula del volume dei vari prismi di altezza h. Parallelepipedi di uguale superficie totale. 6) Nell’esercizio precedente abbiamo costruito dei contenitori di cui era data la superficie laterale. Vogliamo ora, sempre a partire da un cartoncino rettangolare, costruire dei parallelepipedi “completi” delle basi. Sulle prime,sembra che il problema non dovrebbe essere difficile, e invece … Facciamo un caso numerico; il rettangolo ha le dimensioni di 18 cm e 12 cm, e vogliamo utilizzare tutto il cartone. Come si fa ? Si possono tagliare due strisce per avere le basi; ma, con il cartoncino rettangolare che mi rimane, riuscirò a “contornare” le basi in modo da formare la superficie laterale ? Prova ! Ti accorgerai di fare tanti tentativi inutili. E allora ? Allora, prima di tutto, bisogna ragionare. Se le dimensioni sono di 18 e di 12 cm, l’area del rettangolo sarà : A = 18• 12 cm2 = 216 cm2

Se indichi con x , y, z le t re dimensioni (fig.c) dovrà essere: 2xy + 2yz + 2xz = 216 ossia xy + yz + xz = 108

fig. c Costruisci adesso una tabella a quattro colonne, scrivendo, in alto, in una colonna x, in una y, in una z e nell’ultima il volume V = xyz. Assegna a x e a y dei valori numerici a piacere ( meglio piccoli e interi ) y e , ogni volta, calcola il valore di z in base al fatto che : xy + yz + xz = 108 x per esempio, se x = 2 e y = 3, si ha l’equazione : 2 • 3+ 3 z+2z = 108 ossia: 6 + 5 z = 108 e quindi 5 z = 102; e finalmente : z = 102 : 5 = 20,4 in questo caso il volume avrà il valore ; V = 2 • 3 • 20,4 = 122,4 Ci si rende conto che esistono infiniti parallelepipedi con la stessa superficie totale. Avranno anche lo stesso volume ? Fra i parallelepipedi che hanno la superficie totale uguale a 216 ci sarà anche il cubo ? Come risulterà il suo volume ?

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7) Segui lo schema dell’esercizio precedente, e considera i parallelepipedi che hanno : St = 600 cm2 Fermati sui casi: a) x = 1 y = 3 e quindi z = … b) x = 3 y = 5 e quindi z = … c) x = 10 y = 10 e quindi z = … In quale caso il volume è massimo ? Le valigie da cabina aerea Nelle cabine degli aerei non si possono portare valigie troppo grandi. Le misure massime consentite sono fissate da un vincolo a+b+c=115cm Considera i casi seguenti per le misure in cm 60+40+15 50+50+15 70+30+15 60+30+25 65+25+25 70+20+25

Le valigie con queste misure hanno tutte lo stesso volume? Quale conviene scegliere ? Bibliografia CASTELNUOVO E.,1949, Geometria intuitiva, La Nuova Italia.

DEGLI ESPOSTI C. & LANCIANO N., 2016, Emma Castelnuovo, collana Profilo di donna, pp 219, L’asino d’oro.

CASTELNUOVO E., 1963, Didattica della Matematica, Firenze: la nuova Italia.

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PROBLEMI DEL RALLY MATEMATICO TRANSALPINO. DALLA GARA ALLA LORO UTILIZZAZIONE IN CLASSE IN UN’OTTICA DI COSTRUZIONE DI SAPERI E DI ATTIVAZIONE DI COMPETENZE

Carla CROCIANI1, Lucia DORETTI2, Lucia SALOMONE2

1 Dipartimento di Ingegneria dell’Informazione e Scienze Matematiche (DIISM,)- Università, Siena (SI) 2Associazione Rally Matematico Transalpino Siena (ARMT Siena), Siena (SI)

Riassunto

Dopo una breve presentazione della gara Rally Matematico Transalpino (RMT), si evidenziano le caratteristiche dei problemi creati per la gara stessa e le loro potenzialità da un punto di vista didattico. Ci si sofferma in particolare sull’importanza dell’analisi a priori che accompagna ogni problema del RMT, volta a prevedere saperi mobilizzati, strategie e procedure messe in atto dagli allievi, errori e ostacoli da loro incontrati, e dell’analisi a posteriori fondata sull’esame di centinaia di elaborati ottenuti dalla gara. Nell’ultima parte si descrive infine l’attività di laboratorio svolta a partire da due problemi del RMT.

Introduzione

Il Rally Matematico Transalpino (RMT) è una gara internazionale di matematica incentrata sulla risoluzione di problemi alla quale partecipano le classi nella loro interezza 65. Le classi sono suddivise in categorie, dalla categoria 3, terzo anno di scuola primaria, alla categoria 10, secondo anno di scuola secondaria superiore. Attualmente la gara si svolge in Belgio, Francia, Italia, Lussemburgo e Svizzera e per il 2017, le classi iscritte sono circa 6.000 con il coinvolgimento di più di 120.000 allievi. In ciascuno di questi paesi sono presenti équipes di ricercatori e insegnanti che coordinano la gara localmente (sezioni). Il RMT prevede in ciascuna sezione, ogni anno, oltre a una o più prove di allenamento gestite direttamente dall’insegnante di classe, una prima prova (a fine gennaio/inizio febbraio), una seconda prova (a fine marzo/inizio aprile) e una finale (a fine maggio) alla quale hanno accesso solo le classi (in genere le prime tre di ogni categoria) che hanno ottenuto i migliori punteggi nelle due prove precedenti. In ciascuna prova ogni classe riceve da cinque a sette problemi da risolvere lavorando a gruppi. I problemi sono gli stessi per tutte le classi di una medesima categoria, anche se può succedere che alcuni di essi siano comuni a più categorie. Il tempo a disposizione è di 50 minuti. La gestione di ogni prova è interamente affidata agli allievi che non possono ricevere alcun tipo di aiuto da parte di chi sorveglia (nelle prove ufficiali, il sorvegliante non deve essere il docente di matematica della classe). Gli allievi sanno che è compito loro la divisione in gruppi, l’organizzazione del lavoro, la gestione del tempo a disposizione, la ricerca comune delle soluzioni, la discussione dei risultati trovati, la compilazione della risposta descrivendo le procedure seguite. Per ciascun problema deve essere consegnata un’unica soluzione, che è la “soluzione della classe”. Fin dall’inizio i problemi del RMT sono stati pensati non solo in funzione della gara, ma anche in vista di un loro possibile interesse da un punto di vista didattico. In più di venti anni di attività

65Èorganizzatadall’AssociazioneRallyMatematicoTransalpino(ARMT),un'associazioneculturale,nonafinidilucro,fondatanel2001,icuiobiettivi,comerecitailsuoStatutosono:“promuoverelarisoluzionediproblemipermigliorarel'apprendimentoel'insegnamentodellamatematicatramiteunconfrontotraclassi;contribuireallaformazionedegliinsegnantieallaricercaindidatticadellamatematicatramitelesueanalisieisuoidatiraccoltinell’ambitodellarisoluzionediproblemi”

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molto si è riflettuto con sperimentazioni, articoli, convegni, sulle potenzialità di tali problemi in riferimento alla formazione degli insegnanti, alla valutazione, alle pratiche di classe. Il grande numero di protocolli raccolti dopo ogni prova per ciascun problema costituisce poi una ricca fonte di documentazione per uno studio comparativo delle strategie risolutive adottate dai vari gruppi di allievi e per evidenziare i principali ostacoli e difficoltà da essi incontrati. Poiché il RMT propone i suoi problemi in paesi differenti, caratterizzati da sistemi scolastici diversi, è anche uno strumento per confrontare gli effetti delle diversità di curricolo sugli stessi temi. I gruppi di lavoro permanenti del RMT, nati una dozzina di anni fa, analizzando i problemi raggruppati per ambiti concettuali, hanno cercato di interpretare procedure e difficoltà rilevate negli elaborati degli allievi in termini di ostacoli cognitivi e nell’ottica di un loro superamento. Nei paragrafi seguenti illustreremo sinteticamente alcune caratteristiche dei problemi del RMT, con particolare riferimento alla scheda di analisi a priori che accompagna sempre ciascuno di essi, e sottolineeremo l’importanza dell’analisi a posteriori basata su informazioni reali ricavabili dal lavoro di risoluzione degli allievi, che consente di passare dal piano ipotetico, immaginato dall’adulto (analisi a priori), al terreno dell’allievo. Segue poi un paragrafo in cui sono indicate alcune modalità di uso in classe dei problemi, al di là della gara, e in cui si danno indicazioni su quale sia la concezione dell’apprendimento nella quale sono concepiti i problemi e le loro analisi. L’ultima parte contiene i due problemi del RMT su cui si basa l’attività di laboratorio proposta. Per ciascuno di essi, oltre all’enunciato, sono riportate informazioni tratte dall’analisi a posteriori, riguardanti strategie messe in atto e saperi mobilizzati, procedure e ostacoli rilevati, indicazioni didattiche. In ogni laboratorio si lavora divisi in gruppi su uno dei problemi, facendone un’analisi a priori da confrontare poi con quella degli altri gruppi e con i risultati dell’analisi a posteriori presentati dalle coordinatrici, per concludersi con una riflessione su un possibile uso del problema nella pratica didattica a fini di apprendimento. 1. I problemi del RMT: alcune caratteristiche Di solito i “problemi” proposti a scuola, durante le ore di matematica, come rinforzo, consolidamento o verifica di conoscenze sono, in sostanza, “esercizi”: gli allievi sono chiamati ad utilizzare algoritmi specifici, a riprodurre procedure risolutive già apprese, ad applicare nozioni quasi sempre ricevute e non costruite o in via di sistemazione. I problemi del RMT propongono situazioni per le quali solitamente non si dispone di una soluzione immediata e quindi stimolano a fare tentativi, verificare, formulare congetture, provare strategie nuove e forme di rappresentazione non precostituite. In generale il RMT privilegia problemi che possono dire qualcosa in più sul modo in cui gli alunni attivano certi saperi matematici. Ci sono però anche problemi che non coinvolgono conoscenze matematiche particolari ma risultano comunque interessanti per l’ingegnosità che ci vuole per risolverli, per la sfida che propongono, per il piacere con il quale gli allievi li risolvono. E’ rivolta una cura particolare al testo, che si cerca di formulare con linguaggio chiaro e adeguato allo sviluppo cognitivo degli allievi in modo da facilitare un loro rapido accesso alla situazione problematica. Esso non suggerisce subito il metodo risolutivo anche se la soluzione rimane comunque raggiungibile, spesso per vie diverse. I problemi del RMT sono di solito contestualizzati, cioè fanno riferimento a situazioni che gli allievi potrebbero incontrare nella vita corrente, nel loro quotidiano o in un racconto con dei personaggi di fantasia, degli oggetti, delle azioni… . Di conseguenza, un primo compito dell’allievo è quello di decontestualizzare la situazione prima di affrontare la risoluzione matematica. Gli allievi devono potersi appropriare del problema senza alcun intervento esterno. Nel RMT si desidera anche che i problemi proposti siano accessibili alla maggior parte degli allievi e non solo ai più “bravi”. La possibilità di ottenere questa corrispondenza fra la risoluzione dei problemi e il livello di sviluppo degli allievi è uno degli obiettivi dell’ “analisi a priori”, che è fatta sistematicamente quando si elabora un problema del RMT.

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Il compito degli allievi non finisce con la risoluzione del problema; viene infatti anche chiesto loro di spiegare il modo in cui hanno trovato la soluzione. Questo è importante da svariati punti di vista: richiede all’allievo di ripercorrere i propri ragionamenti e le procedure utilizzate che, altrimenti, potrebbero rimanere sul piano dell’intuizione; permette a coloro che attribuiscono i punteggi agli elaborati una valutazione più obiettiva; facilita l’identificazione del livello di acquisizione delle conoscenze mobilizzate e degli ostacoli o errori, utile ad un’analisi didattica. Un altro aspetto fondamentale che caratterizza il RMT, è quello di mettere gli allievi nella condizione di “aver bisogno” di lavorare in gruppo. Questa metodologia di lavoro infatti non solo è indicata nelle regole del RMT ma diventa una necessità proprio per la tipologia dei problemi, troppo difficili per essere risolti da un solo allievo nel tempo indicato. Dal momento che per ciascun problema deve essere fornita una sola risposta, la gara diviene così anche un mezzo per contribuire a costruire quelle abilità sociali, come ascoltare gli altri, esprimere le proprie idee e sostenerle, gestire i momenti di tensione, aiutare i compagni più deboli, assumersi le proprie responsabilità nei confronti della riuscita o dell’errore,... che sono fondamentali per la formazione della persona. In definitiva tutta l’attività del RMT con i suoi problemi e la sua metodologia si può configurare come uno strumento per il “perseguimento di quei contenuti” che M. Artigue66 indica che debbano essere incontrati progressivamente in un’educazione matematica di qualità: “porre dei problemi o riformularli per renderli accessibili ad un lavoro matematico, modellizzare, esplorare, congetturare, sperimentare, rappresentare e formulare, sviluppando in tal modo dei linguaggi specifici, argomentare e dimostrare, sviluppare dei metodi, elaborare dei concetti e collegarli in seno a spazi strutturati, scambiare e comunicare … Una tale educazione deve permettere di vivere l’esperienza matematica come un’esperienza al tempo stesso individuale e collettiva, e far sentire ciò che apporta lo scambio, il dibattito con altri. Deve saper stimolare attraverso delle sfide e contemporaneamente coltivare dei valori di solidarietà”. 2. Il ruolo dell’analisi a priori e dell’analisi a posteriori nei problemi del RMT Il percorso che porta alla “messa a punto” di un problema è lungo e articolato ed è frutto di una stretta collaborazione tra le équipes regionali e nazionali che, nelle diverse sedi, sono responsabili dell’organizzazione e dello svolgimento della gara e di tutte le attività connesse. Ogni problema non è solo costituito dal testo, destinato agli allievi, ma anche da una scheda, denominata “Analisi a priori” che comprende tre rubriche: - Compito matematico: si esplicitano in poche righe saperi o concetti matematici soggiacenti alla risoluzione del problema, eventualmente anche quelli la cui costruzione non sia completata da parte degli allievi ai quali il problema è rivolto. - Analisi del compito: ha la funzione di evidenziare gli ostacoli, le difficoltà che potrebbero incontrare gli allievi così come i saperi matematici e le procedure che ci si aspetta che essi attivino, in modo da verificare anche l’adeguamento tra il compito richiesto e le categorie a cui il problema è proposto67. - Attribuzione dei punteggi: si tratta di una griglia per l’attribuzione dei punteggi, da 4 a 0, indispensabile ai fini della gara, costruita a partire dalle considerazioni sviluppate nell’analisi del compito; per ogni punteggio è indicato cosa è richiesto per ottenerlo, corrispondentemente a quello che ci si può aspettare dagli allievi. A titolo di esempio, si riporta di seguito, testo e analisi a priori del problema Le rondini, proposto nella I prova del 23 RMT a classi di cat. 3.

66M.Artigue-Lesfidedell’insegnamentodellamatematicanell’educazionedibase-LaMatematicanellaSocietàenellaCultura,Rivistadell’UnioneMatematicaItaliana,SerieI.,VolIV,Agosto2011,211-25967 La scelta delle categorie deve basarsi sulle capacità degli allievi piuttosto che sui programmi e, se possibile, si fa riferimento alle analisi a posteriori degli elaborati di problemi “analoghi”

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LE RONDINI Quando Lorenzo si sveglia vede che delle rondini si sono posate su un filo della luce, davanti a casa sua. Apre la finestra della sua camera, 17 rondini volano via. Dopo un po’, 12 rondini raggiungono quelle che sono rimaste sul filo. Da dietro la finestra della sua camera, Lorenzo, conta le rondini che sono ora posate sul filo. Ce ne sono 36. Quante rondini si trovavano sul filo della luce prima che Lorenzo aprisse la finestra? Spiegate come avete fatto a trovare la vostra risposta.

ANALisi A PRIORI Compito matematico Trovare lo “stato iniziale” in una situazione dove lo “stato finale” (36) è il risultato prima di un decremento (−17) e poi di un incremento (+12) Analisi del compito - Riconoscere l’ordine cronologico e le variazioni tra gli stati successivi di una grandezza: Stato iniziale: apertura della finestra con un numero sconosciuto di rondini; partenza di 17 rondini (prima

trasformazione) e stato intermedio più piccolo dello stato iniziale; arrivo di 12 rondini (seconda trasformazione) e stato finale di 36 più grande dello stato intermedio.

- Identificare l’incognita: lo stato iniziale. -Tradurre le trasformazioni nelle operazioni adatte ed effettuare i calcoli corrispondenti oppure operare su disegni o su

oggetti ricorrendo al conteggio: sia nell’ordine cronologico, per tentativi successivi con un’ipotesi di partenza (per esempio 20 – 17 + 12 = 15, «troppo piccolo»,... per arrivare a 41 – 17 + 12 = 36); sia tornando indietro nel tempo a partire da 36, essendo ben coscienti che si tratta di utilizzare le operazioni inverse delle precedenti: 36 – 12 + 17 = 41.

- Si può anche fare il bilancio delle due trasformazioni: «diminuzione di 5 (17 – 12) rispetto allo stato iniziale». Attribuzione dei punteggi 4 Risposta corretta (41 rondini) con spiegazione chiara del procedimento seguito (es. successione dei calcoli, schemi,

disegni tipo fumetti...) 3 Risposta corretta (41 rondini) con spiegazioni poco chiare o incomplete (per esempio, uno dei passaggi da uno stato

all’altro non descritto nella successione) oppure tentativi condotti correttamente e ben spiegati, ma con un solo errore di calcolo 2 Risposta corretta senza alcuna spiegazione 1 Inizio di ricerca coerente: uno o due tentativi infruttuosi, o inizio di ragionamento corretto (per esempio calcolo di

24 = 36 – 12 come stato intermedio) oppure risposta 31 con bilancio delle due variazioni 5, ma 36 – 5 al posto di 36 + 5 0 Incomprensione del problema Dopo la gara, a partire dalla correzione degli elaborati, comincia la fase dell’ “Analisi a posteriori” che si basa su informazioni ricavabili direttamente dal lavoro di risoluzione degli allievi. Un attento esame degli elaborati permette di individuare gli ostacoli che gli allievi hanno effettivamente incontrato, il modo in cui hanno provato a superarli, il loro livello di rappresentazione, le loro capacità di mobilizzare certe conoscenze; consente anche, nel caso in cui il problema sia stato assegnato a più categorie, di confrontare procedure e rappresentazioni e di valutarne l’evoluzione in riferimento allo sviluppo cognitivo degli allievi stessi. Con l’analisi a posteriori si precisano, chiariscono e arricchiscono le ipotesi a priori o anche se ne fanno di nuove. C’è quindi una stretta interazione tra analisi a priori e analisi a posteriori: da quest’ultima nascono nuove ipotesi di utilizzo del problema a fini didattici, prendono il via sperimentazioni in classe, si mettono a punto nuovi problemi, eventualmente modificando alcune variabili didattiche per verificare, ad esempio, la permanenza di determinati ostacoli ed errori, ed anche il loro superamento a seconda dell’età degli allievi ai quali verranno proposti. Tutto questo lavoro delle varie équipes vuole essere condiviso con gli insegnanti ed è messo a loro disposizione attraverso articoli, incontri di formazione, convegni68.

68Cfr.sitoARMT:http://www.armtint.org/

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Oltre a questa analisi a posteriori che potremo dire “in grande” perché basata su un grandissimo numero di elaborati, può essere effettuata, direttamente dagli insegnanti, un’altra analisi a posteriori “in piccolo” perché basata sull’analisi degli elaborati della propria classe. L’insegnante potrà infatti decidere di riprendere in classe alcuni problemi a suo parere più interessanti per il contenuto matematico o per le difficoltà che hanno creato o semplicemente per il coinvolgimento che hanno suscitato e di utilizzare le informazioni così ottenute nel percorso didattico della classe. 3. I problemi del RMT nella pratica didattica Al di là della gara, ci sono varie possibilità di utilizzare in classe i problemi del RMT e con vari obiettivi. La decisione su quali problemi riprendere e in che modo, dipende ovviamente dall’insegnante, dalle sue concezioni e dai bisogni della classe. Così, per esempio, dopo una prova, si possono riproporre alcuni problemi in un lavoro individuale o a gruppi per un’analisi e un confronto delle procedure utilizzate e per la ricerca di altre possibili, per l’individuazione di ostacoli, errori, misconcetti che richiedono interventi didattici mirati . Altri problemi invece possono essere utilizzati per rinforzare un sapere per la classe intera, per confrontare diversi livelli di costruzione di un concetto nei propri allievi o per il recupero di alunni in difficoltà. Infine l’insegnante può scegliere alcuni problemi ed utilizzarli per motivare e preparare l’introduzione di nuove conoscenze, in una visione della didattica della matematica che ponga l’accento più sull’apprendimento che sull’insegnamento. Si tratta di una concezione che vede l’allievo protagonista nella costruzione delle proprie conoscenze e non semplice ricettore di nozioni trasmesse. In quest’ottica i problemi proposti devono porre l’allievo di fronte a situazioni nuove che deve cercare di affrontare tramite tentativi, ipotesi, verifiche e con il confronto e la discussione con gli altri. Bisogna però tenere presente che un problema, anche se ben scelto e ben adattato al livello degli allievi, non porta in sé gli elementi che permetteranno la costruzione spontanea di un sapere o il suo ampliamento. C’è bisogno dell’intervento dell’insegnante. Ma quale tipo di intervento? Quale modalità di gestione della classe? Se si propone agli allievi un problema e poi si danno suggerimenti per la ricerca della soluzione per evitare gli ostacoli, si consente loro di arrivare alla risposta corretta ma senza che essi rimettano in discussione le loro idee e le loro conoscenze. Si tratta di una modalità più semplice da gestire, ma che non conduce alla costruzione di nuovi concetti. Se si vuole partire da un problema per portare gli allievi verso la costruzione di un concetto, la modalità di lavoro in classe è più articolata e richiede una gestione più delicata di tutte le varie fasi. E’ necessaria una prima fase di ricerca e validazione che è lenta perché a carico degli allievi che lavorano in piccoli gruppi e che prevede l’appropriazione del problema, la ricerca della soluzione, la mobilizzazione di conoscenze precedenti: gli allievi fanno tentativi, scambiano pareri, verificano la validità delle diverse procedure e soluzioni. E’ questo un punto di partenza per fare apparire diversi livelli di costruzione di un concetto. Segue poi una fase di validazione collettiva in cui l’insegnante riprende un ruolo attivo, quello di “regista” e organizza il dibattito, fa emergere i conflitti fruttuosi, mette in evidenza le diverse procedure e stimola o rilancia quelle pertinenti nel caso siano trascurate o abbandonate. La fase successiva è quella dell’istituzionalizzazione, in cui l’insegnante ritrova il ruolo di “attore principale” e opera la sintesi, differenziando le risposte o le strategie corrette dalle altre e collegando i saperi emersi nella fase di validazione; ha inoltre il compito di “insegnare” le notazioni, la terminologia, gli algoritmi,... che giudica opportuni. L’ultima è la fase di consolidamento in cui l’insegnante propone gli esercizi e le attività di rinforzo ritenuti necessari. 4. Attività nel laboratorio In ciascun laboratorio l’attività si sviluppa a partire da un problema del RMT. Il lavoro passa attraverso le seguenti tre fasi:

• I Fase: ANALISI A PRIORI

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a) I partecipanti al laboratorio, divisi in piccoli gruppi, ricevono il testo del problema senza la scheda di analisi a priori, e provano a risolverlo ponendosi “nei panni degli allievi”, descrivendo sinteticamente il contenuto matematico del problema, le strategie che potrebbero essere usate dagli allievi, ostacoli o difficoltà che essi potrebbero incontrare ed errori che potrebbero commettere. b) Segue la messa in comune delle analisi a priori effettuate e il confronto con quella “ufficiale”.

• II Fase: ANALISI A POSTERIORI Le coordinatrici del laboratorio presentano i risultati dell’analisi a posteriori effettuata sugli elaborati raccolti dopo la gara. Segue una riflessione collettiva che porta a ritornare sull’analisi a priori e a fare un confronto tra quanto ipotizzato e quanto effettivamente emerso dal lavoro degli allievi.

• III Fase: INDICAZIONI E SPUNTI PER L’USO IN CLASSE DEL PROBLEMA Alla luce delle analisi fatte si discute se e come il problema possa essere utilizzato nella pratica didattica per la costruzione o il consolidamento dei saperi matematici che intervengono nel problema stesso. I problemi scelti sono: - La carovana (Cat. 5, 6) 11°RMT, I prova - Ritaglio di triangoli (Cat. 6, 7, 8) 19° RMT, II prova Problema 1 In questo problema, il compito matematico degli allievi è quello di ricercare due numeri naturali aventi per somma 13 e tali che la somma del primo con il doppio del secondo sia 21, a partire da un contesto di asini e cavalli con 52 zampe in tutto. Per l’appropriazione del problema è necessario comprendere le relazioni ricavabili dal testo, e che intercorrono tra uomini – casse – cavalli – asini, e saperle gestire. L’esame degli elaborati evidenzia che gli allievi, dopo aver inizialmente determinato il numero totale degli animali, seguono diverse procedure che conducono alla risposta corretta:

• mediante tentativi successivi casuali o organizzati (cfr. Fig.1) (in qualche caso si tiene traccia dei tentativi fatti riportandoli in una tabella).

LA CAROVANA (Cat. 5, 6) 11° RMT, I Prova Alì e Fatima guardano passare una carovana di asini e di cavalli. Ci sono anche degli uomini, che sono tutti sui cavalli. Su ogni cavallo c’è un solo uomo con una cassa dietro di lui. Su ogni asino ci sono solo due casse. Alì conta le zampe degli animali e ne trova 52. Fatima conta le casse: ce ne sono 21 in tutto. Quanti uomini ci sono in questa carovana? Spiegate la vostra risposta.

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Figura 1 – Elaborato A (allievi di cat. 6).

• con un disegno, distribuendo le prime 13 casse su ogni animale e poi le rimanenti (cfr.

Fig.2), oppure collocando due casse su ogni animale e togliendo quelle che sono di troppo (cfr. Fig. 3).

Figura 2 − Elaborato B (allievi di cat. 5).

Figura 3 − Elaborato C (allievi di cat. 5).

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• con ragionamenti analoghi ai precedenti, ma senza supporto grafico (cfr. Fig. 4)

Figura 4− Elaborato D (Cat. 6).

L’errore più ricorrente è la perdita di una condizione (numero totale animali o numero totale casse) nella procedura seguita. Per esempio, si divide per 3 il numero totale 21 delle casse ottenendo 3 gruppi dello stesso numero di casse, poi si considera che 7 casse, cioè 1/3 del totale, corrisponde al numero di cavalli/uomini e il doppio, 14 casse, al numero degli asini, che sono quindi ancora 7 (si perde il controllo sul numero degli animali); oppure si considera 14 casse e quindi 7 asini e si calcola 6 = 13-7 numero dei cavalli/uomini (si perde il controllo del numero delle casse). La molteplicità delle procedure ricavate dall’analisi a posteriori permette di vedere l’interesse per un lavoro in classe sul problema, seguito da un confronto delle soluzioni e del modo di ottenerle. Dal punto di vista didattico si può osservare che il passaggio dai tentativi casuali a quelli organizzati evidenzia una progressione nel dominio delle relazioni in gioco. Un’altra osservazione riguarda la procedura grafica, in cui non si fanno né tentativi, né ipotesi, e che porta in modo rigoroso ed efficace alla soluzione di questo problema senza ricorrere alle operazioni aritmetiche. Bisogna quindi accettarla e riconoscere il suo valore e la sua legittimità. Saranno poi gli allievi a constatare che tale procedura può essere sostituita da una procedura aritmetica in una variante del problema con numeri più grandi che faranno apparire i limiti del modello grafico (per es. con 476 zampe e 150 casse). Come ci si aspetta, e come l’analisi a posteriori conferma, le procedure naturali per gli allievi sono di tipo aritmetico. Una persona che ha però qualche conoscenza algebrica si rende conto che il problema può essere risolto anche con un’equazione (o con un sistema). In effetti, questo problema può essere utilizzato, nella scuola secondaria di primo grado, nella fase di passaggio dall’aritmetica all’algebra, per un approccio naturale alle equazioni, prima ancora di affrontare l’attività formale sulle scritture algebriche e l’utilizzazione di termini specifici come “incognita”, “equazione”,… . Le indicazioni didattiche che seguono sono da considerare in questa direzione. Si ripropone il problema in classe e, dopo una fase iniziale di lavoro per gruppi autonomi, si fa seguire la messa in comune e il dibattito sulle procedure utilizzate, dedicando tempo anche alle procedure non corrette per capire da dove hanno avuto origine e perché. Con allievi di categoria 7 o 8 si può utilizzare il dibattito per far apparire progressivamente una procedura di tipo algebrico a partire da una ricerca per tentativi. Per questo, è necessario passare dai tentativi casuali a quelli organizzati e lasciarne traccia, per esempio, in una tabella (cfr. Tabella 1) in cui siano tenute presenti le relazioni uomini – casse – cavalli – asini.

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Tabella 1− Relazioni uomini-casse-cavalli-asini. Quando si arriva a 21 come numero di casse (e quindi a 5 come numero di uomini), il ruolo dell’insegnante è quello di spingere gli allievi a non fermarsi ma ad andare avanti, sia per verificare che il numero delle casse diminuisce progressivamente e che pertanto la soluzione trovata è unica, sia, soprattutto, per andare verso il caso generale relativo a “un numero qualunque” di uomini, indicato con la lettera n nell’ultima colonna della tabella 1. Questa prima espressione letterale n ha un “senso” perché rappresenta un numero (ovviamente intero, e quindi naturale) di uomini, e anche di cavalli. E’ seguita da una seconda espressione letterale, 13 – n, giustificata dal fatto che il numero totale di animali è 13 e che ci sono solo asini e cavalli. L’espressione dell’ultima riga per il calcolo del numero di casse, cioè 2(13 – n) + n, è sicuramente più complessa. Prevede infatti l’uso delle parentesi, la soppressione del segno di moltiplicazione, l’identità con altre scritture come 26 – 2n + n o 26 – n, ecc. Potrebbe essere l’occasione, per gli allievi, della scoperta di certe regole di scrittura algebrica e, per l’insegnante, della loro istituzionalizzazione. A questo punto il passaggio ad un’equazione come 2(13 – n) + n = 21, oppure 26 – n = 21, diventa naturale perché è l’equazione in quanto scrittura che ha “senso” per gli allievi. Nel caso di questo semplice problema, l’equazione apparirà come utile mezzo per la ricerca della soluzione, solo con numeri grandi, perché in tal caso le procedure per tentativi o grafiche mostreranno tutta la loro inadeguatezza.

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Problema 2

Questo problema investe aspetti della geometria piana, quali angoli, triangoli isosceli, figure piane isometriche. Per la sua risoluzione, gli allievi devono capire i vincoli da tener presente nella costruzione dei triangoli: i triangoli devono essere isosceli; i lati congruenti devono avere la lunghezza del segmento indicato in figura; i vertici devono stare su punti di intersezione della quadrettatura; i triangoli devono essere tutti differenti (non congruenti fra loro). Devono anche rendersi conto che, in ogni triangolo isoscele, i due lati della stessa lunghezza sono diagonali di rettangoli di dimensioni 2 e 4 (l’unità è il lato di un quadretto della quadrettatura). I triangoli differenti che è possibile ottenere sono cinque (in Fig.5 è mostrato un modo di disegnarli nella griglia, indipendentemente dalla posizione del segmento dell’enunciato).

Figura 5 – I cinque triangoli differenti.

RITAGLIODITRIANGOLI(Cat.6,7,8)19°RMT,IICristinadisegnaalcunitriangolisuunfoglioquadrettatoepoiliritaglia.Tuttiisuoitriangolihanno:-duelatidellastessalunghezzadiquelladelsegmentodisegnatosullaquadrettaturasottostante;-tuttiiverticiinpuntidiintersezionedellaquadrettatura.Quantitriangolidifferenti(cioènonesattamentesovrapponibilidopoaverliritagliati)puòaverritagliatoCristina?Disegnatelituttiutilizzandolaquadrettaturaquisotto.

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L’analisi a priori del compito dell’allievo ha potuto basarsi sulle osservazioni ricavate da una lunga serie di problemi del RMT coinvolgenti griglie quadrettate, che permette di formulare diverse ipotesi su difficoltà e ostacoli anche per questo problema:

- la percezione della lunghezza del segmento disegnato sulla griglia come quella della diagonale di un rettangolo 2 × 4 della quadrettatura;

- la distinzione tra il lato più lungo del rettangolo 2 × 4 e una sua diagonale; - il riconoscimento di triangoli congruenti in posizioni differenti che mette in gioco le

isometrie come spostamenti effettivi; - la conservazione della lunghezza data nelle diverse posizioni; - le abitudini “scolastiche” nella disposizione dei triangoli isosceli: con la “base” orizzontale

o verticale. Dall’analisi a posteriori degli elaborati di 23 sezioni (2.177 in tutto), il problema è risultato piuttosto difficile come mostrano sia la percentuale molto alta, in tutte le categorie, di punteggio “0” (47% in cat. 6; 43% in cat. 7; 38 % in cat. 8), sia le medie molto basse dei punteggi complessivi ottenuti (1,1 in cat.6; 1,3 in cat.7; 1,5 in cat. 8)69. Quali possono essere state le ragioni? Sono stati confermati difficoltà e ostacoli previsti? Per cercare di rispondere a queste domande è stata condotta una seconda fase di analisi a posteriori, molto precisa e dettagliata, sui 401 elaborati della sezione di Siena. E’ emerso in generale che i fattori che influenzano la “scoperta” dei triangoli impedendo che si trovino tutti, sono nell’ordine:

- la “posizione privilegiata” di un triangolo isoscele: i tre quarti (76%) dei triangoli corretti di tutti gli elaborati sono disegnati con una base orizzontale o verticale, anche se quest’ultimo caso compare con minore frequenza;

- il segmento disegnato (gli allievi non hanno preso in considerazione la frase dell’enunciato “due lati della stessa lunghezza di quella del segmento disegnato sulla quadrettatura sottostante”);

- l’incapacità di svincolarsi dalla posizione del segmento dato; - le abitudini della lettura e del disegno da sinistra a destra e dall’alto in basso (si disegna sul

foglio un segmento nella posizione del modello o in altra posizione, ma si continua il completamento del triangolo a destra e in basso, con la conseguente perdita di quelle costruzioni che, rispetto al segmento iniziale, interessano invece lo spazio sul foglio a sinistra e in alto).

Al di là di questi aspetti noti e in qualche modo attesi, le medie molto basse dei punteggi ottenuti sono dovute anche alla frequenza piuttosto elevata di tre tipologie di errori: 1. errore nella rilevazione della congruenza tra segmenti: si considerano isosceli triangoli che non lo sono facendo riferimento esplicito alla misura (cfr. Fig. 6), oppure al conteggio del numero di quadretti della griglia “interessati” dal segmento, oppure ad una stima “ad occhio”. Sembra che in nessun caso la quadrettatura suggerisca il riferimento ai triangoli rettangoli e di conseguenza al teorema di Pitagora;

69Siricordacheadognielaboratoèattribuitounpunteggiochevariada0a4.

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Figura 6 − Elaborato E (allievi di cat. 7)70.

2. errore dovuto alla dimenticanza che i triangoli richiesti devono avere due lati congruenti al segmento dato: si disegnano triangoli isosceli qualunque, ad eccezione del triangolo disegnato proprio a partire da tale segmento (cfr. Fig. 7);

Figura 7− Elaborato F (allievi di cat. 7).

3. errore dovuto ad un’incomprensione dell’enunciato: si riempie l’intera quadrettatura con triangoli isosceli come se fossero mattonelle di una pavimentazione e poi si contano (cfr.Fig.8). 70Traduzione:Abbiamoeffettuatovarieproveeabbiamonotatocheilatidimisura2,2cmpossonoesseremessiinduemodi(1e2).Alloraabbiamoformato2triangoliaventi2lati,ilprimonelmodo1eilsecondonelmodo2.Poicisiamoaccortecheillatonelprimomodosipuòmettereancheinmodoverticale,quindiabbiamocostruitounaltrotriangolo.Infineabbiamocostruitountriangoloaventeunlatonelmodo1el’altronelmodo2

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Figura 8 − Elaborato G (allievi di cat. 6)71.

Quali indicazioni didattiche? Un problema come “Ritaglio di triangoli” permette di far venire alla luce ostacoli caratteristici a proposito di nozioni che sembrerebbero acquisite, come il triangolo isoscele, le sue proprietà, il suo riconoscimento indipendentemente dalla posizione e la congruenza di segmenti. Si osserva chiaramente che l’immagine di triangolo isoscele che hanno gli allievi è prevalentemente quella di una figura con tre lati di cui uno è orizzontale e gli altri due, congruenti, sono obliqui. Si tratta di una figura simmetrica con asse verticale. Il termine "base" fa sì che il lato indicato con questo termine non solo sia orizzontale, ma anche "in basso. Come si può “lottare” contro la predominanza di certe immagini mentali associate al triangolo isoscele? Potrebbe essere sufficiente evitare di utilizzare il termine "base" e non disegnare il triangolo isoscele sistematicamente con un lato orizzontale? Riguardo alla ricerca delle altre posizioni del segmento che compare nella quadrettatura, sembra che ci si scontri con una difficoltà di altro genere, cioè la necessità di vederlo come una delle diagonali di un rettangolo di 2 x 4 (o di un vettore di componenti 2 e 4). Per trovare le diverse posizioni di questo segmento, è necessario capire che “4 passi verso destra e 2 passi verso l’alto “ rappresentano uno spostamento isometrico a "2 passi verso destra e 4 passi verso alto” per commutatività, o ancora “2 passi verso sinistra e 4 passi verso il basso” per inversione tra destra e sinistra o tra alto e basso, ecc. . Per quanto riguarda la congruenza di segmenti, se si ritiene che un rettangolo che ha una dimensione di lunghezza 4 abbia anche le diagonali di lunghezza 4, c’è qualcosa che non va circa il senso che si attribuisce ai termini “lunghezza”, “distanza”, “congruenza o isometria”. E’ importante trattare queste risposte scorrette degli allievi non come errori ma come difficoltà “naturali” che si possono superare solo con discussioni, confronti e rilanci di concetti da riprendere per poter raggiungere un livello più alto di costruzione Riferimenti bibliografici

ANSELMO B., BISSO C., GRUGNETTI L., 2011, Il rettangolo... non così evidente!, ‘La Gazzetta di Transalpino’, Rivista dell’Associazione Rally Matematico Transalpino, N° 1, pp. 7-24.

ARTIGUE M. , 2011, Le sfide dell’insegnamento della matematica nell’educazione di base, La Matematica nella Società e nella Cultura, Rivista dell’Unione Matematica Italiana, Serie I., Vol IV, 211-259.

71Traduzione:Siamoriuscitiacostruireitriangoliattaccandolil’unoconl’altro

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CROCIANI, C., DORETTI L., GRUGNETTI L., 2012, Difficoltà nel confronto di lunghezze, ‘La Gazzetta di Transalpino’, Rivista dell’Associazione Rally Matematico Transalpino, N° 2, pp. 71-84.

Sitografia

ASSOCIAZIONE RALLY MATEMATICO TRANSALPINO: http://www.armtint.org/ (nel sito sono anche reperibili tutti i numeri della rivista, La gazzetta di Transalpino).

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PROPOSTE DI ATTIVITÀ PER UNA DIDATTICA INCLUSIVA DELLA MATEMATICA

Santina FRATTI1, Monica MATTEI2, Daniela PAVARINO3, Ornella ROBUTTI2, Daniela

SASSO4, Romina VALENTINI5 1IIS “Pandini Piazza”, Sant’Angelo Lodigiano (LO)

2Università degli Studi di Torino, Dipartimento di Matematica, Torino (TO) 3 IC “Govone”, Priocca (CN) 4IC “F. Tadini”, Cameri (NO)

5 IIS “Volta”, Lodi (LO)

Riassunto

Si presenta il lavoro svolto nel progetto di ricerca “Metodologie, tecnologie, materiali e attività per un apprendimento della matematica accessibile e inclusivo” sviluppato presso il Dipartimento di Matematica dell’Università degli Studi di Torino grazie al finanziamento della Fondazione CRT. Il gruppo di ricerca e sperimentazione (formato da docenti universitari e insegnanti), basandosi sulla letteratura in didattica della matematica, ha progettato alcune attività inclusive per la scuola secondaria di primo e secondo grado; in particolare, nel presente articolo verranno descritte e analizzate le attività: “Adattamento de L’albero maestro”, “Lo scaffale” e “L’angolo” e si presenteranno alcuni risultati delle sperimentazioni svolte nelle scuole.

Inclusione e didattica inclusiva Con l’espressione Bisogni Educativi Speciali, che è entrata in uso nella scuola italiana a seguito dell’emanazione della Direttiva Ministeriale del 27 dicembre 2012, vengono accorpati un insieme di disturbi, che vanno dalla disabilità, fisica o mentale, al disturbo specifico dell’apprendimento, al disagio socio-economico e a situazioni di difficoltà transitorie, di fronte ai quali la scuola ha il dovere di intervenire in maniera costruttiva. Infatti, pur essendoci una normativa esaustiva che garantisce e tutela il diritto di ogni studente a essere parte della vita di classe, l’applicazione di tale principi, di certo non semplice e immediata, presenta ancora delle difficoltà. Il principio di inclusione richiede infatti un rinnovamento radicale della progettazione didattica che, andando oltre l’integrazione dei ragazzi con difficoltà in situazioni didattiche già precostituite, porti a creare degli scenari didattici pensati per tutti gli studenti e attenti alle difficoltà e alle potenzialità di ciascuno di loro. La didattica inclusiva richiede un cambiamento di prospettiva: dall’alunno che si adatta alla scuola, alla scuola che si plasma attorno all’alunno con uno slittamento di attenzione dal soggetto al contesto. Il principio dell’inclusione si basa sul riconoscimento che ogni persona ha dei bisogni (superando la connotazione negativa che il termine “speciale” può avere) che devono essere tenuti in debita considerazione, così come devono esserne valorizzate le capacità: le diverse risorse che caratterizzano ogni studente non devono essere infatti considerate come delle mancanze ma come un potenziale arricchente nel contesto classe (Healy & Powell, 2012). Ognuno ha infatti qualcosa da offrire ai compagni per favorire il processo di apprendimento e qualcosa da ricevere dagli altri: la didattica inclusiva fa proprio perno su questa consapevolezza per creare scenari che favoriscano l’uso di canali di apprendimento diversi, atti a far emergere le abilità di ogni studente, la metodologia laboratoriale, per stimolare il ruolo attivo dello studente nel processo di conoscenza, e il lavoro a gruppi, per favorire la collaborazione e la discussione.

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Tale cambiamento della didattica in ottica inclusiva, fortemente auspicato, non è semplice e richiede un notevole sforzo da parte della comunità degli insegnanti. A maggior ragione risulta più difficoltoso se si pensa che non esiste ancora una definizione unanime e condivisa di discalculia. Studi recenti (Lewis & Fisher, 2016) hanno infatti evidenziato come i test applicati varino da nazione a nazione (se non talvolta anche nella nazione stessa) e non tengano in debita considerazione l’influenza di fattori non cognitivi sulla performance del ragazzo, nonché i contenuti matematici indagati. Come conseguenza, uno stesso studente può risultare discalculico rispetto a un test e non rispetto a un altro o possono essere identificati sotto la stessa diagnosi studenti con profili cognitivi molto diversi (Karagiannakis & Baccaglini-Frank, 2014) con una conseguente ulteriore complessità nell’individuare un efficace intervento didattico. Il progetto di ricerca Sviluppato presso il Dipartimento di Matematica dell’Università degli Studi di Torino, con il coordinamento della Prof.ssa Ornella Robutti, la partecipazione del Prof. Ferdinando Arzarello e il finanziamento della Fondazione CRT, il progetto di ricerca “Metodologie, tecnologie, materiali e attività per un apprendimento della matematica accessibile e inclusivo” si è focalizzato sullo studio, l’esame e l’applicazione di metodologie innovative per migliorare l’apprendimento e l’insegnamento della matematica in ambito scolastico a favore di tutti gli studenti, con particolare attenzione per gli studenti con Bisogni Educativi Speciali. Obiettivi principali del progetto sono:

• esplicitare le metodologie didattiche provenienti dalla ricerca più recente per progettare attività per gli studenti (per esempio, il progetto [email protected]);

• sviluppare e utilizzare tecnologie e metodologie attuali che rendano accessibili i contenuti per studenti con Bisogni Educativi Speciali;

• identificare i prodotti più adeguati ed efficaci che consentano a studenti con Bisogni Educativi di diversa natura di lavorare con i compagni e di acquisire autonomia;

• costruire un modello formativo per insegnanti adatto a gestire l’inclusione in classe nelle attività di matematica.

Il gruppo di lavoro, costituito da insegnanti della scuola secondaria di primo e di secondo grado72, ha realizzato alcune attività, in parte prendendo spunto da quelle proposte nel progetto [email protected] in parte ex novo, con l’intento di puntare sul coinvolgimento attivo di tutti gli studenti nel lavoro di classe, ponendo quindi particolare attenzione alle diverse abilità e ai diversi stili cognitivi, in un’ottica fortemente inclusiva. In tale prospettiva, gli obiettivi curricolari non sono stati semplificati o ridotti ma si è avuto cura di renderli più facilmente accessibili a tutti gli studenti. Tali attività sono state quindi sperimentate nello scorso anno scolastico in una ventina di classi del Piemonte e della Lombardia, per un totale di 427 studenti coinvolti di cui un 15% BES. Quadro di riferimento teorico Il fondamento teorico delle attività progettate è da cercarsi nel pensiero di due pedagogisti del secolo scorso: Célestin Freinet e John Dewey. La pedagogia di entrambi, seppure con risvolti socio-politici di diversa natura, pone al centro del processo educativo lo studente: dalle sue esigenze fondamentali […] deriveranno le tecniche - manuali e intellettuali – da dominare, la materia da insegnare, il sistema di apprendimento, le modalità dell’educazione in una scuola rinnovata che ponga l’accento sull’entusiasmo dell’individuo, sulle sue facoltà creative e attive, sulla possibilità 72 Gli insegnanti che hanno partecipato al gruppo di ricerca sono: S. Abbati, B. Baldi, S. Beltramino, A. Berra, E. Calemma, A. Cena, P. Curletti, M. Dalè, A. Drivet, S. Fratti, L. Genoni, A. Ghersi, P. Gulino, C. Idrofano, D. Pavarino, F. Raina, A. Rongoni, D. Sasso, C. Soldera, G. Trinchero, R. Valentini

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di avanzare sempre, fino a una piena realizzazione delle sue capacità (Freinet, 1973). In particolare, in Freinet tale approccio didattico nasce dall’osservazione di come nell’infanzia si impari a camminare, a correre, ad andare in bicicletta, … in maniera spontanea, spinti dalla curiosità e procedendo per tâtonnement expérimental dove il bambino impara dagli errori e arricchisce l’esperienza di quella naturale creatività che lo aiuta a superare gli ostacoli. La scuola pertanto, secondo Freinet, deve coltivare questa predisposizione naturale all’apprendimento che non può prescindere dall’indagine tramite l’esperienza diretta. Anche Dewey, teorico della “scuola attiva”, vede nell’esperienza, intesa come interazione tra l’uomo e l’ambiente, il fondamento dell’educazione: partendo da problemi reali e significativi, che coinvolgono e stimolano la curiosità dello studente, questi formula delle ipotesi e le mette in pratica, procedendo per tentativi ed errori, applicando cioè il cosiddetto “metodo scientifico” già caro a Galileo, per giungere, con l’aiuto dell’insegnante, al rigore logico. Nel processo educativo il ruolo dello studente è dunque quello di protagonista attivo: per entrambi si “impara facendo” in un ambiente ricco e stimolante e non attraverso la trasmissione da parte dell’insegnante di un sapere pre-confezionato. Nell’insegnamento è quindi necessario favorire il coinvolgimento degli studenti, lo sviluppo di interessi reali e concreti e della creatività, potenziando il fattore motivante (Dewey, 1987). In una scuola che basa l’apprendimento sull’esperienza, l’organizzazione tradizionale degli spazi non è più adatta: entrambi i pedagogisti vedono nella strutturazione in laboratori, dove gli studenti possono lavorare insieme, sia l’ambiente che la metodologia migliore per un apprendimento efficace. Nella scuola progressiva di Dewey cambia anche il ruolo dell’insegnante: egli dovrà tenere ben presente gli impulsi, la creatività, la spontaneità e i bisogni dei discenti facendo in modo di promuovere la socializzazione e la crescita di tutti. Osserviamo che, dal punto di vista cognitivo, i modelli di scuola di Freinet e Dewey trovano giustificazione nella “teoria delle intelligenze multiple” dello psicologo Howard Gardner. Gardner, partendo dal riconoscere come priva di fondamento la concezione di intelligenza quale fattore unitario e misurabile, identifica invece almeno sette tipologie differenti di intelligenza (tra cui quella spaziale, quella logico-matematica, quella linguistica, quella musicale, quella cinestetica, quella intrapersonale e quella interpersonale) ognuna indipendente dall’altra (Gardner, 2011). In ogni individuo tali diverse intelligenze possono essere più o meno sviluppate innescando, come conseguenza, differenze negli stili cognitivi: risulta pertanto fondamentale utilizzare diversi canali di apprendimento in modo che ogni studente possa mettere in atto le proprie abilità e sviluppare quelle carenti.

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La progettazione delle attività Partendo da questi presupposti teorici, il gruppo di lavoro ha progettato una serie di attività per la scuola secondaria di primo e di secondo grado che potessero favorire la creatività, la spontaneità, il lavoro individuale e collettivo, le azioni su e le interazioni con artefatti tradizionali o tecnologici. Il fine di questa progettazione, basata sulla ricerca relativa al task design, è quello di avere un’offerta formativa ampia, flessibile e inclusiva. Dalle osservazioni delle attività realizzate in classe durante il primo anno di questo progetto, l’obiettivo di inclusività verso gli allievi con bisogni speciali è stato raggiunto e questi stessi allievi, oltre che protagonisti nelle attività stesse, sono spesso risultati molto attivi e a volte anche con risposte migliori degli altri allievi. Il filone Freinet e Dewey, che si situa in continuità con metodologie come quella del Laboratorio di Matematica (UMI, 2003), che stimola l’apprendimento percettivo-motorio oltre che simbolico-ricostruttivo, e che fornisce stimoli agli insegnanti per la progettazione di attività fortemente inclusive, costituisce un punto di partenza per l’inclusione dal punto di vista del task design. Nelle attività realizzate dal gruppo di lavoro per la scuola secondaria di primo grado:

• Adattamento de “L’albero maestro” • Lo scaffale

e per la scuola secondaria di secondo grado: • L’angolo • La diagonale • Derivata: incremento dal discreto al continuo • Massimi, minimi e funzioni a due variabili con modelli di stampa 3D

si è prestata infatti, come già sottolineato, una continua attenzione all’aspetto inclusivo, a partire dalla fase di progettazione per arrivare a quella di sperimentazione nelle classi. La fase iniziale di progettazione riveste infatti un ruolo cruciale perché l’attività possa raggiungere gli obiettivi prefissati. In questa fase l’insegnante ha il ruolo di “ingegnere didattico” in quanto spetta a lui il compito di progettare il contesto in base all’argomento matematico che deve essere insegnato e alle caratteristiche della classe (Arzarello & Paola, 2007). Risulta pertanto evidente che la progettazione dell’attività non può essere un qualcosa “a priori” che prescinda dai discenti. Al contrario, ogni attività, e a maggior ragione una attività che voglia essere inclusiva, deve essere costruita e plasmata sulla classe, a partire dalle potenzialità e dalle difficoltà di ogni studente. La metodologia adottata per la progettazione delle attività è stata quella del Laboratorio di Matematica dell’UMI riconosciuta dalla ricerca come efficace nella costruzione del pensiero matematico. Il laboratorio di matematica non è un luogo fisico diverso dalla classe, è piuttosto un insieme strutturato di attività volte alla costruzione di significati degli oggetti matematici. Il laboratorio, quindi, coinvolge persone (studenti e insegnanti), strutture (aule, strumenti, organizzazione degli spazi e dei tempi), idee (progetti, piani di attività didattiche, sperimentazioni) (UMI, 2003) e rappresenta il momento in cui l’alunno è attivo, formula le proprie ipotesi e ne controlla le conseguenze, progetta e sperimenta, discute e argomenta le proprie scelte, impara a raccogliere dati e a confrontarli con le ipotesi formulate, negozia e costruisce significati interindividuali, porta a conclusioni temporanee e a nuove aperture la costruzione delle conoscenze personali e collettive. Il laboratorio può essere efficacemente paragonato a una bottega rinascimentale dove il garzone-studente impara facendo e vedendo fare, cooperando con gli altri garzoni e sotto la guida del capomastro-insegnante. Nel laboratorio di matematica vengono inoltre usati materiali (della vita quotidiana o tecnologici) come mediatori del processo di apprendimento-insegnamento, favorendo un approccio di tipo percettivo-motorio e canali di apprendimento diversi (visivo non verbale, cinestetico, visivo verbale, …) per stimolare le varie abilità degli studenti. Particolare attenzione

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viene prestata alla costruzione di una “didattica lunga” attenta ai diversi tempi di apprendimento, riconoscendo che per una appropriazione dei significati ogni studente ha bisogno di provare, fare, riflettere, condividere le idee che emergono con il gruppo di lavoro e con la classe, e ai processi di pensiero attivati dagli studenti nella risoluzione di un problema o nella sistemazione delle conoscenze, più ancora che ai prodotti della loro attività. L’attività laboratoriale permette dunque un approccio sensato alla matematica, dove l’aggettivo “sensato” è da intendersi con un triplo significato: quello di legato all’esperienza, alla percezione e ai sensi; quello di legato allo sviluppo e all’uso del sapere teorico; e infine quello di ragionevole, ossia adeguato alle esigenze e alla situazione attuali della classe (Paola, 2004). Ricordiamo infine che l’approccio laboratoriale non mette in secondo piano l’approccio metodologico-disciplinare che, al contrario, costituisce le fondamenta su cui si basa l’intero edificio della conoscenza matematica e il cemento che dà unità e coerenza a tutte le sue parti (Chiappini, 2007). Quello che cambia è la sequenza: l’approccio laboratoriale si basa infatti sulla percezione e l’azione motoria sulla realtà […] in un continuo scambio di input (percettivi) e output (motori) con l’esterno per poi giungere gradualmente a una forma di apprendimento-insegnamento costruttivo-simbolico in cui il lavoro avviene totalmente all’interno della mente (Antinucci, 2001). L’approccio metodologico disciplinare non è più dunque il punto di partenza ma il punto di arrivo, obiettivo ultimo da raggiungere. Nella fase di progettazione è stata prestata particolare cura nella preparazione dei materiali (schede e file) da fornire agli studenti, in modo da renderli facilmente accessibili a tutti. In particolar modo si è prestata attenzione a usare frasi brevi e sintatticamente semplici, che utilizzassero un lessico familiare e comprensibile affinché le consegne del problema non fossero esse stesse un problema (Zan, 2016). Talvolta le domande sono state scritte in colore rosso e le parole chiave in grassetto. Inoltre, da un punto di vista grafico, si è favorito l’uso di un font bastone maiuscolo, con un corpo grande e un’interlinea spaziosa per distanziare sufficientemente le righe. Inoltre si sono spesso utilizzate immagini esplicative, eventualmente supportate da didascalie. Nella fase di sperimentazione in classe, per favorire l’interazione tra gli studenti e il loro coinvolgimento, si è in primo luogo posta attenzione alla disposizione dei banchi. La classica disposizione dei banchi a platea, adatta per una lezione frontale, per lo svolgimento di esercizi alla lavagna o comunque per attività in cui l’attenzione degli studenti deve convergere verso un unico punto focale, non è infatti più adatta per attività di tipo laboratoriale. L’organizzazione dei banchi in piccole isole disposte a lisca di pesce (Fig. 1) è invece molto adatta per attività in cui si alternano spiegazioni del docente e lavori di gruppo. In questo tipo di disposizione, infatti, si mantiene la possibilità per gli studenti di volgere comodamente la propria attenzione verso un punto focale e allo stesso tempo di poter lavorare insieme.

Figura 1 - Disposizione dei banchi a lisca di pesce.

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Nelle diverse attività sperimentate, gli studenti sono stati infatti suddivisi in coppie o in piccoli gruppi (3-4 studenti) di carattere eterogeneo. Il lavoro in gruppi, se ben organizzato e sapientemente orchestrato dall’insegnante, presenta diversi punti di forza di carattere inclusivo:

• dal punto di vista dell’apprendimento, una buona cooperazione fornisce la base dello sviluppo individuale: nel lavoro in gruppo lo studente si trova infatti in una zona di sviluppo prossimale, definita come la distanza tra il livello di sviluppo attuale e il livello di sviluppo potenziale che può essere raggiunto proprio attraverso l’aiuto dei pari (Vygotsky, 1980). Le diverse abilità e i diversi stili cognitivi degli studenti forniscono un contributo arricchente nel processo di scoperta: ognuno può essere uno strumento compensativo per i compagni e trovare a sua volta in loro una risorsa per l’apprendimento;

• da un punto di vista psicologico, il potersi relazionare nel piccolo gruppo e con dei coetanei favorisce il crearsi di un ambiente più rilassato, in cui ogni studente si sente maggiormente libero di esprimersi, facilitando così il coinvolgimento e la collaborazione di tutti. Inoltre, il sentirsi parte di un gruppo e dare il proprio contributo produce un senso di autoefficacia che va a contribuire positivamente sull’autostima dello studente, con una ricaduta sulla sua motivazione ad apprendere;

• dal punto di vista sociale, infine, il lavoro in gruppo può favorire i rapporti interpersonali tra gli studenti BES e gli altri componenti, aumentando il rispetto e la loro inclusione nella vita di classe.

Durante lo svolgimento delle attività sono stati inoltre organizzati dei momenti di discussione collettiva, sotto la guida dell’insegnante, in cui gli studenti hanno potuto condividere le loro scoperte con i compagni. In questi momenti, in cui i protagonisti sono gli allievi, il ruolo dell’insegnante è quello di moderatore. Egli deve sapientemente stimolare la discussione con domande, ascoltando con attenzione le parole degli studenti e rilanciando alla classe le risposte, per dirigere il flusso del dibattito verso la costruzione del sapere. Le sperimentazioni sono inoltre state attuate seguendo una metodologia composta di vari strumenti specifici di indagine; tra questi vogliamo focalizzare l’attenzione sul “Questionario di gradimento”, comune a tutte le attività, contenente domande riguardanti la sfera emotivo-motivazionale e proposto con l’obiettivo di capire quali fossero state le emozioni degli studenti coinvolti. L’interesse per tali aspetti è supportato dalla ricerca in ambito psico-pedagogico che negli ultimi anni ha mostrato un crescente interesse rispetto alle componenti emotivo-motivazionali, in quanto è stato riconosciuto che esse contribuiscono alle ragioni che sottostanno al comportamento degli studenti di fronte all’apprendimento della matematica e aiutano quindi ad analizzare, da un’altra angolazione, le diverse difficoltà. Attività: L’angolo Nucleo: Geometria, nodo concettuale: angolo Grado: classe seconda e quarta di scuola primaria Riferimenti alle Indicazioni Nazionali per il curricolo Relativamente al nucleo di geometria, nelle Indicazioni si fa riferimento alle “conoscenze degli enti fondamentali della geometria e alle abilità relative al saper eseguire costruzioni con riga e compasso, oppure all’utilizzo di strumenti informatici”. Obiettivi

● Acquisire il concetto di angolo, di processi e strumenti per passare dalla congettura, all’argomentazione e alla dimostrazione.

Obiettivi trasversali ● Stimolare la curiosità e l’interesse degli studenti.

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● Sperimentare attività matematiche che utilizzino in modo sapiente il corpo e, attraverso esperienze positive, accrescano l’autostima nei confronti della materia.

● Accrescere la capacità di osservazione, di astrazione e di generalizzazione. ● Stimolare la riflessione e il confronto con opinioni diverse dalla propria attraverso il rispetto

e l’ascolto. ● Accrescere l’attenzione ai termini usati nel linguaggio verbale attraverso un approccio

graduale, dal corpo al concetto. Prerequisiti: l’attività non prevede particolari prerequisiti, si tratta di un concetto che si può introdurre per la prima volta in modo naturale nella programmazione a partire da una classe prima. Materiali: carta, matita, squadra, spago e gessetto, laboratorio informatico e GeoGebra nel caso fossero presenti. Tempistiche: 7 ore Descrizione attività Si presenta un’ipotesi di attività per una classe seconda della scuola primaria che verrà sperimentata nei prossimi mesi in alcune classi di insegnanti che collaborano al progetto. Le schede MERLO, invece, sono state già somministrate dalla Prof.ssa Fratti in alcune classi delle scuole primarie di S. Angelo Lodigiano, “Collodi” e “Morzenti”, a conclusione di attività svolte dalle insegnanti. Prima di iniziare l’attività l’insegnante analizza la geometria nella realtà attraverso una presentazione (per esempio utilizzando Prezi). Gli studenti devono riconoscere figure geometriche nella natura, nella pittura, nell’architettura e nella musica, per arrivare ad analizzare le immagini geometriche nella vita quotidiana. L’intervento didattico si pone dopo questo momento di analisi e dopo aver parlato di enti primitivi (punto, retta e piano), di assiomi e di concetti necessari per poter arrivare a parlare di angolo. Nella prima fase “L’angolo nella realtà” l’insegnante cerca di far emergere tutti i contesti in cui lo studente ha sentito parlare di angolo: l’angolo nel calcio, l’angolo di cielo, … Le due attività successive si svolgono suddividendo gli studenti in gruppi: nella prima fase si richiede solo l’uso della carta e della penna. Nella prima attività “Carta&Penna” gli obiettivi prefissati sono: portare gli studenti a vedere l’angolo come rotazione, veicolare il concetto della misura di un angolo come misura della rotazione di una lancetta sull’altra e osservare che le lancette di un orologio individuano sempre due angoli, uno concavo e uno convesso. Nella seconda attività si potrebbe creare l’angolo con spago e gesso. In questo modo i bambini potrebbero sperimentare l’ampiezza dell’angolo e “misurare”, al crescere dei lati dell’angolo creati con lo spago, il numero di bambini via via sempre maggiore che possono essere contenuti nel recinto. Nella fase della valutazione si somministrano alle classi delle schede sviluppate attraverso la metodologia MERLO. Per esempio, per una classe seconda della scuola primaria si è proposta la seguente scheda (Fig. 2).

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Figura 2 – Esempio di scheda MERLO per la classe seconda della scuola primaria.

La scheda per una classe seconda è semplificata rispetto alla standard, viene cioè richiesto di individuare il riquadro che contiene un concetto che non condivide significato con gli altri riquadri. Per una classe quarta della scuola primaria è invece stata proposta la seguente scheda (Fig. 3).

Figura 3 – Esempio di scheda MERLO per la classe quarta della scuola primaria.

Una scheda MERLO è formata da sei riquadri: nel primo è riporta la consegna, mentre negli altri vengono riportate diverse situazioni concettuali. Allo studente si richiede di individuare le caselle che condividono una equivalenza di significato e di spiegare il motivo delle proprie scelte. Analisi dei risultati Le schede MERLO proposte nella scuola primaria sono state effettuate da tutti i bambini, compresi gli stranieri di nuovo arrivo con enormi difficoltà di lingua. Il lavoro in gruppo, la lettura delle schede in gruppo e la correzione collettiva hanno favorito un ambiente di apprendimento sereno e accogliente. Dall’analisi della scheda MERLO proposta in classe seconda si è dedotto che la scheda è, molto probabilmente, da rivedere nella progettazione. In quella scheda MERLO si è infatti giocato su un significato ambiguo dal punto di vista linguistico che, in bambini ancora incerti nella conoscenza

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dell’italiano e del concetto di angolo, li ha confusi. Solo un bambino ha detto, durante la sperimentazione, di aver capito che cosa si intendesse per concetto di angolo, ma durante la discussione plenaria, chiedendogli come mai non avesse poi scritto nulla, ha risposto: “Maestra Santina, io so perché, ma poi mi confondo e non lo so più e non lo so scrivere”. Nessun problema invece in classe quarta, dove la somministrazione delle schede MERLO non ha creato alcun tipo di problema e la correzione plenaria, con circa 75 bambini attenti e propositivi, ha mostrato la validità delle schede. Attività: Adattamento de “L’albero maestro” Nucleo: Geometria Grado: primo anno scuola secondaria di primo grado Riferimenti alle Indicazioni Nazionali per il curricolo “La costruzione del pensiero matematico è un processo lungo e progressivo nel quale concetti, abilità competenze e atteggiamenti vengono ritrovati, intrecciati, consolidati e sviluppati a più riprese; è un processo che comporta anche difficoltà linguistiche e che richiede un’acquisizione graduale del linguaggio matematico. Caratteristica della pratica matematica è la risoluzione di problemi, che devono essere intesi come questioni autentiche e significative, legate alla vita quotidiana e non solo esercizi a carattere ripetitivo o quesiti ai quali si risponde semplicemente ricordando una definizione o una regola.” Dai traguardi per le competenze al termine della scuola primaria: “Descrive, denomina e classifica figure in base a caratteristiche geometriche, ne determina misure e costruisce modelli concreti di vario tipo.” “Utilizza strumenti per il disegno geometrico (riga, compasso, squadra) e i più comuni strumenti di misura (metro, goniometro).” “Costruisce ragionamenti formulando ipotesi, sostenendo le proprie idee e confrontandosi con il punto di vista di altri.” “Sviluppa un atteggiamento positivo rispetto alla matematica, attraverso esperienze significative, che gli hanno fatto intuire come gli strumenti matematici che ha imparato a utilizzare siano utili nella realtà.” Dai traguardi per le competenze al termine della scuola secondaria di primo grado: “Riconosce e denomina le forme del piano e dello spazio, le loro rappresentazioni e ne coglie le relazioni fra gli elementi.” “Spiega il procedimento anche in forma scritta.” “Produce argomentazioni in base alle conoscenze teoriche acquisite (a esempio sa utilizzare concetti di proprietà caratterizzante e di definizione).” “Rafforza un atteggiamento positivo rispetto alla matematica attraverso esperienze significative.” Obiettivi dell’attività

• Costruire il significato di distanza tra due punti, tra un punto e una retta, tra due rette. • Costruire il significato di perpendicolarità, distinguendolo da quello di verticalità, e di

altezza. • Formulare congetture e saperle argomentare. • Tracciare correttamente l’altezza di figure piane.

Prerequisiti • Conoscere il sistema metrico decimale. • Saper utilizzare gli strumenti da disegno.

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Materiali: materiale da disegno geometrico (squadre, righello), nastro adesivo, rotelle metriche, nastri colorati, filo a piombo. Strumenti tecnologici: LIM e PC Tempistiche: circa 8 ore Descrizione attività L’attività è stata sperimentata in due classi prima dell’I.C. “Santorre di Santarosa” di Savigliano (CN) dalle Prof.sse Baldi e Gulino, in due classi prima dell’I.C. “Galileo Ferraris” di Livorno Ferraris (VC) dalla Prof.ssa Rongoni, in una classe prima dell’I.C. “Serra” di Crescentino (VC) dalla Prof.ssa Soldera e in una classe prima dell’I.C. “Franco Tadini” di Cameri (NO) dalla Prof.ssa Sasso. Nel seguito verranno descritte alcune fasi particolarmente significative dell’attività e verrà considerata l’analisi della sperimentazione fatta dalla Prof.ssa Sasso. Fase 1 L’insegnante consegna a ogni allievo un foglio rettangolare di formato A4 con il cerchio contenente la barca (Fig. 4) e legge la consegna che richiede di costruirne l’albero maestro. La richiesta viene visualizzata alla LIM.

.

Figura 4 – Cerchio contenente la barca. Verticale o perpendicolare?

Note operative:

• gli studenti vengono lasciati liberi di utilizzare la modalità e gli strumenti che ritengono più idonei al raggiungimento dello scopo. Si considererà valida ogni strategia che consentirà loro di raggiungere l’obiettivo. Si chiederà agli studenti di spiegare la modalità che hanno preferito seguire attraverso un breve testo che scriveranno dietro il foglio;

• si consentirà agli studenti lo scambio di idee sulla modalità da seguire per risolvere il problema, consentendo il lavoro a coppie o in piccolo gruppo (massimo 3 persone);

• gli studenti con Bisogni Educativi Speciali verranno dislocati in modo omogeneo all’interno dei piccoli gruppi in modo che ci sia un solo studente BES per gruppo.

La scelta di mantenere il cerchio contenente la barca all’interno del foglio rettangolare vuole costituire un elemento di disorientamento per gli studenti che, come già verificato in altre esperienze, tendono ad allineare la barca al banco, se viene fornita nel cerchio. Durante la successiva discussione si farà emergere il concetto di verticale (concetto fisico legato al campo gravitazionale) e di perpendicolare (concetto geometrico legato all’angolo retto).

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Fase 2. Distanza punto-retta Tale fase prevede l’uso del corpo. Si svolgerà in palestra o in altro spazio idoneo (Fig. 5). Verranno forniti nastri con cui tracciare i percorsi. Viene collocato un oggetto a una certa distanza dal muro e 4-5 studenti si collocano contro il muro in posizioni diverse.

• Chi di voi è più vicino all’oggetto? Perché? In quale modo possiamo verificare se avete ragione?

(Vengono messi a disposizione dei nastri per tenere traccia della distanza dell’oggetto da ciascuno dei ragazzi; verranno anche fornite rotelle metriche per misurare la lunghezza delle distanze).

• C’è una posizione in cui collocarsi per essere più vicini possibile all’oggetto? L’insegnante dovrà stimolare gli studenti a riflettere sulle caratteristiche del “tratto più breve”. Dovrà quindi emergere il concetto di distanza inteso come il “tratto più breve” che congiunge un punto a una retta, tale da verificare sempre la condizione di perpendicolarità.

Figura 5 – Distanza punto-retta.

Analisi della ricaduta dell’attività sugli studenti con BES L’insegnante, a seguito dell’osservazione degli studenti durante la sperimentazione, ha evidenziato che l’attività ha avuto una positiva ricaduta sull’apprendimento dei BES per:

• le modalità interattive, • l’aspetto pratico delle attività proposte, • la semplicità dell’approccio, • le modalità diverse (manipolazione, costruzione in cortile), • il lavoro in gruppi che ha facilitato la comunicazione soprattutto dei più fragili, • la destrutturazione dello spazio aula, necessaria per adeguarlo alle necessità progettuali, che

ha reso “coinvolgente” l’attività. Inoltre ha osservato che i ragazzi con BES si sono messi in gioco senza particolare timore anche nelle attività che richiedevano l’uso del corpo; alcuni di loro, avendo conseguito consapevolezza delle proprie capacità, si sono proposti di aiutare altri compagni in difficoltà nelle varie fasi del lavoro. Sul lungo periodo l’attività ha favorito la socializzazione e ha aiutato a aumentare l’autostima degli alunni con BES, in particolare il lavoro tra pari è stato positivo perché ha reso più consapevoli alcuni delle proprie potenzialità e, negli alunni più “bravi”, ha fatto emergere il senso di collaborazione e sostegno ai più fragili, gratificandoli per questa responsabilità. Dall’analisi di esercizi svolti in classe in modo individuale al termine dell’attività, la professoressa ha notato che gli studenti, in particolare quelli in difficoltà, hanno mostrato di saper collegare il concetto di distanza a quello di angolo retto e di perpendicolare, di saper distinguere tra perpendicolare e verticale. Ha inoltre evidenziato una generale discrepanza tra la capacità espressiva, ancora fragile e inadeguata, e la reale acquisizione dei concetti.

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Analisi del questionario di gradimento L’attività è stata gradita da quasi tutti i ragazzi della classe prima della Prof.ssa Sasso, compresi gli alunni con BES e i più fragili dal punto di vista relazionale. Uno dei fattori più apprezzati è stato il lavoro in gruppo che ha favorito la partecipazione, il confronto, la condivisione e le relazioni di amicizia e di aiuto reciproco. Queste sono, a titolo di esempio, alcune frasi significative ricavate dai protocolli degli studenti:

• “Se qualcuno non capisce qualcosa il compagno lo aiuta... è bello aiutarsi a vicenda” • “Perché così si avevano due menti e ci si poteva confrontare” • “Perché ascoltando altri pareri si poteva imparare anche qualcosa in più”

Attività: Lo scaffale Nucleo: Geometria, nodo concettuale: altezza e perpendicolarità nello spazio Grado: primo anno scuola secondaria di primo grado Riferimenti alle Indicazioni Nazionali per il curricolo “Le conoscenze matematiche contribuiscono alla formazione culturale delle persone e delle comunità, sviluppando le capacità di mettere in stretto rapporto il “pensare” e il “fare” e offrendo strumenti adatti a percepire, interpretare e collegare tra loro fenomeni naturali, concetti e artefatti costruiti dall’uomo, eventi quotidiani. In particolare, la matematica dà strumenti per la descrizione scientifica del mondo e per affrontare problemi utili nella vita quotidiana; contribuisce a sviluppare la capacità di comunicare e discutere, di argomentare in modo corretto, di comprendere i punti di vista e le argomentazioni degli altri.” Obiettivi dell’attività

● Stimolare negli allievi la percezione visuo-spaziale dei poliedri. ● Individuare piani paralleli. ● Riconoscere condizioni di parallelismo e perpendicolarità tra rette e piani nello spazio.

Prerequisiti: aver acquisito i concetti di altezza nel piano e di figura solida. Materiali: carta lucida, cannucce colorate, nastro adesivo, penne, stuzzicadenti, forbici, pennarello indelebile. Tempistiche: 3 ore Descrizione dell’attività L’attività è stata sperimentata in due classi terza dell’I.C. “Govone” di Priocca (CN) dalla Prof.ssa Pavarino. Fase 1 Si distribuisce la Scheda 1 (Fig. 6) con il test iniziale e si lascia il tempo necessario alla riflessione individuale. Dopo una decina di minuti di lavoro per trovare una soluzione, si ritirano le schede. La loro analisi consentirà di verificare se gli studenti possiedono un’idea intuitiva di altezza nello spazio e se sono o meno capaci di argomentare e formalizzare. È importante che le immagini siano scelte in modo da non rappresentare poliedri regolari e che gli oggetti siano palesemente di dimensioni differenti. SCHEDA 1 GIANNI STA RIORDINANDO CAMERA SUA. NON HA ANCORA TROVATO DOVE SISTEMARE GLI OGGETTI CHE VEDI FOTOGRAFATI QUI DI SEGUITO. VORREBBE DISPORLI SU UNO SCAFFALE CHE HA I PIANI POSIZIONATI A 35 CM L’UNO

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DALL’ALTRO. RIUSCIRÀ A METTERLI SULLO SCAFFALE? UTILIZZANDO LE IMMAGINI, SPIEGA COME FARESTI PER AIUTARLO A RISPONDERE.

Figura 6 – Scheda 1.

Fase 2 Si avvia una discussione collettiva preliminare sulle risposte date dai ragazzi. Buona parte dell’attività è basata sulla conversazione degli alunni a seguito dell’esperienza pratica. Occorre dedicare tempo sufficiente agli allievi perché possano argomentare, discutere le proprie soluzioni, sostenere le affermazioni, validare la propria attività matematica. Dovrebbe così emergere che Gianni deve misurare l’altezza dell’oggetto e valutare se è minore di 35 cm in modo da poter essere inserito nello scaffale. Fase 3 A seguito del dibattito la classe viene suddivisa in piccoli gruppi di lavoro il più possibile eterogenei. A ogni gruppo viene consegnato lo sviluppo piano di un solido, precedentemente realizzato dal docente su materiale trasparente, che dovrà essere ricostruito dai ragazzi. Questo tipo di approccio laboratoriale e il lavoro percettivo-motorio permettono il confronto e la collaborazione tra gli studenti. Insieme cercano di far combaciare le facce in modo che il solido si chiuda. Fase 4 Una volta costruiti i solidi, viene chiesto ai ragazzi di individuarne l’altezza/e. Anche in questo momento è importante il ruolo del docente nell’orchestrazione della discussione: deve infatti raccogliere tutte le ipotesi che emergono e permettere a tutti di esprimersi. Nel caso in cui venga individuata solamente un’altezza, l’insegnante può appoggiare il solido su un’altra faccia e ripetere la richiesta. In questo modo gli allievi, attraverso l’esperienza pratica, giungono a comprendere che l’altezza non è unica e che essa può cadere sia internamente che esternamente al solido. Fase 5 Dopo aver individuato intuitivamente le altezze si procede “materializzandole”. Agli studenti vengono forniti dei filamenti di plastica rigida o altro materiale (stecchini, cannucce, …) e si chiede loro di costruire le altezze e di applicarle al solido. A tal proposito torna utile aver costruito i solidi

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con materiale trasparente perché, in questo modo, possono essere visualizzate anche le altezze tracciate internamente al solido. Fase 6 Dopo aver analizzato il lavoro dei singoli gruppi e aver discusso con tutta la classe quali siano state le difficoltà incontrate o gli eventuali errori, si perviene a una definizione precisa di altezza nello spazio. La formalizzazione è pertanto l’ultima parte dell’attività. Si ricorda infatti che è sempre utile con i ragazzi, sia BES che normodotati, iniziare da una situazione concreta per poi astrarre e giungere alla teoria. Fase 7 Viene riproposto il test iniziale per valutare l’efficacia dell’attività. Analisi della ricaduta dell’attività sugli studenti BES L’attività sperimentata dalla prof.ssa Pavarino è stata per gran parte basata sulla costruzione dei poliedri e sulla discussione orale. In questo modo gli allievi non hanno dovuto leggere e scrivere e si sono concentrati su un apprendimento di tipo percettivo-motorio. L’insegnante ha osservato che in aula si è innescata una discussione alla pari tra tutti gli studenti, discussione in cui è stato pressoché impossibile distinguere gli allievi con bisogni educativi speciali dagli altri. Anche l’alunno con disabilità grave è riuscito a partecipare al dialogo didattico durante l’attività di manipolazione, intervenendo con osservazioni pertinenti (sua l’osservazione secondo la quale, durante la fase di costruzione del solido, la disposizione proposta dai compagni non era corretta in quanto: “Così il solido non si chiude!”). Si è osservata qualche difficoltà in più nella fase di formalizzazione astratta della definizione di altezza: il lessico impiegato è ancora impreciso e approssimativo, ma è risultato evidente che il concetto è stato compreso. Un esempio per tutti: un ragazzo BES ha indicato come risposta al quesito iniziale della Scheda 1 che “stanno sullo scaffale gli oggetti che non sono troppo grandi”. Dalla discussione seguente è emerso come, con il termine “grande”, egli intendesse riferirsi proprio all’altezza del solido, concetto che quindi ha mostrato di possedere. Analisi dei questionari di gradimento Dall’analisi dei questionari di gradimento risulta che l’argomento trattato è stato compreso dagli studenti delle due classi anche se, spesso, nelle risposte non padroneggiano ancora il linguaggio specifico. Nella maggior parte dei casi il concetto spiegato risulta essere più chiaro di prima. Dall’analisi nello specifico delle risposte dei ragazzi BES si evince, anche da parte loro, un notevole apprezzamento dell’attività svolta. La parte che è piaciuta di più è stata l’attività manuale nella costruzione dei solidi, anche se riconoscono di aver avuto delle difficoltà. Il lavorare con compagni e amici ha permesso loro di partecipare e contribuire alla realizzazione finale. Durante la sperimentazione sostengono di essere stati tranquilli e rilassati e di aver imparato cose nuove in un modo divertente. Infine, hanno trovato stimolante l’essere portati a ragionare e a confrontarsi con gli altri. . Attività: L’angolo Nucleo: Geometria, nodo concettuale: angolo. Grado: classe prima secondaria secondo grado. Riferimenti alle Indicazioni Nazionali “Il primo biennio avrà come obiettivo la conoscenza dei fondamenti della geometria euclidea del piano. […] La realizzazione di costruzioni geometriche elementari sarà effettuata sia mediante strumenti tradizionali (in particolare la riga e compasso […]), sia mediante programmi informatici di geometria.”

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Obiettivi ● Acquisire il concetto di angolo, di processi e strumenti per passare dalla congettura,

all’argomentazione e alla dimostrazione. Obiettivi trasversali

● Stimolare la curiosità e l’interesse degli studenti. ● Accrescere la capacità di osservazione, di astrazione e di generalizzazione. ● Stimolare la riflessione. ● Stimolare il confronto con opinioni diverse dalla propria. ● Accrescere l’attenzione ai termini usati nel linguaggio verbale. ● Accrescere il pensiero critico. ● Accrescere la capacità di comunicare e argomentare.

Prerequisiti: l’attività non prevede particolari prerequisiti, si tratta di un concetto già introdotto nel segmento scolastico precedente e si inserisce in modo naturale nella programmazione di una classe prima della scuola secondaria di secondo grado. Materiali: carta, matita, squadra, laboratorio informatico e GeoGebra Tempistiche: 7 ore Descrizione attività L’attività è stata sperimentata in due classi prima (ITIS e professionale) dell’Istituto d’Istruzione Superiore “A. Volta” di Lodi (LO) dalla prof.ssa Valentini. Prima di iniziare l’attività l’insegnante analizza la geometria nella realtà attraverso una presentazione (per esempio utilizzando Prezi). Gli studenti devono riconoscere figure geometriche nella natura, nella pittura, nell’architettura e nella musica, per arrivare ad analizzare le immagini geometriche nella vita quotidiana. L’intervento didattico si pone dopo questo momento di analisi e dopo aver parlato di enti primitivi (punto, retta e piano), di assiomi e di concetti necessari per poter arrivare a parlare di angolo. Nella prima fase “L’angolo nella realtà” l’insegnante cerca di far emergere tutti i contesti in cui lo studente ha sentito parlare di angolo: l’angolo nel calcio, l’angolo di cielo, … Le due attività successive si svolgono suddividendo gli studenti in gruppi: nella prima fase si richiede solo l’uso della carta e della penna, mentre nella seconda si richiede l’uso di GeoGebra. Nella prima attività “Carta&Penna” gli obiettivi prefissati sono: portare gli studenti a vedere l’angolo come rotazione, veicolare il concetto della misura di un angolo come misura della rotazione di una lancetta sull’altra e osservare che le lancette di un orologio individuano sempre due angoli, uno concavo e uno convesso. Nella seconda attività “Lancette come semirette” si cerca di veicolare il concetto di angolo come porzione di piano illimitata e come intersezione di semipiani (Fig. 7).

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Figura 7 – “Carta & Penna” e “Lancette come semirette”.

Nella fase concernente la “valutazione” si somministra alle classi delle schede sviluppate attraverso la metodologia MERLO. Le schede sono parse da subito adatte a una valutazione formativa e centrata sulla possibilità di rilevare competenze in modo inclusivo e accessibile a tutti. Ecco un esempio di scheda somministrata (Fig. 8).

Figura 8 – Esempio di scheda MERLO.

Una scheda è formata da sei riquadri, nel primo è riporta la consegna, mentre negli altri vengono riportati diverse situazioni concettuali. Allo studente si richiede di individuare le caselle che condividono una equivalenza di significato e di spiegare il motivo delle proprie scelte. Analisi della ricaduta dell’attività sugli studenti BES Si ritiene che questo modo di procedere, in cui è lo studente a costruire le proprie conoscenze, sia utile per tutti gli alunni e in particolare per coloro che presentano bisogni educativi speciali. Dall’analisi dei risultati fatta dalla Prof.ssa Valentini, si può affermare che sia gli studenti BES che DSA hanno individuato correttamente il concetto preso in esame nella scheda. Analisi dei questionari di gradimento Analizzando le risposte fornite dagli studenti delle due classi coinvolte nella sperimentazione si può concludere che per gli alunni l’intero percorso è sembrato facile e interessante. La totalità degli alunni ha compreso il concetto chiave sviluppato. Degne di note sono alcune risposte date a

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domande aperte riguardanti l’attività, l’esperienza fatta in laboratorio e il lavoro di gruppo . Di seguito se ne riportano alcune:

● “Come ti è sembrata l’attività?” “Interessante perché si ha la possibilità di fare lezione in modo diverso.”

● “È stato utile fare esperienza di laboratorio sulla matematica?” “Sì, perché si sono viste cose che sul libro c’erano ma venivano spiegate in modo diverso.”

Analisi dei risultati Analizzando i risultati degli studenti delle due classi si può affermare che, tolti alcuni casi, gli studenti hanno individuato quasi tutti gli oggetti matematici su ogni scheda somministrata (metodologia MERLO), mentre hanno trovato molte difficoltà riguardo all’argomentazione richiesta per spiegare il motivo delle loro scelte. Molti studenti, nonostante avessero crocettato le caselle giuste, hanno preferito non spiegarle, pur sapendo che questo avrebbe inciso sulla valutazione. Anche chi ha spiegato le proprie scelte non sempre ha usato la terminologia corretta. Analizzando le risposte che hanno dato gli studenti si evidenzia una generale difficoltà a chiamare con il giusto termine gli oggetti: una definizione per uno degli studenti è diventata una “dimostrazione”, per un altro il disegno di un concetto geometrico è un “esempio pratico”, infine per uno studente una definizione dell’angolo convesso è “una spiegazione in modo teorico”. In generale, i risultati ottenuti dagli studenti del professionale sono stati molto simili a quelli ottenuti dagli studenti dell’ITIS. Conclusioni Il lavoro svolto in questo primo anno dal gruppo di ricerca ha portato dei risultati incoraggianti. Dall’analisi delle sperimentazioni effettuate è infatti emerso che le attività proposte sono state in grado di coinvolgere attivamente tutti gli studenti, in particolare quelli con Bisogni Educativi che spesso sono apparsi, agli occhi degli osservatori esterni, indistinguibili dagli altri. L’utilizzo di canali di apprendimento diversi ha permesso a tutti di mettere in campo le proprie abilità, favorendo un clima collaborativo all’interno dei gruppi di lavoro e la percezione di successo, con un conseguente incremento della motivazione all’apprendere. Anche dal punto di vista cognitivo i risultati sono stati in generale positivi: analizzando le prove di valutazione somministrate in classi di controllo e in classi in cui era stata svolta l’attività si sono potuti apprezzare, in queste ultime, risultati mediamente migliori in tutti gli studenti e in particolare in quelli con Bisogni Educativi. Alla luce dei risultati raggiunti, la comunità di docenti coinvolti nel progetto intende proseguire, nel presente anno scolastico, il lavoro di ricerca sul filone inclusione, focalizzandosi sull’osservazione di particolari soggetti con bisogni speciali coinvolti nelle attività, al fine di tracciare percorsi e approcci cognitivi specifici.

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GEOMETRIA CON GLI SPECCHI: NON SOLO SIMMETRIE

Elisabetta OSSANNA1, Elisa BORGA2, Chiara CATENI2, Elena COSSER3, Federica TURRI4,

Maria Cristina VIOLA3 1Dipartimento di Matematica - Università degli Studi di Trento, Trento (TN)

2I.C. "C. Freinet", Pergine Valsugana (TN) 3I.C. Vigolo Vattaro, Altopiano della Vigolana (TN)

4ITET C. A. Pilati, Cles (TN)

Riassunto

L'uso degli specchi per indagare le simmetrie dello spazio e del piano permette di fare ipotesi, verificare congetture e proprietà e costituisce un'opportunità per sviluppare, consolidare o recuperare conoscenze di geometria piana e solida. Nella prima fase dell’attività gli studenti indagano l’azione dello specchio piano su diversi modelli di poliedri in legno. Si cerca di familiarizzare con “l’idea” di piano di simmetria e si affronta il problema dell’orientazione, portando lo studente a costruire un esperimento che permetta di verificare che lo specchio produce un’immagine che non è “sovrapponibile” con l’oggetto reale. Successivamente si individuano tutti i piani di simmetria dei cubi mediante la richiesta di ricostruire un cubo completo, a partire da due “mezzi cubi” di legno, e di farlo nei vari modi possibili. Nella parte finale si affronta il caso generico di parallelepipedo, cogliendo analogie e differenze con il cubo.

Introduzione Il laboratorio qui presentato si basa sull’uso degli specchi come strumenti per sperimentare e visualizzare le simmetrie nello spazio e nel piano. È stato sviluppato presso il Laboratorio DiCoMat73 del Dipartimento di Matematica dell’Università di Trento e si ispira al lavoro di tirocinio di Federica Turri, documentato nella tesi (Turri, 2016). Gli specchi permettono di fare ipotesi, verificare congetture e proprietà, oltre a essere degli oggetti con un certo fascino che producono curiosità, stupore e interesse anche nei ragazzi più grandi. L’uso dello specchio e la ricerca delle simmetrie costituiscono anche un’opportunità per sviluppare, consolidare o recuperare conoscenze di geometria piana e solida. Inoltre, per come è progettato, il laboratorio permette un constante consolidamento di abilità trasversali all’apprendimento della geometria quali • la visualizzazione di oggetti geometrici in tre dimensioni, • la rappresentazione della realtà tridimensionale in una bidimensionale e viceversa, • il recupero di elementi di geometria piana nelle facce e spigoli di un poliedro, • la generalizzazione di un risultato. Il nucleo centrale del laboratorio è dato dall’osservazione e ricerca dei piani di simmetria di un cubo e di un parallelepipedo generico. Nella prima fase dell’attività gli studenti indagano l’azione dello specchio su diversi modelli di poliedri in legno. Individuato lo specchio come piano di simmetria, si cerca di familiarizzare con “l’idea” di piano di simmetria aiutandosi con un modellino di piano e di punti simmetrici. Si affronta, a questo punto, il problema dell’orientazione, portando lo studente a costruire un 73LaboratoriodiDidatticaeComunicazionedellaMatematica,http://r.unitn.it/it/maths/dicomatlab

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esperimento che permetta di verificare che lo specchio produce un’immagine che non è “sovrapponibile” con l’oggetto reale. Il passo successivo consiste nell’individuare tutti i piani di simmetria dei cubi mediante la richiesta di ricostruire un cubo completo, a partire da due “mezzi cubi” di legno, e di farlo nei vari modi possibili. La parte conclusiva, infine, consente di affrontare il caso generico di parallelepipedo, cogliendo analogie e differenze con il cubo. Si procede gradualmente affrontando prima il caso di un parallelepipedo rettangolo a base quadrata e poi il caso del parallelepipedo generico. Nei vari momenti del laboratorio gli specchi diventano un efficace strumento per sviluppare la capacità di visualizzare in tre dimensioni, arrivando fino a costruire contemporaneamente più piani di simmetria di un parallelepipedo, utilizzando più specchi disposti opportunamente. L’attività proposta è pensata per il terzo anno della SSPG durante la trattazione della geometria solida ed in particolare durante lo studio delle proprietà del cubo e del parallelepipedo. Risulta interessante anche nel primo biennio della Scuola Secondaria di Secondo Grado, con la possibilità di essere inserita all'interno di un percorso più ampio in cui si indaga come estendere le proprietà di simmetria dei poligoni ai poliedri, fino ad arrivare ai concetti di piano di simmetria, di centro di simmetria, di asse di simmetria e di asse di rotazione. Una descrizione corredata dalle schede di lavoro è disponibile sul sito del Laboratorio DiCoMat all'indirizzo: https://edulab.unitn.it/dicomat/geometria-ss-i-g/simmetrie/simmetrie-nello-spazio/ . Modalità di lavoro Attività di laboratorio organizzata in gruppi composti al massimo da quattro studenti. Il laboratorio si presta molto bene ad una modalità di lavoro di tipo cooperativo in quanto può prevedere la presenza di uno studente responsabile dei materiali, di uno responsabile dei tempi, di un verbalista, di un relatore. Alla fine di ogni attività proposta è sempre previsto un momento di rielaborazione a classe intera dove i ragazzi scambiano le loro osservazioni e il docente opera come mediatore, funge da stimolo al fine di portare gli studenti ad una conclusione corretta e condivisa. A seconda di come vengono gestiti i momenti di discussione e di approfondimento la durata può variare da quattro a sei ore. Fase 1 Si forniscono ad ogni gruppo alcuni poliedri e degli specchi come in Figura 1.

Figura 1 – Poliedri in legno utilizzati nella fase 1. Il primo obiettivo è quello di osservare l’effetto dello specchio: i ragazzi saranno portati a osservare che l’immagine riflessa non subisce deformazioni e che le lunghezze e gli angoli rimangono invariati. Sulla base di queste osservazioni si richiede di individuare i solidi che, collocati con la faccia appoggiata allo specchio, formano un cubo unendo l'immagine reale a quella riflessa. Può essere interessante e utile che gli alunni, prima di utilizzare gli specchi provino ad immaginare il

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solido finale ottenuto dall'unione del poliedro collocato allo specchio con quello riflesso e che possano quindi escludere a priori alcuni poliedri altamente improbabili. In Figura 2 alcuni esempi di solidi che si possono ottenere.

Figura 2 – Esempi di solidi allo specchio Gli studenti devono individuare i solidi che permettono di ricostruire il cubo, specificare la posizione rispetto allo specchio e giustificare le scelte fatte facendo riferimento alla definizione di cubo e utilizzando strumenti di misura quali righello e goniometro. Nella sperimentazione in classe si sono evidenziati due distinti modi di procedere: alcuni gruppi hanno stabilito a priori quali potevano essere i possibili solidi richiesti e hanno scartato quelli improbabili per poi passare alla verifica nella pratica. Altri, invece, sono partiti dalla sperimentazione concreta per passare successivamente ad una fase di riflessione. Una delle questioni interessanti che è emersa spontaneamente dagli alunni ha riguardato come sia possibile stabilire se quello che si ottiene unendo il poliedro reale e quello riflesso sia veramente un cubo. Questo dubbio ha portato i ragazzi a riflettere prima di tutto sul comportamento dello specchio e poi sulle proprietà del poliedro riflesso in relazione a quello reale. Avendo constatato che il poliedro riflesso presenta le stesse dimensioni di quello reale, gli allievi hanno misurato con il righello gli spigoli di alcuni solidi a loro disposizione. Dopo aver individuato i solidi richiesti, si passa alla loro rappresentazione su carta isometrica disegnandoli come parte del cubo intero (Fig. 3). Se nella fase di individuazione non si sono manifestati particolari problemi, è stato invece necessario dedicare molto tempo alla rappresentazione: gli studenti faticano non poco, infatti, a riprodurre graficamente figure solide. L’utilizzo della carta isometrica, che rende possibile il mantenimento del rapporto fra le misure, guida lo studente nel disegno. Questo strumento grafico è molto interessante, ma meno utilizzato di raffigurazioni tramite assonometria cavaliera.

Figura 3 – Rappresentazione tramite carta isometrica

La fase di disegno risulta fondamentale per permettere ai ragazzi di confrontare il modello reale tridimensionale con la sua rappresentazione bidimensionale nel piano, ponendo nuovamente attenzione alle proprietà del cubo.

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Dopo la fase di disegno, vengono poste alcune domande per puntare l’attenzione su quello che accade al solido quando viene riflesso e per capire cosa sia un piano di simmetria e come esso si comporti. In particolare si chiede di confrontare i due poliedri che vanno a formare il cubo, quello reale e quello riflesso. Ciò che deve essere messo in evidenza è che essi da una parte presentano alcune caratteristiche in comune, stessa forma e stesse dimensioni, dall’altra sono speculari uno rispetto all'altro. Questo aspetto è piuttosto difficile da comprendere e visualizzare, soprattutto non avendo a disposizione dei punti di riferimento sul poliedro di legno (a meno che non ci si concentri sulle venature del legno, quando questo è possibile). Consci delle possibili difficoltà che i ragazzi potrebbero incontrare nella visualizzazione della specularità, è stato predisposto un semplice esperimento che permette di chiarire quanto affermato. Messo un adesivo in prossimità di un vertice di una faccia, per avere un punto di riferimento, si osserva il solido allo specchio (vedi Fig. 4 parte sinistra). Per avere conferma del fatto che il solido e la sua immagine non sono “identici” (nel senso comune del termine), ma speculari, si possono prendere due parallelepipedi con evidenziato lo stesso vertice (vedi Fig. 4 parte destra) affinché gli studenti possano verificare che nessuna rotazione permette di ottenere il parallelepipedo riflesso.

Figura 4 – Confronto tra coppie di solidi speculari e non. Questo potrebbe essere il momento giusto per cercare delle analogie con le conoscenze pregresse dei ragazzi, sicuramente molto utile per il processo di apprendimento. Un confronto con quanto accade nel piano è possibile se ci si limita ad osservare l’effetto dello specchio su una faccia. Si possono così riprendere le simmetrie assiali nel piano, insieme al concetto di figure direttamente e inversamente congruenti. Partendo dalle osservazioni relative agli oggetti appoggiati allo specchio, si portano i ragazzi ad un’idea intuitiva di piano di simmetria. In particolare, facendo riferimento alle esperienze fatte, il piano di simmetria di un solido è visto come quel piano individuato dallo specchio che permette di ricostruirlo unendo parte reale e parte riflessa. Ancora una volta si indagano le analogie con l’asse di simmetria. Infine, per identificare i due tipi di piani di simmetria (si veda Fig. 3), gli studenti sono invitati a mettere in relazione i piani con i punti delle facce che intersecano: diagonali e assi. Nella sperimentazione in classe, alla domanda relativa a come siano il poliedro reale e quello riflesso, la maggior parte dei gruppi ha affermato che essi sono uguali. Si è reso pertanto necessario far riflettere i ragazzi su questo termine per esplicitare cosa essi intendessero. Dalla discussione guidata è emerso che i due poliedri presentano la stessa forma e le stesse dimensioni, da cui segue anche l'uguaglianza della superficie e del volume. Un gruppo ha, inoltre, accennato al fatto che i due poliedri in questione sono speculari o simmetrici, senza riuscire a esplicitare in modo preciso che cosa essi intendessero con questi termini. Per chiarire questo concetto, si è proposto l'esempio delle mani con i palmi che combaciano. Esse presentano la stessa forma, le stesse dimensioni, ma non sono “identiche”. Per esserlo sarebbe necessario scambiare la superficie anteriore, il palmo, con la superficie posteriore, il dorso. Una cosa analoga avviene per le due parti speculari del cubo. Si

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possono mettere in scena delle simulazioni di specchio con due ragazzi, uno di fronte all’altro, per facilitare ulteriormente la comprensione. Fase 2 La fase successiva consiste nell'individuazione di tutti i piani di simmetria del cubo. Si richiede che, prima di tutto, gli alunni elaborino una loro personale ipotesi a riguardo e che, solo in seguito, la verifichino utilizzando il materiale a disposizione. Per questo lavoro hanno a disposizione un cubo di cartoncino su cui possono rappresentare i piani da loro individuati. Ad ogni gruppo viene in seguito fornito il secondo kit contenente 3 coppie di parallelepipedi e 6 coppie di prismi a base triangolare come in Fig. 5. Tali poliedri devono essere assemblati lungo i piani di simmetria per formare i cubi. Per facilitare la comprensione, in corrispondenza della posizione in cui in precedenza era stato posizionato lo specchio, gli alunni potranno inserire dei cartoncini colorati come si può osservare nella Fig. 5. Siamo ben consci che il lavoro di astrazione richiesto all’inizio di questa fase può essere prematuro, ma in questo contesto l’errore o la risposta parziale diventano una risorsa e il materiale concreto (che richiede solo l’assemblaggio) uno strumento contemporaneamente di controllo e di apprendimento. L'utilizzo dei solidi in legno è senza dubbio uno strumento didattico utile poiché consente ai ragazzi di visualizzare contemporaneamente tutte le possibili configurazioni. Gli alunni scoprono in questo modo che i piani di simmetria del cubo sono 9, dei quali 6 passano per le coppie di spigoli opposti, mentre gli altri 3 passano per i punti medi di due spigoli opposti su due facce opposte.

Figura 5 – I nove piani di simmetria del cubo.

Dopo aver individuato tutti i piani di simmetria, essi devono essere rappresentati, utilizzando una serie di cubi in assonometria, predisposti su di una scheda. Gli alunni hanno, inoltre, in questo modo sulla scheda un resoconto di quanto fatto. Per fare un bilancio conclusivo, si chiede agli studenti di descrivere i piani di simmetria trovati e raggrupparli per “tipo” (passanti per le diagonali di facce opposte o passanti per i punti medi di spigoli opposti su facce opposte), spronandoli a giustificare il numero attraverso osservazioni geometriche (per esempio “i piani di simmetria che passano per la diagonale di facce opposte sono 6 perché sono 2 piani per ogni coppia di facce opposte, e le coppie di facce opposte sono 3). Nella sperimentazione in classe gli studenti si sono limitati ad individuare solamente 4 o 5 piani di simmetria, tenendo in considerazione soltanto la faccia superiore del cubo, o, al contrario, hanno contato più volte gli stessi piani, facendo ruotare il solido nello spazio e considerando due assi diversi per coppie di facce opposte. Grazie al supporto concreto costituito dai mezzi cubi in legno, i ragazzi si sono convinti che gli assi di simmetria sono esattamente nove. Il fatto di utilizzare questi

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oggetti si è rivelata una scelta adeguata sia in termini di miglioramento della comprensione e della visualizzazione, che in termini di coinvolgimento nell'attività. Fase 3 In questa fase si indaga la possibilità di estendere quanto appreso ad un generico parallelepipedo (in questo paragrafo lavoriamo solo con parallelepipedi retti). Visto che siamo partiti da un caso particolare, il cubo, si ritiene fondamentale dare la possibilità agli studenti di capire quanto il numero di piani di simmetria dipenda dalle caratteristiche del solido (in questo caso le facce). Essi devono cercare di individuare i piani di simmetria di un parallelepipedo e poi confrontare questo caso con quello del cubo. Si parte, prima di tutto, da un parallelepipedo con una sola coppia di facce quadrate per poi passare allo studio di un parallelepipedo con tutte le facce non quadrate. Si fornisce ad ogni gruppo un parallelepipedo concreto e viene chiesto, in base anche a quanto visto per il cubo, di individuare tutti i piani di simmetria e di rappresentarli sulla scheda a disposizione. La correttezza delle risposte viene, in seguito, verificata da ogni gruppo con lo specchio utilizzando i solidi in legno messi a disposizione, che corrispondo al parallelepipedo tagliato a metà in diversi modi. (Si veda Fig. 6) Nel caso in cui i ragazzi considerassero a priori anche il piano passante per le diagonali di due facce rettangolari opposte, lo specchio costituirebbe un ottimo riscontro per smontare tale ipotesi. È ancora un’occasione per riprendere il caso bidimensionale del rettangolo in cui le diagonali non sono, a differenza del quadrato, assi di simmetria. Gli studenti infine concludono che gli unici piani di simmetria del parallelepipedo a base quadrata sono i due passanti per le diagonali delle facce quadrate e i tre paralleli a facce opposte, come nel caso del cubo.

Figura 6 – Tre ricostruzioni allo specchio, utilizzando le metà fornite. La situazione è ancora leggermente diversa nel caso di un parallelepipedo generico avente tutte le facce non quadrate. Guidati anche dal percorso fatto fino a questo momento, i ragazzi sono portati a eliminare i piani che passano per le diagonali di facce opposte, individuando come piani di simmetria solo quelli passanti per i punti medi di due spigoli opposti su facce opposte. Nella sperimentazione in classe, avendo a disposizione un modello concreto di parallelepipedo e adattando opportunamente il ragionamento seguito per il cubo, la maggior parte degli studenti ha individuato correttamente i cinque piani di simmetria. Come previsto, alcuni hanno indicato erroneamente anche i piani passanti per le diagonali delle facce rettangolari: potendo utilizzare lo specchio e collocandolo in corrispondenza della diagonale, hanno potuto correggere la loro ipotesi. Ancora una volta si è potuto notare il legame fra il caso bidimensionale e il caso tridimensionale. Infatti la faccia eredita la simmetria assiale dalla simmetria piana del solido, quindi quando non c’è una simmetria per la faccia, non può esserci nemmeno per il solido. Fase 4 Quest’ultima fase può essere vista come un momento di rielaborazione finale che ripercorre quanto sviluppato durante l’attività.

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Si chiede di ricostruire un cubo partendo da un solido di legno ma usando più specchi contemporaneamente. Come durante tutta l’attività i ragazzi sono invitati prima a fare delle ipotesi e poi ad indagarle e verificarle con i materiali a disposizione del gruppo. E’ richiesto inoltre di mettere in relazione il solido di partenza con il cubo ottenuto e di indicare quante volte il solido usato (modulo) si ripete per completare l’immagine. La difficoltà sta nel riuscire a combinare le caratteristiche (lunghezza spigoli, ampiezza angoli…) dei solidi usati come modulo con l’effetto dei diversi piani di simmetria. Si parte dall’uso di un cubo come modulo. Sono necessari tre specchi per ricostruire un cubo: questo avrà lo spigolo doppio a quello di partenza e saranno necessari 8 cubi “iniziali” per ottenerlo. Gli specchi corrisponderanno ai tre piani di simmetria che passano per i punti medi di due spigoli opposti su due facce opposte. (Si veda Fig.7)

Figura 7-Ricostruzione di un cubo a partire da un cubo e da tre specchi. Nella sperimentazione in classe l’uso dei tre specchi non è immediato: i ragazzi sono abituati ad usare solo uno specchio alla volta, tutti i gruppi partono quindi ricostruendo un solido con due soli specchi ortogonali tra loro ed al piano di lavoro. L’analisi delle caratteristiche del solido ottenuto li porta a constatare di aver ottenuto un parallelepipedo a base quadrata con altezza pari a metà dello spigolo di base. Diventa necessario quindi l’uso di un terzo specchio. Le richieste successive possono variare sia nel numero di specchi che di cubetti. Analogamente si può lavorare con gli altri solidi utilizzati nelle attività sopradescritte, per ottenere un cubo, un parallelepipedo con due sole facce quadrate o un parallelepipedo con nessuna faccia quadrata. Si veda Fig. 8 a titolo di esempio.

Figura 8-Esempi di ricostruzioni con più specchi A fine laboratorio si prevede un momento di discussione di classe per arrivare alla condivisione del significato dell’espressione “il punto A è simmetrico del punto B rispetto a un piano” utilizzando il linguaggio della matematica, aiutandosi eventualmente con un modellino tridimensionale.

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Materiali necessari per realizzare il laboratorio Per ogni gruppo, oltre alle schede di lavoro:

• 6 poliedri di cui due, uniti all'immagine speculare, formano un cubo; • 3 specchi; • 1 cubo in cartoncino; • 12 poliedri ottenuti tagliando un cubo lungo le diagonali di due facce opposte; • 6 poliedri ottenuti tagliando il cubo lungo le mediane di due facce opposte; • 9 cartoncini colorati; • 1 parallelepipedo P con due sole facce quadrate; • 3 poliedri ottenuti tagliando P lungo la diagonale di due facce opposte e le mediane di due

facce opposte; • 1 parallelepipedo con tutte le facce non quadrate; • 8 cubetti.

Riferimenti bibliografici

TURRI F., 2016, La trattazione delle isometrie nella Scuola Secondaria di primo grado. Proposte didattiche laboratoriali: progettazione e realizzazione in alcune classi. Tesi di laurea, relatore prof. Roberto Pignatelli. Schede di lavoro: https://edulab.unitn.it/dicomat/geometria-ss-i-g/simmetrie/simmetrie-nello-spazio/ Ringraziamenti Si ringraziano il prof. Roberto Pignatelli del Dipartimento di Matematica dell’Università di Trento per il supporto scientifico; la prof.ssa Laura Maffei dell’I.C. di Villa Lagarina per aver contribuito con la sua sperimentazione, le laureande Letizia Corazzolla, Marzia Garzetti e Laura Trivellato per aver sperimentato e contribuito alla versione attuale delle schede di lavoro.