tuttolibri n. 1749 (22-01-2011)

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Turisti a Auschwitz? Il giorno della Memoria Salvare i lager dal tarlo della retorica, non coltivare il sentimento facile delle «gite scolastiche», ma incrementare la conoscenza, insegnare a vedere follia e orrore GIOVANNI TESIO Perché la memoria? Perché Auschwitz? Per rispon- dere a questi interrogativi mai esausti,nientedipiùtempestivo che Visitare Auschwitz, un libro che esce da Marsilio (pp. 340, e 18)echenasceinformadigui- da dall’officina di due studiosi e divulgatori della Shoah come Carlo Saletti e Frediano Sessi. Meno noto Saletti, anche se il suo nome corre tra i cultori del- la materia - da solo e in compa- gnia - in libri come Il cinema di fronte ad Auschwitz, La voce dei sommersi, Testimoni della cata- strofe.PiùnotoSessi,chehapor- tato in Italia per Einaudi l'edizio- ne definitiva del Diario di Anna Frank, ha curato l'edizione del Diario di David Sierakowiak, ha pubblicato da Rizzoli un prece- dente e grosso «invito» ad Au- schwitz, ha tradotto l'opera di Raul Hilberg, La distruzione de- gli ebrei d'Europa, ha scritto per ragazzi e per adulti, ha frugato angoli bui e riposti della storia d'Italia, cercando di portare a gallaunaveritàchesfuggeatut- ti gli usi meramente strumenta- li. E infine, lavorando perché la Shoah non venga dimenticata, si è interrogato sul valore della memoria, sulla sua natura com- plessaeproblematica. Il vostro è un libro che viene di lontano. «Direi proprio di sì. Nasce da un lavoro di sei anni e da una competenza scientifica sui ma- teriali di quello che chiamiamo complesso concentrazionario. Siamo partiti dalla consapevo- lezza che i viaggi della memo- ria puntano spesso sul senti- mento, sull’empatia, ma che così facendo non raggiungono lo scopo. Non il sentimento fa- cile, ma è la conoscenza che oc- corre incrementare». In un suo resoconto risalente a tre anni fa, «Domani niente scuola, un viaggio tra gli ado- lescenti raccontato da un ‘’infiltrato”», Andrea Bajani iniziava così un capitolo su dei ragazzi in visita a Mau- thausen: «Ho capito che un campo di sterminio nazista, in gita di classe, non si nega a nessuno». Voi parlate di «turismo della memoria», di «turismo concentraziona- rio». Soltanto ad Auschwitz 1.300.000 persone l'anno. «Nonostante i tanti limiti, re- sta un'utilità di fondo, e la gior- nata della memoria vi contri- buisce. Intanto perché ha favo- rito e favorisce la diffusione di pubblicazioni importanti an- che in Italia. E poi perché ha attivato molti istituti di storia e universitari sul tema della Seconda guerra, fascismo, Olocausto (vorrei ricordare ad esempio il bellissimo Ma- ster sulla didattica della Sho- ah a Roma Tre diretto da Da- vid Meghnagi). Certo le om- bre sono molte, perché a volte si fa di Auschwitz un luogo ce- rimoniale e retorico. Molti gli errori di prospettiva e diffusa l'incapacità di spingere a una riflessione sul presente». Comunque stiano le cose, Auschwitz resta l'universo concentrazionario più signifi- cativo. «Senza dubbio, perché racchiu- de in sé tutto l'universo concen- trazionario: un campo di lavoro coatto (Monowitz, che era poi il campo di Primo Levi), il campo di punizione e rieducazione (Au- schwitz1),ilcampodisterminio (Birkenau). E poi altri 47 sotto- campi. Un'estensione di ben 40 km quadrati. Nel pensiero nazi- sta, una vera e propria regione concentrazionaria.Manataper addizioni, piano piano, a poco a poco. Tutto questo dà l'idea di unamenteumanadeltuttonor- male. Non viene fuori il mostro, una facile scorciatoia che spo- sta Auschwitz - follia e orrore - sul piano dell’umana cattiveria. Se vedi solo il mostro, dici: co- m’è cattivo l'uomo. Se guardi al progresso dell’insieme ne inten- dimegliolacomplessità». Nelle note «sull’utilizzo del li- bro», voi parlate non solo di lettura lineare, ma anche di lettura rapsodica. Ciò signifi- ca che è possibile leggere an- che trasversalmente? «La prima parte ristabilisce il contesto (torno a ricordare che ciò che si vede oggi si è co- struito in diversi anni). Poi vie- ne la sezione specifica che ci permette di capire particolare per particolare quanto si vede. Ma alla fine si possono sceglie- re strade diverse. Noi abbiamo voluto fare il punto della ricer- ca a oggi mettendo a fuoco le varie letture possibili sul piano storico e archeologico. Poi, sul piano memoriale, abbiamo vo- luto sottolineare la necessità di ripensare Auschwitz nelle varie letture che emergono dai padiglioni nazionali». Ad esempio? «Ad esempio, il Belgio ha rifat- to già ben tre volte il suo padi- glione alla luce dei modelli di Con le recensioni e le classifiche dei bestseller Oggi tuttoLIBRI iPad Edition A cura di: LUCIANO GENTA con BRUNO QUARANTA [email protected] www.lastampa.it/tuttolibri/ p Carlo Saletti - Frediano Sessi p VISITARE AUSCHWITZ Guida all’ex campo di concen- tramento e al sito memoriale p Marsilio, pp. 336, e 18 p La guida si dipana in quattro se- zioni: la storia del luogo storico, il museo, il sito archeologico; le rappresentazioni, nella ricerca storica, nella fotografia, nel tea- tro, nella musica, nella letteratu- ra; la descrizione degli ambienti e i percorsi; la topografia. Per ogni sezione un ampio corredo di cartine e immagini, schede storiche e bibliografia. Continuaapag.II DIARIO DI LETTURA Il Preside dei Librai Achille Mauri e la «sua» Scuola BAUDINO P. XI OgniannoarrivanoadAuschwitz1.300.000visitatori,dicuipiùdi60miladall’Italia: inmaggioranzastudentieinsegnantiin«gitascolastica» Frediano Sessi NUMERO 1749 ANNO XXXV SABATO 22 GENNAIO 2011 BOLANO Nel buco nero della Guerra Il Terzo Reich come videogame VOLTOLINI P. IV BIOGRAFIA Il Centauro Solzenicyn Una vita sempre contro il potere CAPRIOGLIO P. VIII TUTTOLIBRI LA STAMPA VIDEOINTERVISTA Mastandrea e Abate: scusate se siamo malati LA MEMORIA Vasco Pratolini a vent’anni dalla scomparsa tutto LIBRI «LiberarelaStoria da tutte le ipoteche oincrostazionidivolta involtapolitiche, ideologiche,religiose» A colloquio con Frediano Sessi, che ora ha scritto conCarlo Saletti una guida all’ex campo diconcentramento p NUTO REVELLI Il nemico è l’ignoranza Discorso ai giovani e altri scritti inediti P. VI IL COMODINO Emma Bonino, la lettura è radicale I R

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Page 1: Tuttolibri n. 1749 (22-01-2011)

Pagina Fisica: LASTAMPA - NAZIONALE - I - 22/01/11 - Pag. Logica: LASTAMPA/TUTTOLIBRI/01 - Autore: MARGAL - Ora di stampa: 21/01/11 20.40

Turistia Auschwitz?

Il giorno della Memoria Salvare i lager dal tarlo della retorica,non coltivare il sentimento facile delle «gite scolastiche»,ma incrementare la conoscenza, insegnare a vedere follia e orrore

GIOVANNITESIO

Perché la memoria?Perché Auschwitz? Per rispon-dere a questi interrogativi maiesausti, niente di più tempestivoche Visitare Auschwitz, un libroche esce da Marsilio (pp. 340,€ 18) e che nasce in forma di gui-da dall’officina di due studiosi edivulgatori della Shoah comeCarlo Saletti e Frediano Sessi.Meno noto Saletti, anche se ilsuo nome corre tra i cultori del-la materia - da solo e in compa-gnia - in libri come Il cinema difronte ad Auschwitz, La voce deisommersi, Testimoni della cata-strofe. Più noto Sessi, che ha por-tato in Italia per Einaudi l'edizio-ne definitiva del Diario di AnnaFrank, ha curato l'edizione delDiario di David Sierakowiak, hapubblicato da Rizzoli un prece-dente e grosso «invito» ad Au-schwitz, ha tradotto l'opera diRaul Hilberg, La distruzione de-gli ebrei d'Europa, ha scritto perragazzi e per adulti, ha frugatoangoli bui e riposti della storiad'Italia, cercando di portare a

galla una verità che sfugge a tut-ti gli usi meramente strumenta-li. E infine, lavorando perché laShoah non venga dimenticata,si è interrogato sul valore dellamemoria, sulla sua natura com-plessa e problematica.

Il vostro è un libro che vienedi lontano.

«Direi proprio di sì. Nasce daun lavoro di sei anni e da unacompetenza scientifica sui ma-teriali di quello che chiamiamocomplesso concentrazionario.Siamo partiti dalla consapevo-lezza che i viaggi della memo-ria puntano spesso sul senti-mento, sull’empatia, ma checosì facendo non raggiungonolo scopo. Non il sentimento fa-cile, ma è la conoscenza che oc-corre incrementare».

In un suo resoconto risalentea tre anni fa, «Domani nientescuola, un viaggio tra gli ado-lescenti raccontato da un‘’infiltrato”», Andrea Bajaniiniziava così un capitolo sudei ragazzi in visita a Mau-thausen: «Ho capito che uncampo di sterminio nazista,in gita di classe, non si negaa nessuno». Voi parlate di«turismo della memoria», di«turismo concentraziona-rio». Soltanto ad Auschwitz1.300.000 persone l'anno.

«Nonostante i tanti limiti, re-sta un'utilità di fondo, e la gior-nata della memoria vi contri-buisce. Intanto perché ha favo-rito e favorisce la diffusione dipubblicazioni importanti an-

che in Italia. E poi perché haattivato molti istituti di storiae universitari sul tema dellaSeconda guerra, fascismo,Olocausto (vorrei ricordaread esempio il bellissimo Ma-ster sulla didattica della Sho-ah a Roma Tre diretto da Da-vid Meghnagi). Certo le om-bre sono molte, perché a voltesi fa di Auschwitz un luogo ce-rimoniale e retorico. Molti glierrori di prospettiva e diffusal'incapacità di spingere a una

riflessione sul presente».Comunque stiano le cose,Auschwitz resta l'universoconcentrazionario più signifi-cativo.

«Senza dubbio, perché racchiu-de in sé tutto l'universo concen-trazionario: un campo di lavorocoatto (Monowitz, che era poi ilcampo di Primo Levi), il campodi punizione e rieducazione (Au-schwitz 1), il campo di sterminio(Birkenau). E poi altri 47 sotto-campi. Un'estensione di ben 40

km quadrati. Nel pensiero nazi-sta, una vera e propria regioneconcentrazionaria. Ma nata peraddizioni, piano piano, a poco apoco. Tutto questo dà l'idea diuna mente umana del tutto nor-male. Non viene fuori il mostro,una facile scorciatoia che spo-sta Auschwitz - follia e orrore -sul piano dell’umana cattiveria.Se vedi solo il mostro, dici: co-m’è cattivo l'uomo. Se guardi alprogresso dell’insieme ne inten-di meglio la complessità».

Nelle note «sull’utilizzo del li-bro», voi parlate non solo dilettura lineare, ma anche dilettura rapsodica. Ciò signifi-ca che è possibile leggere an-che trasversalmente?

«La prima parte ristabilisce ilcontesto (torno a ricordareche ciò che si vede oggi si è co-struito in diversi anni). Poi vie-ne la sezione specifica che cipermette di capire particolareper particolare quanto si vede.

Ma alla fine si possono sceglie-re strade diverse. Noi abbiamovoluto fare il punto della ricer-ca a oggi mettendo a fuoco levarie letture possibili sul pianostorico e archeologico. Poi, sulpiano memoriale, abbiamo vo-luto sottolineare la necessitàdi ripensare Auschwitz nellevarie letture che emergono daipadiglioni nazionali».

Ad esempio?«Ad esempio, il Belgio ha rifat-to già ben tre volte il suo padi-glione alla luce dei modelli di

Con le recensioni e le classifiche dei bestseller

Oggi

tuttoLIBRIiPad Edition

A cura di:LUCIANO GENTAcon BRUNO QUARANTA

[email protected]/tuttolibri/

pp Carlo Saletti - Frediano Sessip VISITARE AUSCHWITZ

Guida all’ex campo di concen-tramento e al sito memorialep Marsilio, pp. 336, € 18p La guida si dipana in quattro se-

zioni: la storia del luogo storico,il museo, il sito archeologico; lerappresentazioni, nella ricercastorica, nella fotografia, nel tea-tro, nella musica, nella letteratu-ra; la descrizione degli ambientie i percorsi; la topografia. Perogni sezione un ampio corredodi cartine e immagini, schedestoriche e bibliografia.

Continua a pag. II

DIARIO DI LETTURA

Il Presidedei LibraiAchille Maurie la «sua» ScuolaBAUDINO P. XI

Ogni anno arrivano ad Auschwitz 1.300.000 visitatori, di cui più di 60 mila dall’Italia:in maggioranza studenti e insegnanti in «gita scolastica»

Frediano Sessi

NUMERO 1749ANNO XXXVSABATO 22 GENNAIO 2011

BOLANO

Nel buco nerodella GuerraIl Terzo Reichcome videogameVOLTOLINI P. IV

BIOGRAFIA

Il CentauroSolzenicynUna vita semprecontro il potereCAPRIOGLIO P. VIII

TUTTOLIBRI

LASTAMPA

VIDEOINTERVISTA

Mastandreae Abate: scusatese siamo malati

LA MEMORIA

Vasco Pratolinia vent’annidalla scomparsa

tuttoLIBRI

«Liberare la Storiada tutte le ipotecheo incrostazioni di voltain volta politiche,ideologiche, religiose»

A colloquio con FredianoSessi, che ora ha scrittocon Carlo Salettiuna guida all’ex campodi concentramento

p

NUTO REVELLI

Il nemico èl’ignoranzaDiscorso ai giovanie altri scritti inediti P. VI

IL COMODINO

Emma Bonino,la letturaè radicale

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Page 2: Tuttolibri n. 1749 (22-01-2011)

Pagina Fisica: LASTAMPA - NAZIONALE - II - 22/01/11 - Pag. Logica: LASTAMPA/TUTTOLIBRI/02 - Autore: ARCVIT - Ora di stampa: 21/01/11 20.29

A mani alzatecontro i nazisti

MARCOBELPOLITI

Tutti conoscono la ce-lebre fotografia scattata nel1943 nel ghetto di Varsavia,espugnato dalle SS comandatedal generale Stroop: il bambi-no con le mani alzate che prece-de un gruppo di donne e bambi-ni sorvegliati dai soldati tede-schi. Si tratta di un oggetto no-made che per oltre sessant’an-ni si è palesato davanti agli oc-chi degli abitanti del VecchioContinente, e non solo loro, fi-no a diventare in assoluto la piùfamosa icona dell’Olocausto. Iprimi a vederla sono stati gliestensori del rapporto cui loscatto, realizzato da un fotogra-fo tedesco, era destinato: i su-periori di Stroop e Himmler.Volevano mostrare la repres-sione dell’insurrezione ebrai-ca.

Frédéric Rousseau ha rac-contato in un libro importante,Il bambino di Varsavia, la storiadi questa icona, partendo dalledue copie del rapporto soprav-vissute dopo la guerra, e diven-tate una prova nel processocontro il generale delle SS.Una storia complessa.

Nella prima parte del sag-gio Rousseau ricostruisce le vi-cende dello scatto. Un lavoroesemplare; tuttavia è la secon-da parte del libro a essere parti-colarmente interessante: un ve-ro e proprio saggio sull’uso poli-tico delle immagini. Come eperché è accaduto che l'imma-gine del bambino sia divenutal'icona dello sterminio ebraico,una delle immagini più «viste»

della seconda metà del Nove-cento? Non c’è dubbio, il bambi-no al centro dell’istantanea bu-ca l'inquadratura e chiunque laguardi è attirato della sua figu-ra. Ma com’è possibile che i na-zisti, che l'avevano scelta perl'album, non si siano resi contodel suo valore iconico? Bastache un’immagine sia straordi-naria perché s'imponga all'at-tenzione di tutti? Ogni fotogra-fia dipende sempre dal conte-sto culturale in cui è guardata;tanto è vero che l'autore ci ram-menta come questa foto fosseconsiderata dalle SS una delleimmagini più naziste dell’al-bum; e non è stata neppure sti-mata un documento su cui ba-sare l'accusa contro i nazistinei tribunali.

Dopo la fine del conflittomondiale, lo spazio della memo-ria è stato occupato dai resi-stenti, dai combattenti politici.La loro memoria ha costituitola base della prima memoriadei campi. Primo Levi lo spiega-va molto bene già nel 1955, inun articolo apparso in una rivi-sta torinese; anche la pubblica-zione di Se questo è un uomo hasubito le conseguenze della me-moria resistenziale, per quan-to il libro del chimico torinese

fosse già universale: non è dedi-cato solo alla memoria del solosterminio ebraico. In Francia,punto di osservazione dell’auto-re, dopo la guerra si «voleva vive-re nel tempo degli eroi e in quellodelle vittime». Le vittime sono, al-meno sino agli Anni Sessanta, gliebrei che si sono lasciati deporta-re senza ribellarsi. Eppure l'im-magine di Varsavia è quella di ungruppo di rastrellati dentrol'eroica rivolta del ghetto ebrai-co.

Per lungo tempo in Israele ci

si è vergognati dello sterminio; ilpunto di svolta, si è soliti sostene-re, avviene con il processo Eich-mann. Rousseau insegue la foto-grafia tra studi, copertine, film,documentando come l'incrinatu-ra del mito dei combattenti anti-nazisti abbia aperto la strada all'icona del bambino. Un processolungo che si compie per vie e luo-ghi diversi, a partire da un librodi Gerhard Schoenberner, Lastella gialla, del 1960.

Il cambiamento di paradig-ma è evidente: in primo piano èora l'emotività, e il bambino èperfetto per incarnarla. A Rous-seau interessa comprendere co-me dall’icona Anna Frank, cheha segnato gran parte del dopo-guerra, sino agli Anni Settanta,si è passati a quella del bambinodi Varsavia attraverso un viag-gio carsico che si incrocia con iproblemi politici di Israele, ilcambio del paradigma dello ster-minio legato alle guerre medio-rientali e alla necessità dello Sta-to ebraico di rompere un accer-chiamento che non è solo milita-re. Nel 1987, poi, la foto del bim-bo appare isolata dal contesto:un simbolo. E dopo Srebrenica,nel luglio 1995, è al centro della

bandiera stellata della ComunitàEuropea; è diventata il testimo-ne universale delle vittime dellaShoah, e non solo.

L'immagine si è slegata total-mente dalla storia specifica delsuo soggetto. Questo procede dipari passo col cambiamento del-l’atteggiamento culturale versol'infanzia, e in particolare quellamaltrattata. Anche il Vietnam,la foto della bimba nuda che cor-re in primo piano dopo un bom-bardamento americano al na-palm, contribuisce al cambio dilettura. La forza della foto stanella sua capacità di comunicarel'enormità del crimine senza mo-strarlo: permette di immaginar-lo. Ora siamo entrati nell’età del-la vittima. La vittimizzazione di-

venta il paradigma dominante, enon solo rispetto alla Shoah, main ogni questione politica e socia-le; è il cuore stesso della nuovamemoria collettiva, dell’immagi-nario sociale.

La pedagogia attraverso l'or-rore è stata sostituita dalla peda-gogia attraverso l'emozione:«ora il cuore è il solo a essere toc-cato». L'immagine del rastrella-mento nazista ha cessato di esse-re un documento, di appartene-re a un archivio. Ogni memoria èil prodotto di una costruzione: so-ciale, culturale e politica. Una vi-cenda che fa riflettere sul nostromodo di pensare il rapporto colpassato, quello più tragico e diffi-cile da dimenticare.

L’icona Il fanciullo nel ghetto di Varsavia,storia di una fotografia a lungo sottovalutata

“Lentamentetrascinativerso il gorgo...”

ELENALOEWENTHAL

La storia esige aridecifre. E’ giusto che sia, ma a vol-te terribile. «Il dato storico con-diviso dai ricercatori è noto sol-tanto da una ventina d'anni(non superiore a 150.000 com-plessivo, di cui 110.000 ebrei),seppure il dibattito sui numerisi debba considerare ancoraaperto». Si parla di Auschwitz:cioè dei corpi - o «pezzi», come lichiamavano i tedeschi - passatiper le canne fumarie dei fornicrematori. Quanto è assurdaquella parentesi con la sua pic-cola figura retorica - «non supe-riore», che sta per: «così o forsemeno, ma certo non di più». Equanta rabbia viene, subito do-po, digitando o leggendo quellainterminabile sequenza di zeriche parlano di vite e di morti.

Allora, al di là degli aridi nu-meri di una ricerca storica che

Frediano Sessi riassume nellanota editoriale a Qui non ci sonobambini. Un’infanzia ad Au-schwitz, ha ragione Thomas Gee-ve quando parla di «milioni» divittime. Perché se i numeri rac-contano una verità, Thomas neha un'altra - che è la stessa, mavista con occhi umani e non at-traverso aride cifre. Perché adAuschwitz Thomas ha vissuto,se così si può dire, dal 29 giugnodel 1943 sino al gennaio del 1945,quando il campo viene evacuato.A Buchenwald riesce a nascon-dersi per evitare un'altra mar-cia di morte. E' uno dei novecen-totré bambini e adolescenti cheescono vivi da quel campo.

Ad Auschwitz Thomas, cheera nato nell'ottobre del 1929 aStettino, sulle rive del Baltico,vede «milioni di morti». Ad Au-schwitz e altrove. La sua veritàè quella che s'incontra nel buiodel memoriale ai bambini, den-tro la Yad Vashem a Gerusa-lemme. Dopo un breve tunnel,ecco una minuscola candela cherespira la sua fiammella. Null'al-tro, se non la candelina e il buio.In un moltiplicarsi di rifrazioni,quell’unica fiammella diventa in-finiti punti di luce negli specchiche riflettono il buio. Il visitato-re passa attraverso queste luci,che sono una soltanto eppuremilioni, e intanto una voce scan-disce nomi, date, luoghi. Sono ilmilione e mezzo di bambini ster-minati nella Shoah. La voce cimette anni, per finire quell’elen-co. Questa, è la verità dei nume-ri e degli occhi di Thomas.

Il lettore li incontra, quegliocchi, a pagina 4 del suo libro.Sono vispi e allegri come quellodi un adolescente solare (sì, esi-stono anche così), sopra unachiostra di denti un po’ spropor-zionati. La foto è del 1945, ed èstata scattata in un convalescen-ziario svizzero. Thomas sta scri-vendo a suo padre (anche se perun attimo alza lo sguardo dal fo-glio), che è scampato alla Shoahperché viveva in Inghilterra. E'per raccontare a lui l'esperienzadel campo di sterminio - dove èsopravvissuto alle camere a gassolo perché al suo arrivo all'in-

ferno dimostrava quindici anni in-vece di tredici - che subito dopo laliberazione si è messo a lavorarecon le matite. Settantanove «dise-gni miniaturizzati a colori, delledimensioni di una cartolina», perillustrare la vita laggiù. Sono unritratto dalla precisione strabi-liante, corredato di parole, spiega-zioni, didascalie piene di intelli-genza e curiosità, malgrado tutto.

Raccontano Auschwitz conuna forza strana, forse incom-prensibile all'età adulta che non èpiù capace di guardare così allecose, brutte o belle che siano. Po-trebbe sembrare inadeguato «di-segnare» Auschwitz e quel male.

Invece non lo è, così come non lo èraccontare Anne Frank attraver-so i fumetti: Anne Frank. La bio-grafia a fumetti di Sid Jacobson eErnie Colón è anch'esso un libropieno di quella verità tremendaper la quale le parole sembranotante volte inadeguate, per non di-re mute. Sembra davvero impos-sibile riuscire ancora a dire qual-cosa su Anne. A raccontare dopoche lei ha raccontato se stessa neldiario. Eppure questo fumetto hauna forza originale, un'immedia-tezza che ce la fa tornare quasi da-vanti agli occhi. I colori delle sce-ne dentro l'appartamento nascon-diglio, le espressioni sui visi, il rit-mo della narrazione che dentro ifumetti è necessariamente serra-

to: tutto aiuta il lettore a sentirsilì, in quello spazio angusto e inquel tempo tremendo.

Thomas e Anne sono fra i mi-lioni di bambini passati per la Sho-ah. Rappresentano la sfida più in-comprensibile, perché non c'è nul-la che spieghi il loro destino. Au-schwitz resta un buco nero, nonsolo della storia ma anche della ra-gione, dell’umanità intera. Peròsono soprattutto i bambini a gri-dare questo scandalo, dal fondodel loro silenzio di morte. Tho-mas, invece di gridare, raccontacon la matita, correda i suoi dise-gni di quel lessico di morte. «Ab-becedario di Auschwitz. Comin-cia con A di appello, B come bloc-co, C come capò e termina con Vcome Vorarbeiter (caposquadra),W come Waschraum (lavatoio) eZ come Zaun (reticolato). Per meche indossavo la divisa a righe,quelle parole sono state tutta lamia vita durante i ventidue mesipassati a Birkenau, Auschwitz 1,Gross-Rosen e Buchenwald».

I RICORDI DI DUE TRIESTINE E IL LIBRO DEI DEPORTATI

Dalla Risiera al lager= Dalla Risiera di San Sabba ad Auschwitz. Aveva 17 anni,Marta Ascoli, triestina, quando fu deportata. Si racconta inAuschwitz è di tutti (Rizzoli, pp. 80, € 8,50). «...Solo dopolunga maturazione sono riuscita ad affrontare questoargomento». Sul filo della memoria, anche casa Mursia:Anna Di Gianantonio ha scritto la biografia della primastaffetta partigiana d’Italia, anche lei triestina e deportata adAuschwitz: Ondina Peteani (pp. 274, € 17). Sempre daMursia, terzo volume del Libro dei deportati. La galassiaconcentrazionaria SS 1933-1945 (pp. 872, € 45), curato daBrunello Mantelli e Nicola Tranfaglia, voluto da Bruno Vasari.

RICORDI DA GERUSALEMME

L’amica di Anna= «Il 27 novembre 1943 Anna Frank scrisse di menel suo diario. Si chiedeva: perché mai sopravviveredovrei essere stata scelta io (Anna Frank) e non lei(Hannah Gosler)? Per ironia della sorte accadde ilcontrario»». Emigrò a Gerusalemme nel 1947,Hannah Goslar, l’amica di Anna Frank. Alison LeslieGold l’ha incontrata nel 1993 a Gerusalemme,raccogliendone le memorie, ora riproposte da Rizzolinella BurRagazzi: Mi ricordo Anna Frank (pp. 150,€ 7,50). Postfazione di Antonio Faeti:«La memoria,solo lei, tiene lontani i carnefici del futuro».

Testimoni Diari e lettere dal ’38al ’45: le voci italiane della Shoah

In un quaderno condisegni di strabilianteprecisione raccontòal padre la vitaquotidiana del lager

GIOVANNI TESIO

Tra chi non ce la feceAnna Frank, rievocatain una biografiaa fumetti pienadi tremenda verità

Il sopravvissuto Thomas Geve, tra le poche centinaia di minoriscampati alle camere a gas, dopo aver visto milioni di morti

TRA INFANZIAE ADOLESCENZA

Negli occhi dei ragazzi= Buco nero: una sorta di supercalamita che risucchia einghiotte senza scampo. E' contro uno di quei mostri lì, anziproprio contro il «campo» emblema dello sterminio degliebrei perpetrato dai nazisti che punta l'indice Le Valigie diAuschwitz della giornalista Daniela Palumbo, vincitore delPremio Battello a Vapore 2010 (Piemme, pp. 172, € 11). Levaligie sono quelle dei deportati in arrivo e subito avviati alla«doccia al gas», ancora accatastate nella stanza 4 del blocco5. Tra le generalità scritte su quei «contenitori di speranza,della speranza che dopo l'andare ci fosse il tornare», spiccano inomi di quattro bambini: il milanese Carlo, che di cognome fa

De Simone e viene perciò espulso dalla scuola; la tedescaHannah così amorevole con il fratellino Jakob, un «minorato»per la Gestapo che lo elimina prima di deportare lei; lafrancese Emeline, che fa amicizia con un barbone per potergiocare nel parco vietato agli ebrei; il polacco Dawid, chiuso inuno scantinato del ghetto di Varsavia con il suo inseparabileviolino nel vano tentativo di scamparla. Storie diverse maconvergenti nello stesso buco nero che Daniela narraintingendo la penna nel campionario tristemente risaputo dimeschinità innescate dalle Leggi Razziali, dalla delazione aldisprezzo per qualsivoglia «diverso», ma anche nel repertorioaltrettanto noto di solidarietà encomiabili quanto rischiosecome «accettare di macchiarsi di un'infamia, prendendosi incasa quei parassiti puzzolenti degli ebrei», nel dipanarsi di un

fertile racconto di formazione per i preadolescenti.Lo è invece per i bambini Storia di Vera (San Paolo, pp.40,€ 12), tratteggiata in punta di penna e con levigateillustrazioni da Gabriele Clima, «voce» della piccola deportatache rimugina: «Eravamo lì perché eravamo diversi dagli altri,ma stavamo tutti insieme e quando si sta insieme non contadove sei, è come essere a casa». Ma non può esserlo davverose la casa è una baracca dentro un campo di sterminio dove,nonostante i patimenti, Vera sogna di regalare pezzetti delsuo cuore ai soldati disumani «perché ce l'abbiano ancheloro». In attesa che altri soldati «con una grande stella rossasopra la fronte» arrivino a disarcionarli e a distribuire acqua ecoperte. Ferdinando Albertazzi

UN’INTERVISTA DEL 1983

Primo Levi, ex deportato= «Ma io non riesco ad accettare la tesi marxista delnazismo frutto della lotta di classe, era troppo, troppopeculiare, peculiare il comportamento del popolo tedesco epeculiare la persona di Hitler». Einaudi riscopre l’Intervista aPrimo Levi, ex deportato, a cura di Anna Bravo e FedericoCereja (pp. 93, € 10), risalente al 1983. «Chi sopravviveva aiprimi giorni - diceva Levi - finiva con l’imparare che ... lacorruzione era dominante». Nella sua postfazione AnnaBravo riflette sull’uso e l’abuso della «zona grigia», concettospesso frainteso o addomesticato, contraddicendol’argomentare di Levi, «limpido, diretto, preciso».

pp Thomas Gevep QUI NON CI SONO BAMBINI

Un'infanzia ad Auschwitzp trad. di Margerita Bottop Einaudi, pp. 187, € 24

pp Sid Jacobson - Ernie Colónp ANNE FRANK

La biografia a fumettip trad. di Vincenzo Filosap Rizzoli Lizard, pp. 150, € 16

pp Frédéric Rousseaup IL BAMBINO DI VARSAVIA

Storia di una fotografiap trad. di F. Grillenzonip Laterza, pp. 201, € 18

pp M. Avagliano - M. Palmierip GLI EBREI SOTTO

LA PERSECUZIONE IN ITALIADiari e lettere 1938-1945p Einaudi, pp. 388, € 15

La celebre fotografia scattata nel 1943 nel ghetto di Varsavia per le SS tedesche

Una tavola da «Anne Frank. La biografia a fumetti» scritta e disegnatada Sid Jacobson e Ernie Colón, in uscita da Rizzoli Lizard

Segue da pag. I

Un bambino che non èpassato per il camino

A sinistra, Thomas Geve a 15 anni, nel 1945. Qui sopra «Desenfektion» uno dei suoi disegni tratti da«Qui non ci sono bambini». Copy Collection of the Yad Vashem Art Museum, Jerusalem. Gift of the artist

«24 luglio 1938 sera...Non scrivere signifi-ca forse non vivere?

Non posso dire di aver vissu-to e di vivere, giorno per gior-no, in piena consapevolezzadella loro importanza storicagli avvenimenti che si sonosvolti in questi ultimi mesi eche si stanno svolgendo. Nul-la è più triste di dover assi-stere così, come inerti spetta-tori agli atti di un dramma dicui non sappiamo ancoraquanto sia lontano il tragicoepilogo: tanto più quando siha la sensazione di esserelentamente trascinati versoun gorgo che finirà per tra-volgere anche noi».

Gualtiero Cividalli, autoredi queste righe, era reducedella Grande Guerra, Croceal merito. E’ morto in Israelenel 1997, dove si rifugiò conla famiglia all’indomani delleleggi razziali, poche settima-ne dopo la data che portanoqueste parole.

Parole? Di più. Come tuttele altre di questo libro impor-tante - Gli ebrei sotto la perse-cuzione in Italia, che racco-glie diari e lettere scritti frail 1938 e il 1945 -, sono qualco-sa di più. Voci vive, forti. Vo-ci lucide e terribilmente pro-fetiche anche quando sem-brano ancora velate di illusio-ni. «Sul terreno logico tuttociò è assurdo, contradditto-rio, quasi ridicolo per la suainconsistenza; gli uomini bi-sognosi di chiarezza logica siangustieranno di non poterereplicare e confutare; manon si tratta evidentementedi convincere nessuno» scri-ve qualche giorno più tardiVittorio Foa, provando a im-maginare l’imminente espul-sione degli ebrei dal tessutocivile, sociale e culturale delPaese.

Dopo una lunga introdu-zione che è di fatto una storiadella persecuzione antiebrai-ca in Italia, i curatori MarioAvagliano e Marco Palmieriorganizzano il ricco materia-le di testimonianze in un ordi-ne cronologico che è un’incal-zante, tremenda discesa ver-so l’orrore. Sempre peggio,sempre più. Il tempo e la vec-chiaia si portano via le vocidei nostri testimoni, ma que-ste lettere, queste pagine didiario hanno una forza vivache strazia. E’ vero, per gliebrei italiani emancipati difresco ed entrati nella vitadel paese con uno slancio eun entusiasmo creativo pro-rompente, le leggi razziali fu-rono come un fulmine a cielsereno. Le deportazioniun’impossibile assurdità. Ep-

pure qui, fra queste pagine,serpeggia una lucidità terribi-le di fronte agli eventi. Accom-pagnata da una tenace ostina-zione a parlarne, che era forseun modo per non rassegnarsia quel male ormai inevitabile,contro il quale non esistevanodifese.

Molte di queste voci non so-no più tornate di laggiù: «So-no stato condannato alla fuci-lazione senza avere potuto di-fendermi», Ferruccio Valo-bra, 22 aprile 1944. I pochi tor-nati hanno in cuore tanto pe-

so: «Ora che siamo salvi non cisentiamo davvero felici», Ma-rio Teglio.

Sono tante, queste voci vi-ve ormai soltanto negli occhidi chi legge, nella forza delleloro parole. Nella continuitàdella lettura prende voltouna storia collettiva che tuttele racchiude, e non solo. Per-ché è proprio ascoltandoleuna dopo l’altra, queste vociitaliane dalla Shoah, che nonsi può fare a meno di pensare,di sentire che questa storiadeve essere di tutti, nessunoescluso. Che non è la «loro»,delle vittime, dei loro discen-denti, degli ebrei di ieri e dioggi. Tutti vi appartengono,nei silenzi e nel tempo passa-to, nelle colpe e nel dolore:nessuno ha il diritto di chia-marsene fuori.

Elena Recanati, di ritornoda Auschwitz, 30 ottobre1945: «Fame, botte, freddo,fango, paglia sudicia, contatticon gente perfida, abbruttitadalle privazioni, inferocita dal-la fame, appelli interminabili,febbre, le prime piaghe inco-minciavano a farmi soffri-re...». Questo, è stato. [E. L.]

«CrossedOut»,

un olio su teladel 2007

di Samuel Bak,ispiratoalla foto

del bambinodi Varsavia:l’immagine è

tratta dal librodi Rousseau

edito daLaterza

La sua forza sta nellacapacità di comunicarel’enormità del criminesenza mostrarlo:è la pedagogia del cuore

«Gli ebrei sottola persecuzionein Italia»: una forzaviva che strazia,una lucidità terribile

p

Il saggio di Rousseauintorno all’immaginescattata per le SSnel ’43, diventata la piùfamosa dell’Olocausto

Bambini a Terezín

Il giorno della Memoria: StorieIITuttolibri

SABATO 22 GENNAIO 2011LA STAMPA III

Turistiad Auschwitzoltre il facilesentimento

memoria e ai cambiamentiche si sono succeduti nel tem-po. I padiglioni dei Paesi co-munisti prima del crollo delMuro di Berlino enfatizzava-no soprattutto la forza anti-nazista del comunismo. L'Au-stria si presentava come vitti-ma del nazismo escludendoogni intenzione collaborazio-nista. Per chiudere, il padi-glione dell’Italia - molto lacu-noso ed emozionale - non èmai stato aggiornato. Se nonsi tiene conto di come le me-morie si sono depositate etrasformate, il rischio è di de-formare la prospettiva. Nonsolo archeologia e storia dun-que, peraltro importantissi-me, ma anche riflessione sul-le trasformazioni della me-moria».

Lei vuole dire che si può re-stare prigionieri della me-moria?

«Certo. Così come si può es-sere prigionieri della retori-ca. La memoria diventa unabuso. Non un'elaborazione,ma la conseguenza di un di-scorso che nega la responsa-bilità. Nel capitolo“Controversie e dispute me-moriali” cerchiamo di fareappunto questo: liberare ladocumentabilità storica datutte le ipoteche o incrosta-zioni di volta in volta ideologi-che, politiche, religiose».

Resta che questo vostro li-bro mira a essere una gui-da, ricco com’è di cartine,di siti, di percorsi.

«Certo. Perché un luogo di-venti parlante occorre cono-scere e saper vedere. Soprat-tutto saper vedere dove ades-so c'è il vuoto, dove le mace-rie e le pietre non parlano.Prendiamo il bosco di betulledi Birkenau. Quello è un luo-go di tranquillità e di silenzio,dove spesso gli studenti e gliinsegnanti fanno una pausa.Ma i laghetti e gli stagni sonole fosse comuni degli ebreibruciati e il bosco di betulleera il luogo di attesa dove in-tere famiglie di ebrei indugia-vano prima del Crematorio 4e 5. Occorre vedere anche nelvuoto e nel silenzio».

C'è una stagione più adat-ta per visitare Auschwitz?

«L'inverno è la stagione peg-giore, perché tutto è copertoda una coltre di neve e dighiaccio. Meglio la primave-ra e l'autunno».

È provocatorio se penso an-cora a Bajani che scrive:«Un'oretta e mezza di ge-nocidi, guerra, scheletri,morti ammazzati, folliaomicida, e se non c'è traffi-co alle undici saremo a Fi-renze»?

«Certo è molto deludente.Ma proprio per questo abbia-mo scritto la guida».

Primo Levi

Page 3: Tuttolibri n. 1749 (22-01-2011)

Pagina Fisica: LASTAMPA - NAZIONALE - III - 22/01/11 - Pag. Logica: LASTAMPA/TUTTOLIBRI/02 - Autore: ARCVIT - Ora di stampa: 21/01/11 20.29

A mani alzatecontro i nazisti

MARCOBELPOLITI

Tutti conoscono la ce-lebre fotografia scattata nel1943 nel ghetto di Varsavia,espugnato dalle SS comandatedal generale Stroop: il bambi-no con le mani alzate che prece-de un gruppo di donne e bambi-ni sorvegliati dai soldati tede-schi. Si tratta di un oggetto no-made che per oltre sessant’an-ni si è palesato davanti agli oc-chi degli abitanti del VecchioContinente, e non solo loro, fi-no a diventare in assoluto la piùfamosa icona dell’Olocausto. Iprimi a vederla sono stati gliestensori del rapporto cui loscatto, realizzato da un fotogra-fo tedesco, era destinato: i su-periori di Stroop e Himmler.Volevano mostrare la repres-sione dell’insurrezione ebrai-ca.

Frédéric Rousseau ha rac-contato in un libro importante,Il bambino di Varsavia, la storiadi questa icona, partendo dalledue copie del rapporto soprav-vissute dopo la guerra, e diven-tate una prova nel processocontro il generale delle SS.Una storia complessa.

Nella prima parte del sag-gio Rousseau ricostruisce le vi-cende dello scatto. Un lavoroesemplare; tuttavia è la secon-da parte del libro a essere parti-colarmente interessante: un ve-ro e proprio saggio sull’uso poli-tico delle immagini. Come eperché è accaduto che l'imma-gine del bambino sia divenutal'icona dello sterminio ebraico,una delle immagini più «viste»

della seconda metà del Nove-cento? Non c’è dubbio, il bambi-no al centro dell’istantanea bu-ca l'inquadratura e chiunque laguardi è attirato della sua figu-ra. Ma com’è possibile che i na-zisti, che l'avevano scelta perl'album, non si siano resi contodel suo valore iconico? Bastache un’immagine sia straordi-naria perché s'imponga all'at-tenzione di tutti? Ogni fotogra-fia dipende sempre dal conte-sto culturale in cui è guardata;tanto è vero che l'autore ci ram-menta come questa foto fosseconsiderata dalle SS una delleimmagini più naziste dell’al-bum; e non è stata neppure sti-mata un documento su cui ba-sare l'accusa contro i nazistinei tribunali.

Dopo la fine del conflittomondiale, lo spazio della memo-ria è stato occupato dai resi-stenti, dai combattenti politici.La loro memoria ha costituitola base della prima memoriadei campi. Primo Levi lo spiega-va molto bene già nel 1955, inun articolo apparso in una rivi-sta torinese; anche la pubblica-zione di Se questo è un uomo hasubito le conseguenze della me-moria resistenziale, per quan-to il libro del chimico torinese

fosse già universale: non è dedi-cato solo alla memoria del solosterminio ebraico. In Francia,punto di osservazione dell’auto-re, dopo la guerra si «voleva vive-re nel tempo degli eroi e in quellodelle vittime». Le vittime sono, al-meno sino agli Anni Sessanta, gliebrei che si sono lasciati deporta-re senza ribellarsi. Eppure l'im-magine di Varsavia è quella di ungruppo di rastrellati dentrol'eroica rivolta del ghetto ebrai-co.

Per lungo tempo in Israele ci

si è vergognati dello sterminio; ilpunto di svolta, si è soliti sostene-re, avviene con il processo Eich-mann. Rousseau insegue la foto-grafia tra studi, copertine, film,documentando come l'incrinatu-ra del mito dei combattenti anti-nazisti abbia aperto la strada all'icona del bambino. Un processolungo che si compie per vie e luo-ghi diversi, a partire da un librodi Gerhard Schoenberner, Lastella gialla, del 1960.

Il cambiamento di paradig-ma è evidente: in primo piano èora l'emotività, e il bambino èperfetto per incarnarla. A Rous-seau interessa comprendere co-me dall’icona Anna Frank, cheha segnato gran parte del dopo-guerra, sino agli Anni Settanta,si è passati a quella del bambinodi Varsavia attraverso un viag-gio carsico che si incrocia con iproblemi politici di Israele, ilcambio del paradigma dello ster-minio legato alle guerre medio-rientali e alla necessità dello Sta-to ebraico di rompere un accer-chiamento che non è solo milita-re. Nel 1987, poi, la foto del bim-bo appare isolata dal contesto:un simbolo. E dopo Srebrenica,nel luglio 1995, è al centro della

bandiera stellata della ComunitàEuropea; è diventata il testimo-ne universale delle vittime dellaShoah, e non solo.

L'immagine si è slegata total-mente dalla storia specifica delsuo soggetto. Questo procede dipari passo col cambiamento del-l’atteggiamento culturale versol'infanzia, e in particolare quellamaltrattata. Anche il Vietnam,la foto della bimba nuda che cor-re in primo piano dopo un bom-bardamento americano al na-palm, contribuisce al cambio dilettura. La forza della foto stanella sua capacità di comunicarel'enormità del crimine senza mo-strarlo: permette di immaginar-lo. Ora siamo entrati nell’età del-la vittima. La vittimizzazione di-

venta il paradigma dominante, enon solo rispetto alla Shoah, main ogni questione politica e socia-le; è il cuore stesso della nuovamemoria collettiva, dell’immagi-nario sociale.

La pedagogia attraverso l'or-rore è stata sostituita dalla peda-gogia attraverso l'emozione:«ora il cuore è il solo a essere toc-cato». L'immagine del rastrella-mento nazista ha cessato di esse-re un documento, di appartene-re a un archivio. Ogni memoria èil prodotto di una costruzione: so-ciale, culturale e politica. Una vi-cenda che fa riflettere sul nostromodo di pensare il rapporto colpassato, quello più tragico e diffi-cile da dimenticare.

L’icona Il fanciullo nel ghetto di Varsavia,storia di una fotografia a lungo sottovalutata

“Lentamentetrascinativerso il gorgo...”

ELENALOEWENTHAL

La storia esige aridecifre. E’ giusto che sia, ma a vol-te terribile. «Il dato storico con-diviso dai ricercatori è noto sol-tanto da una ventina d'anni(non superiore a 150.000 com-plessivo, di cui 110.000 ebrei),seppure il dibattito sui numerisi debba considerare ancoraaperto». Si parla di Auschwitz:cioè dei corpi - o «pezzi», come lichiamavano i tedeschi - passatiper le canne fumarie dei fornicrematori. Quanto è assurdaquella parentesi con la sua pic-cola figura retorica - «non supe-riore», che sta per: «così o forsemeno, ma certo non di più». Equanta rabbia viene, subito do-po, digitando o leggendo quellainterminabile sequenza di zeriche parlano di vite e di morti.

Allora, al di là degli aridi nu-meri di una ricerca storica che

Frediano Sessi riassume nellanota editoriale a Qui non ci sonobambini. Un’infanzia ad Au-schwitz, ha ragione Thomas Gee-ve quando parla di «milioni» divittime. Perché se i numeri rac-contano una verità, Thomas neha un'altra - che è la stessa, mavista con occhi umani e non at-traverso aride cifre. Perché adAuschwitz Thomas ha vissuto,se così si può dire, dal 29 giugnodel 1943 sino al gennaio del 1945,quando il campo viene evacuato.A Buchenwald riesce a nascon-dersi per evitare un'altra mar-cia di morte. E' uno dei novecen-totré bambini e adolescenti cheescono vivi da quel campo.

Ad Auschwitz Thomas, cheera nato nell'ottobre del 1929 aStettino, sulle rive del Baltico,vede «milioni di morti». Ad Au-schwitz e altrove. La sua veritàè quella che s'incontra nel buiodel memoriale ai bambini, den-tro la Yad Vashem a Gerusa-lemme. Dopo un breve tunnel,ecco una minuscola candela cherespira la sua fiammella. Null'al-tro, se non la candelina e il buio.In un moltiplicarsi di rifrazioni,quell’unica fiammella diventa in-finiti punti di luce negli specchiche riflettono il buio. Il visitato-re passa attraverso queste luci,che sono una soltanto eppuremilioni, e intanto una voce scan-disce nomi, date, luoghi. Sono ilmilione e mezzo di bambini ster-minati nella Shoah. La voce cimette anni, per finire quell’elen-co. Questa, è la verità dei nume-ri e degli occhi di Thomas.

Il lettore li incontra, quegliocchi, a pagina 4 del suo libro.Sono vispi e allegri come quellodi un adolescente solare (sì, esi-stono anche così), sopra unachiostra di denti un po’ spropor-zionati. La foto è del 1945, ed èstata scattata in un convalescen-ziario svizzero. Thomas sta scri-vendo a suo padre (anche se perun attimo alza lo sguardo dal fo-glio), che è scampato alla Shoahperché viveva in Inghilterra. E'per raccontare a lui l'esperienzadel campo di sterminio - dove èsopravvissuto alle camere a gassolo perché al suo arrivo all'in-

ferno dimostrava quindici anni in-vece di tredici - che subito dopo laliberazione si è messo a lavorarecon le matite. Settantanove «dise-gni miniaturizzati a colori, delledimensioni di una cartolina», perillustrare la vita laggiù. Sono unritratto dalla precisione strabi-liante, corredato di parole, spiega-zioni, didascalie piene di intelli-genza e curiosità, malgrado tutto.

Raccontano Auschwitz conuna forza strana, forse incom-prensibile all'età adulta che non èpiù capace di guardare così allecose, brutte o belle che siano. Po-trebbe sembrare inadeguato «di-segnare» Auschwitz e quel male.

Invece non lo è, così come non lo èraccontare Anne Frank attraver-so i fumetti: Anne Frank. La bio-grafia a fumetti di Sid Jacobson eErnie Colón è anch'esso un libropieno di quella verità tremendaper la quale le parole sembranotante volte inadeguate, per non di-re mute. Sembra davvero impos-sibile riuscire ancora a dire qual-cosa su Anne. A raccontare dopoche lei ha raccontato se stessa neldiario. Eppure questo fumetto hauna forza originale, un'immedia-tezza che ce la fa tornare quasi da-vanti agli occhi. I colori delle sce-ne dentro l'appartamento nascon-diglio, le espressioni sui visi, il rit-mo della narrazione che dentro ifumetti è necessariamente serra-

to: tutto aiuta il lettore a sentirsilì, in quello spazio angusto e inquel tempo tremendo.

Thomas e Anne sono fra i mi-lioni di bambini passati per la Sho-ah. Rappresentano la sfida più in-comprensibile, perché non c'è nul-la che spieghi il loro destino. Au-schwitz resta un buco nero, nonsolo della storia ma anche della ra-gione, dell’umanità intera. Peròsono soprattutto i bambini a gri-dare questo scandalo, dal fondodel loro silenzio di morte. Tho-mas, invece di gridare, raccontacon la matita, correda i suoi dise-gni di quel lessico di morte. «Ab-becedario di Auschwitz. Comin-cia con A di appello, B come bloc-co, C come capò e termina con Vcome Vorarbeiter (caposquadra),W come Waschraum (lavatoio) eZ come Zaun (reticolato). Per meche indossavo la divisa a righe,quelle parole sono state tutta lamia vita durante i ventidue mesipassati a Birkenau, Auschwitz 1,Gross-Rosen e Buchenwald».

I RICORDI DI DUE TRIESTINE E IL LIBRO DEI DEPORTATI

Dalla Risiera al lager= Dalla Risiera di San Sabba ad Auschwitz. Aveva 17 anni,Marta Ascoli, triestina, quando fu deportata. Si racconta inAuschwitz è di tutti (Rizzoli, pp. 80, € 8,50). «...Solo dopolunga maturazione sono riuscita ad affrontare questoargomento». Sul filo della memoria, anche casa Mursia:Anna Di Gianantonio ha scritto la biografia della primastaffetta partigiana d’Italia, anche lei triestina e deportata adAuschwitz: Ondina Peteani (pp. 274, € 17). Sempre daMursia, terzo volume del Libro dei deportati. La galassiaconcentrazionaria SS 1933-1945 (pp. 872, € 45), curato daBrunello Mantelli e Nicola Tranfaglia, voluto da Bruno Vasari.

RICORDI DA GERUSALEMME

L’amica di Anna= «Il 27 novembre 1943 Anna Frank scrisse di menel suo diario. Si chiedeva: perché mai sopravviveredovrei essere stata scelta io (Anna Frank) e non lei(Hannah Gosler)? Per ironia della sorte accadde ilcontrario»». Emigrò a Gerusalemme nel 1947,Hannah Goslar, l’amica di Anna Frank. Alison LeslieGold l’ha incontrata nel 1993 a Gerusalemme,raccogliendone le memorie, ora riproposte da Rizzolinella BurRagazzi: Mi ricordo Anna Frank (pp. 150,€ 7,50). Postfazione di Antonio Faeti:«La memoria,solo lei, tiene lontani i carnefici del futuro».

Testimoni Diari e lettere dal ’38al ’45: le voci italiane della Shoah

In un quaderno condisegni di strabilianteprecisione raccontòal padre la vitaquotidiana del lager

GIOVANNI TESIO

Tra chi non ce la feceAnna Frank, rievocatain una biografiaa fumetti pienadi tremenda verità

Il sopravvissuto Thomas Geve, tra le poche centinaia di minoriscampati alle camere a gas, dopo aver visto milioni di morti

TRA INFANZIAE ADOLESCENZA

Negli occhi dei ragazzi= Buco nero: una sorta di supercalamita che risucchia einghiotte senza scampo. E' contro uno di quei mostri lì, anziproprio contro il «campo» emblema dello sterminio degliebrei perpetrato dai nazisti che punta l'indice Le Valigie diAuschwitz della giornalista Daniela Palumbo, vincitore delPremio Battello a Vapore 2010 (Piemme, pp. 172, € 11). Levaligie sono quelle dei deportati in arrivo e subito avviati alla«doccia al gas», ancora accatastate nella stanza 4 del blocco5. Tra le generalità scritte su quei «contenitori di speranza,della speranza che dopo l'andare ci fosse il tornare», spiccano inomi di quattro bambini: il milanese Carlo, che di cognome fa

De Simone e viene perciò espulso dalla scuola; la tedescaHannah così amorevole con il fratellino Jakob, un «minorato»per la Gestapo che lo elimina prima di deportare lei; lafrancese Emeline, che fa amicizia con un barbone per potergiocare nel parco vietato agli ebrei; il polacco Dawid, chiuso inuno scantinato del ghetto di Varsavia con il suo inseparabileviolino nel vano tentativo di scamparla. Storie diverse maconvergenti nello stesso buco nero che Daniela narraintingendo la penna nel campionario tristemente risaputo dimeschinità innescate dalle Leggi Razziali, dalla delazione aldisprezzo per qualsivoglia «diverso», ma anche nel repertorioaltrettanto noto di solidarietà encomiabili quanto rischiosecome «accettare di macchiarsi di un'infamia, prendendosi incasa quei parassiti puzzolenti degli ebrei», nel dipanarsi di un

fertile racconto di formazione per i preadolescenti.Lo è invece per i bambini Storia di Vera (San Paolo, pp.40,€ 12), tratteggiata in punta di penna e con levigateillustrazioni da Gabriele Clima, «voce» della piccola deportatache rimugina: «Eravamo lì perché eravamo diversi dagli altri,ma stavamo tutti insieme e quando si sta insieme non contadove sei, è come essere a casa». Ma non può esserlo davverose la casa è una baracca dentro un campo di sterminio dove,nonostante i patimenti, Vera sogna di regalare pezzetti delsuo cuore ai soldati disumani «perché ce l'abbiano ancheloro». In attesa che altri soldati «con una grande stella rossasopra la fronte» arrivino a disarcionarli e a distribuire acqua ecoperte. Ferdinando Albertazzi

UN’INTERVISTA DEL 1983

Primo Levi, ex deportato= «Ma io non riesco ad accettare la tesi marxista delnazismo frutto della lotta di classe, era troppo, troppopeculiare, peculiare il comportamento del popolo tedesco epeculiare la persona di Hitler». Einaudi riscopre l’Intervista aPrimo Levi, ex deportato, a cura di Anna Bravo e FedericoCereja (pp. 93, € 10), risalente al 1983. «Chi sopravviveva aiprimi giorni - diceva Levi - finiva con l’imparare che ... lacorruzione era dominante». Nella sua postfazione AnnaBravo riflette sull’uso e l’abuso della «zona grigia», concettospesso frainteso o addomesticato, contraddicendol’argomentare di Levi, «limpido, diretto, preciso».

pp Thomas Gevep QUI NON CI SONO BAMBINI

Un'infanzia ad Auschwitzp trad. di Margerita Bottop Einaudi, pp. 187, € 24

pp Sid Jacobson - Ernie Colónp ANNE FRANK

La biografia a fumettip trad. di Vincenzo Filosap Rizzoli Lizard, pp. 150, € 16

pp Frédéric Rousseaup IL BAMBINO DI VARSAVIA

Storia di una fotografiap trad. di F. Grillenzonip Laterza, pp. 201, € 18

pp M. Avagliano - M. Palmierip GLI EBREI SOTTO

LA PERSECUZIONE IN ITALIADiari e lettere 1938-1945p Einaudi, pp. 388, € 15

La celebre fotografia scattata nel 1943 nel ghetto di Varsavia per le SS tedesche

Una tavola da «Anne Frank. La biografia a fumetti» scritta e disegnatada Sid Jacobson e Ernie Colón, in uscita da Rizzoli Lizard

Segue da pag. I

Un bambino che non èpassato per il camino

A sinistra, Thomas Geve a 15 anni, nel 1945. Qui sopra «Desenfektion» uno dei suoi disegni tratti da«Qui non ci sono bambini». Copy Collection of the Yad Vashem Art Museum, Jerusalem. Gift of the artist

«24 luglio 1938 sera...Non scrivere signifi-ca forse non vivere?

Non posso dire di aver vissu-to e di vivere, giorno per gior-no, in piena consapevolezzadella loro importanza storicagli avvenimenti che si sonosvolti in questi ultimi mesi eche si stanno svolgendo. Nul-la è più triste di dover assi-stere così, come inerti spetta-tori agli atti di un dramma dicui non sappiamo ancoraquanto sia lontano il tragicoepilogo: tanto più quando siha la sensazione di esserelentamente trascinati versoun gorgo che finirà per tra-volgere anche noi».

Gualtiero Cividalli, autoredi queste righe, era reducedella Grande Guerra, Croceal merito. E’ morto in Israelenel 1997, dove si rifugiò conla famiglia all’indomani delleleggi razziali, poche settima-ne dopo la data che portanoqueste parole.

Parole? Di più. Come tuttele altre di questo libro impor-tante - Gli ebrei sotto la perse-cuzione in Italia, che racco-glie diari e lettere scritti frail 1938 e il 1945 -, sono qualco-sa di più. Voci vive, forti. Vo-ci lucide e terribilmente pro-fetiche anche quando sem-brano ancora velate di illusio-ni. «Sul terreno logico tuttociò è assurdo, contradditto-rio, quasi ridicolo per la suainconsistenza; gli uomini bi-sognosi di chiarezza logica siangustieranno di non poterereplicare e confutare; manon si tratta evidentementedi convincere nessuno» scri-ve qualche giorno più tardiVittorio Foa, provando a im-maginare l’imminente espul-sione degli ebrei dal tessutocivile, sociale e culturale delPaese.

Dopo una lunga introdu-zione che è di fatto una storiadella persecuzione antiebrai-ca in Italia, i curatori MarioAvagliano e Marco Palmieriorganizzano il ricco materia-le di testimonianze in un ordi-ne cronologico che è un’incal-zante, tremenda discesa ver-so l’orrore. Sempre peggio,sempre più. Il tempo e la vec-chiaia si portano via le vocidei nostri testimoni, ma que-ste lettere, queste pagine didiario hanno una forza vivache strazia. E’ vero, per gliebrei italiani emancipati difresco ed entrati nella vitadel paese con uno slancio eun entusiasmo creativo pro-rompente, le leggi razziali fu-rono come un fulmine a cielsereno. Le deportazioniun’impossibile assurdità. Ep-

pure qui, fra queste pagine,serpeggia una lucidità terribi-le di fronte agli eventi. Accom-pagnata da una tenace ostina-zione a parlarne, che era forseun modo per non rassegnarsia quel male ormai inevitabile,contro il quale non esistevanodifese.

Molte di queste voci non so-no più tornate di laggiù: «So-no stato condannato alla fuci-lazione senza avere potuto di-fendermi», Ferruccio Valo-bra, 22 aprile 1944. I pochi tor-nati hanno in cuore tanto pe-

so: «Ora che siamo salvi non cisentiamo davvero felici», Ma-rio Teglio.

Sono tante, queste voci vi-ve ormai soltanto negli occhidi chi legge, nella forza delleloro parole. Nella continuitàdella lettura prende voltouna storia collettiva che tuttele racchiude, e non solo. Per-ché è proprio ascoltandoleuna dopo l’altra, queste vociitaliane dalla Shoah, che nonsi può fare a meno di pensare,di sentire che questa storiadeve essere di tutti, nessunoescluso. Che non è la «loro»,delle vittime, dei loro discen-denti, degli ebrei di ieri e dioggi. Tutti vi appartengono,nei silenzi e nel tempo passa-to, nelle colpe e nel dolore:nessuno ha il diritto di chia-marsene fuori.

Elena Recanati, di ritornoda Auschwitz, 30 ottobre1945: «Fame, botte, freddo,fango, paglia sudicia, contatticon gente perfida, abbruttitadalle privazioni, inferocita dal-la fame, appelli interminabili,febbre, le prime piaghe inco-minciavano a farmi soffri-re...». Questo, è stato. [E. L.]

«CrossedOut»,

un olio su teladel 2007

di Samuel Bak,ispiratoalla foto

del bambinodi Varsavia:l’immagine è

tratta dal librodi Rousseau

edito daLaterza

La sua forza sta nellacapacità di comunicarel’enormità del criminesenza mostrarlo:è la pedagogia del cuore

«Gli ebrei sottola persecuzionein Italia»: una forzaviva che strazia,una lucidità terribile

p

Il saggio di Rousseauintorno all’immaginescattata per le SSnel ’43, diventata la piùfamosa dell’Olocausto

Bambini a Terezín

Il giorno della Memoria: StorieIITuttolibri

SABATO 22 GENNAIO 2011LA STAMPA III

Turistiad Auschwitzoltre il facilesentimento

memoria e ai cambiamentiche si sono succeduti nel tem-po. I padiglioni dei Paesi co-munisti prima del crollo delMuro di Berlino enfatizzava-no soprattutto la forza anti-nazista del comunismo. L'Au-stria si presentava come vitti-ma del nazismo escludendoogni intenzione collaborazio-nista. Per chiudere, il padi-glione dell’Italia - molto lacu-noso ed emozionale - non èmai stato aggiornato. Se nonsi tiene conto di come le me-morie si sono depositate etrasformate, il rischio è di de-formare la prospettiva. Nonsolo archeologia e storia dun-que, peraltro importantissi-me, ma anche riflessione sul-le trasformazioni della me-moria».

Lei vuole dire che si può re-stare prigionieri della me-moria?

«Certo. Così come si può es-sere prigionieri della retori-ca. La memoria diventa unabuso. Non un'elaborazione,ma la conseguenza di un di-scorso che nega la responsa-bilità. Nel capitolo“Controversie e dispute me-moriali” cerchiamo di fareappunto questo: liberare ladocumentabilità storica datutte le ipoteche o incrosta-zioni di volta in volta ideologi-che, politiche, religiose».

Resta che questo vostro li-bro mira a essere una gui-da, ricco com’è di cartine,di siti, di percorsi.

«Certo. Perché un luogo di-venti parlante occorre cono-scere e saper vedere. Soprat-tutto saper vedere dove ades-so c'è il vuoto, dove le mace-rie e le pietre non parlano.Prendiamo il bosco di betulledi Birkenau. Quello è un luo-go di tranquillità e di silenzio,dove spesso gli studenti e gliinsegnanti fanno una pausa.Ma i laghetti e gli stagni sonole fosse comuni degli ebreibruciati e il bosco di betulleera il luogo di attesa dove in-tere famiglie di ebrei indugia-vano prima del Crematorio 4e 5. Occorre vedere anche nelvuoto e nel silenzio».

C'è una stagione più adat-ta per visitare Auschwitz?

«L'inverno è la stagione peg-giore, perché tutto è copertoda una coltre di neve e dighiaccio. Meglio la primave-ra e l'autunno».

È provocatorio se penso an-cora a Bajani che scrive:«Un'oretta e mezza di ge-nocidi, guerra, scheletri,morti ammazzati, folliaomicida, e se non c'è traffi-co alle undici saremo a Fi-renze»?

«Certo è molto deludente.Ma proprio per questo abbia-mo scritto la guida».

Primo Levi

Page 4: Tuttolibri n. 1749 (22-01-2011)

Pagina Fisica: LASTAMPA - NAZIONALE - IV - 22/01/11 - Pag. Logica: LASTAMPA/TUTTOLIBRI/04 - Autore: ARCVIT - Ora di stampa: 21/01/11 20.33

GABRIELLABOSCO

20 aprile 1942. AdolfHitler compiva quel giorno 53anni. Una data tragica che sim-bolicamente rappresenta ilpunto d'incrocio, o di scontro -più che di contatto - tra due li-bri in uscita da noi per il Gior-no della Memoria: il primo diFabrice Humbert, Il mondo pri-ma del buio, ampio romanzo diconsacrazione per l'autore, og-gi considerato dalla criticauno dei più interessanti del pa-norama francese; il secondo diJacques Chessex, Un ebreo co-me esempio, racconto feroce eincandescente del più grandescrittore svizzero di espressio-ne francese morto nel 2009mentre teneva una conferen-za sulla propria opera, parlan-do di quell’Orco che l’ aveva os-sessionato per tutta la vita, ti-tolo del suo libro più noto.

Il 20 aprile 1942 veniva ucci-so a Buchenwald uno dei per-sonaggi del romanzo di Hum-bert, David Wagner, nonnoebreo del narratore (professo-re di lettere in un liceo franco-tedesco come Humbert), non-no ch’egli non sapeva di avere,credendosi non toccato, alme-no come discendenza familia-re, dalla Shoah, e al quale è ri-salito con lunghe ricerche do-po aver visto, in visita con isuoi studenti al campo di Bu-chenwald, la foto di un detenu-to rassomigliante in maniera

inequivoca a suo padre.Quello stesso 20 di aprile

del 1942, mentre a BerlinoWilhelm Furtwängler dirige-va la Nona di Beethoven per ilcompleanno di Hitler celebra-to in presenza di dignitari delregime nazista da Josef Goeb-bels, i giornali di Payerne (cit-tadina della svizzera romandache ha dato i natali a Chessex)mettevano in pagina un comu-nicato con il quale la signoraBloch, ebrea, denunciava lascomparsa del marito Arthur,mercante di bestiame di Ber-na. Arthur Bloch era stato tru-cidato selvaggiamente qual-che giorno prima, fatto a pezzie buttato nel lago di Neu-châtel, da una squadraccia difilonazisti di Payerne mano-vrati dal pastore Lugrin.Un’azione punitiva concepita

per «dare un esempio» alla com-ponente ebrea del cantone e chequel manipolo di criminali ave-va perpetrato apposta all'ap-prossimarsi del 20 aprile, per-ché la notizia potesse giungereal Führer come regalo di com-pleanno.

Il punto d’incrocio tra i due li-bri, è chiaro, lo fornisce la Sto-ria. Di fatto, quanto ai modi del-la scrittura, siamo agli antipodi.Il romanzo di Humbert ha moltielementi in comune con Le bene-vole di Jonathan Littel (non a ca-so giunge dalle mani dello stes-so agente letterario). Il titolofrancese, L’origine de la violence,illustra bene il movente dell’au-

tore. Un evento casuale, il rico-noscimento di tratti familiarinella foto di uno sconosciuto trale vittime dello scempio nazista,porta il narratore a ricostruireun passato oscuro che dai mean-dri di parentele a lui ignote ave-va ossessionato la sua infanzia,con paure senza nome, e conti-nuava da adulto a spingerlo inmaniera inconscia verso la vio-lenza. Un romanzo di formazio-ne, quindi, che rispettando le re-gole del genere va a scavare inuna materia traumatica toccan-do nervi scoperti della memorianazionale. La narrazione in pri-ma persona conferisce alle pagi-ne di Humbert il tono di verità

che l'argomento esige.Chessex invece usa la terza

persona per raccontare l'episo-dio illeggibile dell’atroce squar-tamento di Arthur Bloch. Passaall'io solo alla fine. Prima di chiu-dere il suo breve libro lunga-mente rimuginato ed emerso so-lo alle soglie della morte, confes-sa: «Sto raccontando una storiaimmonda e mi vergogno di scri-verne la minima parola. Mi ver-gogno di riferire un discorso, al-cune parole, un tono, azioni chenon sono le mie ma che lo diven-tano senza che io lo voglia attra-verso la scrittura». Il suo ap-proccio insomma è quello di chisi trova, si è trovato anzi per tut-

ta la vita, nella condizione senzavie d'uscita del testimone. Bam-bino di otto anni ha assistito,non visto, alla mattanza di queisuoi concittadini in camicia bru-na. Come tacere una verità tan-to atroce? Ma come dirla al tem-po stesso? È l'aporia con cui de-ve fare i conti chi è sopravvissu-to alla catastrofe del reale quan-do il reale si manifesta come im-possibile. Se dà testimonianzadi quell’impossibile sottraendo-lo doverosamente all'oblio, glidà voce e nel far questo si sentecolpevole. Se sceglie il silenzioperché l'orrore è tale che nullapuò dirlo, manca al suo compitoed è altrettanto colpevole.

Chessex cita Jankélévitch inquelle sue contrite, sofferte,considerazioni finali. «QuandoJankélévitch dichiara impre-scrittibile tutto il crimine dellaShoah - scrive - mi vieta di par-larne fuori di tale decreto». PerJankélévitch riferire il minimodiscorso antisemita è di per séun'iniziativa intollerabile, an-che quando lo si faccia per de-nunciare. Chessex gli dà ragio-ne ma ciononostante non puòesimersi. «Signore, abbi pietàdi noi» sono le sue ultime impos-sibili parole.

ALESSANDRAIADICICCO

Una bufera di neve siera abbattuta sullo shtetl diPohodna, nelle province orien-tali dell’antico impero danu-biano. Ma, quando gli ebreis’incamminarono verso i vago-ni del treno che li avrebbe por-tati via dalla loro cittadina,Dio si aprì uno spiraglio tra lenuvole per guardarli un’ulti-ma volta. E per guardare il pic-colo shtetl che, senza di loro,non sarebbe più stato lo stes-so. Inizia così, con uno squar-cio di azzurro in un cielo den-so di cupe minacce, con unatregua di sereno all’imperver-sare della tempesta il roman-zo autobiografico di Edgar Hil-senrath che, in Jossel Wasser-mann torna a casa, raccontadel suo lieto soggiorno in Bu-covina: ultima tappa per lui,ragazzino ebreo tedesco in fu-ga dalla Germania nazista conla mamma e il fratellino, pri-ma della deportazione. Le nu-bi si richiudono subito sullaprima scena del libro, e la ne-ve riprende fitta a cadere. Ep-pure, sarà per la forza dell’in-cantesimo che avvolge i ricor-di dell’infanzia, per il poteredello sguardo divino appunta-to con benevolenza sui suoi fi-gli, o per la fede incrollabile nu-trita anche nelle avversità daifigli d’Israele verso il Padre, ilraggio di luce acceso sulla pri-ma pagina brillerà senza inter-

ruzione fino all’ultima.Hilsenrath che, nato a Lip-

sia nel 1926, vive oggi a Berli-no, è - va detto - autore brillan-tissimo. Lo sa chiunque abbialetto Il nazista e il barbiere, il ro-manzo scritto in Usa nel 1971 etradotto in Italia da Marcos yMarcos nel 2006, che ha atti-rato l’attenzione del mondosulla prosa pungente, irrive-rente, ma quanto mai diver-tente di un artista capace di fa-re della satira sul dramma del-l’Olocausto.

Scritta oltre un ventenniodopo Il barbiere, nel 1993, lastoria di Wassermann ha tut-t’altra intonazione. Sorriden-te, ma del sorriso che ti strizzail cuore per spremerne lacri-me di commozione. Fiabesca,quanto può esserlo una fiabadi cui si conosce in anticipo

l’atroce finale. Felice, della leti-zia venata del rimpianto incon-solabile per un paradiso perdu-to. La perdita del paradiso, tut-tavia, non annienta l’attendibili-tà della biblica promessa, né lasperanza della sua realizzazio-ne. «Speriamo sempre. Non sa-remmo ebrei altrimenti», scriveHilsenrath nel finale del roman-zo. La sua fiducia, in effetti, èstata ripagata. Perché, del ghet-to ucraino di Mogilyov-Podolskidove quel treno in due mesi diviaggio sotto la neve lo avevacondotto, lui, la madre e il fratel-lo furono tra i pochi sopravvis-

suti di venticinquemila vittime.Un’esperienza analoga ha

vissuto l’austriaco Fred Wan-der, il nome d’arte con cui FritzRosenblatt, morto nel 2006, go-dé della sua postuma fortuna discrittore. Come Hilsenrath ori-ginario della Bucovina (suo pa-dre era mercante di cappelli aCzernowitz, la città di Paul Ce-lan e di Gregor von Rezzori),era nato a Vienna un decennioprima di lui, nel 1917. Come Hil-senrath sopravvissuto alla de-portazione, fu il solo della sua fa-miglia a salvarsi dal rogo di Au-schwitz, in cui arsero il padre, la

madre e la sorella. Come l’auto-re tedesco che, fuggito dallaGermania nel ‘38, visse nella co-munità di Sireth - la Pohodnadel romanzo - il suo fragile, indi-menticabile idillio, così FredWander trovò e in breve perdet-te il suo paradiso a Marsiglia,dov’era approdato dopo l’An-schluss sperando di imbarcarsiper le Americhe.

Il suo Paradise Lost si chia-mava Hôtel Baalbek ed era unporto di mare sulle rive del-l’abisso, una casa di spettri po-polata dei fantasmi di un mondosommerso, un crogiolo di perso-ne destinate a farsi scottare dal-la storia. Ciononostante, l’inse-

gna di quella bettola, dove Wan-der abitò tra il 1940 e il ‘42 - pri-ma di scappare in Svizzera edesser consegnato dalla poliziaelvetica alla Gestapo -, conservòper lui negli anni una luce fasci-nosa. Tanto che, mezzo secolodopo, riapparve sulla copertinadel romanzo in cui nel ‘91 narròla sua avventura marsigliese:oggi tradotto da Ada Viglianiper Einaudi, sull’onda del primolibro di Wander, Il settimo pozzo(Einaudi 2007), scritto nel ‘71 eriscoperto in Germania solo do-po la morte dell’autore.

«Non è della disperazioneche vorrei parlare, bensì del tur-binio dei sensi...», precisa Wan-der, facendo rivivere la galleriadi personaggi che, sul quel sor-dido, magico palcoscenico, ave-vano vissuto con lui una vana il-lusione di salvezza. Il sognatoreJablonski e la sua dispotica mo-glie Hanna. Il cinico predicatoreSascha, e l’ingenuo idealista Jo-schko. L’affascinante Katja e labellissima Lily, due amori im-possibili - disperati - che il prota-gonista non smetterà di vagheg-giare. Ma il turbinio di sensi cheinveste un giovane cuore puòsottrarlo persino alla dispera-zione...

Il trauma della memoria Un romanzopostumo nel buco nero della guerra

DARIOVOLTOLINI

Il Terzo Reich è statoterminato da Bolaño nel 1989.Scritto su quaderni, e successi-vamente ribattuto a macchi-na, fu trasferito parzialmentedall’autore su computer. Occu-pato dalla stesura del suo ca-polavoro 2666 e consapevoledi avere molto probabilmentele ore contate (come poi pur-troppo è stato), Bolaño nonportò a termine la trascrizionedel libro su computer e quindi,forse, nemmeno la sua definiti-va revisione.

Non è certo un romanzoche formalmente risenta diquesta mancata revisione, an-zi, è scritto con la limpidezza ela stupefacente maestria chesono la cifra stilistica di questoautore. Certo è un testo enig-matico e non va escluso che al-cune chiavi di interpretazionesiano rimaste per così dire nel-

la penna (nella tastiera) delgrande cileno.

Siamo in un paese di maredella Costa Brava, dove il narra-tore, un tedesco di nome UdoBerger campione di wargames,in particolare del wargame chia-mato «Il Terzo Reich», ritornaper una vacanza dopo dieci an-

ni. Con lui la fidanzata, la bellissi-ma Ingeborg. Dieci anni primaUdo era un ragazzino, ci venivacon la famiglia. Ora è un giovaneuomo che si sente nel pieno del-la forza vitale e della soddisfazio-ne di vivere.

La coppia fa presto amiciziacon un'altra coppia tedesca econ due tipi locali chiamati Il Lu-po e L’Agnello. Udo in verità è lìper studiare una variante delgioco Terzo Reich e per scrive-re un articolo per una rivistaspecializzata. Non ama molto lavita da spiaggia, né socializzarecon le nuove conoscenze. Tutta-via a poco a poco ogni relazionecon gli altri attori della vicenda(centrali, come l'affascinante pa-drona dell’hotel, o marginali chesiano, come la cameriera) lo con-duce a una progressiva destabi-lizzazione psichica ed emotivae, potremmo dire, come spessoin Bolaño, metafisica.

Una figura in particolare vie-

ne a essere centrale nell’espe-rienza di Udo, un uomo musco-loso orrendamente ustionato,chiamato Il Bruciato, che vivesulla spiaggia affittando pattìni.

Il Bruciato diventa centraleperché comincia con Udo unapartita decisiva a «Terzo Rei-ch».

Il romanzo è il diario di queigiorni scritto da Udo stesso.

Ora, il senso di minaccia e dipericolo che cresce di pagina inpagina è solo parzialmente giu-stificato dai fatti che il narrato-re racconta, e nemmeno le sotti-li fluttuazioni psicologiche deipersonaggi, né le loro metamor-fosi relazionali, riempionol'enorme, magnetico vuoto cheBolaño allestisce. Una scena inparticolare può fungere daesempio di questa sua capacità:Udo, chiamato a riconoscereuna salma ripescata dopo giorniin mare, come narratore arrivafino al punto cruciale e poi glissa

e non descrive ciò che vede. Lofarà in seguito, indirettamente,riguadagnata una certa distan-za. Qui Udo non è credibile co-me narratore, si tratta propriodi Bolaño, della sua capacità, an-che altrove riscontrabile e forsealla base di tutto 2666, di arriva-re fino all'orlo dell’abisso, fino aun millimetro oltre l’orlo del-l’abisso e poi di riprendere daun'altra parte, scivolando versoaltri abissi.

Chiaro qui è il trauma dellaSeconda Guerra Mondiale, trau-ma storico e anche mentale, vi-sto che l'incessante tentativodei giocatori di wargames èquello di rigiocare simbolica-mente le grandi vicende stori-che conducendole a esiti diversida quelli reali, e anche traumadella memoria, che coinvolgetutta la narrazione, poiché nullaveniamo a sapere del passatoche conduce il Bruciato a gioca-re con Udo, né perché porti sudi sé quelle ferite. Tutto scorrecome se qualcuno sapesse le co-se che a noi sono celate, ma nes-suno le sapesse tutte. E chi saqualcosa invece di dire allude,sorride, fa l'occhiolino, fa smor-fie, fa ipotesi che poi svaniscono.

La Seconda Guerra Mondia-le qui funge da buco nero che or-ganizza la narrazione e in que-sto il romanzo prefigura 2666,dove al posto di un buco nerodella nostra storia e della nostramemoria ci sarà il buco nero ag-ghiacciante e attuale, nostrocontemporaneo, della città diSanta Teresa.

E per Bolañoil Terzo Reichdiventaun wargame

pp Fred Wanderp HOTEL BAALBEKp trad. di Alda Viglianip Einaudi, pp. 240, € 14

pp Edgar Hilsenrathp JOSSEL WASSERMANN

TORNA A CASAp trad. di Lorenza Cancianp B. C. Dalai, pp. 240, € 17,50

pp Fabrice Humbertp IL MONDO PRIMA DEL BUIOp trad. di Matthieu Gorinip Piemme, pp. 329, € 17

pp Jacques Chessexp UN EBREO COME ESEMPIOp trad. di Maurizio Ferrarap Fazi, pp. 77, € 14

Incombe il ghettotra neve e mare

La mattanzain camicia bruna

«Hotel Baalbek»:il breve paradisoa Marsiglia, dopol’Anschluss, sperandodi salpare per l’America

«Un ebreo comeesempio»: un mercantedi bestiame di Bernafatto a pezziper dare l’esempio

«Jossel Wassermanntorna a casa»: l’ultimoincantesimo, una fiabadi cui si conosce l’atrocefinale in anticipo

«Il mondo primadel buio»: una storiache per moltiaspetti ricorda«Le benevole» di Littel

Humbert e Chessex L’ignoto nonno scoperto per casoa Buchenwald e uno squartamento per festeggiare Hitler

Hilsenrath e Wander Le speranze di due scrittori, unotedesco, l’altro austriaco, sopravvissuti alla deportazione

Un manifesto inizio Anni Trenta del partito socialdemocratico tedesco

«Senso unico» dice il cartello: «Gli ebrei sono la nostra sventura»

pp Roberto Bolañop IL TERZO REICHp trad. di Ilide Carmignanip Adelphi, pp. 325, € 20

Due coppie tedesche,una vacanza in CostaBrava e una partitadecisiva conl’enigmatico Bruciato

Il giorno della Memoria: RomanziIVTuttolibri

SABATO 22 GENNAIO 2011LA STAMPA V

Roberto Bolaño scrisse «Il Terzo Reich» nel 1989

LETTURE

Un manifesto di Ludwig Hohlwein per la Gioventù hitleriana

PER I GIOVANI

Libro della Shoah= Un invito di David Grossmana «rielaborare, anche con i piùgiovani, quanto è successo"laggiù", quel "laggiù" che non èsolo nella Germania del nazismo»introduce Il libro della Shoah diSarah Kaminski e Maria TeresaMilano, con le illustrazioni di LeleLuzzati e Valeria De Caterini.Rilanciato da Sonda (pp. 190,€ 19), per documentazione espunti di approfondimentorimane un riferimento puntualequanto stimolante. Le tre sezionipropongono «Narrazioni» di UriOrlev e di altri scrittori e saggisti;«Vissuti» dei «bambini nellaShoah» con materiale inedito suighetti di Lòdz e di Terezin e unventaglio di «Laboratori», previstiper fasce di età, , spaziando dalle«tappe dello sterminio» allemappe dei principali ghetti e aipercorsi di lettura creativi a partiredalle «Narrazioni». [F.A.]

CLARA SÁNCHEZ

Tra gli aguzzini= Madrilena, Clara Sánchezha scalato le classifichespagnole con Il profumo dellefoglie di limone, ora daGarzanti (pp. 360, € 18,60,traduzione di Enrica Budetta).Costa Blanca, in settembre.Sandra, una giovane, in crisi,incinta di un uomo che forsenon ama, viene come adottatada una coppia di simpaticivecchietti. Accolta nella lorovilla in fiore, a poco a poco verràa sapere chi sono: due criminalinazisti. Julián, scampato al lagerdi Mauthausen, li hariconosciuti e si affida a Sandraper smascherarli. La donnadapprima fatica a credere cheFredrik e Karin siano due messiinfernali. Quindi si adoperaaffinché il male da lorocommesso non restisconosciuto e, soprattutto,impunito.

JAKOV LIND

Il nazista inabile= Un soldato nazista inviaggio nell’Europa devastata.Dopo la disfatta di Voroshenkovien dichiarato mentalmenteinabile. Ma Gauthier, il sergenteGauthier, non accetta il verdetto.E così si mette in marcia, di Paesein Paese, alla ricerca di unreggimento che lo accolga e loriporti al fronte. Peregrinando,Gauthier incontra disertori,collaborazionisti, ufficialicorrotti, opportunisti checercano di confonderlo. Unpunto di vista inedito e surreale:la sua storia è raccontata inPaesaggiodi cemento (Cargo,pp. 192, e 16,50, trad. di MarlisIngenmey e MarianelloMarianelli, in libreria dal 2febbraio). L’autore è Jakov Lind,pseudonimo di un prolificonarratore (1927 - 2007), viennesedi famiglia ebrea, vissuto poi traIsraele e Inghilterra.

SCHWARZ-BART

Il ciabattino e Elia= «Era un ebreo, un ebreo dipiccola taglia, che vi costringeva adalzare la testa per guardarlo»: nonsi fatica a immaginare questafigura piccola e grande al tempostesso. Era André Schwarz-Bartnegli occhi di sua moglie:scomparso nel 2006, scrissel'indimenticabile L'ultimo dei giusti,epopea di un mondo scomparsonei forni crematori. Ora Guandapubblica il romanzo postumo Lastella del mattino (traduzione diSilvia Sichel, Guanda, pp. 237,€ 17,50). Un'altra storia di quelmondo che non c'è più, vistaattraverso lo sguardo incantato esofferto al tempo stesso chericorda, anzi riproduce la melodiadello yiddish. E' una storia tuttarivolta , a un passato che non puòpiù tornare: un ciabattino nonchéviolinista riceve la visita del profetaElia e con lui attraversa tuttol'orrore della Shoah. [E.L.]

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GABRIELLABOSCO

20 aprile 1942. AdolfHitler compiva quel giorno 53anni. Una data tragica che sim-bolicamente rappresenta ilpunto d'incrocio, o di scontro -più che di contatto - tra due li-bri in uscita da noi per il Gior-no della Memoria: il primo diFabrice Humbert, Il mondo pri-ma del buio, ampio romanzo diconsacrazione per l'autore, og-gi considerato dalla criticauno dei più interessanti del pa-norama francese; il secondo diJacques Chessex, Un ebreo co-me esempio, racconto feroce eincandescente del più grandescrittore svizzero di espressio-ne francese morto nel 2009mentre teneva una conferen-za sulla propria opera, parlan-do di quell’Orco che l’ aveva os-sessionato per tutta la vita, ti-tolo del suo libro più noto.

Il 20 aprile 1942 veniva ucci-so a Buchenwald uno dei per-sonaggi del romanzo di Hum-bert, David Wagner, nonnoebreo del narratore (professo-re di lettere in un liceo franco-tedesco come Humbert), non-no ch’egli non sapeva di avere,credendosi non toccato, alme-no come discendenza familia-re, dalla Shoah, e al quale è ri-salito con lunghe ricerche do-po aver visto, in visita con isuoi studenti al campo di Bu-chenwald, la foto di un detenu-to rassomigliante in maniera

inequivoca a suo padre.Quello stesso 20 di aprile

del 1942, mentre a BerlinoWilhelm Furtwängler dirige-va la Nona di Beethoven per ilcompleanno di Hitler celebra-to in presenza di dignitari delregime nazista da Josef Goeb-bels, i giornali di Payerne (cit-tadina della svizzera romandache ha dato i natali a Chessex)mettevano in pagina un comu-nicato con il quale la signoraBloch, ebrea, denunciava lascomparsa del marito Arthur,mercante di bestiame di Ber-na. Arthur Bloch era stato tru-cidato selvaggiamente qual-che giorno prima, fatto a pezzie buttato nel lago di Neu-châtel, da una squadraccia difilonazisti di Payerne mano-vrati dal pastore Lugrin.Un’azione punitiva concepita

per «dare un esempio» alla com-ponente ebrea del cantone e chequel manipolo di criminali ave-va perpetrato apposta all'ap-prossimarsi del 20 aprile, per-ché la notizia potesse giungereal Führer come regalo di com-pleanno.

Il punto d’incrocio tra i due li-bri, è chiaro, lo fornisce la Sto-ria. Di fatto, quanto ai modi del-la scrittura, siamo agli antipodi.Il romanzo di Humbert ha moltielementi in comune con Le bene-vole di Jonathan Littel (non a ca-so giunge dalle mani dello stes-so agente letterario). Il titolofrancese, L’origine de la violence,illustra bene il movente dell’au-

tore. Un evento casuale, il rico-noscimento di tratti familiarinella foto di uno sconosciuto trale vittime dello scempio nazista,porta il narratore a ricostruireun passato oscuro che dai mean-dri di parentele a lui ignote ave-va ossessionato la sua infanzia,con paure senza nome, e conti-nuava da adulto a spingerlo inmaniera inconscia verso la vio-lenza. Un romanzo di formazio-ne, quindi, che rispettando le re-gole del genere va a scavare inuna materia traumatica toccan-do nervi scoperti della memorianazionale. La narrazione in pri-ma persona conferisce alle pagi-ne di Humbert il tono di verità

che l'argomento esige.Chessex invece usa la terza

persona per raccontare l'episo-dio illeggibile dell’atroce squar-tamento di Arthur Bloch. Passaall'io solo alla fine. Prima di chiu-dere il suo breve libro lunga-mente rimuginato ed emerso so-lo alle soglie della morte, confes-sa: «Sto raccontando una storiaimmonda e mi vergogno di scri-verne la minima parola. Mi ver-gogno di riferire un discorso, al-cune parole, un tono, azioni chenon sono le mie ma che lo diven-tano senza che io lo voglia attra-verso la scrittura». Il suo ap-proccio insomma è quello di chisi trova, si è trovato anzi per tut-

ta la vita, nella condizione senzavie d'uscita del testimone. Bam-bino di otto anni ha assistito,non visto, alla mattanza di queisuoi concittadini in camicia bru-na. Come tacere una verità tan-to atroce? Ma come dirla al tem-po stesso? È l'aporia con cui de-ve fare i conti chi è sopravvissu-to alla catastrofe del reale quan-do il reale si manifesta come im-possibile. Se dà testimonianzadi quell’impossibile sottraendo-lo doverosamente all'oblio, glidà voce e nel far questo si sentecolpevole. Se sceglie il silenzioperché l'orrore è tale che nullapuò dirlo, manca al suo compitoed è altrettanto colpevole.

Chessex cita Jankélévitch inquelle sue contrite, sofferte,considerazioni finali. «QuandoJankélévitch dichiara impre-scrittibile tutto il crimine dellaShoah - scrive - mi vieta di par-larne fuori di tale decreto». PerJankélévitch riferire il minimodiscorso antisemita è di per séun'iniziativa intollerabile, an-che quando lo si faccia per de-nunciare. Chessex gli dà ragio-ne ma ciononostante non puòesimersi. «Signore, abbi pietàdi noi» sono le sue ultime impos-sibili parole.

ALESSANDRAIADICICCO

Una bufera di neve siera abbattuta sullo shtetl diPohodna, nelle province orien-tali dell’antico impero danu-biano. Ma, quando gli ebreis’incamminarono verso i vago-ni del treno che li avrebbe por-tati via dalla loro cittadina,Dio si aprì uno spiraglio tra lenuvole per guardarli un’ulti-ma volta. E per guardare il pic-colo shtetl che, senza di loro,non sarebbe più stato lo stes-so. Inizia così, con uno squar-cio di azzurro in un cielo den-so di cupe minacce, con unatregua di sereno all’imperver-sare della tempesta il roman-zo autobiografico di Edgar Hil-senrath che, in Jossel Wasser-mann torna a casa, raccontadel suo lieto soggiorno in Bu-covina: ultima tappa per lui,ragazzino ebreo tedesco in fu-ga dalla Germania nazista conla mamma e il fratellino, pri-ma della deportazione. Le nu-bi si richiudono subito sullaprima scena del libro, e la ne-ve riprende fitta a cadere. Ep-pure, sarà per la forza dell’in-cantesimo che avvolge i ricor-di dell’infanzia, per il poteredello sguardo divino appunta-to con benevolenza sui suoi fi-gli, o per la fede incrollabile nu-trita anche nelle avversità daifigli d’Israele verso il Padre, ilraggio di luce acceso sulla pri-ma pagina brillerà senza inter-

ruzione fino all’ultima.Hilsenrath che, nato a Lip-

sia nel 1926, vive oggi a Berli-no, è - va detto - autore brillan-tissimo. Lo sa chiunque abbialetto Il nazista e il barbiere, il ro-manzo scritto in Usa nel 1971 etradotto in Italia da Marcos yMarcos nel 2006, che ha atti-rato l’attenzione del mondosulla prosa pungente, irrive-rente, ma quanto mai diver-tente di un artista capace di fa-re della satira sul dramma del-l’Olocausto.

Scritta oltre un ventenniodopo Il barbiere, nel 1993, lastoria di Wassermann ha tut-t’altra intonazione. Sorriden-te, ma del sorriso che ti strizzail cuore per spremerne lacri-me di commozione. Fiabesca,quanto può esserlo una fiabadi cui si conosce in anticipo

l’atroce finale. Felice, della leti-zia venata del rimpianto incon-solabile per un paradiso perdu-to. La perdita del paradiso, tut-tavia, non annienta l’attendibili-tà della biblica promessa, né lasperanza della sua realizzazio-ne. «Speriamo sempre. Non sa-remmo ebrei altrimenti», scriveHilsenrath nel finale del roman-zo. La sua fiducia, in effetti, èstata ripagata. Perché, del ghet-to ucraino di Mogilyov-Podolskidove quel treno in due mesi diviaggio sotto la neve lo avevacondotto, lui, la madre e il fratel-lo furono tra i pochi sopravvis-

suti di venticinquemila vittime.Un’esperienza analoga ha

vissuto l’austriaco Fred Wan-der, il nome d’arte con cui FritzRosenblatt, morto nel 2006, go-dé della sua postuma fortuna discrittore. Come Hilsenrath ori-ginario della Bucovina (suo pa-dre era mercante di cappelli aCzernowitz, la città di Paul Ce-lan e di Gregor von Rezzori),era nato a Vienna un decennioprima di lui, nel 1917. Come Hil-senrath sopravvissuto alla de-portazione, fu il solo della sua fa-miglia a salvarsi dal rogo di Au-schwitz, in cui arsero il padre, la

madre e la sorella. Come l’auto-re tedesco che, fuggito dallaGermania nel ‘38, visse nella co-munità di Sireth - la Pohodnadel romanzo - il suo fragile, indi-menticabile idillio, così FredWander trovò e in breve perdet-te il suo paradiso a Marsiglia,dov’era approdato dopo l’An-schluss sperando di imbarcarsiper le Americhe.

Il suo Paradise Lost si chia-mava Hôtel Baalbek ed era unporto di mare sulle rive del-l’abisso, una casa di spettri po-polata dei fantasmi di un mondosommerso, un crogiolo di perso-ne destinate a farsi scottare dal-la storia. Ciononostante, l’inse-

gna di quella bettola, dove Wan-der abitò tra il 1940 e il ‘42 - pri-ma di scappare in Svizzera edesser consegnato dalla poliziaelvetica alla Gestapo -, conservòper lui negli anni una luce fasci-nosa. Tanto che, mezzo secolodopo, riapparve sulla copertinadel romanzo in cui nel ‘91 narròla sua avventura marsigliese:oggi tradotto da Ada Viglianiper Einaudi, sull’onda del primolibro di Wander, Il settimo pozzo(Einaudi 2007), scritto nel ‘71 eriscoperto in Germania solo do-po la morte dell’autore.

«Non è della disperazioneche vorrei parlare, bensì del tur-binio dei sensi...», precisa Wan-der, facendo rivivere la galleriadi personaggi che, sul quel sor-dido, magico palcoscenico, ave-vano vissuto con lui una vana il-lusione di salvezza. Il sognatoreJablonski e la sua dispotica mo-glie Hanna. Il cinico predicatoreSascha, e l’ingenuo idealista Jo-schko. L’affascinante Katja e labellissima Lily, due amori im-possibili - disperati - che il prota-gonista non smetterà di vagheg-giare. Ma il turbinio di sensi cheinveste un giovane cuore puòsottrarlo persino alla dispera-zione...

Il trauma della memoria Un romanzopostumo nel buco nero della guerra

DARIOVOLTOLINI

Il Terzo Reich è statoterminato da Bolaño nel 1989.Scritto su quaderni, e successi-vamente ribattuto a macchi-na, fu trasferito parzialmentedall’autore su computer. Occu-pato dalla stesura del suo ca-polavoro 2666 e consapevoledi avere molto probabilmentele ore contate (come poi pur-troppo è stato), Bolaño nonportò a termine la trascrizionedel libro su computer e quindi,forse, nemmeno la sua definiti-va revisione.

Non è certo un romanzoche formalmente risenta diquesta mancata revisione, an-zi, è scritto con la limpidezza ela stupefacente maestria chesono la cifra stilistica di questoautore. Certo è un testo enig-matico e non va escluso che al-cune chiavi di interpretazionesiano rimaste per così dire nel-

la penna (nella tastiera) delgrande cileno.

Siamo in un paese di maredella Costa Brava, dove il narra-tore, un tedesco di nome UdoBerger campione di wargames,in particolare del wargame chia-mato «Il Terzo Reich», ritornaper una vacanza dopo dieci an-

ni. Con lui la fidanzata, la bellissi-ma Ingeborg. Dieci anni primaUdo era un ragazzino, ci venivacon la famiglia. Ora è un giovaneuomo che si sente nel pieno del-la forza vitale e della soddisfazio-ne di vivere.

La coppia fa presto amiciziacon un'altra coppia tedesca econ due tipi locali chiamati Il Lu-po e L’Agnello. Udo in verità è lìper studiare una variante delgioco Terzo Reich e per scrive-re un articolo per una rivistaspecializzata. Non ama molto lavita da spiaggia, né socializzarecon le nuove conoscenze. Tutta-via a poco a poco ogni relazionecon gli altri attori della vicenda(centrali, come l'affascinante pa-drona dell’hotel, o marginali chesiano, come la cameriera) lo con-duce a una progressiva destabi-lizzazione psichica ed emotivae, potremmo dire, come spessoin Bolaño, metafisica.

Una figura in particolare vie-

ne a essere centrale nell’espe-rienza di Udo, un uomo musco-loso orrendamente ustionato,chiamato Il Bruciato, che vivesulla spiaggia affittando pattìni.

Il Bruciato diventa centraleperché comincia con Udo unapartita decisiva a «Terzo Rei-ch».

Il romanzo è il diario di queigiorni scritto da Udo stesso.

Ora, il senso di minaccia e dipericolo che cresce di pagina inpagina è solo parzialmente giu-stificato dai fatti che il narrato-re racconta, e nemmeno le sotti-li fluttuazioni psicologiche deipersonaggi, né le loro metamor-fosi relazionali, riempionol'enorme, magnetico vuoto cheBolaño allestisce. Una scena inparticolare può fungere daesempio di questa sua capacità:Udo, chiamato a riconoscereuna salma ripescata dopo giorniin mare, come narratore arrivafino al punto cruciale e poi glissa

e non descrive ciò che vede. Lofarà in seguito, indirettamente,riguadagnata una certa distan-za. Qui Udo non è credibile co-me narratore, si tratta propriodi Bolaño, della sua capacità, an-che altrove riscontrabile e forsealla base di tutto 2666, di arriva-re fino all'orlo dell’abisso, fino aun millimetro oltre l’orlo del-l’abisso e poi di riprendere daun'altra parte, scivolando versoaltri abissi.

Chiaro qui è il trauma dellaSeconda Guerra Mondiale, trau-ma storico e anche mentale, vi-sto che l'incessante tentativodei giocatori di wargames èquello di rigiocare simbolica-mente le grandi vicende stori-che conducendole a esiti diversida quelli reali, e anche traumadella memoria, che coinvolgetutta la narrazione, poiché nullaveniamo a sapere del passatoche conduce il Bruciato a gioca-re con Udo, né perché porti sudi sé quelle ferite. Tutto scorrecome se qualcuno sapesse le co-se che a noi sono celate, ma nes-suno le sapesse tutte. E chi saqualcosa invece di dire allude,sorride, fa l'occhiolino, fa smor-fie, fa ipotesi che poi svaniscono.

La Seconda Guerra Mondia-le qui funge da buco nero che or-ganizza la narrazione e in que-sto il romanzo prefigura 2666,dove al posto di un buco nerodella nostra storia e della nostramemoria ci sarà il buco nero ag-ghiacciante e attuale, nostrocontemporaneo, della città diSanta Teresa.

E per Bolañoil Terzo Reichdiventaun wargame

pp Fred Wanderp HOTEL BAALBEKp trad. di Alda Viglianip Einaudi, pp. 240, € 14

pp Edgar Hilsenrathp JOSSEL WASSERMANN

TORNA A CASAp trad. di Lorenza Cancianp B. C. Dalai, pp. 240, € 17,50

pp Fabrice Humbertp IL MONDO PRIMA DEL BUIOp trad. di Matthieu Gorinip Piemme, pp. 329, € 17

pp Jacques Chessexp UN EBREO COME ESEMPIOp trad. di Maurizio Ferrarap Fazi, pp. 77, € 14

Incombe il ghettotra neve e mare

La mattanzain camicia bruna

«Hotel Baalbek»:il breve paradisoa Marsiglia, dopol’Anschluss, sperandodi salpare per l’America

«Un ebreo comeesempio»: un mercantedi bestiame di Bernafatto a pezziper dare l’esempio

«Jossel Wassermanntorna a casa»: l’ultimoincantesimo, una fiabadi cui si conosce l’atrocefinale in anticipo

«Il mondo primadel buio»: una storiache per moltiaspetti ricorda«Le benevole» di Littel

Humbert e Chessex L’ignoto nonno scoperto per casoa Buchenwald e uno squartamento per festeggiare Hitler

Hilsenrath e Wander Le speranze di due scrittori, unotedesco, l’altro austriaco, sopravvissuti alla deportazione

Un manifesto inizio Anni Trenta del partito socialdemocratico tedesco

«Senso unico» dice il cartello: «Gli ebrei sono la nostra sventura»

pp Roberto Bolañop IL TERZO REICHp trad. di Ilide Carmignanip Adelphi, pp. 325, € 20

Due coppie tedesche,una vacanza in CostaBrava e una partitadecisiva conl’enigmatico Bruciato

Il giorno della Memoria: RomanziIVTuttolibri

SABATO 22 GENNAIO 2011LA STAMPA V

Roberto Bolaño scrisse «Il Terzo Reich» nel 1989

LETTURE

Un manifesto di Ludwig Hohlwein per la Gioventù hitleriana

PER I GIOVANI

Libro della Shoah= Un invito di David Grossmana «rielaborare, anche con i piùgiovani, quanto è successo"laggiù", quel "laggiù" che non èsolo nella Germania del nazismo»introduce Il libro della Shoah diSarah Kaminski e Maria TeresaMilano, con le illustrazioni di LeleLuzzati e Valeria De Caterini.Rilanciato da Sonda (pp. 190,€ 19), per documentazione espunti di approfondimentorimane un riferimento puntualequanto stimolante. Le tre sezionipropongono «Narrazioni» di UriOrlev e di altri scrittori e saggisti;«Vissuti» dei «bambini nellaShoah» con materiale inedito suighetti di Lòdz e di Terezin e unventaglio di «Laboratori», previstiper fasce di età, , spaziando dalle«tappe dello sterminio» allemappe dei principali ghetti e aipercorsi di lettura creativi a partiredalle «Narrazioni». [F.A.]

CLARA SÁNCHEZ

Tra gli aguzzini= Madrilena, Clara Sánchezha scalato le classifichespagnole con Il profumo dellefoglie di limone, ora daGarzanti (pp. 360, € 18,60,traduzione di Enrica Budetta).Costa Blanca, in settembre.Sandra, una giovane, in crisi,incinta di un uomo che forsenon ama, viene come adottatada una coppia di simpaticivecchietti. Accolta nella lorovilla in fiore, a poco a poco verràa sapere chi sono: due criminalinazisti. Julián, scampato al lagerdi Mauthausen, li hariconosciuti e si affida a Sandraper smascherarli. La donnadapprima fatica a credere cheFredrik e Karin siano due messiinfernali. Quindi si adoperaaffinché il male da lorocommesso non restisconosciuto e, soprattutto,impunito.

JAKOV LIND

Il nazista inabile= Un soldato nazista inviaggio nell’Europa devastata.Dopo la disfatta di Voroshenkovien dichiarato mentalmenteinabile. Ma Gauthier, il sergenteGauthier, non accetta il verdetto.E così si mette in marcia, di Paesein Paese, alla ricerca di unreggimento che lo accolga e loriporti al fronte. Peregrinando,Gauthier incontra disertori,collaborazionisti, ufficialicorrotti, opportunisti checercano di confonderlo. Unpunto di vista inedito e surreale:la sua storia è raccontata inPaesaggiodi cemento (Cargo,pp. 192, e 16,50, trad. di MarlisIngenmey e MarianelloMarianelli, in libreria dal 2febbraio). L’autore è Jakov Lind,pseudonimo di un prolificonarratore (1927 - 2007), viennesedi famiglia ebrea, vissuto poi traIsraele e Inghilterra.

SCHWARZ-BART

Il ciabattino e Elia= «Era un ebreo, un ebreo dipiccola taglia, che vi costringeva adalzare la testa per guardarlo»: nonsi fatica a immaginare questafigura piccola e grande al tempostesso. Era André Schwarz-Bartnegli occhi di sua moglie:scomparso nel 2006, scrissel'indimenticabile L'ultimo dei giusti,epopea di un mondo scomparsonei forni crematori. Ora Guandapubblica il romanzo postumo Lastella del mattino (traduzione diSilvia Sichel, Guanda, pp. 237,€ 17,50). Un'altra storia di quelmondo che non c'è più, vistaattraverso lo sguardo incantato esofferto al tempo stesso chericorda, anzi riproduce la melodiadello yiddish. E' una storia tuttarivolta , a un passato che non puòpiù tornare: un ciabattino nonchéviolinista riceve la visita del profetaElia e con lui attraversa tuttol'orrore della Shoah. [E.L.]

IL DUALISMO UNIVERSALE

SOLO13,50€

IN EDICOLA IL N°1

Su questo numero✓ Ermete Trismegisto✓ L’Androgino✓ L’Alchimia

CON L’OMAGGIO DEL1° VOLUME DEL CARTARI

Page 6: Tuttolibri n. 1749 (22-01-2011)

Pagina Fisica: LASTAMPA - NAZIONALE - VI - 22/01/11 - Pag. Logica: LASTAMPA/TUTTOLIBRI/06 - Autore: ARCVIT - Ora di stampa: 21/01/11 20.37

UN CAPITOLO IN ANTEPRIMAI conti con il nemico raccoglie scrittidi esuNutoRevelli.Pubblichiamopartedeldiscorsoche lo scrittorepronunciòdavantiagli studentidiMarburgnelgennaio1995. Tragliautorichemeditanosull’operadell’autore di Ilmondodeivinti: PietroIngrao,GiovanniGozzini,CorradoStajano,NicolaLabanca.Sempreper i tipidiAragno,diGianlucaCinelli,NutoRevelli, unostudiosullascritturae l’impegnocivile dalla testimonianzadellaSecondaGuerraMondialeallacritica dell’Italia repubblicana.I due libri saranno presentati a Cuneo il 5 febbraio, ricorrendoi sette anni dalla scomparsa di Nuto Revelli (Salone d’Onoredel Comune, h. 17). Tutte le sue opere sono pubblicate daEinaudi: da La strada del Davai a L’anello forte, da Il mondodei vinti a Il prete giusto.

LA LINGUA DEL DUCE, DECIFRATA DA GOLINO

Un altoparlante, retorico e populistaTorna in libreria dopo sedici anni Parola di Duce. Il linguaggiototalitario del fascismo e del nazismo (Rizzoli, Bur, pp. 207, € 9.00),il prezioso volume che Enzo Golino dedica alla Neolingua di BenitoMussolini. Non si tratta di uno studio specialistico ma del contributomilitante di uno dei nostri maggiori critici letterari, nella cuiproduzione spicca Pasolini. Il sogno di una cosa (Il Mulino 1985 eBompiani 2005). Qui Golino procede per campioni significativiestraendoli dal corpus degli scritti del Duce e calcolandone gli effettidi ricaduta nella pubblicistica e nell’uso corrente. Vi si delinea ilrepertorio di un linguaggio scandito ad alta voce, come da un eternoaltoparlante, che tende a dilatarsi in figure di enfasi ma, nelfrattempo, mira ad occultare o a distorcere il legame con le cose:insomma è la lingua di una retorica bugiarda, sciovinista e populista,ed è il modello che Adolf Hitler porterà a sinistra perfezione.E proprio alle parole-chiave del nazismo Golino riserva un capitoloscritto ex novo e in omaggio a Victor Klemperer, il filologo ebreo chein LTI. Lingua Tertii Imperii (Giuntina 1998), crittografia del regimehitleriano, vide nello «stile dell’imbonitore» la cifra più longeva dellapolitica secolare. Introducendo il proprio lavoro, osserva Golino:«Sono echi inquietanti che risuonano ancora oggi […]negli attualifautori berlusconiani di un Partito dell’Amore in simbiosi con unPartito del Fare». Cascami mediatici, bigiotteria televisiva, neologismidi plastica ma anche barzellette da trivio, doppisensi misogini esottintesi xenofobi: sia gli studi pionieristici (fra gli altri di Tullio DeMauro e Raffaele Simone) sia le analisi in presa diretta di alcunispecialisti (per esempio Gian Luigi Beccaria) ci dicono infatti che,antica e absolument moderne, la Neolingua italiana è da tempoforgiata, ha un vistoso sigillo d’autore nonché milioni di parlanti epersino di scriventi. Massimo Raffaeli

Nuto Revelli Un inedito discorso agli studenti di Marburg ispirato alla leggendadel «tedesco buono», il Disperso a cui l’autore del «Mondo dei vinti» dedicò un libro

GIORGIOBOATTI

Le liturgie politichehanno riconosciuto, e non daoggi, alla memoria funzione ir-rinunciabile nella costruzionedi una comunità. Solo che allevicende delle generazioni tra-scorse si può tornare in svaria-ti modi. E non sempre con ri-sultati affidabili. A parte le glo-rificazioni propagandistiche, ola messa all'indice di certi scor-ci del passato in funzione dichi sta al comando, non man-cano di certo gli esaustivi edobiettivi affreschi storici che,pur stimabili, non riesconoproprio ad imprimere soffio vi-tale alle realtà sulle quali si chi-nano.

Non è assolutamente que-sto il caso del godibilissimo madenso saggio di Vittorio Emi-liani, Il fabbro di Predappio. Vi-ta di Alessandro Mussolini, pub-blicato da il Mulino. Pur per-correndo la strada collaudatadi quella che a prima vista si of-fre come una biografia del pa-dre - anarchico, socialista rivo-luzionario - del Duce, aprendo-si, soprattutto nei primi capito-li, su una sorta di genogram-ma storico e sociale della fami-glia dei Mussolini, VittorioEmiliani riesce a porgere un li-bro che va ben oltre lo strettosentiero dell'escursione bio-grafica. O dell'affresco fami-gliare dei Mussolini, da quan-do si chiamavano Mucciolini estavano sui bricchi dell'Appen-nino romagnolo, in localitàMucciolino appunto, per poicalare a valle, a Predappio, nel-

la Romagna bollente dell'Otto-cento.

Il saggio di Emiliani è unperfetto esempio di «carota-zione» narrativa che scenden-do e salendo lungo le ramifica-zioni di una famiglia, certo as-sai particolare quale quella diAlessandro Mussolini, riesce acondurre il lettore attraversole stratificazioni umane, socia-li, economiche, politiche di unterritorio. In concreto quellaRomagna che, almeno dallametà dell'Ottocento sino aqualche decennio fa, ha scrittopagine di vivace conflittualitàe di radicale impatto di incisi-ve personalità sulla storiad'Italia.

L'esercizio della memoriacivile è proficuo, e generoso dispunti, quanto più non è solopuntigliosa risalita lungo i bi-nari della cronologia, con pun-tuale e prevedibile sosta allestazioni dei ricordi, ma, comefa Emiliani, si apre alle irruzio-ni dell'imprevisto. In questomodo il lettore è condotto lun-go un itinerario spazio-tempo-rale nel corso del quale tuttopare avvicinarsi, toccarsi, in-trecciarsi. Ogni dettaglio sicompone in un quadro viventedove c'è posto per tutti, per iMussolini ma anche per gli avidi Emiliani, la cui famiglia haradici profonde in quelle stes-se località di Romagna - For-limpopoli, Predappio, Forlì - incui si muove Alessandro Mus-solini e il suo tempestoso pri-mogenito.

Così, ad esempio, affidatoal collegio di Forlimpopoli ilgiovane ribelle Benito Amilca-re Andrea - così chiamato inomaggio al patriota messica-no Benito Juarez, ad AmilcareCipriani garibaldino, anarchi-co internazionalista, comunar-do deportato nella Nuova Cale-

donia e nel 1883, anno di nascitadel Duce, tenuto ai ceppi nellagalera di Portolongone e, lastbut not least, del primo deputatosocialista Andrea Costa - papàAlessandro Mussolini si recanell'emporio collocato nellapiazza principale della località echiede a un Andrea Emiliani,nonno di Vittorio, di tenere d'oc-chio il figlio. Andrea gestisce unnegozio che gli è stato affittatodagli Zoli, famiglia da cui provie-ne Adone (1887-1960), democri-stiano e futuro presidente delConsiglio nel 1958.

La storia grande e piccolanelle pagine di Emiliani evolvecon le sue intriganti spirali. Adesempio quei Paulucci di Calbo-li, che sono i feudatari delle ter-re d'Alto Appennino da cui scen-

dono a valle i Mussolini, espri-meranno con Giacomo Pauluccidi Calboli - un loro esponente,seppur cooptato per matrimo-nio con l'ultima discendente del-la nobile famiglia - il consiglierediplomatico che nel primo lu-stro dopo la Marcia su Romacercherà di insegnare, se possi-bile, le «buone maniere» al capodel fascismo diventato presiden-te del Consiglio.

Quanto ai suoi genitori il Du-ce nel corso del ventennio pro-muoverà innumerevoli intitola-zioni di scuole, asili, colonie eopere pubbliche alla memoriadella madre, la maestra elemen-tare Rosa Maltoni. Morta nel1905. Niente di niente inveceper il padre Alessandro. Il fab-bro di Predappio, scomparsonel 1908, e fedele al radicalismosocialista più intransigente, allo-ra condiviso dal figlio che stamuovendo i primi passi comeagitatore politico, verrà rimos-so da ogni pubblica memoria.Con l'eccezione di una biografiache Arnaldo Mussolini, fratellodi Benito, commissionata, appe-na prima di morire, all'ex sociali-sta Francesco Bonavita. E che,complice l'improvvisa scompar-sa del committente, appena pub-blicata, nel 1933, sparisce quasisubito dagli scaffali. Condannan-do il fabbro di Predappio ad unlungo oblio.

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“Sempre meno egualisempre meno liberi”

Sono in tanti ad aver usatonel secolo dell’Unitàl’espressione «lingua mor-

ta» riferita all’italiano. Manzo-ni indicò una soluzione toscano-centrica, che scontentò e sembròun ostacolo per tanti settentrio-nali e in particolare per letteratimeridionali. De Roberto e Ca-puana sottoporranno difatti Ilmarchese di Roccaverdinal’uno, I Viceré l’altro, a un lungolavorio di riscrittura. In una let-tera (1895) De Roberto confessache i suoi primi libri «sì, sonoscritti in una lingua ostrogota:ma dai Viceré in giù mi sono cor-retto»; e Capuana, in una lette-ra dell’84: «Figuratevi che dispe-razione con questo terribile stru-mento della nostra lingua cheper noi siciliani è quasi come unalingua morta, come già per granparte degli italiani».

Una lingua di cultura in op-posizione appunto alla naturali-tà del dialetto. Occorreva lavora-re su libri e vocabolari per ap-prenderla. Sui libri ne aveva do-vuto difatti approfondire la com-petenza, a suo dire lacunosa, illombardo Manzoni che alla ricer-ca della lingua aveva per studiosconciato un suo esemplare delVocabolario della Crusca al pun-to (diceva proprio così) «da nonlasciarlo vedere», tant’era crivel-lato di sottolineature e appuntipresi per impossessarsi dei voca-boli e delle locuzioni che ancoranon possedeva. Di qui, per supe-rare la fase di quel primo prodot-to composito del Fermo e Lucia,inizia un lungo cammino in cer-ca di una lingua «viva e vera»,adatta a una prosa narrativanazionale che in qualche modoappartenesse anche a una socie-tà di parlanti. Una lunga vicen-da che non si riduce certo a merafilologia ma che muove sostan-zialmente verso il colloquio conuna società, verso direi quasi lafraternità e il riconoscimento.

Riconoscimento che nella na-zione faticò parecchio ad avveni-re. Avevamo raggiunto l'unità,ma gli incontri tra italiani di re-gioni e lingue materne assai lon-tane creavano situazioni diestraneità, affettazione di modidi comunicazione del tutto inna-turali.

Ai tempi delle celebrazionidell’unità gli incontri mondaninei salotti delle città di provinciameridionali dovevano avvenirecome ce li ricostruisce Anna Ban-ti nel romanzo Noi credevamo,cui s’è liberamente ispirato il re-cente omonimo film di Martone:«Mai vidi gale più goffe e grotte-sche di quelle con cui, dopo il ple-biscito, si pretendeva celebrare,nel sud, l’unità italiana. Neregiamberghe stazzonate, doratu-re militari, broccati dei tempi diMaria Carolina, dimostravanoa esuberanza la difformità deicostumi, dei caratteri, della sto-ria che ogni invitato recava consé, irrimediabilmente dipintanei volti, nei gesti, nei tentatividi approccio; per non dire dellalingua con cui le conversazioni siavviavano e rimanevan sospesealla impossibilità d'intendersi esoprattutto di rispettarsi.[...]l’imbarazzo dei notabili e del-le loro donne era pari all'impetti-ta alterigia degli ufficiali, sbalor-diti e diffidenti, ristretti in grup-pi, quasi a difesa. Nel frastuonodelle voci meridionali, essi comu-nicavano fra loro così sommessa-mente da parer sordomuti ches’intendessero a cenni».

Marco Revelli «Poveri, noi» non soloeconomicamente: è in corso una deprivazioneche scalfisce i diritti dell’uomo, di ogni uomo

Memorie d’ItaliaVITuttolibri

SABATO 22 GENNAIO 2011LA STAMPA VII

NUTOREVELLI

Quando son partitoper andare in guerra ho percepi-to la dimensione della mia igno-ranza e dico ai giovani:quando sipercepisce di essere ignoranti ègià un buon segno. Il terribile èquando si è ignoranti e non si sadi esserlo. Io ho percepito cheero ignorante, stavo per partire,andare ad ammazzare o a farmiammazzare, e mi son detto: «de-vo uscire dalla mia ignoranza», emi sono imposto di voler capire,di stare attento a tutto quelloche avrei visto, a tutto quellocheavrei vissuto. Per capire, peruscire dalla mia ignoranza. E hoscritto tutto.

Quando dico «ignorante»non dico analfabeta, no, avevoun titolo di studio di scuola supe-riore, da «geometra». Nessunodi voi giovani tedeschi forse sache cosa significhi - forse qui da

voi non esiste il titolo di studiosuperiore da geometra. Geome-tra da noi è una specie di inge-gnere, ma piccolo così, alto appe-na così; l’ingegnere è alto, impo-nente. Il geometra è piccolo pic-colo ecco. Io avevo il titolo di stu-dio da geometra, quindi non eroun letterato. Sapevo scrivere,certo, scrivevo alla mia famiglia,scrivevo alla mia ragazza, manon andavo oltre. E ho scritto undiario. Quando mi chiedono i gio-vani: «ma quando ha cominciatoa scrivere? Lei quando ha comin-ciato a scrivere?». Io ho scrittocosì, come avrei scritto delle let-tera alla mia famiglia, ho scrittoun diario. Appena finita la guer-ra l’ho pubblicato così comel’avevo scritto lungo il percorsodi quella esperienza.

Lungo quell’esperienza, lun-go quel cammino, ho capito tan-te cose ma perché volevo capire,volevo capire. Faccio solo un ac-cenno, caro Guthmüller - solo unaccenno perché se comincio aparlare finisco stasera alle 9,non mi fermo più, se vado in orbi-ta poi dovete fermarmi -: duran-te il viaggio, quando sono arriva-to in Polonia e ho visto gli ebrei,

io non sapevo niente dei campi disterminio. Nessuno di noi sapevaniente. Era ignoranza. Io sono ri-masto ferito da quelle visione de-gli ebrei. Nelle stazioni della Bìelo-russia ho visto dei bambini di set-te-otto anni segnati con la stellagialla,assieme a genteadulta, altriebrei, ridotti in condizioni dispera-te. Ecco, lì io mi sono chiesto, ioignorante, incolto, mi sono chie-sto: «ma questa è la mia guerra?».«Questa non è la mia guerra. Que-sta sarà la guerra dei tedeschi, mison detto, perché quegli ebrei era-no guardati da tre SS, da tre ra-gazzi alti quasi due metri, belli,ben vestiti; me li vedo ancora da-vanti agli occhi, gli elmetti lucidi,le Pistolmaschinen puntate su que-

sti 60-70 relitti umani. «Questa èla loro guerra, non è la mia, nonpuò essere la mia». Ma pensate:andare in guerra in quelle condi-zioni!

Poi la guerra ti coinvolge, ti co-stringe a restare negli ingranaggi;quindi ho dovuto fare la guerra, laguerra in cui non credevo, noncredevo. Io che ero un ex-fascista.Da giovane, da ragazzo, ero un en-tusiasta del fascismo. In Italiaadesso parliamo dei tedeschi, diRudolf, ma gli italiani non eranomica stinchi di santi eh! Erano al-leati dei tedeschi, erano fascisti.In certo qual senso erano stati unpo’ i maestri perché il fascismo ènato in Italia, prima del nazismo.Le leggi razziali c’erano anche in

Italia. Bene, per farla breve: io hovissuto quella guerra facendo tut-to il mio dovere di soldato: perchéquando hai una divisa, hai un im-pegno. O diserti, o scappi, oppure

sei nel giro. Io ero ufficiale, sotto-tenente e mi sono detto «devo fa-re tutto il possibile anche per imiei soldati» (per i miei soldati, ec-co quanto conta il fattore della so-lidarietà in queste cose...). Però

quanta fatica, quanta fatica!Lo dico a voi giovani, lo dico

perché devo essere sincero convoi, non devo venire a Marburg araccontare delle storie: non sop-portavo i tedeschi. Non li soppor-tavo! Non li sopportavo anche per-ché provavo un senso di inferiori-tà enorme sul piano militare. Noiitaliani eravamo un’armata Bran-caleone. Non so se sapete cosavuol dire una «armata Brancaleo-ne»... eravamo male armati, all’an-tica, male equipaggiati. I tedeschierano efficienti, i tedeschi eranopreparati per quella guerra mo-derna. E quello che non sopporta-vo era che funzionavano bene, era-no i padroni del vapore, erano i mi-liardari della situazione, e subivo

lo stato di inferiorità. Poi c’è statoil disastro, la ritirata, l’inferno.

Nell’inferno c’erano anche i te-deschi, disgraziati come noi, peròsempre un po’ diversi da noi, sem-pre più efficienti, sempre più pron-ti a riunirsi, a far gruppo... Noi in-vece come tante bombe shrapnelpronti ognuno a pensare indivi-dualmente, egoisticamente. Io so-no tornato dall’esperienza delfronte russo, devo dirlo perché èla verità, perché l’ho scritto e per-ché non devo venire a Marburg afare il furbo: sono tornato dal fron-te russo odiando i tedeschi. Odian-do, lo dico nel libro, perché sba-gliando addebitavo tutte le colpedel disastro, loro e nostro, ai tede-schi. Diventava facile dire: i tede-

schi sono i responsabili di tutto.Sbagliando..., sbagliando!

Sono tornato a casa malridot-to di salute, fiaccato nel fisico, unaferita appena rimarginata, conge-lato. E’ arrivato l’armistizio dell’8settembre ’43, una confusione im-mensa, il paese, l’Italia, abbando-nata a se stessa; i nostri capi politi-ci e militari scappati in manieravergognosaper sfuggire alla cattu-ra da parte dei tedeschi; i soldatiabbandonati a sé in Italia, nei Bal-cani (pensate a Cefalonia), dapper-tutto. Io ho sentito il bisogno discegliere di fare il partigiano. Hoscelto subito di fare il partigiano.Disprezzavo i fascisti con tutte lemie forze, e odiavo i tedeschi,sonodiventato subito un partigiano.

Ho vissuto la guerra partigia-na, tutti i venti mesi, in maniera to-tale, ho dato tutto quello che eroancora in condizione di dare. Ave-vo 24 anni, ho subito queste feritequi al viso che a 23-24 anni eranodifficili da portare. E poi, finita laguerra, ho sentito il bisogno di di-re a chi nonsapeva, la mia verità.

Ho pubblicato subito il mio dia-rio di Russia per dire a chi non sa-

peva cosa era successo là (e avevaperso figli, fratelli, sposi là), quelloche era successo. Per dire: «guar-date che io ho vissuto quell’espe-rienza della guerra di Russia inquesto modo. Questa è la mia veri-tà». Non è la verità in assoluto, l’hosempre gridato, non è la verità inassoluto, «è la mia verità». Io ve lapropongo, e poi voi giudicate, poisentite altre verità, le confrontatee magari vi trovate la vostra veri-tà. Prima ho detto la mia verità,poi mi sono dedicato a quelli cheavevano delle cose da dire sullaguerra ma non avevano la voceper uscire all’esterno, per comuni-care, nonavevano gli strumenti.

Li ho aiutati raccogliendo le te-stimonianze loro e pubblicandole.Sono arrivato dopo il terzo, il quar-to libro, dopo la terza o quarta in-dagine, a dirmi: basta con la guer-ra. Non ne potevo più del tema«guerra». Proprio da non poternepiù, da non sopportare più il di-scorso della guerra, tanto l’avevorivissuto.

PAROLEIN CORSO

GIAN LUIGI BECCARIA

La linguaunitaria,

viva e vera

“Mi tengad’occhioil mio Benito”

ROBERTO DENTI

La Resistenzadel libraio= A tredici anni RobertoDenti scappò e si imbarcòcome mozzo su un cargoportoghese, ma fu riacciuffatoin tempo e riportato a casa,dove aveva lasciato unmessaggio di puro stamposalgariano: «Vi darò mienotizie quando sarò Vicerédelle Indie». Era il preludio diuna lunga vita di avventure (adesempio aprire la prima libreriadei ragazzi in Italia con lamoglie Gianna Vitali), moltaparte delle quali, però, è statataciuta anche agli amiciabituali, per pudore, perriluttanza a ogni ostentazione,come è nel caratteredell'uomo.Adesso in La mia Resistenza(Rizzoli, pp. 175, € 14)racconta ai ragazzi la suaavventura più grande,ovviamente non con il tagliodello storico, ma con gli occhidi un ventenne che l'ha vista evissuta personalmente. È unfrancobollo nel grande fogliodella lotta di Liberazione, maspesso il dettaglio rivelal'essenziale. E cioè,l'educazione in una famiglia

antifascista, l'influenza di unvero professore, i primitentativi con altri giovanidotati solo di passione (per farsaltare un ponte sul Po) e poicon una trentina di «sbandati»in montagna scendendo a valleper procurarsi cibo e «darfastidio» a tedeschi e fascisti,cinque mesi di carcere,l'ingresso nella brigata Rossellidi «Giustizia e Libertà» sopraFirenze, le azioni di guerriglia,gli scontri a fuoco, irastrellamenti nazifascisti e lerappresaglie sui civili, i lancialleati di armi e rifornimenti.Ai ragazzi che negli incontri ascuola e in biblioteca glichiedono se ha mai uccisoqualcuno, Roberto si limita arispondere che quando sparinon sai che cosa colpisci.Non si tratta di giochi di bande,di ragazzi della via Pàl cresciuti.Denti spiega molto benefenomeni non semplici, comead esempio la «zona grigia»: aipartigiani bastava che lapopolazione locale non fosseostile, che desse qualcosa damangiare, che curasse unferito, che non ti denunciasse,che facesse finta di non vedertiquando passavi. Vi sonoincontri memorabili comequello con il partigianocattolico Teresio Olivelli, autoredella commovente «Preghieradel Ribelle», riportata nel libro,poi ucciso in un lager per averdifeso un compagnobestialmente percosso.Con operazione memoriale digrande intelligenza e utilità, illibro si chiude con il testo dellalapide di Piero Calamandrei,«Lo avrai camerata Kesserling»,a ricordo delle stragi naziste dipopolazioni civili nel1943-1945 e con quelli dellecanzoni partigiane piùpopolari: Bella ciao, Fischia ilvento, Siam i ribelli dellamontagna… Dopo l'Unità il piùgrande tentativo di fondarel'Italia, e Roberto ai ragazzi puòraccontarlo perché lui c'era. Fernando Rotondo

BRUNOQUARANTA

E’ un artista settecen-tesco, il Pitocchetto. Ma co-me sono indelebili, dure a sva-nire, le sue icone della misera-bilità. Di straccio in cencio, èsempre l’abito a fare, a identi-ficare, il povero. Mentre l’in-digenza ha via via, soprattut-to negli odierni giorni dispari,assunto ulteriori vesti. Tra inuovi diseredati non abbon-dano forse i colletti bianchi,ancorché lisi, ancorché in ser-vizio? Una carovana di «figu-re grigie», invisibili, che attra-versano le nostre strade a ca-so, smarrite le bussole, ridot-te più o meno all’osso le cam-buse, sfarinatesi le speranze,i sogni, epperò custodi di unadignità o di un’incredulitàche maschera la deriva.

Sì, Poveri, noi, come Mar-co Revelli, docente di Scienzadella politica, già responsabi-le della Commissione d’inda-gine sull’esclusione sociale,ha suggellato il suo viaggionella crisi. Ad hoc la virgola,strategica: mancando, sisconfinerebbe nella commise-razione, così, quasi incidendo-la, è impossibile sottrarsi alsevero, crudo specchio dellarealtà.

Un titolo, «Poveri, noi»,che ne richiama alla me-moria un altro, di suo pa-dre Nuto, «La guerra deipoveri».

«Inizialmente, avevo scelto, co-me titolo, Guerra ai poveri. Mal’assonanza era troppo forte».

Un debito verso suo padre?«La lezione dell’ascolto. Non siha diritto di parlare se non si èascoltato. E’ la matrice di nonpoca parte del mio lavoro».

L’apprendistato?«Intorno al ’67-’69, ai cancellidella Fiat, appena scomparsoValletta, sull’onda del movi-mento studentesco. Arrivavoda Cuneo: mi trovavo di fronteuna fabbrica il cui numero diaddetti era pari alla popolazio-ne della mia città. Ne ero sba-lordito».

I poveri di oggi, i vinti di ieri,contadini e montanari delCuneese, a cui ha dato digni-tà Nuto. C’è una relazione?

«Allora come oggi, un proces-so violento. Un’asimmetria

esasperata fra la gente e laclasse politica. A contraddi-stinguere il secondo dopo-guerra fu la forzata industria-lizzazione nel fondo valle: av-venne senza alcun rispettoper quanti stavano in alto, cre-passero pure».

Osserva Nuto Revelli: «Lafiammata della Liberazionesi era spenta troppo in fret-ta. Era di nuovo il potere checontava, il potere fine a sestesso».

«Il potere che è sempre uguale.

Quando le società si allargano,quando le distanze fra chi co-manda e chi subisce si divarica-no sommamente, il potere mo-stra un volto di pietra. Si rivelaqual è: una Gorgone».

L’asimmetria odierna?«Si chiama working poors. Unavolta il lavoro fungeva da tali-smano, neutralizzava il rischiopovertà. Da una quindicina dianni si è affermata la figuradel “povero al lavoro”: la retri-buzione non sempre consentedi stare almeno a galla».

Poveri economicamente...«Ma non solo. Preferirei parla-re di deprivazione, tutti si è per-so qualcosa. I nostri maggiori,da Norberto Bobbio, con cui misono laureato (Marco Revelline ha curato il Meridiano Mon-dadori Etica e politica, ndr), aAlessandro Galante Garrone,

ci hanno insegnato che quandosi alza sconsideratamente l’asti-cella della diseguaglianza a ri-sentirne sono la democrazia, lalibertà, la giustizia. Da Pomi-gliano alla vicenda Mirafiori,gli esempi non difettano».

Lei, con riferimento al mon-do operaio, individua«un’inedita solitudine del la-voro». Chi, per esempio, nar-ra tale condizione?

«Già. Siamo di fronte a undramma sociale che non haquasi voce narrante. Dopo Pri-mo Levi, Ottieri, Volponi, Ca-merana, Calvino, l’Arpino diGli anni del giudizio. Bajani èrara avis».

Uno scrittore profetico? Ca-lamandrei indicava nello spi-rito «l’oro di noi poveri».

«Nella sua scia, a risaltare, èindubbiamente Pasolini. Colui

che ha cantato le virtù dei po-veri, un serbatoio di umanitàinesauribile, pensava, si pensa-va. Nelle stagioni si è inesora-bilmente svuotato, a trionfaresono la ferocia e l’indifferenza.Assistiamo a un conflitto oriz-zontale, a una guerra tra“poveri”, che si rivalgono suiloro pari o su chi sta peggio.L’innocenza, pur nell’abiezio-ne, che folgorò il testimone del-le borgate romane, è andataperduta. Il risentimento si èimposto».

I poveri e la politica...«Si avanza (si arretra) sospesitra miraggio e abdicazione.Siamo declinati, noi italiani, econsiderevolmente, credendodi crescere. Nelle diverse gra-duatorie siamo i fanalini di co-da o quasi. Eppure la politicaha la spudoratezza di inneggia-

re all’eden raggiunto».Dai corifei berlusconiani allasinistra. Secondo lei i poveriinteressano poco alla politi-ca, pure a quella di opposi-zione.

«La sinistra, e non da ora, harinunciato al compito di modi-ficare i rapporti sociali, a co-minciare dalla redistribuzio-ne del reddito. Si pongano aconfronto paghe operaie ecompensi manageriali, nel-l’era di Valletta e nell’era diMarchionne...».

«Sembrano avversità, ma so-no opportunità»era solito ri-cordare Vittorio Foa. Qualiopportunità intravede?

«Opportunità conoscitive. Ci èdato di intendere le stradesbarrate: l’apologia della cre-scita fine a stessa, la tecnolo-gia in grado di risolvere ogniproblema, mai creandone,l'inesauribilità delle risorseambientali, il mito dell’accele-razione temporale. Gli studinon mancano, semplicementeli si ignora».

Suo padre confidava nei gio-vani...

«Mio padre era una miscela diumanità e di durezza. Sapevacommuoversi come sapeva es-sere intransigente. Era unguerriero che odiava la guer-ra. Come sanno odiarla solo co-loro che l’hanno combattuta.Chi fa la guerra ai poveri, vada sé, non li conosce, non si co-nosce».

pp Marco Revellip POVERI, NOIp Einaudip pp. 127, € 10

pp Vittorio Emilianip IL FABBRO DI PREDAPPIO

Vita di Alessandro Mussolinip il Mulino, pp. 188, € 15

Il fabbro di Predappioraccontato da VittorioEmiliani: a risaltareè la Romagna comeautobiografia d’Italia

pp Nuto Revellip I CONTI CON IL NEMICO

Scritti di Nuto e su Nuto Revellip a cura di Luigi Bonanatep Aragno, pp. 170, € 17p in libreria dal 25 gennaio

Alessandro Mussolini

Vita Il padre di Mussolini, socialistaradicale, totalmente rimosso dal figlio

A destra, Nuto Revelli

«Ho vissuto la guerrapartigiana in manieratotale, ho dato tuttoquello che ero ancorain condizione di dare»

Benito Mussolini

«Come mi ha insegnatomio padre, chi fala guerra ai poveri,va da sé, non li conoscee non si conosce»

Testimonianza

Roberto Denti

“L’ignoranza è il nemico”

«Stavo per partire,andare ad ammazzareo a farmi ammazzare,e mi sono impostodi voler capire»

«I conti con il nemico»di uno fra i maggioritestimoni del secondoconflitto mondialee della Resistenza

150O

Libri d’ItaliaPer il 2011

Page 7: Tuttolibri n. 1749 (22-01-2011)

Pagina Fisica: LASTAMPA - NAZIONALE - VII - 22/01/11 - Pag. Logica: LASTAMPA/TUTTOLIBRI/06 - Autore: ARCVIT - Ora di stampa: 21/01/11 20.37

UN CAPITOLO IN ANTEPRIMAI conti con il nemico raccoglie scrittidi esuNutoRevelli.Pubblichiamopartedeldiscorsoche lo scrittorepronunciòdavantiagli studentidiMarburgnelgennaio1995. Tragliautorichemeditanosull’operadell’autore di Ilmondodeivinti: PietroIngrao,GiovanniGozzini,CorradoStajano,NicolaLabanca.Sempreper i tipidiAragno,diGianlucaCinelli,NutoRevelli, unostudiosullascritturae l’impegnocivile dalla testimonianzadellaSecondaGuerraMondialeallacritica dell’Italia repubblicana.I due libri saranno presentati a Cuneo il 5 febbraio, ricorrendoi sette anni dalla scomparsa di Nuto Revelli (Salone d’Onoredel Comune, h. 17). Tutte le sue opere sono pubblicate daEinaudi: da La strada del Davai a L’anello forte, da Il mondodei vinti a Il prete giusto.

LA LINGUA DEL DUCE, DECIFRATA DA GOLINO

Un altoparlante, retorico e populistaTorna in libreria dopo sedici anni Parola di Duce. Il linguaggiototalitario del fascismo e del nazismo (Rizzoli, Bur, pp. 207, € 9.00),il prezioso volume che Enzo Golino dedica alla Neolingua di BenitoMussolini. Non si tratta di uno studio specialistico ma del contributomilitante di uno dei nostri maggiori critici letterari, nella cuiproduzione spicca Pasolini. Il sogno di una cosa (Il Mulino 1985 eBompiani 2005). Qui Golino procede per campioni significativiestraendoli dal corpus degli scritti del Duce e calcolandone gli effettidi ricaduta nella pubblicistica e nell’uso corrente. Vi si delinea ilrepertorio di un linguaggio scandito ad alta voce, come da un eternoaltoparlante, che tende a dilatarsi in figure di enfasi ma, nelfrattempo, mira ad occultare o a distorcere il legame con le cose:insomma è la lingua di una retorica bugiarda, sciovinista e populista,ed è il modello che Adolf Hitler porterà a sinistra perfezione.E proprio alle parole-chiave del nazismo Golino riserva un capitoloscritto ex novo e in omaggio a Victor Klemperer, il filologo ebreo chein LTI. Lingua Tertii Imperii (Giuntina 1998), crittografia del regimehitleriano, vide nello «stile dell’imbonitore» la cifra più longeva dellapolitica secolare. Introducendo il proprio lavoro, osserva Golino:«Sono echi inquietanti che risuonano ancora oggi […]negli attualifautori berlusconiani di un Partito dell’Amore in simbiosi con unPartito del Fare». Cascami mediatici, bigiotteria televisiva, neologismidi plastica ma anche barzellette da trivio, doppisensi misogini esottintesi xenofobi: sia gli studi pionieristici (fra gli altri di Tullio DeMauro e Raffaele Simone) sia le analisi in presa diretta di alcunispecialisti (per esempio Gian Luigi Beccaria) ci dicono infatti che,antica e absolument moderne, la Neolingua italiana è da tempoforgiata, ha un vistoso sigillo d’autore nonché milioni di parlanti epersino di scriventi. Massimo Raffaeli

Nuto Revelli Un inedito discorso agli studenti di Marburg ispirato alla leggendadel «tedesco buono», il Disperso a cui l’autore del «Mondo dei vinti» dedicò un libro

GIORGIOBOATTI

Le liturgie politichehanno riconosciuto, e non daoggi, alla memoria funzione ir-rinunciabile nella costruzionedi una comunità. Solo che allevicende delle generazioni tra-scorse si può tornare in svaria-ti modi. E non sempre con ri-sultati affidabili. A parte le glo-rificazioni propagandistiche, ola messa all'indice di certi scor-ci del passato in funzione dichi sta al comando, non man-cano di certo gli esaustivi edobiettivi affreschi storici che,pur stimabili, non riesconoproprio ad imprimere soffio vi-tale alle realtà sulle quali si chi-nano.

Non è assolutamente que-sto il caso del godibilissimo madenso saggio di Vittorio Emi-liani, Il fabbro di Predappio. Vi-ta di Alessandro Mussolini, pub-blicato da il Mulino. Pur per-correndo la strada collaudatadi quella che a prima vista si of-fre come una biografia del pa-dre - anarchico, socialista rivo-luzionario - del Duce, aprendo-si, soprattutto nei primi capito-li, su una sorta di genogram-ma storico e sociale della fami-glia dei Mussolini, VittorioEmiliani riesce a porgere un li-bro che va ben oltre lo strettosentiero dell'escursione bio-grafica. O dell'affresco fami-gliare dei Mussolini, da quan-do si chiamavano Mucciolini estavano sui bricchi dell'Appen-nino romagnolo, in localitàMucciolino appunto, per poicalare a valle, a Predappio, nel-

la Romagna bollente dell'Otto-cento.

Il saggio di Emiliani è unperfetto esempio di «carota-zione» narrativa che scenden-do e salendo lungo le ramifica-zioni di una famiglia, certo as-sai particolare quale quella diAlessandro Mussolini, riesce acondurre il lettore attraversole stratificazioni umane, socia-li, economiche, politiche di unterritorio. In concreto quellaRomagna che, almeno dallametà dell'Ottocento sino aqualche decennio fa, ha scrittopagine di vivace conflittualitàe di radicale impatto di incisi-ve personalità sulla storiad'Italia.

L'esercizio della memoriacivile è proficuo, e generoso dispunti, quanto più non è solopuntigliosa risalita lungo i bi-nari della cronologia, con pun-tuale e prevedibile sosta allestazioni dei ricordi, ma, comefa Emiliani, si apre alle irruzio-ni dell'imprevisto. In questomodo il lettore è condotto lun-go un itinerario spazio-tempo-rale nel corso del quale tuttopare avvicinarsi, toccarsi, in-trecciarsi. Ogni dettaglio sicompone in un quadro viventedove c'è posto per tutti, per iMussolini ma anche per gli avidi Emiliani, la cui famiglia haradici profonde in quelle stes-se località di Romagna - For-limpopoli, Predappio, Forlì - incui si muove Alessandro Mus-solini e il suo tempestoso pri-mogenito.

Così, ad esempio, affidatoal collegio di Forlimpopoli ilgiovane ribelle Benito Amilca-re Andrea - così chiamato inomaggio al patriota messica-no Benito Juarez, ad AmilcareCipriani garibaldino, anarchi-co internazionalista, comunar-do deportato nella Nuova Cale-

donia e nel 1883, anno di nascitadel Duce, tenuto ai ceppi nellagalera di Portolongone e, lastbut not least, del primo deputatosocialista Andrea Costa - papàAlessandro Mussolini si recanell'emporio collocato nellapiazza principale della località echiede a un Andrea Emiliani,nonno di Vittorio, di tenere d'oc-chio il figlio. Andrea gestisce unnegozio che gli è stato affittatodagli Zoli, famiglia da cui provie-ne Adone (1887-1960), democri-stiano e futuro presidente delConsiglio nel 1958.

La storia grande e piccolanelle pagine di Emiliani evolvecon le sue intriganti spirali. Adesempio quei Paulucci di Calbo-li, che sono i feudatari delle ter-re d'Alto Appennino da cui scen-

dono a valle i Mussolini, espri-meranno con Giacomo Pauluccidi Calboli - un loro esponente,seppur cooptato per matrimo-nio con l'ultima discendente del-la nobile famiglia - il consiglierediplomatico che nel primo lu-stro dopo la Marcia su Romacercherà di insegnare, se possi-bile, le «buone maniere» al capodel fascismo diventato presiden-te del Consiglio.

Quanto ai suoi genitori il Du-ce nel corso del ventennio pro-muoverà innumerevoli intitola-zioni di scuole, asili, colonie eopere pubbliche alla memoriadella madre, la maestra elemen-tare Rosa Maltoni. Morta nel1905. Niente di niente inveceper il padre Alessandro. Il fab-bro di Predappio, scomparsonel 1908, e fedele al radicalismosocialista più intransigente, allo-ra condiviso dal figlio che stamuovendo i primi passi comeagitatore politico, verrà rimos-so da ogni pubblica memoria.Con l'eccezione di una biografiache Arnaldo Mussolini, fratellodi Benito, commissionata, appe-na prima di morire, all'ex sociali-sta Francesco Bonavita. E che,complice l'improvvisa scompar-sa del committente, appena pub-blicata, nel 1933, sparisce quasisubito dagli scaffali. Condannan-do il fabbro di Predappio ad unlungo oblio.

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“Sempre meno egualisempre meno liberi”

Sono in tanti ad aver usatonel secolo dell’Unitàl’espressione «lingua mor-

ta» riferita all’italiano. Manzo-ni indicò una soluzione toscano-centrica, che scontentò e sembròun ostacolo per tanti settentrio-nali e in particolare per letteratimeridionali. De Roberto e Ca-puana sottoporranno difatti Ilmarchese di Roccaverdinal’uno, I Viceré l’altro, a un lungolavorio di riscrittura. In una let-tera (1895) De Roberto confessache i suoi primi libri «sì, sonoscritti in una lingua ostrogota:ma dai Viceré in giù mi sono cor-retto»; e Capuana, in una lette-ra dell’84: «Figuratevi che dispe-razione con questo terribile stru-mento della nostra lingua cheper noi siciliani è quasi come unalingua morta, come già per granparte degli italiani».

Una lingua di cultura in op-posizione appunto alla naturali-tà del dialetto. Occorreva lavora-re su libri e vocabolari per ap-prenderla. Sui libri ne aveva do-vuto difatti approfondire la com-petenza, a suo dire lacunosa, illombardo Manzoni che alla ricer-ca della lingua aveva per studiosconciato un suo esemplare delVocabolario della Crusca al pun-to (diceva proprio così) «da nonlasciarlo vedere», tant’era crivel-lato di sottolineature e appuntipresi per impossessarsi dei voca-boli e delle locuzioni che ancoranon possedeva. Di qui, per supe-rare la fase di quel primo prodot-to composito del Fermo e Lucia,inizia un lungo cammino in cer-ca di una lingua «viva e vera»,adatta a una prosa narrativanazionale che in qualche modoappartenesse anche a una socie-tà di parlanti. Una lunga vicen-da che non si riduce certo a merafilologia ma che muove sostan-zialmente verso il colloquio conuna società, verso direi quasi lafraternità e il riconoscimento.

Riconoscimento che nella na-zione faticò parecchio ad avveni-re. Avevamo raggiunto l'unità,ma gli incontri tra italiani di re-gioni e lingue materne assai lon-tane creavano situazioni diestraneità, affettazione di modidi comunicazione del tutto inna-turali.

Ai tempi delle celebrazionidell’unità gli incontri mondaninei salotti delle città di provinciameridionali dovevano avvenirecome ce li ricostruisce Anna Ban-ti nel romanzo Noi credevamo,cui s’è liberamente ispirato il re-cente omonimo film di Martone:«Mai vidi gale più goffe e grotte-sche di quelle con cui, dopo il ple-biscito, si pretendeva celebrare,nel sud, l’unità italiana. Neregiamberghe stazzonate, doratu-re militari, broccati dei tempi diMaria Carolina, dimostravanoa esuberanza la difformità deicostumi, dei caratteri, della sto-ria che ogni invitato recava consé, irrimediabilmente dipintanei volti, nei gesti, nei tentatividi approccio; per non dire dellalingua con cui le conversazioni siavviavano e rimanevan sospesealla impossibilità d'intendersi esoprattutto di rispettarsi.[...]l’imbarazzo dei notabili e del-le loro donne era pari all'impetti-ta alterigia degli ufficiali, sbalor-diti e diffidenti, ristretti in grup-pi, quasi a difesa. Nel frastuonodelle voci meridionali, essi comu-nicavano fra loro così sommessa-mente da parer sordomuti ches’intendessero a cenni».

Marco Revelli «Poveri, noi» non soloeconomicamente: è in corso una deprivazioneche scalfisce i diritti dell’uomo, di ogni uomo

Memorie d’ItaliaVITuttolibri

SABATO 22 GENNAIO 2011LA STAMPA VII

NUTOREVELLI

Quando son partitoper andare in guerra ho percepi-to la dimensione della mia igno-ranza e dico ai giovani:quando sipercepisce di essere ignoranti ègià un buon segno. Il terribile èquando si è ignoranti e non si sadi esserlo. Io ho percepito cheero ignorante, stavo per partire,andare ad ammazzare o a farmiammazzare, e mi son detto: «de-vo uscire dalla mia ignoranza», emi sono imposto di voler capire,di stare attento a tutto quelloche avrei visto, a tutto quellocheavrei vissuto. Per capire, peruscire dalla mia ignoranza. E hoscritto tutto.

Quando dico «ignorante»non dico analfabeta, no, avevoun titolo di studio di scuola supe-riore, da «geometra». Nessunodi voi giovani tedeschi forse sache cosa significhi - forse qui da

voi non esiste il titolo di studiosuperiore da geometra. Geome-tra da noi è una specie di inge-gnere, ma piccolo così, alto appe-na così; l’ingegnere è alto, impo-nente. Il geometra è piccolo pic-colo ecco. Io avevo il titolo di stu-dio da geometra, quindi non eroun letterato. Sapevo scrivere,certo, scrivevo alla mia famiglia,scrivevo alla mia ragazza, manon andavo oltre. E ho scritto undiario. Quando mi chiedono i gio-vani: «ma quando ha cominciatoa scrivere? Lei quando ha comin-ciato a scrivere?». Io ho scrittocosì, come avrei scritto delle let-tera alla mia famiglia, ho scrittoun diario. Appena finita la guer-ra l’ho pubblicato così comel’avevo scritto lungo il percorsodi quella esperienza.

Lungo quell’esperienza, lun-go quel cammino, ho capito tan-te cose ma perché volevo capire,volevo capire. Faccio solo un ac-cenno, caro Guthmüller - solo unaccenno perché se comincio aparlare finisco stasera alle 9,non mi fermo più, se vado in orbi-ta poi dovete fermarmi -: duran-te il viaggio, quando sono arriva-to in Polonia e ho visto gli ebrei,

io non sapevo niente dei campi disterminio. Nessuno di noi sapevaniente. Era ignoranza. Io sono ri-masto ferito da quelle visione de-gli ebrei. Nelle stazioni della Bìelo-russia ho visto dei bambini di set-te-otto anni segnati con la stellagialla,assieme a genteadulta, altriebrei, ridotti in condizioni dispera-te. Ecco, lì io mi sono chiesto, ioignorante, incolto, mi sono chie-sto: «ma questa è la mia guerra?».«Questa non è la mia guerra. Que-sta sarà la guerra dei tedeschi, mison detto, perché quegli ebrei era-no guardati da tre SS, da tre ra-gazzi alti quasi due metri, belli,ben vestiti; me li vedo ancora da-vanti agli occhi, gli elmetti lucidi,le Pistolmaschinen puntate su que-

sti 60-70 relitti umani. «Questa èla loro guerra, non è la mia, nonpuò essere la mia». Ma pensate:andare in guerra in quelle condi-zioni!

Poi la guerra ti coinvolge, ti co-stringe a restare negli ingranaggi;quindi ho dovuto fare la guerra, laguerra in cui non credevo, noncredevo. Io che ero un ex-fascista.Da giovane, da ragazzo, ero un en-tusiasta del fascismo. In Italiaadesso parliamo dei tedeschi, diRudolf, ma gli italiani non eranomica stinchi di santi eh! Erano al-leati dei tedeschi, erano fascisti.In certo qual senso erano stati unpo’ i maestri perché il fascismo ènato in Italia, prima del nazismo.Le leggi razziali c’erano anche in

Italia. Bene, per farla breve: io hovissuto quella guerra facendo tut-to il mio dovere di soldato: perchéquando hai una divisa, hai un im-pegno. O diserti, o scappi, oppure

sei nel giro. Io ero ufficiale, sotto-tenente e mi sono detto «devo fa-re tutto il possibile anche per imiei soldati» (per i miei soldati, ec-co quanto conta il fattore della so-lidarietà in queste cose...). Però

quanta fatica, quanta fatica!Lo dico a voi giovani, lo dico

perché devo essere sincero convoi, non devo venire a Marburg araccontare delle storie: non sop-portavo i tedeschi. Non li soppor-tavo! Non li sopportavo anche per-ché provavo un senso di inferiori-tà enorme sul piano militare. Noiitaliani eravamo un’armata Bran-caleone. Non so se sapete cosavuol dire una «armata Brancaleo-ne»... eravamo male armati, all’an-tica, male equipaggiati. I tedeschierano efficienti, i tedeschi eranopreparati per quella guerra mo-derna. E quello che non sopporta-vo era che funzionavano bene, era-no i padroni del vapore, erano i mi-liardari della situazione, e subivo

lo stato di inferiorità. Poi c’è statoil disastro, la ritirata, l’inferno.

Nell’inferno c’erano anche i te-deschi, disgraziati come noi, peròsempre un po’ diversi da noi, sem-pre più efficienti, sempre più pron-ti a riunirsi, a far gruppo... Noi in-vece come tante bombe shrapnelpronti ognuno a pensare indivi-dualmente, egoisticamente. Io so-no tornato dall’esperienza delfronte russo, devo dirlo perché èla verità, perché l’ho scritto e per-ché non devo venire a Marburg afare il furbo: sono tornato dal fron-te russo odiando i tedeschi. Odian-do, lo dico nel libro, perché sba-gliando addebitavo tutte le colpedel disastro, loro e nostro, ai tede-schi. Diventava facile dire: i tede-

schi sono i responsabili di tutto.Sbagliando..., sbagliando!

Sono tornato a casa malridot-to di salute, fiaccato nel fisico, unaferita appena rimarginata, conge-lato. E’ arrivato l’armistizio dell’8settembre ’43, una confusione im-mensa, il paese, l’Italia, abbando-nata a se stessa; i nostri capi politi-ci e militari scappati in manieravergognosaper sfuggire alla cattu-ra da parte dei tedeschi; i soldatiabbandonati a sé in Italia, nei Bal-cani (pensate a Cefalonia), dapper-tutto. Io ho sentito il bisogno discegliere di fare il partigiano. Hoscelto subito di fare il partigiano.Disprezzavo i fascisti con tutte lemie forze, e odiavo i tedeschi,sonodiventato subito un partigiano.

Ho vissuto la guerra partigia-na, tutti i venti mesi, in maniera to-tale, ho dato tutto quello che eroancora in condizione di dare. Ave-vo 24 anni, ho subito queste feritequi al viso che a 23-24 anni eranodifficili da portare. E poi, finita laguerra, ho sentito il bisogno di di-re a chi nonsapeva, la mia verità.

Ho pubblicato subito il mio dia-rio di Russia per dire a chi non sa-

peva cosa era successo là (e avevaperso figli, fratelli, sposi là), quelloche era successo. Per dire: «guar-date che io ho vissuto quell’espe-rienza della guerra di Russia inquesto modo. Questa è la mia veri-tà». Non è la verità in assoluto, l’hosempre gridato, non è la verità inassoluto, «è la mia verità». Io ve lapropongo, e poi voi giudicate, poisentite altre verità, le confrontatee magari vi trovate la vostra veri-tà. Prima ho detto la mia verità,poi mi sono dedicato a quelli cheavevano delle cose da dire sullaguerra ma non avevano la voceper uscire all’esterno, per comuni-care, nonavevano gli strumenti.

Li ho aiutati raccogliendo le te-stimonianze loro e pubblicandole.Sono arrivato dopo il terzo, il quar-to libro, dopo la terza o quarta in-dagine, a dirmi: basta con la guer-ra. Non ne potevo più del tema«guerra». Proprio da non poternepiù, da non sopportare più il di-scorso della guerra, tanto l’avevorivissuto.

PAROLEIN CORSO

GIAN LUIGI BECCARIA

La linguaunitaria,

viva e vera

“Mi tengad’occhioil mio Benito”

ROBERTO DENTI

La Resistenzadel libraio= A tredici anni RobertoDenti scappò e si imbarcòcome mozzo su un cargoportoghese, ma fu riacciuffatoin tempo e riportato a casa,dove aveva lasciato unmessaggio di puro stamposalgariano: «Vi darò mienotizie quando sarò Vicerédelle Indie». Era il preludio diuna lunga vita di avventure (adesempio aprire la prima libreriadei ragazzi in Italia con lamoglie Gianna Vitali), moltaparte delle quali, però, è statataciuta anche agli amiciabituali, per pudore, perriluttanza a ogni ostentazione,come è nel caratteredell'uomo.Adesso in La mia Resistenza(Rizzoli, pp. 175, € 14)racconta ai ragazzi la suaavventura più grande,ovviamente non con il tagliodello storico, ma con gli occhidi un ventenne che l'ha vista evissuta personalmente. È unfrancobollo nel grande fogliodella lotta di Liberazione, maspesso il dettaglio rivelal'essenziale. E cioè,l'educazione in una famiglia

antifascista, l'influenza di unvero professore, i primitentativi con altri giovanidotati solo di passione (per farsaltare un ponte sul Po) e poicon una trentina di «sbandati»in montagna scendendo a valleper procurarsi cibo e «darfastidio» a tedeschi e fascisti,cinque mesi di carcere,l'ingresso nella brigata Rossellidi «Giustizia e Libertà» sopraFirenze, le azioni di guerriglia,gli scontri a fuoco, irastrellamenti nazifascisti e lerappresaglie sui civili, i lancialleati di armi e rifornimenti.Ai ragazzi che negli incontri ascuola e in biblioteca glichiedono se ha mai uccisoqualcuno, Roberto si limita arispondere che quando sparinon sai che cosa colpisci.Non si tratta di giochi di bande,di ragazzi della via Pàl cresciuti.Denti spiega molto benefenomeni non semplici, comead esempio la «zona grigia»: aipartigiani bastava che lapopolazione locale non fosseostile, che desse qualcosa damangiare, che curasse unferito, che non ti denunciasse,che facesse finta di non vedertiquando passavi. Vi sonoincontri memorabili comequello con il partigianocattolico Teresio Olivelli, autoredella commovente «Preghieradel Ribelle», riportata nel libro,poi ucciso in un lager per averdifeso un compagnobestialmente percosso.Con operazione memoriale digrande intelligenza e utilità, illibro si chiude con il testo dellalapide di Piero Calamandrei,«Lo avrai camerata Kesserling»,a ricordo delle stragi naziste dipopolazioni civili nel1943-1945 e con quelli dellecanzoni partigiane piùpopolari: Bella ciao, Fischia ilvento, Siam i ribelli dellamontagna… Dopo l'Unità il piùgrande tentativo di fondarel'Italia, e Roberto ai ragazzi puòraccontarlo perché lui c'era. Fernando Rotondo

BRUNOQUARANTA

E’ un artista settecen-tesco, il Pitocchetto. Ma co-me sono indelebili, dure a sva-nire, le sue icone della misera-bilità. Di straccio in cencio, èsempre l’abito a fare, a identi-ficare, il povero. Mentre l’in-digenza ha via via, soprattut-to negli odierni giorni dispari,assunto ulteriori vesti. Tra inuovi diseredati non abbon-dano forse i colletti bianchi,ancorché lisi, ancorché in ser-vizio? Una carovana di «figu-re grigie», invisibili, che attra-versano le nostre strade a ca-so, smarrite le bussole, ridot-te più o meno all’osso le cam-buse, sfarinatesi le speranze,i sogni, epperò custodi di unadignità o di un’incredulitàche maschera la deriva.

Sì, Poveri, noi, come Mar-co Revelli, docente di Scienzadella politica, già responsabi-le della Commissione d’inda-gine sull’esclusione sociale,ha suggellato il suo viaggionella crisi. Ad hoc la virgola,strategica: mancando, sisconfinerebbe nella commise-razione, così, quasi incidendo-la, è impossibile sottrarsi alsevero, crudo specchio dellarealtà.

Un titolo, «Poveri, noi»,che ne richiama alla me-moria un altro, di suo pa-dre Nuto, «La guerra deipoveri».

«Inizialmente, avevo scelto, co-me titolo, Guerra ai poveri. Mal’assonanza era troppo forte».

Un debito verso suo padre?«La lezione dell’ascolto. Non siha diritto di parlare se non si èascoltato. E’ la matrice di nonpoca parte del mio lavoro».

L’apprendistato?«Intorno al ’67-’69, ai cancellidella Fiat, appena scomparsoValletta, sull’onda del movi-mento studentesco. Arrivavoda Cuneo: mi trovavo di fronteuna fabbrica il cui numero diaddetti era pari alla popolazio-ne della mia città. Ne ero sba-lordito».

I poveri di oggi, i vinti di ieri,contadini e montanari delCuneese, a cui ha dato digni-tà Nuto. C’è una relazione?

«Allora come oggi, un proces-so violento. Un’asimmetria

esasperata fra la gente e laclasse politica. A contraddi-stinguere il secondo dopo-guerra fu la forzata industria-lizzazione nel fondo valle: av-venne senza alcun rispettoper quanti stavano in alto, cre-passero pure».

Osserva Nuto Revelli: «Lafiammata della Liberazionesi era spenta troppo in fret-ta. Era di nuovo il potere checontava, il potere fine a sestesso».

«Il potere che è sempre uguale.

Quando le società si allargano,quando le distanze fra chi co-manda e chi subisce si divarica-no sommamente, il potere mo-stra un volto di pietra. Si rivelaqual è: una Gorgone».

L’asimmetria odierna?«Si chiama working poors. Unavolta il lavoro fungeva da tali-smano, neutralizzava il rischiopovertà. Da una quindicina dianni si è affermata la figuradel “povero al lavoro”: la retri-buzione non sempre consentedi stare almeno a galla».

Poveri economicamente...«Ma non solo. Preferirei parla-re di deprivazione, tutti si è per-so qualcosa. I nostri maggiori,da Norberto Bobbio, con cui misono laureato (Marco Revelline ha curato il Meridiano Mon-dadori Etica e politica, ndr), aAlessandro Galante Garrone,

ci hanno insegnato che quandosi alza sconsideratamente l’asti-cella della diseguaglianza a ri-sentirne sono la democrazia, lalibertà, la giustizia. Da Pomi-gliano alla vicenda Mirafiori,gli esempi non difettano».

Lei, con riferimento al mon-do operaio, individua«un’inedita solitudine del la-voro». Chi, per esempio, nar-ra tale condizione?

«Già. Siamo di fronte a undramma sociale che non haquasi voce narrante. Dopo Pri-mo Levi, Ottieri, Volponi, Ca-merana, Calvino, l’Arpino diGli anni del giudizio. Bajani èrara avis».

Uno scrittore profetico? Ca-lamandrei indicava nello spi-rito «l’oro di noi poveri».

«Nella sua scia, a risaltare, èindubbiamente Pasolini. Colui

che ha cantato le virtù dei po-veri, un serbatoio di umanitàinesauribile, pensava, si pensa-va. Nelle stagioni si è inesora-bilmente svuotato, a trionfaresono la ferocia e l’indifferenza.Assistiamo a un conflitto oriz-zontale, a una guerra tra“poveri”, che si rivalgono suiloro pari o su chi sta peggio.L’innocenza, pur nell’abiezio-ne, che folgorò il testimone del-le borgate romane, è andataperduta. Il risentimento si èimposto».

I poveri e la politica...«Si avanza (si arretra) sospesitra miraggio e abdicazione.Siamo declinati, noi italiani, econsiderevolmente, credendodi crescere. Nelle diverse gra-duatorie siamo i fanalini di co-da o quasi. Eppure la politicaha la spudoratezza di inneggia-

re all’eden raggiunto».Dai corifei berlusconiani allasinistra. Secondo lei i poveriinteressano poco alla politi-ca, pure a quella di opposi-zione.

«La sinistra, e non da ora, harinunciato al compito di modi-ficare i rapporti sociali, a co-minciare dalla redistribuzio-ne del reddito. Si pongano aconfronto paghe operaie ecompensi manageriali, nel-l’era di Valletta e nell’era diMarchionne...».

«Sembrano avversità, ma so-no opportunità»era solito ri-cordare Vittorio Foa. Qualiopportunità intravede?

«Opportunità conoscitive. Ci èdato di intendere le stradesbarrate: l’apologia della cre-scita fine a stessa, la tecnolo-gia in grado di risolvere ogniproblema, mai creandone,l'inesauribilità delle risorseambientali, il mito dell’accele-razione temporale. Gli studinon mancano, semplicementeli si ignora».

Suo padre confidava nei gio-vani...

«Mio padre era una miscela diumanità e di durezza. Sapevacommuoversi come sapeva es-sere intransigente. Era unguerriero che odiava la guer-ra. Come sanno odiarla solo co-loro che l’hanno combattuta.Chi fa la guerra ai poveri, vada sé, non li conosce, non si co-nosce».

pp Marco Revellip POVERI, NOIp Einaudip pp. 127, € 10

pp Vittorio Emilianip IL FABBRO DI PREDAPPIO

Vita di Alessandro Mussolinip il Mulino, pp. 188, € 15

Il fabbro di Predappioraccontato da VittorioEmiliani: a risaltareè la Romagna comeautobiografia d’Italia

pp Nuto Revellip I CONTI CON IL NEMICO

Scritti di Nuto e su Nuto Revellip a cura di Luigi Bonanatep Aragno, pp. 170, € 17p in libreria dal 25 gennaio

Alessandro Mussolini

Vita Il padre di Mussolini, socialistaradicale, totalmente rimosso dal figlio

A destra, Nuto Revelli

«Ho vissuto la guerrapartigiana in manieratotale, ho dato tuttoquello che ero ancorain condizione di dare»

Benito Mussolini

«Come mi ha insegnatomio padre, chi fala guerra ai poveri,va da sé, non li conoscee non si conosce»

Testimonianza

Roberto Denti

“L’ignoranza è il nemico”

«Stavo per partire,andare ad ammazzareo a farmi ammazzare,e mi sono impostodi voler capire»

«I conti con il nemico»di uno fra i maggioritestimoni del secondoconflitto mondialee della Resistenza

150O

Libri d’ItaliaPer il 2011

Page 8: Tuttolibri n. 1749 (22-01-2011)

Pagina Fisica: LASTAMPA - NAZIONALE - VIII - 22/01/11 - Pag. Logica: LASTAMPA/TUTTOLIBRI/08 - Autore: ARCVIT - Ora di stampa: 21/01/11 20.38

NADIACAPRIOGLIO

In Padiglione cancroAleksandr Solzenicyn evocaKitovras, versione russa delCentauro, l’uomo-cavallo chepuò camminare solo in linearetta. La leggenda raccontache Kitovras nell’attraversareGerusalemme abbattesse tut-te le case che incontrava sullapropria strada. Un’anziana ve-dova uscì dalla sua capanna esupplicò Kitovras di rispar-miarla. La creatura, commos-sa, deviò il suo cammino, rom-pendosi una costola, ma lasciòla casa intatta. Solzenicyn am-mirava Kitovras: non cederemai davanti al male, ma saper-si piegare davanti agli umili.

C’è un po’ di Kitovras nelSolzenicyn raccontato da Ljud-mila Saraskina, autrice dell’ap-passionante biografia che leedizioni San Paolo pubblicanoa cura di Adriano Dell’Asta. E’un Solzenicyn lottatore che siè opposto al regime sovietico, èsopravvissuto al campo di lavo-ro forzato con la tenace volon-

tà di «far parlare i morti» attra-verso la letteratura e poi, moltianni più tardi, ha rimprovera-to gli Stati Uniti e il mondo oc-cidentale, colpevoli, a suo pare-re, di aver adottato la felicitàcome criterio supremo.

Saraskina, che ha dialogatocon l’autore e ha avuto accessoai suoi archivi personali, riper-corre come in un romanzo illungo cammino di questo figliodella Russia del Sud, cresciutoa Rostov sul Don, provenienteda una famiglia agiata, ma che,orfano del padre dalla nascita,non ha conosciuto altro chel’austerità sovietica. Studiamatematica, si iscrive alla fa-coltà di lettere per corrispon-denza allo scopo di realizzare ilsogno che coltivava dall’età disedici anni: scrivere un roman-

zo sulla Rivoluzione del 1917, mo-strandone il suo vero significatoper la Russia. Nel frattempo sisposa, parte per la guerra, vieneanche decorato; improvvisamen-te tutto crolla: la polizia militaregli trova una lettera indirizzataall’amico Koka Vitkevic in cuisembra contestare l’operato diStalin. Una delle foto di cui è ar-ricchito il volume li ritrae insie-me, due ragazzi giovani, con i lo-ro galloni di capitano. Il Gulagcomincia a inghiottirlo: il carce-re della Lubjanka, quindi unaprigione-laboratorio del KGB, ilcampo di Ekibastuz, infine l’esi-lio in Uzbekistan.

Solzenicyn ama il carattere

discreto degli uzbeki, scrive fre-neticamente, sotterrando ingiardino i versi sediziosi. Riabili-tato nel 1956, rientra in Russia,dove il suo sogno di tranquillitàsembra avverarsi: insegnantenei pressi di Rjazan’, la dolceRussia Centrale, simbolizzatadalla protagonista del famosoracconto La casa di Matrëna.

Lavora con una forza incre-dibile, dorme poco, compila mi-gliaia di schede sul Gulag, sullalingua russa, sulla storia russa:ciò che vuole dire al mondo esi-ge una scrittura senza sosta. Ilrisultato saranno i tre capisaldidella sua opera: il primo è l’espe-rienza del forzato, il primo cer-

chio di un inferno che neppureDante aveva immaginato. E’ an-che l’esperienza del cancro, inPadiglione cancro, il più toccan-te dei suoi scritti, e l’immortaleUna giornata di Ivan Denisovic, ilracconto che sta alla base del-l’implosione dell’impero sovieti-co. Il secondo è Arcipelago Gu-lag, in cui riprende ciò che giàDostoevskij e Cechov avevanotentato: scrivere un’enciclope-dia sui campi di lavoro forzato.Il terzo caposaldo è quello im-maginato fin dall’adolescenza:La ruota rossa, un immenso ro-manzo storico sulla Russia perindagare le cause del suo «dera-gliamento».

Solzenicyn è come Kitovras:va avanti diritto, diritto contro ilpotere sovietico, contro l’Occi-dente che non gli risparmia am-mirazione e biasimo, guidatosempre dalla stessa questione difondo: fin quando si può collabo-rare con il male?

La sua energia è inestinguibi-le: trova la forza di fondare unafamiglia con la seconda mogliequando il Kgb minaccia di cattu-rarlo di nuovo, nasconde in con-tinuazione i suoi archivi, viene al-lontanato dall’Unione degli scrit-tori, poi espulso dalla Russia,parla al Congresso americano,ottiene il Premio Nobel per la let-teratura … Nel 1994 il proscrittorientra: atterra a Magadan, capi-tale del Gulag dell’estremo orien-te della Russia, bacia quella geli-da terra e comincia il suo lentoritorno in patria, dove, austero,profetico, dalla sua dacia nei din-torni di Mosca, predicherà un ri-

torno ai valori morali e politicitradizionali della Russia, l’asceti-smo come regola di vita per ilsingolo e per la nazione intera, fi-no alla morte, nel 2008 all’età di90 anni.

Percorrere la cronaca dellavita di Solzenicyn significa per-correre la storia russa del Nove-cento. Ma il Kitovras può ancheirritare, ferire. Solzenicyn si ècreato molti nemici. In Russia labiografia di Ljudmila Saraskinaha avuto un’accoglienza contro-versa, accusata di evidenziaresolo gli aspetti positivi, ignoran-do le critiche, i conflitti con altrepersonalità dell’emigrazione, ilrapporto con il potere negli ulti-mi anni della sua vita.

Una personalità della sua le-vatura non può non essere com-plessa. Non a caso, è la stessa Sa-raskina a ricordarlo, all’epocadella sua permanenza nel Ver-mont era stato coniato un nuovoproverbio: «Dimmi che cosa pen-si di Solzenicyn e ti dirò chi sei».

MARTAMORAZZONI

Mi sono chiesta se avervisto, e apprezzato, Varsavia miabbia aiutato a coinvolgerminell'epopea della Famiglia Mo-skat. Potrei subito rispondermidi no, perché un buon lettoreche affronti un buon scrittoreha tutti gli elementi per vederequello che non ha mai visto. Maun clima, un sentore che percor-re nel terzo millennio questa cit-tà tormentata, e oggi sotto tantipunti di vista in ascesa, non èestraneo alle emozioni che risve-glia il romanzo di Singer, ora ri-proposto.

Tra una alacre fine ‘800 e leincrinature del nuovo secoloche tracollerà nelle guerre mon-diali, Varsavia è un teatro di di-versità e contrasti; dapprimacittà assoggettata alla Russia za-rista, ne sarà liberata dalla guer-ra e finirà poi nella tenaglia nazi-sta che tenterà di annichilirla.Sicché la storia delle vicende diuna grande famiglia nella comu-nità ebraica ha in Varsavia qual-

cosa di più di uno sfondo neces-sario a rendere conto di un'epo-pea narrativa: dall’ inizio alla fi-ne, la città è la pelle su cui e sot-to cui un complesso universoumanoformicola.

Il quartiere ebraico, fulcrodel romanzo, è posto sotto la len-te di ingrandimento dello scrit-tore, che ci declina il bene e ilmale di una cultura di cui tra-scriveriti e convinzioni, fragilitàe spessore. È vero che, a mano amano che la storia inclina versol’immanenza del nazismo sul-l’Europa, in qualche modo cre-sce nel lettore l’imbarazzo diuna fine nota: sappiamofin dalleprime battute che i fili della tra-

ma sono disposti sul telaio e ilgrande tessitore, chiunque essosia, ha già in mente anche i minutipassaggidell’ordito.

Sappiamo già che la soliditàeconomica della famiglia Moskatè il paradossale presupposto deltracollo: anche questo, al di là del-la peculiare storia ebraica, è unluogo comune del romanzo. Lospecifico sta nei chiaroscuri di cuiogni personaggio si fa portatore;

e i personaggi sono tanti, un grap-polo umano ricco di individualità:se la comune appartenenza li rin-corre anche nella trasgressione, isingoli caratteri si stagliano nitidisullo sfondo della legge ebraica,sicché l’individuale visione di Dio,la sua assenza in qualche caso, lasua invadenza in altri, ne fanno ilperno imprescindibile anche perchi se ne è allontanato.

Mi colpisce un tratto particola-re dello stile e della cultura di Sin-ger, ed è la capacità di distaccodel narratore, per altro abile a tes-sere la rete di coinvolgimento nellettore: il distacco è nel documen-tare lo scorrere degli avvenimen-ti, le emozioni stanno nella veritàdei personaggi che, caratterizzaticon energia e coerenza, Singer cifa conoscere e riconoscere nelpassare degli anni. Il tempo è lavalenza determinante del roman-zo; corre modificando esterni e in-terni, corre sugli uomini e sulla cit-tà, ne muta la fisionomia e prepa-ra la rete che intrappolerà un po-polo intero.

La lucidità dell’autore diventatragica nel contrasto tra la sua vi-suale certa degli avvenimenti e lacecità fatalista con cui il popolod’Israele precipita verso la fine.La famiglia Moskat è un lungo ro-manzo rumoroso e caldo, dentroil quale con abile misura Singercostruisce il silenzio che verrà. Èvero che un buon lettore non ha bi-sogno di aver visto Varsavia percapire, ma è piuttosto il romanzoad aprire uno sguardo diverso an-che sulla Varsavia di oggi.

ALEXANDER STILLE RACCONTA CINQUE FAMIGLIE

Uno su mille era ebreo= Quando vennero promulgate le leggi razziali, inItalia un cittadino su mille era ebreo. Alexander Stille, inUno su mille, riproposto da Garzanti (pp. 430, € 28,trad. di Davide Panzieri) esemplifica la vicenda dei figli diSara e di Abramo nel nostro Paese attraverso la storia dicinque famiglie ebraiche durante il fascismo. Differentel’origine, il ceto, il rapporto con il regime. Dagli Ovazza(il cui patrarca ebbe un ruolo di primo piano nel partitofascista) e i Foa di Torino (la famiglia di Vittorio, politicoe sindacalista) ai Di Veroli di Roma, i Teglio e i Pacifici diGenova, gli Schönheit di Ferrara, che finirono nei lager.

L’ALTRO SINGER

I fratelli Ashkenazi= Israel J. Singer è il fratello maggiore del Nobel Isaac.Visse tra il 1883 e il 1944. Autore di lingua yiddish, nel1936 diede alle stampe il suo capolavoro, I fratelliAshkenazi, ora riproposto da B ollati Boringhieri (pp.757, € 19,50) nella traduzione di Bruno Fonzi(Longanesi 1970). Due fratelli opposti nel carattere, figlidi Reb Abraham Hirsch Ashkenazi, commerciante distoffe e capo della comunità ebriaca di Lodz, nellaPolonia di fine Ottocento dominata dalla Russia.Claudio Magris, autore dell’introduzione, vi legge «unaparabola ebraica della decadenza borghese».

IL LIBERTARIO KAMINSKY

Una vita da falsario= La figlia Sara, attrice e sceneggiatrice, racconta ilpadre, Adolfo Kaminsky. Una vita da falsario (AngeloColla editore, pp. 224, € 18, traduzione di GiulianoCorà). Sempre al servizio di nobili cause: aiutò gli ebrei afuggire dai territori occupati dai nazisti, favorìl’emigrazione clandestina verso Israele dei sopravvissutiai lager, sostenne l’opposizione alla varie dittature,dall’America Latina alla Spagna di Franco, alla Grecia deicolonnelli. Kaminsky, nato in Argentina nel 1925 dagenitori ebrei di origine russa, si trasferì con la famigliain Francia nel 1932.

NELLA CECOSLOVACCHIA DEL 1939

Il bambino che riuscì a salvarsi= Cecoslovacchia 1939. Non manca nulla alla famigliaBauer. Ricchi, belli, felici. Ma ebrei. A minare e quindi asconvolgere la loro felicità saranno i nazisti, che occupano ilPaese. Tentano così la fuga a Praga, dalla provincia. Con ilfiglio (che raggiungerà la salvezza in Inghilterra, dove verràadottato) e con la governante. Alison Park, che vive aToronto, ispirandosi alla vera storia dei nonni, ha scritto ilromanzo Il bambino del giovedì (Frassinelli, pp. 305, € 19,trad. di Alessandra Emma Giagheddu): «Ho cercato per tuttiquesti anni, di vedere le loro facce. Non le immaginicongelate sulle fotografie, ma i loro veri volti».

L’appassionantevita del Nobel russo,un lungo camminoricostruito daLjudmila Saraskina

DAL 1918 AL 1923

Terrore rosso= Dal 1918 al 1923, inRussia si manifesta e siconsolida Il terrore rosso. Dicronaca in cronaca, latestimonianza di Sergej P.Mel’gunov, ora per i tipi diJaca Book, a cura di SergioRapetti e Paolo Sensini (pp.306, € 29). Mel’gunov era illeader di un piccolo partitosocialista popolare, arrestatoall’inizio del 1918. Si batteràcontro la soppressione dellelibertà, ottenendo, alCremlino, l’assicurazione chela dittatura sarebbe durata lostretto necessario. Assisterà,invece, tragicamente, al suoradicamento immutabile.

I RUSSI CONTRO I TEDESCHI

Guerra assoluta= Intorno alla Russiasovietica nella Seconda guerramondiale ruota il saggio diChris Bellamy Guerra assoluta(Einaudi, pp.XVI-838, € 48,traduzione di SantinaMobiglia). «Fu una guerratotale (ventisette milioni divittime, ndr), perchécombattuta da tutte lecomponenti della società. E fuuna guerra assoluta, perchéentrambi i contendentipuntavano ad “annientarel’avversario, ad abbatterlocome entità politica”».Un’epoca che culminerà nellabattaglia di Stalingrado.«Dopo Stalingrado, laGermania non potevavincere».

PRIMA E DOPO STALINGRADO

Scrittori in armi= Come la letteratura russasovietica e postsovietica haraccontato l’uomo di frontealla guerra. E’ il tema dellamonografia di Frank Ellis, fra imaggiori studiosi della societàrussa, E le loro madripiansero (Marietti 1820, pp.

319, € 24, traduzione di MartaCai e Roberto FranziniTibaldeo). Coraggio, paura,tradimento, orrore, crudeltà,incompetenza nelle pagine diGrossman, Bykov, Atsaf’ev,Nekrasov, Bondarev...«A prescindere da “falsificazionilesive” o non per il poteresovietico ieri e russo oggi -scrive nella prefazione VittorioStrada - la letteratura di linguarussa sulla Seconda guerramondiale ovvero sulla Grandeguerra patriottica è diparticolare interesse e in essaspicca indubbiamente un librocome Vita e destino di VasilijGrossman, ad esempio, che,scritto in condizioni estreme dicontrollo ideologico e censoriototale, riesce ad abbracciare laproblematica sopra delineata».

GENOCIDIO

Armenia= La Shoah degli armeni. FineOttocento. Un’azionedimostrativa contro la BancaOttomana. L’obiettivo:richiamare l’attenzionedell’Occidente sulle riforme infavore della minoranza armenaa cui il sultano Abdul Hamid IInon dà corso. E’ il quadrostorico che fa da sfondo aArmenia, la storia dellafamiglia Tomassian narrata daGilbert Sinoué (Neri Pozza, pp.319, € 17, traduzione diGiuliano Corà).La prefazione è di CharlesAznavour, cantautore e attoredi origine armena, lapostfazione di Antonia Arslan:Sinoué, «a differenza di altretestimonianze sulla tragediadegli armeni, fa agire i suoipersonaggi, sia quelli storici chequelli d’invenzione, in uncontinuo contrappunto fra glieventi politici che si svolgononella capitale Costantinopoli(con un’importante coda finalea Berlino), sgranandosi neglianni fra il 1896 e il 1921, e lavita quotidiana di una famigliadi Erzerum».

STORIA DI UN LIBRO

Mein Kampf= La «bibbia del nazismo»,ovvero il manifesto dell’orrorefirmato Adolf Hitler. AntoineVitkine, giornalista edocumentarista francese,racconta Mein Kampf. Storiadi un libro (Cairo ed., pp. 279,€ 16, traduzione di GiovanniZucca). «Arringa di estremaviolenza, dai toni apocalittici,redatta da un agitatorepolitico megalomane...».

GENOCIDIO

Autori e cause= Architetto del genocidioebraico fu Reinhard Heydrich,che morirà nel 1942. EdouardHusson ripercorre le fasi checondussero alla decisione delgenocidio in Heydrich e lasoluzione finale (Einaudi, pp.405, € 32, trad. di MarioMarchetti). Allo Sterminiodegli ebrei è dedicato ilsaggio di Donald Bloxham perEinaudi (pp. 378, € 28, trad. diSara Marchesi): la stragenazista incastonata nella storiaeuropea degli ultimi due secoli.Peter Fritzsche, da parte sua,narra Vita e morte nel TerzoReich (Laterza, pp. 341, € 20,trad. di Marco Cupellaro),cercando una risposta alledomande cruciali: fino a chepunto i tedeschi si riconobberonel nazismo? Quanti di loro lofurono effettivamente?Lo sterminio di massa nellastoria dell’umanità èricostruito da Daniel J.Goldhagen in Peggio dellaguerra (Mondadori, pp. 640,€ 24, trad. di Massimo Parizzi).

VITE

Ebrei in Italia= Un ebreo tedesco nellaRoma del dopoguerra. E’Hermann, che si dedicheràgratuitamente all’educazionedegli ebrei romani, le classipovere. Ne traccia il profilo

Amos Luzzatto ( Marsilio, pp.207, € 16).Anna Pizzuti ricompone storie diebrei stranieri internati dalfascismo in Vite di carta(Donzelli, pp. 229, € 24).

MUSICA A TEREZÌN

Suonare nel lager= «Come è stato possibilecomporre musica e suonarla inun campo di concentramento?».È la domanda al centro dellamemoria di Joza Karas Musica aTerezín, in Cecoslacchia,anticamera di Auschwitz. Il libroè in uscita per il melangolo (pp.180, € 18). L’autore, tra i pochitestimoni sopravvissuti, poiviolinista alla Hartford Symphonyorchestra, morì nel 2008.

IL GIUSTO WALLENBERG

Con gratitudine= Durante la Shoah, non sonopoche le storie di «giusti fra lenazioni», che oggi riempionouna collina di Gerusalemme alloYad Vashem, un albero perciascuno a ricordo di vite salvatee vite rischiate per salvarnealtre. Fra tutte, forse la piùcelebre è quella di RaoulWallenberg, un diplomaticosvedese che elargendodocumenti e organizzandoiniziative di vario genere -ingegnandosi insomma conogni mezzo - riuscì a salvaremigliaia di ebrei ungheresi dallosterminio. E dopo la guerrascomparve chissà come e dove,oltre la Cortina di ferro.A questa strabiliante e terribilevicenda Joseph Kertes, scrittorenato in Ungheria ma fuggitocon la famiglia in Canada dopoil 1956, dedica il romanzoGratitudine (Elliot, pp. 540,€ 20, traduzione di CosettaCavallante) il cui protagonista èPaul Beck, un avvocatoungherese che grazie all'aiuto diWallenberg riesce a bloccare iltreno che trasporta la suafamiglia verso il campo disterminio.

I «Moskat»: una storiarumorosa e calda,nella quale con abilemisura si costruisceil silenzio che verrà

Al centro della sua operauna eterna questionedi fondo: fino a chepunto si puòcollaborare con il male?Che Centauro

è stato Solzenicyn

A Varsaviala trappoladel tempo

RITRATTI DI GABRIELE NISSIM

Il segreto dei Giusti= Sono trentasei i Giusti che secondo la tradizioneebraica salveranno il mondo. Gabriele Nissim,giornalista e saggista, riflette sulla potenza del bene inLa bontà insensata (Mondadori, pp. 264, € 18,50), unagalleria di figure che dimostrano come il male non sia,infine, inesorabile, invincibile. Una galleria di «uominigiusti»: da Schindler a Perlasca, la loro impavida manotesa agli ebrei perseguitati, dal giudice Falcone algenerale Divjak, eroe della resistenza di Sarajevo, a JiriPelikán. Tra azione e pensiero (da Hannah Arendt aVasilije Grossman, da Etty Hillesum a Vaclav Havel).

pp Ljudmila Saraskinap SOLŽENICYNp a cura di Adriano Dell’Astap Edizioni San Paolop pp. 1441, € 84

I NOSTRI AMBASCIATORI A BERLINO DAL 1933 AL 1945

L’Italia nel cuore del Reich= L’Italia di Mussolini nella Germania nazista. Lapolitica a Berlino dal 1933 al 1945, ricostruita daGiovanni Falanga in L’avamposto di Mussolini nelReich di Hitler (Marco Tropea editore, pp. 512, € 22).In dodici anni si succedettero quattro ambasciatori. Iprimi due, Vittorio Cerrutti e Bernardo Attolico,allontanati per volontà del Fürher, tali le loro riservesulla subordinazione sempre maggiore dell’Italia allaGermania; i loro successori, fascistissimi, Dino Alfieri(travolto dalla caduta di Mussolini) e Filippo Anfuso, tragli ultimi a lasciare Berlino assediata dall’Armata Rossa.

pp Isaac B. Singerp LA FAMIGLIA MOSKATp trad. di Bruno Fonsip Longanesi, pp. 664, € 24

Singer Una famiglia ebraicaverso l’inesorabile tenaglia nazista LETTURE

Biografia Come l’uomo-cavallo della leggenda, l’autoredi «Arcipelago Gulag» tirò sempre diritto contro il potere

Il Nobel Isaac B. Singer

Memorie dell’EstVIIITuttolibri

SABATO 22 GENNAIO 2011LA STAMPA IX

LETTURE

Oscar Schindler

Aleksandr Solzenicyn la sua vitaricostruita in biografia di oltre

1400 pagine da LjudmilaSaraskina che ha dialogato con

l’autore e ha avuto accessoai suoi archivi personali

Adolfo Kaminsky

Page 9: Tuttolibri n. 1749 (22-01-2011)

Pagina Fisica: LASTAMPA - NAZIONALE - IX - 22/01/11 - Pag. Logica: LASTAMPA/TUTTOLIBRI/08 - Autore: ARCVIT - Ora di stampa: 21/01/11 20.38

NADIACAPRIOGLIO

In Padiglione cancroAleksandr Solzenicyn evocaKitovras, versione russa delCentauro, l’uomo-cavallo chepuò camminare solo in linearetta. La leggenda raccontache Kitovras nell’attraversareGerusalemme abbattesse tut-te le case che incontrava sullapropria strada. Un’anziana ve-dova uscì dalla sua capanna esupplicò Kitovras di rispar-miarla. La creatura, commos-sa, deviò il suo cammino, rom-pendosi una costola, ma lasciòla casa intatta. Solzenicyn am-mirava Kitovras: non cederemai davanti al male, ma saper-si piegare davanti agli umili.

C’è un po’ di Kitovras nelSolzenicyn raccontato da Ljud-mila Saraskina, autrice dell’ap-passionante biografia che leedizioni San Paolo pubblicanoa cura di Adriano Dell’Asta. E’un Solzenicyn lottatore che siè opposto al regime sovietico, èsopravvissuto al campo di lavo-ro forzato con la tenace volon-

tà di «far parlare i morti» attra-verso la letteratura e poi, moltianni più tardi, ha rimprovera-to gli Stati Uniti e il mondo oc-cidentale, colpevoli, a suo pare-re, di aver adottato la felicitàcome criterio supremo.

Saraskina, che ha dialogatocon l’autore e ha avuto accessoai suoi archivi personali, riper-corre come in un romanzo illungo cammino di questo figliodella Russia del Sud, cresciutoa Rostov sul Don, provenienteda una famiglia agiata, ma che,orfano del padre dalla nascita,non ha conosciuto altro chel’austerità sovietica. Studiamatematica, si iscrive alla fa-coltà di lettere per corrispon-denza allo scopo di realizzare ilsogno che coltivava dall’età disedici anni: scrivere un roman-

zo sulla Rivoluzione del 1917, mo-strandone il suo vero significatoper la Russia. Nel frattempo sisposa, parte per la guerra, vieneanche decorato; improvvisamen-te tutto crolla: la polizia militaregli trova una lettera indirizzataall’amico Koka Vitkevic in cuisembra contestare l’operato diStalin. Una delle foto di cui è ar-ricchito il volume li ritrae insie-me, due ragazzi giovani, con i lo-ro galloni di capitano. Il Gulagcomincia a inghiottirlo: il carce-re della Lubjanka, quindi unaprigione-laboratorio del KGB, ilcampo di Ekibastuz, infine l’esi-lio in Uzbekistan.

Solzenicyn ama il carattere

discreto degli uzbeki, scrive fre-neticamente, sotterrando ingiardino i versi sediziosi. Riabili-tato nel 1956, rientra in Russia,dove il suo sogno di tranquillitàsembra avverarsi: insegnantenei pressi di Rjazan’, la dolceRussia Centrale, simbolizzatadalla protagonista del famosoracconto La casa di Matrëna.

Lavora con una forza incre-dibile, dorme poco, compila mi-gliaia di schede sul Gulag, sullalingua russa, sulla storia russa:ciò che vuole dire al mondo esi-ge una scrittura senza sosta. Ilrisultato saranno i tre capisaldidella sua opera: il primo è l’espe-rienza del forzato, il primo cer-

chio di un inferno che neppureDante aveva immaginato. E’ an-che l’esperienza del cancro, inPadiglione cancro, il più toccan-te dei suoi scritti, e l’immortaleUna giornata di Ivan Denisovic, ilracconto che sta alla base del-l’implosione dell’impero sovieti-co. Il secondo è Arcipelago Gu-lag, in cui riprende ciò che giàDostoevskij e Cechov avevanotentato: scrivere un’enciclope-dia sui campi di lavoro forzato.Il terzo caposaldo è quello im-maginato fin dall’adolescenza:La ruota rossa, un immenso ro-manzo storico sulla Russia perindagare le cause del suo «dera-gliamento».

Solzenicyn è come Kitovras:va avanti diritto, diritto contro ilpotere sovietico, contro l’Occi-dente che non gli risparmia am-mirazione e biasimo, guidatosempre dalla stessa questione difondo: fin quando si può collabo-rare con il male?

La sua energia è inestinguibi-le: trova la forza di fondare unafamiglia con la seconda mogliequando il Kgb minaccia di cattu-rarlo di nuovo, nasconde in con-tinuazione i suoi archivi, viene al-lontanato dall’Unione degli scrit-tori, poi espulso dalla Russia,parla al Congresso americano,ottiene il Premio Nobel per la let-teratura … Nel 1994 il proscrittorientra: atterra a Magadan, capi-tale del Gulag dell’estremo orien-te della Russia, bacia quella geli-da terra e comincia il suo lentoritorno in patria, dove, austero,profetico, dalla sua dacia nei din-torni di Mosca, predicherà un ri-

torno ai valori morali e politicitradizionali della Russia, l’asceti-smo come regola di vita per ilsingolo e per la nazione intera, fi-no alla morte, nel 2008 all’età di90 anni.

Percorrere la cronaca dellavita di Solzenicyn significa per-correre la storia russa del Nove-cento. Ma il Kitovras può ancheirritare, ferire. Solzenicyn si ècreato molti nemici. In Russia labiografia di Ljudmila Saraskinaha avuto un’accoglienza contro-versa, accusata di evidenziaresolo gli aspetti positivi, ignoran-do le critiche, i conflitti con altrepersonalità dell’emigrazione, ilrapporto con il potere negli ulti-mi anni della sua vita.

Una personalità della sua le-vatura non può non essere com-plessa. Non a caso, è la stessa Sa-raskina a ricordarlo, all’epocadella sua permanenza nel Ver-mont era stato coniato un nuovoproverbio: «Dimmi che cosa pen-si di Solzenicyn e ti dirò chi sei».

MARTAMORAZZONI

Mi sono chiesta se avervisto, e apprezzato, Varsavia miabbia aiutato a coinvolgerminell'epopea della Famiglia Mo-skat. Potrei subito rispondermidi no, perché un buon lettoreche affronti un buon scrittoreha tutti gli elementi per vederequello che non ha mai visto. Maun clima, un sentore che percor-re nel terzo millennio questa cit-tà tormentata, e oggi sotto tantipunti di vista in ascesa, non èestraneo alle emozioni che risve-glia il romanzo di Singer, ora ri-proposto.

Tra una alacre fine ‘800 e leincrinature del nuovo secoloche tracollerà nelle guerre mon-diali, Varsavia è un teatro di di-versità e contrasti; dapprimacittà assoggettata alla Russia za-rista, ne sarà liberata dalla guer-ra e finirà poi nella tenaglia nazi-sta che tenterà di annichilirla.Sicché la storia delle vicende diuna grande famiglia nella comu-nità ebraica ha in Varsavia qual-

cosa di più di uno sfondo neces-sario a rendere conto di un'epo-pea narrativa: dall’ inizio alla fi-ne, la città è la pelle su cui e sot-to cui un complesso universoumanoformicola.

Il quartiere ebraico, fulcrodel romanzo, è posto sotto la len-te di ingrandimento dello scrit-tore, che ci declina il bene e ilmale di una cultura di cui tra-scriveriti e convinzioni, fragilitàe spessore. È vero che, a mano amano che la storia inclina versol’immanenza del nazismo sul-l’Europa, in qualche modo cre-sce nel lettore l’imbarazzo diuna fine nota: sappiamofin dalleprime battute che i fili della tra-

ma sono disposti sul telaio e ilgrande tessitore, chiunque essosia, ha già in mente anche i minutipassaggidell’ordito.

Sappiamo già che la soliditàeconomica della famiglia Moskatè il paradossale presupposto deltracollo: anche questo, al di là del-la peculiare storia ebraica, è unluogo comune del romanzo. Lospecifico sta nei chiaroscuri di cuiogni personaggio si fa portatore;

e i personaggi sono tanti, un grap-polo umano ricco di individualità:se la comune appartenenza li rin-corre anche nella trasgressione, isingoli caratteri si stagliano nitidisullo sfondo della legge ebraica,sicché l’individuale visione di Dio,la sua assenza in qualche caso, lasua invadenza in altri, ne fanno ilperno imprescindibile anche perchi se ne è allontanato.

Mi colpisce un tratto particola-re dello stile e della cultura di Sin-ger, ed è la capacità di distaccodel narratore, per altro abile a tes-sere la rete di coinvolgimento nellettore: il distacco è nel documen-tare lo scorrere degli avvenimen-ti, le emozioni stanno nella veritàdei personaggi che, caratterizzaticon energia e coerenza, Singer cifa conoscere e riconoscere nelpassare degli anni. Il tempo è lavalenza determinante del roman-zo; corre modificando esterni e in-terni, corre sugli uomini e sulla cit-tà, ne muta la fisionomia e prepa-ra la rete che intrappolerà un po-polo intero.

La lucidità dell’autore diventatragica nel contrasto tra la sua vi-suale certa degli avvenimenti e lacecità fatalista con cui il popolod’Israele precipita verso la fine.La famiglia Moskat è un lungo ro-manzo rumoroso e caldo, dentroil quale con abile misura Singercostruisce il silenzio che verrà. Èvero che un buon lettore non ha bi-sogno di aver visto Varsavia percapire, ma è piuttosto il romanzoad aprire uno sguardo diverso an-che sulla Varsavia di oggi.

ALEXANDER STILLE RACCONTA CINQUE FAMIGLIE

Uno su mille era ebreo= Quando vennero promulgate le leggi razziali, inItalia un cittadino su mille era ebreo. Alexander Stille, inUno su mille, riproposto da Garzanti (pp. 430, € 28,trad. di Davide Panzieri) esemplifica la vicenda dei figli diSara e di Abramo nel nostro Paese attraverso la storia dicinque famiglie ebraiche durante il fascismo. Differentel’origine, il ceto, il rapporto con il regime. Dagli Ovazza(il cui patrarca ebbe un ruolo di primo piano nel partitofascista) e i Foa di Torino (la famiglia di Vittorio, politicoe sindacalista) ai Di Veroli di Roma, i Teglio e i Pacifici diGenova, gli Schönheit di Ferrara, che finirono nei lager.

L’ALTRO SINGER

I fratelli Ashkenazi= Israel J. Singer è il fratello maggiore del Nobel Isaac.Visse tra il 1883 e il 1944. Autore di lingua yiddish, nel1936 diede alle stampe il suo capolavoro, I fratelliAshkenazi, ora riproposto da B ollati Boringhieri (pp.757, € 19,50) nella traduzione di Bruno Fonzi(Longanesi 1970). Due fratelli opposti nel carattere, figlidi Reb Abraham Hirsch Ashkenazi, commerciante distoffe e capo della comunità ebriaca di Lodz, nellaPolonia di fine Ottocento dominata dalla Russia.Claudio Magris, autore dell’introduzione, vi legge «unaparabola ebraica della decadenza borghese».

IL LIBERTARIO KAMINSKY

Una vita da falsario= La figlia Sara, attrice e sceneggiatrice, racconta ilpadre, Adolfo Kaminsky. Una vita da falsario (AngeloColla editore, pp. 224, € 18, traduzione di GiulianoCorà). Sempre al servizio di nobili cause: aiutò gli ebrei afuggire dai territori occupati dai nazisti, favorìl’emigrazione clandestina verso Israele dei sopravvissutiai lager, sostenne l’opposizione alla varie dittature,dall’America Latina alla Spagna di Franco, alla Grecia deicolonnelli. Kaminsky, nato in Argentina nel 1925 dagenitori ebrei di origine russa, si trasferì con la famigliain Francia nel 1932.

NELLA CECOSLOVACCHIA DEL 1939

Il bambino che riuscì a salvarsi= Cecoslovacchia 1939. Non manca nulla alla famigliaBauer. Ricchi, belli, felici. Ma ebrei. A minare e quindi asconvolgere la loro felicità saranno i nazisti, che occupano ilPaese. Tentano così la fuga a Praga, dalla provincia. Con ilfiglio (che raggiungerà la salvezza in Inghilterra, dove verràadottato) e con la governante. Alison Park, che vive aToronto, ispirandosi alla vera storia dei nonni, ha scritto ilromanzo Il bambino del giovedì (Frassinelli, pp. 305, € 19,trad. di Alessandra Emma Giagheddu): «Ho cercato per tuttiquesti anni, di vedere le loro facce. Non le immaginicongelate sulle fotografie, ma i loro veri volti».

L’appassionantevita del Nobel russo,un lungo camminoricostruito daLjudmila Saraskina

DAL 1918 AL 1923

Terrore rosso= Dal 1918 al 1923, inRussia si manifesta e siconsolida Il terrore rosso. Dicronaca in cronaca, latestimonianza di Sergej P.Mel’gunov, ora per i tipi diJaca Book, a cura di SergioRapetti e Paolo Sensini (pp.306, € 29). Mel’gunov era illeader di un piccolo partitosocialista popolare, arrestatoall’inizio del 1918. Si batteràcontro la soppressione dellelibertà, ottenendo, alCremlino, l’assicurazione chela dittatura sarebbe durata lostretto necessario. Assisterà,invece, tragicamente, al suoradicamento immutabile.

I RUSSI CONTRO I TEDESCHI

Guerra assoluta= Intorno alla Russiasovietica nella Seconda guerramondiale ruota il saggio diChris Bellamy Guerra assoluta(Einaudi, pp.XVI-838, € 48,traduzione di SantinaMobiglia). «Fu una guerratotale (ventisette milioni divittime, ndr), perchécombattuta da tutte lecomponenti della società. E fuuna guerra assoluta, perchéentrambi i contendentipuntavano ad “annientarel’avversario, ad abbatterlocome entità politica”».Un’epoca che culminerà nellabattaglia di Stalingrado.«Dopo Stalingrado, laGermania non potevavincere».

PRIMA E DOPO STALINGRADO

Scrittori in armi= Come la letteratura russasovietica e postsovietica haraccontato l’uomo di frontealla guerra. E’ il tema dellamonografia di Frank Ellis, fra imaggiori studiosi della societàrussa, E le loro madripiansero (Marietti 1820, pp.

319, € 24, traduzione di MartaCai e Roberto FranziniTibaldeo). Coraggio, paura,tradimento, orrore, crudeltà,incompetenza nelle pagine diGrossman, Bykov, Atsaf’ev,Nekrasov, Bondarev...«A prescindere da “falsificazionilesive” o non per il poteresovietico ieri e russo oggi -scrive nella prefazione VittorioStrada - la letteratura di linguarussa sulla Seconda guerramondiale ovvero sulla Grandeguerra patriottica è diparticolare interesse e in essaspicca indubbiamente un librocome Vita e destino di VasilijGrossman, ad esempio, che,scritto in condizioni estreme dicontrollo ideologico e censoriototale, riesce ad abbracciare laproblematica sopra delineata».

GENOCIDIO

Armenia= La Shoah degli armeni. FineOttocento. Un’azionedimostrativa contro la BancaOttomana. L’obiettivo:richiamare l’attenzionedell’Occidente sulle riforme infavore della minoranza armenaa cui il sultano Abdul Hamid IInon dà corso. E’ il quadrostorico che fa da sfondo aArmenia, la storia dellafamiglia Tomassian narrata daGilbert Sinoué (Neri Pozza, pp.319, € 17, traduzione diGiuliano Corà).La prefazione è di CharlesAznavour, cantautore e attoredi origine armena, lapostfazione di Antonia Arslan:Sinoué, «a differenza di altretestimonianze sulla tragediadegli armeni, fa agire i suoipersonaggi, sia quelli storici chequelli d’invenzione, in uncontinuo contrappunto fra glieventi politici che si svolgononella capitale Costantinopoli(con un’importante coda finalea Berlino), sgranandosi neglianni fra il 1896 e il 1921, e lavita quotidiana di una famigliadi Erzerum».

STORIA DI UN LIBRO

Mein Kampf= La «bibbia del nazismo»,ovvero il manifesto dell’orrorefirmato Adolf Hitler. AntoineVitkine, giornalista edocumentarista francese,racconta Mein Kampf. Storiadi un libro (Cairo ed., pp. 279,€ 16, traduzione di GiovanniZucca). «Arringa di estremaviolenza, dai toni apocalittici,redatta da un agitatorepolitico megalomane...».

GENOCIDIO

Autori e cause= Architetto del genocidioebraico fu Reinhard Heydrich,che morirà nel 1942. EdouardHusson ripercorre le fasi checondussero alla decisione delgenocidio in Heydrich e lasoluzione finale (Einaudi, pp.405, € 32, trad. di MarioMarchetti). Allo Sterminiodegli ebrei è dedicato ilsaggio di Donald Bloxham perEinaudi (pp. 378, € 28, trad. diSara Marchesi): la stragenazista incastonata nella storiaeuropea degli ultimi due secoli.Peter Fritzsche, da parte sua,narra Vita e morte nel TerzoReich (Laterza, pp. 341, € 20,trad. di Marco Cupellaro),cercando una risposta alledomande cruciali: fino a chepunto i tedeschi si riconobberonel nazismo? Quanti di loro lofurono effettivamente?Lo sterminio di massa nellastoria dell’umanità èricostruito da Daniel J.Goldhagen in Peggio dellaguerra (Mondadori, pp. 640,€ 24, trad. di Massimo Parizzi).

VITE

Ebrei in Italia= Un ebreo tedesco nellaRoma del dopoguerra. E’Hermann, che si dedicheràgratuitamente all’educazionedegli ebrei romani, le classipovere. Ne traccia il profilo

Amos Luzzatto ( Marsilio, pp.207, € 16).Anna Pizzuti ricompone storie diebrei stranieri internati dalfascismo in Vite di carta(Donzelli, pp. 229, € 24).

MUSICA A TEREZÌN

Suonare nel lager= «Come è stato possibilecomporre musica e suonarla inun campo di concentramento?».È la domanda al centro dellamemoria di Joza Karas Musica aTerezín, in Cecoslacchia,anticamera di Auschwitz. Il libroè in uscita per il melangolo (pp.180, € 18). L’autore, tra i pochitestimoni sopravvissuti, poiviolinista alla Hartford Symphonyorchestra, morì nel 2008.

IL GIUSTO WALLENBERG

Con gratitudine= Durante la Shoah, non sonopoche le storie di «giusti fra lenazioni», che oggi riempionouna collina di Gerusalemme alloYad Vashem, un albero perciascuno a ricordo di vite salvatee vite rischiate per salvarnealtre. Fra tutte, forse la piùcelebre è quella di RaoulWallenberg, un diplomaticosvedese che elargendodocumenti e organizzandoiniziative di vario genere -ingegnandosi insomma conogni mezzo - riuscì a salvaremigliaia di ebrei ungheresi dallosterminio. E dopo la guerrascomparve chissà come e dove,oltre la Cortina di ferro.A questa strabiliante e terribilevicenda Joseph Kertes, scrittorenato in Ungheria ma fuggitocon la famiglia in Canada dopoil 1956, dedica il romanzoGratitudine (Elliot, pp. 540,€ 20, traduzione di CosettaCavallante) il cui protagonista èPaul Beck, un avvocatoungherese che grazie all'aiuto diWallenberg riesce a bloccare iltreno che trasporta la suafamiglia verso il campo disterminio.

I «Moskat»: una storiarumorosa e calda,nella quale con abilemisura si costruisceil silenzio che verrà

Al centro della sua operauna eterna questionedi fondo: fino a chepunto si puòcollaborare con il male?Che Centauro

è stato Solzenicyn

A Varsaviala trappoladel tempo

RITRATTI DI GABRIELE NISSIM

Il segreto dei Giusti= Sono trentasei i Giusti che secondo la tradizioneebraica salveranno il mondo. Gabriele Nissim,giornalista e saggista, riflette sulla potenza del bene inLa bontà insensata (Mondadori, pp. 264, € 18,50), unagalleria di figure che dimostrano come il male non sia,infine, inesorabile, invincibile. Una galleria di «uominigiusti»: da Schindler a Perlasca, la loro impavida manotesa agli ebrei perseguitati, dal giudice Falcone algenerale Divjak, eroe della resistenza di Sarajevo, a JiriPelikán. Tra azione e pensiero (da Hannah Arendt aVasilije Grossman, da Etty Hillesum a Vaclav Havel).

pp Ljudmila Saraskinap SOLŽENICYNp a cura di Adriano Dell’Astap Edizioni San Paolop pp. 1441, € 84

I NOSTRI AMBASCIATORI A BERLINO DAL 1933 AL 1945

L’Italia nel cuore del Reich= L’Italia di Mussolini nella Germania nazista. Lapolitica a Berlino dal 1933 al 1945, ricostruita daGiovanni Falanga in L’avamposto di Mussolini nelReich di Hitler (Marco Tropea editore, pp. 512, € 22).In dodici anni si succedettero quattro ambasciatori. Iprimi due, Vittorio Cerrutti e Bernardo Attolico,allontanati per volontà del Fürher, tali le loro riservesulla subordinazione sempre maggiore dell’Italia allaGermania; i loro successori, fascistissimi, Dino Alfieri(travolto dalla caduta di Mussolini) e Filippo Anfuso, tragli ultimi a lasciare Berlino assediata dall’Armata Rossa.

pp Isaac B. Singerp LA FAMIGLIA MOSKATp trad. di Bruno Fonsip Longanesi, pp. 664, € 24

Singer Una famiglia ebraicaverso l’inesorabile tenaglia nazista LETTURE

Biografia Come l’uomo-cavallo della leggenda, l’autoredi «Arcipelago Gulag» tirò sempre diritto contro il potere

Il Nobel Isaac B. Singer

Memorie dell’EstVIIITuttolibri

SABATO 22 GENNAIO 2011LA STAMPA IX

LETTURE

Oscar Schindler

Aleksandr Solzenicyn la sua vitaricostruita in biografia di oltre

1400 pagine da LjudmilaSaraskina che ha dialogato con

l’autore e ha avuto accessoai suoi archivi personali

Adolfo Kaminsky

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lucazanini.it

www.lastampa.it

La tregua, seguito di Se questo è un uomo, è considerato da molti il capolavoro di Levi: diario del viaggio verso la libertà dopo l’internamento nel Lager nazista, questo libro, più che una semplice rievocazione biografi ca,è uno straordinario romanzo picaresco. L’avventura movimentata e struggente tra le rovine dell’Europa liberata- da Auschwitz attraverso la Russia, la Romania, l’Ungheria, l’Austria fi no a Torino - si snoda in un itinerario tortuoso, punteggiato di incontri con persone appartenenti a civiltà sconosciute, e vittime della stessa guerra. L’epopea di un’umanità ritrovata dopo il limite estremo dell’orrore e della miseria.

La Stampa pubblica in occasione del Giorno della Memoria il capolavoro di Primo Levi.

La treguaPRIMO LEVI

Da giovedì 27 gennaio in edicola al prezzo speciale di 8,90 euro in più

Page 10: Tuttolibri n. 1749 (22-01-2011)

Pagina Fisica: LASTAMPA - NAZIONALE - X - 22/01/11 - Pag. Logica: LASTAMPA/TUTTOLIBRI/10 - Autore: ARCVIT - Ora di stampa: 21/01/11 20.44

Appunti diun venditoredi donneFALETTIB.C.DALAI

51 8

54

52

Saggistica TascabiliNarrativaitaliana

69100 64

Narrativastraniera Varia Ragazzi

1. La versione di Barney 52RICHLER 12,00 ADELPHI

2. Il piccolo principe 26SAINT-EXUPERY 7,50 BOMPIANI

3. La solitudine dei numeri primi 25GIORDANO 13,00 MONDADORI

4. La biblioteca dei morti 18COOPER 13,00 TEA

5. L’amico ritrovato 16UHLMAN 5,50 FELTRINELLI

6. Il giorno in più 16VOLO 13,00 MONDADORI

7. E’ una vita che ti aspetto 15VOLO 12,00 MONDADORI

8. L’ombra del vento 15RUIZ ZAFON 13,00 MONDADORI

9. Se questo è un uomo 14LEVI 10,50 EINAUDI

10.Un posto nel mondo 12VOLO 13,00 MONDADORI

Benvenutinella miacucinaPARODIVALLARDI

La cadutadei giganti

FOLLETTMONDADORI

LA CLASSIFICA DI TUTTOLIBRI È REALIZZATA DALLA SOCIETÀ NIELSEN BOOKSCAN, ANALIZZANDO I DATI DELLE COPIE VENDUTE OGNI SETTIMANA, RACCOLTI IN UN CAMPIONE DI 900 LIBRERIE.SI ASSEGNANO I 100 PUNTI AL TITOLO PIÙ VENDUTO TRA LE NOVITÀ. TUTTI GLI ALTRI SONO CALCOLATI IN PROPORZIONE. LARILEVAZIONESIRIFERISCEAIGIORNIDAL9AL15GENNAIO.

10

32

Momentidi trascurabilefelicitàPICCOLOEINAUDI

427 45

La versionedi Barney

RICHLERADELPHI

6

1. L’abbraccio 22GROSSMAN; ROVNER 10,00 MONDADORI

2. Gli ultimi eroi 18TROISI 18,00 MONDADORI

3. PercyJackson e il mare dei mostri 11RIORDAN 17,00 MONDADORI

4. Il grande libro dei perché 10LAURO 17,50 GIUNTI

5. Sesto viaggio nel regno della fantasia 8STILTON 23,50 PIEMME

6. Rapunzel.L’intrecciodella torre 8- 12,90 WALT DISNEY ITALIA

7. Rapunzel.L’intrecciodella torre 7- 3,50 WALT DISNEY ITALIA

8. Nel regno della fantasia 7STILTON 23,50 PIEMME

9. Il mio primo dizionario 7- 9,90 GIUNTI JUNIOR

10.La storia de I promessi sposi 6ECO 12,90 L’ESPRESSO

96

Il cimiterodi Praga

ECOBOMPIANI

I doloridel giovaneWalterLITTIZZETTOMONDADORI

Cottoe mangiato

PARODIVALLARDI

Pittore, pescatore, com-mercialista, coltivatoremeglio se biologico, ne-

goziante, mimo, pilota, alber-gatore, fotografo, libraio, vi-sagista, operaio, ragioniere,doge, giornalista.

Sono soltanto alcuni deimestieri che potrebbe profi-cuamente intraprendere, inluogo di quello che esercita,l'assessore alla cultura (ripe-tiamo: alla cultura) dellaprovincia di Venezia, il qua-le ha chiesto che vengano riti-rate dagli scaffali delle bi-blioteche civiche le opere del-le «persone sgradite» che nel2004 firmarono control'estradizione di Battisti: ecioè i libri di Pennac, Cacuc-ci, Scarpa, Evangelisti, WuMing, eccetera.

Cosicché, effetto collatera-le esilarante, a Chioggia o aPortogruaro si troverebbeMein Kampf ma non StabatMater o Malaussène.

Immaginiamo con quanto

disagio, perfino infelicità, uncensore si ritrovi ad occuparsidi quanto c'è di più incongruocon la sua vocazione: la cultura,le biblioteche, i libri (che sono co-sa distinta dalle persone, gradi-te o sgradite, che li hanno scrit-ti). Auguriamogli dunque di tro-vare la sua strada, altrove.

Nel frattempo, però, tocca

leggere sui giornali francesi:«Les bibliothèques vénitiennesappelées à boycotter les livresdes pro-Battisti». E anche: «Ladémocratie parlamentaire luirépugnait». Questo, però, in ri-ferimento a un fascista di benaltra stazza (che anche loronon siano più quelli di una vol-ta?), cioè a Curzio Malaparte,«la più bella penna del fasci-smo» secondo Gobetti.

Penna splendida anche quel-la di Maurizio Serra, diploma-tico italiano a Parigi, che scri-ve in francese e pubblica per ilpubblico francese, da Grasset,la biografia Malaparte, vie etlégendes, 608 pagine. La re-censione di le Monde è un inno.Riuscita éblouissante di que-sto arduo ritratto critico, ele-ganza, ricchezza, finezza: l'en-tusiasmo di Pierre Assouline èsquillante.

Speriamo che monsieur Ser-ra non firmi appelli, e non si ri-trovi espulso dalle bibliotechedel Triveneto, qualora tradotto.

1. La caduta dei giganti 42FOLLETT 25,00 MONDADORI

2. Il profumodelle foglie di limone 40SANCHEZ 18,60 GARZANTI

3. Io confesso 40GRISHAM 20,00 MONDADORI

4. Tempted. La casa dellanotte 29CAST; CAST 16,50 NORD

5. I diari dell’angelo custode 24JESS-COOKE 18,60 LONGANESI

6. Il predicatore 21LÄCKBERG 19,00 MARSILIO

7. Il bacio del risveglio 19ADRIAN 10,00 LEGGEREDITORE

8. L’eleganza del riccio 19BARBERY 18,00 E/O

9. La lista 17CONNELLY 22,00 PIEMME

10. Torment 17KATE 17,00 RIZZOLI

I PRIMI DIECI INDAGINE NIELSEN BOOKSCAN

Ritorno alla normalità, almeno qui in classifica conla ripresa di gennaio. Dopo gli exploit natalizi, ilvalore in copie vendute dei 100 punti, nel nostro

campione di sole librerie, si attesta intorno alle 7500. Inattesa delle uscite 2011, guida il drappello dei primi 10 laLittizzetto, più che mai in sintonia con il clima da lupana-re delle cronache quotidiane, contraltare comico del feuil-leton arcoriano che potrebbe titolarsi «I dolori (o gli ardo-ri) del vecchio Silvio». L’unico nuovo ingresso al verticedella settimana è il Barney tascabile, rilanciato dal film:linguaccia irrefrenabile, elefentiaco antimoralista, anchelui sarebbe adatto a commentare le frenesie della terza

età, magari potrebbe fungere da avvocato difensore me-glio di un Ghedini. Nella narrativa italiana c’è poi la com-media di Vaime, coetaneo del premier, satirico non satironé saturo (lunga vita al suo Black out radiofonico), che ri-evoca tempi in cui era davvero impresa ardua e fantasti-ca scoprire e vedere «la passera». Secoli fa, quando pro-prio non si immaginava di poter riassumere il presentedell’Italia come Puttanopoli (Domenico Guarino per CultEditore) e Mignottocrazia (Paolo Guzzanti per Aliberti).Quando Gadda già aveva scritto Eros e Priapo, profeticodell’oggi, mentre la tragedia si ripete in farsa: «Dacchéimpriapito la persona tutta, unica sua cura e ineluttabile

conato è questo: ch’ei percepisce, raggiunge, “plasma”, tie-ne, subiuga la sua folla e come in carne di femina: e plau-ditrice grandissima». C’è un’ Italia migliore canta la si-rena Vendola (2˚ in saggistica e 12˚ assoluto). Ma dov’è,cosa fa, cosa aspetta ancora? In Francia guida la classifi-ca l’Indignez vous del novantenne Hessel. Qui allora do-vrebbero esserci il Senza vergogna (di Belpoliti perGuanda) e La questione morale (di Roberta De Monticel-li per Cortina): perché «una sorprendente maggioranzadegli italiani approva, sostiene e nutre» l’impresa di chi«prostituisce il nome di “libertà”... la libido di un poteree-norme, sottratto a ogni norma di civiltà e diritto»?

AI PUNTILUCIANO GENTA

I doloridel vecchio

Silvio

Venezia, venerdì 28 genna-io. A 50 anni dalla «pri-ma», ritorna alla Fenice

Intolleranza 1960 di Luigi No-no. A 50 anni dalla nascita, conquesta «azione scenica» - attod’accusa contro violenza e discri-minazione, tema non arbitraria-mente collegabile ai nostri 150anni, la Marsilio di Cesare DeMichelis («la cosa più curiosa èche al traguardo del mezzo seco-lo arrivi uno dei fondatori...»)apre le sue sobrie, eleganti, cele-brazioni: nel segno della atten-zione civile e di una vitale dispo-sizione al nuovo, linee guida nelcammino, 6300 titoli, della «ca-sa sulla laguna» che continueràa festeggiarsi, con i libri. (Centra-le l’opera di Nievo: per il patron,l’«Italiano» simbolo dell’Unità).

Un 2011 Inside WikiLeaks:a giorni, il primo dietro le quintedel «sito più pericoloso del mon-do», scritto dall’ex braccio de-stro di Assange. Bestseller? Nes-suno può dirlo, come avvenutocon Larsson: ora 5 milioni di co-

pie e la saga al bottegino non èchiusa, in estate il memoir dellacompagna di Stieg, e pure gli altrigialli svedesi prosperano (bene an-che con i cinesi); si attende Uccide-re il drago di Leif Persson, ex uo-mo di potere e intellettuale di fortescrittura. Ergo: «una fatica bestia-le» il successo, un po’ su tutti i fron-ti: per «fare gli editori in una posi-

zione eccentrica come quella di Ve-nezia, e di qui riuscire a guardarelontano...certo, ne sono fiero». Fa-tica per «conservare dentro la sto-ria della Marsilio un elemento difedeltà a quello che ci stava attor-no, mentre tutto cambiava». Fati-ca in un mestiere che «è sempre piùuna scommessa, in un mondo divalori effimeri...Difficile costruirequalcosa che duri, noi ce l’abbiamofatta, credo».

E la passione non è spenta, co-me testimonia Tra le carte di uneditore, la plaquette di complean-no che, servendosi delle sue stesseparole, ne disegna un movimenta-to ritratto, gioie e dolori, entusia-mi e ire, fine cultura e sovra tuttoincontenibile curiosità che ha fattodi De Michelis, sin dai giovanili ini-zi, il talent scout per eccellenza, ba-sti pensare a Orengo, Debenedetti,Tamaro, Mazzantini, Cappelli edecine di altri nomi sino a oggi, an-zi a domani: il prossimo azzardo sichiama Fabrizio Ottaviani, auto-re del grottesco La gallina. Augurie uova d’oro.

Io e te

AMMANITIEINAUDI

651

44

Le ricettedi Casa Clerici

CLERICIRIZZOLI

1. I dolori del giovane Walter 100LITTIZZETTO 18,00 MONDADORI

2. Benvenuti nella mia cucina 96PARODI 14,90 VALLARDI

3. Cotto e mangiato 64PARODI 14,90 VALLARDI

4. Le ricette di Casa Clerici 45CLERICI 15,90 RIZZOLI

5. L’oroscopo 2011 26FOX 10,00 CAIRO

6. È facilesmettere di fumare... 19CARR 10,00 EWI

7. Instant English 16SLOAN 16,90 GRIBAUDO

8. The secret 14BYRNE 18,60 MACRO ED.

9. L’unica cosa che conta 13MORELLI 17,50 MONDADORI

10.Un napoletano come me 11SIANI 16,00 RIZZOLI

CHE LIBRO FA...IN FRANCIA

GIOVANNA ZUCCONI

Malapartecome

Battisti?

1. Io e te 69AMMANITI 10,00 EINAUDI

2. Il cimitero di Praga 65ECO 19,50 BOMPIANI

3. Appuntidi unvenditore... 51FALETTI 20,00 B.C. DALAI

4. Momentidi trascurabile felicità 44PICCOLO 12,50 EINAUDI

5. Canale Mussolini 38PENNACCHI 20,00 MONDADORI

6. Il sorriso di Angelica 32CAMILLERI 14,00 SELLERIO

7. Era ormai domani, quasi 31VAIME 11,00 ALIBERTI

8. Le luci nelle case degli altri 27GAMBERALE 20,00 MONDADORI

9. Bianca come il latte... 27D’AVENIA 19,00 MONDADORI

10.Un karma pesante 24BIGNARDI 18,50 MONDADORI

1. Impero. Viaggio nell’Impero di Roma 41ANGELA 21,00 MONDADORI

2. C’è un’Italia migliore 41VENDOLA 10,00 FANDANGO

3. I segreti del Vaticano 39AUGIAS 19,50 MONDADORI

4. Sono venuto per servire 36GALLO; MAZZETTI 17,00 ALIBERTI

5. Luce del mondo... 35BENEDETTO XVI 19,50 LIBRERIA EDITRICE VATICANA

6. Profumodi lavanda.Medjugorje 24BROSIO 19,50 PIEMME

7. La manomissione delle parole 24CAROFIGLIO 13,00 RIZZOLI

8. Il cuore e la spada 24VESPA 22,00 MONDADORI

9. Noi che... I migliori anni 22CONTI 16,00 MONDADORI

10.Ogni cosa alla sua stagione 22BIANCHI 17,00 EINAUDI

Classifica TuttolibriSABATO 22 GENNAIO 2011

LA STAMPAX

PROSSIMAMENTE

MIRELLA APPIOTTI

Marsilio,50 anni conWikileaks

9

Page 11: Tuttolibri n. 1749 (22-01-2011)

Pagina Fisica: LASTAMPA - NAZIONALE - XI - 22/01/11 - Pag. Logica: LASTAMPA/TUTTOLIBRI/11 - Autore: ARCVIT - Ora di stampa: 21/01/11 20.42

LEZIONI E INCONTRI

Nell’era digitaleCome cambia ilmestieredellibraiodi frontealle continue«invenzioni»deinewmedia.Quale futuroper il librodi carta:reggerà la sfidadie-booke iPad.Echenesaràdeldirittod’autore?Questialcunidei temidiscussidagliallievidella«ScuolaperLibraiUmbertoedElisabettaMauri»chesvolgerà lasuasettimanadiseminariaVeneziadal23al28gennaio.Comesempre,da28anni,editori,economisti, studiosidi finanzaedimarketingproporrannodiagnosie terapie,tecnichedi venditaemodellidigestionedella libreria. Tragliospitidellagiornataconclusiva,venerdì28: lagiornalistadiLeMondeFlorenceNoiville,autricediHostudiatoeconomiaemenepento(BollatiBoringhieri)dialogheràdiprevisioni2011conAngeloTantazzi;AdrianJohnspresenteràil saggioPirateria. Storiadellaproprietà intellettualedaGutenberga Internet, sempreperBollatiBoringhieri; LuisSepúlvedaracconteràai librai «Unavitadascrittore,grazieavoi».

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OTTIERO OTTIERI

Opere scelteMondadori, CXXVI-1808, € 65

«Ho letto le “Memoriedell’incoscienza” quandoera malato: come se volessiereditarne il cervello»

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A. DE SAINT-EXUPÉRY

Il piccolo principeBompiani, pp. 121, € 9

«Avevo 13 anni quando miazia lo traduceva. Mi spiacenon essere mai riuscitoa realizzarne un film»

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JOSE’ SARAMAGO

CecitàFeltrinelli, pp. 276, € 9,50

«Dove la protagonista, dicui mi sono puntualmenteinnamorato, non è mainominata né descritta»

I PREFERITI Presidente del più grande distributore italiano,domani a Venezia aprirà i corsi della Scuola che portail nome della sua famiglia: 4000 allievi in 28 anni

MARIOBAUDINO

Ci sarà Achille Mauri,domenica 23 a Venezia, ad ac-cogliere gli allievi della Scuolaper Librai che porta il nomedella sua famiglia: per una set-timana discuterà con loro sulfuturo del libro nell’era digita-le. Nel 2006 ha raccolto il testi-mone dal fratello Luciano, nelsolco della continuità famiglia-re: presidente delle Messagge-rie, il più grande distributoreitaliano, «senza nostalgia» del-la Pontaccio, la sua casa di pro-duzione romana per la tv. Nonè più interessato al piccoloschermo: «E’ uno strumentosuperato - dice - sai già che co-sa ti aspetta e non trovi niente.Al contrario YouTube ti aprefinestre sull’ignoto».

L’unica cosa che un po’ glispiace è di non essere mai riu-scito a realizzare un film dalPiccolo Principe di SaintExupéry, uno dei libri dellasua vita. «Ho armadi colmi disceneggiature, ci ho pensatoper vent’anni», confessa. Oraperò pensa ad altro. Dalle Mes-saggerie è nato un gigante edi-toriale, il gruppo Gems (con lafamiglia Spagnol), che com-prende una dozzina di case edi-trici da Longanesi a Bollati-Bo-ringhieri, più la spagnola Duo-mo, ed ha partecipazioni inChiarelettere e Fazi. Ma la vo-

cazione della casa madre èsempre quella di distribuire li-bri attraverso tutti i possibilicanali (Internet compresa,con la grande libreria on-lineIbs), assicurare il funziona-mento del sistema vascolaredel mercato e della cultura.Tutto cominciò quando Um-berto Mauri, il padre, prese ingestione la società nata a Bolo-gna nel lontano 1914, e ne feceun gigante. Era partito daun’agenzia letteraria, che pe-rò non rendeva troppo bene;decisivo fu l’incontro con Va-lentino Bompiani. Divennerocognati, inseparabili

Ma ci fu un incontro, altret-tanto importante, conqualcuno che faceva tut-t’altro mestiere.

«Ed era un lettore accanito:il banchiere Enrico Cuccia.Abitava proprio qui, doveora c’è la direzione delle Mes-saggerie, in via Conservato-rio. Era un giovane funziona-rio molto stimato. Con miopadre si intesero subito. Fuun sodalizio fra i più impor-tanti».

In che senso?«Credo siano stati loro a inven-tare almeno per il mondo del li-bro la "tratta" bancaria, cioèl’anticipo che la banca versa inacconto sull’incasso. Mio pa-dre girava l’Italia in treno, so-prattutto il Sud in cui credevamoltissimo - erano i tempi incui si andava trovare Benedet-to Croce. E dalle stazioni tele-fonava ai librai, chiedendoquanto avevano venduto. Se-gnava tutto sul suo pacchettodi sigarette, le mitiche Tur-mac, e tornato a Milano lo con-segnava in amministrazione.Poi Cuccia emetteva la tratta,cioè gli pagava l’incasso che innovanta giorni si doveva rea-lizzare».

Stressante?«Ma anche stimolante. Quan-do lavoravo a Roma, alla li-breria Bocca - che facevaparte di una catena già delleMessaggerie -, avevo clientimolto importanti, per esem-

pio Luchino Visconti. Andavoperiodicamente in America, arifornirmi di libri bellissimi.Una volta feci un’intera vetri-na con il mio ultimo bottino,Visconti se ne entusiasmò ecomprò tutto: erano 27 milio-ni, negli Anni Cinquanta»

Una cifra enorme.«Che ovviamente non fu pagatasubito. A quel punto ero io a do-ver essere sicuro di rientrare innovanta giorni. Non ero più indebito con mio pare, ma conCuccia. Non so se mi spiego...».

Non tutti avevano una mae-stro come suo padre. Nascedi qui l’idea della vostrascuola per librai?

«La molla fu la morte prematu-ra di nostra sorella Elisabetta.Eravamo sconvolti, per supe-rare il dolore ci inventammoun rituale: una volta alla setti-mana tutta la famiglia disputa-va una partita di calcio nel cor-tile della chiesa di San Simpli-ciano. Un cortile tutto sassi.Fu durante una di queste par-tire che Valentino Bompianiebbe l’idea: anziché sbucciarcile ginocchia, facciamo una

scuola per librai».Giocava anche lui?

«Per la verità il suggerimentovenne da bordo campo».

La scuola nacque nell’83,guidata da suo fratello Lu-ciano, in memoria di Elisa-betta e di vostro padre Um-berto nel frattempo scom-parso. In che senso era ne-cessaria?

«Perché si rivolgeva a un setto-re dominato allora più dallapassione che dalla tecnica.Tant’è vero che in 28 anni ab-biamo formato 4000 librai, eabbiamo dissuaso altrettanticandidati dall’intraprenderequesta attività».

Quant’è cambiata la figuradel libraio?

«Una volta era spesso il risul-tato di una scelta in fondo co-moda e secondaria, maschile.Oggi sono sempre più le don-ne, laureate e preparatissime.Però ritengo che, ancor piùdella scuola, la professionaliz-zazione è stata propiziata pro-prio dalla distribuzione: che èormai talmente sofisticata dafornire al libraio un sostegno

ineguagliabile. Si può fidare».In che senso?

«Le faccio un esempio: un li-braio per quanto attento diffi-cilmente sa quanto sta venden-do. La distribuzione glielo dicein modo assai preciso».

Quali sono gli errori gravi incui può incappare?

«Aprire nel posto sbagliato; sba-gliare l’assortimento; pensareche non sia un mestiere fatico-so. Anche solo tenere i libri puli-ti è già una gran fatica».

Nel 2010 le grandi catenahanno superato gli indipen-denti, conquistando la mag-gioranza del mercato italia-no. Crescono anche le libre-rie on line. E ora potrebbe af-fermarsi l’e-book. C’è anco-ra spazio per medi e piccolilibrai?

«Non c’è dubbio che una gran-de libreria di catena, sulle pri-me, toglie vendite agli altri. Pe-rò siamo un Paese dove metàdella popolazione non legge, eun minoranza legge moltissi-mo. Se aumenta la lettura au-menta lo spazio per tutti. Fino-ra è aumentata. E il pubblico èsempre imprevedibile: ha maivisto tanti libri di cucina in te-sta alle classifiche come in que-sto periodo? Sono convinto chela libreria del supermercato siaun presidio del libro esattamen-te come la piccola libreria, eche Internet sia un concorren-te da affrontare. La libreria ma-teriale non ti offre solo ciò chevuoi tu, ma cose che quando seientrato non ti immaginavi nem-meno. E’ un grande vantaggiosull’on-line».

Lei è affascinato da questapossibilità infinita anche co-me lettore?

«Direi di sì. I miei libri sonoquelli che incontro».

Le scoperte?«E le svolte. Per esempio, co-me le dicevo, Il piccolo principe.Avevo 13 anni quando mia zialo traduceva e ne parlava conme, che frequentavo le scuolein Francia. Ma non posso di-menticare Le memorie dell’inco-scienza, di Ottieri Ottieri: l’holetto quando lui era ammalato,come se volessi in qualche mo-do ereditare il suo immensocervello. E aggiungerei Cecità,di Saramago, dove la protago-nista, di cui mi sono puntual-mente innamorato, non è mai

nominata né descritta».Ha provato l’amore da lonta-no dei trovatori?

«In qualche modo è andata co-sì. Potrei citare molti altri au-tori, soprattutto saggisti, chesono stati importanti, ma for-se non come questi tre libri.Potrei citare Roland Barthes,ma mi ha dato una delusione»

Ci dica.«Molti anni fa, a Milano, du-rante una cena a casa Feltri-nelli. Io ero un giovanotto o po-co più, lui il grande intellettua-le. Parlò sempre con me, solocon me, e ne fui lusingatissi-mo. Mi sentivo così intelligen-te. Poi, a fine serata, arrivò l’in-vito per un weekend a Tuni-si...».

Voi due soli.«Ebbene sì. Ci rimasi un po’male».

«Tutto cominciòcon mio padre, le cosenon andavano bene,decisivo fu l’incontrocon Enrico Cuccia»

Diario di lettura TuttolibriSABATO 22 GENNAIO 2011

LA STAMPA XI

“A bordo campoBompiani disse:formate i librai”

«Il supermercato èun presidio del libroesattamente comela piccola libreria:perché temerlo?»

«Quando negli Anni 50lavoravo da Bocca feciuna vetrina di libriamericani: comprò tuttoVisconti, per 27 milioni»

La vita. Achille Mauri (sopra in una foto di Lorenzo Cendamo) è figlio di Umberto, che prese in gestione leMessaggerie a Bologna nel 1914, facendone un gigante. Dal 2006 ne è il presidente, avendo raccolto il testimone dalfratello Luciano. Dalle Messaggerie è nato il gruppo Gems (con la famiglia Spagnol), che comprende una dozzina dicase editrici da Longanesi a Bollati-Boringhieri. Presiede la «Scuola per librai Umberto e Elisabetta Mauri». Haguidato a lungo la «Pontaccio», casa di produzione romana per la tv. Ma non è più interessato al piccolo schermo.

Achille Mauri

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