tuttolibri n. 1747 (08-01-2011)

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ALTRI ANNIVERSARI DEL 2011, DALL’ARTUSI A MILOSZ Scomparso il 10 gennaio 1961, Dashiell Hammett è fra le personalità della cultura di cui ricorre nel 2011 un anniversario a cifra tonda, di nascita o di morte. Mondadori, che gli ha reso omaggio con un Meridiano a cura di Roberto Barbolini, lo ricorda pubblicando «Continental Op» (pp. 252, 8,50), sette racconti a cavallo fra Anni Venti e Trenta. Fra le ricorrenze: un secolo fa se ne andavano Emilio Salgari. Antonio Fogazzaro, Pellegrino Artusi; vedevano la luceAttilio Bertolucci, Camilla Cederna, Carlo Bo, Emile Cioran, Tennesse Williams, i Nobel Milosz, Elytis, Golding e Mafhuz. Hammett, una strega d’America GIUSEPPE CULICCHIA Per lui la frase migliore era notoriamente la più corta. E quando Dashiell Hammett morì di cancro a New York, il 10 gen- naio 1961, gli americani timorati di Dio e ossessionati dal pericolo comunista non dovettero aver bi- sogno di molte parole per com- mentare la notizia. Lo scrittore che aveva inventato il genere hard-boiled, dando vita a perso- naggi leggendari quali Sam Spa- de e Continental Op, portati sul grande schermo da attori come Humphrey Bogart e William Powell per la regia di maestri del calibro di John Huston, un uomo che sulla soglia dei settant’anni era ormai tornato alla povertà che ne aveva contraddistinto l’in- fanzia, era ai loro occhi semplice- mente un reietto. Nel 1937, infatti, mentre in Spagna infuriava la guerra civile e colleghi come George Orwell ed Ernest Hemingway partiva- no per la penisola iberica per sco- prire con un certo anticipo i me- todi più hard che boiled dei com- missari politici di scuola sovieti- ca, Dashiell Hammett aveva deci- so di iscriversi al partito comuni- sta americano. E dopo la secon- da guerra mondiale, a cui aveva partecipato in veste di volonta- rio dirigendo un giornale per le truppe sul fronte del Pacifico malgrado la tubercolosi contrat- ta nel 1918, quando in Europa aveva prestato servizio sulle am- bulanze alla pari dell’autore di Addio alle armi ammalandosi di influenza spagnola, si era impe- gnato per contrastare la «caccia alle streghe» maccartista parte- cipando con il miliardario filo-co- munista Vanderbilt alla creazio- ne di un fondo spese a cui potes- se attingere chi veniva accusato di professare idee anti-capitali- ste. Fu così che negli Anni Cin- quanta, in piena guerra fredda, il suo stile di scrittura per defini- zione «asciutto» e senza fronzoli, i suoi personaggi trasudanti cini- smo e distacco, le sue trame com- plesse ma allo stesso tempo reali- stiche, e dunque spietate come sa essere non di rado la vita, fini- rono in secondo piano; a un trat- to, Dashiell Hammett non venne più considerato il capostipite di un genere amato da moltitudini di lettori, ma alla pari di Charlie Chaplin e di tanti altri un nemico della democrazia e della libertà. Degno di finire, per cinque mesi, in prigione. I produttori di Hol- lywood, che nei suoi libri aveva- no trovato luoghi e protagonisti e intrecci perfetti per inchiodare alle poltrone il grande pubblico delle sale cinematografiche negli anni Trenta e Quaranta, gli volta- rono le spalle. I radiodrammi tratti dalle sue opere vennero cancellati. E il governo federale lo accusò di evasione fiscale, con- fiscando tutti i suoi beni e con- dannandolo a una povertà cui non lo sottrasse la nuova attività di insegnante di scrittura creati- va. Pochi anni più tardi, il senato- re McCarthy sarebbe caduto in disgrazia, morendo alcolizzato. Ma ormai la sorte dell’ex alcoli- sta Dashiell Hammett era segna- ta. Per uno come lui, doveva per forza di cose risultare tragica. Egli stesso, d’altronde, prima di diventare uno scrittore capa- ce di conquistare generazioni di lettori aveva fatto il detective per l’agenzia Pinkerton nel 1915 a Baltimora, e si era imbevuto di tragedie grandi e piccole, oltre che del linguaggio e dei modi di personaggi spesso immortalati dai flash dei fotografi specializza- ti in cronaca nera, e non lontani da quelli di Hollywood Babilonia. In quel periodo si era guadagna- to le cicatrici che segnavano il suo corpo, a perenne ricordo del- le zuffe con la mala, e da lì aveva tratto la linfa vitale destinata a dar forma a libri indimenticabili, da Piombo e sangue a L'uomo om- bra. Tra pericolose fanciulle e im- passibili investigatori, misteriosi omicidi ed equivoci trafficoni, ambigui confidenti e corruttibili poliziotti, tra rapide sparatorie e inattese coltellate magari nei vi- coli bui di un quartiere cinese, Dashiell Hammett ha plasmato non solo i suoi personaggi ma an- che quelli di tanti altri, a comin- ciare dal detective Marlowe, in- fluenzando oltre a Raymond Chandler innumerevoli autori, tra cui mostri sacri come Wil- liam Burroughs, Mickey Spilla- ne, James Ellroy, e secondo alcu- ni addirittura Hemingway. Per arrivare, indirettamente, fino a Bret Easton Ellis, che nel suo ulti- mo Imperial Bedrooms si rifà in modo esplicito ad atmosfere e cli- ché tipicamente hard-boiled. Ma al di fuori degli Stati Uniti anche il nostro Hugo Pratt pagò il suo debito nei confronti dell’autore americano, ispirandosi per il co- gnome del suo Corto al romanzo Il Falcone Maltese, mentre André Gide confessò di ammirarlo. Portato sul grande schermo da Fred Zinnemann nel 1977 con Julia, film in cui i panni dell’auto- re vennero indossati da Jason Robards Jr., e da Wim Wenders nel 1982 con Hammett: indagine a Chinatown, dove nel ruolo dello scrittore-detective comparve Frederic Forrest, Dashiell Ham- mett non sospettava certo di di- ventare a sua volta un personag- gio per Hollywood. Fondatore della «scuola dei duri», ha certo rappresentato molto per il pri- mo Giorgio Scerbanenco, e oggi viene indicato tra i «numi tutela- ri» da scrittori come Carlo Luca- relli e Andrea Camilleri. Ma la lunga lista dei suoi debitori è de- stinata senza dubbio ad allungar- si ancora, in futuro: almeno fin- ché esisteranno i detective, al ci- nema o in letteratura. Anniversario Moriva 50 anni fa l’inventore dell’hard-boiled, tra i bersagli del «maccartismo», amato e ripudiato da Hollywood, creatore di figure leggendarie come Sam Spade e Continental Op Con le recensioni e le classifiche dei bestsellers Oggi tuttoLIBRI iPad Edition A cura di: LUCIANO GENTA con BRUNO QUARANTA [email protected] www.lastampa.it/tuttolibri/ BIOGRAFIA Il Bonaparte più piccolo Napoleone III il plebiscitario BARBERO P. IX DIARIO DI LETTURA Il Boccalone di Palandri Il movimento ’77 tra Kafka e Tenco SERRI P.XI Ha influenzato autori del calibro di Chandler, Burroughs, Spillane, Ellroy, fino a Bret Ellis e al nostro Hugo Pratt Prima di diventare scrittore, fece il detective perPinkerton: lì stanno le radici dell’Uomo ombra e del Falcone maltese NUMERO 1747 ANNO XXXV SABATO 8 GENNAIO 2011 ESORDIO Il gran ’48 di Mari Un rocambolesco viaggio preunitario PENT P.II TUTTOLIBRI LA STAMPA VIDEO INTERVISTA Sul lago con il meccanico di Andrea Vitali LA MEMORIA Così Palandri faceva l’indiano a Bologna tutto LIBRI Dashiell Hammett, qui a sinistra in un ritratto in Rete di Jay Stephens e sopra in una foto del 1944 con Lilian Hellman sua compagna fino alla morte: sarà lei a rievocare il loro non facile rapporto, in Pentimento (da cui il film Julia con Jane Fonda) e, in Il tempo dei furfanti, il processo maccartista contro Hammett (i cui atti sono usciti l’anno scorso da Archinto, Mi rifiuto di rispondere) MÜLLER Ddr, crudele è il potere Un drammaturgo oltre il Muro FORTE P. IV IL COMODINO Confalonieri: cosa leggo dopo la tv I 2R

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Page 1: Tuttolibri n. 1747 (08-01-2011)

Pagina Fisica: LASTAMPA - NAZIONALE - I - 08/01/11 - Pag. Logica: LASTAMPA/TUTTOLIBRI/01 - Autore: SAMPOZ - Ora di stampa: 07/01/11 22.12

ALTRI ANNIVERSARI DEL 2011, DALL’ARTUSI A MILOSZ

Scomparso il 10 gennaio 1961, Dashiell Hammett è fra lepersonalità della cultura di cui ricorre nel 2011 unanniversario a cifra tonda, di nascita o di morte. Mondadori,che gli ha reso omaggio con un Meridiano a cura di RobertoBarbolini, lo ricorda pubblicando «Continental Op» (pp. 252,€ 8,50), sette racconti a cavallo fra Anni Venti e Trenta. Fra lericorrenze: un secolo fa se ne andavano Emilio Salgari.Antonio Fogazzaro, Pellegrino Artusi; vedevano la luceAttilioBertolucci, Camilla Cederna, Carlo Bo, Emile Cioran, TennesseWilliams, i Nobel Milosz, Elytis, Golding e Mafhuz.

Hammett,una stregad’America

GIUSEPPECULICCHIA

Per lui la frase miglioreera notoriamente la più corta. Equando Dashiell Hammett morìdi cancro a New York, il 10 gen-naio 1961, gli americani timoratidi Dio e ossessionati dal pericolocomunista non dovettero aver bi-sogno di molte parole per com-mentare la notizia. Lo scrittoreche aveva inventato il generehard-boiled, dando vita a perso-naggi leggendari quali Sam Spa-de e Continental Op, portati sulgrande schermo da attori comeHumphrey Bogart e WilliamPowell per la regia di maestri delcalibro di John Huston, un uomoche sulla soglia dei settant’anniera ormai tornato alla povertàche ne aveva contraddistinto l’in-fanzia, era ai loro occhi semplice-mente un reietto.

Nel 1937, infatti, mentre inSpagna infuriava la guerra civilee colleghi come George Orwelled Ernest Hemingway partiva-no per la penisola iberica per sco-prire con un certo anticipo i me-todi più hard che boiled dei com-

missari politici di scuola sovieti-ca, Dashiell Hammett aveva deci-so di iscriversi al partito comuni-sta americano. E dopo la secon-da guerra mondiale, a cui avevapartecipato in veste di volonta-rio dirigendo un giornale per letruppe sul fronte del Pacificomalgrado la tubercolosi contrat-ta nel 1918, quando in Europaaveva prestato servizio sulle am-bulanze alla pari dell’autore diAddio alle armi ammalandosi diinfluenza spagnola, si era impe-gnato per contrastare la «cacciaalle streghe» maccartista parte-cipando con il miliardario filo-co-munista Vanderbilt alla creazio-ne di un fondo spese a cui potes-se attingere chi veniva accusatodi professare idee anti-capitali-ste. Fu così che negli Anni Cin-quanta, in piena guerra fredda, ilsuo stile di scrittura per defini-zione «asciutto» e senza fronzoli,i suoi personaggi trasudanti cini-smo e distacco, le sue trame com-plesse ma allo stesso tempo reali-stiche, e dunque spietate comesa essere non di rado la vita, fini-rono in secondo piano; a un trat-to, Dashiell Hammett non vennepiù considerato il capostipite diun genere amato da moltitudinidi lettori, ma alla pari di CharlieChaplin e di tanti altri un nemicodella democrazia e della libertà.Degno di finire, per cinque mesi,in prigione. I produttori di Hol-lywood, che nei suoi libri aveva-no trovato luoghi e protagonistie intrecci perfetti per inchiodarealle poltrone il grande pubblico

delle sale cinematografiche neglianni Trenta e Quaranta, gli volta-rono le spalle. I radiodrammitratti dalle sue opere vennerocancellati. E il governo federalelo accusò di evasione fiscale, con-fiscando tutti i suoi beni e con-dannandolo a una povertà cuinon lo sottrasse la nuova attivitàdi insegnante di scrittura creati-va. Pochi anni più tardi, il senato-re McCarthy sarebbe caduto indisgrazia, morendo alcolizzato.Ma ormai la sorte dell’ex alcoli-

sta Dashiell Hammett era segna-ta. Per uno come lui, doveva perforza di cose risultare tragica.

Egli stesso, d’altronde, primadi diventare uno scrittore capa-ce di conquistare generazioni dilettori aveva fatto il detectiveper l’agenzia Pinkerton nel 1915a Baltimora, e si era imbevuto ditragedie grandi e piccole, oltreche del linguaggio e dei modi dipersonaggi spesso immortalatidai flash dei fotografi specializza-ti in cronaca nera, e non lontanida quelli di Hollywood Babilonia.In quel periodo si era guadagna-to le cicatrici che segnavano ilsuo corpo, a perenne ricordo del-le zuffe con la mala, e da lì avevatratto la linfa vitale destinata adar forma a libri indimenticabili,da Piombo e sangue a L'uomo om-bra. Tra pericolose fanciulle e im-passibili investigatori, misteriosiomicidi ed equivoci trafficoni,ambigui confidenti e corruttibilipoliziotti, tra rapide sparatorie einattese coltellate magari nei vi-coli bui di un quartiere cinese,Dashiell Hammett ha plasmatonon solo i suoi personaggi ma an-

che quelli di tanti altri, a comin-ciare dal detective Marlowe, in-fluenzando oltre a RaymondChandler innumerevoli autori,tra cui mostri sacri come Wil-liam Burroughs, Mickey Spilla-ne, James Ellroy, e secondo alcu-ni addirittura Hemingway. Perarrivare, indirettamente, fino aBret Easton Ellis, che nel suo ulti-mo Imperial Bedrooms si rifà inmodo esplicito ad atmosfere e cli-ché tipicamente hard-boiled. Maal di fuori degli Stati Uniti ancheil nostro Hugo Pratt pagò il suodebito nei confronti dell’autoreamericano, ispirandosi per il co-gnome del suo Corto al romanzoIl Falcone Maltese, mentre AndréGide confessò di ammirarlo.

Portato sul grande schermoda Fred Zinnemann nel 1977 conJulia, film in cui i panni dell’auto-re vennero indossati da JasonRobards Jr., e da Wim Wendersnel 1982 con Hammett: indagine aChinatown, dove nel ruolo delloscrittore-detective comparveFrederic Forrest, Dashiell Ham-mett non sospettava certo di di-ventare a sua volta un personag-gio per Hollywood. Fondatoredella «scuola dei duri», ha certorappresentato molto per il pri-mo Giorgio Scerbanenco, e oggiviene indicato tra i «numi tutela-ri» da scrittori come Carlo Luca-relli e Andrea Camilleri. Ma lalunga lista dei suoi debitori è de-stinata senza dubbio ad allungar-si ancora, in futuro: almeno fin-ché esisteranno i detective, al ci-nema o in letteratura.

Anniversario Moriva 50 anni fa l’inventore dell’hard-boiled,tra i bersagli del «maccartismo», amato e ripudiato da Hollywood,creatore di figure leggendarie come Sam Spade e Continental Op

Con le recensioni e le classifiche dei bestsellers

OggituttoLIBRIiPad Edition

A cura di:LUCIANO GENTAcon BRUNO QUARANTA

[email protected]/tuttolibri/

BIOGRAFIA

Il Bonapartepiù piccoloNapoleone IIIil plebiscitarioBARBERO P. IX

DIARIO DI LETTURA

Il Boccalonedi PalandriIl movimento ’77tra Kafka e TencoSERRI P.XI

Ha influenzato autoridel calibro di Chandler,Burroughs, Spillane,Ellroy, fino a Bret Ellise al nostro Hugo Pratt

Prima di diventarescrittore, fece il detectiveper Pinkerton: lì stannole radici dell’Uomo ombrae del Falcone maltese

NUMERO 1747ANNO XXXVSABATO 8 GENNAIO 2011

ESORDIO

Il gran ’48di MariUn rocambolescoviaggio preunitarioPENT P.II

TUTTOLIBRI

LASTAMPA

VIDEO INTERVISTA

Sul lagocon il meccanicodi Andrea Vitali

LA MEMORIA

Così Palandrifaceva l’indianoa Bologna

tuttoLIBRI

DashiellHammett,

qui a sinistrain un ritrattoin Rete di Jay

Stephense sopra in una

foto del 1944 conLilian Hellmansua compagna

fino alla morte:sarà lei

a rievocareil loro non facile

rapporto,in Pentimento

(da cui il filmJulia con Jane

Fonda) e, inIl tempo

dei furfanti,il processo

maccartistacontro

Hammett(i cui atti sono

usciti l’annoscorso

da Archinto,Mi rifiuto

di rispondere)

MÜLLER

Ddr, crudeleè il potereUn drammaturgooltre il MuroFORTE P. IV

IL COMODINO

Confalonieri:cosa leggodopo la tv

I 2R

Page 2: Tuttolibri n. 1747 (08-01-2011)

Pagina Fisica: LASTAMPA - NAZIONALE - II - 08/01/11 - Pag. Logica: LASTAMPA/TUTTOLIBRI/02 - Autore: MARGAL - Ora di stampa: 07/01/11 18.52

L’idea di nazione Un’altra tappa dell’analisi di Banti che insistesulla matrice di «sangue e suolo», comune a camicie rosse e nere

SERGIOPENT

Se Alessandro Marifosse lo pseudonimo dietro cuisi cela una squadra di autorisul genere dei Wu Ming, Trop-po umana speranza sarebbe co-munque un superbo romanzo.Ma visto che Mari risulta esse-re un trentenne di Busto Arsi-zio al suo esordio assoluto, que-sto non è solo un grande ro-manzo, è un'impresa. A un cer-to punto del suo sterminatotracciato l'autore cita Dickens:«Lui, ciò che descrive, te lo la-scia dentro gli occhi». Ed è pro-prio questo che accade al letto-re. In mancanza di aggettiviadeguati - avvolgente, trasci-nante, epico, dilagante sono al-cuni di quelli «usabili» - occor-re capire da dove sia partitaquesta volontà di raccontareuna piccola scaglia di storia ita-liana con lo stile e il linguaggiodi un classico: uno che conosce

a fondo gli sviluppi del granderomanzo tra Otto e Novecento,ma che della modernità si ser-ve per cesellare un percorso diluce e di voci - anche minime -attraverso i meandri delle ipo-tesi e delle certezze storiche.

La cura del dettaglio è ma-niacale, ma nel senso di volerperfezionare ogni atto, ogni so-spiro, ad uso di un ipotetico let-tore che non disponga di mezziaudiovisivi per conoscere ilmondo. I personaggi e le loropassioni scorrono sulla paginacome un fiume in piena che af-ferra, trascina, travolge, in unviaggio al cui termine ti rendiconto che potrebbe continua-re all'infinito, e senza forzatu-re. Ed è una gran bella impres-sione d'amore.

Ma cos'è, dunque, questoromanzo che dovrebbe - ci au-guriamo - sconvolgere la sta-gione letteraria in arrivo met-tendo al palo tutto ciò che or-mai spacciano per opera d'ar-te assoluta, dal bestseller an-nunciato alla narrativa daipermercato?

Troppo umana speranza è ir-raccontabile nel suo intricatoviaggio lungo una decina di an-ni, che si conclude in un 1848aperto a speranze patrie anco-ra irrisolte, con un Garibaldiprossimo a diventare l'uomodella provvidenza unificante.Ma i personaggi che seguiamosono addirittura quattro e le lo-ro vicissitudini si ricongiungo-no - anche solo in parte - in ungioco di eventi che sfiora tutti itoni del romanzo epico: il «me-namerda» Colombino, adotta-to dal prete di campagna DonSante, che dalla pianura pada-na nebbiosa e contadina di Sac-conago parte - con il fido muloAstolfo - per chiedere al Papa ilconsenso di sposare la contadi-notta Vittorina, in un viaggioche è un'odissea di incontri e didisastri: la bella Leda, orfanaabusata ed educata al mestiere

di spia, con il compito di segnala-re le mosse londinesi di un peri-coloso «ribelle» di nome Giusep-pe Mazzini; il trafficone Lisan-der, che in una Milano in fermen-to intuisce il mestiere del fotore-porter, anche se sfrutta il latocommerciale più bieco della foto-grafia smerciando le sue eccitan-ti «callopornie»; e infine Lui, Jo-sé, capitano e colonnello in unSudamerica in rivolta, lui cheama Aninha e ne fa misura di vi-ta, e torna in Italia per cercarenuove imprese, e noi sappiamoche le troverà e dovremmo ren-dergliene merito ogni giorno.

Ecco, questi quattro roman-zi sono il romanzo che diventapiano piano, a passi perfetti,Troppo umana speranza. Sceneepocali ed esperienze sotterra-nee come quelle del villano Co-lombino confluiscono in un pro-getto narrativo che racconta, infondo, il percorso di tutte le spe-ranze dell'umanità: dal viaggiod'amore di Colombino a quellodi redenzione di Leda, dal viag-gio nella modernità di Lisandera quello verso la pace e la salvez-za d'Italia di Garibaldi, il tuttogestito con una maestria narra-tiva senza tempo, che tuttavia ri-chiede il suo tempo di lettura,ma ti ripaga con una sensazionedavvero unica di ricchezza emo-tiva, di ammirazione totale.

Il percorso si snoda come ungraduale passaggio di consegneindividuali alla grande Storia,

violando le regole dell'immobili-smo popolare attraverso i nobilifermenti di personaggi che sfio-rano la modernità, ma che perraggiungerla devono subire iconfronti con lo stato delle cose,con i pregiudizi, con la volontà digarantire al futuro le stesse in-certezze del passato.

Nelle loro timide o eroichemosse verso la speranza, i perso-naggi di Mari aprono il passo aun altro futuro, a un Novecentoche magari sarà addirittura trop-

po veloce per loro, ma alla cui riu-scita avranno contribuito con i lo-ro sacrifici e il loro genuino entu-siasmo. Figure assordanti, che ri-mangono a galla nella memoriadi una lettura lenta e generosa. Ecerti affreschi verbali dedicati alfurioso amore di Anita e Giusep-pe sono destinati, crediamo, a di-ventare un punto di riferimentoassolutonelle pagine della nostranarrativa. Anita sarebbe conten-ta di essere vissuta e morta in unmodo così giusto, limpido, visce-rale e leggendario. Un grande ro-manzo,davvero, che rende onorealla letteratura contemporanea,non solo italiana.

Ma il Risorgimentonon diventò fascista

ANGELOD’ORSI

Dopo Nel nome dell’Ita-lia, lo storico Alberto MariaBanti propone Sublime madrenostra. La nazione italiana dalRisorgimento al fascismo, sem-pre facendo amplissimo ricor-so a narrazioni, linguaggi,strutture discorsive, meccani-smi comunicativi: un libro se-rio e documentato, e affasci-nante, come tutti i lavori del-l’autore, anche se, a mio avviso,meno convincente di altri pre-cedenti. Un libro che suscitamolte perplessità. E ciò al di làdel linguistic turn, la «svolta lin-guistica» del postmodernismostoriografico di cui Banti è unodegli esponenti italiani, e versocui, personalmente, sono piut-tosto critico. Ma non è questo ilpunto, e il libro comunque me-rita di esser letto e, soprattut-to, di essere discusso, specieove si consideri che esso si inse-risce, anche al di là delle inten-zioni dell’autore, nella diffusis-sima polemica antirisorgimen-tistica, che Banti declina neitermini di uno smontaggio del-le narrazioni retoriche dell’epo-pea risorgimentale e di quellesuccessive, «nazional-patriotti-che» (come le chiama) o addi-rittura - qui è il punto più dolen-te della posizione di Banti - na-zionalfasciste.

Secondo l'autore, infatti, ildiscorso nazionale rimane so-stanzialmente il medesimo,nella sua conformazione, lun-go i decenni, che vanno dal mo-to unitario al fascismo. E ciòperché, essenzialmente, la con-cezione della nazione rimanela stessa. Ci saranno cambia-menti, ammette Banti, ma sitratta più che altro di adatta-menti ai diversi contesti politi-ci, sociali, culturali; e anche semutano, anche radicalmente,gli obiettivi politici perseguiti,la struttura del discorso nazio-nale non cambia.

«E allora?», verrebbe da di-re a uno storico «tradizionale»,che pretende cocciutamente diricostruire fatti e pensieri, at-tento, naturalmente, alle moda-lità espressive di quei pensieri,alle forme della comunicazio-ne, ai linguaggi, ma che da que-sti elementi non intende la-sciarsi trasportare, finendoper giudicare più importante il«come si dice» rispetto a «quelche si dice», per far prevalere ilsignificante sul significato, perdirla in termini semiologici.

Quanto al Risorgimento, inrealtà nel libro rappresentapiù che altro la materia dellacostruzione retorica che daidecenni anteriori all'Unitàgiunge al 1945. Sfilano, in un'analisi sempre raffinata, auto-ri che abbiamo tutti letto inge-nuamente a scuola, spesso im-parando a memoria, da Ber-chet a Manzoni, da Pascoli a

De Amicis; è vero, i loro testi ser-vivano anche a costruire una re-torica nazionale, ma non è inevi-tabile nello sforzo di edificazionedi un nuovo Stato? Anche la re-torica, insomma, ha una funzio-ne, che può essere positiva, in da-ti momenti storici. Poesie, rac-conti (grande posto ha natural-mente nel percorso il deamicisia-no Cuore: ma siamo certi che siatutto da sbeffeggiare? E chequei buoni sentimenti siano tuttioggi da rovesciare?), i monu-menti (la «monumentomania»dell'Italia liberale, che produssee piazzò statue degli eroi del Ri-sorgimento un po’ dappertutto),le cerimonie, i discorsi pubblici,il primo cinematografo…

Il discorso pubblico «na-zionalpatriottico» usò una seriedi figure, di elementi retorici, diargomenti reiterati, capaci di col-pire l'immaginazione, dunquemiti, che seppero costruire unsenso comune in larga fetta dellapopolazione, anche quella menoadusa alla lettura, o a frequenta-re teatri o cinematografi. In real-tà gran parte di quel discorso sisvolgeva nelle pubbliche vie, nel-le piazze, sia collocandovi monu-menti, sia celebrando ricorren-ze, sia attraverso cerimonie a ca-rattere liturgico: era la liturgiadella nazione, che reclamava isuoi martiri, i suoi santi (si pensialla figura di Garibaldi, santoanomalo, ma da tutti riconosciu-to e adorato), che onorava il san-gue versato, i sacrifici patiti, il do-lore, la sofferenza, tutti elementicapaci di essere il cemento del-l’edificionazionale.

Abbiamo per decenni ancoranel secondo dopoguerra frequen-tato un martirologio nazionale,dove i santi erano tanto gli eroidi prima fila, a cominciare daMazzini e Garibaldi (con annes-sa Anita, eroicizzata molto pertempo), quanto i letterati cheavevano espiato con la duraesperienza della prigionia il loro«amore per l'Italia» (come si di-ceva), da Silvio Pellico a Luigi

Settembrini; ma anche gli eroiper caso, gli eroi e martiri di se-condo rango, tanto più degni dimemoria: eppure, chi ricorda og-gi un nome quale, per citarne sol-tanto uno, Amatore Sciesa, ilmazziniano che non esitò a subi-re il patibolo per non tradire isuoi compagni e cui si attribui-sce il fatidico «Tiremm innanz»?E l'oblio in cui sono caduti, siamosicuri che sia un dato positivo?

Insistere sugli elementi di

sangue e suolo, ossia naturalisti-ci, invece che spirituali, della con-cezione della nazione risorgi-mentale, e ritrovarla nel fasci-smo, passando per il tramite diun D’Annunzio (indimenticatoautore di micidiali performanceoratorie, dallo scoglio di Quartonel 1915 alle piazze di Fiume nel1919-20), pare operazione nondel tutto condivisibile.

Ritengo, al contrario di Banti,che esistano due nazionalismipiuttosto distinti e distanti, an-che se temporalmente vicini:quello risorgimentale, che daipreludi post Rivoluzione france-se va fino all'Italia liberale, e quel-lo imperialistico, fra tardo Otto-cento e Grande Guerra, che poiassumerà il volto più truce, e in-

sieme grottesco, del mussolini-smo. Il grande spartiacque fu laguerra del 1914, che per l'Italia fu«la guerra del ’15-18». Là si ebbela scomparsa di quanto rimane-va del nazionalismo patriottico,e il sopravvento definitivo diquello aggressivo, imperialisti-co. Furono un gruppo di ideologi- pochi, ma attivissimi, che sichiamavano Enrico Corradini,Alfredo Rocco, Francesco Cop-pola, e qualcun altro (e stupisceche nella ricca ricognizione diBanti siano trascurati) - a immet-tere nuovi contenuti nel bagagliodella nazione e a fare cambiaredi segno il discorso nazionalisti-co, anche se le retoriche poteva-no essere, fino a un certo punto,le stesse o comunque analoghe.

Il fatto che il fascismo si siaimpadronito del Risorgimento, esi sia sovente presentato come ilsuo compimento e inveramento(tale l'opinione di Giovanni Genti-le, ad esempio), non ci può indur-re a gettar via il bambino conl'acqua sporca. Addirittura rite-nere che le leggi razziali del ’38 si-ano nella loro essenza una ripre-sa di elementi presenti nella legi-slazione e nel discorso pubblicopost-risorgimentale è operazio-ne ad alto rischio. Il sangue e ilsuolo, specie il sangue, e quindil'attenzione alla sessualità ripro-duttiva, sarebbero il filo condut-tore. La nazione fascista, con ilsuo corredo razzista, «irrigidi-sce ed estremizza» gli elementidel discorso «nazional-patriotti-co» originario. Se così fosse, in-somma, dovremmo giungere achiederci: i padri della patriahanno gettato le basi della perse-cuzione antisemita?

La mia risposta è: assoluta-mente, no. Così come alla doman-da: il Risorgimento, e la sua cele-brazione, hanno offerto la matri-ce fondamentale al fascismo perla sua costruzione ideologica edunque per le sue pratiche effe-rate? La risposta è altrettanto vi-gorosamente: no.

Insomma, mi dispiace per lastoriografia postmoderna, e peril lavoro che compie, di raffinatalettura di testi. Ma, oltre a nonraggiungere risultati persuasivisul piano della conoscenza, essafinisce per avvicinarsi alle tantepolemiche antirisorgimentisti-che che pullulano tra editori e ra-duni. Lo smontaggio delle retori-che discorsive è operazione inte-ressante, benché non sempre co-sì utile. Quando poi finisce percoincidere con la costruzione diretoriche dell’antiretorica risul-ta ancora più discutibile. E, mi silasci dire, in certo senso, altret-tanto pericolosa, forse anchepiù, della retorica di Carlo Aze-glio Ciampi (a cui Banti dedica leaspre pagine conclusive), cheavrebbe lavorato per il ricuperodel «blocco discorsivo propriodel nazionalismo classico, comesi è formato tra Risorgimento efascismo». Che Ciampi abbia esa-gerato con la retorica patriotti-ca, pure con qualche svarionestorico, è pacifico; ma essa nonrinvia certo al duce, bensì a quei«ragazzi» del Risorgimento (edel «nuovo Risorgimento» che fula Resistenza) ai quali, da cittadi-ni prima che da studiosi, dobbia-mo rispetto e riconoscenza.

T raditori, cospiratori,terroristi, spie, delato-ri….. Romanzi avvincen-

ti come quello di Giancarlo DeCataldo (I traditori), ma an-che Il cimitero di Praga diUmberto Eco, un film (e la rela-tiva sceneggiatura pubblicatada Bompiani) come lo straordi-nario Noi credevamo di Ma-rio Martone, saggi storici inec-

cepibili (Londra dei cospirato-ri, di Enrico Verdecchia, I pic-coli cospiratori di AriannaArisi Rota), hanno segnato laprima fase del dibattito pubbli-co sul Risorgimento innescatodall'avvicinarsi del 150˚ anni-versario dell'Unità d'Italia,tutti privilegiandone il latooscuro. Con il 2011 ci sarà un'altra valanga di titoli, ma il ta-glio si annuncia diverso, oscil-

lando tra il libretto celebrativodi occasione e una più ponderatariflessione storiografica.

Resta questo inizio, affollatodi servizi segreti, falsari come ilSaturnino di Eco, voltagabbanacome il Gallenga di Martone,mercenari e visionari, patrioti edoppiogiochisti… Può essere unamoda, legata al vezzo giornalisti-co di inseguire le nuove rivelazio-ni, l'inedito, il disvelamento deimisteri? Può essere che abbia in-fluito quella sorta di «processoal Risorgimento» avviato in unafase in cui - per la prima voltanella nostra storia - al governoc'è una forza politica come la Le-

ga, che esplicitamente nega ognitipo di legittimazione alla costru-zione dello Stato nazionale?

Non è solo questo. Nel 1961,in occasione del «centenario»tutto era molto chiaro. Mentregli storici accademici si interro-gavano sulle loro diverse inter-pretazioni (e al centro del dibat-tito ci fu la «questione meridio-nale»), i media si assunsero ilcompito di costruire un'immagi-ne edificante del nostro passato(in quell'anno alla televisioneandarono in onda Le giornatedel riscatto: album del Risorgi-mento, I Mille, L'impresa deiMille illustrata ai ragazzi, La

tragedia di Belfiore). Adesso lasituazione è molto diversa.

In mezzo ci sono stati gli An-ni 70 del Novecento. Troppi mi-steri di allora non sono mai statirisolti, troppo forte è stata la de-lusione verso uno Stato che hanegato ogni forma di verità e digiustizia nei confronti delle stra-gi che insanguinarono quel de-cennio. Mentre per il terrorismodelle Brigate Rosse e di Prima Li-nea si è comunque arrivati a unaverità giudiziaria certificata dauna sentenza, su Piazza Fonta-na, su Piazza della Loggia, suBologna, su Ustica, si annida an-cora la plumbea reticenza dei

servizi segreti, l'ombra dei depi-staggi, una soffocante cappa dicomplotti e di intrighi.

Nasce allora - come reazionecivile e culturale - una forte spin-ta a leggere la nostra storia co-me una ininterrotta sequenza diepisodi oscuri, tenuti insieme dal-la capacità del Potere di inquina-re e corrompere. Così la leggen-da del «grande vecchio» degliAnni 70 viene retrodata fino aCrispi, il retroterra «misterioso»che si annida dietro la sfolgoran-

te impresa dei Mille rimbalzanello scenario criminale dellabanda della Magliana. I film, iromanzi, i saggi di oggi sembra-no insomma parlarci più del no-stro presente che del nostro pas-sato e ci obbligano a confrontar-ci con i guasti di una democraziain cui la trasparenza, il ruolo «vi-sibile» delle istituzioni sembranocome sommersi da una strari-pante presenza dell'«invisibile».

IL CALCIATORE DI GIULIANO PAVONE

L’eroe dei due mari= «Quando vide quella distesa blu cobalto sotto di sé,venti metri più in basso, Filippo Panìco si spaventò perdavvero». Giuliano Pavone esordisce nella narrativa conL’eroe dei due mondi (Marsilio, pp. 302, € 17).«Miracolo a Taranto», potrebbe essere il sottotitolo diquesta acuminata commedia italiana. Comeprotagonista un campione, un attaccante brasilianodell’Inter, che per grazia ricevuta gioca un anno,gratuitamente, nella locale squadra di calcio. Intorno albomber, fiorisce una svariata umanità, tra corruzione,disoccupazione, misteri, abbracci generosi.

L a tavola, o il caffè, sono sem-pre stati i luoghi della paro-la, dove si sono rotte o ag-

giustate le cose: discusso animata-mente, trovato un accordo, apertelacerazioni. Però di solito il man-giare o il bere insieme ha indotto afraternizzare, a confrontarsi, maper trovare un punto d'incontro.

Carlo Dossi, nelle Note azzur-re (num. 4589) racconta: «Ai tem-pi di Cattaneo fu fatta la pace traclassici e romantici e per celebrarlasi bandì un gran banchetto in cuiintervennero i caporioni delle duescuole, e in cui i piatti alternavansinei due stili. - Dopo un gigot classi-co veniva p. es. una mondeghigliaromantica, dopo una semplice slep-pa di manzo classico un pasticciodi Strasburgo romantico, dopo unsorbetto di pura crema classico, unsorbetto punch romantico».

Incontrarsi al caffè ha significa-to condividere col luogo anche ideee interessi. Anche oggi al caffè nonsi va semplicemente per sorbire unaperitivo da soli, ma per berlo insie-me. Solitudine e silenzio non s'addi-cono a quel luogo. Al caffè il temposcorre conversando: è sempre statoil luogo della parola (così come lataverna era il luogo del chiasso fe-stoso e della trasgressione linguisti-ca, dove le parole e il vino, dicevaManzoni parlando di Renzo alla«Luna piena», scorrevano «senzamisura né regola»), il luogo delladiscussione, della ragione, dei rego-lari contrapposto agli irregolaridell'osteria. In questo luogo d'in-contro, annotavano i fratelli Verrifondatori della celebre rivista sette-centesca Il Caffè, ci si scambianoidee, si trovano i giornali, «in essabottega, chi vuol leggere, trova sem-pre i fogli di Novelle Politiche»,trova «il Giornale Enciclopedico,e l'Estratto della Letteratura Eu-ropea, e simili buone raccolte diNovelle interessanti, le quali fannoche gli uomini che in prima eranoRomani, Fiorentini, Genovesi, oLombardi, ora sieno tutti presso apoco Europei».

George Steiner ha scritto chel'unità europea si è fondata nei caf-fè metropolitani, in questi ambienticosmopoliti, caldi di legni e di stuc-chi e di specchi. Così come hannocontribuito a unire (o a dividere)l'Italia. Nel periodo rivoluzionarioa Torino i giacobini si trovavano al-la Taverna della Giamaica, alCaffè 'd Catlina o al Marsiglia.Roberto D'Azeglio, l'8 febbraio1848, al caffè Nazionale di Torinoaveva letto agli amici, prima dell'affissione in pubblico, il proclamadi Carlo Alberto. In città c'eranocaffè frequentati dai conservatori,altri soltanto dagli innovatori. Illu-minismo, Romanticismo, Risorgi-mento, Futurismo e Avanguardiehanno trovato nei caffè italiani diun tempo il luogo in cui discutereed elaborare le idee. I macchiaioli,artisti e patrioti, si sono sempre in-contrati al Michelangiolo di Firen-ze, in via Larga, ora via Cavour.

LA DANZATRICE DI CINZIA TANI

A tempo di charleston= In Charleston (Mondadori, pp. 359, € 19,50) CinziaTani narra il lungo avventuroso viaggio di Claire alla ricerca diStella,la sua enigmatica maestra di danza che crede di averferita sparando nel bosco a un uccello dalle piume gialle. Lagiovane donna attraversa l'Europa fino ad approdare aDamasco, munita solo di un diario nel quale si svela ladanzatrice, impermeabile alla corresponsione degli affetti inun mondo che desidera ingurgitarla graffiandone la freddaindipendenza. Ma è proprio questa sua freddezza ad attrarregli uomini e a renderli vittime del suo charme di femmefatale. E in ciò risiede il fascino sottile del romanzo. [M.P.]

IVAN COTRONEO, CONTRO L’OMOFOBIA

Un bacio impossibile= «C’era la neve quel giorno, questo me lo ricordo.Era dietro i finestrini dell’automobile...». E’ un gridocontro l’omofobia Un bacio, il veloce, tragico raccontodi Ivan Cotroneo, scrittore e sceneggiatore, perBompiani (pp. 91, € 9,50). Tre voci per una tragedia.Due adolescenti. Un’insegnante. Una cittadina diprovincia. Un colpo di pistola sparato alla tempia inun’aula scolastica. Eco di un episodio accaduto in unliceo californiano nel 2008, quando Larry venne uccisoda un suo compagno, Brandon, che Larry avevacorteggiato nei giorni precedenti.

LA DONNA IN NERO DI BEPPE LOPEZ

Il ritorno di Capatosta= Dieci anni dopo, riappare un ritratto violentementeumano del Sud, Capatosta, l’opera prima di Beppe Lopez(Besa, pp. 279, € 19). Un formidabile ritratto di donna,quale si delinea a Capitanata, nel Barese. Concepita primadell’ultima guerra, nata in una famiglia miserrima,rifiutata dalla madre che la vestirà sempre di nero, insegno di lutto per la morte del marito, riuscirà asopravvivere grazie a un carattere che si farà via viasempre più duro. Fino a meritare il soprannome diCapatosta. Una storia scritta in una lingua fortementesimbolica, una miscela di italiano e pugliese.

Alessandro Mari

Esordio Un folgorante viaggio nell’Italiapre-unitaria con il trentenne Alessandro Mari

PAROLEIN CORSO

GIAN LUIGI BECCARIA

Al Caffèci si fa

europei

pp Alberto Bantip SUBLIME MADRE NOSTRA

La nazione italianadal Risorgimento al fascismop Laterza, pp.208, € 18

CATERINA CAVINA, FRA NEBBIE E DELITTI

C’è una Merla nella Bassa= «Solo vaghe nebbie e molta pioggia: la stagioneche amavo di più...». Delitti e altri delitti, nella Bassaemiliana. Chi è quella ragazzina assassinata nei giornipiù freddi dell’anno? Perché nessuno - e si è già inprimavera - si è preoccupato di sottrarla alla palude? LaMerla (B.C. Dalai editore, pp. 157, € 16,50) è il secondoromanzo di Caterina Cavina , originaria di Castel SanPietro, nel Bolognese. La protagonista scompare eriappare, protetta da una suora strana e da uncarabiniere. I cadaveri con lei si «aprono». Quale migliormestiere del giornalista di nera?

«SETU FOSSI QUI» DI DI MARIA PIA AMMIRATI

Una moglie sconosciuta= Ma chi era mia moglie? E’ l’indagine post mortemcondotta da Matteo, il fil rouge, sentimentale e atroceinsieme, che cuce il nuovo romanzo di Maria PiaAmmirati, dirigente televisiva, oltre che scrittrice egiornalista: Se tu fossi qui (Cairo, pp. 157, € 12).Scoprire, a poco a poco, inesorabilmente, che di lei non sisa nulla, che altro era il suo mondo, che forse nascondevauna seconda vita, forse una malattia, forse un pensierointraducibile. Una lunga, impavida meditazione, allascoperta di sé e di lei: «Se tu fossi qui amore mio, se tufossi ancora qui / oggi finalmente saprei cosa dirti».

In «Troppo umanasperanza», un’odisseadi incontri, tra popoloed eroi, Mazzinie Garibaldi con Anita

Non si distingue franazionalismo patriotticoe imperialistico:lo spartiacque fula guerra del 1915-18

Un grande romanzo,epico e travolgente,un mosaico di 4 storiefuse con maestriae gran cura dei dettagli

pp Alessandro Marip TROPPO UMANA SPERANZAp Feltrinelli, pp. 764, €18p in libreria dal 12 gennaiop Alessandro Mari è nato nel

1980 a Busto Arsizio. Si è laurea-to con una tesi su Thomas Pyn-chon; si è diplomato alla ScuolaHolden di Baricco. Lavora nel-l’editoria come lettore, tradutto-re e ghostwriter

Alberto Banti

I misteri irrisoltidegli Anni 70 spingonoa leggere la nostra storiacome una sequenzadi episodi oscuri

Dibattito

Sbaglia chi cercain Crispiil “grande vecchio”

Che Quarantottodalle Alpi a Roma

Servizi segreti, falsari,mercenari: da Martonea Eco, a De Cataldo,si riscrive il passatoper parlare dell’oggi

Si vuol smontarela retorica di martirie monumenti: eppure fuanche così che si plasmòun sentimento comune

«Scena delle Cinque giornate di Milano» di Anonimo, 1848-49

«Sublime madrenostra», un saggioserio e documentatoperò poco convincente,tutto da discutere

Un manifesto anonimo del 1944

GIOVANNI DE LUNA

Maria Pia Ammirati

Scrittori italianiIITuttolibri

SABATO 8 GENNAIO 2011LA STAMPA III

Cinzia Tani

150O

Libri d’ItaliaVerso il 2011

Page 3: Tuttolibri n. 1747 (08-01-2011)

Pagina Fisica: LASTAMPA - NAZIONALE - III - 08/01/11 - Pag. Logica: LASTAMPA/TUTTOLIBRI/02 - Autore: MARGAL - Ora di stampa: 07/01/11 18.52

L’idea di nazione Un’altra tappa dell’analisi di Banti che insistesulla matrice di «sangue e suolo», comune a camicie rosse e nere

SERGIOPENT

Se Alessandro Marifosse lo pseudonimo dietro cuisi cela una squadra di autorisul genere dei Wu Ming, Trop-po umana speranza sarebbe co-munque un superbo romanzo.Ma visto che Mari risulta esse-re un trentenne di Busto Arsi-zio al suo esordio assoluto, que-sto non è solo un grande ro-manzo, è un'impresa. A un cer-to punto del suo sterminatotracciato l'autore cita Dickens:«Lui, ciò che descrive, te lo la-scia dentro gli occhi». Ed è pro-prio questo che accade al letto-re. In mancanza di aggettiviadeguati - avvolgente, trasci-nante, epico, dilagante sono al-cuni di quelli «usabili» - occor-re capire da dove sia partitaquesta volontà di raccontareuna piccola scaglia di storia ita-liana con lo stile e il linguaggiodi un classico: uno che conosce

a fondo gli sviluppi del granderomanzo tra Otto e Novecento,ma che della modernità si ser-ve per cesellare un percorso diluce e di voci - anche minime -attraverso i meandri delle ipo-tesi e delle certezze storiche.

La cura del dettaglio è ma-niacale, ma nel senso di volerperfezionare ogni atto, ogni so-spiro, ad uso di un ipotetico let-tore che non disponga di mezziaudiovisivi per conoscere ilmondo. I personaggi e le loropassioni scorrono sulla paginacome un fiume in piena che af-ferra, trascina, travolge, in unviaggio al cui termine ti rendiconto che potrebbe continua-re all'infinito, e senza forzatu-re. Ed è una gran bella impres-sione d'amore.

Ma cos'è, dunque, questoromanzo che dovrebbe - ci au-guriamo - sconvolgere la sta-gione letteraria in arrivo met-tendo al palo tutto ciò che or-mai spacciano per opera d'ar-te assoluta, dal bestseller an-nunciato alla narrativa daipermercato?

Troppo umana speranza è ir-raccontabile nel suo intricatoviaggio lungo una decina di an-ni, che si conclude in un 1848aperto a speranze patrie anco-ra irrisolte, con un Garibaldiprossimo a diventare l'uomodella provvidenza unificante.Ma i personaggi che seguiamosono addirittura quattro e le lo-ro vicissitudini si ricongiungo-no - anche solo in parte - in ungioco di eventi che sfiora tutti itoni del romanzo epico: il «me-namerda» Colombino, adotta-to dal prete di campagna DonSante, che dalla pianura pada-na nebbiosa e contadina di Sac-conago parte - con il fido muloAstolfo - per chiedere al Papa ilconsenso di sposare la contadi-notta Vittorina, in un viaggioche è un'odissea di incontri e didisastri: la bella Leda, orfanaabusata ed educata al mestiere

di spia, con il compito di segnala-re le mosse londinesi di un peri-coloso «ribelle» di nome Giusep-pe Mazzini; il trafficone Lisan-der, che in una Milano in fermen-to intuisce il mestiere del fotore-porter, anche se sfrutta il latocommerciale più bieco della foto-grafia smerciando le sue eccitan-ti «callopornie»; e infine Lui, Jo-sé, capitano e colonnello in unSudamerica in rivolta, lui cheama Aninha e ne fa misura di vi-ta, e torna in Italia per cercarenuove imprese, e noi sappiamoche le troverà e dovremmo ren-dergliene merito ogni giorno.

Ecco, questi quattro roman-zi sono il romanzo che diventapiano piano, a passi perfetti,Troppo umana speranza. Sceneepocali ed esperienze sotterra-nee come quelle del villano Co-lombino confluiscono in un pro-getto narrativo che racconta, infondo, il percorso di tutte le spe-ranze dell'umanità: dal viaggiod'amore di Colombino a quellodi redenzione di Leda, dal viag-gio nella modernità di Lisandera quello verso la pace e la salvez-za d'Italia di Garibaldi, il tuttogestito con una maestria narra-tiva senza tempo, che tuttavia ri-chiede il suo tempo di lettura,ma ti ripaga con una sensazionedavvero unica di ricchezza emo-tiva, di ammirazione totale.

Il percorso si snoda come ungraduale passaggio di consegneindividuali alla grande Storia,

violando le regole dell'immobili-smo popolare attraverso i nobilifermenti di personaggi che sfio-rano la modernità, ma che perraggiungerla devono subire iconfronti con lo stato delle cose,con i pregiudizi, con la volontà digarantire al futuro le stesse in-certezze del passato.

Nelle loro timide o eroichemosse verso la speranza, i perso-naggi di Mari aprono il passo aun altro futuro, a un Novecentoche magari sarà addirittura trop-

po veloce per loro, ma alla cui riu-scita avranno contribuito con i lo-ro sacrifici e il loro genuino entu-siasmo. Figure assordanti, che ri-mangono a galla nella memoriadi una lettura lenta e generosa. Ecerti affreschi verbali dedicati alfurioso amore di Anita e Giusep-pe sono destinati, crediamo, a di-ventare un punto di riferimentoassolutonelle pagine della nostranarrativa. Anita sarebbe conten-ta di essere vissuta e morta in unmodo così giusto, limpido, visce-rale e leggendario. Un grande ro-manzo,davvero, che rende onorealla letteratura contemporanea,non solo italiana.

Ma il Risorgimentonon diventò fascista

ANGELOD’ORSI

Dopo Nel nome dell’Ita-lia, lo storico Alberto MariaBanti propone Sublime madrenostra. La nazione italiana dalRisorgimento al fascismo, sem-pre facendo amplissimo ricor-so a narrazioni, linguaggi,strutture discorsive, meccani-smi comunicativi: un libro se-rio e documentato, e affasci-nante, come tutti i lavori del-l’autore, anche se, a mio avviso,meno convincente di altri pre-cedenti. Un libro che suscitamolte perplessità. E ciò al di làdel linguistic turn, la «svolta lin-guistica» del postmodernismostoriografico di cui Banti è unodegli esponenti italiani, e versocui, personalmente, sono piut-tosto critico. Ma non è questo ilpunto, e il libro comunque me-rita di esser letto e, soprattut-to, di essere discusso, specieove si consideri che esso si inse-risce, anche al di là delle inten-zioni dell’autore, nella diffusis-sima polemica antirisorgimen-tistica, che Banti declina neitermini di uno smontaggio del-le narrazioni retoriche dell’epo-pea risorgimentale e di quellesuccessive, «nazional-patriotti-che» (come le chiama) o addi-rittura - qui è il punto più dolen-te della posizione di Banti - na-zionalfasciste.

Secondo l'autore, infatti, ildiscorso nazionale rimane so-stanzialmente il medesimo,nella sua conformazione, lun-go i decenni, che vanno dal mo-to unitario al fascismo. E ciòperché, essenzialmente, la con-cezione della nazione rimanela stessa. Ci saranno cambia-menti, ammette Banti, ma sitratta più che altro di adatta-menti ai diversi contesti politi-ci, sociali, culturali; e anche semutano, anche radicalmente,gli obiettivi politici perseguiti,la struttura del discorso nazio-nale non cambia.

«E allora?», verrebbe da di-re a uno storico «tradizionale»,che pretende cocciutamente diricostruire fatti e pensieri, at-tento, naturalmente, alle moda-lità espressive di quei pensieri,alle forme della comunicazio-ne, ai linguaggi, ma che da que-sti elementi non intende la-sciarsi trasportare, finendoper giudicare più importante il«come si dice» rispetto a «quelche si dice», per far prevalere ilsignificante sul significato, perdirla in termini semiologici.

Quanto al Risorgimento, inrealtà nel libro rappresentapiù che altro la materia dellacostruzione retorica che daidecenni anteriori all'Unitàgiunge al 1945. Sfilano, in un'analisi sempre raffinata, auto-ri che abbiamo tutti letto inge-nuamente a scuola, spesso im-parando a memoria, da Ber-chet a Manzoni, da Pascoli a

De Amicis; è vero, i loro testi ser-vivano anche a costruire una re-torica nazionale, ma non è inevi-tabile nello sforzo di edificazionedi un nuovo Stato? Anche la re-torica, insomma, ha una funzio-ne, che può essere positiva, in da-ti momenti storici. Poesie, rac-conti (grande posto ha natural-mente nel percorso il deamicisia-no Cuore: ma siamo certi che siatutto da sbeffeggiare? E chequei buoni sentimenti siano tuttioggi da rovesciare?), i monu-menti (la «monumentomania»dell'Italia liberale, che produssee piazzò statue degli eroi del Ri-sorgimento un po’ dappertutto),le cerimonie, i discorsi pubblici,il primo cinematografo…

Il discorso pubblico «na-zionalpatriottico» usò una seriedi figure, di elementi retorici, diargomenti reiterati, capaci di col-pire l'immaginazione, dunquemiti, che seppero costruire unsenso comune in larga fetta dellapopolazione, anche quella menoadusa alla lettura, o a frequenta-re teatri o cinematografi. In real-tà gran parte di quel discorso sisvolgeva nelle pubbliche vie, nel-le piazze, sia collocandovi monu-menti, sia celebrando ricorren-ze, sia attraverso cerimonie a ca-rattere liturgico: era la liturgiadella nazione, che reclamava isuoi martiri, i suoi santi (si pensialla figura di Garibaldi, santoanomalo, ma da tutti riconosciu-to e adorato), che onorava il san-gue versato, i sacrifici patiti, il do-lore, la sofferenza, tutti elementicapaci di essere il cemento del-l’edificionazionale.

Abbiamo per decenni ancoranel secondo dopoguerra frequen-tato un martirologio nazionale,dove i santi erano tanto gli eroidi prima fila, a cominciare daMazzini e Garibaldi (con annes-sa Anita, eroicizzata molto pertempo), quanto i letterati cheavevano espiato con la duraesperienza della prigionia il loro«amore per l'Italia» (come si di-ceva), da Silvio Pellico a Luigi

Settembrini; ma anche gli eroiper caso, gli eroi e martiri di se-condo rango, tanto più degni dimemoria: eppure, chi ricorda og-gi un nome quale, per citarne sol-tanto uno, Amatore Sciesa, ilmazziniano che non esitò a subi-re il patibolo per non tradire isuoi compagni e cui si attribui-sce il fatidico «Tiremm innanz»?E l'oblio in cui sono caduti, siamosicuri che sia un dato positivo?

Insistere sugli elementi di

sangue e suolo, ossia naturalisti-ci, invece che spirituali, della con-cezione della nazione risorgi-mentale, e ritrovarla nel fasci-smo, passando per il tramite diun D’Annunzio (indimenticatoautore di micidiali performanceoratorie, dallo scoglio di Quartonel 1915 alle piazze di Fiume nel1919-20), pare operazione nondel tutto condivisibile.

Ritengo, al contrario di Banti,che esistano due nazionalismipiuttosto distinti e distanti, an-che se temporalmente vicini:quello risorgimentale, che daipreludi post Rivoluzione france-se va fino all'Italia liberale, e quel-lo imperialistico, fra tardo Otto-cento e Grande Guerra, che poiassumerà il volto più truce, e in-

sieme grottesco, del mussolini-smo. Il grande spartiacque fu laguerra del 1914, che per l'Italia fu«la guerra del ’15-18». Là si ebbela scomparsa di quanto rimane-va del nazionalismo patriottico,e il sopravvento definitivo diquello aggressivo, imperialisti-co. Furono un gruppo di ideologi- pochi, ma attivissimi, che sichiamavano Enrico Corradini,Alfredo Rocco, Francesco Cop-pola, e qualcun altro (e stupisceche nella ricca ricognizione diBanti siano trascurati) - a immet-tere nuovi contenuti nel bagagliodella nazione e a fare cambiaredi segno il discorso nazionalisti-co, anche se le retoriche poteva-no essere, fino a un certo punto,le stesse o comunque analoghe.

Il fatto che il fascismo si siaimpadronito del Risorgimento, esi sia sovente presentato come ilsuo compimento e inveramento(tale l'opinione di Giovanni Genti-le, ad esempio), non ci può indur-re a gettar via il bambino conl'acqua sporca. Addirittura rite-nere che le leggi razziali del ’38 si-ano nella loro essenza una ripre-sa di elementi presenti nella legi-slazione e nel discorso pubblicopost-risorgimentale è operazio-ne ad alto rischio. Il sangue e ilsuolo, specie il sangue, e quindil'attenzione alla sessualità ripro-duttiva, sarebbero il filo condut-tore. La nazione fascista, con ilsuo corredo razzista, «irrigidi-sce ed estremizza» gli elementidel discorso «nazional-patriotti-co» originario. Se così fosse, in-somma, dovremmo giungere achiederci: i padri della patriahanno gettato le basi della perse-cuzione antisemita?

La mia risposta è: assoluta-mente, no. Così come alla doman-da: il Risorgimento, e la sua cele-brazione, hanno offerto la matri-ce fondamentale al fascismo perla sua costruzione ideologica edunque per le sue pratiche effe-rate? La risposta è altrettanto vi-gorosamente: no.

Insomma, mi dispiace per lastoriografia postmoderna, e peril lavoro che compie, di raffinatalettura di testi. Ma, oltre a nonraggiungere risultati persuasivisul piano della conoscenza, essafinisce per avvicinarsi alle tantepolemiche antirisorgimentisti-che che pullulano tra editori e ra-duni. Lo smontaggio delle retori-che discorsive è operazione inte-ressante, benché non sempre co-sì utile. Quando poi finisce percoincidere con la costruzione diretoriche dell’antiretorica risul-ta ancora più discutibile. E, mi silasci dire, in certo senso, altret-tanto pericolosa, forse anchepiù, della retorica di Carlo Aze-glio Ciampi (a cui Banti dedica leaspre pagine conclusive), cheavrebbe lavorato per il ricuperodel «blocco discorsivo propriodel nazionalismo classico, comesi è formato tra Risorgimento efascismo». Che Ciampi abbia esa-gerato con la retorica patriotti-ca, pure con qualche svarionestorico, è pacifico; ma essa nonrinvia certo al duce, bensì a quei«ragazzi» del Risorgimento (edel «nuovo Risorgimento» che fula Resistenza) ai quali, da cittadi-ni prima che da studiosi, dobbia-mo rispetto e riconoscenza.

T raditori, cospiratori,terroristi, spie, delato-ri….. Romanzi avvincen-

ti come quello di Giancarlo DeCataldo (I traditori), ma an-che Il cimitero di Praga diUmberto Eco, un film (e la rela-tiva sceneggiatura pubblicatada Bompiani) come lo straordi-nario Noi credevamo di Ma-rio Martone, saggi storici inec-

cepibili (Londra dei cospirato-ri, di Enrico Verdecchia, I pic-coli cospiratori di AriannaArisi Rota), hanno segnato laprima fase del dibattito pubbli-co sul Risorgimento innescatodall'avvicinarsi del 150˚ anni-versario dell'Unità d'Italia,tutti privilegiandone il latooscuro. Con il 2011 ci sarà un'altra valanga di titoli, ma il ta-glio si annuncia diverso, oscil-

lando tra il libretto celebrativodi occasione e una più ponderatariflessione storiografica.

Resta questo inizio, affollatodi servizi segreti, falsari come ilSaturnino di Eco, voltagabbanacome il Gallenga di Martone,mercenari e visionari, patrioti edoppiogiochisti… Può essere unamoda, legata al vezzo giornalisti-co di inseguire le nuove rivelazio-ni, l'inedito, il disvelamento deimisteri? Può essere che abbia in-fluito quella sorta di «processoal Risorgimento» avviato in unafase in cui - per la prima voltanella nostra storia - al governoc'è una forza politica come la Le-

ga, che esplicitamente nega ognitipo di legittimazione alla costru-zione dello Stato nazionale?

Non è solo questo. Nel 1961,in occasione del «centenario»tutto era molto chiaro. Mentregli storici accademici si interro-gavano sulle loro diverse inter-pretazioni (e al centro del dibat-tito ci fu la «questione meridio-nale»), i media si assunsero ilcompito di costruire un'immagi-ne edificante del nostro passato(in quell'anno alla televisioneandarono in onda Le giornatedel riscatto: album del Risorgi-mento, I Mille, L'impresa deiMille illustrata ai ragazzi, La

tragedia di Belfiore). Adesso lasituazione è molto diversa.

In mezzo ci sono stati gli An-ni 70 del Novecento. Troppi mi-steri di allora non sono mai statirisolti, troppo forte è stata la de-lusione verso uno Stato che hanegato ogni forma di verità e digiustizia nei confronti delle stra-gi che insanguinarono quel de-cennio. Mentre per il terrorismodelle Brigate Rosse e di Prima Li-nea si è comunque arrivati a unaverità giudiziaria certificata dauna sentenza, su Piazza Fonta-na, su Piazza della Loggia, suBologna, su Ustica, si annida an-cora la plumbea reticenza dei

servizi segreti, l'ombra dei depi-staggi, una soffocante cappa dicomplotti e di intrighi.

Nasce allora - come reazionecivile e culturale - una forte spin-ta a leggere la nostra storia co-me una ininterrotta sequenza diepisodi oscuri, tenuti insieme dal-la capacità del Potere di inquina-re e corrompere. Così la leggen-da del «grande vecchio» degliAnni 70 viene retrodata fino aCrispi, il retroterra «misterioso»che si annida dietro la sfolgoran-

te impresa dei Mille rimbalzanello scenario criminale dellabanda della Magliana. I film, iromanzi, i saggi di oggi sembra-no insomma parlarci più del no-stro presente che del nostro pas-sato e ci obbligano a confrontar-ci con i guasti di una democraziain cui la trasparenza, il ruolo «vi-sibile» delle istituzioni sembranocome sommersi da una strari-pante presenza dell'«invisibile».

IL CALCIATORE DI GIULIANO PAVONE

L’eroe dei due mari= «Quando vide quella distesa blu cobalto sotto di sé,venti metri più in basso, Filippo Panìco si spaventò perdavvero». Giuliano Pavone esordisce nella narrativa conL’eroe dei due mondi (Marsilio, pp. 302, € 17).«Miracolo a Taranto», potrebbe essere il sottotitolo diquesta acuminata commedia italiana. Comeprotagonista un campione, un attaccante brasilianodell’Inter, che per grazia ricevuta gioca un anno,gratuitamente, nella locale squadra di calcio. Intorno albomber, fiorisce una svariata umanità, tra corruzione,disoccupazione, misteri, abbracci generosi.

L a tavola, o il caffè, sono sem-pre stati i luoghi della paro-la, dove si sono rotte o ag-

giustate le cose: discusso animata-mente, trovato un accordo, apertelacerazioni. Però di solito il man-giare o il bere insieme ha indotto afraternizzare, a confrontarsi, maper trovare un punto d'incontro.

Carlo Dossi, nelle Note azzur-re (num. 4589) racconta: «Ai tem-pi di Cattaneo fu fatta la pace traclassici e romantici e per celebrarlasi bandì un gran banchetto in cuiintervennero i caporioni delle duescuole, e in cui i piatti alternavansinei due stili. - Dopo un gigot classi-co veniva p. es. una mondeghigliaromantica, dopo una semplice slep-pa di manzo classico un pasticciodi Strasburgo romantico, dopo unsorbetto di pura crema classico, unsorbetto punch romantico».

Incontrarsi al caffè ha significa-to condividere col luogo anche ideee interessi. Anche oggi al caffè nonsi va semplicemente per sorbire unaperitivo da soli, ma per berlo insie-me. Solitudine e silenzio non s'addi-cono a quel luogo. Al caffè il temposcorre conversando: è sempre statoil luogo della parola (così come lataverna era il luogo del chiasso fe-stoso e della trasgressione linguisti-ca, dove le parole e il vino, dicevaManzoni parlando di Renzo alla«Luna piena», scorrevano «senzamisura né regola»), il luogo delladiscussione, della ragione, dei rego-lari contrapposto agli irregolaridell'osteria. In questo luogo d'in-contro, annotavano i fratelli Verrifondatori della celebre rivista sette-centesca Il Caffè, ci si scambianoidee, si trovano i giornali, «in essabottega, chi vuol leggere, trova sem-pre i fogli di Novelle Politiche»,trova «il Giornale Enciclopedico,e l'Estratto della Letteratura Eu-ropea, e simili buone raccolte diNovelle interessanti, le quali fannoche gli uomini che in prima eranoRomani, Fiorentini, Genovesi, oLombardi, ora sieno tutti presso apoco Europei».

George Steiner ha scritto chel'unità europea si è fondata nei caf-fè metropolitani, in questi ambienticosmopoliti, caldi di legni e di stuc-chi e di specchi. Così come hannocontribuito a unire (o a dividere)l'Italia. Nel periodo rivoluzionarioa Torino i giacobini si trovavano al-la Taverna della Giamaica, alCaffè 'd Catlina o al Marsiglia.Roberto D'Azeglio, l'8 febbraio1848, al caffè Nazionale di Torinoaveva letto agli amici, prima dell'affissione in pubblico, il proclamadi Carlo Alberto. In città c'eranocaffè frequentati dai conservatori,altri soltanto dagli innovatori. Illu-minismo, Romanticismo, Risorgi-mento, Futurismo e Avanguardiehanno trovato nei caffè italiani diun tempo il luogo in cui discutereed elaborare le idee. I macchiaioli,artisti e patrioti, si sono sempre in-contrati al Michelangiolo di Firen-ze, in via Larga, ora via Cavour.

LA DANZATRICE DI CINZIA TANI

A tempo di charleston= In Charleston (Mondadori, pp. 359, € 19,50) CinziaTani narra il lungo avventuroso viaggio di Claire alla ricerca diStella,la sua enigmatica maestra di danza che crede di averferita sparando nel bosco a un uccello dalle piume gialle. Lagiovane donna attraversa l'Europa fino ad approdare aDamasco, munita solo di un diario nel quale si svela ladanzatrice, impermeabile alla corresponsione degli affetti inun mondo che desidera ingurgitarla graffiandone la freddaindipendenza. Ma è proprio questa sua freddezza ad attrarregli uomini e a renderli vittime del suo charme di femmefatale. E in ciò risiede il fascino sottile del romanzo. [M.P.]

IVAN COTRONEO, CONTRO L’OMOFOBIA

Un bacio impossibile= «C’era la neve quel giorno, questo me lo ricordo.Era dietro i finestrini dell’automobile...». E’ un gridocontro l’omofobia Un bacio, il veloce, tragico raccontodi Ivan Cotroneo, scrittore e sceneggiatore, perBompiani (pp. 91, € 9,50). Tre voci per una tragedia.Due adolescenti. Un’insegnante. Una cittadina diprovincia. Un colpo di pistola sparato alla tempia inun’aula scolastica. Eco di un episodio accaduto in unliceo californiano nel 2008, quando Larry venne uccisoda un suo compagno, Brandon, che Larry avevacorteggiato nei giorni precedenti.

LA DONNA IN NERO DI BEPPE LOPEZ

Il ritorno di Capatosta= Dieci anni dopo, riappare un ritratto violentementeumano del Sud, Capatosta, l’opera prima di Beppe Lopez(Besa, pp. 279, € 19). Un formidabile ritratto di donna,quale si delinea a Capitanata, nel Barese. Concepita primadell’ultima guerra, nata in una famiglia miserrima,rifiutata dalla madre che la vestirà sempre di nero, insegno di lutto per la morte del marito, riuscirà asopravvivere grazie a un carattere che si farà via viasempre più duro. Fino a meritare il soprannome diCapatosta. Una storia scritta in una lingua fortementesimbolica, una miscela di italiano e pugliese.

Alessandro Mari

Esordio Un folgorante viaggio nell’Italiapre-unitaria con il trentenne Alessandro Mari

PAROLEIN CORSO

GIAN LUIGI BECCARIA

Al Caffèci si fa

europei

pp Alberto Bantip SUBLIME MADRE NOSTRA

La nazione italianadal Risorgimento al fascismop Laterza, pp.208, € 18

CATERINA CAVINA, FRA NEBBIE E DELITTI

C’è una Merla nella Bassa= «Solo vaghe nebbie e molta pioggia: la stagioneche amavo di più...». Delitti e altri delitti, nella Bassaemiliana. Chi è quella ragazzina assassinata nei giornipiù freddi dell’anno? Perché nessuno - e si è già inprimavera - si è preoccupato di sottrarla alla palude? LaMerla (B.C. Dalai editore, pp. 157, € 16,50) è il secondoromanzo di Caterina Cavina , originaria di Castel SanPietro, nel Bolognese. La protagonista scompare eriappare, protetta da una suora strana e da uncarabiniere. I cadaveri con lei si «aprono». Quale migliormestiere del giornalista di nera?

«SETU FOSSI QUI» DI DI MARIA PIA AMMIRATI

Una moglie sconosciuta= Ma chi era mia moglie? E’ l’indagine post mortemcondotta da Matteo, il fil rouge, sentimentale e atroceinsieme, che cuce il nuovo romanzo di Maria PiaAmmirati, dirigente televisiva, oltre che scrittrice egiornalista: Se tu fossi qui (Cairo, pp. 157, € 12).Scoprire, a poco a poco, inesorabilmente, che di lei non sisa nulla, che altro era il suo mondo, che forse nascondevauna seconda vita, forse una malattia, forse un pensierointraducibile. Una lunga, impavida meditazione, allascoperta di sé e di lei: «Se tu fossi qui amore mio, se tufossi ancora qui / oggi finalmente saprei cosa dirti».

In «Troppo umanasperanza», un’odisseadi incontri, tra popoloed eroi, Mazzinie Garibaldi con Anita

Non si distingue franazionalismo patriotticoe imperialistico:lo spartiacque fula guerra del 1915-18

Un grande romanzo,epico e travolgente,un mosaico di 4 storiefuse con maestriae gran cura dei dettagli

pp Alessandro Marip TROPPO UMANA SPERANZAp Feltrinelli, pp. 764, €18p in libreria dal 12 gennaiop Alessandro Mari è nato nel

1980 a Busto Arsizio. Si è laurea-to con una tesi su Thomas Pyn-chon; si è diplomato alla ScuolaHolden di Baricco. Lavora nel-l’editoria come lettore, tradutto-re e ghostwriter

Alberto Banti

I misteri irrisoltidegli Anni 70 spingonoa leggere la nostra storiacome una sequenzadi episodi oscuri

Dibattito

Sbaglia chi cercain Crispiil “grande vecchio”

Che Quarantottodalle Alpi a Roma

Servizi segreti, falsari,mercenari: da Martonea Eco, a De Cataldo,si riscrive il passatoper parlare dell’oggi

Si vuol smontarela retorica di martirie monumenti: eppure fuanche così che si plasmòun sentimento comune

«Scena delle Cinque giornate di Milano» di Anonimo, 1848-49

«Sublime madrenostra», un saggioserio e documentatoperò poco convincente,tutto da discutere

Un manifesto anonimo del 1944

GIOVANNI DE LUNA

Maria Pia Ammirati

Scrittori italianiIITuttolibri

SABATO 8 GENNAIO 2011LA STAMPA III

Cinzia Tani

150O

Libri d’ItaliaVerso il 2011

Page 4: Tuttolibri n. 1747 (08-01-2011)

Pagina Fisica: LASTAMPA - NAZIONALE - IV - 08/01/11 - Pag. Logica: LASTAMPA/TUTTOLIBRI/04 - Autore: MARGAL - Ora di stampa: 07/01/11 18.52

GIORGIAGRILLI

C'è una distinzione con-venzionale nella letteratura chela divide in fiction e non fiction.Storie di invenzione da un lato eresoconti di fatti o teorie scienti-fiche dall'altro. E, tra i lettori, c'èchi sceglie i romanzi e chi prefe-risce i saggi. O chi legge entram-be le cose ma in momenti e con fi-ni distinti: sognare o accrescerele proprie conoscenze. A voltecapita però di incontrare autori,rari e preziosi, che sfuggono allapossibilità di catalogarli entrol'uno o l'altro ambito, che com-pongono opere che stanno nelmezzo e conciliano scienza e ar-te, immaginazionee dati di fatto,approfondimento dell'animoumano e studio dei fenomeni delmondo. Che vedono queste cosecome parte dello stesso comples-so discorso e le mescolano per-ché si illuminino vicendevolmen-te. Intrecciati con maestria, i fe-nomeni del mondo esterno e

quelli del mondo umano anchepiù intimo e profondo possonoprendere un diverso, nuovo,straordinariosignificato.

Edward O. Wilson, oggi ot-tantunenne scienziato e profes-sore americano, tra i più famosientomologi al mondo e forse ilpiù grande esperto di formichemai esistito, è uno di questi auto-ri. Già vincitore due volte delPremio Pulitzer per opere dinon fiction, ha scritto un roman-zo intitolato Anthill. Anthill è ilformicaio, e le formiche sonostraordinarie protagoniste diquasi la metà del libro, insiemea un ragazzino che cresce in unaregione ancora selvaggia dell'Alabama e diventa grande cer-cando un modo per difendere

l'ambiente naturale ricco di biodi-versità in cui ha trascorso la pro-pria infanzia. La regione del Noko-bee, con le sue foreste di pini, ilglorioso sottobosco, gli acquitrini,i coccodrilli, i serpenti, gli scoiat-toli, le rane, le numerose specie diuccelli e le sue attivissime formi-che non è sfondo ma personaggioprincipale del libro.

E' rifugio segreto per Raff chefin da piccolo vi trascorre le suegiornate e impara a osservarlo econoscerlo a menadito, è spazionon frequentato dalla gente e quin-di ideale per gli outsider comeFrogman, che chiama i coccodrilliper nome, è luogo incontaminatoche ha qualcosa, per il giovane pro-tagonista, dell'isola-che-non-c'è diPeter Pan. Un'isola che va salva-guardata perché unica, perché ric-ca di una sua vita non umana di-screta e complessissima, perchédiversa dal mondo fortemente an-tropizzato che sta informando disé tutto il pianeta. E perché è l'iso-la della propria infanzia, di quell'epoca gloriosa in cui il cosmo intutte le sue forme meraviglia e in-teressa ancora, attrae a sé e ci fasentire parte di qualcosa di benpiù grande del contesto sociale incui dovremoinserirci crescendo.

Il Raff adulto - che va in ufficiotutti i giorni, in palestra tre voltela settimana e al poligono di tiroper distrarsi la sera - ha qualcosadi inesorabile che dobbiamo ac-cettare ma che stringe il cuore.Eppure, anche con un'esistenza

superficialmente più banale ri-spetto a quella in cui, bambino,esplorava la foresta, osservava iformicai e si misurava coi morsidi serpente, Raff non abbandonaquella che diviene per lui una mis-sione: salvare le terre selvaggedel Nokobee. Studierà legge perpoter escogitare dall'interno delsistema modi astuti e sottili perconciliare gli interessi dei privaticon la salvaguardia dell'ambien-te, che è ricchezza per tutti.

La parte centrale dell'opera,strepitosa ed unica nel suo gene-re, è una specie di romanzo nel ro-manzo e riguarda, appunto, le for-miche. Coincide, nella finzione dellibro, con la tesi presentata daRaff al College, dove un bravo pro-fessore, resosi conto della compe-tenza del ragazzo in termini di os-servazione entomologica, gli sug-gerisce di approfondire le ricer-che sul campo. Intitolato «Le cro-nache del formicaio», è il resocon-to epico dell'ascesa e caduta di di-versi gruppi di formiche che tra

loro combattono e si succedono, iltutto narrato in termini ad untempo accademici ed omerici,cioè scientificamente precisi maanche del tutto appassionanti ecapaci di tenere col fiato sospesochi non conosca a fondo le dinami-che etologiche e le meraviglie bio-logiche di questa specie.

Di queste formiche, così mera-vigliosamente narrate, nonchédei loro destini, ci entusiasmia-mo, ci interessiamo, e leggendoWilson (come leggendo la Anto-nia Byatt di Angeli e insetti, in cuiveniamo intrattenuti con straordi-naria competenza su api, farfallee formiche) scopriamo qualcosache riguarda nello specifico gli in-setti, ma in fondo, sorprendente-mente, anche gli uomini.

Müller Il maggior drammaturgo tedescodopo Brecht racconta le aberrazionidel potere nella Germania comunista

ANGELOZ. GATTI

In attesa di 1Q84, ilpoderoso romanzo di Mu-rakami Haruki uscito in Giap-pone nel 2009 con grandesuccesso, l'Einaudi, a sorpre-sa, ha mandato in libreria Isalici ciechi e la donna addor-mentata, un'antologia di ven-tiquattro racconti tradotticon la consueta padronanzae attenzione da AntoniettaPastore. I più lontani risalgo-no ai primi anni Ottanta, i piùrecenti sono del 2005. Unadelizia per gli ammiratori eun'occasione da sfruttareper chi non conosce lo scritto-re giapponese. Ritmo e musi-calità nella narrazione. Di-mensioni altre, sottosuoli emondi paralleli. Entità evane-scenti di cui si percepisconole tenebrose presenze checreano disagio; alcune si ma-terializzano in gigantescheonde anomale che provocanomorte e distruzione o in stra-ne pietre dotate di vita che si

spostano. Scimmie che parla-no («animali» ottimo argo-mento per una tesi di laurea).Metafore ardite: in BirthdayGirl chi è l'enigmatico pro-prietario del ristorante italia-no, elegantissimo e dai candi-di capelli, che ha il potere diesaudire i desideri? E la «ziapovera» attaccata alla schie-na dell'io narrante? Misteroe morte, senso di perdita e so-litudine. E attesa.

La maggior parte dei rac-conti è in prima persona. Ipersonaggi sono universitari,ventenni che fanno lavoripart-time o giovani single incarriera che hanno intorno ai

trent'anni (solo ne Il settimo uo-mo il protagonista è un ultracin-quantenne). Con uno stile ae-reo, leggero, minimalista, quiinteso nel senso di scrupolosaprecisione nell'indicare i liquo-ri, le auto, gli abiti firmati, concontinui richiami ai dischi librifilm preferiti, e, con dialoghi ar-guti e frizzanti, si raccontanovite solo in apparenza banali. I

personaggi si trovano in fasi de-licate dell'esistenza, di fronte asvolte che li porteranno ad as-sumere mature responsabilità.

Alcuni racconti sono mini-romanzi. Quando si chiudono,lasciano spiragli aperti. Si vor-rebbe saperne di più e Muraka-mi sembra aver avvertito taleesigenza tanto da ampliare lastesura. Noto è il caso de La luc-ciola, da cui prende lo spuntoper il suo romanzo più famosoNowegian Wood nel quale il te-ma dell'amore si intrecciadrammaticamente con quellodella morte. I gatti antropofagidel 1991 è ripreso anni dopo nelromanzo La ragazza dello Sput-nik. I due testi affrontano i temidello straniamento e della vitaprovvisoria: qui è narrata lastoria di un adulterio, là una re-lazione lesbica, ma l'ambienta-zione, un' isola della Grecia, egli sviluppi che culminano nellascomparsa di uno dei protago-nisti sono molto simili.

Nel racconto La pietra a for-ma di rene il protagonistaJunpei, aspirante scrittore, dàin lettura le sue novelle allamatura amante dalla profes-sione ignota che gli dice: «Neituoi racconti c'è un'atmosferatranquilla, ma anche una fortevitalità. E pure lo stile è bello.Ma soprattutto, nella tua scrit-tura c'è equilibrio». Un ironicoautoscatto. Ah, essere amicodi Murakami Haruki e «poter-lo chiamare al telefono tutte levolte che ti gira».

STASGAWRONSKI

Quando la letteraturasembra una minestra insipida,annacquata, incapace di dareun sapore nuovo alla vita, alcu-ni scrittori diventano necessa-ri come il sale. Serve al palatouna parola in grado di riporta-re bruscamente il lettore alcentro della propria vicendaumana e di chiamarlo a un con-fronto potente con le grandiquestioni della vita. Una simileforza d’urto è senza dubbionelle storie di Flannery O’Con-nor cui è dedicato FlanneryO’Connor, il mistero e la scrittu-ra, un formidabile saggio diElena Buia Rutt - già autrice diun’intensa rilettura di Pier Vit-torio Tondelli - che ci aiuta a ri-scoprire e a maneggiare unascrittura incandescente. Unariflessione lucida sulle operedella grande narratrice delSud degli Stati Uniti che in Ita-lia è rimasta ai margini dell’at-tenzione della critica sia per ladifficoltà di classificare una let-

teratura che è «allo stesso tem-po simbolica e realistica, regio-nalista e universale, grottesca eletterale» sia per la faciloneriacon cui le è stata affibbiata l'eti-chetta di «autrice cattolica».

D’altronde la O’Connor è sta-ta una scrittrice solitaria, defila-ta, ma anche una presenza di-sturbante tanto per i cattolicibenpensanti che per i fautori del«buon senso» laico, razionale e

illuministico. Costretta da unagrave malattia ereditaria a pas-sare gli ultimi quattordici annidella vita nella sua fattoria in Ge-orgia, la O’Connor ha alimenta-to la sua ispirazione attraversoun’immersione senza sconti nel-la propria difficile quotidianità,fino al punto da considerare ilmorbo che la stava divorandouna benedizione: «Non sonomai stata altrove che malata. In

un certo senso la malattia è unluogo, più istruttivo di un lungoviaggio in Europa. La malattiaprima della morte è cosa quantomai opportuna».

L’esperienza concreta delmale è il punto di partenza dellaricognizione critica della Buiache, attraverso le storie - dal ro-manzo Il cielo è dei violenti a quelracconto estremo intitolato Laschiena di Parker - i saggi e le let-

tere della scrittrice americana,ci apre al mistero di una lettera-tura fondata su un’assoluta fi-ducia nella salvifica violenzadello scontro tra la libertà del-l’uomo e la realtà.

Allergica a ogni visione filtra-ta da astrazioni, lo sguardo dellaO’Connor si concentra «suun’esperienza cruciale, quelladella finitezza». I suoi personag-gi bizzarri, storpi e malvagi an-

cora oggi scandalizzano, diso-rientano, mettono in crisi chiun-que sia abbarbicato alle propriecertezze ideali e non si accorgache l’anormalità, la deformità ela devianza riguardano ciascu-no senza eccezioni. Un realismoradicale espresso attraverso unirritante registro grottesco chenon è «una scelta di genere, mala diretta conseguenza della vi-sione cristiana di un mondo in-taccato dal peccato».

Secondo la Buia «tutto que-sto diviene uno strumento co-noscitivo, una lente di lettura,funzionale alla forzatura dellosguardo di un lettore “di vistadebole”» e in grado, forse, di co-gliere solamente le connotazio-ni morali di quanto accade, manon l’ordito indicibile dell’esi-stenza. Una letteratura che col-pisce il lettore come uno schiaf-fo, consentendogli di «appro-fondire il proprio senso del mi-stero attraverso il contatto conla realtà, e il proprio senso del-la realtà attraverso il contattocon il mistero».

LUIGIFORTE

A un ventennio dallariunificazione tedesca la vec-chia Rdt è ormai relegata ne-gli archivi storici. Materia distudio per addetti ai lavori.Un fantasma che riemerge incerte ricorrenze per poiscomparire dal dibattito poli-tico. Le sue stesse tracce so-no piuttosto sbiadite: un po'meno nella grande provincia,a Lipsia o a Dresda, ma pres-soché indistinguibili a Berli-no risorta come una metropo-li dal profilo ipermoderno.

Quell'epoca riaffiora fraluci e ombre nel libro di Hei-ner Müller, Guerra senza bat-taglia. Una vita sotto due dit-tature (1992), che l'editoreZandonai propone ora nellabella versione di Valentina DiRosa, con un'intensa postfa-zione del poeta Durs Grün-bein. Non c'è guida più origi-nale e stimolante di Müller, ilmaggior drammaturgo tede-sco dopo Brecht, per un viag-gio in quel passato prossimoche ha cambiato il volto dell'Europa e sembra ormai lonta-no anni luce dal nostro pre-sente. In quest'autobiografiain forma di intervista egli rie-

voca non solo la propria av-ventura di scrittore, ma laproblematica identità di unPaese dilaniato da drammati-ci eventi: dal nazismo allaguerra, dalla nazione divisaalle degenerazioni di un socia-lismo sempre più illiberale.

Originario della Sassonia,dov'era nato nel 1929, eglinon apparteneva per vocazio-ne alla categoria dei dissiden-ti come il vecchio amico WolfBiermann che con le sue bal-late aveva sfidato il potere.Dal maestro Brecht il dram-maturgo apprese il gusto del-la dissimulazione non priva

di ciniche sfumature, e l'impe-rativo del compromesso pur disalvare la propria arte. In mo-menti difficili, su consiglio del-la stessa Helene Weigel, mo-glie di Brecht, non si astennedall'autocritica di fronte ai poli-tici. Poi ammise: «L'importan-te è che i miei testi vengano re-cepiti, non che io giochi a fare ilnobile cavaliere». E l'attenzio-ne non mancò, ma per moltotempo fu quella del partito, sof-focante e censoria. Dai primilavori teatrali come Lo stacano-vista all'inizio degli anni Cin-quanta o La contadina sfollata,sul tema della collettivizzazio-

ne dell'agricoltura, fino adrammi di ampio respiro stori-co come Germania morte aBerlino e ad esperimenti dinuove dialettiche teatrali(Hamletmaschine e La batta-glia), Heiner Müller fu oggettodi interpellanze, discussioni po-litiche, divieti a non finire.

Eppure nessuno più di luiera radicato nel Paese del so-cialismo reale: ne mise in sce-na sviluppo e decadenza attra-verso la geniale rivisitazionedei classici del teatro, da Sofo-cle a Brecht, con uno sviscera-to amore per Shakespeare.Parlava criticamente del pre-

sente usando le maschere delpassato. Poi i tempi cambiaro-no. E' pur vero che lo scrittoreebbe colloqui con la Stasi, lapolizia politica segreta, anchese non ne divenne il confiden-te, riuscendo a mantenere ilsuo profilo critico e ad affer-marsi col tempo come l'iconadel teatro della Rdt, collabo-rando con i maggiori palcosce-nici di Berlino Est: dal Deut-sches Theater alla Volksbüh-ne fino al tempio brechtianodel Berliner Ensemble.

Nel raccontarsi Müller scri-ve la storia della drammatur-gia della Rdt con un'idea fissa:

le aberrazioni del potere. Nonsolo quello che lo assedia edespelle dall'Unione degli scrit-tori accusandolo di essere anti-umanista e controrivoluziona-rio. Ma quello perverso e tragi-co che ha dominato nel tempoe in varie forme un grande pae-se come la Germania incapacedi una vera rivoluzione.

Gli spunti gli arrivano damolte parti e fa specie scoprireuno scrittore comunista comelui che occhieggia Nietzsche,Jünger o Carl Schmitt. Ma nonstupisce se si pensa al suo radi-calismo, all'interesse per Ar-taud e il teatro della crudeltà,alla riflessione su estetica e bar-barie che lo spinge a dire: «Perun drammaturgo una dittaturaè più vivace di una democra-zia». Müller, è noto, aveva uno

spiccato gusto per il paradosso,sintomo di una genialità a disa-gio in tempi di miseria cultura-le. Forse è vero che la patria delsocialismo attraeva in un certomodo intellettuali e artisti perla dimensione irreale della suacompagine statale. Ma a distan-za, la storia della Rdt appare all'uomo di teatro come una tragi-commedia pervasa da stupidi-tà e incompetenza e la genia deifunzionari un'accozzaglia dipersone rozze e brutali.

Tuttavia il libro, pur zeppodi dettagli per addetti ai lavo-ri, colpisce per l'intelligenza lu-cidissima e folgorante sia cheparli di Brecht e di Bob Wilsonche di pittori del calibro di DeChirico e di Beuys o di registicome Godard. Eppure quest'uomo libero e tenace scompar-so nel 1995, aveva la sensazio-ne di «non appartenere a nes-sun luogo». Strano per chi ave-va fatto del teatro la propriacasa. Ma forse inevitabile perchi come lui aveva solo la scrit-tura da contrapporre alla vio-lenza dei tempi.

O’Connor,lo schiaffodel mistero

«LA RAGAZZA DI BERLINO» DI ANNE WIAZEMSKY

Una nipote in casa Mauriac= Il dramma della guerra nella Francia occupata e lasperanza nel futuro nonostante i primi segni di Guerrafredda; l’impegno di una gioventù piena di ideali e una storiad’amore suggellata tra le macerie di Berlino dalla nascita diun figlio: La ragazza di Berlino di Anne Wiazemsky (trad. diCinzia Poli, ed. e/o, pp 188, € 17,50) potrebbe far pensare aun romanzo a tesi dai risvolti simbolici scontati. Proponeinvece una storia vera, una testimonianza di amore filiale ilcui perno è la ricerca di identità e di libertà della madredell’autrice, Claire, secondogenita di François Mauriac.Ricostruendo in forma romanzesca la tranche de vie che alla

madre fa scoprire il vero senso della vita e la sicurezza in sestessa, la figlia risale alle proprie origini aggiungendo untassello agli Hymnes à l’amour con cui nel 1996 avevaraccontato il rapporto di coppia dei genitori soffermandosisul padre. Attrice in film di Bresson, Pasolini e Godard che larese celebre con La chinoise, scrittrice pluripremiata, qui laWiazemsky utilizza le lettere alla famiglia e il diario dellamadre, relativi al 1944-1947, alternandoli abilmente a unanarrazione asciutta e documentata in cui si avvertono ancheprestiti da film come Germania anno zero di Rossellini.A suscitare interesse ed emozione, più della storia amorosasono proprio il clima e gli scenari della quotidianità dirapporti familiari ed esperienze umane, vita e morte, vincitorie vinti, in cui matura il processo di formazione della

protagonista. Poco considerata in famiglia e intimidita dalpadre così preso dai suoi impegni da averla quasi«dimenticata», Claire si misura con gli orrori della guerra per«sentirsi esistere» e poi agli agi familiari di Parigi preferisce idisagi e il fermento di solidarietà internazionale nella Berlinodistrutta e affamata dove sarà ancora utile.Che contro le perplessità familiari scelga con fermezzaIvan Wiazemsky, un non lettore ignaro della grandezza diMauriac ma l’unico a riconoscere le sue qualità, nonstupisce. Quel giovane pieno di talento e con pochi mezzi,figlio di immigrati russi durante la rivoluzione è il principeazzurro. E che non lo fosse solo in senso metaforicorassicurò l’illustre genitore. Paola Dècina Lombardi

Ritratto La scrittrice americanache deve alla malattia l’ispirazione A fine anno tutti sparano i

botti: da Le Carrè aGrisham, da Follett a

Connelly. E agli altri fantasma-gorici fuochi d’artificio che lecase editrici si sono tenuti na-scosti in tasca per infiocchetta-re le feste col meglio delle lorofirme. Il re è però non è tra que-sti. E’ un autore non troppo no-to, di pregio ma non di vastoconsumo: si tratta di R.J. El-lory, con la sua Vendetta(trad. di Simona Fefè, Giano,pp. 574, €20), un grande thril-ler mafioso che si dipana attra-verso mezzo secolo di storia, in-sinuandosi in tutti i misteri del-le grandi «famiglie» e della poli-tica, da Lucky Luciano ai Gam-bino, dai Kennedy a Castro.

Ma la sua non è un’epopeaalla Puzo: è la Cosa Nostra deimanovali che, all’ombra deiboss, si ritagliano squallidi spa-zi di vita e di potere compiendogli omicidi più efferati e i tradi-menti più biechi, al servizio diinconfessabili intrecci tra classidirigenti e denaro sordido di

sangue. Al centro del quadro duefigure imponenti, entrambe cre-sciute tra i bajou e le marcite diuna New Orleans plumbea e disu-mana, entrambe tornate a casaper giocare la partita fondamen-tale della loro esistenza: ErnestoPerez, il killer di origine cubanadiventato, nonostante le origininon italiane, il vero «picciotto» difiducia; e Ray Hartmann, l’inve-

stigatore speciale che ha passatola sua vita a dare la caccia ai clane che, per questo, ha un matrimo-nio sull’orlo del precipizio.

Sullo sfondo, l’ombra inquie-tante del Governatore della Loui-siana, Charles Mason Ducane, lacui capricciosissima figlia è statarapita - la guardia del corpo tro-vata orrendamente assassinata -senza che alcuno si presenti a chie-

dere un riscatto. Fbi mobilitatain forze, sciami di agenti a fruga-re ogni pista, ogni mossa secreta-ta: tutto inutile. Improvvisamen-te però la sterzata inattesa. Erne-sto Perez si fa vivo, dichiarandosiautore dell’omicidio e del seque-stro, e offre un patto: rivelerà do-ve si trova la ragazza solo adHartmann e a condizione che luiascolti la storia della sua vita pertutto il tempo necessario a com-prendere fino in fondo perché sistia macchiando, ormai vecchio estremato, di quest’ultima sangui-naria impresa.

E la bellezza del romanzo con-siste proprio in questo: nella lun-ga impensata confessione di unuomo che si è lordato di tutto edel contrario di tutto. Un raccon-to infinito che scava nel delitto,nella vischiosa commistione trapolitica e malaffare attraversan-do le ere e le rivoluzioni. Accen-dendo la Storia di verità sepoltee dando un nuovo senso alleomissioni e agli insabbiamenti dicui solo il potere sa cibarsi contanta voracità.

Nella Rdt vain scena il teatrodella crudeltà

«I salici ciechi e la donnaaddormentata»:ventiquattro racconti,uno stile aereo,leggero, minimalista

Giovani singlein attesadi maturità

Alla scopertadi qualcosa cheriguarda gli insetti,ma in fondo, a sorpresa,anche gli uomini

Caro Edentra formichee coccodrilli

«NEL CAFFÈ DELLA GIOVENTÙ PERDUTA» DI MODIANO

Una bohème parigina= «Parigi era così bella che preferivamo viverci poveripiuttosto che ricchi in qualunque altro posto», diceva ilsituazionista Guy Debord nel film palindromo In girum imusnocte et consumimur igni da cui Patrick Modiano ha tratto iltitolo del suo lancinante romanzo Nel caffè della gioventùperduta (trad. di Irene Babboni, Einaudi, pp. 117, € 13). Lafrase completa figura in esergo: «Nel mezzo del camminodella vera vita, eravamo circondati da una malinconiaoscura, che tante parole tristi e beffarde hanno espresso, nelcaffè della gioventù perduta».Per trovare lancinante il romanzo non è necessario avere o

avere avuto Parigi nel sangue, quella di Debord che nel filmcitato è morta o quella che aleggia tra le righe di Modianocome nell’aria di Saint-Germain-des-Prés o persino quellasarkoziana che resiste alle minacce di annientamentoaggrappandosi ai suoi quais, ai suoi bistrots, alle sue lune neirigagnoli. Utile sì, certo, ma non indispensabile, perché Nelcaffè della gioventù perduta è un sogno, o comunque ne hatutte le caratteristiche.Una sorta di visione onirica al cui centro c’è una giovanedonna, soprannominata Louki, misteriosa e affascinante.C’è il Condé, un caffè nel Quartiere Latino, nei pressidell’Odéon - non andate a cercarlo, oggi non lo trovereste. Eun gruppo di artisti o supposti tali, tra cui un giovanescrittore. E individui dalle identità vaghe, che si riuniscono

vivendo una bohème persa nel tempo, un tempo checomunque non esiste più. Tutto è scomparso infatti insiemea Louki, che un giorno è svanita, scappando da se stessa.La sua storia e quella del Condé ce la raccontano in quattro:oltre alla stessa Louki, tre uomini frequentatori abituali delcaffè. A lettura conclusa, e soffiato via l’impalpabile ricordoche le cento sussurrate pagine mettono in scena, risultachiaro che le voci, compresa quella di Louki, sono tutte equattro di Modiano, insomma di colui che sogna la vicenda -o che l’ha vissuta quando era poco più che ragazzo econtinua a rincorrerla nelle vie della città. Un’erranza urbanache echeggia quella della Nadja di André Breton e che quasisi direbbe le risponda, con un libro altrettanto concentrico. Gabriella Bosco

IL GIALLOPIERO SORIA

Il detective buonoe il killer dei boss

«Vendetta» di Ellroy: mezzo secolodi mafia tra Luciano, Kennedy e Castro

pp Heiner Müllerp GUERRA SENZA BATTAGLIAp a cura di Valentina Di Rosap postfazione di Durs Grünbeinp Zandonai, pp. 370, €26

pp Edward O. Wilsonp ANTHILLp trad. di Luca Fusarip Elliot, pp. 345, €18,50

Una missione per Raf:salvare le terreselvagge del Nokobee,diventare adultirispettando l’ambiente

pp Murakami Harukip I SALICI CIECHI E LA DONNA

ADDORMENTATAp trad. di Antonietta Pastorep Einaudi, pp.376, €22

Libero e tenace,parlava criticamentedel presente usandole maschere del passato,da Sofocle a Shakespeare

«Guerra senzabattaglia»: un viaggionel passato prossimoche ha cambiatoil volto dell’Europa

Murakami Una antologia di viteprovvisorie, fra tenebre e misteri

E.O. Wilson «Anthill», il romanzodi uno fra i più famosi entomologi

Scrittori stranieriIVTuttolibri

SABATO 8 GENNAIO 2011LA STAMPA V

EdwardO. Wilson, oggi

ottantunennescienziato

e professoreamericano, è

tra i più famosientomologi almondo e forseil più grande

esperto diformiche mai

esistito. Per lesue ricerche havinto due volte

il PremioPulitzer

Una scena dal «Macbeth» di Shakespeare, in un adattamento di Müller

Heiner Müller (1929-1995) racconta vita e arte in «Guerra senza battaglia»

Patrick Modiano

pp Elena Buia Ruttp FLANNERY O’CONNOR

IL MISTERO E LA SCRITTURAp Ancora, pp. 111, € 12, 50

Anne Wiazemsky

Flannery O’ Connor

Page 5: Tuttolibri n. 1747 (08-01-2011)

Pagina Fisica: LASTAMPA - NAZIONALE - V - 08/01/11 - Pag. Logica: LASTAMPA/TUTTOLIBRI/04 - Autore: MARGAL - Ora di stampa: 07/01/11 18.52

GIORGIAGRILLI

C'è una distinzione con-venzionale nella letteratura chela divide in fiction e non fiction.Storie di invenzione da un lato eresoconti di fatti o teorie scienti-fiche dall'altro. E, tra i lettori, c'èchi sceglie i romanzi e chi prefe-risce i saggi. O chi legge entram-be le cose ma in momenti e con fi-ni distinti: sognare o accrescerele proprie conoscenze. A voltecapita però di incontrare autori,rari e preziosi, che sfuggono allapossibilità di catalogarli entrol'uno o l'altro ambito, che com-pongono opere che stanno nelmezzo e conciliano scienza e ar-te, immaginazionee dati di fatto,approfondimento dell'animoumano e studio dei fenomeni delmondo. Che vedono queste cosecome parte dello stesso comples-so discorso e le mescolano per-ché si illuminino vicendevolmen-te. Intrecciati con maestria, i fe-nomeni del mondo esterno e

quelli del mondo umano anchepiù intimo e profondo possonoprendere un diverso, nuovo,straordinariosignificato.

Edward O. Wilson, oggi ot-tantunenne scienziato e profes-sore americano, tra i più famosientomologi al mondo e forse ilpiù grande esperto di formichemai esistito, è uno di questi auto-ri. Già vincitore due volte delPremio Pulitzer per opere dinon fiction, ha scritto un roman-zo intitolato Anthill. Anthill è ilformicaio, e le formiche sonostraordinarie protagoniste diquasi la metà del libro, insiemea un ragazzino che cresce in unaregione ancora selvaggia dell'Alabama e diventa grande cer-cando un modo per difendere

l'ambiente naturale ricco di biodi-versità in cui ha trascorso la pro-pria infanzia. La regione del Noko-bee, con le sue foreste di pini, ilglorioso sottobosco, gli acquitrini,i coccodrilli, i serpenti, gli scoiat-toli, le rane, le numerose specie diuccelli e le sue attivissime formi-che non è sfondo ma personaggioprincipale del libro.

E' rifugio segreto per Raff chefin da piccolo vi trascorre le suegiornate e impara a osservarlo econoscerlo a menadito, è spazionon frequentato dalla gente e quin-di ideale per gli outsider comeFrogman, che chiama i coccodrilliper nome, è luogo incontaminatoche ha qualcosa, per il giovane pro-tagonista, dell'isola-che-non-c'è diPeter Pan. Un'isola che va salva-guardata perché unica, perché ric-ca di una sua vita non umana di-screta e complessissima, perchédiversa dal mondo fortemente an-tropizzato che sta informando disé tutto il pianeta. E perché è l'iso-la della propria infanzia, di quell'epoca gloriosa in cui il cosmo intutte le sue forme meraviglia e in-teressa ancora, attrae a sé e ci fasentire parte di qualcosa di benpiù grande del contesto sociale incui dovremoinserirci crescendo.

Il Raff adulto - che va in ufficiotutti i giorni, in palestra tre voltela settimana e al poligono di tiroper distrarsi la sera - ha qualcosadi inesorabile che dobbiamo ac-cettare ma che stringe il cuore.Eppure, anche con un'esistenza

superficialmente più banale ri-spetto a quella in cui, bambino,esplorava la foresta, osservava iformicai e si misurava coi morsidi serpente, Raff non abbandonaquella che diviene per lui una mis-sione: salvare le terre selvaggedel Nokobee. Studierà legge perpoter escogitare dall'interno delsistema modi astuti e sottili perconciliare gli interessi dei privaticon la salvaguardia dell'ambien-te, che è ricchezza per tutti.

La parte centrale dell'opera,strepitosa ed unica nel suo gene-re, è una specie di romanzo nel ro-manzo e riguarda, appunto, le for-miche. Coincide, nella finzione dellibro, con la tesi presentata daRaff al College, dove un bravo pro-fessore, resosi conto della compe-tenza del ragazzo in termini di os-servazione entomologica, gli sug-gerisce di approfondire le ricer-che sul campo. Intitolato «Le cro-nache del formicaio», è il resocon-to epico dell'ascesa e caduta di di-versi gruppi di formiche che tra

loro combattono e si succedono, iltutto narrato in termini ad untempo accademici ed omerici,cioè scientificamente precisi maanche del tutto appassionanti ecapaci di tenere col fiato sospesochi non conosca a fondo le dinami-che etologiche e le meraviglie bio-logiche di questa specie.

Di queste formiche, così mera-vigliosamente narrate, nonchédei loro destini, ci entusiasmia-mo, ci interessiamo, e leggendoWilson (come leggendo la Anto-nia Byatt di Angeli e insetti, in cuiveniamo intrattenuti con straordi-naria competenza su api, farfallee formiche) scopriamo qualcosache riguarda nello specifico gli in-setti, ma in fondo, sorprendente-mente, anche gli uomini.

Müller Il maggior drammaturgo tedescodopo Brecht racconta le aberrazionidel potere nella Germania comunista

ANGELOZ. GATTI

In attesa di 1Q84, ilpoderoso romanzo di Mu-rakami Haruki uscito in Giap-pone nel 2009 con grandesuccesso, l'Einaudi, a sorpre-sa, ha mandato in libreria Isalici ciechi e la donna addor-mentata, un'antologia di ven-tiquattro racconti tradotticon la consueta padronanzae attenzione da AntoniettaPastore. I più lontani risalgo-no ai primi anni Ottanta, i piùrecenti sono del 2005. Unadelizia per gli ammiratori eun'occasione da sfruttareper chi non conosce lo scritto-re giapponese. Ritmo e musi-calità nella narrazione. Di-mensioni altre, sottosuoli emondi paralleli. Entità evane-scenti di cui si percepisconole tenebrose presenze checreano disagio; alcune si ma-terializzano in gigantescheonde anomale che provocanomorte e distruzione o in stra-ne pietre dotate di vita che si

spostano. Scimmie che parla-no («animali» ottimo argo-mento per una tesi di laurea).Metafore ardite: in BirthdayGirl chi è l'enigmatico pro-prietario del ristorante italia-no, elegantissimo e dai candi-di capelli, che ha il potere diesaudire i desideri? E la «ziapovera» attaccata alla schie-na dell'io narrante? Misteroe morte, senso di perdita e so-litudine. E attesa.

La maggior parte dei rac-conti è in prima persona. Ipersonaggi sono universitari,ventenni che fanno lavoripart-time o giovani single incarriera che hanno intorno ai

trent'anni (solo ne Il settimo uo-mo il protagonista è un ultracin-quantenne). Con uno stile ae-reo, leggero, minimalista, quiinteso nel senso di scrupolosaprecisione nell'indicare i liquo-ri, le auto, gli abiti firmati, concontinui richiami ai dischi librifilm preferiti, e, con dialoghi ar-guti e frizzanti, si raccontanovite solo in apparenza banali. I

personaggi si trovano in fasi de-licate dell'esistenza, di fronte asvolte che li porteranno ad as-sumere mature responsabilità.

Alcuni racconti sono mini-romanzi. Quando si chiudono,lasciano spiragli aperti. Si vor-rebbe saperne di più e Muraka-mi sembra aver avvertito taleesigenza tanto da ampliare lastesura. Noto è il caso de La luc-ciola, da cui prende lo spuntoper il suo romanzo più famosoNowegian Wood nel quale il te-ma dell'amore si intrecciadrammaticamente con quellodella morte. I gatti antropofagidel 1991 è ripreso anni dopo nelromanzo La ragazza dello Sput-nik. I due testi affrontano i temidello straniamento e della vitaprovvisoria: qui è narrata lastoria di un adulterio, là una re-lazione lesbica, ma l'ambienta-zione, un' isola della Grecia, egli sviluppi che culminano nellascomparsa di uno dei protago-nisti sono molto simili.

Nel racconto La pietra a for-ma di rene il protagonistaJunpei, aspirante scrittore, dàin lettura le sue novelle allamatura amante dalla profes-sione ignota che gli dice: «Neituoi racconti c'è un'atmosferatranquilla, ma anche una fortevitalità. E pure lo stile è bello.Ma soprattutto, nella tua scrit-tura c'è equilibrio». Un ironicoautoscatto. Ah, essere amicodi Murakami Haruki e «poter-lo chiamare al telefono tutte levolte che ti gira».

STASGAWRONSKI

Quando la letteraturasembra una minestra insipida,annacquata, incapace di dareun sapore nuovo alla vita, alcu-ni scrittori diventano necessa-ri come il sale. Serve al palatouna parola in grado di riporta-re bruscamente il lettore alcentro della propria vicendaumana e di chiamarlo a un con-fronto potente con le grandiquestioni della vita. Una simileforza d’urto è senza dubbionelle storie di Flannery O’Con-nor cui è dedicato FlanneryO’Connor, il mistero e la scrittu-ra, un formidabile saggio diElena Buia Rutt - già autrice diun’intensa rilettura di Pier Vit-torio Tondelli - che ci aiuta a ri-scoprire e a maneggiare unascrittura incandescente. Unariflessione lucida sulle operedella grande narratrice delSud degli Stati Uniti che in Ita-lia è rimasta ai margini dell’at-tenzione della critica sia per ladifficoltà di classificare una let-

teratura che è «allo stesso tem-po simbolica e realistica, regio-nalista e universale, grottesca eletterale» sia per la faciloneriacon cui le è stata affibbiata l'eti-chetta di «autrice cattolica».

D’altronde la O’Connor è sta-ta una scrittrice solitaria, defila-ta, ma anche una presenza di-sturbante tanto per i cattolicibenpensanti che per i fautori del«buon senso» laico, razionale e

illuministico. Costretta da unagrave malattia ereditaria a pas-sare gli ultimi quattordici annidella vita nella sua fattoria in Ge-orgia, la O’Connor ha alimenta-to la sua ispirazione attraversoun’immersione senza sconti nel-la propria difficile quotidianità,fino al punto da considerare ilmorbo che la stava divorandouna benedizione: «Non sonomai stata altrove che malata. In

un certo senso la malattia è unluogo, più istruttivo di un lungoviaggio in Europa. La malattiaprima della morte è cosa quantomai opportuna».

L’esperienza concreta delmale è il punto di partenza dellaricognizione critica della Buiache, attraverso le storie - dal ro-manzo Il cielo è dei violenti a quelracconto estremo intitolato Laschiena di Parker - i saggi e le let-

tere della scrittrice americana,ci apre al mistero di una lettera-tura fondata su un’assoluta fi-ducia nella salvifica violenzadello scontro tra la libertà del-l’uomo e la realtà.

Allergica a ogni visione filtra-ta da astrazioni, lo sguardo dellaO’Connor si concentra «suun’esperienza cruciale, quelladella finitezza». I suoi personag-gi bizzarri, storpi e malvagi an-

cora oggi scandalizzano, diso-rientano, mettono in crisi chiun-que sia abbarbicato alle propriecertezze ideali e non si accorgache l’anormalità, la deformità ela devianza riguardano ciascu-no senza eccezioni. Un realismoradicale espresso attraverso unirritante registro grottesco chenon è «una scelta di genere, mala diretta conseguenza della vi-sione cristiana di un mondo in-taccato dal peccato».

Secondo la Buia «tutto que-sto diviene uno strumento co-noscitivo, una lente di lettura,funzionale alla forzatura dellosguardo di un lettore “di vistadebole”» e in grado, forse, di co-gliere solamente le connotazio-ni morali di quanto accade, manon l’ordito indicibile dell’esi-stenza. Una letteratura che col-pisce il lettore come uno schiaf-fo, consentendogli di «appro-fondire il proprio senso del mi-stero attraverso il contatto conla realtà, e il proprio senso del-la realtà attraverso il contattocon il mistero».

LUIGIFORTE

A un ventennio dallariunificazione tedesca la vec-chia Rdt è ormai relegata ne-gli archivi storici. Materia distudio per addetti ai lavori.Un fantasma che riemerge incerte ricorrenze per poiscomparire dal dibattito poli-tico. Le sue stesse tracce so-no piuttosto sbiadite: un po'meno nella grande provincia,a Lipsia o a Dresda, ma pres-soché indistinguibili a Berli-no risorta come una metropo-li dal profilo ipermoderno.

Quell'epoca riaffiora fraluci e ombre nel libro di Hei-ner Müller, Guerra senza bat-taglia. Una vita sotto due dit-tature (1992), che l'editoreZandonai propone ora nellabella versione di Valentina DiRosa, con un'intensa postfa-zione del poeta Durs Grün-bein. Non c'è guida più origi-nale e stimolante di Müller, ilmaggior drammaturgo tede-sco dopo Brecht, per un viag-gio in quel passato prossimoche ha cambiato il volto dell'Europa e sembra ormai lonta-no anni luce dal nostro pre-sente. In quest'autobiografiain forma di intervista egli rie-

voca non solo la propria av-ventura di scrittore, ma laproblematica identità di unPaese dilaniato da drammati-ci eventi: dal nazismo allaguerra, dalla nazione divisaalle degenerazioni di un socia-lismo sempre più illiberale.

Originario della Sassonia,dov'era nato nel 1929, eglinon apparteneva per vocazio-ne alla categoria dei dissiden-ti come il vecchio amico WolfBiermann che con le sue bal-late aveva sfidato il potere.Dal maestro Brecht il dram-maturgo apprese il gusto del-la dissimulazione non priva

di ciniche sfumature, e l'impe-rativo del compromesso pur disalvare la propria arte. In mo-menti difficili, su consiglio del-la stessa Helene Weigel, mo-glie di Brecht, non si astennedall'autocritica di fronte ai poli-tici. Poi ammise: «L'importan-te è che i miei testi vengano re-cepiti, non che io giochi a fare ilnobile cavaliere». E l'attenzio-ne non mancò, ma per moltotempo fu quella del partito, sof-focante e censoria. Dai primilavori teatrali come Lo stacano-vista all'inizio degli anni Cin-quanta o La contadina sfollata,sul tema della collettivizzazio-

ne dell'agricoltura, fino adrammi di ampio respiro stori-co come Germania morte aBerlino e ad esperimenti dinuove dialettiche teatrali(Hamletmaschine e La batta-glia), Heiner Müller fu oggettodi interpellanze, discussioni po-litiche, divieti a non finire.

Eppure nessuno più di luiera radicato nel Paese del so-cialismo reale: ne mise in sce-na sviluppo e decadenza attra-verso la geniale rivisitazionedei classici del teatro, da Sofo-cle a Brecht, con uno sviscera-to amore per Shakespeare.Parlava criticamente del pre-

sente usando le maschere delpassato. Poi i tempi cambiaro-no. E' pur vero che lo scrittoreebbe colloqui con la Stasi, lapolizia politica segreta, anchese non ne divenne il confiden-te, riuscendo a mantenere ilsuo profilo critico e ad affer-marsi col tempo come l'iconadel teatro della Rdt, collabo-rando con i maggiori palcosce-nici di Berlino Est: dal Deut-sches Theater alla Volksbüh-ne fino al tempio brechtianodel Berliner Ensemble.

Nel raccontarsi Müller scri-ve la storia della drammatur-gia della Rdt con un'idea fissa:

le aberrazioni del potere. Nonsolo quello che lo assedia edespelle dall'Unione degli scrit-tori accusandolo di essere anti-umanista e controrivoluziona-rio. Ma quello perverso e tragi-co che ha dominato nel tempoe in varie forme un grande pae-se come la Germania incapacedi una vera rivoluzione.

Gli spunti gli arrivano damolte parti e fa specie scoprireuno scrittore comunista comelui che occhieggia Nietzsche,Jünger o Carl Schmitt. Ma nonstupisce se si pensa al suo radi-calismo, all'interesse per Ar-taud e il teatro della crudeltà,alla riflessione su estetica e bar-barie che lo spinge a dire: «Perun drammaturgo una dittaturaè più vivace di una democra-zia». Müller, è noto, aveva uno

spiccato gusto per il paradosso,sintomo di una genialità a disa-gio in tempi di miseria cultura-le. Forse è vero che la patria delsocialismo attraeva in un certomodo intellettuali e artisti perla dimensione irreale della suacompagine statale. Ma a distan-za, la storia della Rdt appare all'uomo di teatro come una tragi-commedia pervasa da stupidi-tà e incompetenza e la genia deifunzionari un'accozzaglia dipersone rozze e brutali.

Tuttavia il libro, pur zeppodi dettagli per addetti ai lavo-ri, colpisce per l'intelligenza lu-cidissima e folgorante sia cheparli di Brecht e di Bob Wilsonche di pittori del calibro di DeChirico e di Beuys o di registicome Godard. Eppure quest'uomo libero e tenace scompar-so nel 1995, aveva la sensazio-ne di «non appartenere a nes-sun luogo». Strano per chi ave-va fatto del teatro la propriacasa. Ma forse inevitabile perchi come lui aveva solo la scrit-tura da contrapporre alla vio-lenza dei tempi.

O’Connor,lo schiaffodel mistero

«LA RAGAZZA DI BERLINO» DI ANNE WIAZEMSKY

Una nipote in casa Mauriac= Il dramma della guerra nella Francia occupata e lasperanza nel futuro nonostante i primi segni di Guerrafredda; l’impegno di una gioventù piena di ideali e una storiad’amore suggellata tra le macerie di Berlino dalla nascita diun figlio: La ragazza di Berlino di Anne Wiazemsky (trad. diCinzia Poli, ed. e/o, pp 188, € 17,50) potrebbe far pensare aun romanzo a tesi dai risvolti simbolici scontati. Proponeinvece una storia vera, una testimonianza di amore filiale ilcui perno è la ricerca di identità e di libertà della madredell’autrice, Claire, secondogenita di François Mauriac.Ricostruendo in forma romanzesca la tranche de vie che alla

madre fa scoprire il vero senso della vita e la sicurezza in sestessa, la figlia risale alle proprie origini aggiungendo untassello agli Hymnes à l’amour con cui nel 1996 avevaraccontato il rapporto di coppia dei genitori soffermandosisul padre. Attrice in film di Bresson, Pasolini e Godard che larese celebre con La chinoise, scrittrice pluripremiata, qui laWiazemsky utilizza le lettere alla famiglia e il diario dellamadre, relativi al 1944-1947, alternandoli abilmente a unanarrazione asciutta e documentata in cui si avvertono ancheprestiti da film come Germania anno zero di Rossellini.A suscitare interesse ed emozione, più della storia amorosasono proprio il clima e gli scenari della quotidianità dirapporti familiari ed esperienze umane, vita e morte, vincitorie vinti, in cui matura il processo di formazione della

protagonista. Poco considerata in famiglia e intimidita dalpadre così preso dai suoi impegni da averla quasi«dimenticata», Claire si misura con gli orrori della guerra per«sentirsi esistere» e poi agli agi familiari di Parigi preferisce idisagi e il fermento di solidarietà internazionale nella Berlinodistrutta e affamata dove sarà ancora utile.Che contro le perplessità familiari scelga con fermezzaIvan Wiazemsky, un non lettore ignaro della grandezza diMauriac ma l’unico a riconoscere le sue qualità, nonstupisce. Quel giovane pieno di talento e con pochi mezzi,figlio di immigrati russi durante la rivoluzione è il principeazzurro. E che non lo fosse solo in senso metaforicorassicurò l’illustre genitore. Paola Dècina Lombardi

Ritratto La scrittrice americanache deve alla malattia l’ispirazione A fine anno tutti sparano i

botti: da Le Carrè aGrisham, da Follett a

Connelly. E agli altri fantasma-gorici fuochi d’artificio che lecase editrici si sono tenuti na-scosti in tasca per infiocchetta-re le feste col meglio delle lorofirme. Il re è però non è tra que-sti. E’ un autore non troppo no-to, di pregio ma non di vastoconsumo: si tratta di R.J. El-lory, con la sua Vendetta(trad. di Simona Fefè, Giano,pp. 574, €20), un grande thril-ler mafioso che si dipana attra-verso mezzo secolo di storia, in-sinuandosi in tutti i misteri del-le grandi «famiglie» e della poli-tica, da Lucky Luciano ai Gam-bino, dai Kennedy a Castro.

Ma la sua non è un’epopeaalla Puzo: è la Cosa Nostra deimanovali che, all’ombra deiboss, si ritagliano squallidi spa-zi di vita e di potere compiendogli omicidi più efferati e i tradi-menti più biechi, al servizio diinconfessabili intrecci tra classidirigenti e denaro sordido di

sangue. Al centro del quadro duefigure imponenti, entrambe cre-sciute tra i bajou e le marcite diuna New Orleans plumbea e disu-mana, entrambe tornate a casaper giocare la partita fondamen-tale della loro esistenza: ErnestoPerez, il killer di origine cubanadiventato, nonostante le origininon italiane, il vero «picciotto» difiducia; e Ray Hartmann, l’inve-

stigatore speciale che ha passatola sua vita a dare la caccia ai clane che, per questo, ha un matrimo-nio sull’orlo del precipizio.

Sullo sfondo, l’ombra inquie-tante del Governatore della Loui-siana, Charles Mason Ducane, lacui capricciosissima figlia è statarapita - la guardia del corpo tro-vata orrendamente assassinata -senza che alcuno si presenti a chie-

dere un riscatto. Fbi mobilitatain forze, sciami di agenti a fruga-re ogni pista, ogni mossa secreta-ta: tutto inutile. Improvvisamen-te però la sterzata inattesa. Erne-sto Perez si fa vivo, dichiarandosiautore dell’omicidio e del seque-stro, e offre un patto: rivelerà do-ve si trova la ragazza solo adHartmann e a condizione che luiascolti la storia della sua vita pertutto il tempo necessario a com-prendere fino in fondo perché sistia macchiando, ormai vecchio estremato, di quest’ultima sangui-naria impresa.

E la bellezza del romanzo con-siste proprio in questo: nella lun-ga impensata confessione di unuomo che si è lordato di tutto edel contrario di tutto. Un raccon-to infinito che scava nel delitto,nella vischiosa commistione trapolitica e malaffare attraversan-do le ere e le rivoluzioni. Accen-dendo la Storia di verità sepoltee dando un nuovo senso alleomissioni e agli insabbiamenti dicui solo il potere sa cibarsi contanta voracità.

Nella Rdt vain scena il teatrodella crudeltà

«I salici ciechi e la donnaaddormentata»:ventiquattro racconti,uno stile aereo,leggero, minimalista

Giovani singlein attesadi maturità

Alla scopertadi qualcosa cheriguarda gli insetti,ma in fondo, a sorpresa,anche gli uomini

Caro Edentra formichee coccodrilli

«NEL CAFFÈ DELLA GIOVENTÙ PERDUTA» DI MODIANO

Una bohème parigina= «Parigi era così bella che preferivamo viverci poveripiuttosto che ricchi in qualunque altro posto», diceva ilsituazionista Guy Debord nel film palindromo In girum imusnocte et consumimur igni da cui Patrick Modiano ha tratto iltitolo del suo lancinante romanzo Nel caffè della gioventùperduta (trad. di Irene Babboni, Einaudi, pp. 117, € 13). Lafrase completa figura in esergo: «Nel mezzo del camminodella vera vita, eravamo circondati da una malinconiaoscura, che tante parole tristi e beffarde hanno espresso, nelcaffè della gioventù perduta».Per trovare lancinante il romanzo non è necessario avere o

avere avuto Parigi nel sangue, quella di Debord che nel filmcitato è morta o quella che aleggia tra le righe di Modianocome nell’aria di Saint-Germain-des-Prés o persino quellasarkoziana che resiste alle minacce di annientamentoaggrappandosi ai suoi quais, ai suoi bistrots, alle sue lune neirigagnoli. Utile sì, certo, ma non indispensabile, perché Nelcaffè della gioventù perduta è un sogno, o comunque ne hatutte le caratteristiche.Una sorta di visione onirica al cui centro c’è una giovanedonna, soprannominata Louki, misteriosa e affascinante.C’è il Condé, un caffè nel Quartiere Latino, nei pressidell’Odéon - non andate a cercarlo, oggi non lo trovereste. Eun gruppo di artisti o supposti tali, tra cui un giovanescrittore. E individui dalle identità vaghe, che si riuniscono

vivendo una bohème persa nel tempo, un tempo checomunque non esiste più. Tutto è scomparso infatti insiemea Louki, che un giorno è svanita, scappando da se stessa.La sua storia e quella del Condé ce la raccontano in quattro:oltre alla stessa Louki, tre uomini frequentatori abituali delcaffè. A lettura conclusa, e soffiato via l’impalpabile ricordoche le cento sussurrate pagine mettono in scena, risultachiaro che le voci, compresa quella di Louki, sono tutte equattro di Modiano, insomma di colui che sogna la vicenda -o che l’ha vissuta quando era poco più che ragazzo econtinua a rincorrerla nelle vie della città. Un’erranza urbanache echeggia quella della Nadja di André Breton e che quasisi direbbe le risponda, con un libro altrettanto concentrico. Gabriella Bosco

IL GIALLOPIERO SORIA

Il detective buonoe il killer dei boss

«Vendetta» di Ellroy: mezzo secolodi mafia tra Luciano, Kennedy e Castro

pp Heiner Müllerp GUERRA SENZA BATTAGLIAp a cura di Valentina Di Rosap postfazione di Durs Grünbeinp Zandonai, pp. 370, €26

pp Edward O. Wilsonp ANTHILLp trad. di Luca Fusarip Elliot, pp. 345, €18,50

Una missione per Raf:salvare le terreselvagge del Nokobee,diventare adultirispettando l’ambiente

pp Murakami Harukip I SALICI CIECHI E LA DONNA

ADDORMENTATAp trad. di Antonietta Pastorep Einaudi, pp.376, €22

Libero e tenace,parlava criticamentedel presente usandole maschere del passato,da Sofocle a Shakespeare

«Guerra senzabattaglia»: un viaggionel passato prossimoche ha cambiatoil volto dell’Europa

Murakami Una antologia di viteprovvisorie, fra tenebre e misteri

E.O. Wilson «Anthill», il romanzodi uno fra i più famosi entomologi

Scrittori stranieriIVTuttolibri

SABATO 8 GENNAIO 2011LA STAMPA V

EdwardO. Wilson, oggi

ottantunennescienziato

e professoreamericano, è

tra i più famosientomologi almondo e forseil più grande

esperto diformiche mai

esistito. Per lesue ricerche havinto due volte

il PremioPulitzer

Una scena dal «Macbeth» di Shakespeare, in un adattamento di Müller

Heiner Müller (1929-1995) racconta vita e arte in «Guerra senza battaglia»

Patrick Modiano

pp Elena Buia Ruttp FLANNERY O’CONNOR

IL MISTERO E LA SCRITTURAp Ancora, pp. 111, € 12, 50

Anne Wiazemsky

Flannery O’ Connor

Page 6: Tuttolibri n. 1747 (08-01-2011)

Pagina Fisica: LASTAMPA - NAZIONALE - VI - 08/01/11 - Pag. Logica: LASTAMPA/TUTTOLIBRI/06 - Autore: MARGAL - Ora di stampa: 07/01/11 18.52

GIOVANNITESIO

Eclettico vorace,poligrafo ferace (magari ol-tranzista ma non proprioferoce), rubricista strenuo,cattedratico di buona fa-ma, il «decatleta» RenatoBarilli ha sempre scaldatopiù pentole in quella che luistesso chiama la sua «labo-riosa e complessa cucina»o aggiunto armi alla «vastapanoplia» dei suoi interes-si al servizio della critica«militante».

Ubiquo, polimorfo, indo-mito, riluttante a speciali-smi, estraneo al calcolo dichi «punta su pochi elemen-ti», aperto alle istanze delnuovo, che ha scovato - anon dir d'altro - almeno neitre orti (mai chiusi) dell'este-

tica, dell'arte, della lettera-tura, al traguardo dei settan-cinque anni Barilli si è oraconcesso le quattrocento fit-te pagine (più la sterminatabibliografia) di un Autori-tratto a stampa che docu-menta il cammino delle sueidee: un autoritratto scritto,anche per dire di sé e da séciò che difficilmente altriavrebbe detto di lui.

Arduo tenere dietro a unpercorso così vario, frasta-

gliato e anche geografica-mente plurimo, dalla militan-za accademica tra Anceschie il Dams, a quella politicatra Craxi e Martelli, a quellaletteraria tra Sanguineti eOttonieri (tra il Gruppo 63 eil Gruppo 93), a quella artisti-ca tra De Chirico e «il benea-mato Salvo», a quella «cultu-rologica» tra le omologie diMcLuhan e i rizomi di Deleu-ze e Guattari. Ancora più dif-ficile fare la conta dei mae-

stri virtuali e degli incontrireali - cruciali anche se nonsempre cordiali - da Dubuffeta Robbe-Grillet.

Forse relativamente piùsemplice registrare (giustoper citare un compagno distrada come l'Eco tuttaviaperduto) la «vertigine della li-sta» in cui imbarcare i princi-pi di fondo, la poetica che leraccapezza: la realtà rugosa eimpura, l'esistenza invece chel'essenza, il plurivoco invece

che l'univoco, l'inclusione in-vece che la mania riduttiva, ilcorpo invece che l'anima, l'ap-porto di tutti i sensi inveceche la pura visività, il diluviooggettuale invece che la sele-zione minimalista, le tempe-ste dell'es invece che le iper-trofie dell'io.

A cui non resterebbe cheaggiungere l'ibrido contro ilpuro, la «molla annessionisti-ca» e lo sfondamento delle se-paratezze, le pratiche extra-li-neari e intraverbali, i viaggi ol-tre la barriera del naturali-smo, l'istanza antisemiotica,il pendolarismo dei recuperi(dall'Informale all'Espressio-nismo astratto alle radici futu-ristiche), i due cardini dell'ab-bassamento e della normaliz-zazione, «il rapporto omologi-co tra gli atti rivoluzionari del-le avanguardie e l'avventodell'elettromagnetismo e dell'elettronica».

Nonostante qualche sordi-tà non disgiunta da un sicuroeccesso di zelo, un bilanciointellettuale sostanzialmen-te onesto che non si nega ailamenti per le precedenzemisconosciute o ingiusta-mente negate, come accadeper gli studi di carattere«culturologico» e per quellisul postmoderno.

Nemmeno negandosi aqualche articolata divarica-zione (vedasi per tutte allavoce Achille Bonito Oliva), aqualche ammissione di debo-lezza (una «natura intinta diuna certa ipocrisia», l'«in-guaribile moderatismo», il«pizzico di viltà», l'«alacreopportunismo»), a qualchesmarrimento. E persino - inun temperamento serio - aqualche auto-indulgente seb-bene scarno sorriso.

ANGELOGUGLIELMI

Due libri interessan-ti le cui affermazioni possonoessere condivise o no ma ciaiutano a comprendere perfi-no quello che siamo stati.

Con La letteratura degliitaliani Franco Brevini sichiede perché mai i classiciitaliani non sono libri da co-modino dove Tasso cede ilposto a Montaigne, Foscolo aVoltaire, Leopardi a Balzac.E si risponde che è perché igrandi italiani scrivono in unlingua morta nel senso che èuna lingua solo per gli scritto-ri lontana dalle sporcizie edai rumori della vita. Questalingua è il toscano tuttaviasconosciuto ai parlanti tosca-ni che conoscono e parlanosolo il dialetto della loro cit-tà: gli abitanti di Firenze ilfiorentino, di Pisa il pisano diLucca il lucchese.

Il divorzio della lingua let-teraria dalle parlate quotidia-ne non è solo un dato di fattoma grazie a Pietro Bembo di-venta una regola cui gli scrit-tori devono attenersi e lo fa-ranno per circa sette seco-li(800 compreso). Gli uniciautorizzati a trasgredirla (laregola) sono gli scrittori dia-lettali che perlopiù sono

scrittori di protesta che siesprimono sbeffeggiando gliautori in lingua e corteggianoil popolo di cui adottano la lin-gua Così è accaduto che Folen-go e Ruzzante, pur grandissi-mi, sono stati tenuti ai marginie non accolti nell'empireo del-le patrie lettere. La loro colpaè di avere scritto in una linguaantifrastica, «più vicina alle co-se, più satura di mondo».

E perché ha prevalso il to-scano non come lingua nazio-nale ma come lingua degliscrittori? Perché l'Italia non èstata mai nazione e, a esplicitoconforto, Brevini aggiunge:«se i Medici avessero potutorealizzare l'unificazione politi-ca della penisola, l'Italia nonavrebbe avuto una storia so-ciolinguistica sostanzialmentediversa da quella di Spagna eFrancia». Né ci aiuta il con-fronto con la Germania, checome l'Italia è stato un Paesediviso in tante regioni, giacchéla Germania ha avuto Luteroche, obbligato a capillarizzarela diffusione del suo messag-gio, ha prima di Bismarck ger-manizzato la Germania. Noiabbiamo avuto Bembo.

E quando l'Italia centocin-

quant'anni fa ha conquistatol'unità, si è trattato di un ricon-giungimento posticcio, che hacomportato sì la nascita di unalingua nazionale, cresciuta tut-tavia artificialmente (con ilservizio militare obbligatorioe poi soprattutto la televisio-ne), una lingua standardizzatache se ha avuto un merito, an-zi una colpa, è di avere distrut-to i dialetti.

Non avendo mai noi avutouna lingua nazionale e solo og-gi un italiano standard non èmeraviglia che l'Italia è rima-sta estranea alla stagione delgrande romanzo ottocentesco,che ha coinvolto l'intera Euro-pa: il romanzo ha bisogno dellalingua del quotidiano mentre«la nostra letteratura», comediceva Pirandello, «amava piùle parole che le cose, per lasemplice ragione che le cosenon sapeva nominarle».

E qui si innesta a propositoil libro Meno letteratura, per fa-vore! di Filippo La Porta. Ilquale lamenta che oggi c'ètroppa letteratura , che tutti(troppi) scrivono romanzi per-lopiù per esibizione o ricercadi status symbol. Tutti, perfinoi giornalisti si inventano nar-

ratori per non dire dei sociolo-gi o esperti tecnologici.

Ritengo che commetta dueerrori: il primo è di dimentica-re che la letteratura vive an-che in mancanza di scrittori, èuna forza autonoma(come lealtre cose necessarie alla no-stra vita) e in assenza e co-munque seria penuria di veriscrittori (il non renderseneconto è il suo secondo errore)tende a andare altrove.

E per fortuna! noi commen-tiamo; noi che, prima di esse-re lettori di romanzi, siamocittadini di questo Paese, nonpossiamo non essere feliciche, a scorno del telegiornaledi Minzolini e della pedagogiapolverosa che fin da bambinici ha afflitti, sia nato con Men-tana un telegiornale- raccon-to e con Farinelli una Geogra-fia-storia.

Tornando al secondo erro-re di La Porta (ma forse piùche un errore è una debolezzanecessaria) il sospetto è chel'autore cada in un eccesso diottimismo descrivendo la si-tuazione dei narratori italianicome di un sistema con puntealte e basse, fortemente varia-to nei toni e nelle ambizionimentre a me pare che i nostriscrittori più o meno costretti ascrivere in una lingua stan-dard (e qui torniamo a Brevi-ni) si propongono come unflusso di modesta irruenza e dicolore grigio.

Certo ci sono eccezioni chenon sfuggono a La Porta, daAmmaniti a Lagioia, da Siti aPascale (in attesa di GabrielePedullà che con la straordina-ria storia della ragazza ciecaci lasciò interdetti tra stuporee ammirazione). Ma la pro-spettiva complessiva (e finale)non è di grande conforto.

ANDREACORTELLESSA

Non sono molte le pa-gine che, a circa un decenniodal loro apparire, si possanogià considerare classiche. Èperò senz'altro il caso delracconto Otto scrittori, cuorerivelatore di Tu, sanguinosainfanzia di Michele Mari(pubblicato nel '97 da Monda-dori, riproposto alla cheti-chella da Einaudi nel 2009).In quelle stupefacenti trentapagine sfilano i maestri dellaletteratura di mare: Conrad,Defoe, London, Melville, Poe,Salgari, Stevenson, Verne.Tutti consustanziali all'im-maginazione del narrante-in-fante: carne della sua carne,appunto sangue del suo san-gue. Eppure una legge oscu-ra gli impone di scegliere, fraquei Numi: in un rito crudeletra gioco della torre e roulet-te russa. Vengono condanna-ti prima Verne, poi uno allavolta Defoe, Salgari, London,Poe… e man mano che il cer-chio si stringe sempre piùchiaro appare che quegliscrittori sono, per chi li amaa quel modo, lo stesso scritto-re: colui cioè in cui si sonoreincarnati.

Così Mari ha codificato lostrazio, la malinconia di ognicollezionista. In questo sensoOtto scrittori è il germe del li-bro folle e sublime che pub-

blicherà sette anni dopo, intito-landolo al più programmaticodei saggi in esso contenuti (ri-cordo ancora l'emozione da ho-oligan col quale lo lessi, nel '99,sull'Indice). Analogamentetrincerato, per il Novecentoitaliano, nel cuore di tenebradei Sommi Manieristi: Gadda,Landolfi, Manganelli.

Libro folle che parla di fol-lia (la nevrosi ossessiva de-scritta dalle pagine eponime,appunto) e libro maledettoche parla di maledizioni. È unfatto che l'editore che lo pub-blicò nel 2004, Quiritta, fallìpochi giorni dopo: cosicché Idemoni e la pasta sfoglia prati-camente non circolò. «Sangui-noso» feticcio nelle mani deglihappy few, fantomatico Gron-chi Rosa di un narratore che

nel frattempo si faceva ap-prezzare - non senza qualchediluizione di troppo - da unpubblico più vasto.

Le fisime e i fasti del Mariche prediligo - il maggior nar-ratore italiano degli anni No-vanta - sono catalogati da que-sto libro che ora Cavallo diFerro non senza coraggio hariproposto (con un nome-por-tafortuna, ad ogni buon con-to!): anche perché il suo nu-cleo consiste di articoli scrittiallora, cui si sono poi aggiuntisaggi più estesi (esemplare,per definizione icastica, la gal-leria dei «manieristi e irregola-ri» del Cinquecento: da Pon-tormo al Vasari, da Lando alDoni, da Cardano al Garzoni).

E tuttavia I demoni e la pa-sta sfoglia non può essere con-

fuso con una «normale» rac-colta di saggi. Perché nella rou-tine del genere s'è intruso il vi-rus folle, appunto, del collezio-nista: sin dalla prima edizione,e ulteriormente in questa as-

sai ampliata, Mari s'è infattipiccato di scrivere ex novo, co-me per un committente invisi-bile, su scrittori del suo cano-ne sui quali non aveva mai avu-to occasione di prendere la pa-rola: inseguendo un mosaicoimpossibile, costitutivamentevotato allo scacco.

La sua follia catalogatoriaassomiglia così a quella archi-tettonica dell'Almayer di Con-rad… oppure a quella dell'alie-nato Adolf Wölfli (eroe proietti-vo delle pagine forse più trasci-nanti del libro), che in manico-mio riempiva migliaia di fogli dimiriadi di faccine, tutte ricon-ducibili alle tessere di un mani-acale autoritratto. Siamo abi-tuati a considerare i saggi degliscrittori alla stregua di sinto-mi, spie della loro poetica; ma

un libro come questo illustracome meglio non si potrebbeuno dei principi, codificati dalsuo autore, della scrittura co-me «ossessione»: laddove tuttoè sintomo, nulla più lo è.

Ciò malgrado, ove ce ne fos-se lo spazio, sarebbero da di-scutere a lungo altri principidi queste pagine (alcuni deiquali mi vedono in risoluto di-saccordo, come quello «eroi-co» e «vichiano» per cui allaletteratura nuocerebbero laconsapevolezza ironica e il di-stacco intellettuale: il che inge-nera in Mari il disdegno per

Numi - non solo miei - quali Ja-mes, Nabokov o Cortázar).

Più preme riconoscere, inquesto libro «mostruoso», unmanifesto inattuale e dunquenecessario: madornale oggettocontundente scagliato controogni letteratura «minimali-sta», ossia formalmente rinun-ciataria e contenutisticamentesociologistica. Cioè contro piùo meno tutto quello che va dimoda oggi. Basterebbe questoa costringerci a seguire Mari,nella danza coi suoi demoni.

GIUSEPPEMARCENARO

Frontespizio da entu-siasmante soprassalto: Anto-nio Pizzuto, Pagelle. Un sus-sulto. Per «il ritorno» dell'au-tore e il piacere che permet-te l'evocazione di una formi-dabile temperie. L'autore in-tanto. Scrittore per carbona-ri, eccentrici snob, teoricidell'esclusivismo letterario?No. Un compito signore natoa Palermo nel 1893 che, en-trato nell'amministrazionepubblica, aveva raggiunto ilgrado di questore e presiden-te della Commissione inter-nazionale di Polizia crimina-le. Esemplare unico di que-store colto, leggeva Proust eJoyce, conosceva la musica,ed era attento lettore di lette-ratura contemporanea. Alsuo tempo esisteva ancora.Discusso e formidabile scrit-tore, si impose nel 1959 conSignorina Rosina, pubblicatodalle eroiche edizioni Lerici,cui seguirono in un crescen-te di eccitazione letteraria -ricordando alcuni titoli - Si ri-parano bambole (1960), ora ri-proposto da Bompiani, Ra-venna (1962) per arrivare allesublimi Pagelle I (1973) e Pa-gelle II (1975), ristampateadesso in edizione critica inunico volume.

All'epoca sua, dai più raf-finati cultori e critici della

letteratura (Contini, Luzi, Ca-proni, Del Buono, Bo, Milano,Baldacci, Sanguineti, ecc.)Pizzuto fu riconosciuto perl'originalità dell'opera, tra lepiù significative dell'avan-

guardia italiana. Si esprime-va in una lingua somma che,in parte escludendo l'usualprocesso di rappresentazione(venuta poi di gran moda condiffuse fiction e giovanilistici

plot d'accatto bottegaio,odierna ingannevole nonsto-ria con parvenza letteraria) siavventurava nel sublime pia-cere della forma e della suaperfezione, con una scritturache, in simultanea immedia-tezza, restituiva il flusso dellacoscienza e della memoria.

Troppo complicato per la(tele)visiva e illusoria manie-ra di leggere d'oggi? Pizzutoaveva aperto nuove dimensio-ni, compiendo un passo inavanti nel comprendere le in-teriori possibilità umane co-municandole con un libro.Raro trovare altri esempi ita-

lici di compenetrazione asso-luta, di fusione tra scrittura epercezione del mondo. Inogni pagina Pizzuto trasmet-te una formidabile esperien-za di vita cui corrisponde un'analoga carica che non puòessere semplicemente letta:pretende di essere risveglia-ta con il flusso della coscien-za del lettore.

Troppo difficile per i tem-pi nostri? Eppure non sonopassati così tanti secoli da

quanto l'uscita di un'opera diPizzuto la faceva giudicarecome miracolo della creativi-tà e della civiltà letteraria.Inoltre, gioioso e avvincentecome un dipinto di Pollock,Pizzuto è anche divertente.Intessuto di ironie corrosivedalla grana sottile sembre-rebbe ormai incomprensibileper la grossolanità di una lin-gua italiana tragicamentecorrotta («…E parla come ma-gni!»), strapiombata nel tri-

vio. Comunque la sorpresa ela resistenza di queste paginesta nella loro impensabile ric-chezza: uniche nel loro ina-spettato quanto sorprenden-te realismo.

Pizzuto, con la sua opera, èstato anche un avvertito econsapevole scrittore dei pro-blemi che incombevano sul ro-manzo moderno. Argomentod'antan? Almeno con l'occhioal «romanzo» d'oggi, tema im-proponibile.

Gli amati follicontro tuttii minimalisti

E il questoredi Proustdava le pagelle

Tema centrale èla lingua, o «morta»,lontana dalla vitaquotidiana, o grigiae standardizzata

Cosa bollenella pentoladel critico

Mari Una «mostruosa» collezionedi Numi, da Verne a Poe a Gadda

Pizzuto Tra le voci più significativedell’avanguardia, amato da Contini

DAL 1900 A OGGI

La critica letteraria= Da Bendetto Croce alla rete. In Le idee e laforma (Carocci, pp. 239, € 22,80), EmanueleZinato, professore a Padova, ripercorre la criticaletteraria in Italia dal 1900 ai nostri giorni.Distinguendo cinque periodi: Croce, appunto (e isuoi avversari), il modello di Gramsci, la criticastilistica e il modello Contini, la forma-saggio e lacritica interdisciplinare (Giacomo Debenedetti),Pasolini-Fortini-Calvino (e Cesare Cases, RomanoLuperini, Garboli, Claudio Magris). Fino a Internet,alla navigazione digitale.

pp Filippo La Portap MENO LETTERATURA,

PER FAVORE!p Bollati Boringhieri, pp. 134, €11

LE «CRONACHE» DI MAURIZIO CUCCHI

La poesia del Novecento= Cronache di versi. Maurizio Cucchi, a sua volta poeta (e criticoletterario: la rubrica su Tuttolibri), ripercorre il secolo scorsoascoltandone il respiro lirico. Le sue Cronache di poesia del Novecentoescono per i tipi di Gaffi (pp. 450, € 18, a cura di Valeria Poggi). Saggi,introduzioni, ritratti, recensioni. Da Zanzotto a Giudici («Eccezionalesoprattutto per la pienezza, il rigore morale, che dimostra senzaindugi»), da Moretti («Un dire abbassato, prosastico, ironicamenterinunciatario») a Saba e Ungaretti, da Porta ai cantautori (invitati a nonfare i poeti), da Zeichen a Luzi, a Pasolini, da Rocco Scotellaro (un’operache si sostanzia di una materia tratta dal suo pieno coinvolgimento nelreale») a Alberto Bevilacqua.

Brevini e La Porta Due discutibili de profundisper un mondo che non sa più nominare le cose

«Autoritrattoa stampa»: un bilanciointellettuale traAnceschi, Dubuffet,l’avanguardia, il Dams

Raro trovare altriesempi italicidi così magistralefusione tra scritturae percezione del mondo

pp Franco Brevinip LA LETTERATURA

DEGLI ITALIANIp Feltrinelli, pp.157, € 17

FENOMENOLOGIA

Il mito di Umberto Eco= L’intellettuale italiano «vivente piùconosciuto del pianeta». Michele Cogo indagasulle origini di un mito contemporaneo nelsaggio, introdotto da Paolo Fabbri,Fenomenologia di Umberto Eco (Baskerville, pp.182, € 22), che immediatamente richiama laFenomenologia di Mike Bongiorno dello stessoautore de Il nome della rosa). In particolare, lostudio esplora gli anni che vanno dal 1958 al1964, dalle riflessioni su San Tommaso ai saggi suApocalittici e integrati.

Barilli Sempre alla ricerca del nuovo,in tre orti: estetica, arte, letteratura

pp Renato Barillip AUTORITRATTO A STAMPAp Fausto Lupetti Editorep pp. 510, €20

UNA GALLERIA DI RITRATTI E AUTORITRATTI

Il corpo degli scrittori= Una storia della letteratura attraverso il corpo. Dalle rughe diAriosto ai muscoli di D’Annunzio, Dalle spalle di Leopardi al naso diFenoglio, dagli occhi (turchinicci) di Federigo Tozzi al cervello diCalvino, dal teschio di Orfeo a «L’angelo e il gobbo», ovvero«l’ubiquità riflessa» di Palazzeschi. Attorno a questo mio corpo(Hacca, pp. 620, € 24), ritratti e autoritratti degli scrittori dellaletteratura italiana, è una galleria a cura di Laura Pacelli, MariaFrancesca Papi e Fabio Pierangeli. Una sorta di galleria «fisica».Allestita ricorrendo a fonti diverse: dalla fotografia (quando c’è) agliepistolari, dai documentari ai propri o altrui ricordi «e, laddovenessuna testimonianza può dirsi certa, all’immaginazione».

Ma la letteraturanon è mica il Tg1

«I demoni e la pastasfoglia»: un mosaicoe un manifesto critico,la scrittura comeeterna «ossessione»

pp Antonio Pizzutop SI RIPARANO BAMBOLEp a cura di G. Alvinop Bompiani, pp. 265, €11

.

pp Antonio Pizzutop PAGELLEp a cura di Gualberto Alvinop Edizioni Polistampa, pp. 344, €24

pp Michele Marip I DEMONI

E LA PASTA SFOGLIAp Cavallo di Ferro, pp. 613, €28

Graphic Arts Ovvero gli artisti del segno e del colore al servizio della pubblicità (e della propaganda). Ma anche viceversa, essendo lapubblicità sempre più fonte munifica per chi d’arte vuol vivere. Un connubio fertile che tra fine ’800 e ’900 si è manifestato sulle paginedelle riviste e sui muri, fin quando non arrivarono prima la tv e ora Internet. Questa la storia ripercorsa per immagini nel caleidoscopicoGraphic arts edito da Logos (pp. 600,€ 49,95) da cui l’illustrazione, qui sopra, di Jean D’Ylen per la penna Waterman, 1920.

Renato Barilli

Michele Mariha raccolto

in un’antologiadi 600 pagine

i suoi scrittidi critica

letteraria.Il suo ultimo

romanzo è«Rosso Floyd»

(Einaudi)ispirato alla

storiadei Pink Floyd

Antonio Pizzuto (1893-1976), scrittore, dopo una vita da questore

Umberto EcoMaurizio Cucchi

Rassegna della criticaVITuttolibri

SABATO 8 GENNAIO 2011LA STAMPA VII

Page 7: Tuttolibri n. 1747 (08-01-2011)

Pagina Fisica: LASTAMPA - NAZIONALE - VII - 08/01/11 - Pag. Logica: LASTAMPA/TUTTOLIBRI/06 - Autore: MARGAL - Ora di stampa: 07/01/11 18.52

GIOVANNITESIO

Eclettico vorace,poligrafo ferace (magari ol-tranzista ma non proprioferoce), rubricista strenuo,cattedratico di buona fa-ma, il «decatleta» RenatoBarilli ha sempre scaldatopiù pentole in quella che luistesso chiama la sua «labo-riosa e complessa cucina»o aggiunto armi alla «vastapanoplia» dei suoi interes-si al servizio della critica«militante».

Ubiquo, polimorfo, indo-mito, riluttante a speciali-smi, estraneo al calcolo dichi «punta su pochi elemen-ti», aperto alle istanze delnuovo, che ha scovato - anon dir d'altro - almeno neitre orti (mai chiusi) dell'este-

tica, dell'arte, della lettera-tura, al traguardo dei settan-cinque anni Barilli si è oraconcesso le quattrocento fit-te pagine (più la sterminatabibliografia) di un Autori-tratto a stampa che docu-menta il cammino delle sueidee: un autoritratto scritto,anche per dire di sé e da séciò che difficilmente altriavrebbe detto di lui.

Arduo tenere dietro a unpercorso così vario, frasta-

gliato e anche geografica-mente plurimo, dalla militan-za accademica tra Anceschie il Dams, a quella politicatra Craxi e Martelli, a quellaletteraria tra Sanguineti eOttonieri (tra il Gruppo 63 eil Gruppo 93), a quella artisti-ca tra De Chirico e «il benea-mato Salvo», a quella «cultu-rologica» tra le omologie diMcLuhan e i rizomi di Deleu-ze e Guattari. Ancora più dif-ficile fare la conta dei mae-

stri virtuali e degli incontrireali - cruciali anche se nonsempre cordiali - da Dubuffeta Robbe-Grillet.

Forse relativamente piùsemplice registrare (giustoper citare un compagno distrada come l'Eco tuttaviaperduto) la «vertigine della li-sta» in cui imbarcare i princi-pi di fondo, la poetica che leraccapezza: la realtà rugosa eimpura, l'esistenza invece chel'essenza, il plurivoco invece

che l'univoco, l'inclusione in-vece che la mania riduttiva, ilcorpo invece che l'anima, l'ap-porto di tutti i sensi inveceche la pura visività, il diluviooggettuale invece che la sele-zione minimalista, le tempe-ste dell'es invece che le iper-trofie dell'io.

A cui non resterebbe cheaggiungere l'ibrido contro ilpuro, la «molla annessionisti-ca» e lo sfondamento delle se-paratezze, le pratiche extra-li-neari e intraverbali, i viaggi ol-tre la barriera del naturali-smo, l'istanza antisemiotica,il pendolarismo dei recuperi(dall'Informale all'Espressio-nismo astratto alle radici futu-ristiche), i due cardini dell'ab-bassamento e della normaliz-zazione, «il rapporto omologi-co tra gli atti rivoluzionari del-le avanguardie e l'avventodell'elettromagnetismo e dell'elettronica».

Nonostante qualche sordi-tà non disgiunta da un sicuroeccesso di zelo, un bilanciointellettuale sostanzialmen-te onesto che non si nega ailamenti per le precedenzemisconosciute o ingiusta-mente negate, come accadeper gli studi di carattere«culturologico» e per quellisul postmoderno.

Nemmeno negandosi aqualche articolata divarica-zione (vedasi per tutte allavoce Achille Bonito Oliva), aqualche ammissione di debo-lezza (una «natura intinta diuna certa ipocrisia», l'«in-guaribile moderatismo», il«pizzico di viltà», l'«alacreopportunismo»), a qualchesmarrimento. E persino - inun temperamento serio - aqualche auto-indulgente seb-bene scarno sorriso.

ANGELOGUGLIELMI

Due libri interessan-ti le cui affermazioni possonoessere condivise o no ma ciaiutano a comprendere perfi-no quello che siamo stati.

Con La letteratura degliitaliani Franco Brevini sichiede perché mai i classiciitaliani non sono libri da co-modino dove Tasso cede ilposto a Montaigne, Foscolo aVoltaire, Leopardi a Balzac.E si risponde che è perché igrandi italiani scrivono in unlingua morta nel senso che èuna lingua solo per gli scritto-ri lontana dalle sporcizie edai rumori della vita. Questalingua è il toscano tuttaviasconosciuto ai parlanti tosca-ni che conoscono e parlanosolo il dialetto della loro cit-tà: gli abitanti di Firenze ilfiorentino, di Pisa il pisano diLucca il lucchese.

Il divorzio della lingua let-teraria dalle parlate quotidia-ne non è solo un dato di fattoma grazie a Pietro Bembo di-venta una regola cui gli scrit-tori devono attenersi e lo fa-ranno per circa sette seco-li(800 compreso). Gli uniciautorizzati a trasgredirla (laregola) sono gli scrittori dia-lettali che perlopiù sono

scrittori di protesta che siesprimono sbeffeggiando gliautori in lingua e corteggianoil popolo di cui adottano la lin-gua Così è accaduto che Folen-go e Ruzzante, pur grandissi-mi, sono stati tenuti ai marginie non accolti nell'empireo del-le patrie lettere. La loro colpaè di avere scritto in una linguaantifrastica, «più vicina alle co-se, più satura di mondo».

E perché ha prevalso il to-scano non come lingua nazio-nale ma come lingua degliscrittori? Perché l'Italia non èstata mai nazione e, a esplicitoconforto, Brevini aggiunge:«se i Medici avessero potutorealizzare l'unificazione politi-ca della penisola, l'Italia nonavrebbe avuto una storia so-ciolinguistica sostanzialmentediversa da quella di Spagna eFrancia». Né ci aiuta il con-fronto con la Germania, checome l'Italia è stato un Paesediviso in tante regioni, giacchéla Germania ha avuto Luteroche, obbligato a capillarizzarela diffusione del suo messag-gio, ha prima di Bismarck ger-manizzato la Germania. Noiabbiamo avuto Bembo.

E quando l'Italia centocin-

quant'anni fa ha conquistatol'unità, si è trattato di un ricon-giungimento posticcio, che hacomportato sì la nascita di unalingua nazionale, cresciuta tut-tavia artificialmente (con ilservizio militare obbligatorioe poi soprattutto la televisio-ne), una lingua standardizzatache se ha avuto un merito, an-zi una colpa, è di avere distrut-to i dialetti.

Non avendo mai noi avutouna lingua nazionale e solo og-gi un italiano standard non èmeraviglia che l'Italia è rima-sta estranea alla stagione delgrande romanzo ottocentesco,che ha coinvolto l'intera Euro-pa: il romanzo ha bisogno dellalingua del quotidiano mentre«la nostra letteratura», comediceva Pirandello, «amava piùle parole che le cose, per lasemplice ragione che le cosenon sapeva nominarle».

E qui si innesta a propositoil libro Meno letteratura, per fa-vore! di Filippo La Porta. Ilquale lamenta che oggi c'ètroppa letteratura , che tutti(troppi) scrivono romanzi per-lopiù per esibizione o ricercadi status symbol. Tutti, perfinoi giornalisti si inventano nar-

ratori per non dire dei sociolo-gi o esperti tecnologici.

Ritengo che commetta dueerrori: il primo è di dimentica-re che la letteratura vive an-che in mancanza di scrittori, èuna forza autonoma(come lealtre cose necessarie alla no-stra vita) e in assenza e co-munque seria penuria di veriscrittori (il non renderseneconto è il suo secondo errore)tende a andare altrove.

E per fortuna! noi commen-tiamo; noi che, prima di esse-re lettori di romanzi, siamocittadini di questo Paese, nonpossiamo non essere feliciche, a scorno del telegiornaledi Minzolini e della pedagogiapolverosa che fin da bambinici ha afflitti, sia nato con Men-tana un telegiornale- raccon-to e con Farinelli una Geogra-fia-storia.

Tornando al secondo erro-re di La Porta (ma forse piùche un errore è una debolezzanecessaria) il sospetto è chel'autore cada in un eccesso diottimismo descrivendo la si-tuazione dei narratori italianicome di un sistema con puntealte e basse, fortemente varia-to nei toni e nelle ambizionimentre a me pare che i nostriscrittori più o meno costretti ascrivere in una lingua stan-dard (e qui torniamo a Brevi-ni) si propongono come unflusso di modesta irruenza e dicolore grigio.

Certo ci sono eccezioni chenon sfuggono a La Porta, daAmmaniti a Lagioia, da Siti aPascale (in attesa di GabrielePedullà che con la straordina-ria storia della ragazza ciecaci lasciò interdetti tra stuporee ammirazione). Ma la pro-spettiva complessiva (e finale)non è di grande conforto.

ANDREACORTELLESSA

Non sono molte le pa-gine che, a circa un decenniodal loro apparire, si possanogià considerare classiche. Èperò senz'altro il caso delracconto Otto scrittori, cuorerivelatore di Tu, sanguinosainfanzia di Michele Mari(pubblicato nel '97 da Monda-dori, riproposto alla cheti-chella da Einaudi nel 2009).In quelle stupefacenti trentapagine sfilano i maestri dellaletteratura di mare: Conrad,Defoe, London, Melville, Poe,Salgari, Stevenson, Verne.Tutti consustanziali all'im-maginazione del narrante-in-fante: carne della sua carne,appunto sangue del suo san-gue. Eppure una legge oscu-ra gli impone di scegliere, fraquei Numi: in un rito crudeletra gioco della torre e roulet-te russa. Vengono condanna-ti prima Verne, poi uno allavolta Defoe, Salgari, London,Poe… e man mano che il cer-chio si stringe sempre piùchiaro appare che quegliscrittori sono, per chi li amaa quel modo, lo stesso scritto-re: colui cioè in cui si sonoreincarnati.

Così Mari ha codificato lostrazio, la malinconia di ognicollezionista. In questo sensoOtto scrittori è il germe del li-bro folle e sublime che pub-

blicherà sette anni dopo, intito-landolo al più programmaticodei saggi in esso contenuti (ri-cordo ancora l'emozione da ho-oligan col quale lo lessi, nel '99,sull'Indice). Analogamentetrincerato, per il Novecentoitaliano, nel cuore di tenebradei Sommi Manieristi: Gadda,Landolfi, Manganelli.

Libro folle che parla di fol-lia (la nevrosi ossessiva de-scritta dalle pagine eponime,appunto) e libro maledettoche parla di maledizioni. È unfatto che l'editore che lo pub-blicò nel 2004, Quiritta, fallìpochi giorni dopo: cosicché Idemoni e la pasta sfoglia prati-camente non circolò. «Sangui-noso» feticcio nelle mani deglihappy few, fantomatico Gron-chi Rosa di un narratore che

nel frattempo si faceva ap-prezzare - non senza qualchediluizione di troppo - da unpubblico più vasto.

Le fisime e i fasti del Mariche prediligo - il maggior nar-ratore italiano degli anni No-vanta - sono catalogati da que-sto libro che ora Cavallo diFerro non senza coraggio hariproposto (con un nome-por-tafortuna, ad ogni buon con-to!): anche perché il suo nu-cleo consiste di articoli scrittiallora, cui si sono poi aggiuntisaggi più estesi (esemplare,per definizione icastica, la gal-leria dei «manieristi e irregola-ri» del Cinquecento: da Pon-tormo al Vasari, da Lando alDoni, da Cardano al Garzoni).

E tuttavia I demoni e la pa-sta sfoglia non può essere con-

fuso con una «normale» rac-colta di saggi. Perché nella rou-tine del genere s'è intruso il vi-rus folle, appunto, del collezio-nista: sin dalla prima edizione,e ulteriormente in questa as-

sai ampliata, Mari s'è infattipiccato di scrivere ex novo, co-me per un committente invisi-bile, su scrittori del suo cano-ne sui quali non aveva mai avu-to occasione di prendere la pa-rola: inseguendo un mosaicoimpossibile, costitutivamentevotato allo scacco.

La sua follia catalogatoriaassomiglia così a quella archi-tettonica dell'Almayer di Con-rad… oppure a quella dell'alie-nato Adolf Wölfli (eroe proietti-vo delle pagine forse più trasci-nanti del libro), che in manico-mio riempiva migliaia di fogli dimiriadi di faccine, tutte ricon-ducibili alle tessere di un mani-acale autoritratto. Siamo abi-tuati a considerare i saggi degliscrittori alla stregua di sinto-mi, spie della loro poetica; ma

un libro come questo illustracome meglio non si potrebbeuno dei principi, codificati dalsuo autore, della scrittura co-me «ossessione»: laddove tuttoè sintomo, nulla più lo è.

Ciò malgrado, ove ce ne fos-se lo spazio, sarebbero da di-scutere a lungo altri principidi queste pagine (alcuni deiquali mi vedono in risoluto di-saccordo, come quello «eroi-co» e «vichiano» per cui allaletteratura nuocerebbero laconsapevolezza ironica e il di-stacco intellettuale: il che inge-nera in Mari il disdegno per

Numi - non solo miei - quali Ja-mes, Nabokov o Cortázar).

Più preme riconoscere, inquesto libro «mostruoso», unmanifesto inattuale e dunquenecessario: madornale oggettocontundente scagliato controogni letteratura «minimali-sta», ossia formalmente rinun-ciataria e contenutisticamentesociologistica. Cioè contro piùo meno tutto quello che va dimoda oggi. Basterebbe questoa costringerci a seguire Mari,nella danza coi suoi demoni.

GIUSEPPEMARCENARO

Frontespizio da entu-siasmante soprassalto: Anto-nio Pizzuto, Pagelle. Un sus-sulto. Per «il ritorno» dell'au-tore e il piacere che permet-te l'evocazione di una formi-dabile temperie. L'autore in-tanto. Scrittore per carbona-ri, eccentrici snob, teoricidell'esclusivismo letterario?No. Un compito signore natoa Palermo nel 1893 che, en-trato nell'amministrazionepubblica, aveva raggiunto ilgrado di questore e presiden-te della Commissione inter-nazionale di Polizia crimina-le. Esemplare unico di que-store colto, leggeva Proust eJoyce, conosceva la musica,ed era attento lettore di lette-ratura contemporanea. Alsuo tempo esisteva ancora.Discusso e formidabile scrit-tore, si impose nel 1959 conSignorina Rosina, pubblicatodalle eroiche edizioni Lerici,cui seguirono in un crescen-te di eccitazione letteraria -ricordando alcuni titoli - Si ri-parano bambole (1960), ora ri-proposto da Bompiani, Ra-venna (1962) per arrivare allesublimi Pagelle I (1973) e Pa-gelle II (1975), ristampateadesso in edizione critica inunico volume.

All'epoca sua, dai più raf-finati cultori e critici della

letteratura (Contini, Luzi, Ca-proni, Del Buono, Bo, Milano,Baldacci, Sanguineti, ecc.)Pizzuto fu riconosciuto perl'originalità dell'opera, tra lepiù significative dell'avan-

guardia italiana. Si esprime-va in una lingua somma che,in parte escludendo l'usualprocesso di rappresentazione(venuta poi di gran moda condiffuse fiction e giovanilistici

plot d'accatto bottegaio,odierna ingannevole nonsto-ria con parvenza letteraria) siavventurava nel sublime pia-cere della forma e della suaperfezione, con una scritturache, in simultanea immedia-tezza, restituiva il flusso dellacoscienza e della memoria.

Troppo complicato per la(tele)visiva e illusoria manie-ra di leggere d'oggi? Pizzutoaveva aperto nuove dimensio-ni, compiendo un passo inavanti nel comprendere le in-teriori possibilità umane co-municandole con un libro.Raro trovare altri esempi ita-

lici di compenetrazione asso-luta, di fusione tra scrittura epercezione del mondo. Inogni pagina Pizzuto trasmet-te una formidabile esperien-za di vita cui corrisponde un'analoga carica che non puòessere semplicemente letta:pretende di essere risveglia-ta con il flusso della coscien-za del lettore.

Troppo difficile per i tem-pi nostri? Eppure non sonopassati così tanti secoli da

quanto l'uscita di un'opera diPizzuto la faceva giudicarecome miracolo della creativi-tà e della civiltà letteraria.Inoltre, gioioso e avvincentecome un dipinto di Pollock,Pizzuto è anche divertente.Intessuto di ironie corrosivedalla grana sottile sembre-rebbe ormai incomprensibileper la grossolanità di una lin-gua italiana tragicamentecorrotta («…E parla come ma-gni!»), strapiombata nel tri-

vio. Comunque la sorpresa ela resistenza di queste paginesta nella loro impensabile ric-chezza: uniche nel loro ina-spettato quanto sorprenden-te realismo.

Pizzuto, con la sua opera, èstato anche un avvertito econsapevole scrittore dei pro-blemi che incombevano sul ro-manzo moderno. Argomentod'antan? Almeno con l'occhioal «romanzo» d'oggi, tema im-proponibile.

Gli amati follicontro tuttii minimalisti

E il questoredi Proustdava le pagelle

Tema centrale èla lingua, o «morta»,lontana dalla vitaquotidiana, o grigiae standardizzata

Cosa bollenella pentoladel critico

Mari Una «mostruosa» collezionedi Numi, da Verne a Poe a Gadda

Pizzuto Tra le voci più significativedell’avanguardia, amato da Contini

DAL 1900 A OGGI

La critica letteraria= Da Bendetto Croce alla rete. In Le idee e laforma (Carocci, pp. 239, € 22,80), EmanueleZinato, professore a Padova, ripercorre la criticaletteraria in Italia dal 1900 ai nostri giorni.Distinguendo cinque periodi: Croce, appunto (e isuoi avversari), il modello di Gramsci, la criticastilistica e il modello Contini, la forma-saggio e lacritica interdisciplinare (Giacomo Debenedetti),Pasolini-Fortini-Calvino (e Cesare Cases, RomanoLuperini, Garboli, Claudio Magris). Fino a Internet,alla navigazione digitale.

pp Filippo La Portap MENO LETTERATURA,

PER FAVORE!p Bollati Boringhieri, pp. 134, €11

LE «CRONACHE» DI MAURIZIO CUCCHI

La poesia del Novecento= Cronache di versi. Maurizio Cucchi, a sua volta poeta (e criticoletterario: la rubrica su Tuttolibri), ripercorre il secolo scorsoascoltandone il respiro lirico. Le sue Cronache di poesia del Novecentoescono per i tipi di Gaffi (pp. 450, € 18, a cura di Valeria Poggi). Saggi,introduzioni, ritratti, recensioni. Da Zanzotto a Giudici («Eccezionalesoprattutto per la pienezza, il rigore morale, che dimostra senzaindugi»), da Moretti («Un dire abbassato, prosastico, ironicamenterinunciatario») a Saba e Ungaretti, da Porta ai cantautori (invitati a nonfare i poeti), da Zeichen a Luzi, a Pasolini, da Rocco Scotellaro (un’operache si sostanzia di una materia tratta dal suo pieno coinvolgimento nelreale») a Alberto Bevilacqua.

Brevini e La Porta Due discutibili de profundisper un mondo che non sa più nominare le cose

«Autoritrattoa stampa»: un bilanciointellettuale traAnceschi, Dubuffet,l’avanguardia, il Dams

Raro trovare altriesempi italicidi così magistralefusione tra scritturae percezione del mondo

pp Franco Brevinip LA LETTERATURA

DEGLI ITALIANIp Feltrinelli, pp.157, € 17

FENOMENOLOGIA

Il mito di Umberto Eco= L’intellettuale italiano «vivente piùconosciuto del pianeta». Michele Cogo indagasulle origini di un mito contemporaneo nelsaggio, introdotto da Paolo Fabbri,Fenomenologia di Umberto Eco (Baskerville, pp.182, € 22), che immediatamente richiama laFenomenologia di Mike Bongiorno dello stessoautore de Il nome della rosa). In particolare, lostudio esplora gli anni che vanno dal 1958 al1964, dalle riflessioni su San Tommaso ai saggi suApocalittici e integrati.

Barilli Sempre alla ricerca del nuovo,in tre orti: estetica, arte, letteratura

pp Renato Barillip AUTORITRATTO A STAMPAp Fausto Lupetti Editorep pp. 510, €20

UNA GALLERIA DI RITRATTI E AUTORITRATTI

Il corpo degli scrittori= Una storia della letteratura attraverso il corpo. Dalle rughe diAriosto ai muscoli di D’Annunzio, Dalle spalle di Leopardi al naso diFenoglio, dagli occhi (turchinicci) di Federigo Tozzi al cervello diCalvino, dal teschio di Orfeo a «L’angelo e il gobbo», ovvero«l’ubiquità riflessa» di Palazzeschi. Attorno a questo mio corpo(Hacca, pp. 620, € 24), ritratti e autoritratti degli scrittori dellaletteratura italiana, è una galleria a cura di Laura Pacelli, MariaFrancesca Papi e Fabio Pierangeli. Una sorta di galleria «fisica».Allestita ricorrendo a fonti diverse: dalla fotografia (quando c’è) agliepistolari, dai documentari ai propri o altrui ricordi «e, laddovenessuna testimonianza può dirsi certa, all’immaginazione».

Ma la letteraturanon è mica il Tg1

«I demoni e la pastasfoglia»: un mosaicoe un manifesto critico,la scrittura comeeterna «ossessione»

pp Antonio Pizzutop SI RIPARANO BAMBOLEp a cura di G. Alvinop Bompiani, pp. 265, €11

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pp Antonio Pizzutop PAGELLEp a cura di Gualberto Alvinop Edizioni Polistampa, pp. 344, €24

pp Michele Marip I DEMONI

E LA PASTA SFOGLIAp Cavallo di Ferro, pp. 613, €28

Graphic Arts Ovvero gli artisti del segno e del colore al servizio della pubblicità (e della propaganda). Ma anche viceversa, essendo lapubblicità sempre più fonte munifica per chi d’arte vuol vivere. Un connubio fertile che tra fine ’800 e ’900 si è manifestato sulle paginedelle riviste e sui muri, fin quando non arrivarono prima la tv e ora Internet. Questa la storia ripercorsa per immagini nel caleidoscopicoGraphic arts edito da Logos (pp. 600,€ 49,95) da cui l’illustrazione, qui sopra, di Jean D’Ylen per la penna Waterman, 1920.

Renato Barilli

Michele Mariha raccolto

in un’antologiadi 600 pagine

i suoi scrittidi critica

letteraria.Il suo ultimo

romanzo è«Rosso Floyd»

(Einaudi)ispirato alla

storiadei Pink Floyd

Antonio Pizzuto (1893-1976), scrittore, dopo una vita da questore

Umberto EcoMaurizio Cucchi

Rassegna della criticaVITuttolibri

SABATO 8 GENNAIO 2011LA STAMPA VII

Page 8: Tuttolibri n. 1747 (08-01-2011)

Pagina Fisica: LASTAMPA - NAZIONALE - IX - 08/01/11 - Pag. Logica: LASTAMPA/TUTTOLIBRI/09 - Autore: MARGAL - Ora di stampa: 07/01/11 18.52

LA GRANDE GUERRA

Sul suolo di FranciaMarna,Verdun,Somme,ChemindesDames.PierPaoloCervone,giornalista, inLagrandeguerrasulfronteoccidentale (Mursia,pp.180,€ 17) ricostruisce le4battaglie«piùcruente,eperciòmaledettamente importanti, chesi sonocombattutesul suolofrancesenel corsodellaGrandeGuerra».Comefontiprivilegiate,idiari, cosìdandovocealle vittimedelconflitto«eai lorocarnefici,ovvero igenerali, carrieristisenzascrupoli».

ALESSANDROBARBERO

Dopo il colpo di Statodi Luigi Napoleone, presiden-te della Repubblica francese,che il 2 dicembre 1851 mandòin piazza l'esercito e assunsepoteri dittatoriali, Cavour an-notava: «La paura del sociali-smo vince nei francesi l'amoredella libertà. Gran lezione».La vicenda di colui che è poipassato alla storia come l'im-peratore Napoleone III, e cheVictor Hugo ribattezzò «Na-poleone il piccolo», è di straor-dinario interesse per chi vo-glia capire come funzionano ledemocrazie moderne, soprat-tutto nei Paesi politicamentelacerati, dove l'odio di partitoprevale sull'amor di patria, edove paure reali o immagina-rie hanno più presa sugli elet-

tori dell’attaccamento alla de-mocrazia e alla libertà.

La Francia di metà Otto-cento era un esempio da ma-nuale. Il tasso di natalità eracrollato in pochi anni fino a ra-sentare lo zero. L'economiadell'«arricchitevi!», promos-sa pochi anni prima dal re Lui-gi Filippo, aveva avuto comerisultato, nelle parole di uneconomista dell’epoca, che«lo spirito imprenditoriale siè tramutato in speculazione ela speculazione in gioco d'az-zardo», creando una bolla chepoteva scoppiare in qualun-que momento.

Il Paese era ideologica-mente spaccato, con linee difaglia che s'incrociavano ren-dendo impossibile qualsiasimaggioranza: se i ceti possi-denti e la Chiesa erano acco-munati dal terrore dei comu-nisti, la stessa classe borghe-se era divisa fra la difesa coc-

ciuta e intransigente della laici-tà dello Stato e un partito catto-lico i cui giornali, come informa-va un agente piemontese da Pa-rigi, «torturano i fatti, taccionoo negano l'evidenza, combatto-no colle armi della menzogna edella calunnia» (ma era un pro-blema che accomunava la stam-pa clericale anche al di qua del-le Alpi: non a caso fu la Civiltàcattolica a inventare la cifra diun milione di morti per la re-pressione del brigantaggio, og-gi ampiamente ripresa dai blog-ger più creduloni).

Era, insomma, il terreno dicoltura ideale per forme di «lea-derismo plebiscitario», autori-tario, antiparlamentare, populi-stico, carismatico, e almeno aparole modernizzatore, per ri-prendere i termini con cui Eu-genio Di Rienzo apre la sua den-sissima biografia politica di Na-poleone III. Quando il futuro im-peratore aveva appena dodicianni, sua madre gli aveva ricor-dato che lui, un giorno, avrebbepotuto aspirare al trono, e gliaveva spiegato «che per voinon è impossibile divenire lette-ralmente un idolo», se avessesaputo persuadere il popoloche lui solo si preoccupava delsuo benessere e sapeva prodi-garsi per realizzarlo.

Cresciuto fra esilio, cospira-zioni fallite, arresti e anni di ga-lera, il giovane principe non per-se mai di vista questo obiettivoe affinò l'abilità tattica necessa-ria per realizzarlo. DivenutoPresidente della Repubblica, ba-dò a ripetere al popolo che luiera uno di loro, che i suoi amicinon vivevano nei palazzi del po-tere ma nei tuguri e nelle offici-

ne; e che lui non era il seguaced'un partito, ma l'eletto del po-polo, forte di milioni di suffragi.

Era l'estate del 1849 e il«Principe-Presidente» si preoc-cupò anche di avvertire i suoielettori che «le voci infondate diun colpo di Stato, in cui potreiessere stato coinvolto», eranosoltanto calunnie. Puntuale, ilcolpo di Stato arrivò due annidopo, al prezzo (che Di Rienzo,biografo indulgente, giudica«contenuto») di quasi un miglia-io di morti nelle strade di Parigi,più le vittime, certamente mol-to più numerose, del «terrore

bianco» scatenato in provincia,che fra esecuzioni capitali e de-portazioni alla Caienna annien-tò, o credette di annientare, i te-mutissimi «rossi».

Assunta la dittatura, Napo-leone III si affrettò ad assicura-re tutti che il suo regime sareb-be stato moderato, progressi-sta e benevolo. Le Camere ri-manevano, anche se non aveva-no più il potere di proporre leleggi, riservato all'imperatoree al suo Consiglio; così, assicu-rò Napoleone, non sarebbe piùaccaduto che perdessero il lorotempo in inutili discussioni, co-

me succedeva sotto la Repub-blica. Il rendiconto delle sedute«non sarebbe più stato affidatoallo spirito fazioso dei vari gior-nali», ma a un bollettino ufficia-le. La stampa era sottoposta acensura, la libertà di associazio-ne ridimensionata, il controllopoliziesco accentuato, ma tuttoquesto era necessario per per-mettere all'uomo della Provvi-denza di adempiere al mandatodel popolo.

Di Rienzo assicura che l'uo-mo era in buona fede e che rima-se lui per primo stupefattoquando si accorse che il sistemanon funzionava e il Paese diven-tava ingovernabile (complice,osserva l'autore non senza indi-gnazione, il «perverso disegno»dell'opposizione che, chissà per-ché, faceva di tutto per sabota-re la politica dell’imperatore).Via via che il conflitto socialesfuggiva a ogni controllo, che igiornali rialzavano la testa e cri-ticavano con sempre maggiorasprezza, che le finanze delloStato sprofondavano nel disse-sto, l'imperatore non seppe faraltro che appellarsi ancora unavolta al popolo, e il popolo non lodeluse: il plebiscito del maggio

1870 diede più di 7 milioni di sì,contro un milione e mezzo di noe 2 milioni di astensioni.

Nemmeno quattro mesi do-po Napoleone III, imbarcatosinella catastrofica guerra controla Prussia, era sbaragliato e cat-turato a Sedan, i deputati re-pubblicani proclamavano la re-staurazione della Repubblica, eil rappresentante parigino dellabanca Rothschild comunicava aLondra che dei sette milioni divotanti neppure uno era dispo-sto a muovere un dito per soste-nere l'imperatore: il plebiscitoaveva fatto apparire il suo pote-re invulnerabile, «ora esso sva-niva nel nulla senza provocareneppure una voce di protesta».Come direbbe il conte di Ca-vour, «gran lezione».

ERNESTOFERRERO

Il titolo italiano diquesta ricerca storiografi-ca, insieme poderosa e affa-bile, La tragedia di Napoleo-ne in Russia, andrebbe op-portunamente rovesciato.Vi si racconta soprattutto latragedia della Russia che,aggredita da Napoleone nelgiugno del 1812, prima si di-fende a mente fredda, poicontrattacca con l'aiuto dell'inverno, giustamente non siferma alla Beresina e nelmarzo 1814 arriva trionfal-mente a Parigi. Una provadi forza morale e coesionepatriottica, ma anche di im-prevedibili capacità organiz-zative. Nell'immane cimen-to trova se stessa e ne escecome grande nazione. Nonbastano eroi e strateghi avincere le guerre: ci vuoleuna buona logistica, lo sfor-zo produttivo dell'industria,la fluidità degli approvvigio-namenti, l'efficacia dei colle-gamenti interni. Ottimo or-ganizzatore, Napoleone tro-vò in Russia degli avversaridegni di lui.

Che il volume adotti un'ottica russa (finalmente: ècosa rarissima) lo si deve an-che a un dato biografico:l'autore, Dominic Lieven,docente di Storia russa alla

London School of Economics,discende dal più giovane deigenerali dell'entourage dellozar Alessandro, e capo dellasua segreteria militare. La fa-miglia apparteneva all'aristo-crazia tedesca del Baltico;sua madre, intima amica del-la zarina madre, fornirà a

Tolstoj il modello per un per-sonaggio del suo gran roman-zo. Erano molti i non russi trai generali e i consiglieri dellozar, da un altro tedesco-balti-co, Barclay de Tolly, all'au-striaco Wittgenstein, avo del

filosofo: segno delle aperturemultietniche di cui era capa-ce il giovane impero, anche secerte decisioni dei «tede-schi», difficili ma lungimiran-ti, provocarono drammatichefrizioni interne: a partire dal-la quella di abbandonare Mo-sca per salvare l'esercito. Fu-rono in molti a parlare di tra-dimento e codardia.

Spira dunque sul volumel'aria del dissimulato orgogliodi chi può rivendicare alla pa-tria degli avi meriti a lungomisconosciuti. La spina dor-sale dell'impero, l'aristocra-zia, diede buona prova di sé esi spese con generosità; lo zarAlessandro, dipinto spessocome un bamboccione inna-morato di sé, irresoluto e unpo' femmineo, fu capace di so-stenere ed attuare il pianoelaborato con largo anticipo

con Barclay, grazie anche aisuoi servizi segreti: logorareNapoleone con una campa-gna difensiva in Russia, poi in-seguirlo oltre il confine, riu-nendo Prussia e Austria con-tro di lui. Riuscì a persuadere

tutti che una pace durevolenon poteva essere firmatache arrivando a Parigi, comepoi di fatto avvenne, anche sela vittoria fu costosissima (l'inverno del 1812 fu tremendoanche per i russi, e quasi me-tà dell'esercito andò perdutanella lunga campagna succes-siva in Germania e Francia).

E dire che anche Tolstoj (econ lui poi, paradossalmenteil regime sovietico) ne aveva-no dato un'interpretazione ri-duttiva: i comandanti (tede-schi e pedanti, e pedanti per-ché tedeschi) non avevano ungran controllo sugli avveni-menti, la strategia era unacombinazione di improvvisa-zione e casualità. Di qui l'en-fasi sul ruolo di Kutuzov co-me incarnazione della saggez-za e del patriottismo popola-re, anche se era un aristocra-

tico ben introdotto a corte.Lieven rimette le cose a po-

sto, adottando il doppio ap-proccio della visuale a largoraggio («il punto di vista diDio») e l'attenzione al detta-glio rivelatore («il punto di vi-sta del verme»), come la sca-dente qualità delle cartucceche rendeva poco affidabili imoschetti russi. Per questopuò arrivare a dire che la ve-ra differenza tra i due conten-denti la fecero i cavalli: fonda-mentale arma d'assalto, inse-guimento, ricognizione, tra-sporto, mobilità. I russi netrovavano in abbondanza nel-le steppe e potevano contaresu 250 allevamenti privati;persi i suoi durante la ritira-ta, Napoleone pagò duramen-te quell'inferiorità.

Anche se da buon storicomilitare Lieven si infervorasoprattutto nelle battaglie,la buona leggibilità del librosi deve anche all'efficaciacon cui delinea rapidamentei caratteri dei molti perso-naggi che affollano la vicen-da. Con il loro ricco campio-nario di virtù e difetti, do-vrebbero ci insegnarci moltecose ma, si sa, se la Storia èuna buona maestra, gli uomi-ni sono dei pessimi allievi (lostesso Napoleone, che pureera un lettore forte, e poi Hit-ler). E tuttavia ci converràleggere con attenzione que-sta storia di duecento annifa, perché ci racconta dellaRussia cose che possono tor-nare buone anche oggi.

Napoleone III Ascesa e caduta di un leaderplebiscitario, populista e antiparlamentare

E in Russiail Corso fusbalzato di sella

Così l’Imperatoresvanì nel nulla

Napoleone I Nelle battaglie del 1812la vera differenza la fecero i cavalli

pp Dominic Lievenp LA TRAGEDIA

DI NAPOLEONE IN RUSSIAp trad. di L. Agnese Dalla Fontanap Mondadori, pp. 658, €30

pp Eugenio Di Rienzop NAPOLEONE IIIp Salerno Editrice, pp. 715, €30

«Napoleone e i suoi generali» di Ernest Meissonier

«Napoleone il piccolo»,lo ribattezzò Hugo:una densissimabiografia politicadi Eugenio Di Rienzo

Quando, comeosservò Cavour,«la paura del socialismovince nei francesil’amore della libertà»

Una tragedia ripercorsada Dominic Lieven,discendente dal piùgiovane fra i generalidello zar Alessandro

Storia TuttolibriSABATO 8 GENNAIO 2011

LA STAMPA IX

Napoleone III qui ritratto con Eugenia de Montijo, la messicana sposata nel 1853, ed il figlio

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6

Appunti diun venditoredi donneFALETTIB.C.DALAI

70

40

Saggistica TascabiliNarrativaitaliana

754

3

Narrativastraniera Varia Ragazzi

Benvenutinella miacucinaPARODIVALLARDI

5681

La cadutadei giganti

FOLLETTMONDADORI

LA CLASSIFICA DI TUTTOLIBRI È REALIZZATA DALLA SOCIETÀ NIELSEN BOOKSCAN, ANALIZZANDO I DATI DELLE COPIE VENDUTE OGNI SETTIMANA, RACCOLTI IN UN CAMPIONE DI 900 LIBRERIE.SI ASSEGNANO I 100 PUNTI AL TITOLO PIÙ VENDUTO TRA LE NOVITÀ. TUTTI GLI ALTRI SONO CALCOLATI IN PROPORZIONE. LARILEVAZIONESIRIFERISCEAIGIORNIDAL19DICEMBREALL’1GENNAIO.

AI PUNTILUCIANO GENTA

Un Natalepassato

tra i fornelli

1. Il piccolo principe 17SAINT-EXUPERY 7,50 BOMPIANI

2. La solitudine dei numeri primi 14GIORDANO 13,00 MONDADORI

3. L’ombra del vento 10RUIZ ZAFON 13,00 MONDADORI

4. Il giorno in più 8VOLO 12,00 MONDADORI

5. L’amico ritrovato 8UHLMAN 5,50 FELTRINELLI

6. La bellezza e l’inferno 7SAVIANO 10,00 MONDADORI

7. La biblioteca dei morti 7COOPER 13,00 TEA

8. Gomorra 7SAVIANO 10,00 MONDADORI

9. Mille splendidi soli 7HOSSEINI 12,00 PIEMME

10.Un posto nel mondo 6VOLO 12,00 MONDADORI

5

4145

Il cuoree la spada

VESPAMONDADORI

9

Immersi in una «accelerazione della storia e della vi-ta», viviamo l’«epoca della fretta», come ben argomen-ta Diego Fusaro in Essere senza tempo (Bompiani).

E così molti han definito i bilanci dell’anno prima ancorache finisse. Qui, da sempre ligi al festina lente, dobbiamoancora fare i conti delle ultime due settimane di dicembre.La partita delle strenne si è giocata tutta tra i fornelli e latavola con una grande abbufata di Benedetta Parodi. I100 punti di Benvenuti nella mia cucina valgono per noiquasi 80 mila copie, cui si aggiungono le altre 40 mila diCotto e mangiato; senza dimenticare poi le 35 mila di Ca-sa Clerici. Il giovane Walter della Littizzetto, arzillissi-

mo (60 mila copie), non è andato in bianco, ma ha dovutoaccontentarsi del secondo posto. Poi nella tabella dei primi10, trionfano i nomi noti e i soliti generi, fra il mistery, lacommedia e la narrazione storica. Eco batte Faletti, Am-manniti fa il doppio di Camilleri, Piccolo - forse anche gra-zie al titolo benaugurale e al modico prezzo - ha vendutopiù dei premi Strega e Campiello, Pennacchi, Murgia eAvallone. L’unico straniero è Follett (e tra i primi 20 se neaggiungono appena altri 2, Grisham, l’unico uscito a ridos-so del Natale, e Coelho). Netta la supremazia degli italianianche in saggistica: a parte papa Ratzinger (5˚), c’è solol’autobiografia di Keith Richards (22˚). Ciò detto, nelle ta-

belle compaiono anche titoli non cucinati solo per le feste:ad esempio il Solar di Mc Ewan o le memorie di EnzoBianchi. E se si scorgono i dati, oltre le liste dei 10, si ritro-vano titoli per cui si auspica vita lunga, come, fra i roman-zi italiani, XY di Veronesi (14˚) o Nel mare ci sono i coc-codrilli di Geda ((17˚). Vedremo sabato prossimo se equanto le somme totali del 2010 confermeranno questa fo-tografia. Certo sarebbe salutare concedersi un letargo,una pausa per ripescare e valorizzare autori di qualità ri-masti in ombra. Ma il mercato non si ferma mai e incombeuna cascata di novità. Ad esempio per metà gennaio già siprofilano ben due Camilleri. Anno nuovo, ...

L’ oppio di De Quincey di-venta un iPhone per ilgiovane Luca Zirondoli,

la marmellata di arance di Aliceè trasformata in cinepanettoneda Elisa Rotondi e altre «cover»nascono da Kafka e Cechov,Dante e Hugo sino a Cavinaecc.: in 24 hanno tagliato il tra-guardo dei vari concorsi di Let-teratura Rinnovabile, l’«artedi copiare», vecchia come il mon-do, reinventata, con il sostegnodi Eni e Caterpillar di Radio2Rai, da Marco Zapparoli e Clau-dia Tarolo per la loro Marcos yMarcos che ha poi selezionato imigliori risultati nell’Almanac-co appena uscito: gustosa possi-bilità di confronto tra i testi ori-ginali e i nuovi. Per i coniugi edi-tori (stimate scelte letterarie esimpatia per l’indissolubile lega-me con la bicicletta: la ri’bike fi-gura tra i premi ai ri’scrittori...)uno dei modi di onorare i 30 an-ni di vita, mai troppo facile, del-la sigla, spagnolescamente riferi-ta ai due «Marco», fondatori

ventenni nel ’91, uno dei quali, ilFranza, presto transfuga.

Top dei festeggiamenti in apri-le a Milano e Roma, con appositomarchio di Matticchio, una cico-gna che vola. A marzo la nascitadella «Piccola Scuola di Arti Nar-rative», ma si parte già adessocon un minicatalogo come mazzodi carte: al posto delle figure tradi-

zionali, volti di scrittori, coperti-ne: 35 dei 600 titoli del catalogovero e proprio, dove tuttora si pe-sca tra classici, Novalis e Leonar-do, Kleist, Dürrenmatt, Luzi,Lem, Willeford, e «se oggi JohnFante non è più relegato alla pol-vere, forse lo si deve a questa edi-trice» che, del pari, lancia talentistranieri e italiani, Longo, Cavina(ultimo Scavare una buca), Ma-trone, e accudisce Riga, la rivista,ora collana, diretta da Belpoliti eGrazioli, giunta al numero 31 conla monografia di Furio Jesi, laprossima dedicata a John Berger.

Pezzo forte del compleanno (in-tanto che il 2011 si apre con Disa-stri del russo, alla Jonesco, DaniilCharms e con Il correttore dellospagnolo Menéndez Salmòn, tra-dotto dalla Tarolo), la collanina«Tredici», con altrettanti autoridi casa, Zaadorian e Toole, Gold-man e Ervas, Fforde. In testa An-geles Caso che, per fedeltà, ha sino-ra rifiutato ricchi inviti: nessunviatico migliore di questo per il fu-turo di Marco y Claudia.

1. L’abbraccio 17GROSSMAN; ROVNER 10,00 MONDADORI

2. Gli ultimi eroi 12TROISI 18,00 MONDADORI

3. Sesto viaggio nel regno della fantasia 8STILTON 23,50 PIEMME

4. PercyJackson e il mare dei mostri 7RIORDAN 17,00 MONDADORI

5. Ruti vuole dormire e altre storie 6GROSSMAN 15,00 MONDADORI

6. Il girotondo del sorriso. Con CD audio 6MACCHETTO; D’ALTAN 19,00 MONDADORI

7. Harry Potter e i doni della morte 4ROWLING 23,00 SALANI

8. Rapunzel.L’intrecciodella torre 4- 12,90 WALT DISNEY ITALIA

9. La storia de Il naso 4CAMILLERI 12,90 L’ESPRESSO

10.Percy Jackson e il ladro di fulmini 4RIORDAN 17,00 MONDADORI

100

8

I doloridel giovaneWalterLITTIZZETTOMONDADORI

Cottoe mangiato

PARODIVALLARDI

I segretidel Vaticano

AUGIASMONDADORI

C he sia una vera fine e unvero inizio: è l’auguriopiù bello sentito in giro

per l’anno nuovo. Ma non saràcosì, lo sappiamo tutti, nientecesure, rivoluzioni ormai pochi-ne, procediamo semmai permutamenti e smottamenti e re-pliche sempre più rassegnate.Neanche quest’anno, come datradizione, terremo fede aiBuoni Propositi di Capodan-no: e speriamo sinceramenteche non ottemperi neppure Ru-th Franklin, critichessa di TheNew Republic, la quale annun-cia «How I'll Be A Better Rea-der in 2011», come diventeràuna lettrice migliore. E qui, suquel «migliore», si spalancauna voragine di senso.

Che cosa significa essere unbuon lettore, e che cosa quindimigliorarsi? Domande di nes-sun conto per Mrs Franklin, lacui visione è molto più pratica,e prosaica. Primo, dimagrire:nel senso di leggere più librielettronici che cartacei, evitan-

do gli sprechi (encomiabile: masignifica leggere «meglio»?). Se-condo, fare più ginnastica: dellamente, certo. Terzo, imparareuna lingua straniera: cioè accor-gersi, da americana, che il restodel mondo esiste. Quarto, smet-tere di fumare: metafora stirac-chiata per annunciare l’intenzio-ne di disintossicarsi da quanto

distrae dalla lettura, per esem-pio smettendo di controllare incontinuazione telefonino oemail. Quinto, passare più tem-po in famiglia e con gli amici:cioè parlare di più dei libri letti,e parlarne sui social networks.Fine dei buoni propositi di MrsFranklin. E i vostri quali sono,che cosa vuol dire augurarsi didiventare un lettore «migliore»?

Non soltanto spegnere il tele-fonino e accendere l’ebook, si spe-ra. È uscito da Penguin un li-bretto intitolato Twitterature:i classici, da Shakespeare aKafka, riassunti in 140 caratte-ri, come su Twitter. «Twittera-ture vi fornisce tutto il necessa-rio per padroneggiare la grandeletteratura, evitandovi la pesan-te incombenza di leggerla», reci-ta la pubblicità, fingendo discherzare. Ecco: nell’anno nuo-vo, noi ci ripromettiamo di evita-re le twitterate letterarie e di leg-gere senza scorciatoie: un propo-sito che potrebbe persino avve-rarsi, visto che nulla cambia.

1. La caduta dei giganti 41FOLLETT 25,00 MONDADORI

2. Io confesso 30GRISHAM 20,00 MONDADORI

3. Le valchirie 19COELHO 18,00 BOMPIANI

4. La lista 14CONNELLY 22,00 PIEMME

5. Solar 14MCEWAN 20,00 EINAUDI

6. La ragazza che rubava le stelle 11BARRY 18,60 GARZANTI

7. Mangia prega ama 11GILBERT 18,50 RIZZOLI

8. L’esecutore 11KEPLER 18,60 LONGANESI

9. L’eleganza del riccio 10BARBERY 18,00 E/O

10. Una ragazza da Tiffany 10VREELAND 18,00 NERI POZZA

I PRIMI DIECI INDAGINE NIELSEN BOOKSCAN

Io e te

AMMANITIEINAUDI

812

32

4

Le ricettedi Casa Clerici

CLERICIRIZZOLI

1. Benvenuti nella mia cucina 100PARODI 14,90 VALLARDI

2. I dolori del giovane Walter 81LITTIZZETTO 18,00 MONDADORI

3. Cotto e mangiato 54PARODI 14,90 VALLARDI

4. Le ricette di Casa Clerici 45CLERICI 15,90 RIZZOLI

5. L’oroscopo 2011 20FOX 10,00 CAIRO

6. Tutto quello che non vi ho detto... 13BRIGNANO 19,90 RIZZOLI

7. Un napoletano come me 12SIANI 16,00 RIZZOLI

8. Recital. Con 2 DVD 11GUZZANTI 16,90 FELTRINELLI

9. È facile smettere di fumare... 8CARR 10,00 EWI

10.Guinness World Records 2011 7- 28,00 MONDADORI

CHE LIBRO FA...NEL 2011

GIOVANNA ZUCCONI

I classicima senza

Twitter

1. Il cimitero di Praga 81ECO 19,50 BOMPIANI

2. Appunti di un venditore di donne 70FALETTI 20,00 B.C. DALAI

3. Io e te 56AMMANITI 10,00 EINAUDI

4. Momentidi trascurabile felicità 30PICCOLO 12,50 EINAUDI

5. Il sorriso di Angelica 26CAMILLERI 14,00 SELLERIO

6. Canale Mussolini 22PENNACCHI 20,00 MONDADORI

7. Acciaio 17AVALLONE 18,00 RIZZOLI

8. Un karma pesante 17BIGNARDI 18,50 MONDADORI

9. Accabadora 15MURGIA 18,00 EINAUDI

10.Leielui 15DE CARLO 18,50 BOMPIANI

1. Il cuore e la spada 40VESPA 22,00 MONDADORI

2. I segreti del Vaticano 32AUGIAS 19,50 MONDADORI

3. Impero. Viaggio nell’Impero di Roma 32ANGELA 21,00 MONDADORI

4. La manomissione delle parole 20CAROFIGLIO 13,00 RIZZOLI

5. Luce del mondo... 19BENEDETTO XVI 19,50 LIBRERIA EDITRICE VATICANA

6. Ogni cosa alla sua stagione 19BIANCHI 17,00 EINAUDI

7. La patria bene o male 18FRUTTERO & GRAMELLINI 18,00 MONDADORI

8. Metastasi. Sangue, soldi e... 15NUZZI; ANTONELLI 14,60 CHIARELETTERE

9. Marilyn. Vivere e morire d’amore 14SIGNORINI 18,50 MONDADORI

10.La pancia degli italiani... 14SEVERGNINI 16,00 RIZZOLI

Classifica TuttolibriSABATO 8 GENNAIO 2011

LA STAMPAX

Il cimiterodi Praga

ECOBOMPIANI

PROSSIMAMENTE

MIRELLA APPIOTTI

I magnifici30 anni

di Marcos

1

10

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Page 10: Tuttolibri n. 1747 (08-01-2011)

Pagina Fisica: LASTAMPA - NAZIONALE - XI - 08/01/11 - Pag. Logica: LASTAMPA/TUTTOLIBRI/11 - Autore: MARGAL - Ora di stampa: 07/01/11 18.53

f

DANTE ALIGHIERI

Divina CommediaOscar Mondadori4 voll., pp. Cl-3367, € 45

«Bisogna leggerla erileggerla. Ogni tanto si devetornare a questa summadel sapere e storia di unaformazione individuale»

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PRIMO LEVI

La treguaEinaudi, pp. 272, € 10

«È il romanzoche raccogliela testimonianzadel viaggiodi ritorno in Italia dopoAuschwitz.Un libro intenso,pieno di gioia per il ritorno,per l'amicizia, testimonial'allegriaper la vita»

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WINFRIED GEORG SEBALDAusterlitzAdelphi, pp. 315, € 9,60

«È l’ultimo libro delloscrittore tedesco. Intrecciastoria, riflessione filosoficae cronaca nel bellissimoracconto di vite spezzatedalla guerra edallo stermino nei lager»

POLITICA E AMORE

L’indiano di Radio AliceTondelli lodefinì «il librochehaaperto la stradaalla letteraturadeglianniottanta».Boccaloneritornaper i tipidiBompiani il 19gennaio(pp.160,€ 8).Una«storiaverapienadibugie»,comeavverte il sottotitolo,ungiovanemilitantestudentesconellaBolognadel1977trapoliticaeamore.Palandri ovvero«l’indianodiRadio Alice», comeloappellòNicoOrengonell’intervistaperTuttolibri, apparsa il9giugno1979.«Sembraappenauscito,oprontoarientrarenella storiacheracconta il suo libro- lodescriveOrengo-,quelladiEnricoeAnnachesi incontranoaBologna.Siincontrano, se lacontano, leihamolteamiche, lui costruiscemongolfieree recitaversipercontosuo.Si innamorano,anche.Senzavolersi travestire, il libroraccontaquestoamore, chedipendedal sole,dall’umore,dallastagione,dagli amiciunpo’freak,dai fiori edagli spinelli».Palandri consideragiusto«farrientrareBoccalonenel filonedeitestinatidalMovimento».Spiega(spiegava):«Inme ildesideriodiscrivereènatovivendo inquestogruppodiAliceDisambientata,conGianniCelati, checihainsegnatonuoviusidella scrittura,congli Skiantos chepropongonoundiversomododi faremusica».

I PREFERITI Torna dopo oltre 30 anni il romanzo del Movimento ’77,il testo-manifesto della rivolta giovanile bolognese,dei balli e delle feste di piazza Grande e del Dams

MIRELLASERRI

Lei è anna (con la mi-nuscola), giacca rossa e salo-pette bianca, riccioli morbidi ecosce sottili, tante amiche concui parlotta sottovoce. Lui è en-rico (senza la maiuscola) sban-dato dolce eroe della fine deglianni Settanta, dalla bocca lar-ga e dal cuore grande che ride,piange e trabocca di emozioni.Non a caso è soprannominatoBoccalone: un titolo e una sto-ria, quella di una generazione.Perché Boccalone vuol dire«chiacchierone, ganzo, non-sa-tener-segreti, affettuoso, ci-trullo»: così recitava il risvoltodi copertina del primo roman-zo di Enrico Palandri pubblica-to nel 1979 da una minuscolacasa editrice, L'erba voglio.Che proseguiva: «Dopo questolibro non si potrà più dire che igiovani non sanno scrivere».

Parole profetiche: la boccalarga ebbe un'enorme afferma-zione, segnò un'epoca e un'epi-ca, quella del movimento del '77e fu il testo-manifesto della ri-volta giovanile, dei balli e dellefeste di piazza Grande e delDams (in quegli anni tra gli al-lievi vi erano Palandri, AndreaPazienza, Pier Vittorio Tondel-li e altri), di Radio Alice, delle ri-viste A/traverso e Il Male, degliscontri tra studenti e polizia.

Oggi Palandri - trasferitosia Sant’Elena, nel sestiere piùverde di Venezia, dopo aver vis-suto per vent’anni in Gran Bre-tagna, tre figli - con qualche filogrigio nei capelli, scrittore dal-la copiosa produzione (di recen-te è uscito Fratelli minori, daBompiani), «ritrova», a 31 annidi distanza, Boccalone (il 19 gen-naio sempre dallo stesso edito-re). E riappare in singolare con-comitanza con le cittadelle uni-versitarie che di nuovo han re-spirato aria di lacrimogeni econ la protesta studentescache si è fatta largo tra blindati emanganelli (ma nel '77 vi furo-no i carri armati a presidiare laSapienza di Roma).

Una coincidenza? Esistonodelle somiglianze tra i ra-gazzi di ieri e quelli di oggiche scendono in piazza?

«Oggi gli studenti che fannosentire la loro voce in tutte lecapitali europee, a Londra, do-ve insegno, a Roma, Parigi oAtene, esprimono un identicostato d'animo e mi ricordanogli indiani metropolitani, testi-monial dell'insofferenza deglianni Settanta: con la differenzache all'epoca si diceva che i ven-tenni cercavano lavoro ma chein realtà non lo volevano trova-re considerandolo troppo alie-nante. Adesso invece l'occupa-zione non la cercano per niente,tanto sanno che faranno un bu-co nell'acqua. Il disagio rischiadi essere ancor più esplosivoche in passato. Il mio libro, cheparlava di politica ma anche diamore, voleva dare anche unatestimonianza della solitudinein cui si trovavano i ragazzi.Una condizione che oggi si è ac-centuata».

Lei giovane...,«Sono sempre stato piuttostopovero. Ho passato molto tem-po con i grandi classici, Steven-son, Verne, Flaubert, Valéry,Kafka, Dostoevskij, Tolstoj,con i contemporanei, comeEdoardo Sanguineti, Nanni Ba-lestrini, Luigi Meneghello, econ tanta poesia di PhilipLarkin, Eliot, Montale, Saba. Afarmi compagnia quando ero

un liceale c'era anche la musica:Bob Dylan, Luigi Tenco, Gino Pa-oli, Bruno Lauzi».

La sua opera prima era affolla-ta di citazioni da Majakovskij,Rimbaud, Eluard, TorquatoTasso. Fu accompagnata, pe-rò, da questa epigrafe: «Aquelli che capiranno che que-sto non è un romanzo e che ionon sono uno scrittore, che distronzi è già pieno il mondo».E allora? Come la mettiamocon questi str…?

«Nelle nuove edizioni quell'as-surda dedica è scomparsa. AlDams ero allievo di Gianni Celati,di Umberto Eco, di Alfredo Giu-liani, sostenitori di una narrativaconnotata da un piglio spontaneoe naïve. Rifuggivano anche daogni romanticismo mentre io, an-che se avevo solo 22 anni, mi sen-tivo sollecitato dalla frase di Leo-pardi “solo l'amore e la morte so-no degne dell'essere umano” e vo-levo confrontarmi con le più pro-fonde vicende esistenziali. Dopol'esordio letterario diventai ami-co di Celati, dotato di un impareg-giabile senso della comicità, Ton-delli, Claudio Piersanti, DanieleDel Giudice di cui ammiravo lavena metafisica».

I ragazzi degli anni Settantariempivano così i loro vuoti,con musica e romanzi?

«No, soprattutto con la politica

che sembrava offrire quella so-cializzazione che tutti cercava-no. Poi i partiti, in particolarequello comunista, non furonoall'altezza delle attese giovanili.Mi viene in mente un'afferma-zione di Primo Levi: “La guerrac'è sempre”, gli attriti ci sono. Ilconflitto sociale deve essere as-similato dalle istituzioni, dallapolitica, altrimenti divampa».

Lotte, occupazioni ma an-che attentati, sangue furo-no la sinfonia degli anni dipiombo.

«Personalmente non mi sonomai confrontato con la violenza.Al massimo io e Piersanti siamoandati con un gruppo di compa-gni nel miglior ristorante di Bolo-gna. Vestiti con giacca e cravattafingevamo di essere giovani assi-stenti universitari che parlavanodei loro papers. Volevamo scap-pare via senza pagare il conto. Cihanno però riconosciuti e ce lasiamo vista brutta».

Spinelli, sfiducia, futuro nebu-loso: solo l'amore sembrò laciambella di salvataggio per iragazzi-naufraghi privi di cer-tezze. E adesso?

«Sono andato spesso a presen-tare Boccalone in questi decen-ni e ogni volta alla fine mi chie-dono “ci facciamo una canna?”.Così mi vergogno di avere scrit-to questo libro».

Veramente?«Per fugare le tante tristezze einsoddisfazioni c'erano la ma-rijuana, le torte di erba, l'hashish:un modo di stare insieme, strafat-ti e ridanciani, a dire stupidaggi-ni, sentirsi uniti e non più soli. Poiperò si passa alle sostanze più im-pegnative, agli acidi e… insommasei prigioniero».

Come se n'è reso conto?«Quando uscì il libro, MassimoD'Alema, in un polemico inter-vento sull'Espresso, mi bacchet-tò: “L'immagine del popolo dell'Emilia e della politica è assoluta-mente ingiusta”. A lui ancora og-gi piacciono i racconti che fannouna sociologia facile e banale co-me quelli che sforna AlbertoAsor Rosa».

E allora?

«Non avevo sbagliato a darequella raffigurazione assai pocoencomiabile dei giovani“peccatori” bolognesi e della ros-sa roccaforte del piccì. Anche ilsuccesso che ottenni fu una con-troprova. Mi proposero di fareun film da Boccalone. A Roma gliintellettuali più in vista, da Gof-fredo Fofi a Elsa Morante, mi ac-colsero a braccia aperte. Elsa misedusse, letteralmente…».

Con le sue opere?«Anche. Scoprii L'isola di Artu-ro, una folgorazione. Iniziai conlei un legame molto intenso. Lepiaceva circondarsi soprattuttodi amici gay alle cui inclinazionisessuali sembrava voler omolo-gare e incoraggiare anche noietero. A distanza di anni la rispo-sta a questo anomalo comporta-mento è, forse, che voleva esserel'ape regina, creando anche rot-ture e dissapori come le capitòcon Dario Bellezza. Guai, poi, apresentarle un tuo partner: lo di-vorava. Quest'impressione me laconfermò anche la poetessa Pa-trizia Cavalli. Erano comunquerapporti sempre un po' sovraec-citati, sopra le righe. Di Elsa, nonso se fosse vero, si diceva che perlavorare più intensamente si fa-cesse aiutare dalle anfetaminepiuttosto dannose per la sua salu-te. E poi c'era la faccenda delledroghe cosiddette leggere. Dopoi trionfi di Boccalone decisi di an-dare in America».

Per un nuovo libro?«Passo un paio di settimane al ta-volino a comporre con le“amiche” canne. Pensavo di averbuttato giù un capolavoro. Torno

in Italia con le mie cento pagine,le rileggo e le sottopongo al giudi-zio di Elsa. Niente, non dicevanoniente. Uno choc. Il vuoto più to-tale. Ho capito che se volevo di-ventare uno scrittore dovevo da-re un taglio netto, con tutto».

Cosa l'aiutò?«La letteratura, il desiderio divoler continuare a scrivere. Horicominciato da capo, mi sonotrasferito a Londra, ho fattomolti lavori, ho conquistato nuo-ve amicizie con scrittori comeIan McEwan. “Quando il nostrointelletto è umiliato ci riconcilia-mo con l'umanità”, diceva Giam-battista Vico. Parole analogheme le disse Fofi, sostenendo chese vuoi raccontare qualcosa ocomunque crescere devi avereuna vita faticosa. Ho cercato dicostruirla e di uscire dal ghettodel troppo facile».

«Ero allievo di Celati,Eco, Giuliani, lontanida ogni romanticismo,io invece mi sentivosollecitato da Leopardi»

“Boccalonestudente ribelleieri come oggi”

Diario di lettura TuttolibriSABATO 8 GENNAIO 2011

LA STAMPA XI

«Dopo il successo passaiun paio di settimanea scrivere con le “amiche”canne. Mi lesse ElsaMorante: era niente»

«Non sbagliai a dareuna raffigurazione pocoencomiabile dei giovani“peccatori” bolognesie della roccaforte piccì...»

La vita. Enrico Palandri è nato a Venezia nel 1956. Ha frequentato il Dams di Bologna (1975-1979). È laureato inDrammaturgia. Ha collaborato a Radio Alice e alle riviste «A/traverso» e «Il Male». A Londra è Writer in Residencea University College e dirige il Centre for Italian Studies. È sposato e ha tre figli.

Le opere. Il 19 gennaio riesce da Bompiani «Boccalone». Per lo stesso editore: «I fratelli minori». Da Feltrinelli:«Angela prende il volo». Da Laterza: «Pier. Tondelli e la generazione». Da Interlinea: «La deriva romantica»

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Enrico Palandri

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