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1 Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca Istituto Professionale di Stato PER I SERVIZI COMMERCIALI, TURISTICI E SOCIALI "L. MILANI" di MEDA (MB) C.F. 83007880152 www.ipcmeda.gov.it - [email protected] pec [email protected] LA PSICOLOGIA NELLA VITA QUOTIDIANA (CAPITOLI 1 7 ) TESTO SEMPLIFICATO AD USO DEGLI STUDENTI STRANIERI A cura di LAURA POZZI (capitoli 1-2-3-4-5-7) ADRIANA SPADA (capitolo 6) Amministrazione che utilizza in modo efficace il modello CAF Sede Centrale: Via Como, 11 20821 MEDA - Tel. 0362/70718-74508 Tfax 0362/340929 Sede Coordinata: Via De Gasperi, 5 20822 Seveso Tel. 0362/507051 Succursale: Via G. Cantore, 4 20821 Meda Tel. 0362/340882 [email protected] Pratica istruita da: Nica

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Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca

Istituto Professionale di Stato PER I SERVIZI COMMERCIALI, TURISTICI E SOCIALI "L. MILANI" di MEDA (MB)

C.F. 83007880152 – www.ipcmeda.gov.it - [email protected] pec [email protected]

LA PSICOLOGIA

NELLA VITA QUOTIDIANA

(CAPITOLI 1 – 7 )

TESTO SEMPLIFICATO

AD USO DEGLI STUDENTI STRANIERI

A cura di

LAURA POZZI (capitoli 1-2-3-4-5-7)

ADRIANA SPADA (capitolo 6)

Amministrazione che utilizza in modo efficace il modello CAF

Sede Centrale: Via Como, 11 – 20821 MEDA - Tel. 0362/70718-74508 – Tfax 0362/340929 Sede Coordinata: Via De Gasperi, 5 – 20822 Seveso – Tel. 0362/507051 Succursale: Via G. Cantore, 4 – 20821 Meda – Tel. 0362/340882

[email protected] Pratica istruita da: Nica

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INDICE

Capitolo 1:

PSICOLOGIA: SCIENZA DELL’UOMO

- Siamo tutti un po’ psicologi pag. 1

- Come è nata la psicologia pag. 3

- La psicologia: definizione pag. 5

- I tre temi filosofici della psicologia pag. 8

- Gli scopi della psicologia pag. 15

- I metodi della psicologia pag. 19

- Distinguiamo pag. 25

Capitolo 2 :

PERCEZIONE: IL CONTATTO CON IL MONDO ESTERNO

- Cos’è la percezione pag. 26

- Leggi della Gestalt pag. 27

- Le illusioni ottiche pag. 30

- La costanza percettiva pag. 31

- La percezione del movimento pag. 33

- La lettura pag. 34

- Le proprietà fisionomiche pag. 35

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Capitolo 3:

ATTENZIONE: QUANDO LA PERCEZIONE E’ MESSA A

FUOCO

- L’attenzione pag. 37

- Benefici derivanti dallo stare attenti pag. 39

- Quando l’attenzione è carente pag. 39

Capitolo 4:

APPRENDIMENTO: COME CAMBIAMO CON L’ESPERIENZA

- L’apprendimento pag. 42

- Ci sono quattro tipi di apprendimento pag. 43

- L’apprendimento casuale pag. 44

- L’apprendimento per modellamento pag. 45

- L’apprendimento dovuto a condizionamento classico pag. 46

- L’apprendimento per tentativi ed errori pag. 49

- L’apprendimento per condizionamento operante pag. 51

- L’apprendimento cognitivo pag. 54

- Apprendere ad apprendere pag. 56

Capitolo 5:

MEMORIA: COSE RICORDATE, COSE DIMENTICATE

- La memoria pag. 58

- Ebbinghaus pag. 59

- Vari tipi di memoria pag. 61

- Memoria a brevissimo, a breve, a lungo termine pag. 62

- Memoria episodica e semantica pag. 64

- Modificazioni della memoria con il passare del tempo pag. 65

- Modificazioni quantitative della memoria (dimenticanza quantitativa) pag. 66

- Modificazioni qualitative della memoria pag. 70

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Capitolo 6:

LINGUAGGIO E PENSIERO: L’ARTE DI COMUNICARE E DI

RAGIONARE

- Come facciamo a conoscere e a comunicare? pag. 75

- I simboli pag. 75

- Il linguaggio pag. 77

- Il linguaggio degli animali pag.78

- Il linguaggio umano pag. 79

- Il linguaggio è un insieme di parole e di strutture grammaticali pag. 80

- Il linguaggio del corpo pag. 80

- La comprensione del linguaggio pag.81

- L’uso della forma negativa pag.83

- L’uso della forma passiva pag.85

- La presenza di ambiguità pag. 86

- I concetti pag. 86

- Il pensiero pag. 89

- La risoluzione dei problemi pag. 92

- La creatività pag. 97

- L’intelligenza pag. 101

- Come misurare l’intelligenza pag. 103

Capitolo 7:

PENSIERO E LINGUAGGIO: IL DELICATO CAMMINO DELLO

SVILUPPO

- Pensiero e linguaggio pag. 104

- Come il bambino arriva a comprendere il mondo pag. 105

- Le fasi dello sviluppo intellettivo pag. 109

- Fase senso-motoria pag. 109

- Fase pre-operatoria pag. 112

- I limiti del pensiero nella fase pre-operatoria pag. 115

- Fase delle operazioni concrete pag. 119

- Fase delle operazioni formali pag. 124

- Le fasi dello sviluppo cognitivo pag. 125

- Gli stili cognitivi nel pensiero del bambino pag. 128

- Lo sviluppo del linguaggio pag. 131

- Fase non verbale pag. 131

- Fase del linguaggio infantile pag. 132

- Fase del linguaggio vero e proprio pag. 133

- Pensiero e linguaggio pag. 133

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INTRODUZIONE

Agli insegnanti

Questo lavoro è stato prodotto per facilitare lo studio della psicologia agli

studenti stranieri che frequentano il primo anno dell’indirizzo sociale.

Il lavoro di semplificazione è stato svolto a partire dal libro di testo in

adozione in tutte le classi prime dell’Istituto:

M. Farnè , F.L. Sacco - La psicologia nella vita quotidiana, Ed. Zanichelli.

Essendo la semplificazione legata ai concetti principali, non è da intendersi

come strumento sostitutivo, ma come supporto integrante al libro di testo.

Meda, giugno 2003

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CAPITOLO 1°: PSICOLOGIA: SCIENZA DELL’UOMO

SIAMO TUTTI UN PO’ PSICOLOGI

Noi facciamo sempre PSICOLOGIA.

Tutte le volte che noi cerchiamo di capire e di spiegare il comportamento di

una persona, facciamo psicologia.

Cosa è la psicologia?

La psicologia è la scienza che studia il comportamento dell’uomo.

La psicologia ci permette di conoscere meglio gli altri e noi stessi.

Conoscere noi stessi non è facile, ma è importante per adattarci alla realtà, al

mondo che ci circonda.

Adattarsi significa essere capaci di adeguarsi alle situazioni; significa avere la

capacità di risolvere i problemi che ogni giorno si presentano.

Chi non riesce a risolvere i problemi di ogni giorno e fa fatica ad accettare le

situazioni è disadattato.

Verifichiamo se hai capito:

La psicologia

è la scienza che studia la realtà

è la scienza che studia il comportamento dell’uomo

è una storia da raccontare

Una persona è adattata quando

sa parlare bene

sa ascoltare molto

sa risolvere i problemi della vita di ogni giorno

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Una persona è disadattata quando

dimentica ciò che deve fare

non riesce a risolvere i problemi di matematica

non riesce a risolvere i problemi di tutti i giorni

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COME E’ NATA LA PSICOLOGIA

La psicologia, in generale, è sempre esistita perché da sempre gli uomini

hanno cercato di capire e di spiegare i loro comportamenti.

La psicologia però è diventata scienza nel 1879 quando lo studioso Wundt ha

osservato i comportamenti dell’uomo utilizzando il metodo scientifico.

Significa che Wundt ha osservato il comportamento dell’uomo in modo

sistematico, preciso, rigoroso.

La parola psicologia deriva da psiche.

Psiche è la parola che Aristotele ( antico filosofo) ha usato per indicare

l’anima.

L’anima è quella parte dell’uomo che non riguarda il corpo; l’anima riguarda

la mente e lo spirito.

Oggi, questo modo di considerare la psiche ( mente e spirito = anima) è

cambiato: oggi la psiche riguarda solo la mente.

L’aspetto dello spirito è lasciato alla religione.

Verifichiamo se hai capito:

La psicologia (in generale)

è sempre esistita

non è mai esistita

è stata inventata

La psicologia è diventata scienza

quando Wundt ha scritto dei libri di psicologia

quando Wundt ha osservato il comportamento dell’uomo in modo

sistematico

quando Wundt ha usato la parola psiche

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La parola psicologia deriva da

pepsi – cola

psiche

psora

La parola psiche è stata usata da Aristotele per indicare

il corpo

l’anima

il cervello

Oggi la parola psiche viene utilizzata per indicare

l’anima

la mente

lo spirito

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LA PSICOLOGIA: DEFINIZIONE

La psicologia è la scienza che studia il comportamento dell’uomo.

scienza

comportamento

uomo

sono tre parole chiave (importanti, significative) per capire bene la psicologia.

* Quando diciamo che la psicologia è una scienza, vogliamo far capire che

tutto ciò che si afferma (che si dice, che si sostiene) è stato sottoposto a delle

ricerche per verificare che è vero.

Una affermazione è vera quando segue la regola della ripetibilità.

Questo significa che una ricerca è scientifica solo se può essere ripetuta da

altri studiosi (scienziati), con gli stessi metodi, in altre parti del mondo e i

risultati possono essere confermati, ossia possono essere uguali.

* Il comportamento è l’attività dell’uomo in risposta a quanto succede ogni

giorno.

Ogni persona ha un proprio modo d’agire, di comportarsi. Per questo motivo,

di fronte ad una stessa situazione si possono assumere comportamenti

differenti.

Prova a riflettere: se tu e il tuo amico perdete i soldi che vi servono per

comprare la merenda, vi comportate allo stesso modo?

Forse sì, forse no.

Forse tu rinunci alla merenda, mentre il tuo compagno chiede dei soldi in

prestito; oppure può succedere il contrario.

Il comportamento è personale ed è legato a come si agisce (a ciò che si fa)

nelle situazioni di ogni giorno.

*L’uomo è l’oggetto di studio della psicologia, anche se delle volte si

studia pure il comportamento degli animali per fare un confronto, un

paragone.

Devi sapere poi che la psicologia si divide in:

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a) psicologia sperimentale che si occupa di fare esperimenti che

riguardano l’uomo, nei laboratori scientifici.

b) psicologia applicata che si occupa di applicare (= mettere in pratica,

in atto) alla vita di tutti i giorni i risultati delle ricerche fatte nei

laboratori scientifici.

Un esempio: in laboratorio si fanno ricerche sulla memoria (= psicologia

sperimentale), nella vita di tutti i giorni gli studenti possono utilizzare i

metodi trovati in laboratorio che permettono di migliorare la memoria

(=psicologia applicata).

Verifichiamo se hai capito

La psicologia è la scienza che studia

il mondo che ci circonda

il comportamento dell’uomo

ciò che accade

La psicologia è una scienza perché

tutto ciò che si afferma è verificato

tutto ciò che si afferma è immaginato

tutto ciò che afferma è pensato

Nella scienza, la “regola della ripetibilità” consente

di ripetere sui libri ciò che si è appreso

di ripetere a memoria, in tutto il mondo, ciò che si è scoperto

di ripetere lo stesso esperimento, con lo stesso metodo, per ottenere gli stessi

risultati.

Il comportamento è

Un tipo di attività particolare

l’attività dell’uomo in risposta a quanto succede ogni giorno

l’attività che si fa nel tempo libero

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L’uomo è

l’oggetto di studio della matematica

l’oggetto di studio della psicologia

l’oggetto di studio della storia

La psicologia sperimentale si occupa di

pubblicare libri di psicologia

trovare formule scientifiche

fare esperimenti che riguardano l’uomo, nei laboratori scientifici

La psicologia applicata si occupa di

utilizzare nella vita di tutti i giorni i risultati delle ricerche sull’uomo fatte nei

laboratori

di mettere etichette alle persone

di scrivere i risultati delle ricerche di laboratorio

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I TRE TEMI FILOSOFICI DELLA PSICOLOGIA

Abbiamo detto che la psicologia (senza essere scienza) è sempre esistita

perché sempre gli uomini hanno cercato di capire, di spiegare i

comportamenti.

Devi sapere che nei tempi antichi tutto ciò che era parte del pensiero

dell’uomo (osservazioni, indagini, riflessioni, intuizioni …) faceva parte della

filosofia.

Filosofia, come abbiamo già detto, significa “amore per il sapere”.

Così anche la psicologia, come tante altre materie (=discipline), faceva parte

della filosofia.

Se ti piace il paragone, possiamo dire che la filosofia è la “mamma” della

Psicologia

Verifichiamo se hai capito.

La psicologia (senza essere scienza) è sempre esistita perché

agli uomini è sempre piaciuta la psicologia

gli uomini non hanno mai cercato di capire e di spiegare i comportamenti

gli uomini hanno sempre cercato di capire e di spiegare i comportamenti

La psicologia ha le sue radici, le sue origini

nell’archeologia

nella filosofia

nella teologia

La filosofia è

espressione del pensiero, amore per il sapere

studio della filatura

ricerca della pietra filosofale

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Ci sono tre temi (= argomenti) importanti che la psicologia studia in modo

scientifico che hanno la loro origine nella filosofia (=nascono dalla filosofia)

Questi tre temi filosofici riguardano:

1- libero arbitrio/determinismo.

Dobbiamo chiederci: l’uomo è dotato di libero arbitrio, ossia è libero nella sua

volontà di decidere, o il suo comportamento è determinato da fattori

(=elementi) che sfuggono alla sua volontà?

Considera (tieni presente) che:

* il principio del determinismo sostiene che tutte le cose hanno una causa.

Dunque, anche il comportamento dell’uomo è il risultato di elementi genetici

(= ciò che noi siamo per natura, perché siamo nati così), di esperienze avute

in passato e di fattori che provengono dall’ambiente in cui viviamo.

* il principio del libero arbitrio (= libertà di decidere, di scegliere) sostiene

che noi siamo liberi di comportarci come vogliamo e siamo responsabili del

nostro comportamento.

Tu cosa pensi?

Ritieni che il comportamento dipende da ciascuno di noi, o è influenzato

(= condizionato, determinato) da fattori che provengono dall’esperienza

passata, oppure da stimoli (= fattori) che provengono dall’ambiente che ci

circonda?

In generale noi pensiamo che il nostro comportamento sia (=è) libero,

che abbiamo cioè la libertà di fare scelte consapevoli e che di queste scelte

siamo responsabili.

Non dobbiamo dimenticare, tuttavia, che molte nostre scelte sono

condizionate, determinate dalle esperienze passate o da fattori esterni.

Ad esempio: sei tu che decidi se impegnarti o no nello studio scolastico e sei

quindi responsabile del tuo successo. (libero arbitrio)

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Se, invece, tu hai paura dei cani perché quando eri piccolo un cane ti ha

morsicato, ecco, la tua paura non dipende dalla tua volontà, non è una tua

scelta.

La tua paura è determinata dall’esperienza passata. (determinismo)

Verifichiamo se hai capito

Libero arbitrio/determinismo è

un tema di italiano

un tema filosofico

uno sport

Determinismo è:

un principio che si riferisce a una scommessa

il nome di un detersivo

un principio che sostiene che tutte le cose hanno una causa

In generale si ritiene che nell’uomo

c’è solo il libero arbitrio

c’è solo il determinismo

c’è sia il libero arbitrio sia il determinismo

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2 – Psiche / soma

(Ricorda che “psiche” é la mente e “soma” è il corpo”).

Noi dobbiamo chiederci: “La mente e il corpo sono due cose separate, oppure

la mente e il corpo formano una cosa sola?”.

La concezione (=l’idea, il pensiero) che considera la mente e il corpo come

due cose separate, si chiama dualismo.

La concezione che considera la mente e il corpo come una cosa sola si chiama

monismo.

Oggi gli psicologi sostengono che l’uomo è una unità (= una cosa sola) e che

quindi è sbagliato separare mente e corpo.

Prova a riflettere:

- se sei costretto a rimanere in casa perché hai rotto una gamba (corpo),

non pensi che anche la tua mente (psiche) soffra?

Probabilmente ti senti nervoso, irrequieto e ti arrabbi più facilmente.

Oppure:

- se sei contento (psiche) perché hai appena incontrato la persona che

ami, il tuo cuore (corpo) non batte più velocemente?

Questo dimostra che la mente e il corpo sono un insieme inscindibile, cioè che

non si può separare.

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Verifichiamo se hai capito :

Il “dualismo” è la concezione che considera mente e corpo

separati

uniti

lontani

Il “monismo” è la concezione che considera mente e corpo

separati

uniti

vicini

Oggi gli psicologi ritengono che psiche e soma

sono un insieme inscindibile

si possono separare

sono indifferentemente uniti o separati

3 - Natura / educazione

I filosofi ieri ( ma anche gli psicologi oggi), si sono fatti questa domanda:

“Ogni individuo diventa ciò che è perché per natura è destinato a diventare

così oppure è il risultato dell’educazione che riceve?”.

Per natura noi intendiamo tutto ciò che la persona eredita dai genitori, ossia

tutto ciò che fa parte del suo patrimonio genetico.

Il patrimonio genetico si acquisisce al momento del concepimento, ossia

prima della nascita.

Per educazione noi intendiamo tutto ciò che la persona riceve dall’ambiente

dove vive, ossia tutto ciò che impara grazie alla famiglia, alla scuola e a tutto

ciò che ci circonda ( cultura, televisione, esperienza...).

L’educazione comincia dopo che è iniziata la vita.

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La maggior parte degli psicologi è d’accordo che natura ed educazione sono

importanti nella stessa misura perché:

- la natura ci fornisce le potenzialità, le capacità, le doti per imparare.

- è grazie all’educazione, all’allenamento, all’apprendimento che

possiamo sviluppare in misura diversa le capacità che abbiamo dalla

nascita.

Il ricercatore William Greenough (USA) ha studiato i topolini di una stessa

figliata, (ossia tutti nati assieme da una stessa mamma) e che avevano dunque

lo stesso patrimonio genetico.

Ai fini dell’esperimento questo significa che tutti i topolini avevano, per

nascita, le stesse capacità.

I topolini sono stati divisi in tre parti. Ogni parte di topolini doveva fare

esperienze diverse:

- i primi topolini sono stati messi in gabbiette vuote, senza oggetti e da

soli (= senza stimoli)

- i secondi topolini sono stati messi in gabbiette vuote, senza oggetti, ma

uniti a piccoli gruppi (= pochi stimoli)

- gli altri topolini sono stati messi in gruppi di 10-12 in una gabbia

spaziosa che conteneva anche oggetti per giocare (= molti stimoli)

Dopo trenta giorni in queste condizioni, i risultati nel comportamento

erano molto diversi.

Sai dire qual è il gruppo che si mostrava più intelligente?

Sicuramente hai risposto che il gruppo che si dimostrava più intelligente era il

terzo, e hai ragione.

Anche la corteccia cerebrale (= la parte del cervello dove ha sede la ragione)

era più spessa (= più robusta), le cellule erano più grosse e funzionavano

meglio.

Tutto questo cosa ci dice?

Ci dice che il patrimonio genetico (=natura) è importante per le potenzialità

(=capacità), ma ci dice anche che queste potenzialità, per svilupparsi bene,

hanno bisogno di un ambiente ricco di stimoli (=educazione).

Quando noi parliamo di educazione e di ambiente, non dobbiamo dimenticare

di tenere presente la cultura. Perché?

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Perché la cultura ( o fattori culturali) è tra le cause più importanti del nostro

comportamento.

Cos’è la cultura?

La cultura è l’insieme degli usi, dei costumi, delle credenze, delle regole,

delle istituzioni e di tutto ciò che una società produce e che trasmette ai figli

(= ciò che si trasmette di generazione in generazione).

Perché dunque non possiamo dimenticare la cultura? Perché i fattori culturali

modellano il nostro comportamento …

…pensi che i comportamenti di un bambino che nasce in Africa siano uguali a

quelli di un bambino che nasce in Europa?

Verifichiamo se hai capito

Per “natura”, in psicologia, noi intendiamo

ciò che si eredita dai genitori e costituisce il patrimonio genetico

l’insieme di tutto ciò che ci circonda

ciò che fa parte della vegetazione

Per educazione, in psicologia, noi intendiamo

tutto ciò che la persona riceve dai genitori come patrimonio genetico

tutti gli stimoli che la persona riceve dall’ambiente dove vive

l’insieme delle belle maniere, del comportamento corretto.

Sulla base di quanto noi abbiamo detto, quando parliamo di educazione non

possiamo dimenticare

le belle maniere di comportamento

la cultura (fattori culturali)

l’uso dei premi e dei castighi

Per “cultura”, in psicologia, noi intendiamo

l’insieme dei fattori che provengono dall’ambiente in cui si vive (usi,

costumi, regole, istituzioni)

l’insieme delle conoscenze che noi acquisiamo studiando sui libri

l’insieme delle conoscenze che ci vengono insegnate a scuola.

La cultura (fattori culturali, ambiente culturale) è importante perché

contribuisce

a migliorare le conoscenze

a rendere le persone più intelligenti

a modellare il comportamenti

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GLI SCOPI DELLA PSICOLOGIA

Gli scopi della psicologia sono di due tipi:

1) scopi scientifici

Abbiamo detto che la psicologia è una scienza e, in quanto tale, ha le regole e

gli scopi della scienza.

Ogni scienza vuole descrivere e spiegare i fenomeni (ciò che succede nella

realtà).

La scienza vuole poi utilizzare i risultati delle sue ricerche e dei suoi

esperimenti per metterli in pratica (=applicarli)

Anche la psicologia vuole descrivere e spiegare i fenomeni psichici legati al

comportamento umano.

Vediamo cosa fa lo psicologo:

* nella prima fase del suo lavoro lo psicologo si pone queste domande:

“ Come si presenta questo fenomeno? Questa situazione?”

“Quali sono le sue caratteristiche?”

Lo psicologo raccoglie tutti i dati (= gli elementi della situazione) che sono

informazioni vere che emergono dalle sue osservazioni e riferisce con

precisione quanto vede.

Questo significa che lo psicologo “descrive” in modo oggettivo (quindi

senza fare interpretazioni) la situazione, ossia dice le cose come le vede lui

e come le possono vedere tutti.

Se, ad esempio, lo psicologo deve descrivere il comportamento di uno

studente, cosa fa?

Lo osserva e dice che vede lo studente ansioso, irrequieto, teso, che fa

fatica a rispondere in maniera corretta alle domande dell’insegnante, ecc.

E’ importante per lo psicologo fornire un quadro preciso, fedele, di ciò che

ha di fronte.

* Nella seconda fase del suo lavoro, lo psicologo vuole spiegare e si pone

queste domande:

“ Perché avviene questo fenomeno?” “Come può essere spiegato?”

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Lo psicologo dunque, per spiegare, fa delle supposizioni ragionevoli che si

basano (si fondano) su elementi accertati (N.B. le supposizioni sono le

ipotesi).

L’ipotesi è importante per organizzare le ricerche (o gli esperimenti).

Lo psicologo, successivamente, raccoglie tutti i dati della ricerca o

dell’esperimento e poi li analizza.

Può accadere che i dati confermino l’ipotesi oppure che i dati la smentiscano.

Se l’ipotesi viene smentita perché non era giusta, occorre riformulare una

nuova ipotesi.

Ecco l’esempio:

SI FORMULA UN’IPOTESI

SI ORGANIZZA UN ESPERIMENTO

SI RÀCCOLGONO I DATI

SI ANALIZZANO I DATI E

SI GIUNGE ALLA CONCLUSIONE

L’IPOTESI È CONFERMATA

Ritengo che i topolini allevati in condizioni ricche

di stimoli diventino più vivaci e intelligenti

Tre gruppi di topolini sono allevati con gradi

diversi di stimolazioni: da quello più ricco di

oggetti e di giochi ai più disadorno

Dopo tre mesi di questa esperienza si misurano la

vivacità e l’intelligenza nei topolini dei tre gruppi

I calcoli statistici fanno concludere che c’è un

chiaro rapporto tra stimolazioni ambientali e

comportamento dei topolini

È vero: i topolini allevati in condizioni ricche di

stimoli diventano più vivaci e intelligenti

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Verifichiamo se hai capito:

Gli scopi scientifici della psicologia sono:

fare ricerche sulle persone

raccogliere dati sulle persone

descrivere e spiegare i comportamenti

Per descrivere una situazione comportamentale (o fenomeno) occorre

raccogliere

tutti i dati (=informazioni vere) e riferire con precisione

tutte le impressioni che si hanno della situazione

tutte le notizie sulla salute delle persone

Per spiegare un comportamento (o un fenomeno psichico) occorre

fare delle supposizioni (ipotesi)

fare delle supposizioni (ipotesi) e verificarle attraverso la raccolta dei dati

organizzare degli incontri

2) scopi pratici e applicativi

La psicologia non si accontenta di descrivere e spiegare i fenomeni, vuole che

i risultati delle sue ricerche possano essere utilizzati da chi ne ha bisogno.

In modo particolare i risultati delle ricerche possono servire per

prevedere certi comportamenti, ossia cosa può succedere in certe

situazioni. Per prevedere un comportamento è importante scoprire i

rapporti o i collegamenti che ci sono tra due fenomeni.

Ad esempio, se noi sappiamo dalle ricerche che l’aggressività è la risposta

ad una frustrazione (= situazione che non soddisfa, che impedisce di fare

qualcosa), possiamo prevedere che una persona frustrata sarà aggressiva.

controllare il comportamento: questo significa riconoscere quali sono

le situazioni che favoriscono un buon comportamento e quali sono le

situazioni che invece portano a cattivi comportamenti.

Controllare il comportamento significa portare la persona

all’autocontrollo.

L’autocontrollo è la capacità di decisione e di dominio, fondata sulla forza

di volontà, che permette all’individuo di controllare emozioni, pensieri e

impulsi.

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Verifichiamo se hai capito:

La previsione del comportamento è per la psicologia uno scopo:

scientifico

pratico – applicativo

economico

Per prevedere un comportamento è necessario:

scoprire i rapporti e i collegamenti tra due fenomeni

sapere come funziona la mente

sapere come funziona il corpo

Controllare il comportamento è uno scopo della

psicologia scientifica

psicologia applicata

psicologia cognitiva

Il controllo del comportamento viene raggiunto dallo psicologo:

guidando la persona verso un maggior autocontrollo

guidando la persona verso l’istruzione

guidando la persona verso l’autodifesa

3) migliorare la qualità della vita

Gli psicologi applicano la loro scienza anche al progresso della vita umana.

Non vi sono allora solo gli psicoterapeuti che curano coloro che hanno dei

problemi comportamentali. Vi sono anche degli psicologi che collaborano con

gli architetti (che progettano case, quartieri a misura di persona); vi sono

psicologi che collaborano con i pedagogisti per creare programmi di

insegnamento più validi; vi sono psicologi che collaborano con i medici al

fine di educare le persone alla prevenzione delle malattie, ed altro ancora…

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Verifichiamo se hai capito

Migliorare la qualità della vita è uno scopo della:

psicologia scientifica

psicologia applicata

psicologia dinamica

Per migliorare la qualità della vita gli psicologi

studiano le pubblicazioni di tutte le discipline

collaborano con architetti, urbanisti, pedagogisti …

studiano come rendere felice la gente

I METODI DELLA PSICOLOGIA

Il metodo base di ogni scienza, e quindi anche della psicologia è

l’osservazione.

L’osservazione è un esame sistematico ( ossia rigoroso, preciso, costante)

di un comportamento allo scopo di acquisire nuove conoscenze.

L’insieme di tutti i soggetti (= individui, persone) il cui comportamento

interessa allo psicologo si chiama universo.

Un universo può comprendere ad esempio tutti i bambini che frequentano la

scuola materna quando si trovano di fronte ad un problema, oppure tutti gli

anziani che vivono nelle case di riposo e che vivono in determinate

condizioni.

Per motivi di tempo e di soldi non è possibile estendere l’osservazione a tutto

l’universo.

Così nella pratica è sufficiente studiare un campione, ossia un numero limitato

di soggetti che fanno parte dell’universo che si intende studiare.

Il campione deve rappresentare fedelmente l’universo, così che poi con i

risultati ottenuti si può generalizzare.

Esistono altri metodi importanti che sono:

a) il colloquio: è una forma di conversazione tra lo psicologo e una

persona che può essere “oggetto di studio” o “paziente”.

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Il colloquio viene utilizzato per la raccolta di dati, ossia per avere tutte le

informazioni utili sulla persona studiata ( ad es. i suoi rapporti familiari e

sociali, le sue attività, i suoi interessi, le sue opinioni, i suoi atteggiamenti

…)

A volte il colloquio è libero e non si seguono schemi stabiliti prima:

psicologo e paziente parlano come si parla durante una conversazione.

Altre volte il colloquio è a domande chiuse.

Diciamo che una domanda è chiusa quando le risposte che si possono dare

sono poche.

Facciamo un esempio:

Se chiedo: “Cosa pensi di questa scuola?” – questa è una domanda aperta

perché puoi dire ciò che vuoi.

Se chiedo: “ Pensi che questa scuola funzioni bene?”- questa è una

domanda chiusa perché puoi rispondere solo con un sì, con un no, oppure

con un “non so”.

Il colloquio è il metodo di base utilizzato dallo psicologo per curare il

paziente (= psicoterapia); attraverso il colloquio in paziente può scaricare

(liberare) le emozioni e le tensioni.

Lo psicologo sa che per capire il problema del paziente non sono

importanti solo le parole che il paziente dice ( tutto ciò che il paziente

racconta).

Lo psicologo sa che è importante osservare come il paziente racconta:

com’è l’espressione del suo volto, se fa dei gesti, se parla in modo lento o

in modo veloce, se deve far delle pause per riflettere, se dice le cose in

modo logico… )

b) l’esperimento: serve a dire se un’ipotesi (una supposizione) è giusta o è

sbagliata.

Cosa si fa con l’esperimento?

Con l’esperimento si fanno delle prove, dei test.

(E’ come dire: “ Queste sono le prove che dimostrano che quello che

voglio dire è vero”)

Facciamo un esempio:

Voglio dimostrare (=esperimento) che troppe emozioni e troppi problemi

fanno diminuire le difese del nostro corpo (= ipotesi).

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Ecco l’esperimento:

L’esperimento è stato eseguito all’Università di Bologna.

Si è analizzato un alto numero di studenti. Questi studenti sono stati sottoposti

a tre test e a un esame di laboratorio.

Il primo test serviva a misurare i problemi e i grattacapi (= fastidi,

preoccupazioni) che potevano causare stress agli studenti: per esempio

studiare in un ambiente rumoroso, correre per essere puntuali alle lezioni, non

riposare abbastanza, sostenere gli esami, assistere a lezioni noiose.

Il secondo e il terzo test servivano a misurare l’umore (irrequietezza, sfiducia,

noia, ansia) e i disturbi organici (disturbi del corpo) che si possono avere in

seguito a troppe tensioni e a troppi problemi. ( palpitazioni, sudorazione

abbondante, mal di testa ecc.). Gli stati di umore e i disturbi del corpo, di

solito sono dei segnali (= dei campanelli d’allarme) di uno stress eccessivo (=

esagerato).

L’esame di laboratorio, poi serviva a misurare, nella saliva

l’immunoglobulina A (che è una componente delle difese immunitarie e serve

a difenderci dalle infezioni nella bocca e nella gola).

Cosa hanno dimostrato i risultati?

I risultati hanno dimostrato che quanto più una persona incontra problemi,

tanto più numerosi sono i campanelli d’allarme. Tanto più numerosi sono i

campanelli d’allarme, tanto più basso è il livello delle difese immunitarie.

In genere l’esperimento ha due scopi:

1) verificare che l’ipotesi è vera (e questo l’abbiamo già detto)

verificare se, cambiando la situazione che c’è all’inizio ( nel caso

dell’esperimento erano le troppe emozioni e i troppi problemi), cambia anche

l’altra situazione che è collegata (nel caso dell’esperimento era la diminuzione

delle difese del nostro corpo).

La prima situazione, quella iniziale, in psicologia, si chiama variabile

indipendente e corrisponde al “soggetto” (=ciò di cui si parla) dello studio:

troppe emozioni, troppi problemi.

L’altra situazione si chiama variabile dipendente e corrisponde all’oggetto

dello studio: la diminuzione delle difese dell’organismo (=del corpo).

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c) il test : è un metodo scientifico che analizza e misura uno o più

comportamenti dell’individuo.

La parola “test” è inglese e significa “prova”.

I test, che sono molti, possono essere raggruppati in due grandi categorie:

1) test di capacità che misurano l’intelligenza e le abilità

2) test di personalità

Ecco la tabella di riferimento:

test di capacità

a) Intelligenza globale

b) aspetti specifici dell’intelligenza (memoria, attenzione, formazione di concetti,

ragionamento verbale e astratto ecc.)

c) capacità o attitudini specifiche (funzioni sensoriali o motorie; attitudine meccanica,

artistica, linguistica, musicale, creativa, per lavori di ufficio, ecc.)

test di personalità

a) misure degli interessi (per diversi tipi di corsi di studio, di lavoro, di attività varie, di

svago ecc.) e degli atteggiamenti (nei riguardi di un gruppo nazionale o razziale o

religioso, di un’istituzione, di una linea politica, di un prodotto del mercato, ecc.)

b) test proiettivi personalità globale o suoi aspetti specifici (senso dell’umorismo,

estroversione, fiducia in sé, aggressività, ansia, ecc.)

c) questionari

Tieni presente (= non dimenticare) che i questionari sono una serie di

domande che si rivolgono alla parte cosciente della persona, mentre i test

proiettivi, che generalmente sono immagini, disegni, macchie da interpretare,

si rivolgono alla parte inconscia (= non consapevole) della persona.

Un test proiettivo, ad esempio, è anche quello delle associazioni libere: ad una

parola che viene detta (= parola stimolo) si deve rispondere con la prima

parola che viene in mente.

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Se la parola – stimolo è “matrimonio” , si può rispondere con “amore”, ma

anche con “divorzio” …

Perché questi test si chiamano proiettivi?

Perché la persona messa davanti al test che propone degli stimoli vaghi, non

definiti, dà una risposta che “proietta” una parte di sé.

Questo significa che “proietta” i suoi sentimenti, le sue esperienze passate, i

suoi timori, i suoi desideri, il suo modo di affrontare le situazioni.

Verifichiamo se hai capito

Il metodo base della scienza, e quindi anche della psicologia è:

il colloquio

il test

l’osservazione

L’insieme di tutti i soggetti (persone, bambini, anziani …) che lo psicologo

studia, osserva, si chiama

pianeta

universo

collettivo

Per motivi di comodità e di soldi, lo psicologo limita la sua osservazione a

un gruppetto

un campione

un istituto

Nel metodo del colloquio, lo psicologo

fa una conversazione con il paziente

fa un interrogatorio al paziente

fa una lettura con il paziente

Gli scopi del colloquio sono:

pensare e agire

dire e fare

raccogliere i dati e fare psicoterapia

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Durante il colloquio lo psicologo osserva

come il paziente è vestito

l’espressione del volto, i gesti, gli atteggiamenti e “come “ il paziente parla

come il paziente trascorre le vacanze

L’esperimento è

una raccolta di dati che confermano un’ipotesi

una raccolta di parole che spiegano i concetti

una raccolta di pensieri che confermano un’ipotesi

Il test è

il racconto di un libro di testo

un metodo che misura i comportamenti di un individuo

un metodo che misura le pagine di un testo

I test, che sono numerosissimi, possono essere raggruppati (= classificati) in:

test di studio e test di spesa

test di capacità e test di personalità

test di mente e test di corpo

I test proiettivi fanno parte dei test:

di capacità

di intelligenza

di personalità

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DISTINGUIAMO

Quando noi ci troviamo di fronte alla spiegazione del comportamento

dell’uomo, incontriamo studiosi diversi. È utile capire le differenze:

lo psicologo studia il comportamento dell’uomo nel suo

comportamento di tutti i giorni

lo psicologo clinico studia il comportamento disturbato

lo psicoterapeuta cura la persona che ha un comportamento disturbato

lo psicoanalista cura la persona con il metodo della psicoanalisi (un

metodo che si rivolge all’inconscio della persona)

lo psichiatra è un medico specializzato nella cura di alcune malattie

psicologiche gravi ( schizofrenia, psicosi…)

il neurologo è un medico specialista che cura il cervello (= la parte

organica della mente)

il fisiologo è lo studioso del funzionamento dell’organismo ( = corpo).

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CAPITOLO 2° : PERCEZIONE: IL CONTATTO CON IL MONDO

ESTERNO.

Quando noi nasciamo non conosciamo il mondo. Per conoscere il mondo, la

natura ci ha fornito gli organi di senso.

Gli organi di senso che ci permettono di conoscere il mondo sono:

- vista (occhi)

- udito (orecchie)

- olfatto o odorato (naso)

- gusto (lingua)

- tatto (cute, pelle)

Cosa è dunque la percezione?

La percezione è quella funzione psicologica che, attraverso gli organi di

senso, ci mette in contatto con il mondo.

Percepire significa:

a) ricevere

b) interpretare (= capire, dare una spiegazione)

le informazioni del mondo, della realtà che ci circonda.

Senza la percezione non si può avere la vita psichica. Questo significa che la

nostra mente senza la percezione non può funzionare.

Noi vediamo (percepiamo) il mondo in 3 dimensioni.

Il mondo lo vediamo nella dimensione della lunghezza, della larghezza e

anche della profondità.

Senza la profondità il mondo ci sembra come su una cartolina: piatto (cioè

con due dimensioni).

Con la vista noi percepiamo il mondo diviso tra figura e sfondo

La figura è la parte che domina ( che spicca, che è evidente), lo sfondo è tutto

il resto.

Ad esempio, se guardi questa pagina, le parole sono la figura, il foglio è lo

sfondo.

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Possiamo anche dire che la figura è quella parte dello spazio dove

concentriamo l’attenzione, lo sfondo è quella parte che occupa tutto il resto

dello spazio.

Il distinguere (= vedere la differenza) una figura dall’altra e anche il

distinguere la figura dallo sfondo, avviene grazie a leggi particolari.

Queste leggi particolari sono chiamate leggi dell’organizzazione figura-

sfondo o leggi del raggruppamento, perché favoriscono il mettere insieme.

Queste leggi sono state studiate da una scuola di psicologia che si chiama

“gestalt”.

Gestalt, appunto, vuol dire, “forma”, “conformazione”, per questo motivo le

leggi dell’organizzazione figura-sfondo si chiamano anche leggi della gestalt.

Una gestalt è dunque una forma.

Queste leggi sono:

1) legge della vicinanza: se vediamo dei segmenti vicini li raggruppiamo in

modo da vedere delle asticciole o delle colonne.

2) legge della chiusura: i segmenti chiusi sono percepiti più facilmente come

figure

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3) legge della densità o della differenza: le parti che sono più compatte,

più dense, più spesse, sono percepite più facilmente come forme.

4) legge del movimento: la zona che si muove viene percepita come forma

5) legge del contesto : la percezione che abbiamo di una figura è determinata

dall’insieme in cui si trova. Questo “insieme” è chiamato “contesto”. Il

contesto può anche farci percepire le cose anche in modo diverso rispetto a

quello che sono in realtà.

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5) legge della buona forma: è la legge che riassume e comprende tutte le

altre.

Questa legge ci dice che sempre, quando noi percepiamo, organizziamo la

forma nel modo più buono e semplice possibile.

(in questo spazio sono stampate delle figure irregolari e di grandezze diverse; eppure, per

la legge della “buona forma”, ci viene spontaneo percepire tre rettangoli uguali, ma a

distanze sempre maggiori)

A questo punto è importante capire e ricordare che le leggi

dell’organizzazione figura-sfondo, o del raggruppamento, favoriscono la

percezione di un tutto, costituito da singole parti distinte; ma perché ci sia un

tutto, ossia una “gestalt”,, occorre che queste parti siano disposte secondo un

modello.

Ad esempio:

I tre dischetti colorati non hanno certo la qualità di triangolo, ma disposti in questo modo

essi si organizzano percettivamente dando come risultato un triangolo.

La stessa cosa avviene anche nel cielo di notte quando possiamo raggruppare le stelle e

vedere il Carro maggiore, i segni dello zodiaco …: sono tutte gestalten!

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A volte però i sensi ci ingannano.

Se è la vista ad ingannarci, abbiamo le illusioni ottiche.

Le illusioni ottiche sono di tre tipi:

a) illusioni ottiche vere e proprie: si riferiscono a quei fenomeni visivi per cui

quello che percepiamo (= che vediamo) non è esattamente quello che abbiamo

davanti agli occhi

Nella prima illusione (di Orbisson) abbiamo l’impressione che i lati del quadrato siano

curvi; nella seconda (della Giovanelli) ci sembra che i punti siano spostati in alto e in

basso, in realtà sono tutti su una stessa linea.

b) circostanze in cui vediamo cose o fenomeni assenti: significa che

nel nostro campo visivo non c’è qualcosa che noi, invece, vediamo.

È il caso del triangolo di Kanizsa : il triangolo bianco non c’è, ma lo vediamo chiaramente!

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c) circostanze in cui non vediamo cose o fenomeni presenti: è questo il

caso del mimetismo, ossia di quando c’è qualcosa ma noi non lo

vediamo perché si confonde con tutto il resto.

Nella figura a) è difficile capire che ci sono scritti i numeri dall’1 al 7.

E’ invece difficile scoprire la figura b) nelle figure c) e d)

Per fortuna, generalmente, i senso non ci ingannano.

Un oggetto è percepito sempre con la sua grandezza, forma e colore (ed è

quindi visto come costante) anche quando la sua immagine cambia.

Questo fenomeno è detto “costanza percettiva”.

Noi percepiamo correttamente le distanze che abbiamo di fronte grazie a delle

informazioni ( = indizi ) che la realtà stessa ci fornisce.

Alcune di queste informazioni sono chiamate “indizi pittorici” perché sono

gli stessi che usano i pittori.

Ecco quali sono gli indizi per la percezione corretta della distanza:

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a) grandezza: tra due oggetti che hanno grandezze diverse, quello più

grande è percepito più vicino.

b) Sovrapposizione: un oggetto che copre parte di un altro oggetto è

percepito più vicino

c) Disposizione delle luci e delle ombre: il modo in cui le luci e le ombre

si dispongono ci permette di percepire la forma, il volume e il rapporto

spaziale.

d) Annebbiamento: l’oggetto nitido (= ben visibile) è percepito più vicino,

quello annebbiato ( = poco visibile) è percepito come più lontano.

e) Prospettiva: le linee che nella realtà sono parallele, nella percezione

convergono in un punto (= punto di fuga)

f) Grana delle superfici: gli oggetti più vicini permettono di vedere la

caratteristica della loro superficie ( cioè la loro grana) , gli oggetti

lontani non permettono di vedere la loro grana.

Oltre agli indizi pittorici, abbiamo gli “ indizi legati al movimento” che ci

permettono di percepire la distanza.

Per quanto riguarda il movimento, noi dobbiamo ricordare che esso ( = il

movimento) è :

a) uno dei principi alla base dell’organizzazione figura – sfondo ( lo

abbiamo infatti incontrato nelle leggi della gestalt )

b) può essere illusorio: prova a pensare a quando sei sul treno …

…se guardiamo il paesaggio dal finestrino del treno, ci rendiamo conto di un

fenomeno ( = fatto ) strano: sembra che ciò che è vicino, appena fuori dal finestrino, corra

nella direzione ( = nel senso ) opposta alla nostra e con grande velocità.

Mano a mano che guardiamo un po’ più lontano, abbiamo l’impressione che la loro

velocità (quella degli oggetti che vediamo: case, alberi…) diminuisca, fino ad arrivare al

punto dell’infinito (ossia del punto più lontano, quello sulla linea dell’orizzonte) dove

tutto ci appare immobile, ossia fermo. È quest’ultima una immobilità apparente.

c) gli indizi legati al movimento sono i più importanti per la percezione in

3 D (tre dimensioni)

Se ti trovi di fronte a degli oggetti reali in uno spazio reale, ossia vero; oppure di

fronte ad un quadro dove c’è dipinto quello che tu stai vedendo nella realtà, puoi

fare un esperimento, una prova.

Devi spostare la testa a destra e a sinistra:

- nella situazione vera vedi che le posizioni degli oggetti si spostano

- nella situazione dipinta vedi che l’immagine non cambia.

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Ma come percepiamo il movimento?

Potremmo dire che lo percepiamo perché un oggetto si sposta e di

conseguenza la sua immagine si sposta sulla retina del nostro occhio.

Ma questa è una risposta troppo semplice perché noi, certe volte, percepiamo

in movimento oggetti che invece non sono in movimento; è questo il

fenomeno del movimento apparente ( = che sembra che si muove, ma in realtà

non si muove)

Contrario al movimento apparente, abbiamo il fenomeno dell’ immobilità ( =

che non si muove) apparente.

È questo il caso del movimento della Luna : il movimento della Luna esiste,

ma noi difficilmente lo vediamo; altro esempio di immobilità apparente è

quello delle lancette dell’orologio.

Diciamo allora che la percezione del movimento è un fenomeno complesso

che non consiste in un semplice “fotografare” la realtà senza utilizzare il

cervello.

Percepire il movimento significa “costruire” e “interpretare” le informazioni

che provengono dalla realtà: è questo il lavoro che fa la nostra mente, il nostro

cervello.

Il lavoro del cervello è dunque un lavoro attivo ( = che fa ) e non un lavoro

passivo (= che non fa).

Particolari aspetti della percezione visiva

Ci sono due particolari aspetti legati alla percezione visiva.

Il primo aspetto è quello legato alla lettura.

Il secondo aspetto è quello legato alle proprietà fisionomiche degli oggetti,

ossia alla capacità che gli oggetti hanno di comunicarci delle emozioni, delle

sensazioni.

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La lettura

La lettura è molto importante per l’educazione e per l’apprendimento. Riesci

ad immaginare una scuola senza lettura? Sicuramente no.

Ricordi quando hai imparato a leggere?

Prima leggevi le letterine e poi le mettevi insieme per formare la parola.

Ora che leggi velocemente, pensi che sia ancora così?

No, non è più così!

Facciamo un esperimento. Prova a far leggere a un compagno queste parole

che hai scritto su due cartoncini separati:

FIUME SGRML

Prova poi a chiedere a questo compagno se ricorda la penultima lettera ( =

quella che sta prima dell’ultima).

Scoprirai che risponderà meglio con la parola “reale” anche se la penultima

lettera è per tutte e due la “M” e in tutte e due le parole ci sono cinque lettere.

Questo esempio ci fa capire che è più facile riconoscere le lettere in una

parola che conosciamo rispetto ad una parola che non conosciamo. Questo

fatto ci spiega la superiorità della parola. Significa che percepiamo la parola

come “una figura complessiva”, come una “gestalt”.

Adesso che sai leggere velocemente non leggi più lettera dopo lettera, vero?

Se ben rifletti ti accorgi che fai dei salti. Questo processo di fare dei salti, si

chiama percezione selettiva della lettura.

Facendo questi salti può succedere che lasci dei buchi! Ecco che allora la

mente si preoccupa di riempire questi buchi.

L’operazione di riempire questi buchi si chiama integrazione percettiva della

lettura.

Tieni presente che tutto questo avviene senza che tu te ne renda conto, infatti

non sei consapevole di ciò perché lo fai automaticamente, senza pensarci.

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Le proprietà fisionomiche

Quando noi percepiamo le persone, le cose e i fenomeni, cogliamo (=ci

accorgiamo che hanno) grandezza, forma, colori movimento, ecc.

Quando noi percepiamo tutto questo, riceviamo anche delle sensazioni.

Gli oggetti, le persone, i fenomeni in genere, hanno la proprietà (=la capacità)

di comunicarci delle sensazioni, delle impressioni. Queste proprietà si

chiamano “fisionomiche”. Significa che la conformazione (=come sono fatti)

dà agli oggetti delle proprietà espressive.

Ad esempio: Cha sensazione provi quando vedi il mare al tramonto?

Gli oggetti che hanno forma rotonda comunicano impressioni di contentezza,

giocosità, serenità; l’ellisse (=ovale), ci comunica l’impressione di tristezza,

di pensierosità.

Osserva queste figure:

Delle due figure a e b quale si chiama “uolamoi” e quale “toketàk ? E delle figure c e d quale è contenta e

quale è triste? Nella figura e, non sembra che l’orologio sia sorridente e pronto ad abbracciarvi?

Le proprietà fisionomiche degli oggetti sono molto studiate dai pubblicitari.

Chi si occupa di pubblicità sa che, per attirare l’attenzione della gente, deve

suscitare delle impressioni: per questo bisogna conoscere che tipo di

impressioni suscitano determinati oggetti .

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Verifichiamo se hai capito

Indica se le affermazioni sono vere o false

1- La percezione è quella funzione psicologica che, attraverso gli organi

di senso ci permette di ricevere e interpretare le informazioni dall’ambiente, e quindi di conoscere il mondo e agire in esso …………………………….

2- Noi tendiamo a percepire indifferentemente in una, duo o più dimensioni …….

3- Nella percezione i principi che ci permettono di distinguere la figura dallo sfondo sono chiamate “leggi dell’organizzazione figura-sfondo” o “leggi di raggruppamento”…………………………………

4- Le “leggi dell’organizzazione figura-sfondo” favoriscono la percezione di un tutto, costituito dalla somma delle singole parti ……………………….

5- Le leggi della figura-sfondo sono chiamate anche “leggi della Gestalt”………..

6- A volte i sensi ci ingannano ………………………………….. 7- Nelle illusioni ottiche possiamo distinguere: a) illusioni ottiche vere e

proprie b) circostanze in cui vediamo cose o fenomeni assenti c) circostanze in cui non vediamo cose o fenomeni presenti ……………………………….

8- La percezione del mondo è esatta grazie al fenomeno della costanza percettiva ………………………………

9- 11 fenomeno della costanza percettiva consiste nel percepire un oggetto sempre con la stessa grandezza, forma e colore, anche quando la sua immagine cambia …………………………………………………

10- Gli indizi per la percezione della distanza vengono chiamati anche “indizi geometrici ………………………………………..

11- Uno dei principi alla base dell’organizzazione figura-sfondo è il movimento …………………………………………

12- Due aspetti particolari della percezione visiva sono la lettura e il disegno geometrico ……………………………………..

13- La lettura è il risultato di numerose operazioni mentali e tra queste importanti sono: a) la superiorità della parola b) la percezione selettiva e integrativa ……………………………………………………..

14- Gli oggetti inanimati hanno qualità fisionomiche ……………………………

15- Le qualità fisionomiche degli oggetti sono sfruttate nel campo commerciale e della pubblicità ……………………………………………………..

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CAPITOLO 3 ATTENZIONE: QUANDO LA PERCEZIONE E’

MESSA A FUOCO.

L’attenzione è un particolare aspetto della percezione.

Grazie all’attenzione noi possiamo mettere a fuoco un particolare aspetto

della realtà, del mondo.

Se mettiamo a fuoco un solo aspetto, possiamo permetterci di trascurare gli

altri aspetti che in quel momento non hanno importanza.

Esistono 4 tipi di attenzione:

- attenzione volontaria : quando la persona si concentra di proposito (=

perché lo vuole), per un determinato tempo, su un determinato oggetto

(ricorda che in questo caso l’oggetto è una fonte di informazione). Es.:

per compiti assegnati da altri o da noi stessi: ad esempio mi viene

chiesto di riordinare la camera o di studiare il capitolo di storia, oppure

sono io che eseguo un compito o un lavoro che mi assegno da solo.

per motivi (bisogni) e per interessi: ad esempio se ho fame e sto

cercando un locale dove mangiare, la mia attenzione è focalizzata sulle

insegne dei ristoranti.

- attenzione involontaria: quando la persona è attirata da uno stimolo

che ha determinate caratteristiche. Queste caratteristiche attirano, senza

che io lo voglia, la mia attenzione.

Quando tu vuoi attirare l’attenzione di qualcuno cosa fai? Sicuramente

produci un cambiamento, ad esempio fai un fischio, batti le mani,

assumi un atteggiamento che di solito non assumi.

Introdurre un cambiamento in una situazione significa creare una nuova

“figura” che risalta rispetto allo “sfondo”. (Funziona un po’ come una

sveglia ).

Ma quali sono le caratteristiche del cambiamento?

mettere in risalto (sottolineare, evidenziare)

cambiare dal vecchio al nuovo

aumentare la grandezza dello stimolo (ad esempio i titoli o le parole

importanti)

aumentare l’intensità (delle parole stampate, del suono della sveglia)

cambiare la posizione per mezzo del movimento (spostare gli oggetti)

ripetere lo stimolo (il suono del telefono)

cambiare l’intensità o la qualità dello stimolo (la sirena a intermittenza

dei vigili o dei pompieri)

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- attenzione focalizzata su un unico stimolo: quando la persona è di fronte

a due o più stimoli, od oggetti, contemporanei, ma ha il compito di stare

attenta e di rispondere solo ad uno.

Nell’esperimento di Külpe, come pensi risponderà il soggetto che era stato

istruito a stare attento solo ai colori se gli si chiederà quali lettere sono?

- attenzione divisa tra più stimoli: quando la persona è posta di fronte a

due o più stimoli, od oggetti, contemporanei, ma ha il compito di stare

attenta e rispondere a ciascuno di questi stimoli.

Nella vita di tutti i giorni capita spesso di fare più cose contempo-

raneamente , ad esempio fare i compiti ed ascoltare la radio, guidare

la macchina e rispondere al cellulare.

Ulric Neisser, dell’Università dell’Oregon in USA, con i suoi esperi-

menti, ha dimostrato che nei compiti dove l’attenzione è divisa si

commettono più errori.

Ecco l’esperimento:

Venivano presentati, sovrapposti (= uno messo sopra l’altro) su uno schermo

TV, due programmi diversi con giochi differenti. Nel primo gioco c’erano

degli omini (= figure di uomini) che, a sorpresa, lanciavano delle palle. Nel

secondo gioco, altri omini, sempre a sorpresa, alzavano un braccio.

B V S

E

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39

Che risultato ha avuto questo esperimento?

Si è visto che i soggetti sottoposti all’esperimento, seguivano molto bene un

gioco alla volta. Le stesse persone, quando dovevano seguire

contemporaneamente (= nello stesso momento) i due giochi, commettevano

molti più errori.

BENEFICI DERIVANTI DALLO STARE ATTENTI

Secondo Sam Horn, una specialista americana delle applicazioni pratiche

dell’attenzione, i benefici sono 4:

Aumentiamo e miglioriamo i risultati perché produciamo di più e

lavoriamo al meglio delle nostre capacità

Riduciamo il tempo da dedicare al lavoro perché il lavoro viene

terminato prima e con un minor numero di errori

Aumentiamo la fiducia in noi stessi perché ci sentiremo più sicuri di noi

stessi

Conseguiamo le mete prefissate perché è più facile raggiungere gli

obiettivi

QUANDO L’ATTENZIONE E’ CARENTE

Quando l’attenzione non c’è, i nostri pensieri cominciano a vagare e noi non

riusciamo a lavorare in modo efficiente, cioè nel migliore dei modi.

Alcune volte la difficoltà a rimanere attenti (= deficit di attenzione) è una vera

malattia che si accompagna alla incapacità di stare fermi

(= iperattività) e si manifesta soprattutto nei bambini al di sotto di 12 anni

(pre-adolescenti).

A parte questi casi di malattia (=patologici), le cause che portano ad una

carenza di attenzione sono:

disturbi ambientali:quando il posto di lavoro non è tranquillo e ordinato

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mancanza di pratica: quando non si è abituati, cioè allenati a prestare

attenzione

mancanza di motivazione: quando non c’è interesse in ciò che si fa, la

nostra mente continua a vagare

mancanza di un obiettivo chiaro: quando non sappiamo bene cosa fare

presenza di troppi obiettivi contemporaneamente: quando ci sono

troppe cose da fare nello stesso tempo, l’attenzione si disperde

Stanchezza, stress, ansia: per stare attenti occorre energia. Se noi siamo

stanchi, stressati, oppure siamo preoccupati e in ansia saremo portati a

distrarci; le tensioni assorbono energie psichiche.

Verifichiamo se hai capito:

L’attenzione è una componente particolare della ……………………..

L’attenzione ci consente di mettere ………………………….. un preciso

aspetto del mondo.

Riconosciamo quattro tipi di attenzione.

Quando una persona si concentra di proposito su un particolare aspetto della

realtà, diciamo che l’attenzione è …………………………………

Quando una persona è attirata da un determinato stimolo che ha determinate

caratteristiche, diciamo che l’attenzione è …………………

Quando una persona si trova di fronte a due o più stimoli, od oggetti

contemporanei e ha il compito di stare attenta e di rispondere ad ognuno,

diciamo che l’attenzione è ………………………………………………….

Quando una persona è posta di fronte a due o più stimoli, od oggetti,

contemporanei ed ha il compito di stare attenta e di rispondere solo ad uno,

diciamo che l’attenzione è …………………………………………………

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Dal saper stare attenti derivano dei benefici e precisamente:

- Aumentiamo e miglioriamo i ………………….

- Riduciamo il …………………. da dedicare al lavoro

- Aumentiamo la ……………….in noi stessi

- Conseguiamo le ………………prefissate.

L’attenzione può essere carente. Quando non si tratta di un disturbo mentale, le

cause possono essere:

- ………………….ambientali

- Mancanza di ………………..

- Mancanza di ………………..

- Mancanza di ……………….

- Presenza di ……………………….contemporaneamente.

- Stanchezza, ……………………………..

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CAPITOLO 4° APPRENDIMENTO: COME CAMBIAMO

CON L’ESPERIENZA

Cos’è l’apprendimento?

La gente spesso dice: “Si va a scuola per imparare, per apprendere”

Anche a te viene da pensare che l’apprendimento riguardi tutto ciò si impara

a scuola? …………….

Quando si parla di apprendimento, tutti pensano a ciò che si impara sui libri o

sui banchi di scuola.

Invece non è proprio così perché, ad esempio, tu impari (apprendi) anche a

casa, per strada, in vacanza … ovunque e sempre!

Facciamo un esempio:

Se ti pungi il dito con un ago, impari che l’ago buca la pelle, impari che dalla

pelle può uscire il sangue, impari che la puntura fa sentire dolore ecc. ecc.

Ogni volta che noi facciamo un’esperienza nuova e aggiungiamo

informazioni alla nostra conoscenza, modifichiamo il nostro comportamento.

Infatti, se ora so che l’ago punge, la prossima volta starò ben attento a non

pungermi!

Questo significa cambiare qualcosa nel comportamento, significa fare una

modifica.

Sei d’accordo che l’apprendimento modifica il comportamento?

……………..

Verifichiamo se hai capito:

Si apprende:

solo sui libri

solo a scuola

sempre e ovunque

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Non c’è solo un tipo di apprendimento.

Ci sono quattro tipi di apprendimento.

Ciascuno di questi quattro tipi di apprendimento avviene attraverso tre fasi

(tre passaggi, tre momenti):

1) prima fase: incertezza dei primi passi

prova a pensare a quando fai una cosa per la prima volta: non sei sicuro, fai le

cose adagio, ci metti molta attenzione, forse fai anche degli errori.

Ricordi quando hai imparato ad andare in bicicletta? Non eri molto sicuro e

forse sei anche caduto qualche volta.Oppure ricordi quando hai imparato a

leggere o a scrivere? Ci mettevi tanto tempo, facevi errori e poi facevi le

correzioni. Vero?

2) seconda fase: allenamento

Quando si vuole imparare (= apprendere) bene una cosa è importante fare

tanto esercizio. Se noi facciamo tanti esercizi, ci alleniamo, abbiamo poi dei

risultati migliori.

Se vuoi imparare bene la lingua italiana devi fare tanto esercizio, ti devi

allenare.

3) terza fase: raggiungimento dell’automatismo, dell’abitudine:

Dopo che ti sei allenato ripetendo tante volte gli esercizi, fai le cose senza più

pensare a quello che stati facendo. Ad esempio, se hai imparato ad andare in

bicicletta non hai più bisogno di stare attento a come si fa ad andare in

bicicletta.

Dopo aver fatto tanti esercizi di lingua italiana e hai continuato a parlare in

italiano per tanto tempo, sicuramente non hai più bisogno di pensare a come si

costruiscono le frasi.

Quando hai imparato a parlare in italiano parli in modo sicuro, automatico,

senza pensarci troppo.

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Ti ricordi che abbiamo detto che non c’è un solo tipo di apprendimento? Ti

ricordi quanti sono i tipi di apprendimento?

Sono quattro e li possiamo così classificare (unire, raggruppare):

1) Apprendimento casuale

2) Apprendimento per modellamento

3) Apprendimento dovuto al condizionamento (classico e operante)

4) Apprendimento determinato dall’intuizione (=cognitivo)

Cerchiamo ora di vederli e di capirli uno alla volta:

Apprendimento casuale : è l’apprendimento che avviene per caso, senza che

noi ce ne accorgiamo.

Ad esempio, quando vedi il cartellone di un film per strada apprendi che

c’è un nuovo film. Tu non ti accorgi, ma hai imparato una cosa senza

renderti conto, senza essere consapevole.

Noi spesso impariamo le cose senza che ci rendiamo conto, senza saperlo.

Verifichiamo se hai capito:

Qual è la sequenza giusta delle fasi dell’apprendimento?

automatismo, allenamento, incertezza dei primi passi

allenamento, incertezza dei primi passi, automatismo

incertezza dei primi passi, allenamento, automatismo

Verifichiamo se hai capito:

L’apprendimento casuale avviene quando:

si sta in casa

per caso, senza rendersi conto

si va in motorino senza il casco

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Apprendimento per modellamento: è l’apprendimento che c’è quando

prendiamo una persona come modello, come esempio.

Ad esempio tu puoi prendere come modello una persona che ti piace e così

cerchi di fare quello che fa lei: la imiti, la copi.

Imitare una persona, cercare di fare quello che fa lei perché questa persona

ci piace, vuol dire prendere questa persona come un modello.

Ti è mai capitato di vedere i giochi che fanno i bambini e le bambine quando

sono piccoli? Spesso si divertono a copiare quello che fanno i grandi, gli

adulti.

I maschi, ad esempio, imitano ciò che fa il papà e le bambine imitano ciò che

fa la mamma.

Questi giochi di imitazione di un modello sono molto importanti perché i

bambini imparano i comportamenti che sono tipici dei maschi e le bambine

imparano i comportamenti che sono tipici delle femmine.

Diciamo allora che questo tipo di apprendimento è importante per la

caratterizzazione sessuale, ossia per imparare i comportamenti maschili e i

comportamenti femminili.

Verifichiamo se hai capito.

L’apprendimento per modellamento avviene quando:

si imita una persona nei modi e nel comportamento

si segue la moda

si modella la creta o la plastilina

Verifichiamo se hai capito:

La caratterizzazione sessuale è legata all’apprendimento di:

comportamenti tipici del ruolo maschile o del ruolo femminile

comportamenti tipici della persona educata

comportamenti tipici della persona non educata.

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Apprendimento dovuto a condizionamento classico:

Ti è mai capitato di passare davanti ad una pasticceria? Cosa ti succede se

guardi le torte ed hai una fame tremenda?

Se ti piacciono i dolci, ti viene voglia di mangiare tutte quelle torte.

Sicuramente ti viene l’acquolina in bocca.

Perché ti succede questo? …………………………………………………….

Immagina di bere il succo di un limone.

Cosa ti succede? Hai un aumento di saliva in bocca?

Perché ti succede questo? …………………………………………………….

Sicuramente perchè hai già avuto esperienza di torte e di limoni. L’acquolina

e l’aumento di saliva sono, per l’organismo (per il corpo), delle risposte

condizionate.

Lo studioso russo Ivan Pavlov ha fatto degli studi a riguardo.

Ha osservato che i cani del suo laboratorio (luogo dove si fanno le ricerche)

cominciavano a produrre saliva appena vedevano la ciotola che conteneva il

cibo.

( In questo caso il cibo rappresenta uno stimolo non condizionato e la

produzione di saliva rappresenta la risposta non condizionata )

Gli stessi cani producevano saliva anche quando vedevano la persona che di

solito portava il cibo.

Pavlov ha continuato nelle indagini e, ogni volta, prima di dare il cibo ai cani,

faceva suonare una campanella.

Sai dire cosa succedeva ai cani quando sentivano la campanella?

Al suono della campanella, anche senza avere il cibo davanti agli occhi, i cani

cominciavano a produrre saliva.

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Come si spiega tutto ciò?

Il cani avevano imparato ad associare (= unire) il suono della campanella al

cibo.

La campanella ( che di per sé è uno stimolo neutro, ossia che da solo non

produce la risposta della salivazione) è diventata uno stimolo condizionato e

la salivazione una risposta condizionata.

Lo stimolo condizionato è capace di provocare la risposta che di solito è

prodotta da un altro stimolo.

Perché questo tipo di apprendimento per condizionamento, si chiama

classico?

Questo condizionamento si chiama classico perché lo studio di questo tipo di

apprendimento è iniziato con gli studi ormai “classici” ( esemplari, tipici,

tradizionali) di Pavlov.

Ecco le tre fasi del classico esperimento di Pavlov:

1- CIBO (stimolo non condizionato) SALIVA (risposta non condizionata)

2- CAMPANA (stimolo neutro) CIBO SALIVA da ripetere più volte

3- CAMPANA (stimolo condizionato) SALIVA (risposta condizionata)

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Quando si parla di apprendimento per condizionamento classico, non

dobbiamo dimenticare una situazione particolare.

Prova a pensare ancora al cane di Pavlov.

Pensa a quando salivava perché sentiva il suono della campanella.

Secondo te, quel cane poteva salivare se sentiva il suono di una campanella

che non era la stessa, ma che faceva sentire un suono quasi uguale?

Sì, il cane salivava lo stesso, perché si confondeva.

Questo fatto si chiama generalizzazione dello stimolo.

Significa che quando si è abituati a rispondere in un certo modo ad uno

stimolo, si risponde allo stesso modo anche quando ci si trova di fronte a

stimoli che sono simili (=che sono quasi uguali) allo stimolo originale (al

primo).

A riguardo della generalizzazione dello stimolo, nel 1920 lo psicologo

Watson, ha fatto un esperimento.

Per fare questo esperimento, Watson ha preso un bambino di 11 mesi: il

piccolo Albert.

Watson ha fatto vedere dei topolini bianchi ad Albert.

Come tutti bambini, Albert non aveva paura dei topolini bianchi.

Ma poi, successivamente, quando faceva vedere i topolini bianchi ad Albert,

faceva anche sentire uno scoppio, un colpo fortissimo.

Questo esperimento è stato ripetuto più volte.

Verifichiamo se hai capito:

L’apprendimento per condizionamento classico è quell’apprendimento per cui ci si

comporta in un certo modo

come risposta a uno stimolo qualsiasi

come risposta a uno stimolo che in passato è stato associato a una particolare esperienza

come risposta a uno stimolo che si presenta per la prima volta.

Come si chiama lo studioso che per primo si è occupato di questo tipo di apprendimento?

…………………………………………………….

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Albert adesso provava paura perché associava la vista dei topolini allo

scoppio: la sua era una paura condizionata.

Watson, a questo punto, ha fatto vedere al piccolo Albert altre cose che

assomigliavano ai topolini: erano stimoli (oggetti, animaletti, pelouches, colli

di pelo) che avevano in comune con i topolini il fatto di essere bianchi e

pelosi.

Albert aveva paura anche di questi stimoli simili e si metteva a piangere

appena li vedeva.

Apprendimento per tentativi ed errori

Mentre Pavlov in Russia faceva gli esperimenti con i cani che avevano fame e

che salivavano quando suonava la campana, nello stesso periodo in America lo

psicologo Thorndike faceva gli esperimenti con i gatti.

Thorndike aveva costruito una gabbia e in questa gabbia ci metteva un gatto.

Fuori dalla gabbia, Thorndike metteva del cibo che al gatto piaceva.

Per prendere il cibo, il gatto poteva uscire da una piccola porta della gabbia

solo se sollevava (=alzava) una levetta (= una piccola maniglia).

Thorndike aveva notato che i gatti, quando venivano messi per la prima volta

nella gabbia, tentavano di uscire con una serie di tentativi (= prove) disordinati

(= a caso): miagolavano, graffiavano, guardavano di qua e di là, cercavano di

raggiungere il cibo passando attraverso le sbarre.

Questi comportamenti disordinati però scomparivano a poco a poco (il gatto

non li faceva più).

Quando i gatti imparavano che potevano uscire dalla gabbia solo spostando la

leva, abbandonavano (= lasciavano perdere) gli altri comportamenti.

Verifichiamo se hai capito:

La generalizzazione dello stimolo avviene quando

uno stimolo è nuovo

uno stimolo è simile a quello che di solito provoca una risposta

uno stimolo è diverso da quello che di solito provoca una risposta

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Questo tipo di apprendimento si chiama per tentativi ed errori .

Apprendere per tentativi ed errori significa dunque imparare a risolvere un

problema provando e scartando ( = eliminando, lasciando perdere) tutti i

comportamenti e tutte le idee che non servono, fin quando non si trova quella

giusta.

Thorndike aveva notato anche un’atra cosa: i gatti imparavano prima a uscire

dalla gabbia se venivano presto ricompensati con il cibo. (Veniva dato ai gatti

il cibo come premio).

Grazie a questa osservazione, Thorndike ha formulato una legge.

Questa legge si chiama legge dell’effetto.

La legge dell’effetto dice che gli esseri viventi selezionano (= scelgono) e

conservano (=trattengono, tengono per sé) le azioni che danno soddisfazione (

= che piacciono), mentre si abbandonano tutte le azioni che sono inutili o non

piacciono.

Il premio, la ricompensa è una cosa che piace.

È per questo che i gatti conservavano (tenevano) le azioni che venivano

ricompensate.

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Apprendimento per condizionamento operante:

Sempre in America, un altro studioso ha fatto altri esperimenti.

Questo studioso si chiamava Skinner.

Skinner aveva costruito una speciale scatola. Questa scatola è stata chiamata

“Skinner box”. Nella scatola c’era un dischetto illuminato. Questo dischetto

poteva funzionare come premio o come castigo. In che modo?

Vediamo cosa succedeva in caso di premio.

Un piccione (che è un uccello) veniva messo in questa scatola. La prima volta

il piccione beccava qua e là, a caso, fino a urtare (toccare senza volerlo) il

dischetto: appena toccava il dischetto, usciva subito un chicco di grano (cibo).

Il chicco di grano era un premio, una ricompensa, ossia un rinforzo.

Questo rinforzo portava l’animale a beccare il disco più spesso.

Vediamo cosa succedeva se invece del premio si usava il castigo, la

punizione.

Il piccione, quando beccava il dischetto, riceveva una piccola scarica elettrica.

Secondo te, il piccione continuava a beccare il dischetto? …………….

Il piccione evitava di beccare il dischetto, abbandonava quel comportamento.

Verifichiamo se hai capito:

Si ha l’apprendimento per tentativi ed errori quando:

si ripetono continuamente gli sbagli, gli errori

si risolvono i problemi con l’uso degli errori

si impara a risolvere un problema provando e scartando i comportamenti e le idee

fino a quando non si trova quella giusta.

La legge dell’effetto dice che gli esseri viventi:

trattengono i comportamenti che procurano piacere e abbandonano i comportamenti

che procurano sofferenza o che sono inutili ( = che non servono)

abbandonano i comportamenti che danno soddisfazione e trattengono i

comportamenti che procurano sofferenza

trattengono o abbandonano indifferentemente (= senza differenza) ciò che piace e

ciò che non piace.

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Questo esperimento ci dice come avviene l’apprendimento per

condizionamento operante: si apprende un comportamento che è efficace (che

va bene) o per ottenere un effetto piacevole (una cosa che piace) o per evitare

un effetto spiacevole (una cosa che non piace o che fa soffrire).

Perché si chiama operante?

Perché con questo tipo di apprendimento tutti noi abbiamo un ruolo attivo

nell’operare; significa che noi facciamo qualcosa (operiamo) per ottenere o

evitare un certo risultato.

Nei laboratori, gli esperimenti si fanno con gli animali e, come rinforzo, in

genere, si usa cibo e acqua.

Nella vita di tutti i giorni i comportamenti sono rinforzati in altro modo.

Verifichiamo se hai capito:

Nel condizionamento operante si apprende un comportamento che:

serve a risolvere un problema

è efficace per ottenere un effetto piacevole

è efficace o per ottenere un effetto piacevole o per evitare un effetto spiacevole

Questo condizionamento si chiama operante perché:

noi abbiamo un ruolo attivo nell’operare per ottenere o evitare un certo

risultato

noi siamo tutti operatori

noi evitiamo le operazioni

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Ti è mai capitato di sentirti dire: “ Prima fai i compiti e poi puoi vedere la

televisione”.

Oppure: “ Prima metti in ordine la cameretta, poi puoi giocare”.

Secondo te, la televisione e il gioco sono dei premi? ……………

Ecco, l’uso di un’attività piacevole (guardare la televisione, giocare, …) per

rinforzare un’attività meno piacevole (fare i compiti, mettere in ordine la

cameretta,…) è noto (=famoso, conosciuto), come principio di Premak.

Premak era uno psicologo americano che aveva studiato per primo questo

principio.

Il principio di Premak è molto usato dai genitori e dagli insegnanti (educatori).

Genitori e insegnanti usano i premi per rinforzare i comportamenti giusti e

usano i castighi per eliminare i comportamenti sbagliati.

I premi e i castighi devono essere usati dai genitori e dagli insegnanti con

molta attenzione, nei momenti giusti e senza esagerare.

Verifichiamo se hai capito:

Il principio di Premak riguarda l’uso di:

un’attività piacevole per rinforzare un’attività meno piacevole

tutti i premi

tutti i castighi

I premi e i castighi devono essere usati dagli educatori:

in ogni situazione

solo quando è necessario

un giorno sì e due giorni no

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Apprendimento cognitivo

I tipi di apprendimento che finora abbiamo visto (quello per modellamento e

quelli per condizionamento) sono legati a condizioni meccaniche,

automatiche: avvengono senza che noi siamo consapevoli, senza che noi ci

rendiamo conto.

Sovente però noi ci rendiamo conto di elaborare le conoscenze, di riflettere e

di ragionare sulle cose e sulle esperienze: ecco, questo apprendimento si

chiama cognitivo.

“Cognitivo” significa che la mente lavora in modo attivo, come l’elaboratore

di un computer.

Che cosa fa la mente? Quali sono le operazioni che compie

nell’apprendimento cognitivo?

Organizza le informazioni.

Cosa significa organizzare le informazioni?

Significa fare dei confronti tra le informazioni e formare nuove associazioni.

Facciamo un esempio:

Domani devo andare a Milano. Devo “pensare” a come arrivarci. Posso andare

in auto, Posso andare in treno:Posso prendere un taxi.

Analizzo tutte le informazioni (dati) che possiedo:

- la superstrada per Milano è interrotta per lavori in corso e non conosco

altre strade che conducono lì

- il taxi andrebbe bene, ma è troppo costoso e non posso permettermi di

prenderlo

- il treno andrebbe bene: la stazione è abbastanza vicina, il biglietto non è

costosissimo.

Scelgo di prendere il treno. Cosa mi serve sapere ora? Gli orari del treno!

Cosa faccio ora? ………..

Ecco, ti rendi conto che in questo tipo di apprendimento c’è una mente che

lavora, che è attiva perché:

- fa dei confronti con le informazioni che possiede

- costruisce delle associazioni (=gestalten)

- indaga per conoscere ciò che non sa (nel nostro caso, quello

dell’esempio, indaga sugli orari dei treni…)

Hai certamente capito anche che l’apprendimento cognitivo è molto utile per

la soluzione dei problemi.

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Pensi che si possano risolvere i problemi senza far lavorare la mente?

Credo proprio di no!

Sai dire che cosa ci permette di risolvere i problemi? L’intuizione.

Che cos’è l’intuizione? L’intuizione è un po’ come quando si accende in testa

una lampadina e si vede tutto più chiaro.

Non ti è mai capitato, quando cercavi la soluzione di un problema, di dire: “Ci

sono!”

“Ho capito!” ? Ecco, in quel momento c’è stata l’intuizione.

Secondo te, l’intuizione avviene per caso e improvvisamente? (La lampadina

si accende da sola?)

No, l’intuizione non avviene per caso.

Come è stato dimostrato dagli psicologi della Gestalt, l’intuizione comporta 4

fasi:

1- preparazione: prendiamo conoscenza e familiarità con i dati del

problema. I dati sono tutti gli elementi che fanno parte del problema.

2- incubazione: (può essere una fase anche lunga, che dura tanto tempo). In

questa fase, i dati, le conoscenze che abbiamo del problema, sono

organizzate in una forma nuova (= una nuova Gestalt)

3- intuizione (in inglese insight): è la lampadina che si accende nella nostra

mente e che ci dà la soluzione.

Non è detto però che questa soluzione è quella giusta perciò occorre

verificare

4- verificazione: si controlla se la soluzione va bene, se deve essere

migliorata o se si deve addirittura cambiare.

Per dimostrare che l’intuizione non sorge mai dal nulla, lo psicologo

Thomas L. Engle ha fatto un esperimento con bambini dai 12 ai 24 mesi di

età.

Questi bambini erano in un box.

Fuori dal box veniva messo un giocattolo.

Il giocattolo si trovava in una posizione che non poteva essere afferrato.

Dentro al box, tra i vari oggetti, c’era un bastone.

Il bastone era ben visibile, si vedeva bene.

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Alcuni bambini cercavano a lungo di prendere il giocattolo allungando un

braccio, ma non ci riuscivano e allora lasciavano perdere.

Altri bambini, dopo alcuni tentativi finiti male, rimanevano un poco fermi,

si guardavano intorno come per studiare la situazione e alla fine

prendevano il bastone e tiravano verso di sé il giocattolo. Questi bambini

erano poi anche capaci di usare il bastone in situazioni simili.

Apprendere ad apprendere

Tanto tempo fa i nostri nonni imparavano un lavoro. Quel lavoro veniva svolto

allo stesso modo per tutta la vita.

Ad esempio, se i nonni sapevano costruire dei mobili in un certo modo, per

tutta la vita continuavano a costruirli a quel modo.

Oggi, invece, la società cambia in fretta, e pure i lavori cambiano.

Verifichiamo se hai capito

Apprendimento cognitivo significa che la mente

lavora in modo automatico

lavora in modo attivo

lavora in modo meccanico

Le fasi dell’apprendimento cognitivo sono:

preparazione verificazione incubazione intuizione

verificazione preparazione incubazione intuizione

preparazione incubazione intuizione verificazione

L’intuizione serve a :

risolvere i problemi

pensare

apprendere

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Anche noi dobbiamo essere in grado di rimanere al passo con i cambiamenti.

Se non riusciamo a rimanere al passo con i cambiamenti rischiamo di perdere

il posto di lavoro oppure avremo difficoltà a trovare un lavoro nuovo.

E’ per questo motivo che diciamo che non sono importanti solo le conoscenze.

Ciò che veramente importa è dunque la capacità di imparare.

Se siamo capaci di imparare (=apprendere ad apprendere) nel futuro sapremo

adattarci meglio alle nuove conoscenze e ai nuovi apprendimenti.

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CAPITOLO 5

MEMORIA: COSE RICORDATE, COSE DIMENTICATE

Nel 4° capitolo abbiamo parlato dell’apprendimento.

Quando noi parliamo dell’apprendimento ci riferiamo all’esperienza.

Ti sei mai chiesto cosa può succedere se dimentichiamo (= non ricordiamo) le

esperienze fatte?

Prova a riflettere: “Possiamo imparare se non siamo capaci di trattenere (=

conservare) le informazioni dell’esperienza? ………………. No,

sicuramente!

Che cosa dunque ci permette di conservare le informazioni dell’esperienza?

La funzione della mente (=capacità) che ci permette di conservare le

informazioni si chiama memoria.

Noi possiamo dire che la memoria è la capacità che ci permette di conservare

(= mantenere, trattenere) e di rievocare (= far tornare alla mente) tutto ciò che

si è imparato.

Conservare e rievocare, significa ricordare.

Verifichiamo se hai capito

La memoria è la capacità (funzione) della mente di:

ricevere le informazioni

conservare e rievocare le informazioni

capire cosa succede

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Il primo psicologo che ha fatto studi sulla memoria utilizzando il metodo

sperimentale ( =scientifico) si chiama Hermann Ebbinghaus (1850 – 1909).

Ebbinghaus ha voluto misurare il ricordo, la memoria.

Come ha fatto?

Ha preso 169 liste (=elenchi) di parole.

Ognuna di queste 169 liste era formata da 13 parole senza senso! (= Non

avevano significato, non volevano dire nulla).

Dopo avere studiato tutte le parole controllava (= verificava) quante parole

ricordava a distanza di tempo:

Prova a riflettere sui dati della tabella:

- Dopo un ora, quante parole (in percentuale) aveva dimenticato? …..

- Dopo 24 ore, quante parole (in percentuale) aveva dimenticato? …..

- Dall’inizio dello studio qual è stato, secondo te, il momento in cui

Ebbinghaus ha dimenticato il maggior numero di parole? …………

- Ti sembra tanto o poco il numero delle parole dimenticate nel giro di 24

ore ( 1 giorno ? ) ……………………………..

Sicuramente ti sembra tanto.

- dopo 1 ora ricordava il 45 %

- dopo 2 ore ricordava il 43%

- dopo 4 ore ricordava il 40 %

- dopo 8 ore ricordava il 39 %

- dopo 12 ore ricordava il 38 %

- dopo 16 ore ricordava il 37 %

- dopo 20 ore ricordava il 36 %

- dopo 24 ore ricordava il 35 %

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Prova ora a riflettere e poi rispondi a questa domanda:

Ti è più facile ricordare le parole “tavolo”, “albero”, “mare” o è più facile

ricordare le parole “sbiriggu”, “rek”, “virindao”?

E’ più facile ricordare le parole “ tavolo, albero, mare” perché hanno un

significato.

Noi sismo convinti (=crediamo) che Ebbinghaus dimenticava così tante parole

proprio perché erano senza senso.

Per fortuna un altro studioso, che è venuto dopo, Robert Koppenaal, nel 1963,

ha ripetuto l’esperimento di Ebbinghaus.

Koppenaal però non ha fatto come Ebbinghaus.

Koppenaal non ha fatto imparare così tante liste di nomi!

Koppenaal ha preferito fare imparare una sola lista di 20 parole.

Qual è stato il risultato?

Il risultato è stato che, dopo 24 ore, le persone ricordavano ancora il 90%

delle parole studiate.

Cosa ci insegna questo esperimento?

Questo esperimento ci insegna che se si imparano troppe cose in una in una

volta sola si va in confusione e si dimentica più facilmente.

Verifichiamo se hai capito

Gli studi di Ebbinghaus e di Koppenaal ci fanno capire che:

si può imparare tutto

si può imparare poco

si impara meglio ciò che ha un significato e non è troppo

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VARI TIPI DI MEMORIA

Possiamo misurare la memoria?

Esistono dei metodi per misurarla?

Se ti rivolgo la domanda: “Qual è la capitale d’Italia?”

Cosa fai?

Vai a prendere la risposta tra tutte le conoscenze che possiedi.

Ovviamente fai la stessa cosa se ti chiedo il numero di telefono di un tuo

amico, oppure se ti chiedo in che anno è nato tuo padre.

In questi casi richiami alla mente qualcosa che hai appreso e conservato

(=immagazzinato).

Questo tipo di misurazione della memoria si chiama di rievocazione.

C’è un altro metodo per misurare la memoria, per sapere per quanto tempo

una informazione rimane dentro di noi.

Se ti domando: “La capitale d’Italia è Roma Genova Napoli”

Tu cosa fai?

Tu scegli, o meglio, riconosci quella che è la risposta giusta.

Diciamo allora che quando scegliamo tra più risposte, usiamo il metodo del

riconoscimento.

Verifichiamo se hai capito:

I metodi per misurare la memoria sono:

rievocazione – riconoscimento

rappresentazione – raccoglimento

pensiero - linguaggio

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Memoria a brevissimo, a breve e a lungo termine.

Secondo te, c’è un legame (unione) tra la memoria e il tempo? ……….

Perché? ……………………………..

1 - Immagina di cercare un numero di telefono sulla rubrica.

Trovi il numero e lo tieni a mente.

Secondo te, questo numero lo ricorderai per il tempo che ne hai bisogno o

pensi che te lo ricorderai per tutta la vita? ………………………………….

Ovviamente lo ricorderai per il solo tempo che ti serve.

2 - Se invece ti chiedo quanto fa 7 x 8 sono sicuro che sai la risposta e che la

stessa risposta ti rimane tutta la vita.

E’ infatti una risposta che non si dimentica facilmente.

3 – Fermati un attimo ad osservare. Mentre studi, la tua mano è appoggiata al

libro. Il libro è un po’ freddo, ma ti rendi conto solo se ci pensi.

Questa informazione passa nella memoria?

Passa nella memoria solo se ti fermi a pensare.

Sulla base di questi tre esempi, probabilmente, ti rendi conto che ci sono

informazioni che rimangono per il tempo necessario (1), informazioni che

rimangono più o meno per sempre (2), e informazioni che scappano subito

(3).

La memoria delle informazioni che scappano subito si chiama memoria a

brevissimo termine. Qualche psicologo la chiama anche memoria sensoriale

in quanto si limita alla percezione dei sensi.

La memoria che, invece, trattiene le informazioni per il tempo necessario (=

per quanto serve), come ad esempio il numero di telefono, si chiama

memoria a breve termine.

C’è poi la memoria che riguarda le informazioni che rimangono per

tantissimo tempo (le tabelline, le operazioni, i fatti importanti, le conoscenze,

….). questa memoria si chiama memoria a lungo termine.

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Prova ora a ragionare su questo esempio:

- Cerco sulla rubrica il n° di un nuovo compagno.

- Ovviamente quel numero lo ricordo per il tempo che mi serve per

chiamare.

- Quel nuovo compagno diventa mio amico e io comincio a telefonargli

tutti i giorni.

La domanda che ti faccio è questa:

“Quel numero di telefono rimane nella memoria a breve termine o passa

nella memoria a lungo termine? “ ____________________________

Prima di procedere ti faccio una nuova domanda: Quale tra i tre tipi di

memoria (brevissimo – breve – lungo termine) conserva il maggior numero

di informazioni? __________________________________

Ovviamente è la memoria a lungo termine che conserva il maggior numero di

informazioni.

Cerchiamo ora di capire come possiamo classificare (=mettere in una classe,

cioè raggruppare) queste informazioni, cioè il contenuto della memoria.

Verifichiamo se hai capito

- La memoria che riceve solo le informazioni degli organi di senso si

chiama ______________________________________________

- la memoria che conserva le informazioni per il solo tempo necessario

si chiama _____________________________________________

- la memoria che conserva le informazioni per tantissimo tempo si

chiama ______________________________________________

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Memoria episodica e semantica

Alcune informazioni che noi conserviamo nella memoria a lungo termine

riguardano il ricordo dei fatti che ci accadono, cioè delle nostre esperienze di

vita.

Ad esempio, alcune di queste esperienze riguardano ciò che hai mangiato ieri

sera, chi hai incontrato questa mattina, dove sei andato in vacanza due estati

fa.

Questi sono dei fatti , cioè degli episodi, che riguardano la tua vita.

La memoria che riguarda gli episodi della nostra vita si chiama episodica.

Si dice anche che la memoria episodica è autobiografica.

La memoria episodica è autobiografica perché riguarda la propria vita

(autobiografia = scrittura della propria vita).

Tutte le informazioni che però noi conserviamo nella memoria a lungo

termine non riguardano solo i fatti ,la memoria episodica.

Nella memoria a lungo termine noi conserviamo anche le informazioni che

riguardano la conoscenza del mondo, le parole, i concetti.

Le informazioni che riguardano la conoscenza del mondo, le parole, i

concetti, si riferiscono ad esempio a

- chi è il Presidente della Repubblica

- qual è la capitale d’Italia

- quanto fa 6 x 8

- che cosa sono i mammiferi

- che cosa è la psicologia

- ecc. ecc.

La memoria che riguarda le conoscenze, le parole e i concetti, si chiama

semantica.

“Semantica” è una parola che deriva dalla lingua greca e che significa “dotato

di significato”.

La memoria semantica è un po’ come un’enciclopedia: contiene tante

informazioni legate alla conoscenza, al sapere.

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La tabella che segue può esserti di esempio

Che tipo di memoria sta usando Sally?

Modificazioni della memoria con il passare del tempo

Abbiamo detto già che c’è un legame tra la memoria e il tempo.

Molte volte noi diciamo che il tempo cambia le cose, le trasforma.

Secondo te, il tempo cambia anche la memoria? __________________

Sì, il tempo cambia la memoria .

Verifichiamo se hai capito

Riguardo al contenuto (=informazioni), la memoria che si riferisce ai fatti che sono

accaduti si chiama _____________________________________

Riguardo al contenuto (=informazioni), la memoria che si riferisce alle conoscenze, alle

parole, ai concetti, si chiama ______________________

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Cominciamo con il dire che quando noi perdiamo delle informazioni o non le

ricordiamo più bene, ci dimentichiamo.

Il dimenticare ( o la dimenticanza) è il contrario del ricordare.

Con il passare del tempo, dunque, molte informazioni si dimenticano.

Ma perché si dimenticano le informazioni?

Alcune teorie (= spiegazioni scientifiche) ci spiegano il fenomeno della

dimenticanza quantitativa ( = del numero delle informazioni).

Quali sono queste teorie?

1) la prima teoria è quella della deterioramento.

La legge del “deterioramento (= che si guasta)” ci dice che, con il passare del

tempo, le informazioni si cancellano, si perdono.

Cosa succede, ad esempio, ad un cartello stradale dopo tanto tempo? Con il

passare del tempo, poco alla volta, diventa illeggibile (= che non si può

leggere).

Anche la memoria, con il passare del tempo, si deteriora e molte informazioni

non si ricordano più.

2) la seconda teoria è quella dell’interferenza.

Cos’è l’interferenza? Pensa a quando sei al telefono e senti voci che si

sovrappongono (che si mettono sopra) alla tua voce.

Quella della voce che si sovrappone alla tua voce, è un’interferenza.

Ecco, anche tra le diverse informazioni che passano nella memoria possono

esserci delle interferenze, delle sovrapposizioni.

Cosa succede tra le informazioni quando ci sono delle interferenze, delle

sovrapposizioni?

Succede che alcune informazioni si cancellano, si eliminano.

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In che modo si eliminano? Dipende.

Quando un’informazione nuova elimina un’informazione vecchia, noi

diciamo che l’interferenza è retroattiva, cioè agisce (= fa un’azione, ossia

l’azione di eliminare) all’indietro.

Informazione vecchia informazione nuova

Quando, invece, un’informazione vecchia elimina un’informazione nuova, noi

diciamo che l’interferenza è proattiva, cioè agisce (= fa un’azione, ossia

l’azione di eliminare) in avanti

Informazione vecchia informazione nuova

Questa seconda teoria fornisce ( =dà) delle buone indicazioni (= informazioni,

consigli, suggerimenti) agli studenti.

Prova a riflettere: secondo te ci sono più interferenze tra informazioni vicine o

tra informazioni lontane?

Sicuramente ci sono più interferenze quando le informazioni sono vicine.

E’ utile allora, quando si studia, fare delle pause tra lo studio di un argomento

(o di una materia) e lo studio di un altro argomento.

Fare delle pause nello studio è utile per evitare le interferenze e, quindi, le

dimenticanze.

Le interferenze, di solito, fanno fare confusione.

3 - la terza teoria è quella della rimozione.

Cosa significa rimuovere? Rimuovere significa “spostare”. Come si fa a

spostare un’informazione?

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Dove mettiamo questa informazione?

Qua le cose si complicano un pochino. Cerchiamo di capire. Devi sapere che nella nostra

mente c’è una parte consapevole (che si rende conto di ciò che succede e di quello che fa )

e c’è una parte, invece, non consapevole (che non si rende conto di ciò che succede e di

ciò che fa). La parte della mente non consapevole, si chiama inconscio.

Ti è mai capitato di fare qualcosa inconsciamente? Ti è mai capitato di fare qualcosa e

poi chiederti: “Ma perché ho fatto questa cosa?”

Quando fai qualcosa e non sai spiegarti perché hai fatto quella cosa, vuol dire che hai agito

(= fatto qualcosa) inconsciamente.

Torniamo alla teoria della rimozione. Rimuovere una informazione vuol dire

spostarla dalla parte consapevole della nostra mente alla parte non

consapevole.

In altre parole, “rimuovere” vuol dire spostare l’informazione dalla coscienza

all’inconscio.

Questo spostamento avviene in modo automatico, cioè senza che ce ne

rendiamo conto.

Quando un’informazione finisce nell’inconscio, si dimentica. Il ricordo di

quell’informazione è rimosso.

Ma perché si rimuove (= si sposta) nell’inconscio il ricordo di

un’informazione?

Di solito si spostano nell’inconscio (= rimozione) gli episodi brutti.

Prova a pensare alla sofferenza di un maltrattamento, alla sofferenza di

un’amicizia che si è rotta, alla sofferenza per la perdita di qualcuno.

Tutte queste sofferenze, se non vengono rimosse e messe nell’inconscio,

provocano (=fanno venire) l’ansia e la depressione (=ci fanno stare male).

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Verifichiamo se hai capito

Con il passare del tempo, la memoria

si modifica

sparisce

si distrugge

Le modificazioni quantitative della memoria, si riferiscono a

numero delle informazioni che si perdono

tipo di informazioni

qualità (=aspetti) dell’informazione

La teoria dell’interferenza sostiene che noi dimentichiamo il materiale che è nella

memoria a lungo termine perché il materiale (=le informazioni) che è nella

memoria a lungo termine perchè le informazioni

si respingono

si attraggono

si sovrappongono

C’è l’interferenza retroattiva quando

l’informazione nuova elimina l’informazione vecchia

l’informazione vecchia elimina l’informazione nuova

le due informazioni si eliminano entrambe (tutte e due)

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Modificazioni qualitative della memoria

Con il passare del tempo non solo dimentichiamo alcuni fatti o perdiamo delle

informazioni (= modificazioni nella quantità del materiale ricordato)

Con il passare del tempo, ci sono altri cambiamenti, altre modificazioni.

Quali?

Prova a pensare a questa situazione:

tu e un tuo amico ascoltate una barzelletta. La barzelletta è dunque la stessa per te e per lui.

Dopo un po’ di tempo, tu e lui raccontate quella barzelletta ad altri amici.

Secondo te, tu e lui raccontate la barzelletta allo stesso modo, con gli stessi particolari;

oppure sei del parere che raccontate la barzelletta in modo diverso?

Sicuramente raccontate la barzelletta in modo un po’ diverso.

Secondo te, la diversità è nel contenuto (= quantità delle informazioni) o

nella qualità (= aspetto) del contenuto stesso?

C’è l’interferenza proattiva quando

l’informazione nuova elimina l’informazione vecchia

l’informazione vecchia elimina l’informazione nuova

le due informazioni si eliminano entrambe (tutte e due)

La teoria della rimozione sostiene che

si spostano nell’inconscio i pensieri e le esperienze che ci danno

ansia, sofferenza

si cancellano tutte le esperienze

si spostano nell’inconscio i pensieri strani.

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Molto probabilmente la barzelletta ha lo stesso contenuto, ma cambia nei

particolari.

Sono le conoscenze che abbiamo e le abitudini che provocano queste

modificazioni qualitative.

Certe volte le abitudini non ci fanno vedere le cose che in realtà ci sono.

Bruner e Postman hanno fatto un esperimento.

Per fare l’esperimento hanno usato le carte da gioco. Queste carte da gioco

erano un po’ modificate perché contenevano due assi di picche rossi. ( Tutti

noi sappiamo invece che gli assi di picche sono neri).

Quando Bruner e Postman chiedevano alle persone quanti assi vedevano, la

maggior parte delle persone diceva che ne vedeva tre ( cioè quelli neri).

Le persone, condizionate (= influenzate) dall’abitudine, non vedevano quelle

rosse!

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Questo esperimento ci dimostra che

tutto quello che noi ricordiamo non rispecchia (= non contiene) in

modo preciso quello che abbiamo visto in precedenza(= prima)

ciò che noi ricordiamo è diverso da quanto abbiamo visto in realtà

Anche lo psicologo Federic Barlett, dell’università di Cambridge, in

Inghilterra,ha fatto degli studi sulle modificazioni qualitative della memoria.

Uno di questi studi è stato fatto negli anni trenta.

Cosa faceva Barlett? Barlett raccontava a delle persone europee (= che

abitavano in Europa) una storia dei pellirossa (= indiani d’America).

La storia riguardava i modi di vivere e le credenze degli indiani.

Gli europei non conoscevano i modi di vivere e le credenze degli indiani.

Gli europei ascoltavano la storia di Barlett e poi la ripetevano..

Quando gli europei ripetevano la storia, trasformavano (= modificavano) i

nomi delle cose che non conoscevano in nomi di cose che conoscevano e che

erano più vicine alla loro cultura.

Ad esempio, le “canoe” (imbarcazioni tipiche degli indiani), diventavano

“barche” (imbarcazioni tipiche degli europei).

Queste modificazioni (canoe/barche) si chiamano “rielaborazioni

personalizzate”

La “rielaborazione personalizzata” modifica una cosa che non si conosce e la

fa diventare una cosa che si conosce.

In un altro esperimento Barlett ha mostrato a degli europei una maschera

africana (= dell’Africa).

Gli europei dovevano poi disegnare questa maschera.

Gli europei dovevano disegnare più volte la maschera, a distanza di tempo.

Barlett si era accorto che, con il passare del tempo, il disegno della maschera

africana perdeva le caratteristiche (= i tratti significativi) che aveva all’inizio.

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Negli ultimi disegni (= riproduzioni) la figura della maschera diventava più

regolare, più semplice, più familiare.

Come nell’esperimento precedente, anche con la maschera, c’era una

“rielaborazione personalizzata”.

I tratti della maschera africana diventavano quasi uguali ai tratti degli europei.

E’ una dimenticanza perché lascia perdere le caratteristiche che c’erano

all’inizio per prendere altre caratteristiche.

La maschera africana che Barlett faceva vedere agli europei. Con il passare del tempo, il ricordo della

maschera veniva modificato; una figura che non era familiare, veniva trasformata in una figura familiare.

Ti sei accorto che la “rielaborazione personalizzata” (che è una

modificazione qualitativa) è una dimenticanza?

Barlett ha chiamato queste dimenticanze “creative”.

Queste dimenticanze sono creative perché non lasciano dei vuoti. Al posto dei

vuoti la nostra mente ci mette qualcosa che può andare bene.

Tutto questo dimostra che la nostra mente “lavora”.

La memoria è quindi un fenomeno “attivo e costruttivo” (che fa e costruisce).

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Verifichiamo se hai capito:

La modificazione qualitativa della memoria si riferisce

agli aspetti (= particolarità) dell’informazione

al numero delle informazioni (= quantità)

alla validità dell’informazione

L’esperimento delle carte da gioco di Bruner e Postman ci dimostra che nel

vedere le cose, noi

subiamo l’influenza delle esperienze precedenti ( che ci sono state prima)

guardiamo male

non ci ricordiamo abbastanza

Gli esperimenti di Barlett (Storia dei pellirossa e maschera africana) ci

dimostra che, nel ricordo, noi facciamo

una rielaborazione generalizzata

una rielaborazione personalizzata

una trasformazione fantasiosa

Barlett ha definito i risultati dei suoi esperimenti come

cambiamenti originali

dimenticanze produttive

dimenticanze creative

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CAPITOLO 6:

LINGUAGGIO E PENSIERO: L’ARTE DI COMUNICARE E DI

RAGIONARE.

Come facciamo a conoscere e a comunicare?

La nostra mente lavora: conosce la realtà; produce, costruisce pensieri;

comunica pensieri agli altri.

Per fare tutto questo usa 3 strumenti, 3 mezzi basilari:

1) i simboli

2) il linguaggio

3) i concetti

1) I SIMBOLI

Cosa è un simbolo?

Un simbolo è un oggetto, un’azione, un suono, un segno che sta al posto di

qualcos’altro, che indica qualcos’altro.

Un semaforo rosso ci dice : “Fermati !”

Ma anche la mano alzata del vigile ci dice: “Fermati !”

La mano di un amico agitata verso destra e verso sinistra ci dice: “Ti saluto”.

La croce rossa su un’auto ci indica un’ambulanza.

La croce rossa su un edificio ci indica un ospedale.

Se pronuncio (= dico i suoni) o se scrivo le lettere M+O+N+T+E voglio

indicare, descrivere un rilievo, una zona elevata della terra.

Il semaforo, l’alzare il braccio, l’agitare la mano, la croce rosa, la parola

MONTE, sono tutti simboli.

Un ramo d’ulivo indica il concetto, l’idea di “PACE”.

Ma anche le lettere P+A+C+E, indicano lo stesso concetto, la stessa idea.

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Come sono nati i simboli?

E’ semplice: gli uomini hanno scelto i simboli, hanno fissato i loro

significati.

Come hanno fatto?

Gruppi di uomini si sono messi d’accordo e insieme, con un patto, con una

convenzione, hanno fissato, hanno stabilito quali simboli usare e quali

significati dare a quei simboli.

Per questo diciamo che i simboli sono convenzionali.

Per questo si dice anche che i simboli sono arbitrari: gli uomini possono

decidere di indicare un significato con un simbolo, oppure con un altro

simbolo.

Per esempio:

1) gli italiani hanno stabilito con una convenzione di chiamare un certo

frutto con le lettere M+E+L+E; i francesi di chiamare lo stesso frutto con

le lettere P+O+M+M+E; gli inglesi con A+P+P+L+E.

Verifichiamo se hai capito

Scrivi cosa indicano questi simboli:

Il fischio dell’arbitro in una partita ………………………………………………

Il fischio del pubblico a teatro ……………………………………………………

Il battito delle mani del pubblico …………………………………………………

Il trillo del telefono ………………………………………………………………

Un fiocco rosa su una porta ………………………………………………………

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2) questo cartello stradale indica in quale direzione si deve andare.

2) IL LINGUAGGIO

Il linguaggio è una delle più grandi conquiste dell’uomo. Il linguaggio è

importantissimo.

Infatti, gli uomini, quando usano il linguaggio, possono:

- raccontare le cose che hanno scoperto di generazione in generazione,

dal passato al futuro (i padri raccontano le cose ai figli e i figli ai loro

figli …)

- comunicare tra loro: gli uomini possono raccontare agli altri uomini le

loro idee, anche quelle più difficili, complicate.

Verifichiamo se hai capito

I simboli sono arbitrari e convenzionali

perché sono scelti da un arbitro

perché sono stabiliti a caso

perché gruppi di uomini li hanno scelti liberamente; questi uomini, con un

accordo, hanno stabilito il significato di ogni simbolo scelto.

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- parlare con “il proprio io”, “il proprio intimo”, cioè pensare, riflettere.

Il linguaggio degli animali

Anche gli animali hanno un linguaggio: gli animali comunicano tra loro in

modo non verbale, cioè senza usare le parole.

Gli scienziati hanno studiato il linguaggio degli animali. Hanno così scoperto

che le api comunicano tra loro con modi diversi di volare; i delfini usano

suoni-richiamo.

Alcuni scienziati hanno insegnato alle scimmie ad usare pezzi di plastica di

diversi colori come simboli di parole diverse. Sarah, una giovane scimpanzé,

sa “leggere” e “scrivere” 130 simboli/parole.

Sarah è stata definita “ scimmia alfabeta”: in questo caso, sulla lavagna magnetica ha scritto

“ Mary dare mela Sarah”.

Però ci chiediamo: queste scimmie compiono l’operazione di leggere e di

scrivere, con intelligenza, con coscienza ( = le scimmie si rendono conto,

sono consapevoli di quello che stanno facendo)?

Oppure hanno solo imparato a imitare, a copiare, a ripetere i gesti degli

uomini (= degli scienziati che hanno insegnato alle scimmie a leggere e a

scrivere)?

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Il linguaggio umano

Il linguaggio è il principale, il più importante mezzo di comunicazione tra gli

uomini.

Questo perché:

- Con il linguaggio ogni uomo può tradurre (= trasformare, cambiare) le

sue esperienze e i suoi pensieri in parole.

- Con le parole l’uomo può comunicare agli altri le sue esperienze, i suoi

pensieri.

- Per mezzo di questa comunicazione gli uomini costruiscono e

tramandano ( fanno passare) alle generazioni che seguono (=ai figli e ai

figli dei figli) il sapere, la cultura, la civiltà.

- Per mezzo del linguaggio l’uomo può pensare, può risolvere i problemi,

cioè può aumentare le sue conoscenze e le sue capacità.

Verifichiamo se hai capito:

Gli animali hanno un linguaggio non verbale: Significa che:

non comunicano tra loro

comunicano con dei versi

comunicano, ma non usano le parole

Verificare se hai capito

L’uomo con il linguaggio può:

Comunicare con gli animali

Comunicare con gli altri uomini

Tramandare la cultura

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80

Il linguaggio è un insieme di parole e di strutture grammaticali.

Attenzione: come dobbiamo usare le parole, i simboli stabiliti dall’uomo, per

comunicare?

Non possiamo usare parole isolate, cioè staccate tra loro, senza ordine, senza

collegamenti.

Dobbiamo mettere le parole in ordine; dobbiamo legare le parole tra loro,

formare delle frasi.

Solo così possiamo trasmettere alle altre persone, con chiarezza, il nostro

pensiero.

Per mettere in ordine, per collegare le parole, ci sono delle regole: queste

regole sono le strutture grammaticali.

Il linguaggio del corpo

Per comunicare non usiamo solo il linguaggio verbale, il linguaggio delle

parole; per comunicare noi usiamo anche un linguaggio non verbale, il

linguaggio del corpo: con movimenti, con gesti, con espressioni del volto

facciamo capire alle altre persone ciò che pensiamo.

Verifichiamo se hai capito:

Le strutture grammaticali sono:

le parole che l’uomo usa per comunicare

le regole che l’uomo ha fissato per legare tra loro, per mettere in ordine le

parole

le frasi che l’uomo usa per esprimere il suo pensiero.

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La comprensione del linguaggio

Richard e Rosalyn P. Warren, della Università del Wisconsin (USA) hanno

fatto un esperimento.

Hanno registrato frasi di questo tipo:

Porta scuola il *acco di quaderni

Porta nel cassonetto il *acco di immondizie

Porta al ciabattino (=calzolaio) il *acco della scarpa.

L’asterisco * vuol dire: nella registrazione non c’è la lettera, ma un colpo di

tosse.

I due scienziati hanno fatto ascoltare la registrazione ad un campione (= ad un

certo numero di persone).

Tutte le persone che avevano ascoltato la registrazione capivano per intero le

parole (pacco – sacco – tacco) e non si accorgevano, non sentivano i colpi di

tosse.

Cosa significa questo?

Significa che chi ascolta una frase, capisce il significato della frase e delle

parole del contesto, cioè dell’insieme di tute le parole e del loro ordine.

Verifichiamo se hai capito:

Indichi cosa comunichi quando usi questi gesti del linguaggio del corpo:

quando strizzi l’occhio ad un amico ………………………………….….

quando metti il dito indice verticalmente davanti alle labbra ………….…

………………………………………………………………………………

quando volti le spalle ad una persona che ti sta parlando ………………..

………………………………………………………………………………

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Questo fenomeno si chiama elaborazione attiva del discorso.

L’elaborazione attiva del discorso dimostra una cosa importante.

L’elaborazione attiva del discorso dimostra che la mente comprende, capisce

una frase in modo veloce, rapido:

la mente, mentre sente i suoni, subito si fa un’idea del significato delle parole,

del senso della frase.

La mente non ascolta in modo passivo, ma attivo.

La mente è attiva perchè lavora: si muove tra suoni e regole.

Si dice che la comprensione del linguaggio è un processo dinamico.

La comprensione del linguaggio è un processo (= sequenze, passaggi )

dinamico perché la mente si muove: elabora informazioni, cerca di capire in

fretta le informazioni.

Verifichiamo se hai capito

La mente dell’uomo, per capire un discorso

ascolta passivamente, cioè senza muoversi, senza fare nulla, le

informazioni che riceve

aspetta la fine della frase per capire

raccoglie velocemente tutte le informazioni possibili e usa tutto l’insieme

della frase, cioè il contesto

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A volte troviamo più difficile capire un discorso. Perché? Quando succede

questo?

- quando chi parla usa parole poco conosciute o difficili

- quando chi parla usa frasi troppo lunghe

- quando chi parla ha un modo troppo complicato di costruire le frasi, ha

cioè uno “stile” non piano, non chiaro; usa uno stile intricato, contorto.

Ad esempio: l’esperto di medicina, l’esperto di economia, l’esperto di

informatica usano delle parole, dei termini “specialistici”, cioè usati solo in

quella disciplina, in quella materia. Solo gli altri esperti capiscono, questi

termini, queste parole.

Noi non conosciamo questi termini; quindi spesso non capiamo i loro

discorsi.

Ma anche linguaggio comune, cioè il linguaggio usato dalla gente comune, da

tutti noi, può presentare, avere difficoltà di comprensione: quindi noi

possiamo fare fatica a capirlo.

Quando succede questo?

- quando chi parla usa la forma negativa

- quando chi parla usa la forma passiva

- quando chi parla usa parole o frasi “ambigue”, cioè che possono avere

due o anche più significati.

L’uso della forma negativa

Due studiosi americani, Clark e Chase, hanno dimostrato che per tutti noi è

più difficile capire le frasi negative..

I due scienziati hanno presentato a dei soggetti, a delle persone, una serie, un

insieme di frasi illustrate, cioè accompagnati da disegni. (vedi fig.6.5).

I soggetti dovevano indicare le frasi corrette, esatte (come la a e la c) e le

frasi errate, sbagliate (la b e la d ).

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a) Il cuore è sopra la stella

b) La stella è sotto il cuore

c) Il cuore non è sotto la stella

d) La stella non è sopra il cuore

Tenendo presente l’illustrazione: è giusta la frase che descrive l’immagine?

Nota bene: la risposta è più lenta quando la frase contiene una negazione.

Le persone hanno impiegato il 50% di tempo in più per capire le frasi quando

erano negative.

La frase diventa più difficile ancora quando contiene due o più negazioni.

Verifichiamo se hai capito:

E’ più difficile da capire la frase

1) “nessuno nega che tu sei buono” della frase

2) “tutti dicono che tu sei buono”,

perché la frase 1)

usa forme negative e contiene più negazioni

contiene parole difficili, specialistiche

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L’uso della forma passiva

Noi possiamo dire: “Stefano lancia la palla”. In questo caso la forma della

frase è attiva: il soggetto, Stefano, fa l’azione di lanciare la palla.

Noi possiamo dire la stessa cosa anche così: “La palla è lanciata da Stefano”.

In questo caso la forma della frase è passiva.: il soggetto, la palla, non fa

l’azione, ma subisce, riceve l’azione.,

Le due frasi hanno lo stesso significato.

Però la frase attiva è più facile: la capiamo più in fretta, più velocemente.

La frase passiva è più difficile,la capiamo più lentamente .

La frase passiva è più difficile perché:

- la frase passiva è composta, formata da più termini, più elementi

- usiamo più spesso frasi attive e meno spesso frasi passive (7 volte

meno)

Verifichiamo se hai capito

1) la mamma sgrida il bambino

2) il bambino è sgridato dalla mamma

Noi capiamo più velocemente la frase:

1)

2)

perché:

è di forma attiva

è di forma passiva

di solito usiamo poco questa forma

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La presenza di ambiguità

La frase “l’altra notte ho sparato ad un elefante col pigiama” è ambigua, cioè

può essere capita in due modi:

1) “io ero in pigiama”

2) “l’elefante era in pigiama”

Perciò solo se sto molto attento capisco il vero significato della frase. Se

ascolto con poca attenzione penso ad un elefante col pigiama.

La nostra mente deve cercare di capire la frase nella sua struttura profonda;

la mente non deve fermarsi alla struttura superficiale della frase, cioè al

significato più facile, quello che ci appare per primo.

Verifichiamo se hai capito:

Una frase è ambigua quando:

contiene parole che non conosciamo

possiamo capirla in due modi diversi.

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3) I CONCETTI

Ricordiamo: le parole sono simboli, che possono indicare degli oggetti

particolari.

Per es.: bambola, palla, trenino, orsacchiotto.

Le parole però possono esprimere anche dei concetti.

Che cosa sono i concetti?

I concetti sono anch’essi dei simboli, ma con dei significati più generali, più

ampi.

Cerchiamo di capire meglio con un esempio: la parola “giocattolo” indica un

concetto, che racchiude, comprende tutte le parole elencate sopra (bambola,

palla, trenino, orsacchiotto).

Tutte queste parole indicano oggetti; questi oggetti hanno in comune una

cosa: servono a far giocare i bambini.

Con la parola giocattolo io indico quindi un concetto, cioè un significato più

grande, più ampio, più generale, che comprende in sé diversi significati.

Ho creato così una parola nuova, ho ampliato il mio vocabolario.

Ma ogni concetto mi aiuta ad organizzare meglio il linguaggio ed il

pensiero.

Perché?

- perché ogni concetto è come uno “schedario”: dentro ogni schedario

mettiamo tutti gli oggetti, tutte le parole con qualcosa in comune

- perché il concetto generale rende più semplice il linguaggio e il

pensiero

- perché se voglio formare col pensiero e col linguaggio un concetto

devo:

prima confrontare tra loro tanti oggetti, tanti fatti

poi devo trovare le differenze, le diversità

intanto devo cercare le somiglianze, le cose, le proprietà

che quegli oggetti hanno in comune, perché le hanno tutti.

Per capire meglio come facciamo a formare un concetto, prova a fare un

gioco.

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Guarda la figura qui sotto. Come fai a capire cosa sono i NARFI?

Prima cerchi quali sono le caratteristiche che hanno soli i NARFI; capisci

quali sono i NON NARFI; quindi arrivi a formulare, a dire il concetto di

NARFI: “ i NARFI sono figure geometriche con un punto all’interno e un

punto all’esterno”.

Allo stesso modo facciamo quando dobbiamo formare o capire un concetto,

per esempio “giocattolo”

Attenzione dunque:

le parole sono gli strumenti fondamentali del linguaggio

i concetti sono gli strumenti fondamentali del pensiero.

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Verifichiamo se hai capito

A) segna le parole che indicano dei concetti, cioè delle categorie generali:

cane

treno

letto

gatto

oca

mammifero

tavolo

autobus

mobile

mezzo di trasporto

B) i concetti mi aiutano:

a organizzare, a classificare, a schedare le cose che

conosco V F

a trovare le somiglianze che ci sono tra le cose che

conosco V F

a rendere più semplice il mio pensiero V F

a rendere più chiaro il mio linguaggio. V F

4) IL PENSIERO

Il termine, la parola pensiero indica un modo li lavorare della mente, una

attività mentale.

Questa attività può avere molte forme, perché può essere.

- pura fantasticheria

- immaginazione

- ragionamento

La fantasticheria è il “sogno ad occhi aperti”

Quando fantastichiamo il nostro pensiero è completamente libero; esso supera

i limiti, i confini della realtà, del mondo reale.

Noi fantastichiamo non per agire, non per organizzare il nostro modo di agire;

fantastichiamo solo perché ci piace, perché ci dà soddisfazione;

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fantastichiamo per “il gusto”, il piacere che proviamo nell’usare il pensiero

fantastico.

Spesso sentiamo il bisogno di fantasticare quando la realtà che ci circonda

non ci piace; per questo la cambiamo con la fantasia.

Quindi la fantasticheria ci può aiutare a liberarci delle nostre insoddisfazioni:

noi scarichiamo così le nostre frustrazioni. In questo modo non usiamo,

evitiamo, altri modi di sfogarci, altre “valvole di sfogo”, che possono essere

violente e quindi pericolose.

L’immaginazione è un’altra forma di pensiero libero: quando immaginiamo

col pensiero “creiamo” qualcosa di nuovo, qualcosa che non abbiamo mai

vissuto prima.

Ma è diverso da quando fantastichiamo.

Quando “immaginiamo” vogliamo “agire”; lo facciamo per organizzare, per

programmare un’azione.

Ad es.: prima concepiamo l’idea di cosa scrivere nel tema; prima

immaginiamo la “traccia”; poi scriviamo “quello che abbiamo immaginato”,

ideato.

Un’altra differenza tra fantasticheria e immaginazione: quando immaginiamo

usiamo sempre “immagini” di cose già presenti nella nostra mente, cose che

fanno parte della nostra esperienza. L’immaginazione non nasce dal nulla.

Verifichiamo se hai capito

fantasticare e immaginare sono forme di pensiero libero V F

fantasticare è una perdita di tempo V F

fantasticare ci aiuta ad agire V F

fantasticare ci aiuta a stare meglio quando la realtà non ci

piace V F

Distingui tra le due diverse forme di pensiero

quando penso di fare un viaggio a Roma, si

tratta di Fantast. Immagin.

quando penso di diventare la regina

d’Inghilterra si tratta di Fantast. Immagin.

quando penso di sposare Tom Cruise si tratta

di Fantast. Immagin.

quando penso di sposare un ragazzo bello,

onesto, leale si tratta di Fantast. Immagin.

quando penso di vincere 3 premi mondiali di

Formula Uno si tratta di Fantast. Immagin.

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Il ragionamento: pensiero convergente e pensiero divergente

Joy Guilford, dell’Università della California del Sud, ha organizzato tutte le

forme di pensiero in 2 tipi diversi:

- il pensiero convergente

- il pensiero divergente

La mente usa il pensiero convergente quando cerca e trova la risposta giusta

per risolvere un problema.

Ad es.: io uso il pensiero convergente quando:

- devo trovare l’area di un rettangolo;

- devo fare l’esercizio indicato nella figura, cioè spostare 3 fiammiferi

per ottenere 3 soli quadrati.

Sai ottenere tre quadrati spostando tre fiammiferi?

Partendo da 12 fiammiferi disposti in questo modo e spostandoli in maniere diverse, possiamo comprendere

la differenza tra pensiero convergente e pensiero divergente.

Quindi il pensiero convergente è un tipo di pensiero chiuso; cioè permette

di dare un solo tipo di risposta, quindi “chiude” le possibilità di risposta entro

limiti, entro confini precisi.

Invece la mente usa il pensiero divergente quando cerca in totale, assoluta

libertà, il maggior numero di risposte possibili ad un problema.

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Ad es.: io uso il pensiero divergente quando:

- cerco tutti i modi possibili per utilizzare un foglio di carta

- uso i 12 fiammiferi della figura sopra liberamente, per costruire altre

possibili figure.

Quindi il pensiero divergente è un tipo di pensiero aperto; cioè lascia aperta,

libera la mente di trovare tutte le possibili e diverse risposte.

Verifichiamo se hai capito

la fantasia è una forma di pensiero convergente divergente

l’immaginazione è una forma di pensiero convergente divergente

inventare uno slogan pubblicitario è una

forma di pensiero convergente divergente

calcolare le spese di luce e gas di un anno è

una forma di pensiero convergente divergente

La risoluzione dei problemi

Nella vita di ogni giorno incontriamo continuamente problemi.

Risolvere un problema vuol dire cercare e scoprire i modi più adatti per

raggiungere un obiettivo difficile.

Generalmente lo facciamo in 3 momenti.

Nel 1° momento: cerchiamo di comprendere il problema: esaminiamo con

attenzione, mettiamo a fuoco tutti gli elementi, tutte le componimenti del

problema

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Verifichiamo se hai capito

Prova a fare questo gioco: cerca tutti gli oggetti blu che ci sono intorno a te.

Poi chiudi gli occhi. Adesso cerca di ricordare quelli gialli. Quanti ne hai

dimenticati?

Questo esercizio ti fa capire che:

per esaminare un problema dobbiamo concentrarci su un solo aspetto

di esso

per esaminare un problema non dobbiamo mai avere dei limiti, ma

osservare tutti i suoi possibili aspetti

Nel 2° momento: cerchiamo la soluzione. Per questo “formuliamo delle

ipotesi”, cioè pensiamo, consideriamo modi, metodi, possibili per risolvere il

problema.

Ecco 4 possibili metodi:

1) la ricerca a caso: si prova e si riprova, fino a trovare la soluzione

giusta. Per es: per anagrammare la parola ORTO passo a caso da OTRO a

ROTO a TORO.

2) la ricerca di analogie: quando un problema ci sembra simile, analogo

ad un altro che abbiamo già risolto, usiamo lo stesso tipo di soluzione.

Ad esempio: Problema 1- In una classe ci sono 23 alunni. Per le 5 ore della mattinata, tutti,

tranne (= all’infuori) di 7, vanno a visitare un museo accompagnati da due esperti di storia

dell’arte: Quanti alunni rimangono in classe?

Problema 2 – Alle 17, Franca si mette in macchina a Venezia (= parte da Venezia) e prende

l’autostrada verso Bologna alla velocità media di 120 Km orari (= all’ora). Venti minuti

più tardi, Lina prende l’autostrada verso Venezia alla velocità media di 125 Km orari.

L’autostrada tra le due città è di 155 Km. Quando le due donne si incontrano, chi è più

vicina a Bologna?

Se trovi l’analogia (= la somiglianza) tra i due problemi, puoi trovare la soluzione

facilmente. La soluzione sta nel fatto che non si devono fare calcoli. La soluzione è

nascosta: i dati (= i numeri) non servono a nulla.

La soluzione del primo: è 7 alunni ( e non è difficile)

La soluzione del secondo: è ovvio che Franca e Lina si incontrano nello stesso punto

dell’autostrada ed è pure ovvio che si trovano alla stessa distanza da Bologna!

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3) la ricerca dei sotto problemi: in questo caso dividiamo il problema in

tanti piccoli sotto problemi, più facili da risolvere; così andiamo avanti

passo dopo passo. Per es: nel gioco delle torri di Hanoi:

a b c

Il gioco delle torri di Hanoi: bisogna spostare i tre dischi dal piolo ‘a’ al piolo ‘c’. Si deve muovere un disco

alla volta e non si deve mettere mai un disco più grande sopra un disco più piccolo.

Questo è il metodo che usiamo per risolvere i problemi di algebra.

Ma è un metodo che usiamo anche nella vita di tutti i giorni.

Verifichiamo se hai capito

Vogliamo fare un regalo ad un amico.

Ci comportiamo in questo modo:

a) valutiamo, consideriamo quanti soldi possiamo spendere

b) prendiamo in esame le cose che piacciono all’amico

c) visitiamo vari negozi per cercare l’oggetto scelto.

Quale metodo dei 3 indicati sopra abbiamo usato?

4) l’intuizione (o insight): è una “via”, non un metodo, perché non lo

scegliamo con intenzione, con coscienza. Si ha l’intuizione quando

risolviamo un problema grazie ad una “idea” improvvisa. Per esempio:

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Nel 3° momento: valutiamo i risultati; vuol dire esaminare tutte le prove

che possono confermare la soluzione scelta. Ma dobbiamo valutare anche le

prove che smentiscono, annullano la nostra scelta.

Prima di prendere una decisione è bene immaginare, chiedersi: “Cosa succede

se questa decisione è sbagliata?”

In questo modo:

a) prendiamo in esame anche altre soluzioni

b) siamo preparati davanti a critiche o insuccessi

Ostacoli (= difficoltà) nel risolvere i problemi:

Quando cerchiamo di risolvere un problema a volte incontriamo delle

difficoltà.

Queste difficoltà possono nascere da cause diverse:

1° causa delle difficoltà a risolvere problemi: la mancanza di flessibilità

Cosa è la flessibilità? È una capacità degli adulti. Siamo flessibili quando,

per risolvere un problema, torniamo sempre indietro col ragionamento;

quando controlliamo quello che abbiamo già fatto; quando verifichiamo se

abbiamo fatto errori.

Quando non riusciamo ad essere flessibili?

a) quando partiamo da un’idea sbagliata, da una supposizione, da un

presupposto errati.

Ad esempio, se parto dal presupposto (= considerazione iniziale) che il treno per Milano è

alle 8.05, e invece il treno a quell’ora non c’è, non potrò arrivare a Milano all’ora che mi

interessa.

Verifichiamo se hai capito

Prova a risolvere con l’intuizione il problema (a) della figura precedente

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b) quando ci fissiamo sull’uso “solito”, “abituale” di un oggetto. Allora

non riusciamo ad immaginare nuovi usi, nuovi scopi per quell’oggetto.

Ad esempio quando pensiamo che una bottiglia serve solo per contenere liquidi o un piatto

per contenere cibo.

Verifichiamo se hai capito

Prova tu ad essere flessibile:

indica tanti nuovi e diversi modi per usare una bottiglia:

candeliere

portafiori

________

________

________

________

Se non riusciamo a vedere, a considerare un oggetto in un modo nuovo, non

abbiamo flessibilità.

Gli Psicologi chiamano la mancanza di flessibilità fissità funzionale.

La fissità funzionale rende difficile risolvere i problemi.

2° causa delle difficoltà a risolvere problemi: le caratteristiche della

personalità. Le caratteristiche di una persona che possono rendere difficile la soluzione di

problemi sono molte:

- l’ansia: perché toglie la capacità di attenzione, di concentrazione

- l’eccessivo ottimismo: perché spinge ad affrontare problemi troppo

difficili, e perché fa accettare la prima soluzione che si trova (va

sempre bene tutto e si rischia di commettere errori)

- l’impulsività : perché fa agire senza riflettere

- l’eccessiva riflessività: perché significa che si ha scarsa fiducia nelle

proprie capacità e per prendere una decisione si impiega troppo tempo.

- il senso del controllo esterno : perché si crede che quanto accade (=ciò

che succede), dipende dagli altri e non dalle proprie azioni, si crede

cioè che gli avvenimenti dipendono da fattori esterni che non si

possono controllare.

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La creatività

La creatività ci permette di risolvere i problemi usando insieme il pensiero

divergente e il pensiero convergente.

Infatti siamo creativi quando troviamo una soluzione che è:

“nuova e insolita”, ma insieme anche

“pratica e utile”.

In quasi tutte le nostre azioni quotidiane (= di tutti i giorni) facciamo così:

cerchiamo idee nuove, originali, che però siano anche reali, pratiche, utili,

sicure.

Siamo quindi tutti creativi.

Verifichiamo se hai capito

Prova a completare:

è creativo un bambino quando………………………………………….

è creativa la casalinga quando…………………………………………..

è creativo l’insegnante quando………………………………………….

è creativo l’artigiano quando……………………………………………

Lo studioso Guilford ha definito le caratteristiche del pensiero divergente:

a) la fluidità: è la capacità di produrre, in poco tempo, tante idee

per es.: indicare il maggior numero possibile di usi di un

mattone

per fare una villa, una scuola, un ponte, un muro, ecc.

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Verifichiamo se hai capito

Prova tu: elenca, in un minuto, il maggior numero possibile di parole che

cominciano con la lettera “V”

…………………… ………………… ………………….. ………………...

…………………… ………………… …………………. ………………...

…………………… ………………… …………………. ………………...

…………………… ………………… …………………. ………………..

…………………… ………………… ………………….. ………………...

…………………… ………………… …………………. ………………...

…………………… ………………… …………………. ………………...

…………………… ………………… …………………. ………………..

b) la flessibilità: è la capacità di creare nuove idee, originali, diverse

da quelle solite, che si usano sempre.

Per es.:la persona flessibile alla domanda: “come puoi

usare un mattone”, inventa nuove categorie di uso: per

tirarlo dietro al gatto; per tenere aperta la porta

Verifichiamo se hai capito

Continua tu il possibile elenco degli usi originali di un mattone.

…………………… ………………… ………………….. ………………...

…………………… ………………… …………………. ………………...

…………………… ………………… …………………. ………………...

…………………… ………………… …………………. ………………..

…………………… ………………… ………………….. ………………...

…………………… ………………… …………………. ………………...

…………………… ………………… …………………. ………………...

…………………… ………………… …………………. ………………..

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99

c) la possibilità di riorganizzare lo stimolo: è la capacità di staccarsi dal

solito modo di vedere un oggetto e di usarlo in modo

nuovo.

Ad es.: Picasso, il grande artista, ha messo insieme un

manubrio e un sellino di bicicletta e ha ottenuto una testa

di toro,

Anche noi usiamo questa capacità quando improvvisiamo, inventiamo un

nuovo uso ad un oggetto; per esempio quando usiamo una moneta come

cacciavite

Verifichiamo se hai capito

Prova ad elencare degli oggetti che puoi usare in modo originale

…………………… ………………… …………………. ………………...

…………………… ………………… …………………. ………………...

…………………… ………………… …………………. ………………..

…………………… ………………… ………………….. ………………...

…………………… ………………… …………………. ………………...

…………………… ………………… …………………. ………………...

…………………… ………………… …………………. ………………...

Se non sappiamo “riorganizzare lo stimolo”, non siamo flessibili: la nostra è

“fissità funzionale”

d) l’originalità: è la capacità di dare risposte, di trovare soluzioni

non ovvie, non abituali, non normali, ma nuove e diverse.

È la dote ( = capacità) più importante per essere creativi.

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100

Nella tabella che segue ci sono alcune prove per misurare la tua creatività.

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101

Verifichiamo se hai capito

Indica quali di queste qualità sono necessarie, secondo gli psicologi, per

risolvere problemi:

coraggio

concentrazione

ordine

fluidità

pazienza

originalità

curiosità

flessibilità

l’ottimismo

l’ansia

L’intelligenza

Tutto quello che abbiamo studiato in questo capitolo riguarda l’intelligenza.

Che cosa è l’intelligenza?

Le persone sono diverse tra loro perché possiedono e usano in modo diverso:

- la capacità di comprendere le idee complesse;

- la capacità di cambiare e di adattarsi alle novità

- la capacità di usare le esperienze per imparare nuove conoscenze e

nuovi modi di agire

- la capacità di imparare in maniera veloce

- la capacità di usare forme diverse di ragionamento

- la capacità di risolvere problemi

Ma anche la stessa persona usa in modo diverso le sue capacità a secondo dei

momenti, delle occasioni.

I concetti di “intelligenza” cercano di chiarire questi fenomeni.

Robert Sternberg ha formulato la teoria delle 3 facce dell’intelligenza:

“In ognuno di noi ci sono 3 diversi tipi di intelligenza:

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1) intelligenza = pensiero analitico = pensiero convergente: è la

capacità di ricordare e di organizzare i dati appresi per usarli in situazioni

nuove.

Questo è il tipo di intelligenza misurata dai test.

2) Intelligenza = pensiero creativo = pensiero divergente: è la capacità

di mettere insieme dati diversi in modo originale

Verifichiamo se hai capito

Rispondi a questo problema: nella famiglia Rossi ci sono 5 fratelli e ogni

fratello ha una sorella. Quante donne ci sono in famiglia contando anche la

signora Rossi? Se hai risposto “2” hai usato l’intelligenza di tipo----------------

---------------

3) Intelligenza = capacità di adattamento = intelligenza pratica: è la

capacità di cambiare a secondo dell’ambiente sociale e culturale in cui si

vive.

Adattarsi vuol dire non solo cambiare se stessi, ma anche

- agire sull’ambiente per farlo cambiare a secondo delle nostre esigenze

- decidere di cambiare ambiente

Stenberg dice: “l’ideale, la situazione migliore si ha quando in una persona

c’è equilibrio tra questi 3 tipi di intelligenza”.

Ma ciò che conta è saper sfruttare al massimo le proprie capacità più grandi e

saper migliorare quelle più deboli.

Verifichiamo se hai capito

Quale tipo di intelligenza pensi di avere di più?-------------------------------------

--------------------------perché------------------------------------------------------------

----------------------------------------------------

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103

Come si misura l’intelligenza

Noi non possiamo misurare l’intelligenza in sé, ma gli atti di intelligenza, cioè

i comportamenti dettati dalla intelligenza di una persona.

I test che abbiamo sono però incompleti: misurano solo il pensiero

convergente (o analitico); per es. la capacità di apprendimento, di memoria, di

comprensione,di ragionamento verbale.

I test non misurano il pensiero creativo e non misurano la capacità di

adattamento.

Con i test si misura, a seconda del numero delle risposte esatte, il valore

dell’intelligenza di una persona; si chiama quoziente intellettivo (QI)

Il QI medio o normale viene indicato col valore 100. Il 95% della popolazione

ha dei valori tra 70 e 130.

Attenzione però: questi test non sono equi, non sono imparziali: favoriscono

le persone che hanno più istruzione e più cultura.

E’ importante sapere che il QI dipende sempre da:

- la natura di una persona

- la sua educazione

- la motivazione, l’interesse perla cultura e per il test.

Verifichiamo se hai capito

Ci sono diversi tipi di intelligenza V F

L’intelligenza si può misurare con precisione V F

Si possono misurare gli atti, le azioni legate

all’intelligenza V F

Non si possono misurare l’intelligenza creativa e

l’intelligenza pratica V F

I test sono equi e imparziali. V F

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104

CAPITOLO 7

PENSIERO E LINGUAGGIO: il delicato cammino dello

sviluppo.

Il sesto capitolo ti aveva spiegato che cosa è il pensiero e che cosa è il

linguaggio.

Questo nuovo capitolo ti spiega ora come il pensiero e il linguaggio crescono

e si sviluppano.

Pensa a quando il bambino è appena nato.

Il bambino appena nato non parla (= non ha il linguaggio), ma ha la voce.

Dalla sua bocca escono dei versi e dei pianti. I versi e i pianti si sviluppano ,

(si strutturano, prendono forma) e, con il passare del tempo diventano

linguaggio vero e proprio.

Il bambino appena nato non pensa (= non ha il pensiero), ma può ricevere le

informazioni che provengono dal mondo esterno. ( Ti ricordi la percezione?

Cap. 2°). Le informazioni che provengono dal mondo, per mezzo dei sensi,

vanno al cervello e il cervello utilizzerà le informazioni per costruire il

pensiero.

Cosa avviene di preciso nel cervello, nella mente?

Paragona le informazioni che provengono dal mondo a dei libri: le

informazioni del mondo sono tante e diverse; anche i libri sono tanti e diversi.

Ora paragona la mente a una biblioteca dove si mettono i libri.

Ci domandiamo: “Nella biblioteca i libri vengono messi alla rinfusa (= senza

ordine), oppure sono raggruppati secondo un ordine preciso?”

Sicuramente sei del parere che i libri vengono sistemati con ordine!

Perché? Perché in questo modo è più facile poi ritrovarli e usarli.

La stessa cosa succede nella nostra mente quando arrivano le informazioni. La

mente non riceve le informazioni a casaccio (come capita). La mente sistema,

organizza le informazioni che riceve.

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In questo modo il pensiero si sviluppa fino a raggiungere forme complesse (=

che contengono più forme semplici).

Vediamo ora

Come il bambino arriva a comprendere il mondo.

Tra gli studiosi che si sono occupati dello sviluppo del pensiero (e quindi

dell’intelligenza che permette al pensiero di svilupparsi), abbiamo Jean

Piaget (1896-1980) che ha condotto (fatto) i suoi studi all’università di

Ginevra, in Svizzera.

Piaget sosteneva una cosa importante.

La cosa importante che Piaget sosteneva è che il bambino, per crescere, deve

adattarsi alla realtà, al mondo che lo circonda.

Se il bambino si adatta, capisce come è il mondo e capisce anche come si

deve fare a vivere bene.

Per adattarsi al mondo, (che è apprendimento), la mente del bambino ha a

disposizione (= può usare) degli attrezzi, degli strumenti.

Questi attrezzi, questi strumenti sono le capacità (=potenzialità) della mente.

Alcuni bambini sono molto intelligenti e hanno capacità (= strumenti,

attrezzi) superiori agli altri bambini; questi bambini possono raggiungere le

forme complesse del pensiero. Altri bambini che nascono con poche capacità

(= poche potenzialità, pochi strumenti), sono poco intelligenti e non possono

arrivare alle forme più complesse del pensiero.

Cerchiamo ora di capire come si organizzano (= come lavorano) questi

“attrezzi mentali”, cioè come si sviluppa il pensiero.

Piaget dice che lo sviluppo del pensiero segue un processo, cioè un modo

preciso di procedere (= di andare avanti).

Questo modo di procedere è fatto di schemi.

Gli schemi sono dei modelli mentali (= dei punti di riferimento) che noi

usiamo per adattarci al mondo che ci circonda.

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Ci sono due tipi di schemi:

a) schemi semplici, come afferrare un giocattolo

b) schemi complessi, come saper risolvere una moltiplicazione.

Man mano (= via via, mentre) che il bambino cresce, il pensiero si organizza

meglio.

E, man mano che il pensiero si organizza meglio, si formano (= si

costruiscono) nuovi schemi.

Quando si formano nuovi schemi?

Torniamo all’esempio che avevamo fatto prima: i libri e la biblioteca.

I libri rappresentano le informazioni e la biblioteca la nostra mente.

Così come nella biblioteca ci sono gli scaffali (= ripiani, mensole) dove

mettere i libri secondo un ordine, così nella nostra mente ci sono gli schemi

dove mettere le informazioni.

In modo semplice possiamo paragonare gli schemi della mente agli scaffali

della biblioteca.

Trasformiamo (=cambiamo) la domanda “Quando si formano nuovi

schemi?”nella domanda:”Quando occorrono nuovi scaffali?”

Se nella biblioteca, (dove ci sono già scaffali per i libri di narrativa, di

matematica, di scienze, di psicologia, ecc.), arrivano dei libri di “diritto” e lo

scaffale per questi libri di diritto non c’è, devo modificare (=cambiare) gli

scaffali che ci sono, oppure aggiungere scaffali nuovi.

Così avviene nella mente: quando arrivano informazioni che entrano negli

schemi che già ci sono, abbiamo quello che Piaget chiama

- assimilazione: noi assimiliamo le informazioni senza cambiare gli

schemi.

Se, invece, arrivano informazioni che non possono entrare negli schemi che

possediamo, abbiamo quello che Piaget chiama

- accomodamento: noi modifichiamo, cambiamo, trasformiamo gli

schemi che abbiamo per renderli più adatti al mondo che ci circonda.

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Facciamo un esempio. Un bambino va allo zoo, vede una zebra (= animale a

righe bianche e nere). Il bambino non conosce la zebra. Secondo il bambino,

la zebra è un cavallo (=assimilazione) Quando il bambino, con l’aiuto dei

genitori, si accorge della differenza che c’è tra la zebra e il cavallo, ha

bisogno di uno schema dove far rientrare la zebra. (= accomodamento)

Ogni volta che ci sono assimilazione e accomodamento, si raggiunge uno

stato (=situazione, condizione) di equilibrio.

L’equilibrio permette la stabilità tra gli schemi della propria mente e le

informazioni che arrivano dall’ambiente, dal mondo.

L’equilibrio però è uno stato che dura poco tempo(= temporaneo) perché le

persone fanno sempre nuove scoperte e nuove osservazioni. Quando ci sono

nuove scoperte e nuove osservazioni, ci sono anche nuove assimilazioni e

nuovi accomodamenti. Nuove assimilazioni e nuovi accomodamenti portano a

nuovi equilibri.

Anche lo sviluppo del linguaggio segue lo stesso procedimento.

Verifichiamo se hai capito:

Il pensiero e il linguaggio

si sviluppano

non si sviluppano

si completano

Per adattarsi al mondo, il bambino ha a disposizione

la scuola

i genitori

degli “attrezzi mentali” (= capacità/potenzialità)

Gli “attrezzi mentali”, quando ricevono le informazioni dal mondo che ci circonda

costruiscono scaffali

costruiscono schemi

costruiscono problemi

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Gli schemi sono

degli scaffali

dei modelli mentali

dei problemi da risolvere

Il processo di adattamento avviene attraverso

intuizione – assimilazione – accomodamento

assimilazione – intuizione – equilibrio

assimilazione – accomodamento – equilibrio

Con l’assimilazione, la nuova informazione

modifica gli schemi esistenti

non modifica gli schemi esistenti

disturba le conoscenze che si possiedono

Con l’accomodamento, la nuova informazione

modifica gli schemi esistenti

non modifica gli schemi esistenti

disturba le conoscenze che si possiedono

L’equilibrio permette

la stabilità tra gli schemi e le informazioni

il cambiamento degli schemi

il cambiamento delle informazioni

Lo sviluppo del linguaggio segue il processo di

assimilazione – adattamento – cambiamento

assimilazione – adattamento – intuizione

assimilazione – accomodamento – equilibrio

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Le fasi dello sviluppo intellettivo

La teoria di Piaget sostiene (= dice) che lo sviluppo dell’intelligenza avviene

attraverso delle fasi (= periodi, momenti che cambiano).

Ogni fase, cioè ogni periodo, ha delle caratteristiche (= elementi significativi).

Questo significa che in ogni fase il bambino può imparare a fare delle cose.

Il bambino può passare nella fase che viene dopo, solo se ha imparato a fare

le cose della fase che è venuta prima.

Infatti, per poter fare certe cose ( =possedere certe abilità), è necessario avere

fatto prima altre cose (= avere maturato, acquisito altre abilità).

Ad esempio, se vuoi scrivere al computer

- devi prima avere imparato a riconoscere le lettere dell’alfabeto

- devi prima avere imparato come si usa il computer.

Piaget dice che le fasi dello sviluppo dell’intelligenza sono quattro.

La prima fase si chiama senso – motoria.

La fase senso-motoria va dalla nascita a due anni circa.

Questa fase si chiama senso – motoria (= dei sensi e del movimento) perché

lo sviluppo dell’intelligenza avviene attraverso le informazioni che giungono

(=vengono) dai sensi e dal movimento (= azioni) del corpo.

Proviamo a pensare al bambino appena nato, al bambino di un anno e al

bambino di due anni: dalla nascita a due anni avvengono tanti cambiamenti!

I cambiamenti avvengono perché ci sono gli apprendimenti. Gli

apprendimenti avvengono con le informazioni che si ricevono dai sensi e

dalle azioni.

Quali sono le cose più importanti (aspetti più significativi) che avvengono in

questo periodo, in questa fase?

Alla nascita e nei primi momenti di vita , il comportamento del bambino non

è intenzionale.

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Dire che il comportamento del bambino non è intenzionale significa dire che

il bambino non è consapevole (= non si rende conto) delle sue azioni.

Il suo comportamento è istintivo.

I comportamenti istintivi sono legati ai riflessi. Ad esempio, il succhiare il

latte della mamma è un comportamento istintivo legato a un riflesso innato (=

già presente alla nascita)

Pian pianino il bambino cresce e già nelle prime settimane di vita guarda con

interesse il mondo e le persone attorno a lui.

In questo periodo di vita, per il bambino esistono (= ci sono) solo le cose che

lui vede davanti a sé. Se noi mostriamo (= facciamo vedere) una palla a un

bambino e subito dopo questa palla la nascondiamo (ad esempio la mettiamo

da un’altra parte e lui non la vede), per il bambino la palla non esiste più.

Secondo gli psicologi il bambino capisce che gli oggetti continuano ad

esistere (anche se lui non li vede), quando ha circa otto mesi. Ad esempio, se

il bambino di questa età vede la mamma nascondere la palla sotto il cuscino,

va subito a cercarla nel posto giusto (= sotto il cuscino).

Gli psicologi chiamano questa conquista del bambino “permanenza

dell’oggetto”.

“Permanenza dell’oggetto” vuol dire che il bambino sa che un oggetto

continua ad esistere anche se lui non lo vede.

Con la “permanenza dell’oggetto” si sviluppa la memoria. La memoria, come

abbiamo già visto nel cap. 5°, è la capacità di conservare e recuperare le

informazioni.

Un’altra cosa importante che c’è in questa fase è l’”imitazione”. L’imitazione

è la capacità di “copiare” (=fare uguale) le cose che fanno gli altri.

Già un bambino di 15 –20 giorni riesce a copiare le espressioni del volto

(=faccia) di un adulto

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Nella fase senso-motoria c’è la comparsa (= inizio) dell’apprendimento e

della soluzione dei problemi. Quando il bambino ha circa un anno cerca

(=prova) di risolvere i problemi per “tentativi ed errori” (di ciò abbiamo

parlato nel cap. 4°)

Facciamo un esempio:

un bambino vuole prendere una palla che è appoggiata su una coperta. Se

questo bambino ha meno di 12 mesi, cerca di prendere la palla allungando la

mano, ma non ci riesce. Più avanti, quando è un po’ più grande, fa altri

tentativi e scopre che, se tira la coperta, riesce a prendere la palla.

Verso la fine della fase senso-motoria, compare (= si presenta) l’”intuizione”.

(Ti ricordi, nel 4° capitolo, il bambino che prendeva il bastone per avvicinare

la palla?)

L’intuizione permette al bambino di rappresentare nella mente gli oggetti e

gli avvenimenti (= ciò che succede).

Con l’intuizione c’è un tipo di pensiero più avanzato (= che è andato avanti).

Possiamo allora dire che il bambino, quando ha conquistato in questa prima

fase senso-motoria

imitazione

permanenza dell’oggetto

soluzione dei problemi per tentativi ed errori

soluzione dei problemi per intuizione

è pronto per affrontare la fase successiva (=che viene dopo) perché è capace

di darsi da fare (=agire) per ottenere ciò che vuole.

Verifichiamo se hai capito

L’intelligenza, nella prima fase di sviluppo si chiama senso-motoria perchè

i sensi si sviluppano con i movimenti

il movimento si sviluppa con i sensi

le informazioni arrivano alla mente attraverso i sensi e il movimento

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La fase successiva si chiama:

fase pre-operatoria: la fase pre-operatoria va dai 2 ai 6/7 anni.

Pre-operatorio vuol dire che viene prima delle operazioni vere e proprie.

Ma cosa significa (=vuol dire) fare operazioni?

Fare operazioni non significa solo fare i calcoli con le addizioni, le

sottrazioni, le moltiplicazioni e le divisioni. Fare operazioni significa fare

azioni con la mente, significa cioè usare il pensiero in modo logico per

risolvere i problemi. I problemi non sono solo quelli della matematica; i

problemi sono anche quelli della vita di tutti i giorni (come ad esempio: Come

faccio ad arrivare a scuola in orario se ho perso l’autobus?)

In questa fase pre-operatoria, il bambino non sa fare delle vere operazioni.

In questa fase c’è il passaggio dall’azione pratica (cioè quella del movimento,

tipico della fase senso-motoria) al pensiero.

Per “imitazione” si intende:

la capacità di copiare le azioni degli altri

la volontà di agire come gli altri

il piacere di fare quello che fanno gli altri

Per “permanenza dell’oggetto” si intende:

che l’oggetto sta fermo davanti al bambino

che il bambino vede l’oggetto davanti a sé

che per il bambino un oggetto continua ad esistere anche se non lo vede

la soluzione dei problemi, nella fase senso-motoria, avviene

per tentativi ed errori e per intuizione

casualmente

per imitazione

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Come si forma il pensiero?

Il pensiero si forma con l’attività rappresentativa.

L’attività rappresentativa è quell’azione che ci permette di avere nella mente

tutto ciò che è nella realtà. Ad esempio, ti chiedo di pensare al numero 10: tu

hai ben rappresentata nella tua mente la quantità che corrisponde a questo

numero. Nella tua mente sono rappresentate anche molte altre cose che ci

sono nella realtà ; nella tua mente ci sono anche rappresentate le esperienze

che hai vissuto.

A partire dai 16- 18 mesi ci sono (=compaiono) nel bambino tre

comportamenti che sono collegati (=uniti) con l’attività rappresentativa.

Questi tre comportamenti sono:

1- Il linguaggio verbale: il linguaggio verbale è indispensabile (=non si

può fare senza) alla attività rappresentativa perché la parola sostituisce

l’oggetto. La parola (=il linguaggio) permette di portare nella mente

quello che c’è nella realtà. Ad esempio nella realtà c’è la montagna. La

parola “montagna” permette di avere nella mente l’immagine della

montagna, anche senza avere la montagna davanti agli occhi. Diciamo

anche (lo hai già studiato nel 6° capitolo) che le parole sono dei

simboli. I simboli, infatti, stanno al posto di qualcos’altro. Le parole

stanno al posto della realtà.

2)L’imitazione differita: nella fase senso-motoria c’era per il bambino

l’imitazione, cioè la capacità di copiare quello che fanno gli altri. Ora

che siamo nella fase pre-operatoria e il bambino è più grande,

l’imitazione diventa differita (= distante, lontana nel tempo).

“Imitazione differita”, significa che ora il bambino è capace di imitare

qualcuno anche se non è davanti ai suoi occhi. Il bambino ora, ad

esempio è capace di imitare il vigile che aveva visto qualche giorno

prima per strada o il dottore che aveva visto un mese prima in ospedale.

Noi diciamo, dunque che l’imitazione differita è possibile perché il

bambino ha nella mente la rappresentazione di queste persone (vigile,

dottore, ecc.) e delle azioni che compiono.

2- Il gioco simbolico: prima, nella fase senso-motoria, il bambino faceva

giochi di esercizio e passava il tempo a manipolare (toccare, apprire,

chiudere, schiacciare, togliere, aggiungere, mettere dentro e fuori, ad

esempio con il “Lego”.

Ora che siamo nella fase pre-operatoria, il gioco diventa simbolico. Tu

sai che il simbolo è qualcosa che sta al posto di qualcos’altro. Ecco che

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allora uno scatolone può diventare un’astronave e un bastone può

diventare la canna per pescare i pesci.

Nella fase pre-operatoria il bambino gioca a “far finta di ….”. Alle

bambine piace far finta di fare la mamma o di essere la maestra della

scuola. Ai bambini piace far finta di essere il vigile, il poliziotto o un

personaggio dei cartono animati della televisione.

Con il gioco simbolico il bambino sviluppa la creatività (cfr. pensiero

divergente – cap.6°)

Verifichiamo se hai capito

La fase pre-operatoria, secondo Piaget, va

dai 3 ai 6/7 anni

dai 2 ai 5/6 anni

dai 2 ai 6/7 anni

Nella fase pre-operatoria, il bambino

sa fare le operazioni vere e proprie

non sa fare le operazioni vere e proprie

gioca a fare le operazioni vere e proprie

Nella fase pre-operatoria c’è

il passaggio dall’azione pratica al pensiero

il passaggio dal pensiero all’azione pratica

il passaggio da un’azione ad un’altra azione

Il pensiero si forma

con l’attività rappresentativa

con l’attività spontanea

con l’attività scolastica

Indica, tra i seguenti comportamenti, quali sono legati all’attività

rappresentativa:

fantasia

linguaggio verbale

imitazione differita

attenzione

percezione

gioco simbolico

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I limiti del pensiero nella fase pre-operatoria

Abbiamo detto più volte che, nella fase pre-operatoria, il bambino non è in

grado, (=non è capace) di fare delle operazioni vere e proprie.

Ma perché? Che cosa gli impedisce di operare logicamente?

Secondo Piaget, in questa fase il pensiero ha dei limiti. Il pensiero ha dei

limiti (non può andare oltre) perché gli manca qualcosa.

Che cosa manca al pensiero per compiere le operazioni?

1- al pensiero manca il concetto di conservazione. Conservare vuol dire

trattenere, non perdere. Il pensiero del bambino non riesce a capire che

un “oggetto” conserva la sua quantità o il suo numero anche se cambia

la sua forma o la sua posizione.

Per capire meglio quanto abbiamo detto osserva questi due esempi:

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Primo esempio: mostriamo (=facciamo vedere) a un bambino di meno di sei

anni due bicchieri uguali che contengono aranciata in uguale misura. (figura a –

1); mentre il bambino continua ad osservarci, versiamo il contenuto di uno dei

due bicchieri in un terzo bicchiere, più alto e stretto (figura a –2).

E’ ovvio che l’aranciata arriva a un livello più alto, ma che la sua quantità

rimane immutata (= non muta, non cambia).

Se però chiediamo al bambino: “Fai finta di avere molta sete. Quale dei due

bicchieri scegli?” Il bambino sceglie il nuovo bicchiere perché crede che il

nuovo bicchiere contiene più aranciata.

Secondo esempio: mostriamo ad un bambino, sempre della stessa età (meno di

6 anni), due file parallele di otto monete distanziate in modo uguale , e

domandiamogli in quale fila ci sono più monete: il bambino risponde che le

file hanno lo stesso numero di monete (figura b-1). Dopo, mentre il bambino ci

guarda, spostiamo le monete di una fila in modo che si allargano gli spazi tra

le monete e la fila diventa più lunga (figura b-2). Facciamo di nuovo la

domanda al bambino: “Quale fila contiene più monete?”. Il bambino risponde

che la fila più lunga contiene più monete.

Noi abbiamo cambiato solo una caratteristica, ma il bambino crede che ci

sono stati altri cambiamenti.

Perché il bambino, nella fase pre-operatoria non riesce a risolvere i problemi

di conservazione?

Il bambino non riesce a risolvere i problemi di conservazione a causa di

alcune caratteristiche del suo pensiero.

Le caratteristiche del pensiero che impediscono (= non permettono) la

conservazione sono

1- l’incapacità (= non capacità) di comprendere (= capire) la

reversibilità.

“reversibilità” vuol dire tornare indietro. Il bambino, con il pensiero non

sa tornare indietro.

Facciamo un esempio. Io do a un bambino 10 pastelli di grandezza

diversa. Chiedo al bambino di mettere questi pastelli in ordine dal più

piccolo al più grande. Il bambino confronta i pastelli e li mette in ordine,

senza sbagliare. Se poi gli dico ancora “ Ora questi pastelli li metti in

ordine dal più grande al più piccolo”. Tu cosa faresti? Ti viene logico

capovolgere l’ordine. Il bambino no: Il bambino ricomincia a contarli di

nuovo perché il suo pensiero non è reversibile, non sa tornare indietro.

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2- l’egocentrismo: la parola egocentrismo vuol dire “io al centro”,

significa che il bambino non è capace di mettersi nei panni di un altro,

di vedere al posto dell’altro, di capire come pensa e cosa vuole l’altro.

Il bambino è convinto (=crede) che tutte le cose e tutte le persone esistono

in funzione sua. Ad esempio la notte arriva perché lui deve andare a letto a

dormire. Se lui fa un’esperienza è convinto che anche gli altri stanno

facendo la stessa esperienza.

3- il centramento: centramento vuol dire mettere l’attenzione su un

aspetto (punto, parte) di un oggetto, senza guardare gli altri aspetti

(punti, parti). Vuol dire che di un oggetto il bambino guarda una sola

cosa e non guarda le altre. Nell’esempio dell’aranciata (che veniva

versata da un bicchiere largo e basso in un bicchiere stretto e alto), il

bambino faceva attenzione solo all’altezza che raggiungeva l’aranciata.

Poiché l’attenzione era centrata sull’altezza dell’aranciata, il bambino

non guardava la differenza (forma dei bicchieri).

Per risolvere il problema della conservazione occorre invece non essere

centrati su un solo aspetto. Occorre essere decentrati. Essere decentrati

vuol dire guardare più cose nello stesso tempo.

Il bambino dell’esempio, per superare il centramento e decentrarsi deve

guardare nello stesso tempo l’altezza dell’aranciata e la forma del

bicchiere.

4- fare attenzione agli stati e non alle trasformazioni.

Per capire questo concetto devi capire cosa noi intendiamo per stati e cosa

noi intendiamo per trasformazione.

Per stato intendiamo le situazioni ferme, che non cambiano nel tempo.

Per trasformazione noi intendiamo la modificazione, il cambiamento dei

fatti mentre si svolgono (si succedono) nel tempo.

In questo caso noi diciamo che il bambino mette la sua attenzione sugli

stati (= ciò che non cambia), quindi sulla situazione che c’è all’inizio e

sulla situazione che c’è alla fine. Il bambino non guarda la trasformazione,

cioè il cambiamento.

Facciamo un esempio:

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facciamo vedere a un bambino una matita tenuta in posizione verticale (=

diritta, in piedi), poi, mentre il bambino ci guarda, abbassiamo la matita

piano piano fino a metterla in posizione orizzontale (= piatta, sdraiata).

Subito dopo, diamo al bambino delle figurine, come quelle

dell’illustrazione e gli chiediamo di metterle nell’ordine che riproduce (=

ripete) lo spostamento fatto dalla matita.

Il bambino non è capace di risolvere questo problema (non sa riordinare i

passaggi), perché non ha ancora compreso(=capito) le trasformazioni che

sono avvenute nel tempo.

Questo fatto, cioè che il bambino non riesce a seguire i cambiamenti(=le

trasformazioni) che avvengono nel tempo (=che si succedono), non gli

permette di avere un pensiero logico.

Noi diciamo che nel periodo pre-operatorio (2-6/7 anni) il bambino non

vede i legami che ci sono tra gli avvenimenti.

Verifichiamo se hai capito

Nella fase pre-operatoria il bambino non sa fare operazioni logiche

perché al pensiero manca

manca la conoscenza dei numeri

manca il concetto di conservazione

mancano i dati del problema

Nella fase pre-operatoria, il bambino non riesce a risolvere i problemi di

conservazione a causa:

del centramento

della fantasia

della non reversibilità del pensiero

dell’egocentrismo

del linguaggio verbale

della non attenzione alle trasformazioni

(attenzione: sono più di uno!)

Se diciamo che il pensiero del bambino, nella fase pre-operatoria, non è

reversibile, noi vogliamo dire (=significa che)

il bambino, con il pensiero, non sa tornare indietro

il bambino non si ricorda

il bambino non sa ricominciare

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Fase delle operazioni concrete è la fase che va dai 6/7 anni agli 11 anni,

corrisponde al periodo della scuola elementare.

Abbiamo già capito cosa vuol dire fare “operazioni”. Vuol dire pensare,

ragionare o fare qualcosa in modo logico: è l’azione della mente.

Perché Piaget dice che in questa fase le operazioni (che ora ci sono!), sono

concrete?

Concreto vuol dire “pratico”, vuol dire cioè legato all’esperienza.

Il bambino riesce dunque a fare operazioni con la mente solo se può cogliere

il problema in modo pratico, concreto.

Se ricordi quali erano i limiti del pensiero nella fase pre-operatoria, puoi

capire perché ora il bambino è capace di compiere le operazioni.

Se diciamo che il pensiero del bambino è egocentrico, noi vogliamo dire

(=significa) che

il bambino vede le cose solo dal suo punto di vista , che il bambino

non sa mettersi nei panni degli altri

il bambino gioca a stare in centro (= nel mezzo)

il bambino non si preoccupa di sé

Se diciamo che è il pensiero del bambino è caratterizzato dal

centramento, noi vogliamo dire (=significa che)

il bambino osserva (=guarda) un solo aspetto (= una sola cosa) di una

situazione / di un oggetto, senza guardare al resto (= le altre cose)

al bambino piace essere al centro dell’attenzione

il bambino vuole stare al centro della famiglia

Se diciamo che, nella fase pre-operatoria, il pensiero del bambino è

attento agli stati e non alle trasformazioni, vogliamo dire (= significa)

che

il bambino sta attento alle situazioni senza guardare i cambiamenti

il bambino non sta mai attento

al bambino piacciono gli stati

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Il bambino ora può compiere le operazioni (concrete) perché nel suo pensiero

c’è il concetto di conservazione.

Ricordi l’esperimento dell’aranciata? Dopo i 6/7 anni il bambino capisce che,

anche se cambia il contenitore (= bicchieri di forma diversa), la quantità di

aranciata rimane la stessa!

Perché ora il bambino riesce a conservare la quantità?

Il bambino riesce a conservare la quantità perché il suo pensiero è diventato

“reversibile”

Poiché il pensiero è reversibile ora può compiere il procedimento inverso,

cioè tornare indietro.

Il bambino non ragiona più in una sola direzione, cioè in avanti! Ora torna

anche indietro!

Facciamo il solito esempio dei pastelli:

chiedo al bambino che è nella fase delle operazioni concrete di riordinare i

pastelli dal più piccolo al più grande: non ci sono difficoltà! (ma anche nella

fase pre-operatoria non c’erano difficoltà)

quando ha finito di fare questa operazione, gli chiedo di riordinare gli stessi

pastelli dal più grande al più piccolo (cioè in senso inverso, reversibile):

questa volta il bambino non ricomincia più a misurarli di nuovo uno alla volta

come aveva fatto nella fase pre-operatoria; questa volta inverte, gira, l’ordine

di posto!

L’idea di conservazione riguarda più aspetti ( cose, elementi, dimensioni)

della realtà.

L’idea di conservazione di tutte le cose non si sviluppa in un solo momento.

L’idea di conservazione si sviluppa per gradi (= un poco alla volta).

Vediamo come si sviluppa l’idea di conservazione:

- 5-7 anni : si sviluppa la conservazione della quantità, del numero

- 8-9 anni : si sviluppa la conservazione della superficie

- 9-10 anni: si sviluppa la conservazione del peso

- 12-14 anni: si sviluppa la conservazione del volume

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Si può dimostrare la conservazione della superficie con questo esperimento:

Prendiamo due fogli uguali di cartoncino. I due fogli rappresentano il terreno

dove mettere le mucche. Su ciascun foglio mettiamo una piccola mucca di

plastica e ci mettiamo anche quattro quadrati verdi. I quadrati verdi

rappresentano le zone di erba dove la mucca può mangiare. In un “terreno”

mettiamo i quattro quadrati verdi separati; nell’altro terreno mettiamo i

quattro quadrati verdi vicini in modo da formare un pezzo unico.

Chiediamo al bambino: “Le mucche mangiano la stessa quantità di fieno?”

I bambini, prima degli otto- nove anni, non riescono a comprendere (= capire)

il problema; non dicono che la mucca ha a disposizione la stessa quantità di

fieno. I bambini tendono ad affermare che la mucca mangia più fieno in “A”

perchè i quadrati di erba sono quattro, oppure a dire che la mucca mangia di

più in “B” perché c’è una zona più grande.

( prima degli 8-9 anni il bambino non ha sviluppato l’idea della superficie. Il bambino

prima degli 8-9 anni dice che la mucca può mangiare più fieno in “A” perché ci sono

quattro zone di erba; oppure, il bambino può dire che la mucca può mangiare più fieno in

“B” perché c’è una zona d’erba grande).

In questa fase delle operazioni concrete compare anche la capacità di

classificare gli oggetti (= classificazione) e di ordinare gli oggetti in serie (=

seriazione).

Vediamo di che cosa si tratta.

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1- classificazione ( o inserimento in una classe)

Cosa significa classificare (o inserire in una classe)?

Classificare significa raggruppare, cioè mettere insieme delle cose che

stanno bene insieme, seguendo un criterio, una logica.

Facciamo un esempio:

su un tavolo mettiamo una serie di oggetti: una macchinina, una matita, un

trenino, un camioncino, una mela, una pera, un pastello, una banana, un

pennarello.

Quali, di questi oggetti, stanno bene insieme?

La mela sta bene con la pera e la banana, perché assieme stanno nella

classe della ……………. (frutta)

La matita sta bene con il pastello e con il pennarello perché stanno nella

classe degli ……………………… (oggetti che scrivono)

La macchinina, il trenino, il camioncino, stanno bene insieme perchè

stanno nella classe dei …………………………..(mezzi di trasporto).

2- la seriazione

Cos’è la seriazione?

La seriazione è la capacità di mettere in ordine, con la mente, un certo

numero di oggetti, secondo un criterio (cioè in un certo modo), ad esempio

-dal più piccolo al più grande (e viceversa)

-dal più pesante al meno pesante (e viceversa)

-dal più luminoso al meno luminoso (e viceversa)

-dal più chiaro al più scuro (e viceversa) ecc.

Questa capacità serve al bambino per capire quale rapporto c’è tra i

numeri, ad esempio per capire che l’8 è minore di 9 e che è maggiore di 7.

Ti sei accorto che rispetto alla fase pre-operatoria, ora il bambino sa fare

molte più cose?

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Anche questa fase però ha dei limiti: il limite (=non si riesce ad andare più

in là) è che il bambino sa fare solo le operazioni che sono legate alla realtà.

Hai capito pure che le operazioni che sono legate alla realtà sono concrete.

Per andare nella fase successiva è necessario (= occorre) staccarsi

(=allontanarsi) dalla realtà concreta.

È possibile staccarsi dalla realtà concreta se si fanno delle astrazioni.

Quando il ragazzo ragiona (= fa operazioni) in modo astratto vuol dire che

non ha più bisogno dell’oggetto concreto.

Verifichiamo se hai capito

Nella fase delle fase delle operazioni concrete il bambino sa ragionare in

modo logico solo se le situazioni, i problemi

sono rappresentati concretamente

si possono capire

si possono risolvere

Il bambino può fare le operazioni concrete perché

è un buon osservatore

la conservazione della quantità non serve

sa conservare la quantità

Il concetto di conservazione compare quando il pensiero

è flessibile

è reversibile

è maturo

La conservazione si sviluppa in modo graduale, un poco alla volta

vero

falso

Nella fase delle operazioni concrete si sviluppano anche le capacità di

classificazione e compensazione

classificazione e seriazione

seriazione e compensazione

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Fase delle operazioni formali: è la fase che va dagli 11 anni in poi,

corrisponde al periodo della scuola media.

Quando il ragazzo, per fare i ragionamenti non ha più bisogno di essere

attaccato alla situazione concreta, si passa nella fase delle operazioni formali.

Cosa sono le operazioni formali?

Le operazioni formali sono quelle azioni della mente che non sono legate alle

cose concrete, ma alla “forma” del ragionamento. Significa che il ragazzo fa

delle ipotesi, delle supposizioni.

Piaget diceva che in questa fase il pensiero prende “le ali”.

Questa nuova capacità di fare ipotesi (= supposizioni, ragionamenti astratti) si

manifesta (= si presenta, si fa vedere) con l’interesse dei ragazzi per la

“fantascienza” e per il pensiero “scientifico”.

A scuola il ragazzo può capire concetti della matematica e della fisica che

hanno un legame solo con la teoria (=forma) e non con la pratica (concreto).

Tra i concetti che hanno legami con la forma ( ipotesi, teoria, astrazione) e non

con il concreto, troviamo:

- concetto di infinito

- concetto di zero assoluto

- volontà, invidia, giustizia, rischio …ecc.

Non tutte le persone raggiungono la fase delle operazioni formali.Le persone

che si dedicano alla cultura e al sapere sviluppano meglio le operazioni

formali.

Con la classificazione si

va a scuola

inserisce un elemento in una classe

si fanno degli elenchi

Con la seriazione

si diventa seri

si mettono in ordine degli elementi secondo un criterio

si inseriscono degli elementi in una classe secondo un criterio

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Le fasi dello sviluppo cognitivo e gioco

Piaget ha dimostrato che ad ogni fase dello sviluppo cognitivo corrispondono

diversi modi di giocare.

Dai tipi di gioco che il bambino fa, noi possiamo capire in che fase si trova.

Vediamo di capire che tipo di gioco caratterizza (= fa riconoscere) ciascuna

fase e quali giocattoli sono più adatti. (= vanno meglio).

Verifichiamo se hai capito

La fase delle operazioni formali va

dai 6/7 anni agli 11 anni

dai 2 ai 6/7 anni

dagli 11 anni in poi.

Le operazioni formali sono azioni della mente che sono legate a:

situazioni concrete, reali

condizioni ipotetiche, astratte

situazioni fantasiose, creative.

Nella fase delle operazioni formali i ragazzi manifestano interesse per

il simbolismo

la concretezza

la scienza e la fantascienza

Tutte le persone fanno operazioni formali

vero

falso

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Nella fase senso-motoria c’è il gioco d’esercizio .

Questo gioco è legato al movimento del corpo: all’inizio il bambino

sgambetta, apre e chiude le mani, afferra e lascia il piedino, si alza

aggrappandosi alla sponda del box e poi si lascia cadere, scuote i sonagli.

Man mano cresce il bambino infila e sfila oggetti, lancia la palla salta da un

gradino, tira e spinge uno scatolone.

Nei primi due anni di vita il bambino diventa sempre più abile (= capace,

sicuro) nei movimenti e il gioco d’esercizio diventa sempre più complesso.

Quali sono i giocattoli più adatti (= che vanno meglio) ?

Fino a 10 mesi: giocattoli che fanno dei movimenti, hanno dei suoni e sono

molto colorati (per es. i carillon) o i pupazzi di gomma che, se schiacciati,

producono dei suoni.

Dai 10 –11 mesi vanno bene i giocattoli che si possono spingere o tirare, da

percuotere, da mettere in fila (meglio se fanno rumore).

Da 18 mesi a 3 anni: dondoli, tricicli, automobiline a pedale, giochi a incastro

( tipo Lego), perle grosse da infilare, blocchi di legno per fare costruzioni,

pastelli grossi.

Nella fase pre-operatoria c’è il gioco simbolico.

Il gioco simbolico inizia verso i 18 mesi, ma arriva al suonassimo sviluppo tra

i 3 e i 6 anni.

E’ il gioco del “fare finta di …”

Ad esempio, a 18 – 20 mesi il bambino mette il dito in bocca, chiude gli

occhi, appoggia la testa sul cuscino e fa finta di dormire.

Quando diventa più grandicello, imita le azioni degli adulti: il papà che guida

l’automobile, il guerriero che uccide il drago, o il dottore che visita

l’ammalato.

Il gioco simbolico è utile per la caratterizzazione sessuale ( cap. 4° -

modellamento): si apprendono i ruoli maschili e femminili.

Il gioco simbolico è anche psicoterapeutico: fa bene alla mente perché libera

l’aggressività e le paure che il bambino ha dentro.

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Ad esempio, se il bambino fa finta di uccidere il lupo cattivo, libera la sua

aggressività. Se il bambino gioca al dottore, supera la paura che ha nei

confronti del dottore.

Quali sono i giocattoli adatti? Un teatrino di burattini, abiti o costumi, utensili

da cucina, i giochi del “piccolo medico”, del “piccolo bottegaio”, riproduzioni

di una fattoria, di una scuola di un distributore di benzina con pupazzetti di

animali e uomini; la lavagna, la plastilina, i colori. Sono utili anche i cubi, i

puzzles grandi, gli strumenti musicali.

Nella fase delle operazioni concrete c’è il gioco di costruzione.

Durante l’età della scuola elementare il fanciullo è molto curioso. Alla

capacità di classificazione e di seriazione (tipiche di questa fase), corrisponde

il piacere di fare collezioni e di costruire.

Quali sono i giocattoli adatti?

Sono utili i giocattoli che servono a coltivare gli hobby, le collezioni, i giochi

da costruire da soli o con gli amici. Cominciano ad essere importanti la

macchina fotografica, il microscopio, gli attrezzi da lavoro e i giochi di

prestigio.

Nella fase delle operazioni formali c’ è il gioco di regole.

L’interesse per il gioco di regole (dove ci sono delle regole che valgono per

tutti , incomincia già nella fase delle operazioni concrete e continua anche

nella vita adulta).

Per poter fare il gioco di regole occorre aver superato l’egocentrismo.

Il gioco di regole ha un valore sociale ed è un esercizio per diventare buoni

cittadini.

Quali sono i giocattoli adatti? Sono utili i giochi che si possono fare sia in

casa che fuori: il pallone, i birilli, le bocce, il volano, le carte da gioco, i

giochi di società (Monopoli, Risiko …)

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Influenza sociale e sviluppo cognitivo

Abbiamo visto che lo sviluppo cognitivo dipende dai fattori innati (=

capacità, potenzialità, intelligenza, attitudini ) e dalle influenze

dell’ambiente (= tipo di esperienze che si fanno, stimoli che si ricevono).

Lo psicologo Guido Petter ha notato che i bambini che giocano con altri

bambini più grandi di loro possono raggiungere più in fretta i livelli

cognitivi superiori (= più alti).

Questa osservazione ci fa capire che lo sviluppo cognitivo è legato agli

stimoli (=informazioni) che arrivano dall’ambiente .

Quindi, un bambino che riceve pochi stimoli ha difficoltà (= fa fatica) a

sviluppare bene le sue conoscenze e a maturare.

Gli stili cognitivi nel pensiero del bambino

Piaget, se ben ricordi, dice che l’apprendimento è legato all’adattamento e,

quindi, alla soluzione dei problemi.

Verifichiamo se hai capito:

Collega, con una freccia, la fase dello sviluppo con il tipo di gioco che

corrisponde:

Fase senso-motoria gioco simbolico

Fase pre-operatoria gioco di regole

Fase delle operazioni concrete gioco d’esercizio

Fase delle operazioni formali gioco di costruzione

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Il modo di affrontare e risolvere i problemi non è legato solo allo sviluppo

delle conoscenze e della maturazione dell’intelligenza.

Il modo di affrontare e risolvere i problemi è legato anche al modo che

ciascuno di noi ha nell’organizzare le informazioni e di rispondere agli

stimoli che vengono dall’ambiente.

Il modo personale di organizzare le informazioni e di rispondere agli

stimoli che vengono dall’ambiente è uno stile personale (= modo di essere

della persona).

Questi modi di essere della persona, sono detti stili cognitivi.

Gli psicologi riconoscono tre tipi di stili cognitivi.

1- globale o articolato.

Chi ha uno stile globale tende ad avere una visione “generale” del

problema o della situazione.

Chi ha uno stile articolato riesce ad avere la visione dei “particolari” del

problema o della situazione.

2- senso di controllo interno o senso di controllo esterno.

Chi ha un senso di controllo interno (= dentro di sé) ha fiducia in se stesso

e sa gestire (=affrontare con sicurezza) le situazioni e i problemi.

Chi ha un senso di controllo esterno è convinto che il suo destino (= ciò

che gli succede) dipende dagli altri. Non è capace di gestire le situazioni

perché non ha fiducia nelle sue capacità. Si sente “vittima” (=che subisce).

3- impulsivo o riflessivo.

Chi è impulsivo ha la tendenza (= spinta) ad agire senza pensare, senza

riflettere.

Chi è riflessivo, prima di agire, pensa tante volte.

Essere troppo impulsivi o troppo riflessivi non va molto bene.

Quando si deve agire è importante riflettere il solo tempo necessario (=

quanto basta).

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La persona impulsiva

tende ad agire senza pensare

prima di agire pensa tante volte

quando deve agire riflette quanto basta

La persona riflessiva

tende ad agire senza pensare

prima di agire pensa tante volte

quando deve agire riflette quanto basta

Verifichiamo se hai capito

Gli stili cognitivi sono:

dei modi personali di mostrarsi agli altri

dei modi personali di organizzare le informazioni e rispondere agli stimoli

dei modi personali di studiare

La persona con stile globale

non vede i problemi

tende ad avere una visione generale del problema

tende a vedere gli aspetti particolari del problema

La persona con stile articolato

non vede i problemi

tende ad avere una visione generale del problema

tende a vedere gli aspetti particolari del problema

La persona con senso di controllo interno

ha fiducia nelle sue capacità e sa gestire le situazioni e i problemi

non ha fiducia nelle sue capacità e crede che tutto dipenda dagli altri

si diverte a controllare tutte le cose

La persona con senso di controllo esterno

ha fiducia nelle sue capacità e sa gestire le situazioni

non ha fiducia nelle sue capacità e crede che tutto dipenda dagli altri

non sopporta di dover controllare le cosa

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Lo sviluppo del linguaggio

All’inizio del capitolo abbiamo detto che anche il linguaggio si sviluppa come

l’intelligenza.

Lo sviluppo del linguaggio può essere suddiviso in tre fasi (=periodi)

1- fase non verbale: questa fase è caratterizzata (=ci sono queste cose) da

una comunicazione non verbale e da una comunicazione fatta con

produzioni vocali (=suoni della voce).

Di cosa si tratta?

1 a) la comunicazione non verbale comprende tutte le risorse (= i mezzi) che

il bambino usa per comunicare con gli altri senza usare la parola.

Questi mezzi, queste risorse, sono:

- i gesti: quando, ad esempio il bambino indica con la mano un oggetto che

vuole.

- il sorriso . Il sorriso indica le emozioni positive (sentimenti) che il bambino

prova: piacere, gioia, tenerezza. Nei primissimi mesi di vita del bambino, però,

il sorriso è un riflesso, cioè una risposta non intenzionale (assomiglia alla

smorfia). Dopo il secondo mese di vita c’è il sorriso sociale generale. Questo

significa che il bambino sorride a tutti. Gli psicologi dicono che il sorriso ha un

valore sociale perché induce (= stimola) l’adulto a interagire (= agire insieme)

con il bambino.

Dopo il sesto mese c’è un sorriso sociale selettivo. Dire che il sorriso è

selettivo significa dire che il bambino seleziona (= sceglie) le persone a cui

sorridere. In genere il bambino sorride alle persone che conosce.

-lo sguardo. All’inizio lo sguardo significa attaccamento alla madre e alle

figure familiari. Più avanti, verso gli 8 –9 mesi, lo sguardo serve al bambino

per stimolare la madre a interessarsi agli oggetti che ha in mano o a quello che

sta facendo. Verso i 12 mesi, con lo sguardo il bambino chiede

l’approvazione di ciò che sta facendo (= sentirsi dire che va bene).

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1 b) – la comunicazione mediante produzioni vocali. Abbiamo questo tipo di

comunicazione quando il bambino non ha ancora imparato a dire la “parola”.

Per arrivare a dire la parola il bambino passa attraverso una serie di suoni

della voce che, piano piano si organizzano ( i suoni si perfezionano per

arrivare alla parola).

Vediamo cosa succede:

All’inizio il bambino si esprime con il “ pianto”. Il bambino piange quando ha

fame, è bagnato, ha qualche disturbo (= non sta bene) o quando si spaventa

(es. prova paura per un rumore).

A 1-2 mesi il bambino emette (= fa uscire) dei suoni che assomigliano ai versi

dei colombi (= uccelli). Il verso è quello del “ tubare “.

A 5-6 mesi il bambino comincia a “balbettare”, cioè ripete molte volte le

stesse sillabe: ma-ma-ma, ga-ga-ga, da-da-da. (nota bene: questo succede

nelle lingue occidentali, come la nostra. Un bambino cinese, invece, emette le

vocali in tono diverso).

Più tardi, dopo questa fase, il bambino comincia a “imitare” (= copiare) i

suoni che emettono gli adulti. (Attenzione! A questa età il bambino imita i

suoni, non le parole!)

2- La fase del linguaggio infantile

Non è facile dire quando il bambino entra in questa fase. Verso il primo anno,

comunque, nel bambino ci sono delle espressioni vocali che possono essere

considerate delle parole. Ad esempio, quello che era un balbettio: ma-ma-ma,

ora diventa mam-ma; oppure quello che era pa-pa-pa, ora diventa, pa-pà.

A questa età il bambino capisce un numero maggiore (=comprensione) di

parole rispetto a quante parole dice (= produzione).

La caratteristica più evidente (= aspetto più significativo) della produzione

verbale di questo periodo è la parola-frase.

La parola-frase ha una funzione olofrastica. “Olofrastica” è una parola che

deriva dalla lingua greca: “olos” significa “tutto”; “phrasticos” significa “che

sa spiegare tutto”.

Infatti, il bambino, a questa età, quando dice una parola, in realtà vuole dire

un’intera frase.

Ad esempio, se dice “palla”, può voler dire:

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- voglio la palla, oppure,

- dov’è la palla, oppure,

- sto giocando con la palla.

Noi capiamo quello che il bambino vuole dire, dal contesto, cioè dalla

situazione che il bambino sta vivendo in quel momento.

Con il passare del tempo, il linguaggio diventa più strutturato (=meglio

organizzato, più complesso) e la frase diventa binaria. La frase binaria è fatta

di due parole. Ciascuna delle due parole indica (=vuol dire) una parte precisa

della situazione.

Ad esempio, se dice “tutù babbo” può voler dire:

- quella è la macchina del babbo

- sono andato in macchina con il babbo

- ho guidato la macchina del babbo.

3- fase del linguaggio vero e proprio:

Parliamo di linguaggio vero e proprio quando il bambino costruisce la frase.

Verso i 3 anni la frase del bambino ha una lunghezza media di quattro parole.

In maniera veloce il linguaggio poi si sviluppa: la frase si fa (=diventa) più

lunga e grammaticalmente corretta.

Generalmente il bambino:

- a 2 anni: comprende circa 200 parole

- a 3 anni: comprende circa 900 parole

- a 4 anni: comprende circa 1600 parole.

Non tutti i bambini sviluppano il linguaggio allo stesso modo e negli stessi

tempi.

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Le differenze di sviluppo del linguaggio (cioè di chi impara prima e di chi

impara dopo) dipendono da molti fattori:

- c’è il bambino lento (che va adagio) e il bambino precoce (= che fa le

cose prima) per natura (perché è fatto lui così)

- c’è l’influenza dell’ambiente socio-culturale .

Nella fase del linguaggio vero e proprio, tra i 2 e i 5 anni ci sono due momenti

significativi:

- momento del “cos’è”? : tra i 2-3 anni, in questo periodo il bambino ha

curiosità per i nomi.

- Momento del “perché”?: dai 3 anni in poi. Il bambino ha curiosità

nello scoprire i legami che ci sono tra le cose.

Se ben ricordi, questo periodo corrisponde alla fase pre-operatoria dello

sviluppo dell’intelligenza. Anche il linguaggio risente delle caratteristiche di

questa fase. Noi diciamo, infatti, che il linguaggio è “egocentrico”. Significa

che il bambino (che non ha la capacità di mettersi nei panni degli altri e vede

le cose solo dal suo punto di vista), quando parla dice tutto ciò appartiene a

lui.

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Verifichiamo se hai capito

Lo sviluppo del linguaggio si sviluppa seguendo

due fasi

tre fasi

quattro fasi

Nella fase non verbale distinguiamo

una comunicazione non verbale e una comunicazione fatta con parole

una comunicazione non verbale e una comunicazione fatta con

produzioni vocali

una comunicazione non verbale e una comunicazione gestuali.

L’evoluzione (= i passaggi) della comunicazione non verbale corrisponde

a:

i gesti, il pianto, lo sguardo

i gesti , il sorriso, lo sguardo

i gesti, il sorriso, il pianto

L’evoluzione del sorriso corrisponde a:

sorriso sociale selettivo, sorriso sociale generale, riflesso

riflesso, sorriso sociale generale, sorriso sociale selettivo

riflesso, sorriso sociale selettivo, sorriso sociale generale.

L’evoluzione della comunicazione mediante produzioni vocali avviene

attraverso:

tubare, imitare, balbettare, piangere

balbettare, imitare, piangere, tubare

piangere, tubare, balbettare, imitare

La fase del linguaggio infantile comporta i seguenti passaggi:

frase binaria / parola – frase

parola-frase / frase binaria

La fase del linguaggio vero e proprio comporta i seguenti passaggi:

costruzione della frase, fase del perché, fase del cos’è

costruzione della frase, fase del cos’è, fase del perché

fase del cos’è, fase del perché, costruzione della frase

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Pensiero e linguaggio

Sicuramente hai capito che tra il pensiero e il linguaggio c’è un rapporto (=

legame) molto stretto.

In genere dove c’è pensiero, c’è linguaggio.

Lo sviluppo del pensiero e lo sviluppo del linguaggio si intrecciano: vuol dire

che c’è una reciproca dipendenza, ossia l’uno dipende dall’altro.

a) influenza del pensiero sul linguaggio.

Con il pensiero il bambino capisce che nel linguaggio ci sono delle regole.

Ogni lingua ha delle regole grammaticali; spesso, però, oltre alle regole ci

sono le irregolarità.

Il bambino che ha interiorizzato (= fatte sue) le regole, crea delle forme

irregolari, ma corrette. Ad esempio, invece

- rotto: romputo

- uova: uovi

- aperto: aprito

questi cambiamenti che il bambino usa, si chiamano ipercorrettismi (vuol dire

che sono molto corretti)

Gli ipercorrettismi ci dimostrano che il pensiero del bambino funziona e

agisce sul linguaggio.

b) influenza del linguaggio sul pensiero.

Un linguaggio verbale ben sviluppato permette al pensiero di manifestarsi (=

farsi vedere) in modo più preciso e completo.

Un sociologo inglese, Basil Bernstein, ha fatto degli studi sui bambini che

provenivano da famiglie povere e da famiglie benestanti (= ricche).

Bernstein ha visto che le famiglie povere usano un codice (= forma di

discorso) ristretto, mentre le famiglie ricche hanno un codice elaborato.

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Com’è il codice ristretto?

Il codice ristretto è semplice e ripetitivo, usa pochi aggettivi, pochi avverbi;

usa pochi nomi e molti pronomi; la frase è breve e incompleta.

Com’è il codice elaborato?

Il codice elaborato è complesso e vario, usa molti aggettivi e avverbi; usa più

nomi che pronomi; la frase è lunga e articolata. Il codice elaborato permette di

esprimere bene i concetti astratti (quelli del pensiero formale).

Verifichiamo se hai capito

Nel rapporto tra pensiero e linguaggio

è solo il linguaggio che influenza il pensiero

è solo il pensiero che influenza il linguaggio

il pensiero e il linguaggio si influenzano reciprocamente

Il pensiero influenza il linguaggio perché il bambino

interiorizza le regole della lingua e le applica

inventa nuove parole

inventa nuove regole

Parliamo di ipercorrettismi quando

il bambino applica la regola grammaticale alle forme irregolari

il bambino diventa sempre più attento ad applicare le regole grammaticali

il bambino applica la regola grammaticale alle sole forme regolari

Il linguaggio verbale influenza il pensiero perché

il linguaggio permette al pensiero di fantasticare

il linguaggio permette al pensiero di manifestarsi in maniera più precisa e

completa

il linguaggio permette al pensiero di essere convergente

Il codice, cioè la forma di discorso, secondo Bernstein, può essere:

semplice o complesso

ristretto o elaborato

organizzato o semi-organizzato

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