elementi di neuroscienze cognitive. capitolo 1 · la struttura macroscopica del sistema nervoso è...
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ELEMENTI DI NEUROSCIENZE COGNITIVE. CAPITOLO 1
La cellula nervosa e la trasmissione dell’informazione.
Siamo in grado di rispondere alle stimolazioni esterne e alle istanze grazie al sistema
nervoso che percepisce, elabora e trasmette i più svariati tipi di informazione.
Due tipi fondamentali di cellule: la cellula nervosa propriamente detta, il neurone, e le cellule di sostegno definite cellule gliali.
Il neurone rappresenta il mattone su cui si costruiscono le complesse attività del
sistema nervoso. Nel neurone riconosco due parti fondamentali: un corpo cellulare e dei
prolungamenti e il materiale (citoplasma) di cui sono costituite le cellule è circondato
da membrana.
Corpo cellulare contiene: nucleo, materiale genetico, apparati necessari alla produzione di energia (mitocondri) e il reticolo endoplasmatico con l’apparato di
Golgi che oltre a produrre le proteine necessarie al funzionamento cellulare,
sintetizza i mediatori chimici necessari alla trasmissione dell’impulso nervoso. Assone: unico prolungamento che può dare origine e ramificazioni in prossimità
della giunzione sinaptica; due funzioni principali.
Prima: conduzione di potenziale d’azione (informazione nervosa),
seconda: trasporto assonico = trasporto di materiale chimico verso terminazione neuronale.
Ricoperti da guaina mielinica vantaggiosa per propagazione dell’impulso nervoso
poiché aumenta la velocità di conduzione; si interrompe a intervalli regolari nei nodi di Ranvier.
Dendriti: ramificazioni più piccole legate al corpo cellulare necessarie per ricezione
informazione da altri neuroni.
Giunzione sinaptica: è il punto in cui avviene la trasmissione dell’info da un neurone all’altro; più diffuse nei mammiferi sono le sinapsi chimiche che trasmettono l’info
tramite mediatori chimici che eccitano e inibiscono il ricevente. I neurotrasmettitori
sono contenuti in vescicole presinaptiche, vengono liberati nello spazio sinaptico e “catturati” dai recettori presenti sulla membrana post-sinaptica della cellula
ricevente.
3 Tipologie di sinapsi:
1. Sinapsi assosomatica contatto tra assone pre e corpo cellulare post (inibitorie).
2. Sinapsi assodendritica contatto tra assone pre e dendrite post
(eccitatorie). 3. Sinapsi assoassonica contatto tra terminazioni sinaptiche
(modulatorie).
Sinapsi fondamentale: sinapsi neuromuscolare assone motoneurone proveniente
dal midollo spinale e il tessuto muscolare.(liberazione acetilcolina porta alla contrazione del muscolo).
Cellule nervose sono caricate elettricamente: sono in grado di mantenere una differenza di potenziale tra l’interno e l’esterno della cellula.(pompa sodio-potassio).
Potenziale a riposo: -70mV se la cellula si attiva avviene Depolarizzazione +55
la cellula è piu eccitabile e può dare origine al POTENZIALE D’AZIONE. Iperpolarizzazione: indica una diminuzione del potenziale di membrana -80mV.
Quando il neurone presinaptico libera nello spazio sinaptico il mediatore, questo
legandosi alla cellula post, produce una perturbazione elettrica che aumenta o
diminuisce il potenziale di membrana.(potenziale sinaptico). Potenziale sinaptico: è un segnale graduato segnale di ingresso che produce una
perturbazione locale che si può diffondersi solo fino alla zona di emergenza(cono)
dell’assone questa zona è più permeabile all’ingresso degli ioni Na+; se il potenziale sinaptico aumenta il potenziale di membrana in modo sufficiente da
portarlo a un valore critico (valore soglia -50), questo produce un aumento massivo e
improvviso degli ioni Na+ originando il Potenziale D’Azione.
Potenziale D’Azione: caratterizzato da un aumento veloce del potenziale di membrana che arriva ad invertire i valori negativi del potenziale a riposo. Raggiunge
picco di +50mV e poi avviane una rapida caduta del potenziale. Pot D’azione si
genera solo quando i pot sinaptici depolarizzano la membrana al valore soglia; viene cosi definito un fenomeno tutto-o-nulla. Velocità di trasmissione lungo l’assone
1a1000m/s.
N.B. diverse qualità dell’info e intensità sensazione dipendono dalle vie seguite e
dalla frequenza dei potenziali d’azione, la durata della sensazione/movimento dipendono dalla durata della scarica generata dal potenziale d’azione.
Cenni di anatomia: struttura macroscopica del sistema nervoso.
La struttura macroscopica del sistema nervoso è distinta in due parti: sistema
nervoso centrale, sistema nervoso periferico.
SNC: encefalo (cervello, cervelletto e midollo allungato) e midollo spinale(contenuto nella colonna vertebrale).
Cervello: organo più nobile del SN, contiene zone di controllo specifico delle
funzioni cerebrali(sensoriali, motorie e cognitive). Cervelletto: situato nella parte posteriore, deputato a controllo
motorio/propriocettivo ed elaborazione cognitiva.
Midollo allungato/ tronco: formato da mesencefalo, ponte e bulbo; costituisce punto
di passaggio tra cervello e midollo spinale, contiene nuclei di sostanza grigia da cui partono i nervi cranici deputati al controllo dell’attività sensoriale e motoria degli
organi del volto e della cavità orale. Nel tronco ci sono anche dei nuclei che regolano
respirazione e battito cardiaco. Midollo spinale: struttura di collegamento tra SNC e SNP, in esso decorrono gli
assoni che portano info motorie direttamente dal cervello ai nuclei del midollo
spinale , e i nervi periferici che trasportano info sensoriali dalla periferia al cervello.
Encefalo e midollo sono ricoperti da foglietti, disposti al di sotto della struttura ossea, chiamati meningi (dura madre, pia madre, aracnoide).
Tra le meningi scorre il liquor cefalorachidiano con funzione protettiva per il
cervello, esso è presente anche nella struttura profonda ed è contenuto nei ventricoli. (ricorda i vasi provenienti dalla circolazione carotidea e vertebrale).
Sistema nervoso autonomo: regola attività viscerali ovvero ritmi degli organi interni,
attività di secrezione delle ghiandole, a sua volta sottomesso al SNC.
IL CERVELLOcomposto da due emisferi, collegati tra loro, per via mediale, da
fasci di comunicazione di sostanza bianca; è l’organo più voluminoso del SNC.
Parte esterna: corteccia cerebrale o sostanza grigia composta da cellule piramidali, sede delle funzioni più complesse.
Zona sottostante: neuroni corticali contribuiscono a formare la sostanza bianca.
Sottocorticale: nuclei della base (formazione di sostanza grigia deputati al controllo di funzioni cognitive e sensomotorie) e talamo( unito a ipotalamo forma diencefalo)
ippocampo (fondamentale nei circuiti di memoria) e amigdala (controllo aspetti
emozionali del comportamento).
LA CORTECCIA CEREBRALE formata dai corpi neuronali. Suddivisa in 4 zone detti lobi.
Solco centrale o scissione di Rolando separa lobo frontale (anteriore) da lobo
parietale; scissura di Silvio separa lobo temporale(area uditiva primaria) da lobo frontale (funzioni motorie e cognitive) da lobo parietale(aree somatosensoriali
primarie e aree associative); il lobo occipitale è localizzato nella parte posteriore e si
estende anche nella zona interna(mediale) ed è sede dell’area visiva primaria.
Per ciascun lobo la corteccia viene suddivisa in 5 zone diverse in base alle caratteristiche funzionali(suddivisione di Broadman più numeri).
In base alla suddivisione: lobo frontale area 4 motoria primaria(controllo contrazione
muscolare periferico), 6/8 aree premotorie con funzione di programmazione. Lobo prefrontale: importanti funzioni cognitive, posto davanti ad aree motorie;
dietro solco centrale (aree 3)-> zone ½ del lobo parietale aree sensoriali primarie;
lobo occipitale, interna alla scissura calcarina, collocata area 17 visiva primaria(area
striata); circondata da altre aree, dette extrastriate, deputate alla vista. Lobo temporale area 21 uditiva primaria.
Corteccia cerebrale è organizzata in strati dove si hanno tipologie di cellule diverse e
in colonne funzionali. SOSTANZA BIANCA SOTTOCORTICALE costituita dagli assoni corticali che
portano info in periferia(efferenti) e dagli assoni dei neuroni delle formazioni
sottocorticali e midollari(afferenti).
Organizzata in fasci di fibre ordinati in base alla funzione e alle zone di proiezione. Capsula interna tra nuclei della base e il talamo.
Commessure: strutture che contengono fibre che si incrociano (intra emisferiche), il
corpo calloso è la più grande(connette aree funzionalmente simili). Corpo calloso contiene sia fibre omotipiche (connettono aree anatomicamente e
funzionalmente simili) sia fibre eterotipiche (are funzionalmente correlate).
Ricorda : Commessura anteriore per fibre olfattive e Commessura ippocampale.
IL MIDOLLO SPINALE costituito da due parti simmetriche collegate sulla linea mediana ma rapporto spaziale sost.B e sost.G sono invertiti (B esterna G interna).
Sost.G ha caratteristica forma a farfalla contenenti i corpi di neuroni, interneuroni e
glia; parti anteriori definite corna ventrali del midollo(secondo motoneurone) e ricevono info da aree motorie.
Parti posteriori si definiscono corna dorsali e contengono neuroni sensoriali(stazioni
di trasmissioni a talamo e encefalo). Sost.B suddivisa in tre fasci di fibre longitudinali che formano le colonne dorsali,
laterali e ventrali; in esse scorrono i fasci di fibre afferenti ed efferenti.
Colonne laterali contengono le vie motorie, colonne dorsale/ventrali contengono via
sensoriali. Sost.B è piu abbondante nelle zone cervicali.
La via della sensibilità somatica. Interni alla colonna vertebrale e in prossimità del midollo spinale troviamo i gangli
spinali; in essi sono raggruppate le cellule che danno origine alle componenti
sensoriali dei nervi spinali(tutte escluso il volto).
Sono neuroni pseudounipolari con ramificazioni verso la periferia e una sola verso il SNC.
Nelle trasmissioni sensoriali il segnale eccitatorio di ingresso è definito potenziale di
recettore ed è generato in una zona specializzata delle cellule (superficie recettiva), in contatto con recettore sensoriale. Le fibre entrano dorsalmente e risalgono nel
corridoi laterali; prime stazioni di ritrasmissione (interruzioni sinaptiche) si trovano
nel bulbo centrale. Da qui le fibre si incrociano formando la via del lemnisco mediale
che giunge ai nuclei talamici e poi alla corteccia somatosensoriale. N.B vie del dolore diverse: incrociano appena entrano nel midollo e risalgono
controlateralmente.
Fibre somatosensoriali mantengono distribuzione ordinata somatotopica.
Il sistema motorio.
Il movimento del nostro corpo dipende dal fatto che i muscoli, provocano,
contraendosi, uno spostamento dei capi articolari. Contrazione muscolare avviene perché le singole fibre che costituiscono i muscoli
ricevono ognuna dei comandi elettrici che ne modificano la lunghezza.
Via riflessa: contrazione provocata da stimolo esterno, non avviene per volontà
esplicita del soggetto e non è comandata dai centri corticali(gestito da circuiti midollari vs movimento automatizzato che di fatto è volontario), stimolo arriva da
periferia!
Via volontaria: movimento si verifica per decisione del soggetto e viene controllato dai sistemi motori di ordine superiore, stimolo arriva da SNC.
Sistema motorio per funzionare bene necessita di sistemasomatosensoriale.
MOVIMENTO RIFLESSO E VOLONTARIO motoneuroni α localizzati a livello delle corna anteriori del midollo spinale disposte in colonne longitudinali.
Pool neurnali: raggruppamenti di neuroni innervanti un dato muscolo.
Riflesso di stiramento: riflesso monosinaptico (circuito con solo una sinapsi neuromuscolare), ottenuto con test del martello; costituisce la base del continuo
aggiustamento posturale per mantenere la stazione eretta(N.B è un riflesso rimane
nel midollo). Riflesso flessorio: agisce in modo analogo ma sui muscoli flessori, innescato da
stimoli termodolorifici e serve ad indurre il veloce allontanamento da fonti di
pericolo. È polisinaptico ovvero contatto tra fibra midollare e motoneurone non
diretta ma mediata da interneuroni midollari. Altro tipo di controllo esercitato da motoneuroni midollari (gamma) che, attraverso
circuito complesso, interviene sul livello di attività dei recettori muscolari e può
essere attivato direttamente dai centri motori superiori.
Ricorda: tratto vestibolospinale (origine nervo cranico, elaborazione e raccolta dati di posizione) e tratto reticolospinale (origine sostanza reticolare del bulbo) entrambi
fondamentali per controllo equilibrio e postura.
LE CORTECCE MOTORIE E LE VIE DISCENDENTI CORTICALI nostra capacità di pianificare e produrre movimenti complessi dipende dall’attività di
neuroni corticali che, attraverso le vie discendenti corticobulbare e corticospinale,
inviano conmando motorio ai motoneuroni del tronco e del midollo.
1/3 delle fibre corticospinali ha origine nell’area 4, il resto area 6 e aree 3,1e2. Area 4 motoria primaria contiene cellule giganti dette cellule di Betz.
N.B distribuzione motoneuroni corticali rispecchi la distribuzioni dei neuroni della
corteccia somatosensoriale. Tratto corticospinale definito anche tratto piramidale. Una parte delle fibre che
partono dai motoneuroni della corteccia forma delle connessioni monosinaptiche
con i motoneuroni della corteccia, di modo da rendere l’influenza della corteccia sui
neuroni spinali più rapida e diretta. Nel punto di passaggio tra bulbo e midollo la maggior parte delle fibre si incrocia nella decussazione delle piramidi in modo da
portare il comando motorio nato da un emisfero ai neuroni spinali dell’altro.
Le fibre corticobulbari si portano ai nuclei motori dei nervi cranici, mentre le fibre corticospinali decorrono nei cordoni laterali del midollo.(quelle che non incrociano
scendono per vie ventrali).
Fibre crociate formano sinapsi con motoneuroni che innervano la muscolatura
distale mentre le fibre non crociate proiettano bilateralmente ai nuclei dei motoneuroni della muscolatura assiale e prossimale (che hanno controllo bilaterale).
3 fasi per progettazione e realizzazione atto motorio: riconoscimento, localizzazione
dell’oggetto, il piano d’azione ela programmazione ed esecuzione del movimeto. Riconoscimento e localizzazione dipendono da aree posteriori temporoparietali;
progettazione e realizzazione da aree motorie e premotorie.
Neuroni di 4 valutano forza di contrazione, direzione movimento gestito da pool di
neuroni area 4. Fenomeno divergenza: assone di un neurone influenzerebbe cellule di cellule diverse
che hanno come bersagli muscoli diversi; è fenomeno molto limitato per la maggior
parte un assone influenza l’attività di un singolo muscolo. Danno area 4 e Sost.B: producono paresi della muscolatura distale.
I sistemi sensoriali specifici: la visione.
Parte recettoriale dell’occhio costituita da uno strato di cellule specializzate- fotorecettori-che da origine a una struttura chiamata retina.
Fotorecettori: coni (responsabili di acuità visiva e visione a colori) e bastoncelli
(detenzione contrasto luce/buio e sensibili a differenze toni di grigio; ruolo rilevante in visione crepuscolare e notturna).
Fovea: esclusivamente costituita da coni, punto di maggiore acuità visiva.
Cellule gangliari: cellule i cui prolungamenti danno origine a nervi ottici.
Nervo ottico: struttura di inizio delle vie visive, organizzate anch’esse in vie crociate. Campo visivo: parte di spazio percepibile dai due occhi, in assenza di movimenti
degli occhi e del campo e divisibile in due emicampi.
Proiezione del campo visivo sulla retina: ogni retina costituita da una parte nasale e
una temporale, le due emiretine sinistre raccolgono info dall’emicampo visivo destro e viceversa.
I due nervi ottici incrociano le fibre in una struttura definita chiasma ottico di modo
da unire le informazione delle due emiretine e formare il tratto ottico. Gli assoni delle cellule gangliari del tratto ottico di un lato proiettano al corpo genicolato
laterale i cui assoni danno origine alla radiazione ottica. Questa decorre nei lobi
temporali e parietali e porta l’info alla corteccia visiva primaria.
Lesioni postchiasmiche di un lato produrranno una cecità confinata all emicampo visivo controlaterale alla lesione: se limitate a una piccola porzione scotoma, oppure
a un quadrato quadrantopsia oppure a tutto l’emicampo emianopsia.
I sistemi sensoriali specifici: l’udito e il sistema vestibolare.
Analisi segnali acustici eseguita da un sistema di traduzione meccanoelettrica che
permette di convertire onde di pressione in segnale nervoso consentendo di percepire
suoni nella fascia di frequenze tra 15-20 a 20.000 Hz. Onde di pressioneorecchio attraversano meato uditivo esternocolpiscono
membrana timpanica vibrazione, attraverso tre ossicini, raggiunge struttura
internasede recettore acustico. Nel labirinto, oltre alle cavità scavate nell’osso temporale che formano il labirinto osseo, vi sono due sottili membrane costituite da
cellule (labirinto membranoso) che si differenziano e formano le strutture recettoriali
di udito ed equilibrio coclea e sacculo, utricolo e canali semicircolari.
Coclea: cavità a spirale con liquido, tre canali condotto cocleare (scala media), scala timpanica e scala vestibolare.
Scala media riceve vibrazionimovimento membrana basilare sede delle cellule
recettorialiinnesco segnale elettrico. Info arriva alla prima stazione situata nei nuclei cocleari del midollo allungato.
Ogni fibra del nervo acustico (ganglio nella chiocciola) risponde a una banda di
frequenze.
Corteccia uditiva primaria: 41/42 giro temporale superiore, organizzata in colonne sia monoaurali che biaurali che analizzano le diverse componenti del suono e la
localizzazione nello spazio.
N.B lesione focale in un emisfero non produce sordità. Recettori vestibolari: stimolati dal movimento indotto dal liquido in cui sono
immersi. I tre canali semicircolari sono disposti in piani diversi, ortogonale tra loro,
che gli permette di valutare i movimenti del capo nelle tre dimensioni spaziali.
Sono fondamentali per mantenimento equilibrio e costituiscono importante afferenza per i movimenti oculari. Utricolo: risponde ai movimenti del capo in tutte direzioni.
Insieme al sacculo permette rilevazione della posizione assoluta del capo nello
spazio. Ganglio di scarpa, vicino al meato, da origine alle fibre, le quali raggiungono i nuclei vestibolari che sono collegati sia con i nuclei dei nervi deputati sia con il
movimento degli occhi sia con il cervelletto.
CAPITOLO 2 TECNICHE PER LO STUDIO DELL’ATTIVTÀ CEREBRALE. Le tecniche per lo studio dei correlati neurofisiologici del cervello in vivo si sono
enormemente sviluppate, contribuendo all’individuazione dei correlati anatomofisiologici del comportamento umano.
(leggi introduzione).
Lo studio delle funzioni cerebrali in vivo ha dato origine alle neuroscienze cognitive
che hanno come scopo l’analisi delle basi neurali dei processi cognitivi assumendo che a qualsiasi processo cognitivo debba corrispondere una qualche attivazione
biologica del cervello. fMRI e PET (e magnetoencefalografia) costituiscono le due
tecniche leader in questo campo. L’utilità di un approccio dinamico deriva dal fatto che i processi cognitivi sono distribuiti nel senso che si svolgono su più aree cerebrali
con una dinamica precisa che si caratterizza per inibizioni e attivazioni. Logica
conseguenza: per avere un riscontro coerente dei correlati neurali sia necessaria una
tecniche che permetta lo studio del cervello mentre lavora.
Strumenti di indagine: la risonanza magnetica.
Tecnica di NI molto vantaggiosa, permette di ottenere immagini del corpo secondo
piani differenti in un unico scan (no varia posizione soggetto). È considerata poco invasiva utilizzando un campo magnetico. Principi fisici alla base del funzionamento Nel corpo umano la componente di atomi
di idrogeno è molto elevata (63%). Il nucleo di H+ è una particella caricata positivamente che ruota intorno al proprio asse, suo movimento determina un
campo magnetico vettoriale. Questo movimento è definito spin ed è il movimento
angolare intrinseco del protone. Movimento cariche genera il campo magnetico
questo, a sua volta, genera internamente al nucleo una polarità nord- sud definita dipolo. In assenza di campo dipoli orientamento casuale, se inseriti in un campo
magnetico (RM) il vettore che descrive il campo magnetico si allinea parallelo al
campo magnetico esterno dando inizio al movimento di precessione (protone immerso in campo magnetico esterno inizia a ruotare intorno ad esso e non al suo
asse). Questo movimento può essere in fase o non.
Raggiunto stato di allineamento viene aggiunta radiofrequenza RF: inclina i protoni
e li fa ruotare sul piano orizzontale in modo sincrono; è perpendicolare alla direzione del campo e induce energia; se interrotta i protoni vanno fuori fase con una
conseguente perdita di magnetizzazione orizzontale per cui si affievolisce il segnale
sul piano orizzontale (t2). Quando si interrompe l’impulso orizzontale i protoni si riallineano al campo verticale (t1). Energia prodotta da RF viene liberata dai protoni
al ritorno allo stato originale (fase rilassamento).
Per la misurazione valutare due componenti: una reground sull’asse Z (t1), e un
decay sul piano xy (t2). Nelle immagini ponderate in t1 viene evidenziato il riallineamento al campo magnetico originario, in quelle in t2 viene messa in
evidenza la sfasatura della rotazione dei protoni.
La fase di decadimento è complessa in quanto è caratterizzata dallo sfasamento del movimento di rotazione dei protoni intorno al loro asse (t2 star *); una delle cause
del decadimento è la non omogeneità del campo. La RM funzionale sfrutta le diverse
proprietà magnetiche della deossiemoglobina e dell’ossiemoglobina, al fine di
ottenere il segnale di attivazione cerebrale; quindi maggiore è la disomogeneità più
rapidi sono i segnali di sfasamento e decadimento del segnale. Mentre nella RM strutturale la non omogeneità è considerato un fastidioso artefatto
e deve essere corretta, nella fRM questo fattore viene considerato un dato indiretto
del grado di attivazione del segnale.
Fmri: nelle aree cerebrali attivate si ha un aumento del consumo di ossigeno e del flusso ematico. (sangue, portatore di ossigeno, come mezzo di contrasto fisiologico).
Rm rileva diversi livelli di ossigenazione come indice del grado di attivazione di una
data area. La tecnica BOLD misura i cambiamenti del livello di ossigenazione del sangue, è effetto della variazione del rapporto tra ossiemoglobina (diamagnetica) e
deossiemoglobina (paramagnetica) che hanno diverse proprietà magnetiche.
Nel tessuto cerebrale attivato aumentando il flusso e il consumo di ossigeno, si
riduce la deossidoemoglobina e aumenta il segnale fMRI e aumenta t2*. La stimolazione magnetica transcranica tms Tecnica non invasiva, indolore che
consente di interferire transitorialmente con l’attività cerebrale; tale effetto è dato
dall’applicazione sullo scalpo, tramite coil, di un impulso magnetico che, inducendo un campo elettrico nel tessuto sottostante, modifica l’attività elettrica della corteccia;
è una tecniche che, tramite buona risoluzione spaziale e temporale, permette di
studiare sia la localizzazione sia i processi temporali alla base delle funzioni
cognitive; usato anche per lo studio di relazioni causali tra cervello e comportamento.
Il suo funzionamento si basa sul principio dell’induzione elettromagnetica (campo
magnetico focale), usato da prima per studio sistema motorio. Funzionamento: il campo elettrico indotto nel tessuto, dal coil, agisce a livello
cellulare sui neuroni; la stimolazione altera il potenziale transmembrana e può
determinare una depolarizzazione della membrana. Tali modificazioni determinano
risposte visibili sia dall’osservazione del comportamento sia registrabili con adeguata strumentazione.
Coil: a forma di otto consentono stimolazione più focale e privilegiati per mappare le
rappresentazioni cognitive, a forma di H o circolo hanno effetti più estesi e non consentono di definire precisamente il sito di stimolazione.
Due tipologie: tms single- pulse (un singolo impulso indotto durante svolgimento
compito; usata per studiare funzionalità ed eccitabilità della corteccia motoria),
repetitive tms (treni di impulsi con frequenza variabile), paired pulse tms(coppie di stimoli separate da intervallo di tempo ISI).
Tms impiegata per elicitare specifiche sensazioni o movimenti e per interferire
transitorialmente con l’attività corticale peggiorando o rallentando la performance. Tms consente di valutare la funzionalità del sistema motorio sia per soggetti lesionati
sia per soggetti sani.
Questo tipo di stimolazione viene usato per studiarei meccanismi di inibizione e
facilitazione intracorticale e , se applicato a due aree corticali distinte, è possibile esaminare le connessione interemisferiche e i tempi di conduzione transcallosali.
Eeg emg pet spect fmri usati per misurare: attività neurale, entità risposte motorie e
cambiamenti emodinamici e metabolici indotti dalla stimolazione. Esempio studio di Pascual- Leone sull’attenzione visiva (p63): questo esperimento
dimostra come la tms possa essere usata seguendo una logica simile a quella del
metodo lesionale con il vantaggio di basare le inferenze sullo studio di soggetti sani
in cui sono assenti tecniche di compensazione e di riorganizzazione funzionale conseguente al danno.
L’eminegligenza spaziale esplorata con TMS e neuroimaging morfologico e
funzionale. L’eminegligenza spaziale è caratterizzata dall’inabilità più o meno completa di
attendere a stimoli di varia natura proveniente dall’emispazio controlaterale alla sede
della lesione cerebrale, nella maggioranza dei casi il neglet dipende da una lesione dell’emisfero destro. Questa patologia è argomento di dibattito per varie ragioni:
a- al sintomo cardine del neglet si associano altri disturbi quali alterazioni della
rappresentazione dello schema corporeo.
b- L’incapacità di attendere a stimoli può riguardare settori diversi. c- Il deficit può riguardare più aspetti puramente percettivi o aspetti più
esplorativi di carattere motorio o sensoriale.
d- I pz possono avere anche disturbi della rappresentazione spaziale. e- I sintomi neurologici elementari come l’impercezione tattile (emianesia), il
deficit motorio (emiplegia) e l’emianopsia (deficit di percezione visiva
nell’emicampo visivo controlaterale), se associati a neglet, presentano aspetti
cognitivi modulabili con manipolazione fisiologica. Correlati anatomoclinici del neglet Gli studi classici di correlazione anatomoclinica
concordano nel considerare il lobulo parietale inferiore dell’emisfero destro il
correlato anatomico più frequentemente associato al neglet. Questo si verifica anche per lesioni più anteriori, in particolare per lesioni del lobo frontale e di strutture
sottocorticali.
Esperimento 1986 Vallar e Perani: studio su 110 pz colpiti da ictus al fine di
verificare la frequenza del neglet in relazione a lesioni emisferiche posteriori o anteriori o di strutture sotto corticali.
Procedura: identificazione di gruppi di pz in base a sede e profondità lesione.
Conclusioni: solo raramente lesioni puramente frontali e sottocorticali inducono neglet, nell’ambito della corteccia parietale la sede più frequente è il lobulo parietale
inferiore.
In generale la tendenza degli studi successivi fu di verificare quale lesione fosse
cruciale per indurre uno specifico sintomo associato al neglet; vengono individuati sintomi elementari come emianopsia ed emianestesia, e sintomi cognitivi quali
estinzione doppio stimolo, anosognosia e somatoparafrenia.
Studio sistematico condotto da Vallas 1994 dimostra che i correlati anatomici dell’
estinzione non sono confinati a lesioni corticali ma spesso vengono danneggiate anche le strutture profonde sottocorticali; inoltre è stato identificato un differente
pattern anatomico in soggetti solo estinguenti rispetto a pz che presentavano
l’associazione estinzione- neglet: sono Sost.B occipitale paraventricolare e corteccia frontale dorso laterale ad essere lese in pz estinguenti. Mentre nel caso di coesistenza
la lesione si sovrappone nel lobulo parietale inferiore.
Dibattito recente si focalizza sulle regioni anatomiche cruciali per la modulazione
dei processi di esplorazione spaziale sia nelle componenti percettive sia in quelle motorie. Identificazioni di queste regioni è problematico causa la frequente
coesistenza di emianopsia e neglet visuospaziale. Questo ha spinto gli autori a
classificare in modo differente i pz in base all’occorrenza di questi due sintomi. (studio di Karnath: pz con neglet puro regione lesa sia il giro temporale superiore.
Tesi ampiamente criticate). Tms e processi spaziali: quali contributi? Esperimento di Ellison 2004 chiarisce il
contributo che può dare la tms nello studio delle correlazioni tra comportamento e cervello. Con tms è possibile interferire transitorialmente su entrambe le aree oggetto
di discussione: corteccia temporale superiore vs corteccia parietale posteriore, e
verificarne direttamente le modificazioni comportamentali indotte usando test cognitivi differenti.
Esperimento: indagine su effetti della stimolazione su compiti visuospaziali che
coinvolgono processi cognitivi differenti (ricerca visiva classica e compito di giudizio
su linee pre-bisecate)p.70. Esperimento Fierro 2000: rtms applicata a corteccia parietale destra induce nei sog
normale un errore verso dx nel giudizio di simmetria, stesso effetto non si osserva per
l’emisfero sx.
Rappresentazione dello schema corporeo in pz normali e in pz con lesioni:
contributo delle neuroimmagini morfologiche e funzionali.
Esperimento: svolto su soggetti normali e cerebrolesi sulla percezione di stimoli tattili e sulla possibilità di modificare questo processo attraverso modulazioni fisiologiche
quali la stimolazione vestibolare calorica.
Importante per: ha chiarito i meccanismi di transitorio recupero del deficit di percezione tattile in pz con eminegligenza spaziale durante stimolazione vestibolare.
Leggi da p71 a 73. Esperimenti sull’applicazione di tms e Ni.
CAPITOLO 3 PERCEZIONE E RAPPRESENTAZIONE MENTALE. Scopo fondamentale dell’attività percettiva è dare un senso all’informazione che
raggiunge il cervello. Purtroppo si conoscono solo gli attori di questo processo, ma non i meccanismi che
permettono l’attribuzione di significato a cosa vediamo. A livello descrittivo
sappiamo che il mondo entra nell’occhio sotto forma di onde luminose attraverso
una lente, il cristallino, che proietta su una superficie fotosensibile, la retina. Qui i diversi aspetti delle onde vengono convertiti in segnali elettrochimici e vengono
trasmessi attraverso fasci di fibre a una porzione del cervello specializzata per la loro
interpretazione: la corteccia visiva primaria. Da qui l’informazione si diffonde verso le parti anteriori del cervello, tramite stadi di
elaborazione sempre più sofisticati e complessi. Dopo pochi istanti dalla proiezione
sulla retina diventiamo consapevoli del significato di quelle onde luminose: sono
state trasformate in una rappresentazione dotata di senso a cui siamo in grado di dare risposte coerenti con la situazione ambientale e con le esigenze interne legate a
conoscenze e memorie del soggetto.
N.B. il processo di visione inizia nell’occhio ma si compie nel cervello: non è l’occhio che vede ma il cervello mediante complessi meccanismi di interpretazione.
Processi bottom-up e top-down nella percezione visiva.
I processi bottom-up agiscono durante le fasi di elaborazione delle informazioni visive e consistono nell’estrazione dagli stimoli delle loro caratteristiche fisiche
elementari. Da sole queste caratteristiche non costituiscono un oggetto con
significato, ma sono elementi che se combinati porteranno alla definizione di una
rappresentazione dotata di significato. Per ottenere questo risultato necessitiamo anche della collaborazione dei processi top-down che selezionano ed estraggono
dagli stimoli l’informazione sensoriale in base alle conoscenze già immagazzinate in
memoria. L’interazione tra queste due modalità di elaborazione delle informazioni porta alla
costruzione degli stimoli da parte del nostro cervello e alla rappresentazione
consapevole della realtà.
Modello teorico di riferimento: visione come processo computazionale suddiviso in 4 stadi sequenziali e gerarchici che si distinguono in base al tipo di informazione
relativo allo stimolo che rappresentano; questo tipo di classificazione deriva dai dati
raccolti da David Marr e dal modello proposto per spiegare il processo che porta al riconoscimento visivo.
- Stadio di codifica strutturale: rappre bidimensionale delle proprietà di base.
- Stadio di rappresentazione della forma: rappre tridimensionale della
superficie visibile. - Stadio della rappresentazione oggettuale: rappre tridimensionale dello
stimolo, comprese superfici nascoste.
- Stadio rappresentazione categoriale: rappre funzionale dello stimolo, ovvero riconoscimento.
Costruire partendo dal basso bottom-up. Il processo che porta alla percezione di uno
stimolo unitario incomincia con la scomposizione dello stimolo nelle sue caratteristiche elementari. Operazione che avviene molto velocemente,
inconsapevolmente ed è eseguita in parallelo.
N.B. Il ruolo processi bottom-up è di estrarre le caratteristiche rendendole disponibili
per i successivi stadi di elaborazione. Primi livelli di analisi dello stimolo: luminosità e bordi.
Il modo in cui avviene la scomposizione della realtà dipende dalle caratteristiche
neurofisiologiche dei neuroni impiegati nell’elaborazione dell’informazione. Esempio: il nostro sistema visivo è altamente specializzato per la detenzione del
contrasto (maggiore differenza di luminosità); queste zone identificano i bordi che
sono fondamentali per riconoscere e manipolare l’oggetto. Questa proprietà è insita
nelle proprietà fisiologiche dei neuroni dei primi stadi dell’elaborazione: fotorecettori e cellule gangliari.
I fotorecettori traducono le onde luminose in segnali elettrochimici; un certo numero
di questi recettori sono collegati ad una cellula retinica gangliare (questa si attiva solo se vengono colpiti i suoi recettori e quindi risponde solo a una certa porzione del
campo). Campo recettivo delle cellule gangliari non è omogeneo: se viene stimolato
il centro la cellula si eccita se invece viene stimolata la periferia, questa si inibisce.
Poiché la cellula gangliare riceve dai fotorecettori più attivi l’input nella parte centrale eccitatoria e dai recettori meno attivi riceve l’input nella parte periferica
inibitoria del proprio campo, l’esito finale sarà di tipo eccitatorio (stimolo
interessante). Esempio 2. Dimostrazione effetto soggettivo: bande di mach.
Mostra una serie di rettangoli di grigio uniforme disposti in ordine dal più chiaro al
più scuro e nonostante il grigio di ogni rettangolo sia uniforme, la metà sx sembra
più scura della dx; questo perché il nostro sistema visivo ha sviluppato una notevole sensibilità per alcune proprietà quali luminosità e contrasto piuttosto che per altre.
Un altro esempio di come il sistema visivo tende ad analizzare in modo più efficiente
alcuni aspetti è l’esperimento sugli effetti della dimensione e della distanza dalla fovea sulla percezione di lettere. Il risultato è dovuto al fatto che il punto dello spazio
fissato si proietta nella fovea, regione con alta densità di cellule gangliari, con campi
recettivi molto piccoli; quindi avremo alta risoluzione spaziale che consente di
individuare i dettagli più piccoli nella zona centrale mentre a dx e sx del punto di fissazione i dettagli diventeranno sempre più grossolani.
In sostanza il nostro sistema rinuncia a una parte dell’informazione reputata non
utile. Livelli successivi di elaborazione: orientamento, movimento, colore.
Gli assoni dei neuroni gangliari formano i nervi ottici e decussano leggermente a
livello del chiasma per poi proiettare al corpo genicolato laterale e di qui alla corteccia visiva primaria (V1). I neuroni di questa zona rispondono alle variazioni di
alcune proprietà di base degli stimoli come forma, movimento e colore.
L’informazione in uscita da V1 raggiunge una serie di aree nella corteccia visiva
extrastriata (v2 v3 v4 v5). In queste aree troviamo neuroni specializzati sia per elaborazioni di alto livello cognitivo sia quelle deputate alla percezione e
riconoscimento volti.
I neuroni corticali sono organizzati funzionalmente sia sulla superficie della corteccia
sia in profondità: le unità funzionali sono dette ipercolonne. Ognuna di esse contiene cellule che rispondono a una certa porzione del campo
visivo e al loro interno le ipercolonne sono organizzate in base alla sensibilità dei
neuroni a specifiche caratteristiche di uno stimolo: da 0° a 180° con due cellule
vicine che rispondono a orientamenti leggermente diversi (cellula1 risp modo ottimale a stimolo verticale, cellula2 risp ottimale a stimolo inclinato a dx o sx).
L’individuazione precisa dell’orientamento di uno stimolo avviene attraverso il
confronto dei livelli di attivazione di insiemi di cellule che rispondono in modo differenziale a un orientamento simile.
Una prova che il sistema funzioni esattamente in questo modo si ha inducendo il
fenomeno dell’adattamento nei neuroni selettivi per uno specifico orientamento: tilt
after- effect (effetto illusorio). Questo fenomeno comporta che la percezione di una certa proprietà di uno stimolo dipende dal confronto tra i vari livelli di attività di
popolazioni di neuroni che rispondono a quella proprietà. Cambiando livello di
risposta relativo di una popolazione si modifica la percezione soggettiva della proprietà stessa.
Lesione V5: akinetopsia, cecità per il movimento (pz riferisce la realtà serie di
immagini slegate ).
Lesione V4: acromatopsia, cecità per i colori (pz vedono mondo in bianco nero grigio). Integrazione delle proprietà di base.
Nostra percezione della realtà ha la caratteristica di essere unitaria. Nostro sistema visivo è in grado di trarre inferenze e di stimare e di ricostruire il
contenuto della scena visiva.
Esistono almeno due livelli d integrazione delle caratteristiche di base di uno stimolo attraverso i quali viene ricostruito un precetto coerente :
-fattori di unificazione figurale: individuazione di elementi simili in uno stesso ogg;
-binding problem: individuazione di caratteristiche separate dello stesso ogg. Fattori di unificazione figurale: primo problema della scena è decidere quali elementi
abbiano caratteristiche simili tali da formare un raggruppamento.
Inizi XX sec. Gestalt: principio vicinanza, connettibilità uniforme, somiglianza,
chiusura, buona continuazione.
Principio co-linearità: probabilità che più elementi vengano raggruppati e facciano parte di un oggetto dipende dalla facilità/difficoltà con cui sono considerabili
segmenti di uno stesso contorno (relatability) connesso con la co-linearità.
In sostanza il nostro sistema visivo tende a raggruppare percettivamente le caratteristiche che hanno più probabilità di far parte di uno stesso oggetto. Principio inferenza percettiva: il nostro sistema visivo è in grado di unificare in un
oggetto gli elementi che lo compongono anche quando è visibile solo una parte
dell’oggetto. L’inferenza percettiva, però, può indurci a vedere uno stimolo che in realtà non c’è:
la percezione illusoria di superficie anomala è dovuta al fatto che il nostro sistema
inferisce la configurazione ritenuta più probabile con i dati a sua disposizione. Processo del filling in o riempimento: si verifica fin dai primi stati dell’elaborazione e
ha una base neurofisiologica nel tipo di interazioni tra neuroni della corteccia. Vi
sono neuroni che rispondono alla posizione spaziale e all’orientamento dei contorni
degli stimoli, i contatti tra le diverse popolazioni permettono di confrontare i diversi tipi di input ricevuti. Il risultato finale è he i neuroni rispondono a un contorno
illusorio nello stesso modo in cui rispondono a un contorno realmente presente(?). Problema del binding.
Il meccanismo binding (unificazione) permette di assemblare le molteplici
caratteristiche di un oggetto in una percezione unificata e di distinguere tra loro
oggetti simili che si differenziano in base a caratteristiche diverse.
1988 Anne Treisman suggerisce l’attenzione spaziale come fattore che permette aggregazione: le diverse caratteristiche dell’oggetto, rappresentate da sottoinsiemi,
sono separate. Il fatto che due caratteristiche occupino la stessa posizione nel campo
visivo eccita simultaneamente le mappe retinotopiche dei due neuroni corticali che codificano le diverse caratteristiche; affinché queste due info vengano integrate è
necessario che la nostra attenzione spaziale sia diretta selettivamente e precisamente
in quella parte del campo dove si trovano le caratteristiche di interesse (porzione di
campo visivo a cui corrisponde un più alto livello di attività neuronale). N.B. l’esperienza di più oggetti complessi simultaneamente presenti in un campo
visivo è l’esito di un processo attentivo sequenziale(vs focalizzazione su dettagli);
infatti il problema binding corrisponde al momento in cui il processo attentivo da distribuito, non selettivo e in parallelo diventa selettivo e seriale.
Questo modello ha portato a interessanti previsioni sulle modalità di funzionamento
dei meccanismi visivi.
- Effetto pop out: uno stimolo nascosto in mezzo a distrattori sarà individuato tramite ricerca veloce in parallelo quando si differenzia solo per una
caratteristica, mentre sarà una ricerca seriale (lenta) se il target si differenzia
per più caratteristiche. - Fenomeno unificazione figurale avverrà per stimoli distinti per caratteristiche
semplici e non per quelle complesse.
- Fenomeno binding illusorio: se attenzione selettiva viene diretta in una
regione di coesistenza di più oggetti diversi tra loro, il binding sarà scadente e si rischiano integrazioni erronee nell’oggetto di caratteristiche non sue.
Costruire partendo dall’alto top-down.
Il nostro sistema visivo costruisce la rappresentazione della realtà in modo bidirezionale: sia partendo da dati provenienti dal mondo esterno sia usando dati
precedentemente immagazzinati; questi ultimi vengono usati come modello
probabilistico. Questo meccanismo permette di rendere più efficace il processo
percettivo risolvendo l’ambiguità delle info in entrata sfruttando sia info contestuale sia info pre-immagazzinata. Anche i meccanismi top-down sfruttano un meccanismo
inferenziale per la costruzione della realtà ma, mentre nei processi bottom-up
l’inferenza crea o modifica rappre di livello superiore, nei processi top-down l’effetto modulatorio riguarda una rappre di livello inferiore ad opera di una rappre di livello
superiore.
(leggere esempi di effetti del contesto da p 99 a 103).
La natura interattiva della percezione: hp sulla dinamica del funzionamento.
Hp suggeriscono che i processi bottom-up/top-down operino in parallelo e in modo quasi sincrono. Questo è possibile grazie ai collegamenti bidirezionali tra le aree
visive di basso livello e quelle di alto; questo genere di organizzazione
dell’elaborazione dell’info rende il processo dinamico e interattivo con continui processi di feedback e feedforward fra i diversi livelli.
In alcuni casi le connessioni feedback sono più numerose di quelle feedforward: è il
caso delle connessioni reciproche tra corpo genicolato laterale e V1 e V1 e V2.
Probabilmente questa connettività bidirezionale ha lo scopo di rendere possibile una forma di elaborazione prolungata e di tipo iterativo in cui a ogni passaggio si ha un
livello di quantità di informazione elaborata sempre maggiore.
Ambiguità e complessità della realtà: il punto di vista di Semir Zeki.
Semir Zeki propone un originale modello della visione: per acquisire utili conoscenze
il cervello deve risolvere il problema dell’ambiguità degli stimoli del mondo esterno,
cioè che uno stimolo non si presenti mai nello stesso modo. Per ovviare al problema il cervello ha sviluppato la capacità di essere parte attiva nella costruzione della
rappresentazione della realtà in cui l’ambiguità viene sostituita dalla costanza della
percezione: per riconoscere uno stimolo è necessario estrarre da esso i suoi aspetti
essenziali. Per fare ciò il cervello ha elaborato delle euristiche che specificano le modalità di azione dei meccanismi bottom-up e top-down e che sembrano
assimilabili a un metodo probabilistico basato sulla massima verosomiglianza per
combinare le informazioni in entrata dai livelli inferiori con quelle immagazzinate nei livelli superiori al fine di produrre una rappresentazione il più verosimile
possibile della realtà.
Concetto chiave “elaborazione consapevole”: non potremmo sperimentare
l’ambiguità se non esistesse la consapevolezza di tale stato. Hp di Zeki: i tipi di attività nervosa sottostanti ambiguità e consapevolezza sono
legati nello spazio e nel tempo. Ambiguità di un precetto non sarebbe altro che la
consapevolezza di una sola delle diverse interpretazioni possibili del precetto stesso; quindi l’attività di una specifica popolazione neuronale sarebbe in grado di
raggiungere un alto livello di elaborazione consapevole per una certa configurazione
percettiva dello stimolo ma non per un’altra.
Chiamiamo nodi essenziali i siti in cui l’elaborazione consapevole viene raggiunta senza bisogno di postulare l’intervento di aree superiori (influenze to-down).
Esempi di nodi: V4 elaborazione consapevole colore, V5 movimento, LOC
riconoscimento oggetti (se leso genera agnosia), FFA(area fusiforme delle facce; se lesa prosopoagnosia) riconoscimento volti.
Microconsapevolezza: livello di elaborazione raggiunta nei nodi.
? I siti corticali responsabili dell’elaborazione percettiva sono identici o diversi ?
Esperimento visione a colori p107. Almeno in alcuni casi sono identici:
- Le aree per elaborazione visiva consapevole e in spesso coincidono e ciò che
li differenzia è l’intensità dell’attività neuronale coinvolta. - I siti di elaborazione visiva consapevole sono distribuiti in parti diverse
ognuna specializzata in un aspetto della realtà.
In conclusione: il processo che porta alla visione consapevole sarebbe costituito da
un insieme di microconsapevolezze che vengono raggiunte in tempi e luoghi diversi nel cervello senza distinzione anatomica fra i siti di elaborazione consapevole e in.
Pb binding: fenomeno per il quale l’elaborazione di proprietà dello stimolo viene
integrata e interpretata in modo consapevole e unitario e dotato di significato;
rimane da risolvere.
La rappresentazione spaziale.
Importante attributo degli oggetti che ci circondano è la posizione che occupano nello spazio extracorporeo.
Relativamente alle rappresentazioni spaziali è possibile assumere che esista una sorta
di isomorfismo tra realtà esterna e realtà interna; questa relazione è di tipo analogico. Coordinate allocentriche ed egocentriche La relazione spaziale tra osservatore e oggetto
osservato è definita in base a un sistema di coordinate centrate sia sull’osservatore
(egocentrico) sia sull’oggetto osservato (allocentrico); a livello neurofisiologico
esistono neuroni diversi che si attivano o con coordinate egocentriche o con coordinate allocentriche. A supporto di ciò misure psicofisiche indicano che i sistemi
di riferimento allo/ego contribuiscono in egual misura alla localizzazione della
posizione spaziale di uno stimolo. Dati neuropsicologici Lesione della regione temporoparietale dell’emisfero dx può
far insorgere una sindrome definita NSU negligenza spaziale unilaterale o neglet.
Il soggetto si comporta come se non fosse più in grado di percepire e concepire lo
spazio sx.(coordinate sia allo sia ego). Deficit in coordinate egocentriche n.b dx/sx definite in base all’asse medio saggitale
del tronco, dello sguardo e del capo del soggetto.
? ai sistemi di riferimento egocentrici corrispondono livelli di rappre spaziale
autonomi ? Esperimento 1: disegno sperimentale per dissociare le componenti della rappre
spaziale egocentrica centrate sull’asse medio sagittale del tronco e dello sguardo.
Risultati: è possibile dissociare il neglet egocentrico centrato sull’asse del tronco dal
neglet egocentrico centrato sull’asse dello sguardo. Esperimento 2: indagine sul contributo dei sistemi di coordinate egocentrici centrati
sul piano medio sagitale del tronco e della testa nella rappre spaziale.
Risultati: il neglet migliora quando lo stimolo viene a trovarsi nello spazio destro nei sistemi di coordinate centrati sul capo e/0 sul tronco.
Esperimento 3: compito di cancellazione di segmenti e di copia di disegno.
Hp confermata: la presenza di eventuali dissociazioni NSU nei sistemi di riferimento
avrebbe fornito la prova di un’autonomia funzionale delle rappresentazioni spaziali basate sui sistemi egocentrici. Deficit in coordinate allocentriche dx e sx sono definite in base alla relazione spaziale
dello stimolo con altri stimoli o in base al rapporto fra le due parti di un oggetto diviso lungo il suo asse di simmetria orizzontale o verticale.
In questo ultimo caso la rappre allocentrica viene suddivisa ulteriormente:
1.stimolocentrica (linea mediana che definisce dx e sx è indipendente dal punto di
vista dell’osservatore); 2.oggettocentrica (dx ed sx definite in base all’orientamento canonico dello stimolo e la rotazione a 180 non cambia).
Questa suddivisione delle rappresentazioni spaziali allocentriche si basa su modello
del riconoscimento visivo di Marr 1982. Sono stati raccolti numerosi dati sperimentali che mostrano come il neglet possa
manifestarsi in coordinate allocentriche, sia stimolocentriche sia oggettocentriche.
Neglet stimolocentrico: test della copia di disegni complessi il pz ometterà i dettagli
della metà sx di ogni margherita indipendentemente da dove è la margherita nello spazio egocentrico; test cancellazione segmenti cancella solo i segmenti nella metà sx
del sottoinsieme dx ed sx.
Neglet oggettocentrico: dislessia da neglet, caso clinico del pittore-scultore inglese. Studio interessante: esperimento del bassotto; viene dimostrato che è possibile
indurre i pz a formare una rappresentazione di tipo canonico di uno stimolo che
originariamente non possiede tale livello di rappre. Dati neurofisiologici la letteratura neurofisiologica conferma i dati neuropsicologici
che suggeriscono che il cervello costruisce una rappresentazione unitaria dello spazio
partendo da rappresentazioni spaziali multiple distribuiti in diversi sistemi di
coordinate ego e allo (popolazioni di neuroni parietofrontali). Coordinate egocentriche sono state descritte popolazioni di neuroni in diverse aree
cerebrali che codificano lo spazio in coordinate egocentriche, centrate su diverse
parti del corpo o sull’asse dello sguardo.
ES. Nella corteccia premotoria esistono neuroni bimodali visuotattili in cui i campi visivo e tattile sono sovrapposti: proprietà per cui la codifica egocentrica dello spazio
avviene indipendentemente dalla posizione dello sguardo.
I vari esperimenti condotti mostrano l’esistenza di una rappresentazione a livello cellulare dello spazio di tipo egocentrico composta da sistemi di riferimento centrati
su diversi distretti corporei e indipendenti dall’orientamento dell’asse dello sguardo.
In generale i dati neurofisiologici concordano con quelli neuropsicologici
nell’indicare l’esistenza di rappresentazioni spaziali egocentriche multiple che possono essere indipendenti tra loro in quanto elaborate da popolazioni neuronali
diverse- e quindi risultare danneggiate selettivamente alla lesione- oppure associate –
e quindi risultare danneggiate contemporaneamente da una lesione. Coordinate allocentriche le aree cerebrali responsabili di questo tipo di codifica
sembrano essere decisamente meno, dato confermato dalla rarità di deficit di rappre
spaziale allocentrica.(studio più citato Olson e Gettner 1995: dimostrata esistenza di
neuroni nella corteccia frontale della scimmia che sono in grado di rappresentare una posizione spaziale in un sistema di coordinate centrato sull’oggetto). Una ricerca psicofisica sui soggetti normali.
A livello tematico gli studi sui diversi sistemi di coordinate sono raggruppabili in due categorie:
-Sulla percezione soggettiva della direzione del movimento illusorio indotto dalla
simulazione al computer del flusso ottico mettono in evidenza che la percezione
della direzione del proprio movimento è influenzata da informazioni di origine sia retinica che extraretinica.
-Sui fattori che influenzano l’abilità di evitare o intercettare uno stimolo in
movimento rilevando l’importanza dell’informazione di origine retinica per calcolare sia il tempo mancante all’impatto sia il punto dell’impatto.
-Un solo studio che cerca di dissociare il contributo dei sistemi di coordinate centrali
sulla retina, sul capo e sul tronco in un compito di predizione del punto di impatto di un oggetto diretto verso l’osservatore (p126 leggi).
Complessivamente i dati sui soggetti normali confermano, insieme a quelli
neuropsico e neurofisio, che la rappre spaziale è costituita da un insieme eterogeneo
di rappresentazioni in diversi sistemi di cordinate egocentrici e allocentrici che devono essere integrati per ottenere una percezione unificata della realtà
(allineamento dei diversi sistemi ego tra loro e con posizione spaziale del target).
La struttura della rappresentazione spaziale: un modello possibile.
(leggere se si svuole da p 128 a fine cap. viene descritto esperimento.)
CAPITOLO 4 I SISTEMI MOTORI E LA CODIFICA DELL’AZIONE NELLO
SPAZIO. Uno degli aspetti più innovativi rispetto alla rigida divisione fra sistemi percettivi,
aree postrolandiche, e sistemi motori, aree frontali prerolandiche, è rappresentato
dalle osservazioni, animali e umane, che funzioni percettivo-motorie possono essere presenti sia nelle cortecce associative parietali sia nelle cortecce considerate motorie.
Lobo frontale e lobo parietale nell’organizzazione del movimento.
Le aree frontali agranulari ritenute tipicamente motorie sono area 4, motoria
primaria responsabile della codifica finale del movimento, area 6 SMA, supplementare motoria con funzioni di pianificazione, e la parte laterali MI, insieme
di centri con carattere esecutivo.
Le più recenti conoscenze relative alle caratteristiche funzionali di queste aree hanno indotto i ricercatori ad elaborare una revisione radicale di questo quadro.
Nello specifico il gruppo di Rizzolatti ha introdotto una nuova suddivisione delle
aree della corteccia frontale: hanno proposto che la corteccia frontale venga indicata
con F e che le ulteriori divisioni anatomofunzionali siano designate con numeri progressivi. Il lobo frontale viene quindi suddiviso in 7 aree ben identificate sia
funzionalmente sia anatomicamente; un aspetto fondamentale è che ogni area venga
specificata da determinate connessioni con altre aree corticali. Considerando le caratteristiche funzionali dei neuroni e le loro connessioni è
possibile raggruppare la regioni frontali in aree che trasformano l’informazione
sensoriale in comandi motori e aree che controllano la trasformazione sensomotoria. Fibre efferenti dal lobo frontale F1 invia il contingente maggiore di fibre verso i
motoneuroni midollari, ma tutte le aree caudali sono coinvolte nel movimento.
Secondo l’interpretazione di Rizzolatti e Luppino le aree frontali caudali
attiverebbero dei circuiti midollari preformati che determinerebbero le caratteristiche generiche del movimento, mentre l’area F1 avrebbe funzione di interrompere le
sinergie innate, definendo la morfologia fine del movimento. Le aree F6 e F7
avrebbero funzione di controllo determinando aspetti sequenziali e temporali del
movimento. Fibre afferenti al lobo frontale Le fibre afferenti alla corteccia motoria sono
fondamentalmente di tre tipi: fibre parietali molto specifiche, a doppia via e
costituiscono dei circuiti a significato funzionale definito; fibre prefrontali dedicati a particolari trasformazioni sensomotorie e fibre della corteccia cingolata coinvolte in
funzioni cognitive di controllo motorio.
N.B. Le aree frontali danno origine alle connessioni midollari, sono quelle più
connesse al lobo parietale e le più coinvolte nelle trasformazioni sensomotorie che danno origine all’azione volontaria.
Nel lobo parietale distinguiamo tre zone citoarchitettoniche: il giro post centrale
(corteccia sensoriale primaria aree 3,2 e 1) e il lobo parietale posteriore suddiviso, dal solco intraparietale IPS, in due regioni chiamate lobulo parietale superiore SPL e
lobulo parietale inferiore IPL.
Area AIP: si trova sulla sponda laterale del solco intraparietale ed è riccamente
connessa con le aree frontali premotorie (F5). Area VIP: occupa il fondo del solco ed è connessa con aree premotorie (F4).
Principali caratteristiche dell’area 6 mesiale Quest’area è indicata come area
supplementare motoria ed è considerata un’area legata all’idealizzazione di sequenze di movimenti.
È suddivisibile in due sezioni con caratteristiche citoarchitettoniche distinte:
-F3, area SMA, che se stimolata genera movimenti assiali e prossimali, inoltre la
relazione tra stimolazione e inizio movimento è molto stretta; connessa sia con F1 sia con midollo attraverso fibre corticospinali, ha anche connessioni con aree
somatosensoriali. La sua funzione sembra essere legata al controllo della postura e
dell’aggiustamento posturale. -F6, pre-SMA, che se stimolata raramente evoca un movimento; non sembra avere
connessioni con F1. L’area risulta attiva durante la preparazione del movimento,
riceve proiezioni dall’area parietale inferiore e dalle aree prefrontali; sembra quindi
svolgere un ruolo nella selezione e preparazione del movimento volontario. Principali caratteristiche dell’area 6 dorsale Definita area premotoria dorsale ed è
suddivisa in due settori:
-F2 avente neuroni (motori in senso stretto, set-related, signal-related) che hanno proprietà motorie e sensoriali che giocano un ruolo negli aspetti di preparazione del
movimento (afferenze parietali arrivano da zone sia somatosenso e visive).
-F7 proprietà funzionali non molto conosciute. Principali caratteristiche area 6 ventrale Area premotoria ventrale, formata da:
-F5 codifica specifici movimenti della mano, organizzandoli in azioni finalizzate per
afferramento e manipolazione (atti motori specifici, sede dei mirror).
I neuroni di questa zona non scaricano quando il movimento d’interesse è inserito
all’interno di una sequenza di atti motori ma codificano specifiche azioni. Si è osservato che una parte dei neuroni ha caratteristiche puramente motorie,
mentre altri che si attivano per l’esecuzione di atti motori presentano anche risposte
visive, in particolare, in presenza di oggetti significativi sia che sia richiesta un’azione futura su di essi sia per la semplice fissazione. Aspetto interessante di queste cellule è
la congruenza esistente tra la selettività motoria per un certo tipo di prensione e la
risposta visiva, la quale è presente solo per gli oggetti che hanno caratteristiche
fisiche e strutturali richiedenti un proprio tipo di prensione; sono stati interpretati come neuroni che danno una descrizione pragmatica dell’oggetto, specificandone
proprietà intrinseche in base alle quali verrà programmata l’interazione con la mano.
Le afferenze principali provengono dall’area parietale AIP.
Il circuito F5AIP è un circuito specifico per la codifica dei movimenti di
afferramento di oggetti con ben definite caratteristiche strutturali.
concetto di affordance di Gibson: la visione di un oggetto attiva immediatamente la
selezione delle proprietà fisiche che ci permettono di interagire con esso. A livello funzionale AIP potrebbe fornire le descrizioni multiple tridimensionali di
un oggetto, offrendo all’area F5 le diverse possibilità di afferramento.
Hp Rizzolatti: F5 contenga una sorta di vocabolario di atti motori. -F4 contiene neuroni premotori poichè si attivano in relazione a singoli movimenti
semplici e ad azioni specifiche; inoltre scaricano in risposta a una stimolazione
sensoriale, rispondono solo a stimolo tattile e hanno caratteristiche bimodali.
Hanno campi recettivi tattili (braccio corpo volto) e hanno campi recettivi visivi che
risultano ancorati a quelli tattili e non mutano con i movimenti oculari (scaricano per stimoli in avvicinamento).
Questi neuroni codificano lo spazio secondo coordinate egocentriche; F4 manda
proiezioni al midollo e riceve afferenze dall’area VIP; in quest’area ci sono due classi
di neuroni: puramente visivi che rispondono in modo selettivo alla velocità e alla direzione e cellule bimodali con caratteristiche funzionali simili ai neuroni bimodali
di F4.
Una simili dicotomia la ritroviamo anche nel lobo frontale dove, oltre alla codifica spazio-topica dei neuroni F4, vi è una codifica retinocentrica da parte di neuroni di
un’area definita FEF-campi visivi frontali.
Il sistema di neuroni sensoriali e motori del circuito VIPF4 sembra essere ideale
per la codifica e l’azione nello spazio personale: qui vengono operate trasformazioni visuo e senso motorie per l’azione nello spazio vicino, registrati presenza e
avvicinamento di un oggetto al corpo e organizzati movimenti di raggiungimento del
braccio e della testa.
Spazio e movimento.
Studi condotti sia sull’animale sia sull’uomo hanno dimostrato l’esistenza di
molteplici meccanismi, localizzati in aree diverse, deputati alla rappresentazione di
attributi spaziali diversi. I circuiti implicati nella codifica dello spazio sono i circuiti parietofrontali che
interessano le aree LIP e VIP nel lobo parietale posteriore e le aree F4 e i FEF nel
lobo frontale. I neuroni in entrambi questi circuiti rispondono agli stimoli visivi e scaricano durante il movimento, le loro proprietà elettrofisiologiche sono però molto
diverse.
I neuroni del circuito FEFLIP codificano lo stimolo secondo coordinate
retinocentriche, gli aspetti motori sono legati al controllo dei movimenti oculari e rispondono allo stimolo visivo indipendentemente dalla sua distanza dal corpo.
Un danno determina nella scimmia una preferenza per gli stimoli ipsilesionali e una
mancanza di consapevolezza per gli stimoli presentati nello spazio controlaterale alla
lesione; l’inconsapevolezza colpisce gli stimoli presentati nello spazio lontano. Questi neuroni sono stati pertanto considerati come codificanti lo spazio lontano dal
soggetto.
I neuroni del circuito F4VIP sono caratterizzati da fatto di essere neuroni sensomotori, bimodali; rispondono quindi sia alla stimolazione tattile sia agli stimoli
visivi nelle vicinanze. Codificano quindi lo spazio secondo coordinate egocentriche,
centrate su parti del corpo, e la loro attività motoria è legata a movimenti nello
spazio peripersonale. Un danno determina nella scimmia una mancata consapevolezza per gli accadimenti nello spazio controlaterale vicino al corpo.
Questi neuroni hanno caratteristiche ideali per codifica dello spazio peripersonale.
La dinamicità dello spazio peripersonale nella scimmia e nell’uomo Una possibile
domanda sulla codifica dello spazio è se lontano e vicino siano codificati in modo assoluto, in base all’effettiva distanza, o sevi siano aspetti dinamici in grado di
modulare la codifica spaziale.
Dati a favore della dinamicità:
- Studi di Fogassi (p150) dimostrarono che lo spazio peripersonale non è un’ entità geometrica fissa, me un sistema dinamico che prende in considerazione
anche il tempo.
- Studi su neuroni IPS di Iriki, Tanaka e Iwamura (p150) ipotizzano che il campo recettivo dei neuroni bimodali viene ampliato e si estende a coprire
tutto lo spazio raggiungibile dallo strumento usato (rastrello).
In generale gli esperimenti condotti sugli animali suggeriscono che la
rappresentazione dello spazio derivi dall’attività congiunta di centri cerebrali diversi e relativamente indipendenti tra loro.
Considerando le notevoli similitudini tra il cervello umano e quello della scimia, se i
neuroni che rappresentano lo spazio nell’uomo avessero caratteristiche analoghe a quelle dell’animale dovremmo aspettarci che la manipolazione effettuate sulla
scimmia dovrebbero avere effetti analoghi anche sulle rappresentazioni spaziali
nell’uomo.
Una sindrome psicologica molto studiata è il neglet (lesione focale nell’emisfero dx causa disturbo di consapevolezza relativo allo spazio controlesionale alla lesione);
questa è stata interpretata come conseguenza di una lesione alla rete neurale che
serve la rappresentazione dello spazio e avrebbe caratteristiche simili a quelle riscontrate nella scimmia. La lesione cerebrale danneggerebbe la consapevolezza
dell’esistenza di uno spazio controlaterale alla lesione. Il neglet è sempre stato
considerato un disturbo che coinvolge tutto lo spazio controlaterale alla lesione, in
modo omogeneo e uniforme, e se cosí non fosse? La prima evidenza a favore di una possibile distinzione tra codifica spazio lontano e
codifica spazio vicino viene da Halligan e Marshall 1991(p153); gli autori
dimostrarono che il neglet poteva essere confinato a un ristretto e specifico settore dello spazio vicino lasciando intatto l’altro spazio.
1994 Cowey, Small e Ellis osservarono la dissociazione opposta (confermata).
In definitiva la presenza di una doppia dissociazione tra neglet per lo spazio extra
personale e neglet per lo spazio peripersonale dimostra che anche nell’uomo lo spazio lontano e lo spazio vicino vengono codificati separatamente da meccanismi
distinti.
Rimane solo da stabile se sia possibile riscontrare la stessa dinamicità nella codifica spaziale quando l’azione viene eseguita attraverso l’uso di uno strumento che
modifica la relazione spaziale fra il corpo del soggetto e l’oggetto destinatario
dell’azione.
Uno dei primi studi sull’argomento fu ad opera Berti e Frassinetti (2000) e le autrici interpretarono i risultati riferendosi al paradigma neurofisiologico di Iriki etc..
Come nelle scimmie, l’uso di un oggetto, che estendeva lo spazio personale,
ampliava lo spazio peripersonale fino a includere tutto lo spazio compreso tra il sogg. e l’oggetto. Di conseguenza, lo spazio lontano veniva rimappato come vicino; poiché
lo spazio vicino era affetto da neglet, il neglet diventava evidente anche nello spazio
lontano. Neppi- Modonà hanno dimostrato che anche lo spazio vicino può essere ricodificato
come spazio lontano quando lo strumento per la bisezione non implica il
raggiungimento dello stimolo (p154).
Questo dimostra che la discontinuità tra strumento e oggetto può facilitare l’osservazione dello spazio lontano; è anche stato dimostrato che la presenza di un
feedback propriocettivo innesca la rappresentazione dello spazio vicino, inducendo
una ricodifica dello spazio lontano in spazio peripersonale, mentre l’assenza di feedback visivo induce una ricodifica dello spazio vicino in spazio lontano. Infine la
ricordifica spaziale può essere indotta dal tipo di azione elicitato dallo strumento.
In generale queste ricerche sottolineano l’idea di uno spazio dinamico la cui
espansione o restrizione è suscettibile di variazioni e aggiustamenti, sttraverso meccanismi neurobiologici che rendono più fluida e maneggevole la
rappresentazione della realtà. Correlati anatomici e funzionali dello spazio lontano e vicino nell’uomo vi sono due tipi di
ricerca che si occupano di documentare i correlati anatomici dello spazio
peripersonale e dello spazio lontano.
1. Gli studi lesionali che non sono riusciti ad evidenziare un’associazione
inconfutabile tra comportamento deficitario e lesione a specifiche aree causa il disegno sperimentale adottato sempre centrato sul caso singolo; nessuno
studio, infatti, è stato condotto con criteri metodologici a priori necessari per
raccogliere dati di correlazione anatomofunzionale. 2. Studi di attivazione funzionale.
2002 Studio condotto da Bjoertomt, Cowey e Walsh con tms (p156) mostra che
l’applicazione al lobo parietale posteriore destro produce una forma moderata e
transitoria di neglet per lo spazio vicino, mentre l’applicazione alla parte ventrale del lobo occipitale destro produce uno pseudo neglet per lo spazio lontano.
Questi risultati suggeriscono che nell’uomo vi sia una dicotomia dorsale
(parietale)/ventrale (occipitale) per la localizzazione anatomica delle areee deputate alla codifica spaziale.
Alcune ricerche neuropsicologiche hanno indirettamente dimostrato che nell’uomo
la codifica dello spazio peripersonale è mediata da neuroni bimodali, con
caratteristiche elettrofisiologiche simili ai neuroni di F4: 1997 Di Pellegrino, Ladavas e Farnè esaminarono un pz che presentava estinzione
sia nella modalità tattile sia in quella visiva (p156); dimostrarono che:
- quando uno stimolo è codificato come vicino è verosimilmente codificato da neuroni bimodali.
- Quando uno stimolo viene dato nella stessa posizione spaziale, ma lontano
dalla mano, poiché l’effetto cross-modale sull’estinzione svanisce, allora
quello stimolo viene codificato come lontano e non è più analizzato da neuroni bimodali.
Significato funzionale della dissociazione tra spazi Sia i dati neurofisiologici e
comportamentali nella scimmia sia le ricerche neuropsicologiche nell’uomo indicano che le aree corticali diverse che codificano lo spazio vicino e lontano utilizzano
meccanismi cerebrali specializzati.
Per comprendere il significato funzionale di questa separazione, un primo aspetto da
rilevare è che la rappresentazione spaziale non è una funzione primaria; piuttosto deriva dall’attività di circuiti il cui ruolo primario è quello di organizzare l’azione di
effettori motori verso una specifica localizzazione di un oggetto nello spazio.
È l’attività congiunta di questi circuiti senso motori che produce la consapevolezza spaziale.
Il rapporto tra rappresentazione dello spazio e sistema motorio si può interpretare in
due modi:
- Secondo la prima versione lo spazio è primariamente visuosensoriale e il legame con il sistema motorio è secondario.
- Una visione opposta considera lo spazio primariamente motorio; la
rappresentazione dello spazio, durante lo sviluppo, verrebbe costruita mediante l’azione. Solo quando la rappresentazione motoria si consolida
viene accoppiata all’informazione sensoriale. Questo accoppiamento dà
origine alla sensazione introspettiva della percezione dello spazio.(Rizzolatti).
L’esistenza di uno spazio peripersonale, ancorato a parti corporee e codificato in circuiti che controllano i movimenti di parti del corpo, costituisce un forte argomento
a favore dell’origine motoria.
L’esame dettagliato delle caratteristiche dei neuroni di F4 contribuisce a confermare tale hp: la scarica dei neuroni F4 codifica un’azione motoria potenziale diretta verso
un particolare settore dello spazio.
Con il termine azione motoria potenziale ci si riferisce al fatto che l’attivazione di
questi neuroni non comporta necessariamente l’esecuzione. La traslazione dell’azione motoria potenziale in un’azione reale valida la
rappresentazione neurale evocata e crea una rappresentazione spaziale basata sulle
azioni. In generale, nonostante i meccanismi di rappresentazione spaziale mantengano una
struttura discreta e dedicata, l’idea intuitiva che abbiamo dello spazio è quella di un
contenitore continuo senza limiti che si espande in modo omogeneo in tutte le
direzioni.
Il sistema dei neuroni mirror.
Un gruppo di ricercatori dell’università di Padova, studiando nelle scimmie le
proprietà elettrofisiologiche e funzionali dell’area F5, hanno scoperto dei neuroni che
si attivano sia quando la scimmia compie l’azione sia quando la scimmia osserva un altro compiere l’azione.
Nell’area F5 ci sono neuroni con proprietà visive, oltre che motorie; sono state
individuate due classi di neuroni visuomotori, in base al tipo di stimolazione che li attiva: i neuroni canonici, che rispondono alla semplice visualizzazione dell’oggetto,
e i neuroni specchio che rispondono quando la scimmia osserva azioni finalizzate. Proprietà visive e sottotipi di neuroni mirror gli stimoli visivi, attivanti il circuito
mirror, sono legati ad azioni nelle quali vi è una diretta interazione tra effettore motorio dello sperimentatore e l’oggetto su cui l’azione ricade.
La risposta del neurone viene evocata da effettori biologici e non da effettori
artificiali: la semplice presentazione di oggetti comuni non evoca nessuna risposta, se invece vengono associati all’azione evocano l’attività neuronale.
La maggior parte dei mirror viene attivata da una sola azione e le azioni
maggiormente coinvolte in questo sistema sono di afferramento, di placing e
manipolazione.
Neuroni di afferramento: il neurone scarica sia quando la scimmia osserva
l’esaminatore durante l’azione di afferramento sia quando lo stesso atto
motorio è compiuto dalla scimmia, la semplice presentazione dello stimolo all’inizio di ogni prova non determina la scarica, il neurone scarica solo dopo
che la mano dell’esaminatore comincia l’azione e il neurone non scarica se
l’afferramento è compiuto con un oggetto. I neuroni mirror sono selettivi sia
per il tipo di azione sia per il tipo di afferramento, se l’azione viene solo mimata, in assenza dell’oggetto, la scarica è completamente assente.
Neuroni di collocamento: sono neuroni che scaricano quando l’animale vede
l’esaminatore porre gli oggetti su un supporto ma se l’esaminatore raccoglie l’oggetto la scarica è molto meno evidente o spesso assente.
Neuroni di manipolazione: scaricano quando l’animale osserva l’eaminatore
che tocca ripetutamente un oggetto con le dita per poi raccoglierlo e
impossessarsene, anche in questo caso il neurone smette di scaricare se l’azione è compiuta con un utensile.
Le proprietà motorie dei neuroni mirror a congruenza visuomotoria le caratteristiche
motorie di questi neuroni sono indistinguibili dalle caratteristiche motorie degli altri
neuroni in F5. Per la maggior parte degli specchio la relazione tra azione a cui rispondere visivamente e azione motoria è molto stretta.
Rizzolatti e co. hanno classificato questa popolazione di neuroni in:
- Neuroni congruenti in senso stretto presentano esatta corrispondenza di scarica fra azione osservata e azione eseguita.
- Neuroni congruenti in senso lato esiste una correlazione ma è meno evidente.
- Neuroni non congruenti l’azione che attiva la risposta visiva non è correlata
con l’azione che innesca la risposta motoria. - Neuroni simil- mirror rispondono all’osservazione dell’azione ma non hanno
proprietà motorie. Neuroni che codificano stimoli complessi localizzati in altre aree corticali neuroni con
proprietà simil mirror sono stati osservati sia nelle aree parietali sia nell’area del
solco temporale superiore STS. Sia i neuroni in F5 sia quelli in STS scaricano in
relazione a determinate azioni, generalizzano le loro risposte a diverse modalità di
esecuzione della stessa azione e non rispondono ad azioni dove non vi sia l’interazione sogg-ogg. Vi è aspetto cruciale sul quale però differiscono; mentre i
mirror in F5 scaricano anche quando l’animale compie l’azione, quelli di STS sono
neuroni puramente visivi e non emettono risposte motorie. Possibili funzioni dei neuroni mirror Una possibile interpretazione è che i neuroni
mirror generino una rappresentazione interna del movimento essenziale per
l’apprendimento dell’atto motorio su base imitativa.
Rizzolatti e Craighero, pur non rifiutando questa hp, identificano, come una delle funzioni primarie dei mirror, quella di costruire la base neurale della comprensione
degli atti motori altrui. L’attività automatica di rappresentazione di una determinata
azione evoca nell’individuo la conoscenza immediata dell’azione osservata. N.B. la comprensione di un atto motorio passa anche attraverso codifica sonora.
(Kohler 2002 p 168). Evidenze a favore di un sistema mirror nell’uomo Vi sono dati elettrofisiologici da cui è
possibile inferire la presenza dei mirror anche nell’uomo (esperimenti con tms e rm p 168/169).
In base a diversi studi sono state identificate come zone coinvolte il giro precentrale e
la zona opercolare del giro frontale inferiore IFG, che coinciderebbero all’area 44 di Broadman, bilateralmente. Da notare è che l’attivazione di queste aree avrebbe una
rappresentazione somatotopica, dipendente dall’effettore che esegue l’azione.
Infine va ricordato che all’interno del lobo frontale e del lobo parietale la posizione
dei foci di attivazione si sposta a seconda dell’effettore che esegue il movimento, dimostrando un’organizzazione somatotopica del sistema mirror umano.
Un’ultima caratteristica del sistema specchio nell’uomo è che esso risponde a
pantomime, a gesti intransitivi ed è sensibile alla codifica di catene di azioni all’interno delle quali il neurone è in grado di selezionare gli aspetti intenzionali. Il sistema specchio e l’evoluzione dei sistemi di comunicazione La stretta relazione dei
movimenti della mano e i sistemi motori dell’apparato orofaringeo da un lato e la
presenza di circuiti mirror, coinvolgenti anche gli aspetti uditivi della decodifica delle azioni dall’altro, suggeriscono un’evoluzione del linguaggio a partire da aspetti
gestuali legati alla produzione e comprensione di atti motori significativi.
Questa evoluzione è stata accompagnata dall’adattamento anatomofunzionale del sistema specchio che nell’uomo ha prerogative specifiche e principale localizzazione
anatomica in un’area responsabile della codifica di aspetti cruciali del linguaggio.
L’architettura anatomofunzionale di F5 e dell’area 44 racchiudono in se quelle
strutture neurali che hanno permesso al linguaggio di evolversi da sistema gestuale chiuso a sistema di comunicazione aperto e relativamente indipendente.
Controllo movimento, consapevolezza e intenzionalità.
Ci si potrebbe chiedere quali stadi del processo di produzione dell’azione siano
accessibili alla coscienza. Sicuramente molte elaborazioni avvengono senza che il soggetto ne abbia consapevolezza. In altre parole, noi speriamo sia la
consapevolezza motoria, sia l’attitudine intenzionale che deriva dai nostri scopi. La
normale integrazione di questi due aspetti del controllo motorio sembra essere un aspetto essenziale per la costruzione di un sé coerente.
Esempio anosognosia per l’emiplegia p175. Consapevolezza motoria è esperienza comune essere consapevoli del fatto che stiamo
muovendo, o meno, i nostri arti. I feedback propriocettivi sono fondamentali per la costruzione della consapevolezza motoria (veridica). Da vari esperimenti su soggetti
malati, però, sembrerebbe che l’avere o meno un’intatta sensazione propriocettiva
non sia condizione sufficiente per provare consapevolezza motoria veridica. È interessante notare che anche nei soggetti normali la sensazione associata
all’effettiva esecuzione non è necessaria per costruire la consapevolezza motoria del
movimento. 1983 studio di Libet e collaboratori p 177.
I risultati di questo studio suggeriscono che la consapevolezza motoria inizi prima
che il movimento sia eseguito, dimostrando cosi di non essere legata al feed back sensoriale, anzi sarebbe legata a qualche segnale nervoso precedente il movimento.
Secondo un modello predittivo del sistema motorio proposto da Wolpert,
Ghahramani e Jordan, quando abbiamo un obiettivo vengono immediatamente
selezionati, e inviati ai muscoli, i comandi motori appropriati. Sulla base della programmazione del movimento da seguire il sistema propone una previsione delle
conseguenze sensoriali di quel determinato movimento, prevalentemente basata su
una copia del comando (copia efferente) motorio, che verrà poi confrontata con il feedback effettivo.
Questo implica che ogni volta che ci formiamo una previsione sensoriale relativa alla
programmazione, allora realizziamo anche la convinzione che il movimento è stato
effettivamente prodotto. L’hp avanzata da Berti e Pia è che questo processo, proposto per soggetti normali, potrebbe essere operativo anche su pazienti con
lesioni cerebrali o con agnosognosia per l’emiplegia.
Secondo le autrici la mancanza di consapevolezza per la plegia dipenderebbe dal malfunzionamento di un sistema di monitoraggio che dovrebbe cogliere la
contraddittorietà tra previsione ed effettivo feedback sensoriale. Il danno sarebbe
relativo al comparatore che dovrebbe confrontare i diversi stati del sistema.
Basi neurobiologiche di predittore e comparatore sono ancora dibattute. Berti e collaboratori, tramite studi su pz lesionati, hanno scoperto che le zone maggiormente
danneggiate sarebbero le aree frontali agranulari della corteccia premotoria (6/44),
conosciute come aree fondamentali per la programmazione di atti motori. L’hp sarebbe che queste regioni sarebbero coinvolte nel monitoraggio e quindi implicate
nella costruzione della consapevolezza motoria veridica.
In conclusione una normale consapevolezza motoria è ascrivibile sia a segnali di
previsione sensoriale sia al monitoraggio della corrispondenza tra previsione ed effettiva prestazione, in cui sono coinvolte le cortecce premotorie. Azione e immaginazione ci sono dati sia anatomofunzionali sia comportamentsli che
dimostrano una parziale sovrapposizione tra l’immaginazione di un movimento e la sua effettiva esecuzione. Ad esempio Thomas e Loftus (p181) mostrarono che, in particolari
condizioni, è possibile credere di aver eseguito un’azione che si è solo immaginata.
Questo esperimento va a dimostrare che, fino a un certo punto lungo il processo di
programmazione motoria, l’immaginazione di un’azione coincide con l’effettiva programmazione. Un’importante distinzione tra zione immaginata ed effettiva è che
nel primo caso non vi è feedback sensoriale, ma nonostante questo, la memoria
propriocettiva di un evento non sembra essere cruciale per distinguerlo da un non evento. Su potrebbe ipotizzare che l’immaginazione di un movimento, creando la
previsione delle sue conseguenze somatosensoriali, produca anche una memoria
propriocettiva non- veridica, quasi indistinguibile da quella veridica.
In seguito ad ulteriori osservazioni su pazienti malati sembrerebbe che noi proviamo la consapevolezza di aver eseguito delle azioni che avevamo solo intenzione di fare,
indipendentemente dall’effetto che esse hanno sulla vita reale e indipendentemente
dal feedback propriocettivo.
Conoscere le nostre intenzioni esperimento Libet p182; esperimento Haggard e Eimer.
Questi esperimenti portarono ad un risultato cruciale ovvero che l’intenzione a muoversi emerge dopo l’inizio dell’attività cerebrale relativa al processo di
programmazione e selezione del movimento adeguato all’azione, anziché precederlo.
Studi con fmri di Lau e collaboratori: i risultati indicarono che il giudizio, inerente
alla consapevolezza dell’intenzione, correlava maggiormente con l’area pre-SMA. Riassumendo tutti i dati raccolti, anche su pazienti lesionati, si potrebbe dire che
l’intenzionalità cosciente viene costruita sull’attività non consapevole che sorge nelle
aree frontali, prima dell’esecuzione del movimento vero e proprio. Questo processo è fortemente accoppiato all’attività cerebrale correlata all’azione, che sembra essere
presente anche quando il movimento viene programmato e immaginato ma non
effettivamente prodotto.
L’intenzione cosciente non è il risultato di una ricostruzione post hoc che ha origine negli esiti positivi di un comportamento, ma piuttosto dell’anticipazione dei risultati
imperniata sul modello predittivo. Consapevolezza dell’intenzione e senso del sé agente Il senso del sé agente può essere
descritto come la sensazione che sono io che sto controllando il movimento.
Nonostante sia ragionevole assumere che il senso d’agente sia strettamente legato
alla possibilità di avere l’intenzione del movimento, è stato distinto dalla sensazione
di stare per fare qualcosa in base alla quale si stabilisce l’esperienza dell’intenzione; l’intenzione cosciente può essere provata senza che vi sia effettivo movimento,
mentre il senso d’agente è logicamente legato alla presenza di un’effettiva azione.
(esperimenti p184). Per riassumere: nella sindrome della mano fantasma c’è movimento, ma scollegato
dall’intenzione e dal senso d’agente, mentre nell’agnosognosia per l’emiplegia non
c’è movimento, ma ci sono intenzione e senso d’agente per i movimenti che si crede
di produrre. In base a queste osservazioni possiamo concludere che senso d’agente e intenzionalità non siano dissociabili. Al contrario della previsione secondo cui senso
d’agente ed effettivo movimento siano effettivamente legati, l’agnosognosia dimostra
che il senso d’agente può essere costruito su movimentiillusori.
CAPITOLO 5 UN APPROCIO NEUROPSICOLOGICO ALLO STUDIO DEI
PROCESSI COSCIENTI . La neuropsicologia studia le alterazioni del comportamento, conseguenti a danni
vascolari o traumatici del cervello, che consentono, partendo da specifiche
assunzioni metodologiche, di trattare inferenze riguardo alle funzioni cognitive normali. Una delle principali assunzioni è che il sistema di elaborazione cognitiva
delle informazioni sia costituito da operatori relativamente isolabili, funzionalmente
e anatomicamente, segregati per quanto riguarda l’info in entrata e indipendenti gli uni dagli altri per quanto riguarda gli apparati interni di elaborazione. Questo
modello è stato proposto solo per quelle funzioni strumentali, legate all’esecuzione di
programmi relativamente innati e automatici, riguardanti gli aspetti più periferici
dell’elaborazione cognitiva mentre il nocciolo del sistema, costituito dalle funzioni di controllo e autocontrollo, non avrebbe questa caratteristica.
Elaborazione inconsapevole nel blindsight.
Il termine blindsight, o visione cieca, indica un fenomeno, conseguente a un danno della corteccia visiva primaria, caratterizzato dal fatto che il paziente, cieco nella
zona di campo visivo corrispondente alla lesione, è in grado di elaborare molte
proprietà degli stimoli la cui presenza viene negata. La caratteristiche principale del
blindsight è la dissociazione tra assenza di esperienza visiva per gli stimoli che cadono nel campo cieco e ottime prestazioni di discriminazione di quegli stessi
stimoli, quando al pz viene richiesto di indovinare le risposte.
La scoperta del blindsight è relativamente recente. I pz con questa patologia esibiscono capacità diverse nel campo visivo cieco: sono in
grado di attuare la detezione degli stimoli, di localizzarli nello spazio, di discriminare
la direzione, di confrontare tra stimoli nel campo visivo malato e stimoli nel campo
visivo sano, di distinguere colori. Il pz, consapevole della sua cecità di campo visivo, non è consapevole che il suo cervello elabori gli stimoli non visti e che sia in grado di
produrre risposte corrette su questi stimoli.
È importante ricordare che, questi pz, se lasciati a se stessi, nella vita quotidiana, convinti di non vedere, difficilmente utilizzano gli stimoli di cui non hanno
esperienza.
Effettuate sperimentazioni sulle scimmie si è notato che gli animali sono in grado di
compiere discriminazioni molto fini, che consentono loro, in situazioni non sperimentali, di muoversi liberamente nell’ambiente. Poiché i pz con blindsight
affermano di non vedere nulla nella zona affetta da lesione, mentre il
comportamento osservabile nella scimmia suggerisce processi visivi quasi intatti, la comunità scientifica fu portata a concludere che le strutture nei due diversi sistemi
visivi (uomo/scimmia) fossero diverse e che il ruolo di V1 nella consapevolezza
visiva nelle due specie non sia confrontabile.
PB la scimmia non parla e non le si può chiedere cosa vede esperimento di Cowey e Stoering permise la dimostrazione del blindsight nelle scimmie.
Gli studiosi dimostrarono che le scimmie, come l’uomo, hanno blindsight e i dati
anatomici e funzionali possono essere discussi alla luce delle evidenze sull’uomo.
Consapevolezza visiva e blindsight La definizione originaria di blindsight implica che
il soggetto sia completamente inconsapevole degli stimoli presentati nel campo visivo cieco, nessun qualia. Questa forma di inconsapevolezza è oggi chiamata blindsight di
tipo 1, per distinguerla dalla forma di tipo 2, dove i pz, per non sapendo spiegare il
tipo di sensazione, riferiscono di avere cmq qualcosa alla presentazione dello
stimolo. Cowey sottolinea che è possibile che gli eventi visivi, elaborati in modo non consapevole da aree e da vie che non includono v1, producano conseguenze
visuomotorie che il pz impara ad associare alla presenza di stimolazione; in pratica il
pz impara che lo stimolo, da lui non percepito, ha delle conseguenze sul suo comportamento. Paziente zero D.B p197.
Il blindsight è un fenomeno che si caratterizza per un’elaborazione anche accurata di
stimoli in assenza assoluta di esperienza fenomenica paragonabile a quella che il pz
prova per gli stessi stimoli presentati nel campo visivo sano. Basi neurali del blindsight La corteccia visiva primaria, zona preposta all’analisi
sensoriale dell’informazione visiva, si trova nel lobo occipitale(area striata o 17 di
Broadman). Le connessioni tra retina e corteccia sono molteplici: le proiezioni più consistenti sono la via che dalla retina va al corpo genicolato laterale, via retino-
genicolo-striata, e la via che dalla retina va al collicolo superiore e da qui alle zone di
corteccia occipitale extrastriata, via retino-collicolo-extrastriata. Dopo il danno alla
corteccia striata si osserva una degenerazione retrograda dei neuroni nella parte dorsale del CGL e una degenerazione delle cellule retiniche, mentre buona parte
delle altre proiezioni non subisce danni poiché proietta ad aree corticali extrastriate
rimaste relativamente intatte dopo la lesione. La molteplicità delle vie visive e la possibilità che molte di esse rimangano intatte rappresenta il correlato anatomico
dell’analisi di alcuni attributi dello stimolo nei pz con blindsight.
È stato dimostrato che in assenza della corteccia striata i neuroni MT sono ancora
attivi, questo potrebbe spiegare le possibilità residue di analisi e discriminazione movimento nei pz blindsight. L’integrità della via retino-collicolo-extrastriata spiega
la capacità di localizzazione di uno stimolo nel campo visivo cieco tramite
movimenti oculari. Nel collicolo esiste infatti una mappa topologica del campo visivo.
I dati, derivanti da molteplici esperimenti su animale e su uomo, sono interessanti.
Primo perché replicano, in soggetti sani, una sindrome la cui realtà è stata messa in
dubbio; secondo per il fatto che, anche nel soggetto normale, dopo momentanea disattivazione della via retino-collicolo-extrastriata, sia riscontrabile il blindsight
indica che le vie vicarianti sono disponibili anche per i cervelli sani e non sono
quindi il frutto di un rimaneggiamento dovuto alla plasticità post lesionale.
Ma perché pur essendoci vie che possono, in assenza di V1, analizzare l’informazione visiva, il pz non arriva mai ad avere una normale consapevolezza dei
dati che il suo cervello sta acquisendo?
Hp della distinzione tra processi predittivi e ricorrenti: l’iniziale ritrasmissione delle info visive alle aree corticali genera risposte motorie, ma non consapevolezza dello
stimolo che le ha indotte. Solo dopo che le aree corticali di alto livello hanno a loro
volta trasmesso indietro l’info alle aree inferiori, attraverso processi ricorrenti,
verrebbe organizzato un precetto cosciente.
In conclusione, l’integrità di V1 sarebbe indispensabile per attribuire il connotato
della consapevolezza all’attività neuronale delle altre visive; la coscienza degli eventi si configura come un processo dinamico, modulare e dipendente da meccanismi
corticali locali e discreti.
Elaborazione inconsapevole nell’estinzione.
L’estinzione consegue a un danno parietale unilaterale e consiste nell’ignorare lo stimolo controlaterale alla lesione quando questo venga presentato simultaneamente
a un altro stimolo nello spazio ipsilaterale alla lesione. Nella condizione a doppia
stimolazione il comportamento del pz suggerisce la completa perdita dell’informazione relativa allo stimolo ignorato.
1979 importante lavoro di Volpe, Ledoux e Gazzaniga dimostra che il sistema è in
grado di elaborare gli stimoli ignorati e che quindi l’elaborazione sensoriale non è di
per sé condizione sufficiente affinchè gli eventi entrino nel dominio della nostra coscienza.
Questo studio ebbe il merito di sollevare la questione dell’elaborazione implicita e di
porre l’attenzione sul problema del livello percettivo- cognitivo raggiunto dal processo di analisi inconsapevole. Una possibilità è che l’analisi degli stimoli ignorati
non raggiunga alti livelli di elaborazione (esperimento p203 hp bocciata).
Complessivamente, i dati presenti, dimostrano che:
- stimoli, sia tattili che visivi, ignorati esplicitamente dal soggetto possono essere elaborati fino a raggiungere alti livelli che rendono possibile
l’estrazione di info tanto bidimensionali quanto tridimensionali relative alla
categoria semantica di appartenenza dello stimolo; - l’analisi di alto livello sia fisico (estrazione di attributi percettivi
tridimensionali) sia semantico (l’effetto dell’individuazione della categoria
sulle risp del pz) non è sufficiente all’innesco di un processo consapevole.
Elaborazione inconsapevole nel neglet. I pz con neglet si comportano come se gli stimoli provenienti dalla porte sinistra
dello spazio non esistessero: essi non rispondono agli eventi sensoriali che
provengono dai settori di spazio alterati dalla lesione e non compiono nessun atto
motorio finalizzato verso gli stimoli lí presentati. Nelle azioni di vita quotidiana i pz affetti da neglet incontrano molteplici difficoltà.
Il comportamento osservato in questi pz ha fatto ipotizzare che questo disturbo
riguardasse i primi stadi del processo di elaborazione dell’info e fosse, quindi, una sindrome primariamente percettiva; in seguito si è scoperto che vengono colpite, non
solo il dominio percettivo, ma anche la costruzione e la manipolazione delle
rappresentazioni spaziali in assenza di stimolazione fisica.
Il danno cerebrale è localizzato al livello del lobo parietale, frontale o sotto-corticale e non a livello occipitale o delle vie ottiche primarie.(sempre meno sensoriale).
Sia l’hp percettivo- sensoriale sia l’hp attentiva assumono implicitamente una totale
sovrapposizione teorica e pragmatica fra consapevolezza degli stimoli ed elaborazione sensoriale, per cui se il sogg elabora gli stimoli deve esserne
consapevole e, se il sogg non è consapevole degli stimoli allora li ha scartati e non
elaborati. Una conseguenza cruciale della sovrapposizione è che gli stimoli di cui
non si è consapevoli non dovrebbero avere influenza sul comportamento. In realtà numerosi studi hanno dimostrato che gli stimoli ignorati possono avere effetti
osservabili sulle risposte comportamentali; questo significa che gli stimoli che si
assumevano perduti nel sistema nervoso vengono elaborati a livello non consapevole (implicito; p.207/216).
In conclusione lo studio di pz con estinzione e/o neglet ha dimostrato che gli stimoli
ignorati possono venire elaborati dal sistema cognitivo. Il livello di elaborazione di
questi stimoli può garantire l’estrazione del significato di oggetti e parole e causare un effetto sul comportamento. In altre parole il paradosso del neglet consiste nel non
avere consapevolezza di stimoli il cui livello di elaborazione è cosi sofisticato da
causare risp guidate da un’analisi semantica. Differenze tra neglet e blindsight e possibile spiegazione dell’elaborazione senza consapevolezza
nel nehlet Sono condizioni neurologiche che hanno in comune il fatto che gli
stimoli, di cui il pz non è consapevole, vengono cmq elaborati; i due fenomeni hanno
però caratteristiche funzionali e cognitive diverse: 1. Non è chiaro se un danno all’area 17 lasci impregiudicata l’analisi categoriale
e semantica degli stimoli, analisi disponibile per i pz con neglet.
2. Nel blindsight è disponibile l’elaborazione spaziale, nel neglet è compromessa.
3. Il pz con blindsight, da un punto di vista comportamentale, è consapevole ed
ammette di avere punto cieco nel campo visivo, il pz con neglet no.
4. Da un punto di vista fisiologico il danno nel blindsight impedisce detenzione ed analisi esplicita degli stimoli è localizzato nella corteccia striata, un’area
deputata all’analisi primaria dello stimolo visivo. Nel neglet le aree
danneggiate non sono aree visive primarie, bensí aree associative dove gli stimoli sono codificati con coordinate non retiniche.
5. Per il blindsight la sfida è capire i meccanismi che permettono l’analisi di
stimoli che cadono nel punto cieco, per il neglet la sfida è spiegare perché dei
pz che hanno le vie visive intatte non siano consapevoli di stimoli che possono essere elaborati.
Berti e Rizzolatti suggeriscono che il paradosso possa essere compreso se si fa
riferimento ad un’analisi anatomofunzionale del sistema visivo. Il cosiddetto ventral stream sarebbe specilizzato per la codifica degli attributi
percettivi dell’input sensoriale mentre il dorsal stream sarebbe specializzato per la
codifica spaziale degli stimoli.entrambe le vie sono a partenza dal lobo occipitale
(intatto nel neglet); la ventrale si dirige verso zone di elaborazione categoriale e semantica del lobo temporale (intatta per neglet), mentre la dorsale si dirige al
parietale (selettivamente danneggiata nel neglet) e da qui, attraverso vie di
comunicazione interemisferica (danneggiate nel neglet), alle aree motorie del lobo frontale. Le lesioni che causano inconsapevolezza per gli stimoli sinistri colpiscono
vie o strutture facenti parte delle vie dorsali che sono coinvolte nella
rappresentazione della posizione spaziale.
Secondo l’hp di Berti e Rizzolatti l’attività congiunta dei centri nervosi che analizzano i diversi attributi spaziali sarebbe responsabile della costruzione della
consapevolezza; in altri termini, la funzionalità dei circuiti cortico-sottocorticali
appartenenti al sistema di elaborazione dorsale determinerebbero l’emergere della consapevolezza.
La codifica spaziale sarebbe un prerequisito necessario perché l’analisi delle
caratteristiche percettivo-semantiche di un evento raggiunga la coscienza (nascoste al sogg). In questa prospettiva la consapevolezza dipende sia dal normale
funzionamento delle aree sensoriali primarie, sia dall’integrità dei sistemi preposti
alla strutturazione delle rappresentazioni spaziali: il dove rende possibile il che cosa.
Modulazioni, dissociazioni di consapevolezza e struttura dei processi coscienti.
Una lesione cerebrale non comporta una perdita generalizzata di esperienza
cosciente, ma può causare disturbi di coscienza dominio-specifici che producono dissociazione tra elaborazione stimoli ed esperienza soggettiva, dove il disturbo di
coscienza è confinato ad un determinato ambito, senza compromettere la
consapevolezza relativa al prodotto dell’elaborazione di altri sistemi cognitivi.
Questa dissociazione configura come una struttura modulare della coscienza dove una lesione può compromettere solo un flusso dell’esperienza sensoriale, lasciando
intatti gli altri. Un altro dato a favore di una struttura multicomponenziale e
dinamica dei processi di coscienza riguarda la possibilità di modulare la consapevolezza attraverso manipolazioni sperimentali che spostano l’analisi degli
stimoli su vie di elaborazione parallele rispetto a quelle danneggiate. La molteplicità
dei processi ch strutturano la consapevolezza è suggerita dal fatto che le conseguenze
di una lesione cerebrale possono svelare diverse correnti di consapevolezza relative allo stesso disordine da monitorare.
Conclusioni.
Una lesione cerebrale non comporta una perdita generalizzata di esperienza cosciente, ma può causare disturbi di coscienza dominio-specifici che producono
dissociazioni di consapevolezza, dove il disordine selettivo rimane confinato ad un
determinato ambito, senza intaccare la coscienza relativa al prodotto di elaborazione
di altri sistemi cognitivi. Queste dissociazioni, e la possibilità di modulare la consapevolezza agendo in modo dinamico hanno svelato la natura composita che
sottende i meccanismi di rappresentazione e la struttura dei sistemi di coscienza,
mettendo in crisi l’idea di una struttura unitaria.
Sembra essere chiaro che la coscienza non possa essere considerata la prerogativa esclusiva di una componente centrale esecutiva della mente, indivisibile, monolitica
e gerarchicamente sopraimposta ad altre attività cognitive. Invece la coscienza pare
avere una struttura composita, che riflette anche a livello dei meccanismi di pensiero la struttura multicomponenziale dei processi cognitivi.