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1 / 49 TOP NEWS_______ 01 NATO TV 0 4 COSTRUIRE LA PACE 0 5 COMMENTI 0 5 AGENDA 08 ISSUES 08 DOCUMENTI 09 DI PIù 12/49 In accordo tra Presidenza del Consiglio dei Ministri, Rai e NATO, Rai World fornisce sostegno all’informazione sulle operazioni di peacekeeping in Afghanistan e con la presenza di un riferimento al HQ NATO di Bruxelles mette a disposizione delle testate Rai servizi ed immagini dall’ Afghanistan e una raccolta di notizie stampa. Per contatti : news.raiworld@ rai.it 90 12 OTTOBRE 2011 Periodo dal 6 OTTOBRE Aggiornato al 12 OTTOBRE TOP NEWS_____________________________________________________________________________ 12 OTTOBRE - LUCA ORA MUOVE LE BRACCIA. IN SVIZZERA PER UN MIRACOLO (di più ) Parte domenica Luca. Dall’ospedale di Niguarda al Centro Svizzero per paraplegici di Nottwil vicino a Lucerna. Lo aspetta un’altra battaglia difficile e decisiva: tornare a muovere le braccia per riuscire a mangiare da solo. (CORRIERE DELLA SERA ED. MILANO 12 OTTOBRE DI LUCA ANGELINI ) 12 OTTOBRE - TERRORISMO: ZAWAHIRI AI SUOI, LAVORIAMO PER SCONFITTA USA (di più ) Impegnarsi per sconfiggere gli Stati Uniti. E' questo il messaggio che il leader di al-Qaeda Ayman al-Zawahiri ha rivolto ai suoi sostenitori nel messaggio della durata di 13 minuti diffuso nella notte su diversi siti jihadisti. (ADNKRONOS ) 12 OTTOBRE - AFGHANISTAN: OMICIDIO RABBANI, PAKISTAN OFFRE COLLABORAZIONE PER INDAGINI (di più ) Il Pakistan ha offerto all'Afghanistan la propria disponibilitò a collaborare nell'inchiesta sull'omicidio dell'ex presidente e capo dell'Alto consiglio di pace, Burhanuddin Rabbani, ucciso a Kabul lo scorso 20 settembre. (ADNKRONOS ) 11 OTTOBRE - AFGHANISTAN/ RILASCIATI I QUATTRO AFGANI ONG FRANCESE RAPITI (di più ) I quattro afgani della Ong francese Acted, rapiti nel nord dell'Afghanistan, sono stati "rilasciati sani e salvi": lo ha annunciato oggi l'organizzazione umanitaria. (TMNEWS ) 11 OTTOBRE - AFGHANISTAN/ ONU: PRODUZIONE DI OPPIO TORNA AD AUMENTARE NEL 2011 (di più ) La produzione di oppio in Afghanistan è fortemente aumentata (+61 per cento) nel 2011 rispetto all'anno precedente, dove era scesa a causa di un parassita, ma è rimasta inferiore a quella del 2009. Lo ha annunciato l'agenzia specializzata delle Nazioni Unite contro la droga nel suo studio annuale. (TMNEWS ) 10 OTTOBRE - AFGHANISTAN: DEPUTATA IN SCIOPERO DELLA FAME, SI RIAPRE DISPUTA SU RISULTATI ELETTORALI (di più ) Si aggravano le condizioni della parlamentare afghana, Semin Barakzai, da nove giorni in sciopero della fame e della sete in segno di protesta contro l'espulsione dal Parlamento per presunta frode elettorale. (ADNKRONOS )

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TOP NEWS_______ 01NATO TV 0 4 COSTRUIRE LA PACE 0 5 COMMENTI 0 5 AGENDA 08 ISSUES 08 DOCUMENTI 09DI PIù 12/49

In accordo tra Presidenza del Consiglio dei Ministri, Rai e NATO, Rai World fornisce sostegno all’informazione sulle operazioni di peacekeeping in Afghanistan e con la presenza di un riferimento al HQ NATO di Bruxelles mette a disposizione delle testate Rai servizi ed immagini dall’ Afghanistan e una raccolta di notizie stampa. Per contatti:

news.raiworld@ rai.it

№ 90 12 OTTOBRE 2011 Periodo dal 6 OTTOBRE Aggiornato al 12 OTTOBRE

TOP NEWS_____________________________________________________________________________

12 OTTOBRE - LUCA ORA MUOVE LE BRACCIA. IN SVIZZERA PER UN MIRACOLO (di più)Parte domenica Luca. Dall’ospedale di Niguarda al Centro Svizzero per paraplegici di Nottwil vicino a Lucerna. Lo aspetta un’altra battaglia difficile e decisiva: tornare a muovere le braccia per riuscire a mangiare da solo. (CORRIERE DELLA SERA ED. MILANO 12 OTTOBRE DI LUCA ANGELINI )

12 OTTOBRE - TERRORISMO: ZAWAHIRI AI SUOI, LAVORIAMO PER SCONFITTA USA (di più)Impegnarsi per sconfiggere gli Stati Uniti. E' questo il messaggio che il leader di al-Qaeda Ayman al-Zawahiri ha rivolto ai suoi sostenitori nel messaggio della durata di 13 minuti diffuso nella notte su diversi siti jihadisti. (ADNKRONOS)

12 OTTOBRE - AFGHANISTAN: OMICIDIO RABBANI, PAKISTAN OFFRE COLLABORAZIONE PER INDAGINI (di più)Il Pakistan ha offerto all'Afghanistan la propria disponibilitò a collaborare nell'inchiesta sull'omicidio dell'ex presidente e capo dell'Alto consiglio di pace, Burhanuddin Rabbani, ucciso a Kabul lo scorso 20 settembre. (ADNKRONOS)

11 OTTOBRE - AFGHANISTAN/ RILASCIATI I QUATTRO AFGANI ONG FRANCESE RAPITI (di più)I quattro afgani della Ong francese Acted, rapiti nel nord dell'Afghanistan, sono stati "rilasciati sani e salvi": lo ha annunciato oggi l'organizzazione umanitaria. (TMNEWS)

11 OTTOBRE - AFGHANISTAN/ ONU: PRODUZIONE DI OPPIO TORNA AD AUMENTARE NEL 2011 (di più) La produzione di oppio in Afghanistan è fortemente aumentata (+61 per cento) nel 2011 rispetto all'anno precedente, dove era scesa a causa di un parassita, ma è rimasta inferiore a quella del 2009. Lo ha annunciato l'agenzia specializzata delle Nazioni Unite contro la droga nel suo studio annuale. (TMNEWS)

10 OTTOBRE - AFGHANISTAN: DEPUTATA IN SCIOPERO DELLA FAME, SI RIAPRE DISPUTA SU RISULTATI ELETTORALI (di più)Si aggravano le condizioni della parlamentare afghana, Semin Barakzai, da nove giorni in sciopero della fame e della sete in segno di protesta contro l'espulsione dal Parlamento per presunta frode elettorale. (ADNKRONOS)

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10 OTTOBRE - AFGHANISTAN:ONU DENUNCIA TORTURE IN CARCERI,ANCHE HERAT (di più)Nelle carceri afghane tantissimi detenuti sono stati picchiati, torturati e sottoposti a ogni tipo di maltrattamenti. Anche ragazzi di sedici anni. E anche nella prigione di Herat, una struttura ammodernata grazie ai fondi italiani. Lo denuncia un rapporto delle Nazioni Unite. (ANSA)

10 OTTOBRE - AFGHANISTAN: A HERAT CAMBIO AL VERTICE ITALFOR-NSE (di più)Passaggio di consegne, nella base di Camp Arena, a Herat, tra il Colonnello Stelvio Baratelli e il Colonnello Antonio Vecchioni, che subentra nel ruolo di comandante dell'Italfor-Nse (National Support Element). (ADNKRONOS)

10 OTTOBRE - AFGHANISTAN: NATO, 1.400 MEMBRI RETE HAQQANI CATTURATI DA INIZIO ANNO (di più)Le forze Isaf e l'esercito afghano hanno catturato in Afghanistan nel corso di quest'anno oltre mille e quattrocento appartenenti alla rete Haqqani. Lo ha riferito il portavoce di Isaf, il generale Carsten Jacobson. (ADNKRONOS)

10 OTTOBRE - AFGHANISTAN: LA RUSSA VISITA BARISONZI, PRESTO CASA DOMOTICA (di più)Luca Barisonzi presto potrà trasferirsi in una casa domotica, e può continuare a coltivare il desiderio di indossare per sempre la divisa. (TMNEWS)

10 OTTOBRE - AFGHANISTAN/ RASMUSSEN: OTTIMISTA SU RISPETTO TEMPI TRANSIZIONE (di più)Il segretario generale della Nato Rasmussen, si è detto "ottimista" a Bucarest, sul trasferimento completo alle legittime autorità locali della responsabilità della sicurezza in Afghanistan entro il 2014. (TMNEWS)

9 OTTOBRE - AFGHANISTAN: UN ANNO FA L'ATTENTATO, PIAZZA COMUNE SALENTINO INTITOLATA AD ALPINO UCCISO (di più)Un anno fa moriva in un attentato in Afghanistan e una piazza del piccolo comune salentino di Patù ha cambiato nome per ricordarlo. (ADNKRONOS).

8 OTTOBRE - AFGHANISTAN: TORNATO A CASA PARA' ABRUZZESE FERITO (di più)“Ringrazio tutti è grazie a voi che ho avuto la forza per arrivare fin qui''. Queste le prime parole di Simone D'Orazio, il paracadutista ferito in Afghanistan nell'agguato dove perse la vita un suo commilitone arrivato a Roccaraso. (ANSA).

8 OTTOBRE - AFGHANISTAN/ KABUL ACCUSA PAKISTAN PER BASI TALEBANE (di più)Il governo afgano ha chiesto agli Stati Uniti di esercitare maggiore pressione sul Pakistan perché intervenga contro le milizie talebane che hanno le loro basi in territorio pachistano. (TMNEWS).

8 OTTOBRE - AFGHANISTAN/ NATO ANNUNCIA: RESPINTO IMPONENTE ATTACCO NELL'EST (di più)La forza della Nato in Afghanistan ha affermato di aver respinto il più imponente attacco coordinato sferrato nei suoi confronti dal 2009 nella provincia orientale di Paktika, alla frontiera del Pakistan, dove ha ucciso 25 insorti. (TMNEWS).

7 OTTOBRE - AFGHANISTAN: OMICIDIO RABBANI; TALEBANI, SIAMO STATI NOI (di più)''Rabbani lo abbiamo ucciso noi''. In un video ottenuto dal Tg3 Zubair Hunar Khurasani, comandante talebano della provincia di Pakhtia, ha rivendicato l'attentato contro Burhanuddin Rabbani. (ANSA).

7 OTTOBRE - AFGHANISTAN: SOS GOVERNO GB, 'GRAVE RISCHIO' GUERRA CIVILE (di più)Un rapporto commissionato dal governo britannico prevede un ''rischio significativo'' di guerra civile e lo spettro di una vittoria dei talebani nel sud e nell'est del Paese quando il ritiro sarà completo. (ANSA).

7 OTTOBRE - AFGHANISTAN: 10 ANNI GUERRA; USA, VICINI A VITTORIA (di più)A dieci anni esatti dall'inizio della guerra in Afghanistan, gli Stati Uniti sono ''più vicini che mai a sconfiggere al Qaida e la sua rete di morte'', ha detto Obama; mentre allo stesso tempo, da Kabul, i talebani hanno affermato che “la vittoria divina” è con loro. (ANSA).

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7 OTTOBRE - AFGHANISTAN: MALALAI JOYA, 10 ANNI SONO ABBASTANZA, ALLEATI DEVONO LASCIARE PAESE (di più)“Dieci sanguinosi anni sono abbastanza. L'unica soluzione per l'Afghanistan è il ritiro delle forze di occupazione”. È quanto afferma Malalai Joya, ex parlamentare afghana sfuggita a cinque attentati e nel 2007. (ADNKRONOS)

7 OTTOBRE - AFGHANISTAN/ KARZAI: NATO E GOVERNO HANNO FALLITO SU SICUREZZA (di più)Dieci anni dopo la caduta del regime talebano, né la Nato né il governo afgano sono riusciti a garantire la sicurezza della popolazione: lo ha dichiarato il presidente Karzai, intervistato dalla Bbc. (TMNEWES)

7 OTTOBRE - AFGHANISTAN: MCCHRYSTAL, GUERRA INIZIATA CON VISIONE TROPPO SEMPLICISTICA (di più)Gli Stati Uniti hanno iniziato la guerra in Afghanistan con una visione del paese "semplicistica in modo inquietante". E' questa la pesante autocritica espressa dal generale McChrystal, parlando al Council on Foreign Relations. (ADNKRONOS).

7 OTTOBRE - PAKISTAN: ESERCITO,'AFGANISTAN FERMI ATTACCHI OLTRE CONFINE' (di più)L'esercito pachistano ha lanciato un duro avvertimento all'Afghanistan perché fermi gli attacchi e l'infiltrazione di militanti estremisti islamici lungo la frontiera che divide i due Paesi. (ANSA).

7 OTTOBRE - AFGHANISTAN: RAPPORTO USA, A 10 ANNI DA INIZIO GUERRA POPOLAZIONE SFIDUCIATA (di più)A dieci anni dall'inizio della guerra, gli afghani hanno perso ogni fiducia nella capacità del loro governo di proteggerli,. E' quanto emerge da un rapporto della Casa Bianca, in cui si parla dei Talebani come di una forza "elastica" che riesce a resistere alle forze della Nato. (ADNKRONOS).

6 OTTOBRE - PAKISTAN/ OBAMA: IN AFGHANISTAN HA POSIZIONE "AMBIVALENTE" (di più)Gli Stati Uniti "non avrebbero potuto avere il successo che hanno avuto in Pakistan" senza l'aiuto del Governo di Islamabad, ma l'America "valuta costantemente lo stato delle relazioni" con il Paese. Lo ha detto il presidente Obama, in una conferenza stampa alla Casa Bianca. (TMNEWS)

6 OTTOBRE - PAKISTAN/ MUSHARRAF: INDIA VUOLE AFGHANISTAN ANTI-PACHISTANO (di più)L'India sta cercando di trasformare l'Afghanistan in un "Paese anti-pachistano": lo ha affermato l'ex presidente Pervez Muhsarraf, dopo la firma dell'accordo di partenariato strategico tra Kabul e Nuova Delhi. (TMNEWS)

6 OTTOBRE - AFGHANISTAN: 10 ANNI DI GUERRA, LA NATO RESTERA' ANCHE DOPO IL 2014 (di più)A dieci anni dall'inizio della guerra in Afghanistan, la Nato assicura che - concluso il processo di transizione nel 2014 - non ''abbandonerà'' gli afghani. La 'garanzia' è arrivata dal vertice a Bruxelles dei ministri della Difesa dei Paesi dell'Alleanza. Dal 2012 è prevista una riduzione progressiva del contingente italiano secondo il ministro La Russa. (ADNKRONOS)

6 OTTOBRE - AFGHANISTAN: PASSAGGIO CONSEGNE TASK FORCE SOUTH TRA BRIGATE FOLGORE E SASSARI (di più)Si è svolta a Farah la cerimonia di trasferimento di autorità della Task Force South tra il 187° Reggimento paracadutisti ''Folgore'', comandato dal Col. Gianmarco Badialetti, e il 152° Reggimento fanteria ''Sassari'', comandato dal Col. Gianluca Carai. (ADNKRONOS)

6 OTTOBRE - AFGHANISTAN/ SICCITÀ, APPELLO AUTORITÀ PER 106 MILIONI EURO AIUTI (di più)L'Afghanistan ha lanciato un appello per raccogliere 142 milioni di dollari per fornire provviste alimentari a oltre due milioni e mezzo di persone, mentre si prepara ad affrontare la peggior siccità dell'ultimo decennio. (TMNEWS)

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6 OTTOBRE - AFGHANISTAN: MANIFESTAZIONE A KABUL, ''USA E ALLEATI SE NE VADANO'' (di più)Centinaia di afghani sono scesi nelle strade di Kabul per chiedere il ritiro immediato delle truppe internazionali in occasione del decimo anniversario dell'invasione statunitense. (ASCA)

NATO TV_________________________________________________________________________________

Sono disponibili su richiesta delle redazioni Rai le immagini (e/o i servizi) della struttura TV organizzata dalla Nato in Afghanistan realizzate da reporter professionisti embedded presso il contingente ISAF.

Tutte le immagini sono libere da diritti d' autore e in quality broadcast.Per ricevere le immagini e per informazioni contattare al HQ NATO di Bruxelles:

Luca Fazzuoli. Inviato permanente di Rai World e Media Relation [email protected] (+32 475 470127)

Tutte le immagini girate in Afghanistan sono disponibili: - grezze, in versione internazionale, senza alcun montaggio, logo o sottotitoli oppure:- montate in un reportage di circa 2 - 3 minuti, con sottotitoli in inglese per le interviste in farsi o pashtu. Il suono delle interviste è inglese, farsi o pashtu. Tutte le immagini sono correlate dalla seguente documentazione: lista delle immagini con il timecode, trascrizione delle interviste in inglese, trascrizione e traduzione delle interviste dal farsi o pashtu in lingua inglese, informazioni relative al contenuto delle immagini.

La distribuzione delle immagini e della documentazione avviene in modo rapido attraverso una semplice e-mail che viene inviata direttamente al vostro indirizzo elettronico. Le immagini montate in un piccolo reportage possono essere visionate anche sul sito web:

www.natochannel.tv

QUESTA SETTIMANA VI SEGNALIAMO

1. Testing border relations I soldati Americani, che vivono al confine afghano con il Pakistan, sono sotto costante minaccia missilistica. Molti dei razzi vengono sparati dal lato afghano del confine, ma alcuni sono sparati dall'interno del Pakistan.

http://www.italiafghanistan.rai.it/Video.aspx?IDVideo=1486

2. Kabul Rock FestivalNato Tv è andata a raccogliere le testimonianze dei giovani afghani, riuniti per festeggiare, di nuovo dopo tre decenni, il rock and roll in un festival tutto all’insegna alla musica.

http://www.italiafghanistan.rai.it/Video.aspx?IDVideo=1487

3. L’avamposto sul picco della montagnaI Soldati della Brigata di Fanteria 172, con sede in Germania, fanno a turno per coprire la postazione nel’avamposto al confine tra Afghanistan e Pakistan. I talebani in genere stanno lontani del loro modo, scegliendo invece di indirizzare i propri missili alla base sottostante.

http://www.italiafghanistan.rai.it/Video.aspx?IDVideo=1488

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COSTRUIRE LA PACE______________________________________________________________

DIECIMILA OCCHIALI IN VOLO PER L'AFGHANISTAN (di più)La spedizione è guidata da un tecnico sanitario fondatore dell'associazione onlus Volunteers che ha trasferito nelle zone più isolate di Kabul e Herat occhiali e attrezzature sanitarie per interventi di carattere oftalmico. (LA REPUBBLICA.IT 11 OTTOBRE)

AFGHANISTAN: AL VIA DONAZIONI APPARECCHIATURE MEDICHE A HERAT E KABUL (di più)Volunteers Onlus, associazione umanitaria italiana che sviluppa progetti in favore di paesi afflitti da guerra e povertà, sta realizzando, grazie al sostegno della Cooperazione Italiana, un progetto per la consegna di apparecchiature biomedicali e materiale sanitario da destinare in donazione al Noor Hospital di Herat ed all'Esteqlal Hospital di Kabul. (ADNKRONOS 8 OTTOBRE).

AFGHANISTAN: FORUM TRENTINO PACE, PROGETTO 2014 (di più)Il ‘Progetto Afghanistan 2014’ vuole contribuire a preparare la strada al 2014, anno in cui è prevista l'uscita di scena di tutte le forze armate dell'Onu. Elaborato dal Forum Trentino per la pace e i diritti umani, con il portale d'informazione Unimondo, è stato presentato a Trento da Mohammad Dauod Hussain Ali. (ANSA 7 OTTOBRE).

AFGHANISTAN: 10 ANNI DI GUERRA, PER SCUOLE E OSPEDALI E' SEMPRE EMERGENZA (di più)A dieci anni dall'inizio della guerra in Afghanistan e dalla caduta del regime dei Talebani, gli afghani continuano a morire a causa di un sistema sanitario ancora inadeguato. La denuncia arriva da Acbar, un consorzio di oltre 100 organizzazioni non governative afghane e straniere a Kabul. (ADNKRONOS 7 OTTOBRE) .

AFGHANISTAN: GINO STRADA, SENZA SOSTEGNO NON CE LA FACCIAMO (di più)Senza sostegno economico, non possiamo continuare a lavorare, a curare persone, a portare umanità nella barbarie della guerra: Gino Strada, fondatore di Emergency, lancia un appello nel decimo anniversario della guerra in Afghanistan. (ANSA 7 OTTOBRE).

COMMENTI_________________________________________________________________________________________

IN EGITTO LE CHIESE BRUCIANO, IN AFGHANISTAN SONO GIÀ SCOMPARSE (di più)In Afghanistan, secondo il Dipartimento di Stato americano, non ci sono più chiese cristiane. Nessuno si azzarda ad aprirne una sotto il governo del "democratico" presidente Karzai, le uniche cappelle dove ospitare i credenti sono quelle negli accampamenti militari e nei PRT. (L’OCCIDENTALE 12 OTTOBRE DI ROBERTO SANTORO)

AFGHANISTAN: LA GUERRA INFINITA (di più)Se un mese fa il decimo anniversario dell’11 settembre era stato ricordato da imponenti celebrazioni il compimento del decimo anno dall’inizio della guerra in Afghanistan è invece passato quasi sotto silenzio. Ma, se un certo dibattito si è comunque registrato sulla carta stampata americana il silenzio è invece stato pressoché totale in Europa, e soprattutto in Italia. (MEDARABNEWS 12 OTTOBRE DI REDAZIONE )

AFGHANISTAN, IL BILANCIO DOPO 10 ANNI DI IMPEGNO (di più)Subito dopo gli attentati dell’11 settembre l’Italia ha manifestato la volontà e la disponibilità a partecipare alla lotta contro il terrorismo internazionale. L’Afghanistan è oggi infatti più che mai al centro di interessi regionali molto forti caratterizzati da visioni geopolitiche che non hanno interesse a far rinascere il Paese. E’ per questo che si deve continuare. (IL SECOLO D’ITALIA 11 OTTOBRE DI ELENA DORIA )

BREVE STORIA DELLA LIBERTA’ DI STAMPA IN AFGHANISTAN (di più)L’attentato del 9 settembre 2001 che uccise il ‘leone del Panshir’ Ahmed Shah Massoud – eroe per alcuni, Signore della Guerra per altri – resta emblematico perché legato a uno degli strumenti più diffusi nella moderna comunicazione: la telecamera. La discriminazione delle donne è aumentata a tal punto che all’ottimismo capace di spronare tante giovani verso il giornalismo dopo la caduta del regime deobandi, s’è sostituita una controtendenza. (MEDARABNEWS 11 OTTOBRE DI ENRICO CAMPOFREDA )

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TREMONTI SI MANGIA LA COOPERAZIONE. NEL 2011 TAGLIATI IL 50% DEI CONTRIBUTI (di più)Tremonti si mangia la cooperazione. Nel 2011 tagliati il 50% dei contributi. La denuncia del Pd: cancellato un emendamento approvato bipartisan in Commissione esteri che restituiva 8 milioni di euro agli Esteri. (L’UNITA’ 10 OTTOBRE DI UMBERTO DE GIOVANNANGELI )

LA NATO COME L’URSS, PARADOSSO AFGANO (di più)Sono trascorsi 10 anni esatti da quando gli Usa partirono all’attacco del governo Taliban trascinandosi dietro una quarantina di paesi. Ma chi l’avrebbe mai detto che nel 2011 i Taliban sono di nuovo presenti in quasi tutte le province? Che cosa è andato storto? (IL FATTO QUOTIDIANO 9 OTTOBRE DI GIUSEPPE CASSINI )

IL DOPPIO GIOCO DEL PAKISTAN TRA INDIA, IRAN E OCCIDENTE (di più)Dieci anni di guerra. Le operazioni degli Usa e dei loro alleati in Afghanistan sono ormai durate dieci anni, più a lungo di ogni altro intervento occidentale. Nel summit Nato di Lisbona del novembre 2010 è stato deciso di prolungarle fino al 2014. Non se ne vede via d’uscita. (IL TEMPO 9 OTTOBRE DI CARLO JEAN )

LA GUERRA PARALLELA DEI SIGNORI DELLA DROGA (di più)A dieci anni dall’inizio del grande marasma afgano – era il 7 ottobre del 2001 – s’iniziano a tirare le somme. Ci si chiede chi ha vinto e chi ha perso. (EUROPA 7 OTTOBRE DI MATTEO TACCONI )

QUI KABUL: MISSIONE FALLITA, CI RITIRIAMO (di più)Missione fallita, ci ritiriamo. Potrebbe suonare così un ipotetico messaggio di un qualsiasi contingente Nato prima di lasciare definitivamente l’Afghanistan entro la fine del 2014. (RINASCITA 7 OTTOBRE DI FERDINANDO CALDA)

AFGHANISTAN, DIECI ANNI DI GUERRA (di più)Il 7 ottobre 2001 americani e inglesi iniziarono a bombardare la patria di talebani e Al Qaida. Il bilancio: più ombre che luci; 1.462 civili uccisi solo nei primi sei mesi del 2011. (FAMIGLIA CRISTIANA 7 OTTOBRE DI ALBERTO CHIARA)

AFGHANISTAN: LE TRUPPE INDIANE RIMPIAZZERANNO LA NATO? (di più)Da Nuova Dehli, dove si trovava in visita ufficiale, il presidente afgano Hamid Karzai ha ribadito che Kabul ha interrotto il dialogo con i talebani: “Non conosciamo più il loro indirizzo”, ha affermato, aggiungendo che c’è invece la volontà di dialogare con “i fratelli del Pakistan”. (PANORAMA BLOG 7 OTTOBRE DI GIANANDREA GAIANI)

DIECI ANNI INIZIAVA LA GUERRA IN AFGHANISTAN: PROTESTE A KABUL (di più)Una grande manifestazione ha percorso le vie principali di Kabul, per protestare contro le truppe straniere. Salvatore Sabatino ne ha parlato con Riccardo Redaelli, docente di Geopolitica presso l’Università Cattolica di Milano in occasione dei 10 anni di inizio della guerra. (RADIO VATICANA.IT 7 OTTOBRE DI GF ) DIECI ANNI A KABUL TALEBANI ANCORA FORTI (di più)Dieci anni esatti di guerra in Afganistan: migliaia di militari occidentali morti sul campo, tra loro 44 italiani, migliaia di vittime civili ma anche migliaia di Talebani e militanti di Al Qaeda uccisi. Ne valeva la pena? (LIBERO 7 OTTOBRE DI CARLO PANELLA )

LA GUERRA DEI DIECI ANNI - AFGHANISTAN, LA PACE IMPOSSIBILE (di più)Afghanistan, dieci anni dopo. Secondo il filosofo politico americano Michael Walzer, “è stata ed è ancora una guerra giusta”, ma anche una guerra che non si può vincere. (CORRIERE DELLA SERA 7 OTTOBRE DI ENNIO CARETTO)

INTERVISTA A STAFFAN DE MISTURA - "IL NUOVO AFGHANISTAN AVRÀ IL VOLTO DELLE DONNE E GUARDERÀ ALL'INDIA" (di più)Intervista a Staffan De Mistura: “Il nuovo Afghanistan avrà il volto delle donne e guarderà all'India”. Secondo il responsabile della missione Onu a Kabul “la soluzione non è solo militare Alla conferenza di Bonn vogliamo che le delegate siano il 25 per cento”. (L’UNITA’ 7 OTTOBRE DI CRISTIANA CELLA )

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A KABUL MISSIONE COMPIUTA A METÀ (di più)I talebani controllano ancora gran parte del Paese e la Nato va via. La ricostruzione fa progressi e l'economia riparte sotto il segno della Cina. (IL TEMPO 7 OTTOBRE DI MAURIZIO PICCIRILLI )

AFGHANISTAN, UN DISASTRO LUNGO DIECI ANNI (E PIÙ) (di più)7 ottobre 2001. Quel giorno il presidente Bush scatenò la guerra contro i taleban. Dieci anni dopo si conferma il vecchio adagio che in Afghanistan è facile entrare ma molto, molto difficile uscire. (IL MANIFESTO 7 OTTOBRE DI GIULIANO BATTISTON )

BUON COMPLEANNO AFGHANISTAN (di più)Il 7 ottobre 2001 i bombardieri statunitensi e britannici cominciarono i primi raid sull’Afghanistan. Da allora le bombe Nato non hanno mai smesso di cadere sul Paese. (RINASCITA 6 OTTOBRE DI FERDINANDO CALDA )

KABUL: FUORI GLI USA, DENTRO L'INDIA (di più)Gli Usa tornano a casa e il Pakistan non è più affidabile. Così Karzai, presidente dell'Afghanistan, trova un nuovo alleato nell'India. (FAMIGLIA CRISTIANA 6 OTTOBRE DI MARTA FRANCESCHINI )

AFGHANISTAN: TAVOLA DELLA PACE, DOPO 10 ANNI BILANCIO GUERRA DISASTROSO (di più)''Domani ricorre il decimo anniversario dell'inizio della guerra in Afghanistan e io trovo davvero scandaloso che non se ne parli. Possiamo fingere di non vedere il disastro che ha provocato? Possiamo evitare di discutere quello che dobbiamo fare ora?''. Gli interrogativi di Flavio Lotti, coordinatore nazionale della Tavola della pace. (ADNKRONOS 6 OTTOBRE)

MISSIONE INCOMPIUTA A KABUL (di più)Dieci anni in Afghanistan. La guerra più lunga della storia Usa ha eliminato Osama bin Laden ma molti obiettivi non sono stati raggiunti. I talebani controllano ancora vaste zone e la democrazia non decolla. Il conflitto ha fatto tra i 12mila e i 15mila morti ed è già costato alle casse americane 557 miliardi di dollari. (IL SOLE 24 ORE 6 OTTOBRE DI ROBERTO BONGIORNI )

IL DECENNIO AFGANO (di più)Il decennale dell'intervento in Afghanistan, per dare la caccia a Osama bin Laden e sloggiare il regime talebano è pieno di simbolismi. Prima di tutto perché ci riporta all'11 settembre. Le due cose sono strettamente collegate anche se il ricordo di quegli eventi comincia sbiadire. (EUROPA 6 OTTOBRE DI ALESSANDRO RIZZO MINUTO)

L'IMPEGNO ITALIANO, IN CAMPO TRA I PRIMI (di più)L'impegno italiano, in campo tra i primi. Roma è stata subito coinvolta nella coalizione internazionale, 44 i caduti: oltre alle azioni militari gli sforzi per realizzare scuole, strade e ospedali. (AVVENIRE 6 OTTOBRE DI FRANCESCO PALMAS)

6 OTTOBRE - TELEFONI OSCURATI E SITI WEB, LA GUERRA HI-TECH DEI TALIBAN (di più)Puntualmente, alle 8 di sera il segnale del cellulare scompare. È quello che succede ormai in oltre la metà delle province afgane ed è un esempio dei nuovi e più sottili metodi impiegati dai Taliban, a dieci anni dall'inizio della guerra. (LA REPUBBLICA 6 OTTOBRE DI ALISSA J. RUBIN )

KABUL DIECI ANNI DOPO L’AMERICA VUOLE IL RITIRO (di più)Cominciò con una campagna di bombardamenti aerei, subito seguita da un’invasione di terra. Era la mattina del 7 ottobre 2001, e George Bush comunicava al mondo l’inizio della campagna Enduring Freedom. (IL MESSAGGERO 6 OTTOBRE DI ANNA GUAITA )

KABUL DIECI ANNI DOPO RESTA SENZA PACE: SI ARENA IL DIALOGO CON I TALEBANI (di più)Hamid Karzai l’aveva detto sei giorni fa incontrando alcuni leader religiosi a Kabul e l’ha ripetuto ieri in visita a New Delhi: “Interrompo il dialogo con i talebani perché non sappiamo dove trovarli. Il processo di pace si concentrerà ora sulle alleanze con i paesi vicini”. (L’UNITA’ 6 OTTOBRE DI GABRIEL BERTINETTO )

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AGENDA_________________________________________________________________________________

2 NOVEMBRE – LA TURCHIA OSPITA AD ISTAMBUL UNA CONFERENZA REGIONALE SULL’AFGHANISTAN (di più)

5 DICEMBRE - CONFERENZA INTERNAZIONALE SULL’AFGHANISTAN A PETERSBERG IN GERMANIA (di più)

23 MARZO 2012 – SCADE LA MISSIONE DI ASSISTENZA CIVILE DELL'ONU IN AFGHANISTAN (UNAMA) PROROGATA DI UN ANNO IL 22 MARZO 2011.

MAGGIO 2012 – SUMMIT NATO DEDICATO ALL’AFGHANISTAN A CHICAGO (di più)

20-21 MAGGIO 2012 – SUMMIT NATO A CHICAGO. TRA I PUNTI CENTRALI LA TRANSIZIONE IN AFGHANISTAN (di più)

ISSUES___________________________________________________________________________________

BILANCIO VITTIME MILITARI DALL’INIZIO DEL CONFLITTO AL 12 OTTOBRE(dal sito icasualties.org)

Australia 29 Georgia 10 New Zeland 4 Turkey 2 Belgium 1 Germany 53 Norway 10 UK 382Canada 157 Hungary 7 Poland 29 US 1805Czech 4 Italy 42* Portugal 2 Nato 5Denmark 42 Jordan 2 Romania 19 Not yet Reported 0 Estonia 8 Latvia 3 South Korea 1Finland 2 Lithuania 1 Spain 33France 75 Netherlands 25 Sweden 5 TOTALE 2758* Le vittime italiane in realtà sono 45. Ma icasualties.org non menziona tra i decessi quello dell’agente dell’Aise Pietro Antonio Colazzo, del Tenente colonnello dei carabinieri Cristiano

Congiu e del Maggiore dei carabinieri Matteo De Marco.

VARIAZIONE VITTIME PER PAESE NEL PERIODO 22 SETTEMBRE 28 SETTEMBRE

NATO

USA

VITTIME TOTALI (VARIAZIONE DEL PERIODO SOPRAINDICATO)

1

4

5

VITTIME TOTALI 2011 477

(Non si segnalano variazioni nei contingenti militari rispetto alla scorsa settimana)

http://www.italiafghanistan.rai.it/Dati.aspx

AFGHANISTAN:TURCHIA A CAPO TRUPPE NATO A KABUL FINO INVERNO 2012La Turchia ha prolungato fino a1 novembre 2012 la sua missione militare a Kabul, dove Ankara ha il comando regionale nell'ambito dell'Isaf. La decisione è stata annunciata dal ministero degli Esteri turco, sottolineando come questa "costituisca un altro importante esempio del contributo dato dalla Turchia per creare le condizioni per la sicurezza e la stabilità dell'Afghanistan". La Turchia è l'unico Paese musulmano e il secondo per numero di militari dell'Alleanza atlantica. In Afghanistan ha 1.800 soldati che, a differenza degli altri contingenti, si limitano a pattugliamenti e non prendono parte a missioni operative. (AGI 7 OTTOBRE)

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AFGHANISTAN: DA 11/9 A EXIT STRATEGY,10 ANNI INSANGUINATI Dall'attacco alle Torri Gemelle all'annuncio del ritiro graduale delle truppe dall'Afghanistan, queste le principali tappe della guerra in Afghanistan, di cui ricorre il decimo anniversario: 2001 - GUERRA AL TERRORE Meno di un mese dopo gli attacchi alle Torri gemelle dell'11 settembre, il presidente americano George W. Bush dichiara "guerra al terrore". Il 7 ottobre scatta la campagna militare dei ribelli afghani, sostenuti da Nato e Usa, per rovesciare il regime dei Talebani. In poche settimane, le basi di addestramento di Al Qaeda vengono annientate, Bin Laden e i suoi fedelissimi fuggono verso il Pakistan. 2002-2007 - LA GUERRA DIMENTICATA, FOCUS SU IRAQ L'attenzione degli Stati Uniti si sposta verso l'Iraq. Nel 2003 Bush ordina l'attacco contro il regime di Saddam Hussein, facendo passare in secondo piano il conflitto afghano. I militanti talebani e altri gruppi islamici fedeli al regime ripiegano lungo il confine orientale e nel sud del Paese. 2008 - LA RIPRESA Gli attentati talebani si moltiplicano e l'amministrazione Bush deve fronteggiare gli attacchi dell'opinione pubblica americana che critica il disimpegno nel conflitto in l'Afghanistan. Negli ultimi mesi di mandato, Bush invia in Afghanista altre truppe, ma di consistenza inferiore rispetto alle richieste militari. 2009 - OBAMA RADDOPPIA FORZE SUL CAMPO Durante i primi mesi della sua presidenza, Barck Obama decide di raddoppiare il numero di truppe sul campo e mentre annuncia un piano graduale di fine missione, dichiara che lo scopo della presenza in Afghanistan e' quello di "distruggere, smantellare e sconfiggere" Al Qaeda. A dicembre Obama annuncia una nuova "ondata" di 30mila soldati aggiuntivi, facendo toccare al contingente americano quota 100mila. La strategia americana si concentra in attacchi alle roccaforti talebane del sud del Paese mentre la CIA prende di mira, con bombardamenti a tappeto, i rifugi di Al Qaeda nel vicino Pakistan. Obama fissa per luglio 2011 l'inizio del ritiro graduale delle forze Usa. 201O - 2011 NATO ANNUNCIA LA EXIT STRATEGY, UCCISO OSAMA A novembre 2010, la Nato annuncia un piano triennale di uscita dall'Afghanistan. I vertici militari consigliano Obama di effettuare un ritiro graduale intensificando i colloqui di pace. Il 2 maggio 2011, in un raid dei Navy Seals viene ucciso Osama bin Laden nel suo nascondiglio in Pakistan. (AGI 7 OTTOBRE)

DOCUMENTI_______________________________________________________________________________________

AFGHANISTAN, 10 ANNI DI GUERRA: IL VIDEO DI EMERGENCY E UNA LETTERA DI GINO STRADARicorrono in questi giorni 10 anni di conflitto in Afghanistan. Pubblichiamo qui sotto una lettera di Gino Strada e un video di Emergency realizzato proprio per ricordare ancora una volta che l'intervento nel Paese asiatico è una vera e propria guerra, nella quale anche l'Italia è coinvolta. Cari amici di Emergency,ricorre in questi giorni il decimo anniversario dell'ennesima aggressione militare in Afganistan. Quella cui orgogliosamente partecipa anche il nostro paese.La casta politica italiana dal 2002 a oggi ha sempre approvato in modo bipartisan le spese per la guerra in Afganistan - camuffata da "missione di pace". Per tenervi una media di 3.000 soldati, ha speso fino a ora quasi 4 miliardi di euro.Il danaro delle nostre tasse per la guerra, contro la nostra Costituzione, contro le nostre coscienze.In dieci anni Emergency ha speso in Afganistan 55 milioni di euro. Con poco più dell'1 per cento di quello che i governi italiani hanno speso per la guerra, Emergency ha realizzato 3 Centri chirurgici, un Centro di maternità, una rete di 29 Posti di primo soccorso e Centri sanitari, curando oltre 3 milioni di persone di tutti gruppi sociali, di tutte le parti politiche, di tutti i credo religiosi.Il lavoro di Emergency, non i blindati, è il pezzo di Italia che gli afgani apprezzano. Le vittime non capiranno mai le motivazioni di chi porta lutti e miseria, le ragioni di chi semina terrore per combattere il terrorismo, di chi pratica la guerra per fare finire la guerra.Che cosa avrebbe potuto fare l'Italia per gli sfortunati cittadini afgani, che sopravvivono in mezzo alla guerra da ormai trentacinque anni?Come si traducono 4 miliardi di euro? In migliaia - non centinaia - di ospedali, cliniche, scuole.Peccato che i soldi ci siano sempre per la guerra, mai per costruire la pace e i diritti.Persino i soldi che i cittadini hanno deciso di destinare agli aiuti umanitari attraverso il 5 per mille non sono ancora stati erogati. I soldi sono lì, nelle loro banche, i cittadini li hanno versati nel 2009, ma il governo preferisce tenerseli il più a lungo possibile.Questo sta creando a Emergency grandi difficoltà economiche, perché i nostri ospedali e le nostre cliniche non possono aspettare i tempi della politica, hanno bisogni urgenti, immediati, concreti.Per questo vi rivolgiamo un appello a sostenere economicamente Emergency ora più che mai. Per poter continuare a lavorare, a curare persone, a portare umanità nella barbarie della guerra.Grazie. (GQ.COM 7 OTTOBRE)

OPENING STATEMENTBY NATO SECRETARY GENERAL ANDERS FOGH RASMUSSEN AT THE MEETING OF NATO MINISTERS OF DEFENCE WITH NON-NATO ISAF CONTRIBUTING NATIONSGood morning Ministers, Ladies and Gentlemen and welcome to this meeting of the North Atlantic Council with ISAF partners. Allow me first to pay tribute to the ISAF and Afghan forces who have been killed or injured in Afghanistan since we last met.This is an important moment for Afghanistan. Transition is on track, and it will not be derailed.Today, Afghan forces have the security lead in seven provinces. The next phase of transition will be announced soon and will be as significant.

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Afghan security forces are becoming more capable every day. They have faced dangers and threats head-on with courage, skill and determination.Le mois dernier, M. Burhanuddin Rabbani, président du Haut Conseil pour la paix et ancien président afghan, a brutalement été assassiné dans un attentat-suicide. C'était un attentat contre les Afghans eux-mêmes, alors que ceux-ci commencent à prendre en main I'avenir de leur pays. À ceux qui n'ont à offrir que la mort et la destruction au peuple afghan, nous disons clairement: vous ne triompherez pas.Notre engagement en faveur de I'avenir de rAfghanistan est ferme, comme en témoigne notre partenariat durable.Our discussion today will focus on the support we can give to Afghan authorities as transition continues. And at the NATO Summit in Chicago next May, we will show how, in practical, concrete terms, we will continue to support Afghanistan beyond 2014.With that, ladies and gentlemen of the press, I thank you for joining us. (NATO.INT 6 OTTOBRE)

CLOSING PRESS CONFERENCEBY NATO SECRETARY GENERAL ANDERS FOGH RASMUSSEN AFTER THE DEFENCE MINISTERIAL MEETINGSOana Lungescu (NATO Spokesperson): Good afternoon. The Secretary General will start with a short statement of the Defence ministerial and then we'll be happy to take your questions. Secretary General.Anders Fogh Rasmussen (Secretary General of NATO): Good afternoon. We have just concluded two days of meetings on NATO's operations and capabilities: what we are doing today, and what we must be able to do in the future.Last night, we discussed the question of Smart Defence. We all agreed that the economic crisis presents challenges to our defence and security sectors, and will do so for the immediate future. So, I am pleased to say that ministers agreed that Smart Defence could help us all address those challenges.However, it cannot be the only answer, or the whole answer. Nothing can replace the commitment to our shared security, the commitment to resource and maintain capabilities, and to deploy them. But Smart Defence can help keep defence cuts from cutting to the core.So we welcomed the report from Allied Command Transformation, which sets out ways in which Allies can pool resources and join efforts. Ministers agreed to look in depth at projects which their nations might become involved in and even lead. These cover critical areas such as drones, maritime surveillance and protection against roadside bombs. Our aim is to have a comprehensive package to endorse at our Chicago Summit.This morning we met our ISAF partners to discuss our ongoing commitment to Afghanistan once Afghan forces have taken responsibility for security across the country. That transition is on track to be completed by the end of 2014. The Afghan forces are increasingly showing that they are capable of taking on the insurgents. So at the Chicago Summit, we will decide what comes next and how we can support them further.Let there be no mistake: transition is not departure. We will not take our leave when the Afghans take the lead. NATO nations have agreed an enduring partnership with the Afghan people, and we will live up to it.That means training. It means education. It means making sure that the Afghan forces and authorities have the skills and the support they need to keep their country secure.We have already started that process. NATO trainers and international trust funds are already making a critical difference in Afghanistan. Now we need to decide what more we will do and that will be one of our main tasks at our Chicago Summit, so it's important that we started the debate today.Finally, we met with our partners in Operation Unified Protector to discuss the conditions under which we could complete our mission for Libya. It's clear that the end is in sight. Qadhafi's forces are fighting for a lost cause. The threat to civilians is fading away. The recent positive developments in Libya are irreversible.We are determined to pursue our operation as long as threats persist, but to end it as soon as conditions permit. So we stand ready to terminate the mission when the political and military conditions are fulfilled.We launched Operation Unified Protector to protect the people of Libya. We have conducted it in full compliance with our mandate. And I hope we'll soon be able to end it, in coordination with the United Nations and the legitimate Libyan authorities. We did the right thing, in the right way, and for the right reasons.For now, our mission is not yet over. But I expect the time to end our mission will come soon.And with that, I am ready to take your questions.Oana Lungescu: We'll start over there. Radio-France Internationale.Q: Oui, bonjour, Monsieur le Secrétaire-Général, Pierre Bénazet, Radio-France Internationale. On en est déjà à l'heure de tirer les bilans. Vous avez déjà à le faire au mois de septembre. Pour la Libye, qu'est-ce qui est le plus important pour vous: l'implication en pointe des alliés européens ou au contraire sur les leçons, ce qui peut manquer dans leur capacité opérationnelle, ravitaillement, munitions etc.?Anders Fogh Rasmussen: Comme j'ai déjà dit, notre opération en Libye est un grand succès. Nous l'avons lancé en six jours. Nous l'avons conduite en pleine conformité au mandat des Nations-Unies. Nous avons associé nos partenaires du monde arabe. Et ensemble nous sommes dans la phase finale de cette opération.Notre mission n'est pas encore finie. Mais avons commencé de discuter les leçons à tirer de cette opération. Les Alliés européens et le Canada ont pris le leadership et ont fourni l'essentiel de l'effort militaire. C'est nouveau. C'est bienvenu. Et ça peut servir de modèle pour le futur.Mais l'opération a également montré qu'il nous manque certaines capacités critiques, surtout en Europe. Les États-Unis ont fourni des éléments décisifs comme les moyens de renseignement, de surveillance et de reconnaissance. Il faudrait que plusieurs alliés se dotent de ces capacités critiques eux aussi pour relever les défis de demain.C'est l'enjeu des efforts en cours que j'ai nommé "smart defence", défense intelligente. Il faut dépenser mieux et investir ensemble. C'est donc des grands sentiers d'ici au sommet de Chicago.

Oana Lungescu: Before we go any further I'd like to urge you, please, to turn off your mobiles, or mobile devices, or at least put them on silent. Thank you.Tripoli Post.Q: Mr. Secretary General, the Security Council Resolution 2009 gives a broad mandate to the new UN mission in Libya. Has NATO started coordinating with the UN on this and on what basis?Anders Fogh Rasmussen: First of all, let me stress that I don't foresee a major NATO role once we have terminated the current operation Unified Protector. It is for the United Nations to take the lead of the international efforts to assist the new authorities in Libya, if requested, from the National Transitional Council.

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So I don't foresee NATO in a leading role. But if we are requested to assist we stand ready to help, if our help is needed, if there is a sound legal basis and we get support from the region.In a longer term perspective, I could foresee that NATO could provide assistance in reforming defence and the security sector in Libya. If requested by the National Transitional Council. We have a lot of expertise in that area and we stand ready to assist, if requested.We have, throughout this mission, closely coordinated with the United Nations, but we will expect the United Nations to take the lead now and we stand ready to help and support if requested.Oana Lungescu: Die Welt.Q: Stefanie Bolzen, German Daily Die Welt. Secretary General, you were talking about Afghanistan and about the time after 2014 and decisions that need to be taken. When you talk about education and training and so on, what about military and combat engagement by foreign troops in Afghanistan? In this context what do you hope will be the... or expect to be the come-out of the Bonn conference?Anders Fogh Rasmussen: Yes, starting with the Bonn conference, I would expect the Bonn conference to send a very clear signal to Afghanistan and the whole region. That we will not abandon Afghanistan. We will stay committed. It's clearly our goal that the Afghan Security Forces should take lead responsibility for the security all over Afghanistan, but I think it's of utmost importance for the Afghan people, as well as for Afghan's neighbours to know that we will stay committed and not leave behind a security vacuum.This is the reason why we have started considerations as to how we can assist Afghanistan after 2014, and I think a crucial element in that assistance will be a training mission.So, training and education of Afghan Security Forces will remain a key element in our strategy. Also, after 2014.Whether it will be necessary to supplement with additional contributions, I think it's a bit too early to make a final assessment. That will very much depend on the security situation by the end of 2014. But for sure I think a training mission will be needed also after 2014.Oana Lungescu: VolkskrantQ: Mr. Rasmussen, the Netherlands have offered four air defence frigates for the missile defence project, but only their radars not their missiles. My question to you, is this any use to you because I understand the American radar is very good, they don't need other radars.My second question will be about Syria. You've been on record before this week that you have no intention at all to start a mission in Syria, not even with a UN mandate. My question would be, why not?Anders Fogh Rasmussen: First of all, on missile defence, I warmly welcome the announcement that the Netherlands is ready to upgrade the radar systems on four air defence and command frigates. And that following these modifications, the ships will be offered as the Dutch contribution to NATO's missile defence.The ships will be an important element of NATO's missile defence capability, which we agreed at the Lisbon Summit last November. So this announcement represents another significant step in the Alliance's efforts to defence against current and emerging missile threats. The Dutch ships will contribute to NATO's capability to provide protection to its European territory, populations and forces against the growing threat posed by the proliferation of ballistic missiles.And the Dutch announcement adds to announcements we have seen from other countries during recent weeks: the Turkish, the Romanian and the Polish announcements to host missile defence facilities. And I wouldn't be surprised if we will see further announcements in the coming months in the run-up to the Chicago Summit in May next year.So this is really a clear demonstration of commitment to our Alliance, commitment to a common defence against a common missile threat.On Syria, well, I think it's quite clear I have stated on several occasions that we took on responsibility for the operation in Libya because there was a clear UN mandate and because we received clear support, active support from countries in the region. And none of these conditions are fulfilled as regards Syria. And these conditions are essential for us.Oana Lungescu: German Television.Q: Kai Niklasch from German Television ZDF. Secretary General, Mr. Rasmussen, how would you evaluate the security situation at the moment in Afghanistan? Are there still regions where the Taliban have the control and is that a problem if you want to hand over the responsibility to the Afghan Security Forces?Anders Fogh Rasmussen: Yes, there are still areas where the Taliban is in control, but fortunately we have seen a very positive development where the Afghan government and ISAF forces control areas representing a growing part of the Afghan population.So we are seeing progress. And we have also seen a decrease in the number of Taliban attacks, though we have also witnessed some spectacular Taliban attacks, but the fact that they have initiated such spectacular attacks should not overshadow the fact that overall we have seen an improvement of the security situation.And the first transition experience has been very positive. As you know in July we handed over responsibility to the Afghans in seven provinces and districts representing 25 percent of the Afghan population and that transition has been a great success, and soon we will continue and hand over other provinces and districts. And we have seen a very capable Afghan Security Force take responsibility. So it's quite encouraging.Oana Lungescu: Al Arabiya.Q: Noureddine Fridhi, from Al Arabiya News Centre. Mr. Secretary General, can I ask you which conclusion you draw from the operation in Libya to the... for the Mediterranean Dialogue and the relationship between NATO and Arab countries in the region?And what's going on in Libya, many Libyan, let's say civilian sectors, are unhappy with some external intervention in supporting the Islamic movement in Libya. You had the meeting with the Arab partners. Did you have the occasion to talk with them about the political situation in Libya and this external intervention in the Libyan affairs? Thank you.Anders Fogh Rasmussen: First, on our partnerships with countries in the region, including our Mediterranean Dialogue. I think Operation Unified Protector has raised the level of our partnership with countries in the region and we look forward to further development of our partnerships with countries in the region based on the operational experience during Operation Unified Protector.Actually, this will be one of the items on the agenda of the Chicago Summit. I think we should take this opportunity to revitalize our partnerships with countries in the region, and if the new authorities in Libya so request I think a new democratic Libya could also join the Mediterranean Dialogue, one of our partnerships. Which would constitute an excellent framework for practical cooperation between NATO and Libya, a new democratic Libya.But obviously it's for the Libyan authorities to decide whether they want to see such a development in our relationship, but I think allies stand ready to welcome a new democratic Libya as a partner within the Mediterranean Dialogue.Of course, we have discussed the political situation in Libya. We all realize that the new leadership in Libya is faced with huge political challenges, but basically we are confident that the National Transitional Council can manage a transition, a peaceful transition, to democracy. I'm not naive. Of course, we might see extremist groups try to take advantage and exploit the situation in Libya. The more important it is that a transition to a stable and sustainable democracy takes place as soon as possible. And we feel confident that the new leadership in Libya has a sincere desire to see a true democracy flourish in Libya. And the National Transitional Council has outlined a road map for transition to democracy, a road map which I find extremely helpful and credible.

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Oana Lungescu: Over there.Q: Jakob Svensson(ph) from the Danish Daily (inaudible) and it's also on Libya. Right now, for the last 24 hours, there are reports of very severe situation for the civilians in Sirte, and might be also in Bani Walid. There's people dying in the hospital due to lack of medical treatment and such things. Does this worry you about maybe there should be a grim ending on the NATO success in Libya? And what are you trying to do to make things better for the civilians right now in these areas, which are still held by Qadhafi troops?Anders Fogh Rasmussen: Obviously the humanitarian situation is a matter of concern, but let me remind you that NATO doesn't have troops on the ground in Libya. We conduct our operations from the air and at sea, no troops on the ground, no NATO troops in Sirte and Bani Walid. Based on the reports we have received I truly believe that the National Transitional Council forces do all they can to avoid civilian casualties and help the civilian population, whereas we have seen reports that pro-Qadhafi forces use civilians as human shields. No respect for human life whatsoever.So we feel confident that the NTC forces will do all they can to prevent a humanitarian disaster and help the civilian population all they can.Oana Lungescu: Last question over there.Q: Dan De Luce, Agence France-Presse. Could I ask you, would you say that NATO possibly has oversold, or overstated, the prospects for peace talks in Afghanistan, given that they've made no progress so far?And then also, what would you say to President Karzai's suggestions to open those peace talks directly with Pakistan to settle the conflict?Anders Fogh Rasmussen: First of all, we have not tried to sell peace talks at all. NATO is not engaged in peace talks. Right from the outset we have made clear that any reconciliation process must be led by the Afghans themselves. The Afghan government must be in the driver's seat. We have stated that provided that certain conditions are fulfilled it makes sense to try to find a peaceful solution through a reconciliation process, but these conditions are of the utmost importance. The process must be Afghan-led, groups and individuals involved in that reconciliation process must abide by and respect the democratic Afghan constitution, including human rights, and that's also women's rights. And finally, they must cut links with terrorist groups.Provided these conditions are fulfilled I think it makes sense to give it a try.However, and honestly speaking, we have not seen much progress. So I think it makes sense, what President Karzai has announced, that such peace talks or reconciliation talks could, as well, take place directly with interlocutors in Pakistan.But again, NATO as such is not involved in that process. It has to be an Afghan-led process, and this is also the reason why it is, at the end of the day, President Karzai's responsibility. And my assessment is that it makes sense that he has announced that these talks could, as well, take place directly with Pakistan.Oana Lungescu: Thank you very much, indeed, everybody. And thank you for your hard work during this ministerial. (NATO.INT 6 OTTOBRE)

TOP NEWS (DI PIU’)______________________________________________________________

LUCA ORA MUOVE LE BRACCIA. IN SVIZZERA PER UN MIRACOLO “Caporal maggiore Barisonzi è tempo di un’altra missione all’estero”. Parte domenica Luca. Dall’ospedale di Niguarda al Centro Svizzero per paraplegici di Nottwil vicino a Lucerna. Lo aspetta un’altra battaglia difficile e decisiva: tornare a muovere le braccia per riuscire a mangiare da solo. Resterà in Svizzera sei mesi l’alpino di Gravellona Lomellina gravemente ferito nell’attentato del 18 gennaio a Bala Murghab in Afghanistan, costato la vita al suo commilitone Luca Sanna. Sei mesi di esercizi riabilitativi per fare il passo che ancora manca a compiere la missione. “Luca ha iniziato a muovere le braccia, soprattutto il braccio destro. Ma non abbastanza per essere più autonomo – spiega la mamma, Clelia Novella -. Avevamo sentito parlare del centro di Nottwil già a Ramstein, al suo rientro dall’Afghanistan. Adesso lo Stato ci ha dato una mano e abbiamo voluto donare a Luca quest’altra opportunità”. Lui, ovvio, non vede l’ora di partire. Per mettersi alla prova una volta ancora. Sa che ogni piccolo miglioramento (e ne ha già fatti tanti, più di quanto gli stessi medici avrebbero creduto) è un regalo per sé, ma ancora di più per tutti quelli che, in questi mesi, gli hanno detto “forza non mollare”. Il gruppo di amici su Facebook, i tanti che sono andati a trovarlo in ospedale. Più di tutti, le sue due famiglie. Quella in cui è nato e quella in cui è entrato con un cappello e una penna nera: gli alpini. “Quando Luca tornerà in Italia, a marzo o aprile, troverà pronta la casa che l’Associazione nazionale alpini gli sta costruendo a Gravellon”. Una casa domotica piena di fotocellule, automatismi e comandi a distanza. L’Ana ha già raccolto 330 mila euro. Ne mancano 250 mila ma gli alpini sono sicuri di farcela (l’Iban per i versamenti è IT65 Fo30 6909 4521 0000 0002 866 codice Bic-swift: BCITITMM). Dalla Svizzera Luca conta di avere almeno un giorno di “licenzia premio”: il 19 dicembre quando sarà presentato il “L’Italia chiamò” (Mursia). I racconti, le confidenze e i ricordi di Luca raccolti al Niguarda dalla scrittrice Paola Chiesa. “Un’esperienza commovente. Luca mi ha insegnato che la vita val sempre la pena d’essere vissuta”, dice la scrittrice che donerà al caporalmaggiore tutti i proventi del libro. Un paio di giorni fa anche il ministro della Difesa Ignazio La Russa è andato a trovare Luca. Che gli ha chiesto una sola cosa: poter continuare a indossare la divisa. (CORRIERE DELLA SERA ED. MILANO 12 OTTOBRE DI LUCA ANGELINI )

TERRORISMO: ZAWAHIRI AI SUOI, LAVORIAMO PER SCONFITTA USA L'obiettivo resta chiaro: impegnarsi per sconfiggere gli Stati Uniti. E' questo il messaggio che il leader di al-Qaeda Ayman al-Zawahiri ha rivolto ai suoi sostenitori nel messaggio della durata di 13 minuti diffuso nella notte su diversi siti jihadisti. In un video che secondo il gruppo di intelligence statunitense 'Site' è stato

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registrato tra agosto e settembre scorsi, il successore di Osama bin Laden ha definito gli Stati Uniti come ''il simbolo dell'assassino nella storia dell'umanità''. In quest'ottica, Zawahiri ha celebrato ''le sconfitte dell'America'', definita ''maestra'' dei ''despoti'' arabi deposti dalle rivoluzioni popolari che hanno interessato la regione. Osama Bin Laden, ricorda colui che ne ha ereditato la leadership, ''ha inferto il maggior colpo al cuore dell'America dagli attentati di Pearl Harbor''. Gli Usa, ha proseguito, ''sono stati sconfitti in Iraq e sono stati costretti a ritirarsi'' e ''sono stati sconfitti anche in Afghanistan, dove hanno cominciato a ritirarsi''. Si tratta del quarto messaggio rilasciato da Zawahiri da quando ha assunto la guida di al-Qaeda a giugno, dopo l'uccisione di Bin Laden in seguito a un raid americano ad Abbottabad il 2 maggio. Questa volta il medico egiziano, 60 anni, appare ritratto senza il fucile che caratterizzava le precedenti apparizioni. (ADNKRONOS 12 OTTOBRE)

AFGHANISTAN: OMICIDIO RABBANI, PAKISTAN OFFRE COLLABORAZIONE PER INDAGINI Il Pakistan ha offerto all'Afghanistan la propria disponibilitò a collaborare nell'inchiesta sull'omicidio dell'ex presidente e capo dell'Alto consiglio di pace, Burhanuddin Rabbani, ucciso a Kabul lo scorso 20 settembre. Lo riferisce l'agenzia di stampa pakistana App, precisando che il premier Yusuf Raza Gillani ha proposto a Kabul la condivisione di informazioni d'intelligence nell'ambito dell'inchiesta sull'uccisione di Rabbani. Parlando con i giornalisti a Quetta, Gillani ha sottolineato come il Pakistan sia rimasto particolarmente colpito dall'omicidio dell'ex presidente afghano. Dietro all'attacco sferrato il 20 settembre nella residenza di Rabbani si sospetta vi siano i Talebani e Kabul ritiene che il piano per l'attentato sia stato messo a punto in Pakistan. La scorsa settimana il presidente afghano, Hamid Karzai, ha annunciato l'interruzione dei colloqui con i Talebani (condotti dall'Alto consiglio di pace nell'ambito del processo di riconciliazione) e ha aperto le porte al dialogo con il Pakistan, nonostante i sospetti sui servizi segreti (Isi), sospettati di connivenza con gli insorti, la rete degli Haqqani per prima. (ADNKRONOS 12 OTTOBRE)

AFGHANISTAN/ RILASCIATI I QUATTRO AFGANI ONG FRANCESE RAPITI I quattro afgani della Ong francese Acted, rapiti ieri nel nord dell'Afghanistan, sono stati "rilasciati sani e salvi": lo ha annunciato oggi l'organizzazione umanitaria. L'Agenzia di aiuto alla cooperazione tecnica e allo sviluppo (Acted) "conferma che i suoi quattro operatori nazionali rapiti ieri nella provincia di Faryab, Afghanistan, sono stati rilasciati sani e salvi", ha dichiarato l'Ong in un comunicato. In mattinata Acted aveva annunciato che "uomini armati" avevano "rapito quattro membri del suo personale afgano ieri a fine pomeriggio, nel distretto di Faryab”. (TMNEWS 11 OTTOBRE)

AFGHANISTAN/ ONU: PRODUZIONE DI OPPIO TORNA AD AUMENTARE NEL 2011 La produzione di oppio in Afghanistan è fortemente aumentata (+61 per cento) nel 2011 rispetto all'anno precedente, dove era scesa a causa di un parassita, ma è rimasta inferiore a quella del 2009. Lo ha annunciato l'agenzia specializzata delle Nazioni Unite contro la droga nel suo studio annuale. "Nel 2010, le rese erano notevolmente scese a causa di una malattia del papavero (...) nel 2011, sono ritornate intorno a 45 chili all'ettaro e questo porta la produzione potenziale a 5.800 tonnellate, ossia il 61 per cento in più rispetto alle 3.600 tonnellate prodotte nel 2010", ha scritto l'Ufficio delle Nazioni Unite contro la droga e il crimine (Unodc) nella sua relazione annuale sul Paese. L'Afghanistan aveva prodotto 6.900 tonnellate di oppio nel 2009, ha ricordato Unodc. Le superfici coltivate sono leggermente aumentate (+7 per cento) rispetto al 2010, per attestarsi intorno a 131.000 ettari quest'anno. L'agenzia sottolinea che i ricavi prodotti dal papavero hanno raggiunto i 10.700 dollari all'ettaro nel 2011, un livello mai riscontrato dal 2003. Il sud del Paese è sempre, di gran lunga, la principale regione produttrice di oppio. La sua percentuale nella produzione nazionale (78 per cento) si è leggermente abbassata a causa dell'esplosione delle superfici coltivate in nell'est (+269 per cento) - anche se la produzione vi resta modesta in valore assoluto: 1 per cento del totale nazionale - e un forte aumento nel nordest (+55 per cento), ha sottolineato l'Unodc. (TMNEWS 11 OTTOBRE)

AFGHANISTAN: DEPUTATA IN SCIOPERO DELLA FAME, SI RIAPRE DISPUTA SU RISULTATI ELETTORALI Si aggravano le condizioni della parlamentare afghana, Semin Barakzai, da nove giorni in sciopero della fame e della sete in segno di protesta contro l'espulsione dal Parlamento per presunta frode elettorale. La Barakzai è una dei nove parlamentari espulsi dall'Assemblea nell'ambito della disputa sorta dopo le contestate elezioni parlamentari del settembre 2010. E il suo caso sta di fatto riaprendo la lunga contesa sui risultati del voto. Da oltre una settimana la parlamentare della provincia occidentale di Herat vive in una tenda allestita fuori dalla sede dell'Assemblea di Kabul e ormai non riesce quasi più a parlare. Ma appare determinata a non riprendere a mangiare e a bere fin quando non potrà tornare a sedersi in Parlamento, fin quando il

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presidente Hamid Karzai non farà aprire un'inchiesta per frode elettorale sulla parlamentare che l'ha sostituita. Un gruppo di una trentina di colleghi della donna ha chiesto formalmente a Karzai di fare luce sul caso della Barakzai. Il presidente della camera bassa del Parlamento di Kabul, la Wolesi Jirga, Abdul Raouf Ibrahimi, ha fatto sapere di aver parlato con il presidente e che quest'ultimo si è impegnato a seguire il caso. Intanto sabato decine di parlamentari sono tornati a sedersi in aula, ponendo fine a una protesta che andava avanti da oltre un mese e che bloccava i lavori dell'Assemblea. Oggetto del contendere, sempre i risultati del voto di più di un anno fa. Tuttavia, come testimoniato dal caso della Barakzai, persistono in Parlamento profonde divergenze sulla decisione della commissione elettorale di sostituire i nove parlamentari per sospette frodi elettorali. Secondo il New York Times, la Barakzai è vittima del compromesso politico trovato per porre fine a una disputa che da oltre un anno ha allontanato ulteriormente il Parlamento da Karzai e trascinato l'Afghanistan sull'orlo di una crisi costituzionale. A giugno, un tribunale speciale - istituito dal presidente per valutare le denunce di frode elettorale - stabilì che 62 seggi della camera bassa dell'Assemblea di Kabul, la Wolesi Jirga, dovevano andare a candidati che avevano contestato i risultati del voto, la maggior parte dei quali 'fedele' al presidente. Nacque così un 'conflitto' tra la decisione del tribunale e la commissione elettorale. Ad agosto, dopo settimane di pressioni, Karzai chiuse - almeno apparentemente - la disputa sui risultati del voto del 18 settembre 2010, sciogliendo il tribunale (ritenuto illegittimo da molti parlamentari) e ribadendo come l'ultima parola fosse della Commissione elettorale indipendente. Il verdetto è stato l'espulsione della Barakzai e di altri otto parlamentari dall'Assemblea. (ADNKRONOS 10 OTTOBRE)

AFGHANISTAN:ONU DENUNCIA TORTURE IN CARCERI,ANCHE HERAT Nelle carceri afghane tantissimi detenuti sono stati picchiati, torturati e sottoposti a ogni tipo di maltrattamenti. Anche ragazzi di sedici anni. E anche nella prigione di Herat, una struttura ammodernata grazie ai fondi italiani, nella zona del Paese dove operano i nostri soldati. E' quanto emerge da uno sconvolgente rapporto di 74 pagine firmato dall'Unama, la missione delle Nazioni Unite in Afghanistan, che tratteggia un quadro desolante della situazione dei diritti umani nelle galere del governo di Kabul. Secondo la ricerca, i prigionieri di 47 strutture detentive del paese, controllate dalla Polizia Nazionale e dal Dipartimento per la Sicurezza, hanno subito trattamenti che vengono classificati come ''torture'' sia dalle leggi internazionali che da quelle afghane. Nel documento si precisa tuttavia che i maltrattamenti non sono il risultato di una politica del governo. I ministri della Sicurezza di Kabul, sottolinea l'Unama, hanno collaborato all'indagine, e dopo aver appreso i risultati del rapporto, hanno iniziato ad adottare le misure necessarie per fermare gli abusi. E gia' dal mese scorso l'Isaf, Forza Internazionale di Assistenza per la Sicurezza della Nato, ha bloccato i trasferimenti dei prigionieri, sospetti talebani, verso sedici delle strutture indicate nel documento. Secondo il rapporto della missione Onu, basata su interviste a 379 detenuti dall'ottobre 2010 all'agosto 2011, almeno un terzo di questi sono stati percossi e torturati con l'obiettivo di ottenere informazioni e confessioni, metodo usato di frequente nei processi afghani. A confermare che i maltrattamenti non sono frutto di una politica del governo e' anche il Rappresentante Speciale di Ban Ki-moon per l'Afghanistan, Staffan De Mistura. In una nota il diplomatico ha osservato che la cooperazione delle autorità locali all'indagine dell'Unama e il tentativo di porre un freno agli abusi sono la dimostrazione che il paese sta cercando la strada delle riforme. Torture che avvenivano anche nel carcere di Herat, in zona 'italiana'. Qui l'Unama ha intervistato 16 detenuti fermati dalla Polizia locale e ben nove di loro hanno denunciato di aver subito delle violenze. Tra di loro c'e' anche un ragazzo di 16 anni. La tecnica era sempre la stessa: le torture sistematiche avevano lo scopo di ottenere informazioni e possibilmente confessioni. Dalle testimonianze raccolte emerge che durante la notte gli uomini della sicurezza afgana prelevavano la vittima dalla sua cella, in manette e con un cappuccio sul volto, e lo portavano in una sala speciale. E' qui che il sospetto veniva interrogato e picchiato se non forniva le informazioni richieste. Gli aguzzini ne bruciavano anche le piante dei piedi con dei cavi elettrici. Un detenuto ha riferito che era completamente inutile urlare o piangere. Dopo le scosse elettriche, i detenuti venivano fatti uscire e costretti a camminare sulla ghiaia e sulla calce per qualche minuto. Infine, venivano ricondotti nella loro cella. Il rapporto cita le parole di uno di questi detenuti, il carcerato numero 185, vittima di continue torture: ''Durante il mio primo interrogatorio sono stato picchiato da due persone, mentre ero ammanettato, incappucciato e seduto per terra. Mi hanno chiesto di una persona che loro sospettavano fosse l'autore di un attacco terroristico. Si rendevano conto che non c'entravo nulla, ma volevano lo stesso informazioni. Io parlavo ma non mi credevano. E continuavano a dirmi: 'se non ci dici la verità andiamo avanti con le botte'. Poi mi hanno messo faccia per terra e hanno cominciato a colpirmi con dei cavi elettrici, sulle spalle e sulle piante dei piedi. Infine sono stato cinque minuti in piedi sul cemento”. (ANSA 10 OTTOBRE).

AFGHANISTAN: A HERAT CAMBIO AL VERTICE ITALFOR-NSE

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Passaggio di consegne, nella base di Camp Arena, a Herat, tra il Colonnello Stelvio Baratelli e il Colonnello Antonio Vecchioni, che subentra nel ruolo di comandante7 dell'Italfor-Nse (National Support Element). L'assetto nazionale Italfor-Nse di Herat è responsabile, dell'organizzazione, dell'efficienza, nonché dell'impiego di tutti gli assetti logistici nazionali, dai trasporti alle mense, dai settori che provvedono al funzionamento di Camp Arena all'officina meccanica, tutte componenti fondamentali al Comandante RC-W per lo svolgimento della missione. La cerimonia - si legge in una nota - si è svolta alla presenza del Generale di Brigata Luciano Portolano, Comandante del Regional Command West, che ha voluto ringraziare il Comandante uscente, anche a nome del Generale Carmine Masiello, per "l'efficiente e l'efficace sostegno fornito a tutto il contingente ed ha evidenziato la professionalità del Colonnello Baratelli nel dirigere gli assetti logistici alle sue dipendenze". Il Colonnello Baratelli, nell'intervento di saluto - prosegue il comunicato - ha sottolineato i risultati ottenuti grazie all'impegno costante e alla elevata preparazione ed esperienza del personale. Il Colonnello Vecchioni ha ringraziato il Colonnello Baratelli ed ha assicurato l'impegno per dare continuità al lavoro fin qui svolto. (ADNKRONOS 10 OTTOBRE)

AFGHANISTAN: NATO, 1.400 MEMBRI RETE HAQQANI CATTURATI DA INIZIO ANNO Le forze Isaf e l'esercito afghano hanno catturato in Afghanistan nel corso di quest'anno oltre mille e quattrocento appartenenti alla rete Haqqani. Lo ha riferito il portavoce di Isaf, il generale Carsten Jacobson, in una conferenza stampa congiunta con il rappresentante civile della Nato, Dominic Medley. "La rete Haqqani è un misto di insorti e criminali comuni che si finanzia attraverso varie attività illegali, compreso il traffico di droga", ha detto il generale Jacobson , riferendo che la scorsa settimana sono stati catturati o uccisi "oltre 100" appartenenti alla rete, e che "oltre 1.400" sono stati fatti prigionieri dall'inizio dell'anno. (ADNKRONOS 10 OTTOBRE)

AFGHANISTAN: LA RUSSA VISITA BARISONZI, PRESTO CASA DOMOTICA Luca Barisonzi presto potrà trasferirsi in una casa domotica, e può continuare a coltivare il desiderio di indossare per sempre la divisa. Sono le promesse rivolte all'alpino, gravemente ferito ai quattro arti in un attentato il 18 gennaio in Afghanistan, dal ministro della Difesa, Ignazio La Russa, che gli ha fatto visita insieme ad Andrea Ranocchia, difensore dell'Inter, la squadra del cuore di Barisonzi. ''Luca è molto migliorato per quanto si possa in queste condizioni: muove un braccio, parla fluidamente e il livello del morale è alto - ha spiegato La Russa prima di lasciare l'unità spinale dell'ospedale Niguarda di Milano - è pronto per andare a vedere le partite di calcio allo stadio e per entrare nella nuova casa domotica costruita per lui. Luca voleva sentire la vicinanza delle istituzioni e della sua squadra del cuore, e noi gli abbiamo portato buone notizie sulle pratiche burocratiche di ciò che gli compete per legge. Vedremo se sarà possibile esaudire il suo desiderio di poter continuare ad indossare per sempre la divisa''. Dal canto suo Ranocchia gli ha promesso che quando potrà e vorrà Barisonzi sarà il benvenuto ad Appiano Gentile per assistere agli allenamenti dell'Inter. ''Luca mi ha raccontato che quando è arrivato in ospedale nessuno credeva potesse alzarsi o parlare ma ha stupito tutti, sta lavorando tantissimo - ha detto il difensore nerazzurro e della Nazionale - parlando di calcio gli ho promesso che faremo di tutto per tornare grandi e gioire insieme. E poi gli ho detto che dopo la squalifica di tre giornate per aver protestato, non parlerò più con un arbitro. Ho imparato la lezione''. (ANSA 10 OTTOBRE).

AFGHANISTAN/ RASMUSSEN: OTTIMISTA SU RISPETTO TEMPI TRANSIZIONE Il segretario generale della Nato, Anders Fogh Rasmussen, si è detto "ottimista", oggi a Bucarest, sul trasferimento completo alle legittime autorità locali della responsabilità della sicurezza in Afghanistan entro il 2014. Il leader della Nato ha comunque riconosciuto che resta ancora "molto da fare" per formare la polizia afgana. "Sono completamente ottimista sul rispetto del calendario per trasferire la responsabilità della sicurezza agli afgani, un processo iniziato a luglio e che si concluderà nel 2014", ha dichiarato Rasmussen davanti ai membri dell'Assemblea parlamentare della Nato riunita in Romania. "Mi aspetto che il presidente Karzai annunci la prossima sezione del processo di transizione alla fine di questo mese", ha aggiunto il segretario generale durante il suo intervento. "Mi aspetto, dopo questa fase, che il 40% o 50% della popolazione afgana possa vivere in zone controllate dalla sicurezza locale", ha precisato Rasmussen. Il leader della Nato ha tuttavia riconosciuto che portare la polizia afgana a un livello di autosufficienza per la protezione della popolazione resta ancora "una grande sfida". "Vediamo progressi graduali ma certamente c'è ancora molto da fare", ha confermato Rasmussen. (TMNEWS 10 OTTOBRE)

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AFGHANISTAN: UN ANNO FA L'ATTENTATO, PIAZZA COMUNE SALENTINO INTITOLATA AD ALPINO UCCISO Un anno fa moriva in un attentato in Afghanistan e oggi una piazza del piccolo comune salentino di Patù ha cambiato nome per ricordarlo. Non più piazza XX settembre ma piazza Marco Pedone. Caporal maggiore dell'Esercito a soli 23 anni è rimasto ucciso, il 9 ottobre dello scorso anno, con altri tre alpini della Brigata Julia nell'esplosione del mezzo blindato Lince nella zona Farah. Era alla sua prima missione. Questa mattina dopo la messa officiata da monsignor Agostino Bagnato nella Chiesa Santissima Immacolata, l'alzabandiera, gli onori militari e la deposizione della corona d'alloro presso la Villa Comunale 'Caduti di Tutte le Guerre', si è tenuta la cerimonia di intitolazione della piazza. Una cerimonia che ha visto accanto alla famiglia, l'amministrazione, le autorità, i colleghi giunti da tutta Italia e tantissimi amici, insieme per tenere vivo il ricordo di Marco. (ADNKRONOS 9 OTTOBRE).

AFGHANISTAN: TORNATO A CASA PARA' ABRUZZESE FERITO “Ringrazio tutti è grazie a voi che ho avuto la forza per arrivare fin qui''. Queste le prime parole di Simone D'Orazio, il paracadutista ferito in Afghanistan nell'agguato dove perse la vita un suo commilitone. E' arrivato alle 16.45 nel piazzale del Pratone a Roccaraso, a bordo di un pullmino dell'Esercito. Ad attenderlo l'intero paese e uno striscione lungo 25 metri ''Bentornato Simone''. Visibilmente emozionato e' sceso a stento dal pullmino sorreggendosi sulle stampelle. Al suo fianco la mamma ''aspettavo da mesi questo momento e finalmente Simone e' tornato tra di noi''. Tra i tanti c'erano anche i tre sindaci dei paesi del comprensorio, oltre naturalmente a Francesco Di Donato, sindaco di Roccaraso, che ha voluto donare a Simone una medaglia a ricordo di questo giorno. ''Simone e' per tutti noi un eroe, e questo sarà un giorno da ricordare per l'intera comunità. Un nostro concittadino che con tanto coraggio ha servito la Patria per portare la pace nel mondo. Siamo felici che tutto si sia concluso nel migliore dei modi e che ora Simone sia tra di noi''. A salutarlo anche i fuochi pirotecnici e una cinquantina di bambini che sventolavano le bandierine tricolori. Vicino a loro Don Renato, il parroco che e' stato uno dei primi ad abbracciare il paracadutista: ''Abbiamo pregato sperando di vivere questo momento e il Signore ci ha aiutato facendo ornare Simone sano e salvo”. (ANSA 8 OTTOBRE).

AFGHANISTAN/ KABUL ACCUSA PAKISTAN PER BASI TALEBANE Il governo afgano ha chiesto agli Stati Uniti di esercitare maggiore pressione sul Pakistan perché intervenga contro le milizie talebane che hanno le loro basi in territorio pachistano: lo hanno reso noto fonti governative di Kabul. Le relazioni fra Pakistan e Afghanistan, caratterizzate da tempo dalla sfiducia, si sono ulteriormente deteriorate dopo l'assassinio dell'ex presidente afgano e negoziatore Burhanuddin Rabbani, omicidio che secondo Kabul è stato organizzato e compiuto da cittadini pachistani; inoltre, il governo afgano afferma di aver sventato un attentato, organizzato in Pakistan, contro il presidente Hamid Karzai. In un'intervista rilasciata alla Bbc nel decennale del conflitto Karzai aveva dichiarato che "la Nato, gli Stati Uniti e i nostri vicini pachistani avrebbero dovuto concentrarsi molto tempo fa, nel 2002, sulle basi talebane" in Pakistan: "I talebani non sarebbero in grado di muovere un dito senza il sostegno del Pakistan". (TMNEWS 8 OTTOBRE).

AFGHANISTAN/ NATO ANNUNCIA: RESPINTO IMPONENTE ATTACCO NELL'EST La forza della Nato in Afghanistan (Isaf) ha affermato di aver respinto il più imponente attacco coordinato sferrato nei suoi confronti dal 2009 nella provincia orientale di Paktika, alla frontiera del Pakistan, dove ha ucciso 25 insorti. Ieri, decimo anniversario dell'inizio dell'intervento armato statunitense in Afghanistan il 7 ottobre 2001, l'attacco ha riguardato molte posizioni dell'alleanza atlantica nei distretti di Gormal, Sarobi e Barmal, secondo l'Isaf (Forza internazionale di assistenza all'Afghanistan, la missione a guida Nato nel Paese). Almeno 25 ribelli sono stati uccisi in raid aerei e conflitti a fuoco, mentre un soldato Isaf è stato leggermente ferito dall'esplosione di un'autobomba. (TMNEWS 8 OTTOBRE).

AFGHANISTAN: OMICIDIO RABBANI; TALEBANI, SIAMO STATI NOI ''Rabbani lo abbiamo ucciso noi''. In un video ottenuto dal Tg3 e trasmesso nell'edizione odierna delle 19:00, Zubair Hunar Khurasani, comandante talebano della provincia di Pakhtia, ha rivendicato l'attentato contro Burhanuddin Rabbani, presidente dell'Alto Consiglio per la Pace afghano, ucciso in un attacco suicida il 20 settembre a Kabul. ''Rabbani era un fantoccio degli americani e ha lavorato con loro per rovesciare il governo dei talebani nel 2001, da tempo volevamo chiudere i conti con lui - continua Khurasani - Siamo orgogliosi di averlo ucciso. Noi siamo pronti alla pace ma finché continua l'occupazione americana ogni processo di pace sarebbe futile e privo di senso, chiunque tenti di negoziare farà la stessa fine degli americani e dei loro fantocci''. Zubair Hunar Khurasani e' il vicecomandante del gruppo che fa capo a Mansoor Dadullah, uno dei principali capi talebani che fu catturato e poi rilasciato dopo la liberazione del giornalista di Repubblica,

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Daniele Mastrogiacomo. La sua rivendicazione sembra indicare che i talebani, o almeno una parte di essi, rifiutino qualsiasi ipotesi di trattative con il governo del presidente Karzai. Meno di una settimana fa Kabul aveva affermato che l'assassino di Rabbani era pachistano e l'omicidio sarebbe stato pianificato a Quetta, in Pakistan. (ANSA 7 OTTOBRE).

AFGHANISTAN: SOS GOVERNO GB, 'GRAVE RISCHIO' GUERRA CIVILE In Afghanistan, a dieci anni dall' inizio della guerra e circa tre prima del previsto ritiro delle truppe occidentali, un rapporto commissionato dal governo britannico prevede un ''rischio significativo'' di guerra civile e lo spettro di una vittoria dei talebani nel sud e nell'est del Paese quando il ritiro sarà completo. "La vittoria é con noi", ha del resto proclamato oggi un portavoce dei talebani, Zabihullah Mujahid, commentando il decimo anniversario e ribadendo che combatteranno fino a quando tutte le forze straniere si saranno ritirate dal Paese. La ricerca di Londra commissionata dal premier David Cameron la scorsa estate con la previsione di pubblicarne i risultati a metà novembre, è stata anticipata nelle linee generali oggi dal quotidiano Guardian. E il quadro tracciato è abbastanza scoraggiante: il rinforzo (surge) di 30.000 uomini voluto lo scorso anno da Barack Obama, scrive il Guardian, ha in parte, ma a prezzo di un pesante sacrificio di vite umane, riconquistato i territori che i talebani si erano ripresi negli ultimi anni. Con la partenza delle truppe occidentali questo ''progresso faticosamente raggiunto” potrebbe essere vanificato da una guerra civile ''multidimensionale'' fra varie fazioni ribelli, milizie, gruppi tribali e regionali, alimentata dalle potenze confinanti, interessate a guadagnare influenza sullo scacchiere afghano. Uno scenario alternativo (o complementare) prospettato dal rapporto britannico è quello della ''talebanizzazione'' della ''cintura Pashtun'', cioè di quell'area di tribale di etnia pashtun (quella che esprime i talebani) a cavallo fra Afghanistan e Pakistan, da Kandahar fino a Quetta, capace di destabilizzare ulteriormente il già debole stato pachistano. Nel migliore dei casi, prevedono gli esperti, l'Afghanistan dopo il 2014 si presenterà come uno stato fragile, con sacche di violenza cronica e una minaccia terroristica per il Regno Unito e l'Occidente invariata rispetto a quella attuale. (ANSA 7 OTTOBRE).

AFGHANISTAN: 10 ANNI GUERRA; USA, VICINI A VITTORIA A dieci anni esatti dall'inizio della guerra in Afghanistan, gli Stati Uniti sono ''più vicini che mai a sconfiggere al Qaida e la sua rete di morte'', ha detto oggi il presidente americano Barack Obama; mentre allo stesso tempo, da Kabul, i talebani hanno affermato che ''la vittoria divina'' è con loro e che gli Usa invece ''riflettono sul loro ritiro”. In un messaggio in occasione dell'anniversario, Obama ha reso omaggio ''alla memoria di 1.800 patrioti americani e dei numerosi partner della coalizione e afghani che si sono sacrificati'' nel corso della guerra, avviata ''contro al Qaida e i suoi protettori talebani in Afghanistan'' dieci anni fa, ''in risposta agli attentati dell'11 Settembre''. Ora, ha detto ancora, ''dopo un difficile decennio, stiamo per mettere fine in modo responsabile alle guerre (in Afghanistan e Iraq) in una posizione di forza''. Entro il 2011, gli Usa prevedono di ritirare 10 mila soldati dall'Afghanistan, e altri 23 mila entro l'estate prossima. Entro il 2014, la responsabilità della sicurezza dovrebbe essere totalmente nelle mani delle forze di sicurezza locali. Il presidente afghano Hamid Karzai, ricordando a sua volta il decimo anniversario dell'inizio della guerra, ha però oggi affermato in un'intervista alla Bbc che il grande ''difetto'' del suo governo ''e dei suoi partner internazionali'' e' stato di non essere riusciti a garantire finora una adeguata sicurezza al popolo afghano. A dar forza alle sue parole, ci sono dati che parlano chiaro: il numero di civili uccisi nei primi sei mesi del 2011 è il più alto sin dalla caduta del governo dei talebani nel 2001, mentre sono stati registrati anche attacchi a numerose installazioni governative e all'ambasciata Usa Kabul, nonché l'assassinio dell'ex presidente Burhanuddin Rabbani, che era incaricato di negoziare la pace con i talebani. ''Rabbani lo abbiamo ucciso noi'', ha peraltro proprio oggi fatto saper Zubair Hunar Khurasani, comandante talebano della provincia di Pakhtia. U'affermazione che arriva assieme a quella del portavoce Zabihullah Mujahid, che con arroganza ha rivendicato ''la vittoria divina'' dei talebani. Perché, ha spiegato, ''seppure con poche armi e male equipaggia ti, siamo riusciti a costringere gli invasori che volevano restare per sempre a riflettere sulla loro posizione e sul loro ritiro ... Negli ultimi dieci anni, gli Stati Uniti hanno tolto agli afghani la loro legge islamica e in più hanno tolto al popolo sicurezza e stabilità, ma la Nazione afghana ha dimostrato di essere pronta a combattere contro l'invasore americano''. Propaganda, certo, ma e' altrettanto vero che Karzai ancora oggi ha ribadito la volontà di negoziare con i talebani, a patto che indichino un loro negoziatore. (ANSA 7 OTTOBRE).

AFGHANISTAN: MALALAI JOYA, 10 ANNI SONO ABBASTANZA, ALLEATI DEVONO LASCIARE PAESE ''Dieci sanguinosi anni sono abbastanza. L'unica soluzione per l'Afghanistan è il ritiro delle forze di occupazione''. Determinata Malalai Joya, ex parlamentare afghana sfuggita a cinque attentati e nel 2007

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sospesa dall'Assemblea di Kabul battendosi per il suo Paese. Quando è a Kabul, per motivi di sicurezza, è costretta a una vita tra mille accortezze. ''Una volta che sarà terminata l'occupazione, agli afghani resteranno altri due nemici da sconfiggere, ma si tratta di nemici interni: i Talebani e i signori della guerra'', prosegue, convinta che l'arma vincente in questa battaglia sarà l'''istruzione''. I governi stranieri hanno inviato ''qui le truppe per i loro interessi, Stati Uniti per primi - afferma - e gli altri Paesi, Italia in testa, hanno seguito una politica sbagliata''. E ora, il presidente statunitense Barack Obama, nel 2009 Premio Nobel per la Pace, si sta rivelando - secondo Malalai Joya - ''più pericoloso'' del predecessore George W. Bush, che il 7 ottobre del 2001 diede l'ordine di attacco contro l'Afghanistan, dopo l'11 settembre. ''Con l'Amministrazione Obama - dice l'attivista politica - c'è stato un aumento del 24% tra le vittime civili del conflitto, rispetto all'era Bush''. ''E anche nei raid con droni sul Pakistan vengono uccise vittime innocenti'', denuncia, riferendosi alle operazioni effettuate da velivoli senza pilota americani sulle regioni tribali del Pakistan contro i covi di militanti filotalebani e di al-Qaeda. ''Ora dicono che nel 2014 lasceranno l'Afghanistan - aggiunge, dopo che ieri la Nato ha assicurato che ''non abbandonerà il Paese'' con la conclusione del processo di transizione - ma parlano di basi permanenti. Vogliono legalizzare l'occupazione''. E a dieci anni ''dall'invasione - dice Malalai Joya - l'Afghanistan è solo un Paese con meno sicurezza e più corruzione, un Paese in cui la situazione delle donne e' catastrofica e in cui la popolazione e' stufa dell'occupazione''. La manifestazione di ieri a Kabul per chiedere il ritiro delle forze della coalizione, a cui l'Italia partecipa attualmente con 4.200 militari (il massimo impegno dall'inizio delle operazioni), è per l'attivista politica ''motivo di speranza'', anche perché ''questa guerra non è solo un conflitto militare, ma anche una guerra di propaganda''. E perché, conclude, ''la democrazia non e' mai la conseguenza di un'invasione militare''. (ADNKRONOS 7 OTTOBRE)

AFGHANISTAN/ KARZAI: NATO E GOVERNO HANNO FALLITO SU SICUREZZA Dieci anni dopo la caduta del regime talebano, né la Nato né il governo afgano sono riusciti a garantire la sicurezza della popolazione: lo ha dichiarato il presidente afgano Hamid Karzai, intervistato dalla Bbc. Karzai ha confermato di voler lasciare il potere nel 2014 e di stare lavorando alla propria successione, e ha inoltre accusato il Pakistan di appoggiare le milizie talebane, che avrebbero le loro basi in territorio pachistano. "La Nato, gli Stati Uniti e i nostri vicini pachistani avrebbero dovuto concentrarsi molto tempo fa, nel 2002, sulle basi talebane", ha spiegato Karzai, secondo il quale il principale compito del suo esecutivo e delle forze Nato è "fornire un ambiente sicuro ai cittadini afgani, compito nel quale la comunità internazionale e il governo afgano hanno palesemente fallito". Ma i recenti attacchi delle milizie hanno origine all'estero: "I talebani non sarebbero in grado di muovere un dito senza il sostegno del Pakistan", ha confermato Karzai sottolineando come le autorità di Islamabad vogliano comunque mantenere buone relazioni con Kabul. Infine, il Presidente afgano ha ammesso l'importanza del problema della corruzione ma ha sottolineato come in gran parte questa dipenda della presenza di aziende e governi stranieri: la situazione è dunque destinata a migliorare dopo il 2014, con il ritiro delle truppe straniere. (TMNEWES 7 OTTOBRE)

AFGHANISTAN: MCCHRYSTAL, GUERRA INIZIATA CON VISIONE TROPPO SEMPLICISTICA Gli Stati Uniti hanno iniziato la guerra in Afghanistan con una visione del paese "semplicistica in modo inquietante". E' questa la pesante autocritica espressa dal generale Stanley McChrystal, a riposo da quanto lo scorso anno è stato costretto a lasciare la guida delle forze della coalizione in Afghanistan dopo dichiarazioni offensive verso esponenti dell'amministrazione rilasciate in un'intervista, proprio in occasione del decimo anniversario dell'inizio della guerra. Parlando al Council on Foreign Relations, McChrystal è stato critico anche sulla situazione attuale, affermando che gli Usa e gli alleati Nato si trovano in una posizione "solo un po' migliore", essendosi avvicinati solo al 50% agli obiettivi finali. "Non sapevamo abbastanza e ancora non sappiamo abbastanza - ha detto il generale - molti di noi, compreso me, avevamo una comprensione superficiale della situazione e dalla storia, e avevamo una visione semplicistica in modo inquietante della sua recente storia, quella degli ultimi 50 anni". Senza contare, ha aggiunto, che la decisione dell'amministrazione Bush di invadere l'Iraq due anni dopo ha reso il tutto ancora più difficile, ha aggiunto. "Io credo che tutto è stato reso ovviamente più difficile perché ha cambiato l'opinione del mondo arabo sull'impegno dell'America - ha detto ancora riferendosi alla fortissima opposizione all'intervento in Iraq - Quando abbiamo attaccato i talebani nel 2001, c'era una certa comprensione che avessimo la capacità e il diritto di difendere noi stessi e il fatto che al Qaeda fosse protetta dai talebani rendeva legittimo. Credo invece che quando abbiamo preso la decisione di andare in Iraq". A rendere più complicata l'azione in Afghanistan è stato il fatto che la maggior parte delle risorse militari sono state spostate sull'Iraq, ha poi concluso. (ADNKRONOS 7 OTTOBRE).

PAKISTAN: ESERCITO,'AFGANISTAN FERMI ATTACCHI OLTRE CONFINE' L'esercito pachistano ha lanciato un duro avvertimento all'Afghanistan perché fermi gli attacchi e l'infiltrazione di militanti estremisti islamici lungo la frontiera che divide i due Paesi. E' quanto riferiscono oggi

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i media locali. Parlando ai giornalisti da una base militare del Kashmir durante una cerimonia in occasione di esercitazioni congiunte con l'Arabia Saudita, il capo delle forze armate, generale Ashfaq Parvez Kayani ha detto che ''queste attività non saranno più tollerate'' e ha ricordato che ''il Pakistan possiede le capacità per rispondere a questi attacchi''. In seguito a lanci di artiglieria dalle province afghane di Kunar e Nuristan contro posti di blocco, lo scorso mese il governo di Islamabad aveva rivolto una protesta ufficiale contro Kabul. (ANSA 7 OTTOBRE).

AFGHANISTAN: RAPPORTO USA, A 10 ANNI DA INIZIO GUERRA POPOLAZIONE SFIDUCIATA A dieci anni dall'inizio della guerra nel loro paese, gli afghani hanno perso ogni fiducia nella capacità del loro governo di proteggerli, di far fronte all'insorgenza, di mettere fine alla corruzione. E' quanto emerge da un rapporto della Casa Bianca, in cui si parla dei Talebani come di una forza "elastica" che riesce a resistere alle forze della Nato e ad uccidere rappresentanti del governo e leader tribali. Il rapporto, rilanciato dal 'Telegraph', parla di un aumento degli attacchi degli insorti, ma anche di un miglioramento delle capacità dell'esercito di Kabul, che tuttavia non e' ancora pronto a prendere in mano da solo la situazione. Preparato raccogliendo informazioni di inteligence dalle agenzie Usa presenti in Afghanistan e Pakistan, il documento solleva seri dubbi sulla capacità di Kabul di gestire da sé la sicurezza del paese dopo il ritiro delle forze Usa nel 2014. Dal rapporto emerge che il numero di afghani che si sente sicuro all'interno della sua comunità è in netto calo. Se solo nel 2010 il 50% della popolazione diceva di sentirsi sicuro, il dato è calato al 33% nel 2011. E solo il 25% ritiene che le forze di sicurezza nazionali "probabilmente" o "certamente" riusciranno a sconfiggere l'insorgenza a breve. La fiducia della popolazione è calata anche in seguito alle voci su irregolarità nelle elezioni parlamentari dello scorso anno, con l'87% della popolazione convinta che "la corruzione del governo incida sulla loro vita quotidiana". (ADNKRONOS 7 OTTOBRE).

PAKISTAN/ OBAMA: IN AFGHANISTAN HA POSIZIONE "AMBIVALENTE" Gli Stati Uniti "non avrebbero potuto avere il successo che hanno avuto in Pakistan" senza l'aiuto del Governo di Islamabad, ma l'America "valuta costantemente lo stato delle relazioni" con il Paese. Lo ha detto il presidente americano Barack Obama, durante la conferenza stampa alla Casa Bianca, organizzata per parlare più nel dettaglio del piano da 447 miliardi a sostegno del mercato del lavoro. Secondo il presidente americano, "è anche vero che sul nostro obiettivo di garantire l'uscita dall'Afghanistan, lasciando alle spalle un governo stabile, il Pakistan è stato più ambivalente". L'esercito e i servizi segreti si sarebbero infatti preparati a vari scenari possibili "in relazione a quello che l'Afghanistan sarebbe diventato, allacciando discussioni con personaggi sgradevoli che pensano di potere riguadagnagnare il potere dopo che le forze delle coalizione internazionale se ne saranno andate". Obama ha poi proseguito sottolineando che "il Pakistan ritiene che i propri interessi siano minacciati da un Afghanistan indipendente, in parte perché pensano che potrebbe allearsi con l'India e il Pakistan ancora considera l'India suo acerrimo nemico". (TMNEWS 6 OTTOBRE)

PAKISTAN/ MUSHARRAF: INDIA VUOLE AFGHANISTAN ANTI-PACHISTANO L'India sta cercando di trasformare l'Afghanistan in un "Paese anti-pachistano": lo ha affermato l'ex presidente pachistano Pervez Muhsarraf, dopo la firma dell'accordo di partenariato strategico tra Kabul e Nuova Delhi. Secondo Musharraf le autorità afgane invieranno in India "agenti dei servizi, diplomatici e militari che verranno indottrinati contro il Pakistan"; per l'ex Presidente Nuova Delhi non aspira ad assumere il controllo militare del Pakistan quanto ad indebolirlo per estendere la propria sfera di influenza economica e diplomatica. Il patto strategico fra Kabul e Nuova Delhi potrebbe ravvivare le tensioni nella regione, con Islamabad che rischia di trovarsi isolata dai due Paesi confinanti e con i rapporti con gli Stati Uniti al minimo storico. Kabul da parte sua intende riequilibrare il ruolo di India e Pakistan, storici rivali e potenze nucleari, nella ricostruzione dell'Afghanistan, soprattutto in vista del ritiro delle forze dell'Isaf, previsto entro il 2014. Il governo afgano in particolare accusa Islamabad di ospitare nel suo territorio dei gruppi talebani e d'altro canto sa di non poter contare sull'appoggio degli Stati Uniti a tempo indefinito: di qui la firma di un accordo che fa di Nuova Delhi un "partner strategico". (TMNEWS 6 OTTOBRE)

AFGHANISTAN: 10 ANNI DI GUERRA, LA NATO RESTERA' ANCHE DOPO IL 2014 A dieci anni dall'inizio della guerra in Afghanistan, la Nato assicura che - concluso il processo di transizione nel 2014 - non ''abbandonerà'' gli afghani. La 'garanzia' è arrivata dal vertice a Bruxelles dei ministri della Difesa dei Paesi dell'Alleanza, nel mezzo delle tensioni tra Islamabad, Kabul e Washington, dello stallo del processo di pace e dopo la missione del presidente afghano Hamid Karzai a Nuova Delhi, che ha almeno infastidito il Pakistan. Dieci anni dopo l'11 settembre e l'ordine di attacco partito il 7 ottobre contro l'Afghanistan (2.930 civili uccisi in operazioni Usa e Nato e altri 7.686 in attacchi degli insorti, secondo dati

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Onu e di Human Rights Watch), la ''transizione'' iniziata a luglio procede e la Nato non permetterà a nessuno di ''ostacolare'' questo processo, ha assicurato il segretario generale dell'Alleanza, Anders Fogh Rasmussen. Per quest'ultimo, transizione non è sinonimo di abbandono, ma anzi la Nato proseguirà con il suo impegno e non si ''lascerà dietro un vuoto di sicurezza''. L'addestramento delle forze afghane potrebbe essere il punto focale dell'impegno dell'Alleanza per il dopo-2014, ma bisognerà attendere il summit di Chicago del prossimo maggio per conoscere i dettagli della strategia e il numero dei soldati che resteranno in Afghanistan anche dopo quella data. ''Tutto dipenderà - ha detto Rasmussen - dalla situazione della sicurezza alla fine del 2014''. Presto, ha assicurato da Bruxelles il titolare afghano della Difesa, Abdul Rahim Wardak, le forze afghane saranno in grado di gestire la sicurezza in molte delle zone del Paese ritenute 'pericolose'. ''L'attuale situazione non è così terribile come descritto dai media - ha sostenuto il ministro, nonostante il recente rapporto delle Nazioni Unite secondo cui il livello di violenza registrato quest'anno è significativamente superiore a quello del 2010 - Quello che sta accadendo è che il nemico non riesce a confrontarsi con le nostre forze e perciò si concentra su bombe collocate lungo il ciglio delle strade e attacchi sensazionali, come l'omicidio di esponenti del governo”. Intanto la prossima fase del processo di transizione prevede che, entro fine mese, siano le forze afghane a garantire la sicurezza di oltre la metà della popolazione del Paese martoriato da anni di guerre. I tempi sono stati ''rispettati'', ha assicurato a Bruxelles il ministro della Difesa Ignazio La Russa, ed ''entro il 2014 riconsegneremo tutto l'Afghanistan al legittimo governo afghano''. In quest'ottica, ''dal 2012, ma non dai primi mesi, è prevista una diminuzione progressiva'' del contingente italiano, attualmente al ''massimo dello sforzo”, con 4.200 soldati sul campo, compresi gli addestratori. “E' chiaro che nessuno (tra i 49 Paesi della Forza internazionale di assistenza alla sicurezza per un totale di 140mila uomini, ndr) sta facendo le corse per il disimpegno”, ha affermato il segretario alla Difesa americano, Leon Panetta, al suo esordio in Europa da quando ha assunto l'incarico. Quest'anno gli Stati Uniti dovrebbero ritirare diecimila soldati e oltre 20mila nel 2012, dopo il 'surge' di Barack Obama, che aveva comportato il dispiegamento di ulteriori 30mila militari. Nel frattempo, secondo Wardak, il processo di reintegro dei Talebani procede, soprattutto perché la maggior parte dei combattenti non si sarebbe unita agli insorti per motivi ideologici. Eppure l'insorgenza conterebbe ancora su almeno 20mila miliziani. E sul piano politico, il processo di riconciliazione - che ha subito un duro colpo con l'omicidio dell'ex capo di Stato e numero uno dell'Alto consiglio di pace, Burhanuddin Rabbani (Kabul sostiene che il piano per l'attentato sia stato messo a punto in Pakistan) - sembra in fase di stallo. ''Sinceramente, non abbiamo constatato molti progressi'', ha detto Rasmussen, riferendosi ai negoziati di pace tra Kabul e i Talebani. Proprio ieri, dalla vicina India (storica rivale del Pakistan), Karzai ha chiuso le porte al dialogo con i seguaci del mullah Omar e le ha aperte a Islamabad, nonostante i sospetti sui famigerati servizi segreti (Isi), accusati di connivenza con gli insorti, prima tra tutti la rete degli Haqqani, ritenuta la più pericolosa dell'insorgenza afghana. Per il presidente statunitense Barack Obama, ''non vi sono dubbi" sul fatto che l'Isi abbia "alcuni legami" con la rete Haqqani. Ed è delle ultime ore la notizia della scoperta di un complotto per uccidere lo stesso Karzai. Sei persone sono state arrestate, hanno fatto sapere da Kabul, e tutte sarebbero passate dal Waziristan del Nord, la regione tribale del Pakistan a ridosso del confine con l'Afghanistan dove si troverebbero covi di militanti di al-Qaeda e dei Talebani. L'Afghanistan, ha detto ieri Karzai, ha deciso di bloccare le trattative con i Talebani perché ''non conosce più il loro indirizzo”, ma allo stesso tempo ritiene che coinvolgere il Pakistan sia indispensabile per la pacificazione. La Nato, ha affermato oggi Rasmussen, ''non è coinvolta'' nel processo di riconciliazione e se Karzai ritiene di avviare colloqui direttamente con Islamabad, la responsabilità è sua, perché sta agli afghani guidare questo processo. Appena pochi giorni fa era stato lo stesso Karzai ad accusare il ''governo del Pakistan di non sostenere gli sforzi per portare pace e sicurezza in Afghanistan'', denunciando che gli insorti sono controllati da Islamabad. Intanto continuano le tensioni tra Pakistan e Afghanistan. Dal capo di Stato Maggiore dell'Esercito pakistano, generale Ashfaq Pervaiz Kayani, è arrivato a Kabul l'ennesimo avvertimento a bloccare le ''attività oltreconfine''. Simili azioni, ha detto Kayani stando alla tv Express 24/7, non verranno più tollerate e Islamabad ''ha le capacità per rispondere a ogni situazione''. Tutto dopo mesi di scambi di accuse su rispettivi attacchi oltreconfine e la protesta formale presentata a settembre dal Pakistan al governo afghano in seguito alle azioni ostili che dalle province afghane di Kunar e Nuristan prenderebbero di mira postazioni delle forze di sicurezza pakistane lungo il poroso confine che divide i due Paesi. Nelle ultime ore, tra l'altro, Islamabad non ha accolto certo con entusiasmo l'accordo che Kabul ha concluso con Nuova Delhi per l'addestramento delle forze di sicurezza. Karzai ha assicurato che l'intesa raggiunta ''con l'amica (India, ndr) non inciderà negativa sul nostro fratello'', il Pakistan, ma l'accordo rischia comunque di acuire le storiche rivalità tra Islamabad e Nuova Delhi, che punta - così come l'altro gigante asiatico, la Cina - ad avere un ruolo di primo piano in Afghanistan dopo il 2014. La collocazione geografica del Paese, tra Asia centrale e meridionale, è infatti di importanza strategica nel Grande Gioco in atto nella regione e sia Pechino che Nuova Delhi (uno dei principali donatori per l'Afghanistan: dal 2001 ha stanziato oltre due miliardi di dollari per la ricostruzione) sono interessate alle rotte di commercio che

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potrebbero aprirsi con la pacificazione dell'Afghanistan. La 'Nuova via della seta' prospettata nei giorni scorsi dal capo della diplomazia afghana, Zalmay Rassoul. (ADNKRONOS 6 OTTOBRE)

AFGHANISTAN: PASSAGGIO CONSEGNE TASK FORCE SOUTH TRA BRIGATE FOLGORE E SASSARI Si è svolta questa mattina a Farah, in Afghanistan, la cerimonia di trasferimento di autorità della Task Force South tra il 187° Reggimento paracadutisti ''Folgore'', comandato dal Col. Gianmarco Badialetti, e il 152° Reggimento fanteria ''Sassari'', comandato dal Col. Gianluca Carai. Con questa cerimonia si completa il passaggio di responsabilità delle unità della Brigata ''Sassari'' al comando delle task force nella regione ovest dell'Afghanistan. Il 152° reggimento assume il comando del settore sud con il controllo sulle più importanti vie di comunicazioni che attraversano tutta l'area di responsabilità del contingente italiano. ''Tutte le unità -rilevano al comando regionale ovest della missione Isaf- hanno al seguito la bandiera di guerra, simbolo che rappresenta la storia del reggimento ed il sentimento di appartenenza al nostro Paese''. ''Per la prima volta -continuano dal comando a guida italiana- in un teatro operativo sono presenti la Bandiera di Guerra del 3° Reggimento Bersaglieri, denominato ''Glorioso Terzo'' per essere la bandiera più decorata d'Italia, in operazione è responsabile del Provincial Reconstruction Team (PRT) in Herat, la Bandiera di Guerra del Reggimento ''San Marco'' della Marina Militare, per la prima volta schierato con le caratteristiche di un reggimento di fanteria ed in operazione responsabile del settore Sud- Est, la Bandiera di Guerra del 5° Reggimento Genio Guastatori responsabile della Task Force Genio, lo Stendardo del 5° Reggimento ''Rigel'' unità dell'aviazione dell'Esercito responsabile dell'Aviation Battalion''. ''Tornano in Afghanistan per la terza volta -viene rilevato- le bandiere del 151° e 152° Reggimento entrambi della Brigata ''Sassari''e per la seconda volta la bandiera del 66° Reggimento aeromobile ''Trieste''. (ADNKRONOS 6 OTTOBRE)

AFGHANISTAN/ SICCITÀ, APPELLO AUTORITÀ PER 106 MILIONI EURO AIUTI L'Afghanistan ha lanciato un appello per raccogliere 142 milioni di dollari per fornire provviste alimentari a oltre due milioni e mezzo di persone, mentre si prepara ad affrontare la peggior siccità dell'ultimo decennio. Il ministero dell'Agricoltura ha definito estremamente grave la situazione, con quattordici province - circa la metà del Paese - nel nord e nell'est colpite dalla siccità. Molti agricoltori hanno venduto il loro bestiame e ora dipendono dagli aiuti alimentari per superare l'inverno. Il Pam, il programma alimentare mondiale delle Nazioni Unite, ha lanciato un appello urgente per ricevere assistenza. (TMNEWS 6 OTTOBRE)

AFGHANISTAN: MANIFESTAZIONE A KABUL, ''USA E ALLEATI SE NE VADANO'' Centinaia di afghani sono scesi nelle strade di Kabul per chiedere il ritiro immediato delle truppe internazionali in occasione del decimo anniversario dell'invasione statunitense. I manifestanti hanno scandito slogan anti-americani come ''morte all'America e ai suoi burattini afghani'' e bruciato una bandiera a stelle e strisce al termine di una processione nel centro della città. ''La nostra e' una manifestazione di condanna all'invasione'', ha dichiarato all'Afp Hafizullah Rasekh, uno degli organizzatori. ''Vogliamo che l'esercito americano e i suoi alleati Nato abbandonino immediatamente l'Afghanistan. Per porre fine all'uccisione di innocenti''. (ASCA 6 OTTOBRE)

COSTRUIRE LA PACE (DI PIU’) _____________________________________________

DIECIMILA OCCHIALI IN VOLO PER L'AFGHANISTAN Un paio di occhiali, uno degli oggetti più comuni nelle nostre tasche e nelle nostre borse - e sul nostro naso - per migliaia di persone possono essere un sogno. perché non si trovano negozi di ottica, né tantomeno oculisti in certe zone dell’Afghanistan, dove bambini, donne e uomini di ogni età non hanno la possibilità di avere né cure mediche adeguiate, né quel semplice oggetto che cambia del tutto la vita, se non ci vedi abbastanza. Ma diecimila paia di occhiali, nei giorni scorsi, hanno preso il volo per l’Afghanistan, sia per Kabul che soprattutto per la regione di Herat, tra le più difficili ed isolate: insieme ad attrezzature sanitarie e, più precisamente, a due macchine specialistiche per interventi di carattere oftalmico. «Abbiamo già cominciato a consegnare gli occhiali in alcuni villaggi, con la collaborazione di una clinica mobile ed alcuni oculisti afghani» racconta da Kabul Maurizio Mortara, genovese, tecnico sanitario che, dopo una esperienza già consolidata con altre organizzazioni non governative in Afghanistan, ha fondato un anno e mezzo fa ad Ovada l’associazione “Volunteers onlus” , attiva sia nel paese asiatico («soprattutto in zone dov’è difficile andare senza una divisa, e siamo tra i pochi che ci riescono», spiega) che in Costa d’Avorio. L’associazione, che ha circa 600 tesserati e una ventina di collaboratori attivi, lavora d’intesa con la cooperazione internazionale italiana. La missione per la quale Mortara è partito il primo ottobre si svolge tra la capitale Kabul, dove si prevede l’allestimento di due corsie (compresi di letti e attrezzature sanitarie) per l’Esteqlal

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Hospital, e un vero e proprio viaggio nella regione di Herat, dove sono state portate due macchine per interventi oftalmici ad ultrasuoni; ora, con l’intervento di medici italiani, a partire dal primario oculista torinese professor Fabio Dossi, vengono preparati gli oculisti afghani per operare i tanti pazienti in attesa di un intervento risolutivo, e si percorrono strade accidentate e difficili per raggiungere i villaggi con le cliniche mobili, e visitare la popolazione. Duecentomila euro di attrezzature, raccolti con molti aiuti; ma soprattutto una speranza: anche da un singolo paio di occhiali, che ti cambia la vita. Maurizio Mortara ha stretto in questi anni, con tenacia e passione, contatti di collaborazione e affetto con i sanitari afghani; ma soprattutto, spiega, «la cosa più importante, quella per cui vale la pena darsi da fare, è vedere bambini che arrivano morenti in ospedale e che, dopo un mese, ti corrono incontro per abbracciarti. E quello che vorrei è far capire, soprattutto ai giovani, l’importanza di questa solidarietà, come si entra in un paese facendo anche una piccola parte, ma essenziale: come quando all’Esteqlal Hospital siamo riusciti a portare un gruppo di continuità: una maniera per evitare i black out ricorrenti, che avrebbero vanificato le cure e le operazioni». (LA REPUBBLICA.IT 11 OTTOBRE DI DONATELLA ALFONSO)

AFGHANISTAN: AL VIA DONAZIONI APPARECCHIATURE MEDICHE A HERAT E KABUL Volunteers Onlus, associazione umanitaria italiana che sviluppa progetti in favore di paesi afflitti da guerra e povertà, sta realizzando, grazie al sostegno della Cooperazione Italiana, un progetto per la consegna di apparecchiature biomedicali e materiale sanitario da destinare in donazione al Noor Hospital di Herat ed all'Esteqlal Hospital di Kabul. All'ospedale oftalmico di Herat, informa una nota, saranno consegnate due sofisticate apparecchiature di chirurgia oftalmica ad ultrasuoni (una delle quali sarà poi trasferita al Noor Hospital di Kabul), le prime ad essere installate in ospedali pubblici in tutto il Paese. La missione prevede inoltre la donazione di 10.000 paia di occhiali da vista, che saranno distribuiti, dopo screening sulla popolazione, ad altrettanti pazienti attraverso un sistema di cliniche mobili nei villaggi rurali di tutto l'Afghanistan. All'Esteqlal hospital di Kabul saranno invece donati 25 letti meccanici per ospedale che dovrebbero coprire il fabbisogno di almeno due corsie dell'ospedale. ''Le fasi della missione -prosegue la nota- hanno avuto il fondamentale appoggio logistico ad Herat della Ong italiana Aispo, che sviluppa progetti umanitari in nella provincia. L'arrivo e lo smistamento del materiale in Afghanistan e' stato reso possibile dalla disponibilità e attiva collaborazione del Coi (Centro Operativo Interforze), nonché dall'impegno dei militari italiani del Cimic”. ''Il materiale oftalmico è stato donato dal prof. Fabio Dossi, oftalmologo di Torino e membro del Rotary club della sua città, che già da tempo collabora con suoi colleghi afghani. Con la stessa spedizione -conclude la nota - e' anche pervenuta una notevole quantità di materiale didattico (sempre raccolto dal Prof. Fabio Dossi) che verrà consegnato ad alcune scuole ed orfanatrofi di Herat”. (ADNKRONOS 8 OTTOBRE).

AFGHANISTAN: FORUM TRENTINO PACE, PROGETTO 2014 Il 'Progetto Afghanistan 2014' vuole contribuire a preparare la strada al 2014, anno in cui è prevista l'uscita di scena di tutte le forze armate dell'Onu. Elaborato dal Forum Trentino per la pace e i diritti umani, con il portale d'informazione Unimondo, è stato presentato oggi a Trento da Mohammad Dauod Hussain Ali, giornalista afghano della Bbc, insieme al presidente del Forum, Michele Nardelli, affiancato dall'assessore alla solidarietà internazionale Lia Giovanazzi Beltrami. ''Da oggi e nei prossimi tre anni - ha detto il giornalista - abbiamo la possibilità di non pensare piu' alla vittoria ma a come far crescere, con il sostegno di tutti, la giovanissima società civile afghana. In tal senso il Progetto Afghanistan 2014 potrà fornire un contributo creativo di pensiero e di proposta tenuto conto che il 5 dicembre prossimo a Bonn si svolgerà la conferenza internazionale sull'Afghanistan e dove si deciderà il futuro del paese''. Nel concludere l'incontro Razi e Soheila Mohebi, due registi afghani oggi residenti a Trento, che insieme a Michele Nardelli hanno elaborato la proposta, hanno evidenziato come il Progetto voglia essere soprattutto ''un luogo di pensiero e di dialogo per costruire dal basso e non più dall'alto l'Afghanistan del futuro''. (ANSA 7 OTTOBRE).

AFGHANISTAN: 10 ANNI DI GUERRA, PER SCUOLE E OSPEDALI E' SEMPRE EMERGENZA A dieci anni dall'inizio della guerra in Afghanistan e dalla caduta del regime dei Talebani, gli afghani continuano a morire a causa di un sistema sanitario ancora inadeguato. Mancano ambulatori, medici, infermieri, così come - sul fronte dell'istruzione - mancano materiale didattico e insegnanti. La denuncia arriva da Agency Coordinating Body for Afghan Relief (Acbar), un consorzio di oltre 100 organizzazioni non governative afghane e straniere a Kabul, all'indomani del vertice della Nato a Bruxelles - da cui è arrivata la promessa che ''transizione'' non significa ''abbandono'' - e nel decimo anniversario dall'ordine di attacco contro l'Afghanistan, dopo gli attacchi dell'11 settembre. Mohammad Hashim Mayar, consigliere speciale di Acbar, in un colloquio con AKI - ADNKRONOS INTERNATIONAL, fa appello alla ''comunità internazionale'', ai ''donatori'' affinché ''si concentrino sulla qualita' dei progetti, perché molto è stato fatto dal punto di vista

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quantitativo in questi anni, ma ora bisogna guardare alla qualita' e considerare le esigenze della popolazione''. E nonostante la ricostruzione, sottolinea Mayar, il dato che emerge e' una ''diffusa insoddisfazione'' della popolazione riguardo alla qualita' dei servizi, ''anche vicino alla capitale Kabul''. Una recente ricerca di Acbar, realizzata tra giugno e settembre in otto province (comprese quelle di Kabul e Herat), dipinge il quadro di cosa è accaduto in Afghanistan dalla caduta del regime dei Talebani. Per lo studio sono stati creati focus group, composti anche da donne, nomadi kuchi e disabili, e dalla ricerca è emerso che rispetto a dieci anni fa ''ci sono più scuole e più insegnanti - spiega Mayar - più ospedali e ambulatori, ma che lo sforzo fatto sinora non e' ancora sufficiente''. Nuovi ospedali e ambulatori sono stati costruiti, ma nelle zone rurali riuscire ad avere assistenza medica e' spesso impossibile e sono frequenti i casi di diagnosi sbagliate. ''Non ci sono infermieri e medici a sufficienza - denuncia il consigliere speciale di Acbar - Nelle zone rurali si registrano i problemi principali: dai villaggi, chi ha bisogno di cure, cerca di raggiungere i distretti, dai distretti i capoluoghi di provincia e spesso e' troppo tardi''. ''Servono - aggiunge Mayar - servizi sanitari in grado di fornire assistenza 24 ore su 24''. Sul fronte dell'istruzione, invece, dalla ricerca emerge che aumentano i bambini che frequentano la scuola, anche se - osserva il consigliere speciale di Acbar - in ''molte zone del Paese manca ancora la consapevolezza dell'importanza dell'istruzione e in altrettante le condizioni di sicurezza impediscono ai ragazzini di raggiungere gli istituti''. ''Ci sono aree - afferma - in cui si registrano sequestri, minacce ad alunni e genitori, zone in cui la situazione della sicurezza e' peggiorata rispetto al passato''. E poi, in generale, ''mancano il materiale didattico, gli insegnanti, soprattutto le maestre''. E ci sono bambini che ''devono percorrere fino a tre chilometri per andare a scuola''. ''La Nato e i donatori - conclude - non devono dimenticare la popolazione dell'Afghanistan. Non c'è transizione senza sicurezza e 'sviluppo' non significa nulla senza buona governance e sicurezza''. (ADNKRONOS 7 OTTOBRE) .

AFGHANISTAN: GINO STRADA, SENZA SOSTEGNO NON CE LA FACCIAMO Senza sostegno economico, non possiamo continuare a lavorare, a curare persone, a portare umanità nella barbarie della guerra: Gino Strada, fondatore di Emergency, lancia un appello nel decimo anniversario della guerra in Afghanistan. ''Ricorre in questi giorni - dice Strada - il decimo anniversario dell'ennesima aggressione militare in Afghanistan. Quella cui orgogliosamente partecipa anche il nostro paese. La casta politica italiana dal 2002 a oggi ha sempre approvato in modo bipartisan le spese per la guerra in Afghanistan, camuffata da 'missione di pace'. Per tenervi una media di 3.000 soldati, ha speso fino a ora quasi 4 miliardi di euro. Il denaro delle nostre tasse per la guerra, contro la nostra Costituzione, contro le nostre coscienze". "In dieci anni - continua - Emergency ha speso in Afghanistan 55 milioni di euro. Con poco più dell'1% di quello che i governi italiani hanno speso per la guerra, Emergency ha realizzato 3 Centri chirurgici, un Centro di maternità, una rete di 29 Posti di primo soccorso e Centri sanitari, curando oltre 3 milioni di persone. Il lavoro di Emergency, non i blindati, e' il pezzo di Italia che gli afghani apprezzano. Le vittime non capiranno mai le motivazioni di chi porta lutti e miseria, le ragioni di chi semina terrore per combattere il terrorismo, di chi pratica la guerra per fare finire la guerra". "Persino i soldi che i cittadini hanno deciso di destinare agli aiuti umanitari attraverso il 5 per mille - conclude Strada - non sono ancora stati erogati. I soldi sono lì, nelle loro banche, i cittadini li hanno versati nel 2009, ma il governo preferisce tenerseli il più a lungo possibile. Questo sta creando a Emergency grandi difficoltà economiche, perché i nostri ospedali e le nostre cliniche non possono aspettare i tempi della politica, hanno bisogni urgenti, immediati, concreti". (ANSA 7 OTTOBRE).

AGENDA (DI Più)___________________________________________________________________

AFGHANISTAN: IN TURCHIA CONFERENZA REGIONALE IL 2 NOVEMBRE La Turchia ospiterà il 2 novembre 2011 ad Istanbul una Conferenza sull'Afghanistan a cui parteciperanno tutti i paesi confinanti e vicini per accompagnare gli sforzi di pace e riconciliazione del governo afghano. Lo riferiscono oggi i media a Kabul. La decisione di tenere la Conferenza è stata presa oggi. a margine della IV Conferenza dell'Onu sui paesi meno sviluppati, durante una colazione di lavoro offerta dal ministro degli Esteri turco Ahmet Davutoglu ad Ankara, ed a cui hanno partecipato i ministri dei paesi che parteciperanno all'incontro, quali lo stesso Afghanistan e poi Pakistan, India, Iran, Turkmenistan, Tagikistan, Kirghizistan, Arabia saudita e Emirati arabi uniti. In un comunicato stampa in cui manifestano la loro adesione all'iniziativa, i paesi firmatari riaffermano che l'appoggio al processo di trasferimento delle responsabilità della sicurezza all'Afghanistan entro il 2014. ''Un Afghanistan sicuro, stabile e prospero - si legge nel documento - è vitale per la stabilità e la pace di tutti, ma una simile atmosfera può essere assicurata solo in un più ampio contesto che rifletta l'amicizia e la cooperazione regionale''. (ANSA 10 MAGGIO).

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AFGHANISTAN: CONFERMATO VERTICE DI BONN IN DICEMBRE L'inviato speciale tedesco per Pakistan ed Afghanistan, Michael Steiner, ha confermato a Kabul che la seconda Conferenza di Bonn sull'Afghanistan si svolgerà come previsto nel dicembre prossimo. Lo riferisce l'agenzia di stampa Pajhwok. La conferma della realizzazione dell'iniziativa è stata data dallo stesso Steiner in un incontro ieri sera con il ministro degli Esteri afghano, Zalmai Rassoul. E se la prima Conferenza, durata nove giorni e svoltasi nel 2001, permise la creazione di costituire una Autorità di transizione afghana, di introdurre una Costituzione post-talebana e definire elezioni presidenziali e parlamentari, la seconda dovrà approfondire le prospettive della transizione in corso ed il futuro dell'Afghanistan. Steiner e Rassoul hanno anche confermato che la seconda Conferenza di Bonn sarà gestita dal governo afghano. (ANSA 3 AGOSTO).

NATO/ IL SUMMIT 2012 SARÀ A CHICAGO, CITTÀ DI OBAMA Sarà a Chicago il summit di maggio 2012 sull'Afghanistan della Nato, insieme al vertice G8. Fonti della Casa Bianca hanno anticipato l'annuncio che il presidente Barack Obama farà in serata, all'interno del discorso sul ritiro delle truppe Usa in Afghanistan. Obama porta così nella sua città un altro importante appuntamento oltre al vertice degli otto più grandi paesi industrializzati. Non è la prima volta che il presidente sceglie un luogo a lui caro per un appuntamento importante: il summit sulla cooperazione in Asia-Pacifico si tiene quest'anno alle Hawaii, stato dove Obama è cresciuto. L'ultima volta che gli Usa avevano ospitato il G8 era stato a Sea Island in Georgia nel 2004. Il vertice Nato di Chicago sarà dedicato alla verifica degli obiettivi fissati allo scorso vertice di Lisbona nel 2010, quando l'alleanza occidentale aveva deciso di fissare la data del 2014 per il passaggio della responsabilità per la sicurezza alle forze armate afgane. (TMNEWS 22 GIUGNO)

NATO: RASMUSSEN, SUMMIT CHICAGO IL 20-21 MAGGIO 2012 Il prossimo summit della Nato si terrà a Chicago il 20 e 21 maggio del 2012. Le date sono state annunciate dal segretario generale, Anders Fogh Rasmussen, a margine dell'Assemblea generale della Nazioni Unite secondo quanto informa una nota dell'Alleanza Atlantica. L'agenda del vertice non e' stata ancora completata, ma tra i punti centrali ci saranno l'Afghanistan (in cui - secondo la Nato ''la transizione sara' completata nel 2014''), lo scudo anti-missile (con Rasmussen che si augura una ''intesa con la Russia per una cooperazione nel sistema di difesa anti-missile'') e la cosiddetta 'smart defence'. Rasmussen ha quindi affermato che il summit di Chicago chiarirà che ''non abbandoneremo l'Afghanistan: resteremo impegnati, con l'obiettivo principale di addestrare e formare le forze di sicurezza afghane per continuare a migliorare le loro capacità operative''. (ANSA 23 SETTEMBRE)

COMMENTI (DI Più)_______________________________________________________________

IN EGITTO LE CHIESE BRUCIANO, IN AFGHANISTAN SONO GIÀ SCOMPARSENei giorni scorsi la ferocia salafita ha mietuto nuove vittime nella comunità copta egiziana e la giunta militare al potere non ha battuto ciglio. Sappiamo che i copti stanno facendo le valigie, e che gli islamisti attendono con ansia di impadronirsi delle loro ricchezze. Il loto di Piazza Tahrir si è spezzato e le rivoluzioni del mondo arabo mostrano il loro volto peggiore, quello del fondamentalismo islamico. Ma c'è di peggio, e non se ne parla. In Afghanistan, secondo il Dipartimento di Stato americano, non ci sono più chiese cristiane. Nessuno si azzarda ad aprirne una sotto il governo del "democratico" presidente Karzai, le uniche cappelle dove ospitare i credenti sono quelle negli accampamenti militari e nei PRT. La nuova Costituzione in teoria dovrebbe difendere le fedi minoritarie, in pratica la libertà religiosa è una chimera. Non che durante l'Emirato Talebano in Afghanistan le cose andassero diversamente, figuriamoci. Ma dopo aver rovesciato il mullah Omar gli Usa hanno speso 440 miliardi di dollari per sostenere il governo Karzai e 1.700 soldati americani sono morti per liberare il Paese. E' stato tutto inutile: nella nuova democrazia afghana, in cui l'Islam è religione di Stato, gli apostati rischiano di perdere quello che hanno, il lavoro, i legami familiari e con gli abitanti del loro villaggio, uno straccio di assistenza legale quando vengono trascinati in tribunale. Hamid Karzai ha fatto davvero un grande lavoro. (L’OCCIDENTALE 12 OTTOBRE DI ROBERTO SANTORO )

AFGHANISTAN: LA GUERRA INFINITASe un mese fa il decimo anniversario dell’11 settembre era stato ricordato da imponenti celebrazioni accompagnate da una vasta e partecipe copertura mediatica, il compimento del decimo anno dall’inizio della guerra in Afghanistan, venerdì scorso, è invece passato quasi sotto silenzio. Lo scorso 11 settembre l’America, pur vivendo ormai in una fase completamente diversa dal 2001, con priorità e preoccupazioni totalmente mutate, era stata riportata forzosamente, dal clamore dei mezzi di informazione e dalla retorica di

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Stato, al clima di dolore e di paura generato dal crollo delle torri gemelle. E’ stato invece ben inferiore negli Stati Uniti il numero di coloro che, la settimana passata, hanno voluto riflettere sulle conseguenze di quel tragico evento, e sulle implicazioni e i significati di una guerra enormemente costosa e devastante, che a dieci anni dal suo inizio è ben lontana dall’essersi conclusa. Ma, se un certo dibattito si è comunque registrato sulla carta stampata americana in occasione di questo secondo anniversario, il silenzio è invece stato pressoché totale in Europa – e soprattutto in Italia – sebbene l’informazione del vecchio continente avesse dato in precedenza ampio spazio alle commemorazioni dell’11 settembre, e sebbene i paesi europei continuino ad essere pienamente impegnati nella guerra afghana.UN TRAGICO BILANCIO PER L’AMERICA…L’operazione “Enduring Freedom” – inizialmente chiamata “Infinite Justice”, con una scelta ancora più infelice da parte dell’allora presidente americano George W. Bush – non ha portato giustizia né libertà in Afghanistan, ma solo una guerra senza fine, e incalcolabile sofferenza e distruzione. L’obiettivo dichiarato di quello che è ormai divenuto il conflitto più lungo mai combattuto dagli Stati Uniti era quello di rovesciare il governo dei Talebani e smantellare al-Qaeda, allo stesso tempo mostrando “alla popolazione oppressa dell’Afghanistan…la generosità dell’America”, secondo le parole dello stesso Bush. Ma a dieci anni dall’inizio dell’invasione militare, sebbene Bin Laden sia stato infine ucciso all’inizio di maggio (in un’operazione delle forze speciali USA che ha avuto il sapore di una vendetta, più che di un atto di giustizia, e che ha lasciato uno strascico di ombre e perplessità), i Talebani sono da tempo tornati prepotentemente alla ribalta, e l’Afghanistan continua ad essere uno Stato fallito. Più di 2.700 soldati della coalizione occidentale sono morti in Afghanistan (di cui 1.780 americani; sono invece 45 i militari italiani caduti), e il numero annuale delle vittime è cresciuto progressivamente. Per non parlare poi delle vittime afghane, solitamente dimenticate in questo tipo di statistiche: solo fra i civili, oltre 8.000 afghani sono rimasti uccisi negli ultimi quattro anni, con un bilancio che continua ad impennarsi su base annuale. I costi di questa guerra, sommati a quelli del conflitto iracheno, sono stati spaventosi per l’America: secondo l’Eisenhower Research Project, tenendo conto delle spese a lungo termine, i due conflitti sono destinati a raggiungere un costo di almeno 3.200 miliardi di dollari allo stato attuale. Secondo la stessa ricerca, il costo annuale di queste guerre per il contribuente americano, pari a circa 130 miliardi di dollari, sarebbe sufficiente a creare quasi due milioni di posti di lavoro in America nel settore dell’istruzione, della sanità e dell’edilizia. Bin Laden è stato ucciso, è vero, ma ha realmente perso? Se da un lato il suo sogno di un califfato islamico giace ormai in frantumi, e nessuno dei regimi arabi che egli odiava è caduto per mano dell’Islam fondamentalista (piuttosto, tali regimi stanno ora vacillando sotto i colpi di una primavera araba sorta da istanze completamente differenti da quelle avanzate da Bin Laden), dall’altro egli è riuscito, con la complicità dell’amministrazione Bush, a trascinare l’America in una guerra senza fine, su molteplici fronti, che ha prosciugato l’economia e il bilancio statale degli Stati Uniti. Sempre con la complicità dell’amministrazione Bush (dal cui solco l’attuale amministrazione Obama purtroppo non sembra riuscire ad allontanarsi), Bin Laden ha contribuito a degradare la qualità della vita, dei diritti e delle libertà in America. Il fattore della paura ha spinto la società americana verso un maggior conservatorismo (una tendenza ulteriormente rafforzata dalle incertezze della crisi economica), quando non addirittura verso una forma di ultranazionalismo che ha ulteriormente favorito un dispiegamento militare USA nel mondo che è al di sopra delle possibilità dello Stato americano. Questa deriva fa sì che un’amministrazione democratica come quella di Obama persegua politiche quali l’uccisione extragiudiziale di cittadini americani nel mondo (si veda il recente assassinio del presunto leader qaedista Anwar al-Awlaki, nato nel New Mexico da genitori yemeniti) – politiche che sarebbero state duramente criticate negli anni del repubblicano Bush, mentre adesso vengono sbandierate come una vittoria della “democrazia” americana sul terrorismo.…E PER L’AFGHANISTANNel frattempo anche i successi del nuovo governo afghano appaiono trascurabili. Di fronte ad alcuni lievi miglioramenti nel settore dell’istruzione e della sanità, soprattutto per le donne – miglioramenti che tuttavia restano fragili e molto parziali, e rischiano di essere rapidamente spazzati via – il fallimento maggiore resta quello di non aver fornito sicurezza ai cittadini afghani. Se il controllo delle forze afghane e dell’ISAF (la coalizione occidentale) è leggermente migliorato nelle regioni meridionali e sudorientali del paese, tradizionali roccaforti talebane, è però aumentata la penetrazione dei Talebani nel nord e nel nordest, e si sono intensificati i loro attacchi nel cuore di Kabul. Solo quest’anno, oltre 150.000 afghani sono stati costretti a lasciare le proprie abitazioni a causa della violenza, ed altre migliaia sono ora spinte a farlo a seguito della siccità. Su questo sfondo, il presidente Obama ha annunciato lo scorso giugno che gli Stati Uniti avrebbero ritirato 10.000 soldati dall’Afghanistan entro la fine del 2011, e più o meno altri 23.000 entro la fine dell’estate successiva. L’obiettivo dichiarato sarebbe quello di trasferire la gestione della sicurezza nelle mani delle forze afghane entro il 2014. Ma sul fatto che queste ultime saranno in grado di assumersi tale responsabilità entro quella data, la maggior parte degli analisti esprime grosse perplessità. Comunque, come

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ha messo in chiaro il segretario generale della NATO Anders Fogh Rasmussen, “la transizione non è una partenza; non ce ne andremo quando gli afghani prenderanno il comando”. Ciò significa che l’impegno della NATO in Afghanistan continuerà. A tempo indeterminato. Secondo Robert Grenier, ex direttore del Centro antiterrorismo della CIA, Washington starebbe ridimensionando le proprie aspirazioni in Afghanistan, ed attualmente punterebbe a “gestire l’instabilità”. In altre parole, la maggior parte delle truppe statunitensi si ritirerà, ma gli Stati Uniti manterranno alcune basi in Afghanistan dalle quali gli aerei potranno alzarsi in volo per contrastare eventuali attacchi di Talebani contro le città. L’obiettivo sarà quello di impedire che i Talebani rovescino il regime di Kabul, e di continuare a tenere sotto tiro nel paese qualsiasi gruppo identificabile come affiliato ad al-Qaeda. Ma ciò sarà realmente possibile? Molti analisti ritengono che in realtà l’Afghanistan rischi di piombare in una guerra civile analoga a quella che scoppiò all’indomani del ritiro sovietico del 1989, e che il governo Karzai potrebbe crollare così come crollò il regime filosovietico di Najibullah. Karzai è sempre più solo. Malgrado i suoi tentativi di “dialogare” con i Talebani, l’annuncio del ritiro delle truppe americane a giugno è stato seguito da un’escalation che ha fatto ben comprendere quanto siano scarse le prospettive di una riconciliazione inter-afghana che mantenga al potere l’attuale presidente ed il suo governo anche dopo la partenza del grosso delle truppe USA. L’attacco all’Intercontinental Hotel a Kabul è stato solo l’assaggio di una delle estati più calde che il governo Karzai e le truppe NATO abbiano mai dovuto affrontare dall’inizio della campagna occidentale in Afghanistan. A luglio è stato ucciso Ahmed Wali Karzai, l’influente fratello del presidente. A settembre i Talebani hanno condotto un assedio di 19 ore alla zona di sicurezza che a Kabul comprende l’ambasciata USA e il quartier generale della NATO. Soltanto una settimana dopo, è stato ucciso Burhanuddin Rabbani, ex presidente dell’Afghanistan e uno dei principali negoziatori di pace. L’assassinio di Rabbani sembra aver distrutto qualsiasi speranza di un “processo di pace” con i Talebani, ed ha lasciato il governo Karzai alla deriva. Tale assassinio ha anche coinciso con un nuovo picco negativo nei rapporti fra Stati Uniti e Pakistan. Quest’ultimo è accusato dagli americani di sostenere la rete Haqqani, alleata dei Talebani in Afghanistan.UN NUOVO “KASHMIR” TRA INDIA E PAKISTAN?Dopo dieci anni di braccio di ferro e di collaborazione coatta nella “guerra al terrorismo”, Islamabad e Washington – i due amici-nemici – sembrano ormai sull’orlo dello scontro aperto. Inoltre, questi anni di guerra hanno letteralmente distrutto le istituzioni statali del Pakistan, e portato il conflitto sul suolo pakistano. Sebbene il Pakistan abbia ricevuto 20,5 miliardi di dollari in aiuti americani a partire dal 2001, essi sono andati per il 70% all’esercito, a scapito del governo civile. A Islamabad sono i vertici militari a dettare le scelte di politica estera del paese, soprattutto nei confronti dell’India, dell’Afghanistan e degli Stati Uniti, e tali vertici non sono soggetti al controllo del governo. Le forze armate pakistane hanno utilizzato gli estremisti islamici come strumenti per perseguire i loro obiettivi di politica estera, ma questa tattica si è rivelata un boomerang e ha prodotto un movimento estremista interno – i Talebani pakistani – che si è rivoltato contro lo Stato. L’ascesa dei Talebani pakistani e la crescente insurrezione separatista nella regione del Baluchistan hanno fatto perdere allo Stato pakistano il controllo sul 10-15 % del proprio territorio. L’ascesa fondamentalista ha prodotto anche un incremento degli attacchi contro le minoranze, come i cristiani e gli sciiti. I pericoli di anarchia interna, di una guerra civile, o di un golpe da parte dei militanti islamici, stanno diventando concreti per il paese. Nel frattempo, la politica americana “del bastone e della carota” nei confronti del Pakistan – fatta di minacce frammiste a collusioni con l’establishment pakistano – sta esasperando il vicino e “fraterno nemico” di Islamabad: l’India. Con intimidazioni e lusinghe, Washington vuole persuadere il Pakistan a muovere guerra alla rete Haqqani, la quale fra l’altro ha colpito più volte gli interessi indiani in Afghanistan (si possono ricordare in particolare i due attacchi all’ambasciata indiana a Kabul). Ma allo stesso tempo gli USA chiedono l’aiuto dei servizi segreti pakistani per negoziare con questo stesso gruppo un possibile ingresso di quest’ultimo nel governo afghano. Delhi, fra l’altro, è convinta che sia stato il Pakistan ad architettare l’assassinio di Rabbani, il quale, oltre a essere stato presidente dell’Afghanistan, fu uno dei leader dell’Alleanza del Nord, sostenuta dall’India contro i Talebani all’epoca della guerra civile afghana negli anni ’90. L’India è pertanto inorridita all’idea che Washington collabori con i suoi nemici (il Pakistan e la rete Haqqani) per inserirli nell’attuale struttura di potere a Kabul, la quale al momento è invece molto vicina a Delhi. E non deve trarre in inganno l’apparente distensione fra India e Pakistan sul fronte dei rapporti commerciali e dei negoziati sul Kashmir. Quest’ultima è certamente un’apertura interessante, ma la risoluzione della questione del Kashmir richiederebbe in ogni caso tempo e perseveranza per colmare il divario tra le posizioni dei due paesi – elementi che però mancano drammaticamente alla luce della rapida evoluzione degli eventi in Afghanistan (a cui bisogna aggiungere il fatto che sia in India che in Pakistan esistono potenti lobby che non vogliono in nessun caso la riconciliazione fra i due paesi). Il timore che si possa andare verso uno scontro tra India e Pakistan in Afghanistan, invece che verso una definitiva riconciliazione fra i due paesi, sembra essere confermato dalla visita compiuta da Karzai in India all’inizio di ottobre. Già in passato Karzai ha cercato l’appoggio di Delhi come contrappeso a Islamabad. Inoltre, come

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già accennato nel caso di Rabbani, i principali alleati politici del presidente afghano in patria sono i gruppi che in passato facevano capo all’Alleanza del Nord appoggiata dall’India durante la guerra civile afghana. L’irritazione di Delhi nei confronti delle politiche di Washington in Pakistan e Afghanistan, e la visita di Karzai, fanno sospettare che l’India intenda assumere l’iniziativa nella crisi afghano-pakistana. Il presidente afghano ha stipulato con Delhi un accordo di partnership strategica che comprende un’espansione dei rapporti commerciali fra i due paesi, l’appoggio di Kabul al tentativo indiano di ottenere un seggio permanente al Consiglio di Sicurezza dell’ONU, ma soprattutto l’assistenza indiana all’addestramento e all’equipaggiamento delle forze di sicurezza afghane in vista della scadenza del 2014. Questo accordo significa anche che l’India si candida ad avere un ruolo di primo piano nello sfruttamento delle enormi risorse minerarie recentemente scoperte in Afghanistan, e conferma un fatto già noto, e cioè che Delhi considera i gruppi non pashtun dell’Afghanistan centrosettentrionale come un baluardo contro la possibile conquista del paese da parte dei Talebani. Un simile accordo strategico, però, non può che aggravare le paure pakistane di un “accerchiamento” indiano attraverso l’Afghanistan, spingendo ulteriormente Islamabad a fare di tutto per ottenere l’insediamento di un governo filo-pakistano a Kabul – se necessario, anche con la violenza. In altre parole, si sta assistendo a una polarizzazione che per molti versi è una replica di quanto accadde all’indomani del ritiro sovietico, e che portò alla guerra civile degli anni ’90, nella quale l’Alleanza del Nord era sostenuta dall’India (oltre che da Russia e Iran) e i Talebani dal Pakistan (e dall’Arabia Saudita). L’Afghanistan post-2014 potrebbe dunque divenire una sorta di nuovo “Kashmir” per i due rivali nucleari dell’Asia meridionale, con conseguenze imprevedibili per la regione. (MEDARABNEWS 12 OTTOBRE DI REDAZIONE )

AFGHANISTAN, IL BILANCIO DOPO 10 ANNI DI IMPEGNOSubito dopo gli attentati dell’11 settembre l’Italia ha manifestato la volontà e la disponibilità a partecipare alla lotta contro il terrorismo internazionale. Siamo andati in Afghanistan a sostegno della risoluzione dell’Onu 1386 del 20 dicembre 2001. In altri termini siamo andati a quasi 6000 chilometri di distanza dal nostro paese per consentire all’Afghanistan di diventare stabile, e quindi sicuro. Un impegno iniziato il 18 novembre 2001 con l’invio di un gruppo navale nel Mar Arabico con la partecipazione multinazionale Endurign Freedom poi proseguito con la missione Isaf (International security assistance force). A dieci anni di distanza è d’obbligo trarre un bilancio di quanto fatto dei risultati raggiunti. Un bilancio che ci racconta di un Afghanistan diverso da quello che abbiamo trovato dieci anni fa anche se è inutile nasconderlo, la strada per una vera democratizzazione del paese richiede ancora del tempo. Come ha sottolineato il ministro della Difesa Ignazio La Russa, “dieci anni di impegno hanno consentito di mettere in grave difficoltà il terrorismo. Non l’abbiamo battuto ma l’abbiamo costretto a stare sulla difensiva”. Non bisogna abbassare la guardiaIl tempo di abbassare la guardia perciò non è ancora arrivato anche se in occasione dell’incontro tra i ministri della Difesa della Nato a Bruxelles è stato tracciato un “calendario” del disimpegno militare internazionale. La Nato si appresta a far rientrare decine di migliaia di soldati da qui alla fine del 2012 con l’obiettivo di un ritiro quasi totale entro il 2014 quanto il processo di transizione della responsabilità della sicurezza in mani afgani dovrebbe essere completato. L’Italia che quest’anno sta sopportando il massimo sforzo in Afghanistan con 4.200 militari schierati, attuerà una progressiva riduzione del contingente a partire dal 2012. i lritmo dei rientri sarà accelerato nel 2013 per arrivare al 2014 con il Paese restituito agli afghani. Già quest’anno porzioni importanti del territorio afghano sono state consegnate al governo locale e alla fine del mese il cinquanta per cento della popolazione dovrebbe passare sotto il controllo delle autorità afghane. La transizione tanto attesa sta diventando realtà anche grazie all’impegno italiano, come dimostra l’esempio del passaggio di consegne della città di Herat avvenuto lo scorso luglio dal comando regionale italiano alle forze di sicurezza locali. Evoluzione difficile ma positiva dove tanto ha fatto l’approccio degli italiani che hanno aiutato gli afghani a ricostruire la loro dignità nazionale, passando attraverso un rinnovato senso di appartenenza che sta amalgamando tra loro etnia pashtun, hazara e tagika.I ragazzi ora possono studiareNella zona sotto la responsabilità italiana il Regional Command West, un’ampia regione dell’Afghanistan occidentale grande quanto il Nord Italia che si estende sulle quattro province di Herat, Badghis, Growhr e Farah le nostre forze armate hanno costruito praticamente di tutto. Strade, ponti, scuole, ospedali, pozzi e l’elenco potrebbe continuare. Volendo fare delle stime sono oltre sessanta le scuole realizzate dai Prt (PRovincial Reconstruction Team) negli ultimi cinque anni che hanno consentito di studiare ad oltre 80 mila ragazzi. In un paese dove il circa 45 per cento della popolazione ha meno di quindici anni non è poco. Tanto è stato fatto anche per migliorare la condizione delle donne. Oltre alle scuole femminili come ad esempio quella di Jeebrail sono state realizzate iniziative a favore dell’inserimento nel mondo del lavoro di giovani vedove e studentesse. Alla “Wadhat Women Union” sono state consegnate numersoe macchine da cucire mentre alla “Saffron Women Cultivators Association” sono stati donati bulbi di zafferano. Su questa pianta

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che ben si adatta al suolo e al clima arido del paese si è puntato per creare una alternativa sostenibile alla coltivazione di oppio. Sempre più importante lo sforzo sanitarioDi tutto rilievo inoltre l’impegno sanitario. Anche in questo caso sono i numeri a parlare. Ad esempio nel solo 2010 alla base di Camp Arena a Herat sono state effettuate tremila visite mediche il settanta per cento delle quali a donne e bambini. Nell’ottica di favorire l’autosufficienza della popolazione sono stati realizzati corsi di formazione per infermieri consegnate decine di autoambulanze (donate dalla Croce Rossa) e materiali per allestire ospedali e studi odontoiatrici. Difficile contare i pozzi d’acqua realizzati quel che importa è aver consentito alle popolazioni di interi villaggi abituati a chilometri di strada per raccogliere l’acqua di poter disporre di un bene tanto prezioso.Il processo di sviluppo socialeInnumerevoli piccole o grandi attività umanitarie realizzate da militari e civili italiani per supportare il processo di sviluppo economico e sociale di questa nazione così martoriata. Attività umanitaria che non deve però distogliere l’attenzione su quanto i nostri ragazzi e le nostre ragazze hanno fatto e tutt’ora fanno sul piano “operativo” per migliorare la sicurezza e contribuire a tenere il terrorismo lontano dalle nostre case. Gli è stato riconosciuto a livello internazionale il merito di aver contribuito ad addestrare le forze di sicurezza dell’esercito e della polizia locale, insegnandogli anche a gestire mine ed esplosivi. Attività d’obbligo in uno degli Stati con il più alto numero di mine disseminate su tutto il territorio (nel 2005 si contavano 640 mila mine antiuomo e anticarro, nonché miliardi di ordigni inesplosi) dove la vera minaccia è rappresentata dai micidiali Ied (Improvised explosive device). Ieri come oggi si lavora per prevenire le azioni degli insorti. Dal mese di novembre dello scorso anno quasi cinquecento insorti hanno aderito al programma di pace e reintegrazione rendendo la provincia di Baghidis un punto di riferimento per tutto il paese. Possono sembrare pochi, una goccia nella realtà magmatica dell’insorgenza ma è un buon segno che da speranza.Il ricorso dei nostri eroiNel bilancio purtroppo non mancano i caduti: sono stati 44 dall’inizio della missione. Un prezzo altissimo come ha affermato il ministro della Difesa Ignazio La Russa che ha ribadito la sua gratitudine per “chi ha dato la vita e per chi ha speso il meglio di sé per la sicurezza di quella regione e di tutto il mondo”. Attualmente il comando del Regional Command West di Isaf è affidato alla brigata “Sassari” che lavorerà, come chi l’ha preceduta, a favore del percorso di crescita dell’Afghanistan. Per una vera democratizzazione ci vorrà ancora tempo per questo è importante non pensare di abbandonare il popolo afghano al suo destino. La Nato per voce del segretario Anders Fogh Rasmussen si è già detta pronta a portare avanti l’impegno ben oltre il 2014. L’obiettivo è fare in modo che l’Afghanistan diventi una nazione in pace con se stessa e con i propri vicini forse i veri nemici del processo di “normalizzazione” e della presenza di “non locali”, considerata da sempre troppo ingombrante. L’Afghanistan è oggi infatti più che mai al centro di interessi regionali molto forti caratterizzati da visioni geopolitiche che non hanno interesse a far rinascere il Paese. E’ per questo che si deve continuare. (IL SECOLO D’ITALIA 11 OTTOBRE DI ELENA DORIA )

BREVE STORIA DELLA LIBERTA’ DI STAMPA IN AFGHANISTANL’attentato del 9 settembre 2001 che uccise il ‘leone del Panshir’ Ahmed Shah Massoud – eroe per alcuni, Signore della Guerra per altri – resta emblematico perché legato a uno degli strumenti più diffusi nella moderna comunicazione: la telecamera. L’occhio visivo dalla narrazione razzente ed essenziale fu per lui strumento di morte. La storia è nota. Due finti giornalisti marocchini avevano occultato in una macchina da presa un ordigno che esplodendo durante la falsa intervista si portò via l’indomito e raffinato combattente. Cosicché l’odio verso l’informazione mostrata da molti uomini del potere afghano, di epoche e appartenenze diverse, potrebbe scaturire da quell’episodio. La realtà è che nella nazione delle bombe, le parole, le libere parole sono la linfa vitale che può rinfocolare speranze. Accanto servono fatti e di questi la società afghana è deprivata. Serve soprattutto agire per la gente comune che sogna un’esistenza pacifica senza invasioni esterne e conflitti interni. La libertà d’espressione che cammina al fianco a quella di pensiero, sommata all’istruzione, alla partecipazione diretta nella vita civile, alla rottura del cerchio della paura possono diventare strumenti centrali per la conquista della democrazia nel martoriato Paese mediorientale. Per questo sono ferocemente osteggiati.Un soffio di storiaAll’inizio del secolo scorso, nel 1906, il giornale Siraj-ul-Akhbar, che si stampava in dari, la lingua dei tagiki, era l’unico quotidiano conosciuto. Ebbe breve durata. Dopo un’interruzione di cinque anni Mahmud Tarzi gli ridiede vita con un taglio editoriale critico verso il colonialismo britannico. Tarzi era anche uno scrittore e, sostenendo idee progressiste, spinse i monarchi Habibullah Khan e Amanullah Shah a introdurre riforme sociali favorevoli alle stesse donne. Negli anni Venti comparvero nuove pubblicazioni: il quotidiano Aman-i-afghana e alcuni periodici; venne promulgata la prima Costituzione alla quale nel 1931 seguì una seconda. Fu

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però la Costituzione del 1964 a sancire una regolamentazione del settore e garantire libertà di stampa. Il colpo di stato del 1973 che depose il re Zahir Shah portava alla chiusura di decine di testate sorte nel frattempo. Col partito filo sovietico, al potere dal 1979 al 1992, l’uso della stampa divenne prettamente propagandistico. Il periodo talebano (1996-2001) fu anche peggiore, visto che perseguitò giornalisti, editori e pubblico. Possedere un televisore conduceva il proprietario verso fustigazione e detenzione; oltre a quel mezzo di ‘corruzione’ anche carta stampata e foto vennero proibite. Nel 2001 con la caduta del regime fiorirono speranze spesso, come vedremo, deluse.L’era KarzaiLe condizioni dell’informazione sono sicuramente mutate dall’inizio del 2002. Sono sorte molte radio, televisioni, è fiorita nuova stampa quotidiana e periodica. Inizialmente la mediocre qualità dell’emittenza pubblica ha dato spazio a Radio Free Afghanistan, sostenuta dagli Usa accanto all’immancabile The Voice of America. Per svariare, la popolazione ascoltava anche radio locali in lingua dari e in qualche caso in pashto. Spesso queste strutture sono finite sotto il controllo dei potentati locali, l’esempio più conosciuto a Herat dove Ismael Khan fece mutare linea editoriale a un’emittente che denunciava le sue aggressioni. Purtroppo l’ostilità verso il giornalismo libero ha rappresentato il rovescio della medaglia della presunta normalizzazione di Karzai sostenuta dall’Enduring Freedom. Responsabili degli attacchi all’informazione gli uomini di governo tuttora in carica, i Signori della Guerra con cui il premier stabilisce rapporti di tolleranza o amicizia arrivando persino a inserirli nelle Istituzioni, e naturalmente i Taliban che anno dopo anno sono tornati a essere strategicamente vivi, presenti e forti in ogni provincia afghana. Un documento di ‘Reporters sans frontières’ del 2002 contava 150 pubblicazioni cartacee (quasi tutte in dari), più una trentina di siti web. Il primo giornale riapparso dopo la caduta talebana, The Kabul Weekly diretto da quel Fahim Dashty rimasto ferito durante l’attentato a Massoud, si trasformò da organo pro mujaheddin in un settimanale indipendente. Fu Dashty a decretarne la svolta ricevendo sostegno economico da danarosi parigini e londinesi. L’esperienza, con non poche difficoltà, è durata meno d’un decennio, s’è interrotta nei mesi scorsi per l’esaurimento di finanziamenti e l’impossibilità di pagare perfino la tipografia. Dal 2004 – periodo in cui Hamid Karzai fu eletto presidente – le inchieste che monitoravano i comportamenti degli uomini forti del regime sono diventate meno frequenti perché il Palazzo accusava gli autori di divulgare tesi talebane o qaediste. Il Capo dello Stato, i Ministri degli Esteri e dell’Informazione si sono resi protagonisti di divieti (visti d’ingresso o autorizzazioni al lavoro negati) a reporter stranieri. L’organo della sicurezza dell’epoca (Amniat Millz) ha ripetutamente represso l’attività giornalistica nonostante la legiferazione sulla stampa introdotta nel 2005 proibisca la censura dei media che si sono registrati presso il Ministero dell’Informazione. Però, in conformità con una legge del 1965, viene conservata la facoltà d’interdire articoli offensivi verso l’Islam e svalutanti nei confronti delle Forze Armate. Sul tema il portavoce del Consiglio degli Ulema Ahmad Manawi è stato in più di un’occasione categorico: “La libertà d’espressione è una conquista importate. Ma essa non può permettere l’insulto del sacro e dei sentimenti religiosi del popolo”. Inoltre l’articolo 130 dell’attuale Costituzione dichiara che nelle circostanze non definite per legge si ricorre al diritto canonico hanafita e all’applicazione della Sharia con le conseguenti punizioni. Parecchi cronisti sono stati accusati di blasfemia e hanno dovuto interrompere l’attività. Nel 2009 ne ha fatto le spese anche il quotidiano Payman definitivamente soppresso.ViolenzeLa sequela d’intimidazioni, rapimenti, omicidi che hanno colpito i giornalisti è lunghissima. Col tempo si sono sommate decine e decine di casi. Si possono fare nomi e cognomi dei cronisti afghani e d’altra nazionalità rimasti vittime, talvolta si possono dare i nomi degli stessi aggressori e mandanti, però non accade nulla. Così il manager di Radio Daikundi che venne indebitamente detenuto dal locale capo della polizia, oppure la giornalista del Cheragh Daily Katreen Weda, anch’essa arrestata in base ad abuso di potere, hanno vissuto avventure spiacevoli ma meno drammatiche di Asghar Zada, direttore della filogovernativa RTA sfuggito a un attentato nel 2007 o d’un reporter sempre del Cheragh Daily picchiato a sangue dal capo della federazione olimpica di kickboxing. Sono episodi denunciati dalle vittime che paradossalmente si possono catalogare come “minori”. Mentre Catuli, Fuentes, Burton, Haidari, assassinati alla fine del 2001 sulla via fra Jalalabad e Kabul, non poterono raccontare i risvolti della tragica fine, e sebbene le autorità afghane abbiano avuto l’identità dei sospettati e a uno di loro, il comandante mujaheddin Tahir, fossero trovati effetti personali degli uccisi, non si arrivò a niente. Eppure questo fu un caso eclatante in cui erano coinvolte Italia, Spagna, Australia. Invece per taluni giovani freelance afghani scomparsi senza lasciare traccia non ci fu interessamento alcuno perché non avevano contratti con gruppi editoriali. Erano afghani e poi operatori di un’informazione di serie inferiore. Il governo non intraprese indagini, la Comunità Internazionale volse lo sguardo altrove. Indicativo anche il controverso epilogo della vicenda che nel marzo 2007 coinvolse un altro inviato italiano, Daniele Mastrogiacomo de La Repubblica, sequestrato assieme al collega afghano Ajmal Naqshbandi dalla fazione del mullah Dadullah. Dopo l’efferata decapitazione del loro autista entrambi furoro liberati grazie alla mediazione dell’Ong Emergency, ma a breve ci fu la ricattura e l’assassinio di Naqshbandi

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che suscitò polemiche per la disparità di trattamento col giornalista italiano e le oscure trattative intessute coi talebani dall’Intelligence di Kabul, cui non sembrava estraneo Karzai in persona. La scia di morte non si fermò. In quel tragico periodo Zakia Zaki di Radio Sohl fu assassinata davanti al figlioletto, e nel 2008 giungeva l’uccisione del cronista norvegese Carsten Thomassen del Dagbladet. Quindi la raccapricciante vicenda di Samad Rohani corrispondente della BBC e di Paihwak, torturato prima d’essere crivellato di colpi, non – come s’affrettò a sostenere il Ministro dell’Interno – dai soliti talebani, bensì dai clan della droga dell’Helmand. All’inverso un episodio come quello dello studente di giornalismo Perwiz Kambakhsh – arrestato e condannato a morte per avere scaricato da Internet e diffuso notizie sul ruolo della donna nell’Islam, e poi graziato da Karzai – risulta veramente unico.La situazione odiernaOggi si contano trecento testate, fra cui 15 quotidiani e 7 agenzie stampa, una trentina di canali televisivi e centinaia di radio. RTA, la Radio Televisione Afghana, voce ufficiale della nazione è tuttora attesa a un servizio pubblico libero e non condizionato. Fra le reti private Ariana Afghanistan TV è stata la prima che dal 1989 si è rivolta alla comunità afghana interna e a quella che vive in altre parti del mondo. Mostra il duplice intento d’informare ed educare la popolazione locale, ancor’oggi afflitta da ampie sacche di analfabetismo, e tener vivo fra i profughi lo spirito nazionale ben oltre le diversità etniche. Tolo TV, che in dari e pastho significa alba, è l’emittente commerciale più seguita. E’ stata lanciata dal Moby Media Group dell’afghano-australiano Saad Mohseni; oggi con profitti superiori ai 20 milioni di dollari conta oltre 400 dipendenti. Dal 2007 trasmette in quattordici città afghane e sta passando le trasmissioni dal satellite Eutelsat a Hotbird perché il segnale giunga anche in Europa dove vivono molti rifugiati. Il suo palinsesto è orientato su generi popolari: talk show, musical, varietà. Nel 2008 la messa in onda di una produzione di Bollywood, seguitissima dal pubblico con giovani di entrambi i sessi che cantano e danzano, creò un caso nazionale perché il Consiglio degli Ulema voleva sopprimerla con l’accusa d’immoralità. La mossa sarebbe risultata molto impopolare e nelle trattative il management di Tolo trovò un compromesso che fu accettato dalle autorità: concedere uno spazio televisivo a un programma improntato sulla lettura del Corano. Sacro e profano riuscirono a coesistere. Degna di menzione è Pajhwok Afghan News, un’agenzia d’informazione indipendente riconosciuta internazionalmente per la qualità del lavoro. Mentre un’importante novità dell’ultimo triennio è The Killid Group, network radiofonico con stazioni da Kabul a Kandahar lanciato da una Ong (Development Humanitarian Services Afghanistan) già presente sul territorio dal 2002. Il network, che vanta trenta partner affiliati e sei milioni di ascoltatori, si dedica alla musica rock ma tratta tematiche culturali, educative, politiche, non ultime scottanti questioni come la violenza domestica, l’abuso sui diritti umani, i crimini di guerra affrontati tramite lo strumento del radiodramma e la divulgazione di cd tematici. L’uso del “Grande fratello televisivo” quale strumento d’influenza palese e occulta sul cittadino-spettatore non poteva mancare di suscitare appetiti anche in Afghanistan. Così si registrano sia investimenti diretti di politici e potentati (la famiglia Karzai, il vicepresidente Kalili, i Signori della Guerra Dostom e Kabuli, l’ayatollah Mohseni) sia le schermaglie fra emittenti, com’è accaduto alla filo sciita Tamadon opposta a Emroz. In queste situazioni visioni ideologiche e confessionali concentrano gli interessi verso la propaganda con svilimento della differenziazione dei palinsesti. Investimenti sicuramente cospicui sono quelli provenienti da Stati Uniti, Iran, Pakistan tutti interessati a orientare le scelte afghane. Con simili presupposti la libertà della professione giornalistica risulta estremamente ridotta, in certi casi addirittura nulla. “Per vivere molti cronisti devono servire gli interessi dei proprietari” hanno dichiarato alcuni di loro in un dossier stilato da ‘Reporters sans Frontières’. Per tacere della certezza della notizia: su alcuni avvenimenti arrivano versioni diverse e contrapposte (quelle della tivù pubblica, di alcune emittenti private, dell’Isaf, dei talebani, di media stranieri) riguardo non alla lettura politica e all’analisi dei fatti ma sugli stessi accadimenti. Anche i Taliban sono da tempo attenti all’informazione, utilizzano molto il web con un sito ufficiale in tre lingue. Poi esistono emittenti in FM di tendenza jihadista. Accanto alla propaganda attuano tatticamente la diffusione di notizie false, cui fa da contraltare da parte delle Forze Isaf e dei media utilizzati dal governo Karzai l’occultamento di notizie, soprattutto stragi e violenze sui civili. Tutto ciò nonostante l’Esecutivo abbia creato un Centro dei Media che mantiene i rapporti con le maggiori strutture dell’informazione. Insomma, in questa fase l’Afghanistan vede una presenza molteplice della comunicazione ma, come abbiamo ricordato, esistono pressione e violenza contro quel giornalismo libero che attraverso reportage di denuncia della corruzione amministrativa, delle connivenze politiche col traffico della droga, del business della guerra cerca di rompere il clima di paura e omertà. Simili inchieste trovano mille ostacoli nonostante la presunzione di garanzia dichiarata dal governo. Spesso alle vibranti proteste dell’Afghanistan National Journalist Union si risponde con un nulla di fatto. In più da molti mesi si riscontrano crescenti problemi di agibilità logistica, la professione si può svolgere, forse, su un terzo del territorio. La discriminazione delle donne è aumentata a tal punto che all’ottimismo capace di spronare tante giovani verso il giornalismo dopo la caduta del regime deobandi, s’è sostituita una

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controtendenza. La percentuale del 70% di adesioni femminili registrata fino al 2007 sta crollando al 30% circa attuale. (MEDARABNEWS 11 OTTOBRE DI ENRICO CAMPOFREDA )

TREMONTI SI MANGIA LA COOPERAZIONE. NEL 2011 TAGLIATI IL 50% DEI CONTRIBUTI«Giulio il vampiro». Non è il titolo di un film dell'horror. Ma è l'horror che si fa politica. Il Giulio in questione è il ministro dell'Economia, Giulio Tre-monti. Il quale conferma il suo ruolo di vampiro della cooperazione. A darne conto è Jean Leonard Touadì, deputato Democratico della commissione Esteri. Tremonti, spiega Touadì, «ha fatto cancellare il nostro emendamento alla legge di assestamento del Bilancio, approvato alla unanimità dalla commissione Esteri, con il quale sarebbero stati restituiti al Ministero degli Esteri 8 milioni di euro destinati alla cooperazione ma dirottati alla Difesa nell'ultimo decreto di rifinanziamento delle missioni. In quell'occasione — prosegue il parlamentare del Pd - il governo aveva preso in prestito dal ministero degli Esteri i fondi (che sarebbero dovuti provenire dal Tesoro) con l'impegno di restituirli, sancito anche da un ordine del giorno della Camera. Dunque, gli 8 milioni erano attesi dagli operatori della cooperazione e dallo stesso ministero degli Esteri: ora — conclude Touadì - chiediamo al ministro Tremonti di tornare sui suoi passi e, visto che noi abbiamo ripresentato l'emendamento per la prossima discussione in Assemblea, di togliere il suo veto all'approvazione». Ma le speranze che «Giulio il vampiro» accolga le sollecitazioni bipartisan di Touadì, sono ridotte al lumicino. SCURE CONTINUA Una luce sempre più fioca. Visto che la scure di «Giulio il vampiro» si era già abbattuta pesantemente sui fondi per la Cooperazione internazionale nella Finanziaria 2011. il Governo ha tagliato del 45% i fondi dedicati alla cooperazione allo sviluppo dal nostro paese, raggiungendo il record negativo di 179 milioni di euro per il 2011. Una cifra - la più bassa degli ultimi 20 anni - cui devono essere ulteriormente sottratti circa 80 milioni di euro per le spese di gestione, lasciando meno di 90 milioni per le nuove operazioni sul terreno. Per dare una proporzione, l'Italia contribuisce alla lotta alla povertà per me.. no ai un sesto dei tondi annuali della famiglia internazionale Medici Senza Frontiere . «Una riduzione che nasce da una precisa scelta politica; infatti a fronte di una contrazione complessiva del bilancio del Ministero degli Affari Esteri di 185 milioni di euro, oltre i tre quarti vengono sottratti al settore della cooperazione. Una decisione che aggrava ulteriormente il debito morale dell'Italia verso la comunità internazionale, andando ad ampliare un buco di fondi non erogati che ha già inghiottito 20 miliardi di euro di promesse non mantenute», aveva denunciato LINK 2007, la rete di 10 importanti ong italiane, dopo la presentazione del testo proposto dal ministro Tremonti. Siamo all'improvvisazione continua, all'accanimento pervicace, al gioco delle tre carte «innalzato» a modus operandi del governo del Cavaliere. MISSIONE SENZA COPERTURA Un altro esempio emblematico riguarda la missione in Libia. «Il Governo venga in Senato a riferire quale sia stata la posizione assunta in sede Nato e quale sia l'attuale impegno delle Forze armate italiane nella missione "Unified Protector", dal momento che la missione italiana in Libia è ufficialmente scaduta». È quanto hanno chiesto nei giorni scorsi i senatori del Pd Giorgio Tonini, Gian Piero Scanu e Carlo Pegorer con un'interrogazione rivolta al ministro degli Esteri Frattini e al ministro della Difesa La Russa. Il punto di partenza è l'osservazione che «il decreto 107/11 che proroga le missioni internazionali e stanzia 58 milioni di euro per quella in Libia, "finalizzata alla protezione dei civili e delle aree a popolazione civile nonché per il rispetto del divieto di sorvolo nello spazio aereo", autorizza tuttavia tale la spesa per il periodo 1 luglio-30 settembre 2011». «L'autorizzazione - dicono i senatori - rappresenta non solo un limite finanziario, ma anche un'autorizzazione apolitica alla prosecuzione delle operazioni militari nell'area, cui volutamente, a differenza delle molte altre previste nel decreto, è stata (data una scansione temporale ridotta. Eppure, il comunicato stampa diffuso a conclusione della riunione del 5 e 6 ottobre tra i ministri della Difesa della Nato e partner coinvolti nella missione, rende noto che la missione in Libia, nonostante si stia avvicinando il termine, non è ancora conclusa. Il Governo - proseguono gli esponenti democratici - nonostante l'evidente vuoto legislativo a copertura della missione, non ha ritenuto nè di assumere le necessarie determinazioni legislative d'urgenza attraverso l'emanazione di un decreto-legge, nè di informare il Parlamento circa la decisione di prolungare la missione. La missione non ha dunque copertura legislativa. E di questo noi chiediamo conto». Un conto che per il Governo del Cavaliere-pinocchio e di «Giulio il vampiro», è sempre a perdere. (L’UNITA’ 10 OTTOBRE DI UMBERTO DE GIOVANNANGELI )

LA NATO COME L’URSS, PARADOSSO AFGANOSono trascorsi 10 anni esatti da quando gli Usa partirono all’attacco del governo Taliban trascinandosi dietro una quarantina di paesi. Ma chi l’avrebbe mai detto che nel 2011 i Taliban sono di nuovo presenti in quasi tutte le province? Che cosa è andato storto? Riprendiamo il filo della matassa dall’inizio. Andammo là per aiutare gli Usa a inseguire a caldi i perpetratori dell’11 settembre. La coalizione rovesciò il nido in cui erano cresciuti gli attentatori; ma poi – invece di tornare a casa – si decise sotto la tenue copertura dell’Onu di adottare quel paese lanciando un’ambiziosa operazione di nation building. Per farlo si ricorse alla Nato cioè a quell’Alleanza Atlantica creata per difenderci da un pericolo sovietico. che c’entra con l’Afghanistan distante

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5000 chilometri dall’Atlantico? Parte della verità è che – scomparsa l’Urss – la burocrazia della Nato non sapeva come riciclarsi e volentieri accettò il nuovo ruolo affidatogli da Washington: esportare la democrazia. Un compito non proprio adatto per un organismo istituito a fini miltari. Darwin ci aveva insegnato che la funzione crea l’organo; qui è stato l’organo a creare la funzione nella peggiore tradizione delle burocrazie. Risultato? In Afghanistan il divario tra spese militari e civili è stato di 10 a 1. per sostenere l’apparato bellico i soli americani hanno sborsato finora oltre 150 miliardi di dollari mentre l’insieme dei governi donatori ha investito per lo sviluppo 15 miliardi (di cui un 40% è tornato sotto forma di commesse, stipendi ai cooperanti ecc.). E solo un decimo è stato investito in progetti agricoli benché i contadini siano l’80% della popolazione. Ovvio che coltura del papavero sia più florida ora che al tempo dei Taliban. ESPORTARE la democrazia? Finora si è esportata soprattutto inflazione, l’afflusso di cooperanti consulenti militari e uomini d’affari – tutti remunerati tra 10 e 50 volte più del salario medio di un afghano – ha alimentato un’inflazione devastante. Non si è mai visto tanto denaro a Kabul: denaro dei donatori dei militari della droga. La corruzione inevitabile il rancore degli esclusi pure. Organizzare libere elezioni? Il modello occidentale si è frantumato all’impatto con la realtà locale. Il 20 agosto 2009 giorno fatidico delle elzioni presidenziali ecco giungere di buon mattino a Puli-Charcki una cittadina ad est di Kabul, il presidente di seggio; entra e trova tutte le schede già riempite con il nome di Karzai; protesta finché non arrivano i giannizzeri del capo villaggio che lo espellono dal seggio minacciandolo di morte. La commissione Onu ha contato quasi 300 brogli simili. In questo fallimento della cooperazione forse che le operazioni militari – almeno quelle – sono state benedette dal successo? I generali americani – proprio coloro che hanno “costretto” il loro presidente ad aumentare le truppe in campo sotto la minaccia di farlo passare per un cacasotto – sostengono che né i talibani né al qaeda possono avere il sopravvento. La potenza di fuoco delle truppe nato è cento colte superiore a quella della guerriglia. Ma anche la potenza dei precedenti invasori dell’Afghanistan – da Alessandro Magno alle truppe indo-britanniche dell’’800 fino a quelle sovietiche – era ben superiore ai miseri armamenti dei clan locali; eppure nessun invasore è mai riuscito a sopraffarli. Proprio grazie alla potenza di fuoco delle truppe Nato sono stati fatti fuori per sbaglio tanti di quei civili da impegnare gli alti comandi a ripetere decine di volte parole ufficiali di scusa. Insomma i terroristi mossi dall’ideologia talebana sono effettivamente una minoranza ma gli altri insorgono per vendicare i morti del proprio clan o per guadagnarsi un salario o per difendere il territorio. Dare ospitalità allo straniero è un sacro precetto coranico e lo è ancor più nella tradizione afghana (“abbiamo condiviso il pane il sale” si usa dire). Opporsi all’invasione dello straniero in armi è un precetto coranico altrettanto sacro. L’efferatezza della resistenza afghana è pari alla raffinatezza dell’ospitalità. (IL FATTO QUOTIDIANO 9 OTTOBRE DI GIUSEPPE CASSINI )

IL DOPPIO GIOCO DEL PAKISTAN TRA INDIA, IRAN E OCCIDENTEDieci anni di guerra. Le operazioni degli Usa e dei loro alleati in Afghanistan sono ormai durate dieci anni, più a lungo di ogni altro intervento occidentale. Nel summit Nato di Lisbona del novembre 2010 è stato deciso di prolungarle fino al 2014. Non se ne vede via d’uscita. L’occidente non può abbandonare alla loro sorte – cioè alle vendette dei talebani – gli afghani che gli hanno creduto ed hanno collaborato con lui. Tutti i paesi partecipanti all’intervanto denunciano però una certa stanchezza. Crescente è anche il cinismo. Non si vede come la situazione possa migliorare sia per l’inefficienza del governo di Kabul, sia per il “doppio gioco del Pakistan”. IL NUOVO GRANDE GIOCO – Il doppio gioco del Pakistan: Islamabad non solo sostiene i Talebani afghani ma li utilizza per i propri obiettivi. La fa per diversi motivi. In primo luogo, per crearsi una certa profondità strategica nei confronti dell’India con cui ha già combattuto tre guerre. In secondo luogo controllando l’Afghanistan, il Pakistan può esercitare una pressione sull’Iran. Gliel’ha richiesto l’Arabia Saudita sempre più insicura del sostegno degli Usa nel Golfo e sospettosa che i loro negoziati in corso con Teheran vengano fatti alle sue spalle. Riad e Islamabad sono legati da un partenariato strategico fattosi più stretto da quando sono aumentate le tensioni di entrambi con gli Usa. Dell’Arabia Saudita, specie dopo le critiche di Washington per la repressione della rivolta degli sciiti del Bahrein. Del Pakistan per le ripetute violazioni della sua sovranità fatta dalle forze speciali e dai velivoli non pilotati Usa nonché per le accuse di essere il mandate – tramite i suoi servizi segreti (Isi) – dell’uccisione di personalità chiave del governo di Kabul tra cui del tagiko Rabbani capo del Consiglio della Pacificazione afgana. Ad essa il Pakistan è contrario perché impedirebbe il suo completo controllo sul paese tramite i Talebani. In terzo luogo il Pakistan mira ad impadronirsi delle cospicue ricchezze minerarie dell’Afghanistan. Il servizio Geologico Usa ne ha valutato il valore a diversi trilioni di dollari. In particolare le riserve di idrocarburi, situate soprattutto nelle province settentrionali sono valutate a 1,6 miliardi di barili di petrolio ed a 15,5 trilioni di metri cubi di gas. A gettare benzina sul fuoco è intervenuto il recente accordo di partenariato strategico firmato tra l’Afghanistan e l’India durante la recente visita di Karzai a New Delhi. Le relazioni fra l’Afghanistan e l’India sono eccellenti, malgrado che quest’ultima avesse appoggiato l’invasione sovietica del 1979. pessimi sono invece sempre stati i suoi rapporti con il Pakistan

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eccetto nel periodo fra il 1996 ed il 2001 dopo che i talebani avevano occupato quasi tutto l’Afghanistan. Kabul non ha mai riconosciuto la “linea Durand” su cui corre il confine con il Pakistan e che divide l’etnia Pasthun fra i due paesi. Con il ritiro dell’Urss nel 1988 il Pakistan pensò di cogliere l’opportunità che forniva il conflitto fra le varie fazioni dei mujiaiddin afghani per estendere la propria influenza su tutto l’Afghanistan. Organizzò i talebani che nel 1996 occuparono gran parte del paese e concessero basi e protezione ad al-Qaeda. Di fronte alla reazione degli Usa a seguito degli attentati dell’11 settembre, il Pakistan decise di appoggiare Washington un po’ perché sembrava vincitore un po’ per le pressioni della Cina alleata del Pakistan anche perché condivideva con esso un nemico comune: l’India. Pechino le aveva fatte perché molti secessionisti uiguri del Sinkiang erano addestrati da al-Qaeda. Islamabad fu ambigua sin dall’inizio. Collaborò con gli americani con molte riserve pur accettandone gli aiuti finanziari e militari. Continuò a sostenere i Talebani afghani nella loro guerriglia contro gli Usa e le forze Nato. Le prospettive del ritiro occidentale gli offrono nuovamente l’opportunità di aumentare la sua influenza in Afghanistan. Cerca perciò di indebolire il governo Karzai che si appoggia sempre più alle etnie che facevano parte dell’Anti talebana alleanza del Nord. Islamabad teme poi l’aumento dell’influenza indiana. L’India è dopo gli Usa il paese che ha concesso maggiori aiuti economici all’Afghanistan – oltre 2 miliardi di dollari. Ha addestrato centinaia di ufficiali delle forze armate e di polizia afgane; ha una base aerea e un ospedale da campo in Tagikistan; ha costruito un elettrodotto dall’Uzbekistan a Kabul e con i suoi reparti paramilitari del genio, ha collegato l’anello stradale periferico dell’Afghanistan con il Mare Arabico passando per il territorio iraniano. Il Pakistan sospetta che l’India intenda intervenire direttamente in Afghanistan dopo il ritiro occidentale. Teme di essere preso fra due fuochi. Ha cercato di sabotare in ogni modo un accordo fra Kabul e i Talebani. Il presidente Karzai un tempo era favorevole ad esso, è giunto ad affermare che è inutile trattare con questi ultimi, dato che prendono gli ordini dal Pakistan. E’ con quest’ultimo che si dovrebbe trattare. Al tavolo del nuovo grande gioco in Asia centro-meridionale fra l’India ed il Pakistan è presente un convitato di pietra: è la Cina alleata del Pakistan e competitor con l’India per il primato in Asia. All’utile dell’accesso alle risorse minerarie afghane unisce anche il dilettevole del contenimento dell’India con cui sta confrontandosi non solo nel Golfo del Bengala ma anche nel mare cinese meridionale. Per il Pakistan il legame con la Cina rappresenta una garanzia contro la possibilità idi essere sottoposto a sanzioni ed embarghi. Ha poi bisogno del sostegno cinese per fronteggiare l’India che gli è superiore in tutto e che è sempre più legata agli Usa. Il futuro geopolitico dell’Asia centro meridionale dipende dagli esiti del “gioco”. (…) (IL TEMPO 9 OTTOBRE DI CARLO JEAN )

LA GUERRA PARALLELA DEI SIGNORI DELLA DROGA A dieci anni dall’inizio del grande marasma afgano – era il 7 ottobre del 2001 – s’iniziano a tirare le somme. Ci si chiede chi ha vinto e chi ha perso. Gli americani? Hanno salvato l’Afghanistan dall’oscurantismo ed eliminato Bin Laden, ma non hanno estirpato la piaga talebana. Karzai? È in parte riuscito a mediare tra gruppi e interessi diversi, tuttavia la sua azione di governo presenta più ombre che luci. L’Europa? Salvo poche eccezioni – Olanda e Regno Unito – i paesi comunitari hanno guardato solo alla pancia dei rispettivi elettorati, cercando il più possibile di tenersi alla larga dai guai (vedi alla voce “fronte”). Eppure, un piccolo merito c’è. C’è anche il contributo europeo, infatti, nel parziale spostamento del tiro dall’elemento militare alla ricostruzione. Tutti, insomma, hanno qualcosa da rivendicare e qualcosa da mettere nel pallottoliere degli insuccessi. Tutti, tranne i signori della droga. Loro hanno vinto e basta. In questi dieci anni l’industria dell’oppio è cresciuta a dismisura. I numeri lo confermano. La produzione è passata dalle 3300 tonnellate dell’ultimo raccolto di epoca talebana alle 6900 del 2009. In Afghanistan si concentra il 93 per cento di tutto l’oppio sfornato a livello mondiale. Solo nel 2010 l’output è sceso, complici due funghi molto aggressivi, il fusarium oxysporum e la pleospora papaveracea, che hanno danneggiato molti ettari di piantagioni. Ma visto che negli anni passati c’è stata sovrapproduzione e le scorte stoccate erano abbondanti, non s’è sentito il colpo. Materia prima e prodotto finito Li chiamano signori dell’oppio. Ma è il caso di parlare di signori dell’eroina. Mentre prima, infatti, gli afgani tendevano quasi esclusivamente a esportare oppio grezzo, in questi dieci anni sono sorti sul territorio centinaia di piccoli laboratori artigianali dove la “materia prima”, tramite trattamenti chimici, viene processata fino a dare il prodotto finito: l’eroina, appunto. Gli esperti indicano che il 60 per cento di tutta l’eroina presente sul mercato globale viene lavorata direttamente nel paese centro-asiatico. Dall’Afghanistan la brown sugar inonda l’intero pianeta. Europa e Federazione russa sono le piazze che registrano la domanda più alta. Nell’area comunitaria l’eroina arriva passando lungo la rotta turco-balcanica. A Mosca e dintorni attraverso il corridoio centro-asiatico. Il mercato dell’eroina, tenendo conto soltanto della vendita al dettaglio, genera secondo le stime Onu qualcosa come 65 miliardi di dollari ogni dodici mesi e, insieme alla cocaina, è il principale lubrificatore degli ingranaggi dell’economia illegale. Questo stupefacente, il più letale tra tutti i narcotici, stronca anche molte vite. Centomila all’anno, sempre secondo l’Onu. Quindici milioni, invece, le persone assuefatte. Droga, economia canaglia, morte. Tutto inizia dall’Afghanistan. Altro che “war on drugs” Tra il 2001 e il 2011 i narcotrafficanti hanno compiuto

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il grande balzo in avanti. Ma la loro avanzata non è giunta all’improvviso. È dall’inizio degli anni ’80 che l’Afghanistan gode della fama di narcostato. La svolta avvenne con l’invasione sovietica del 1979. La superficie sottoposta a coltivazioni di papavero da oppio, prima limitata a poche aree, s’espanse a vista d’occhio e i proventi della vendita di droga aiutarono i mujaheddin a sostenere lo sforzo bellico contro l’invasore. Gli americani, malgrado la war on drugs reaganiana, chiusero un occhio. La sconfitta di Mosca, che si ritirò nell’89, valeva bene la nascita di un reame della droga. Dopo la cacciata dei sovietici s’aprì una parentesi convulsa, segnata da vuoto di potere. L’oppio conquistò ulteriore spazio e all’inizio degli anni ’90 l’Afghanistan divenne il primatista mondiale della produzione, scavalcando Iran e Pakistan. Con l’avvento al potere dei talebani, nel 1994, le cose non sono cambiate. Il moralismo oscurantista degli studenti coranici non ha toccato l’oppio, sempre utile a tenere su la baracca. Per il narcotraffico l’attacco all’Afghanistan, guidato da Washington, è stato una manna. Guerra, ribellione, fragilità istituzionale e uno spaventoso tasso di corruzione hanno favorito le attività dei signori della droga. Del resto, quando c’è uno scenario simile, la criminalità trae sempre vantaggio. La vicenda dei Balcani, tanto per citare un esempio recente, insegna qualcosa. Il Vietnam, per andare un po’ più indietro negli anni, pure. Il rapporto di diretta proporzionalità tra stato di guerra e droga è confermato dal fatto che l’oppio viene coltivato quasi esclusivamente nelle province meridionali, quelle dove i militari di Isaf faticano a sfondare. Le roccaforti del papavero sono l’Uruzgan, Farah, Kandahar e soprattutto l’Helmand. Qui si concentra il 60 per cento delle piantagioni, la cui superficie, pari a 123mila ettari, non ha accennato a diminuire neanche quando, all’epoca di Bush, gli americani hanno giocato la carta dell’eradicazione, importando la stessa politica praticata nei confronti dei latifondisti di coca in Colombia. Anche in questo caso la strategia s’è rivelata fallimentare e ha colpito maggiormente i contadini, la fascia debole della popolazione, togliendo loro l’unica fonte di sussistenza. La coltivazione dell’oppio, dopotutto, rende molto di più rispetto ai tradizionali prodotti agricoli. Pesci piccoli, pesci grossi Ma chi sono, di preciso, i titolari della premiata ditta del narcotraffico? A lungo s’è sostenuto che fossero talebani e signori della guerra. Con i soldi della droga, s’è affermato, finanziano le attività di insorgenza. Questa tesi s’è rivelata grossolana, troppo vincolata a una lettura ideologica del conflitto. La realtà è diversa. Sebbene in alcuni casi si manifesti una complementarità tra ribellione e narcotraffico, il ruolo di talebani e signori della guerra è limitato e il più delle volte indiretto. I gruppi armati, dicono gli analisti, si limitano prevalentemente a chiedere il pagamento di un’imposta per il transito della droga sui territori da loro controllati. Ma allora, chi sono i baroni dell’eroina? Non è facile risalire alle loro identità, considerata l’assenza di un’anagrafe degna di tale nome e una struttura clanica della società. Il sistema del narcotraffico è peraltro molto frammentato. Nel comparto operano moltissimi gruppi di dimensioni medie e piccole, spesso caratterizzati da relazioni familiari. Negli ultimi tempi, comunque, sono stati snocciolati i nomi di qualche pezzo grosso. Nell’Helmand i principali narcotrafficanti sarebbero Rais Baghrani, Jan Mohammad Khan, Haji Lalak, Haji Bachar, Abdul Rahman Jan e Azizullah Alizai. In molti, poi, hanno ritenuto che Ahmed Wali Karzai, defunto fratellastro del presidente afgano, fosse uno dei grandi manovratori dell’eroina. Ma non ci mai state prove fondate. Quello che sembra certo è che il ruolo degli afgani si limita alla produzione di oppio, alla raffinazione dell’eroina e alla consegna della “roba”, oltre frontiera, ai grandi gruppi internazionali, che la smerciano, successivamente, sulle piazze europee e russe (e non solo). Un paese in ostaggio L’altra cosa evidente è che l’Afghanistan è ostaggio del sistema della droga. L’oppio rappresenta un terzo dell’intero Pil. Senza contare che investe ogni aspetto del turbolento scenario nazionale. I notabili locali, permettendo la coltivazione sui loro distretti, usano l’oppio come strumento di pressione politica e finanziaria nei confronti del governo centrale. I ribelli, facendo pagare il passaggio dei carichi, ci potenziano il loro arsenale. I grandi trafficanti ci comprano il silenzio dei giudici e la complicità dei poliziotti. Senza l’oppio – questa la realtà – l’Afghanistan colerebbe a picco. L’economia collasserebbe, il delicato equilibrio centro-periferia salterebbe. Finora le strategie internazionali sul contrasto non hanno funzionato. L’eradicazione è stata un disastro, il maggiore accento riposto da Obama sugli aiuti e sull’economia non ha prodotto così tanti risultati. Serve una svolta, ma non è affatto semplice elaborarla. Sarà difficile, nei prossimi tempi, togliere ai narcotrafficanti lo scettro di vincitori del conflitto afgano. (EUROPA 7 OTTOBRE DI MATTEO TACCONI )

QUI KABUL: MISSIONE FALLITA, CI RITIRIAMOMissione fallita, ci ritiriamo. Potrebbe suonare così un ipotetico messaggio di un qualsiasi contingente Nato prima di lasciare definitivamente l’Afghanistan entro la fine del 2014 (gli Stati Uniti rimarranno con alcune basi permanenti per almeno un altro decennio). Dopo 10 anni di sanguinosa e costosa guerra, una grossa parte del territorio afgano è ancora sotto il controllo dei talibani, le truppe della coalizione internazionale non hanno raggiunto neanche la metà degli obiettivi che si erano prefissate, il governo di Kabul è debole e corrotto, le forze di sicurezza afgane scarse e inefficienti, la violenza in aumento e la popolazione sempre più sfiduciata. A tracciare questo sconfortante quadro sono alcuni dei protagonisti del conflitto, a partire dal presidente afgano Hamid Karzai, passando per i rapporti delle agenzie di intelligence Usa, fino al generale

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statunitense Stanley McChrystal, ex comandante in capo delle truppe Nato in Afghanistan. Quest’ultimo, parlando ieri al Council on Foreign Relations di New York, ha sottolineato come i vertici statunitensi abbiano iniziato la guerra con una scarsissima conoscenza del Paese. “Non sapevamo abbastanza e ancora non sappiamo abbastanza”, ha spiegato il generale, che fu costretto a lasciare il suo incarico dopo che, in un’intervista alla rivista Rolling Stones, criticò duramente il comportamento di alcuni membri dell’amministrazione del presidente Barack Obama. “Molti di noi, compreso me, avevamo una comprensione superficiale della situazione e della storia – ha aggiunto – e avevamo una visione semplicistica in modo inquietante della sua recente storia, quella degli ultimi 50 anni”. A complicare ulteriormente la situazione contribuì la decisione dell’amministrazione Bush di invadere l’Iraq appena due anni dopo l’inizio dell’attacco contro il governo talibano. Questo peggiorò l’opinione del mondo arabo sull’operato degli Stati Uniti e, inoltre, allontanò la maggior parte delle risorse militari dall’Afghanistan. Il risultato, afferma McChrystal, è che adesso gli Usa e i suoi alleati della Nato si trovano “poco più che a metà strada” per quanto riguarda il raggiungimento degli obiettivi militari, e ancora più lontani dal creare un governo legittimo che abbia la necessaria credibilità presso la popolazione e possa bilanciare l’influenza dei talibani. A conferma dell’inadeguatezza del governo di Kabul e delle sue forze di sicurezza, è arrivato un rapporto della Casa Bianca secondo cui sono sempre di più gli afgani che hanno perso ogni fiducia nella capacità delle istituzioni di proteggerli, di far fronte all’insorgenza, di mettere fine alla corruzione. Preparato raccogliendo informazioni di intelligence dalle agenzie Usa presenti in Afghanistan e in Pakistan, il documento descrive i talibani come una forza “elastica” in grado di resistere alle offensive della Nato e solleva seri dubbi sulla capacità di Kabul di gestire da sé la sicurezza dopo il ritiro delle forze Usa nel 2014. Secondo i dati raccolti, nel 2011 solo il 33% della popolazione si sente al sicuro (un anno prima era il 50%), mentre solo il 25% ritiene che le forze di sicurezza nazionali abbiano qualche speranza di sconfiggere gli insorti. “Non siamo riusciti in nessun modo a offrire sicurezza alla popolazione afgana, e questo è il maggior fallimento del nostro governo e dei nostri partner internazionali”, ha riconosciuto amaramente il presidente Karzai in un’intervista alla Bbc. (RINASCITA 7 OTTOBRE DI FERDINANDO CALDA )

AFGHANISTAN, DIECI ANNI DI GUERRAEra domenica. L'attacco scattò con il buio, un po' prima delle 21 (un po' dopo le 16, ora italiana). Il 7 ottobre 2001 gli Stati Uniti reagirono così all'attentato terroristico contro le Torri gemelle. Solo nella primissima ondata di fuoco, sottomarini e bombardieri lanciarono circa 50 missili Cruise di tipo Tomahawk. Dopo tre quarti d'ora George W. Bush e Tony Blair annunciarono che le forze aeree statunitensi e britanicche stavano appoggiando l'offensiva terrestre dell'Alleanza del Nord che puntava su Kabul e sulle altre grandi città afghane. Lo scopo dichiarato era quello di colpire i reparti talebani e quelli di Al Qaida, catturare o uccidere il capo dei terroristi Osama Bin Laden, ritenuto il responsabile dell'attentato, distruggerne le basi e rovesciare il regime del mullah Omar che lo proteggeva. Sembravano essere tutti obiettivi a portata di mano, nel breve-medio periodo. In realtà è stata ed è tuttora una guerra lunga, logorante, sanguinosissima. Bin Laden è stato ucciso in Pakistan lo scorso maggio, dieci anni dopo, anche se l'organizzazione - che pure ha subito altri colpi, anche recenti - non è ancora del tutto sconfitta. L'Afghanistan appare ancora diviso da conflitti economici, culturali e religiosi, dilaniato da attentati e raid su civili. Lontano il processo di pacificazione e democratizzazione immaginato per quel Paese diventato culla del fondamentalismo islamico. Amnesty International ha dichiarato che il Governo di Hamid Karzai e i suoi alleati non hanno mantenuto molte delle promesse fatte alla popolazione afghana. “Nel 2001, dopo l’intervento internazionale, le aspettative erano elevate, ma da allora i passi avanti verso il rispetto dei diritti umani sono stati pregiudicati dalla corruzione, dalla cattiva gestione e dagli attacchi degli insorti, i quali mostrano un disprezzo sistematico per i diritti umani e le leggi di guerra”, ha dichiarato Sam Zarifi, direttore di Amnesty International per l’Asia e il Pacifico. L’analisi di Amnesty International sulla situazione dei diritti umani in Afghanistan ha riscontrato alcuni progressi nel campo dell’adozione di leggi che richiamano i principi fondanti delle democrazie, riducono la discriminazione nei confronti delle donne che oggi hanno diritto a studiare e a essere curate. In quest'altra foto d'archivio, scattata l'8 novembre 2001a Dasht-i-Qala, un villaggio settentrionale vicino al confine tra Afghanistan e Tagikistan, un maestro insegna il Corano in una scuola islamica. Con la fine delle restrizioni imposte dai talebani, l’accesso all’istruzione è notevolmente migliorato: le scuole sono ora frequentate da sette milioni di alunni, il 37 per cento dei quali è costituito da bambine. All’epoca dei talebani, i bambini che andavano a scuola erano meno di un milione, con una frequenza femminile quasi pari a zero. Al contrario, nei settori della giustizia, delle operazioni di polizia, della sicurezza e sulla questione degli sfollati non si sono registrati passi avanti o la situazione si è persino deteriorata. Le condizioni di vita della popolazione che vive nelle zone maggiormente colpite dalle azioni degli insorti sono peggiorate. In questo decennio un crescente numero di civili afghani ha fatto le spese del conflitto armato. Dal 2008-2009, circa tre quarti delle vittime sono stati causati dagli attacchi dei gruppi di insorti, il resto dalle forze internazionali e afgane. Nei primi sei

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mesi del 2011 le Nazioni Unite hanno registrato 1.462 vittime civili, un drammatico record. L’80 per cento delle perdite è stata attribuita a "elementi antigovernativi" e almeno la metà dei morti e dei feriti è stata causata da attacchi suicidi e da ordigni esplosivi. Il conflitto ha prodotto quasi 450.000 profughi interni. La maggior parte di essi si trova nelle province di Kabul e Balkh, spesso in condizioni di povertà estrema, con limitato accesso a cibo, servizi igienici adeguati e acqua potabile. “Gli alleati internazionali dell’Afghanistan, compresi gli Usa, hanno detto più volte che non abbandoneranno il popolo afgano. Devono rispettare questo impegno, per assicurare che la comunita’ internazionale, nel cercare una via d’uscita dal paese, non metta da parte i diritti umani” ha sottolineato Sam Zarifi, di Amnesty International. Al 9 settembre 2011 i militari stranieri operanti nell'ambito della missione Isaf erano 130.670; 49 gli Stati che stanno fornendo a vario titolo truppe e mezzi. L'Italia, con 3.918 soldati schierati, risulta avere il quinto contingente della coalizione, dopo quelli degli Stati Uniti (90.000), Regno Unito (9.500), Germania (4.998), Francia (3.935) e prima dei contingenti polacco (2.580), romeno (1.948), turco (1.840) e spagnolo (1.523). Per quanto riguarda il nostro Paese si tratta del numero massimo fin qui raggiunto. Nei prossimi mesi, a detta delle fonti ufficiali, ci sarà un graduale disimpegno. «Quest'anno stiamo sopportando il massimo sforzo in Afghanistan, con circa 4.000 militari sul campo, che rimarranno fino alla fine dell'anno. Dal 2012, ma non dai primi mesi, è prevista la progressiva diminuzione, che sarà accelerata nel 2013, per arrivare al 2014 con il Paese restituito al controllo del governo afghano», ha detto il ministro Ignazio La Russa, a margine din un recente vertice tra ministri della Difesa della Nato a Bruxelles. Il presidente degli Usa Barack Obama ha già annunciato il ritiro di circa 30.000 soldati americani dal territorio afghano entro l'estate 2012. E nel 2014 seguirà la smobilitazione delle truppe Nato e anglo-statunitensi. Si avvicina così il momento dei titoli di coda per l'intervento militare che già fin qui ha alle spalle una lunga scia di sangue. Stando a dati aggiornati al 4 ottobre 2011, tra l'operazione di guerra vera e propria Enduring freedom e la Missione Isaf, i soldati della coalizione morti sono 2.676 contando anche alcuni americani deceduti in azione sia in Pakistan che in Uzbekistan nonché 11 agenti della Cia. L'Italia conta 44 caduti. (FAMIGLIA CRISTIANA 7 OTTOBRE DI ALBERTO CHIARA )

AFGHANISTAN: LE TRUPPE INDIANE RIMPIAZZERANNO LA NATO?Il processo di pace d’ora in poi “sarà imperniato sui rapporti tra i Paesi anziché concentrarsi su singoli individui che neppure sappiamo dove trovare”, ha spiegato il presidente. Karzai aveva già annunciato l’interruzione del dialogo con gli insorti in un discorso televisivo all’indomani dell’uccisione dell’ex presidente Burhanuddin Rabbani incaricato dei negoziati. Secondo le indagini di Kabul, l’attentatore suicida era un talebano pakistano, particolare smentito da Islamabad. “Il governo del Pakistan non sostiene i nostri sforzi per portare la pace e la sicurezza in Afghanistan”, aveva detto Karzai il 4 ottobre anche se nella sua visita di due giorni in India, ha voluto mandare messaggi rassicuranti al Pakistan, definito il “nostro gemello” mentre l’India ”è un grande amico”. Perciò, “gli accordi che firmiamo con i nostri amici non avranno ripercussioni sui fratelli”, ha precisato in un discorso tenuto nella capitale indiana. Aldilà degli accordi economici (2 miliardi di dollari sono stati erogati da Nuova Delhi per appaltare a ditte indiane la costruzione di strade e altre infrastrutture) l’intesa che potrebbe preoccupare maggiormente il Pakistan è quella militare, il protocollo di “partenariato strategico” firmato da Karzai e dal premier indiano Manmohan Singh e in base al quale l’India si occuperà dell’addestramento della polizia e dei soldati afghani in vista del ritiro delle truppe statunitensi e alleate nel 2014 e confermato al vertice della Nato a Bruxelles. Un impegno non solo politico ma che richiederà l’invio in India di centinaia (forse migliaia) di istruttori e consiglieri militari la cui presenza rafforzerà la penetrazione di Nuova Delhi in Afghanistan con il progressivo ritiro delle truppe occidentali. Nonostante le rassicurazioni di Karzai, la presenza di soldati indiani nelle basi afghane lungo i confini non farà certo piacere a Islamabad. (PANORAMA BLOG 7 OTTOBRE DI GIANANDREA GAIANI )

DIECI ANNI INIZIAVA LA GUERRA IN AFGHANISTAN: PROTESTE A KABULUna grande manifestazione ha percorso ieri le vie principali di Kabul, per protestare contro le truppe straniere presenti nel Paese e per chiederne il ritiro. Ed oggi, venerdì di preghiera, si replicherà, in occasione anche del 10° anniversario dell’inizio della guerra. Era, infatti, il 7 ottobre 2001 quando l’allora presidente statunitense George W. Bush impartì l’ordine di attaccare l’Afghanistan, all’indomani delle stragi dell'11 settembre. Le finalità della Casa Bianca, in quel momento, erano quelle di eliminare Bin Laden, considerato la mente degli attentati sul suolo americano, far cadere il regime talebano e normalizzare il Paese. Oggi, a dieci anni di distanza, alcuni di quegli obiettivi sono stati raggiunti, ma l’Afghanistan resta ancora diviso da conflitti economici, culturali e religiosi, colpito da attentati e raid contro i civili. Decine di migliaia sono stati i morti in questo decennio. Salvatore Sabatino ne ha parlato con Riccardo Redaelli, docente di Geopolitica presso l’Università Cattolica di Milano: R. – E’ stata – come dire – una lunga campagna che ha viso fasi diverse. Una prima fase, molto breve, di guerra contro i talebani, con una rapida loro sconfitta – apparente sconfitta, ahimé – e poi una lunga fase,

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diversi anni, di ricostruzione del Paese condotta malissimo. Ci siamo distratti troppo per altri eventi e abbiamo ripreso seriamente in mano la questione afghana solo a partire dal 2008-2009, quando probabilmente era già troppo tardi e c’erano già chiari segnali di un sostanziale fallimento della nostra missione.D. – Lei diceva: siamo stati distratti da altri eventi. Probabilmente siamo stati distratti un po’ troppo dall’Iraq. Quanto ha influito questo sulla brutta condotta in Afghanistan?R. – Troppo, perché l’Iraq non è stato soltanto “un’altra” guerra, è stata una guerra che ha assorbito – e enormemente – le forze statunitensi, ma è stata una guerra che ha rotto il fronte della comunità internazionale, ha diviso alleati che combattevano assieme in Afghanistan. In Afghanistan, per anni, troppo pochi uomini, troppo pochi mezzi, troppo pochi soldi, soprattutto una strategia confusa che non ha puntato soprattutto a dare sostegno e risposte agli afghani comuni e ha sostenuto troppo, invece, un’élite politica corrotta e inconcludente come quella attualmente al potere.D. – Dobbiamo dire che, in tutto questo, il presidente Karzai appoggiato dagli Stati Uniti, in questi anni ha tentato un colloquio con i talebani, soprattutto nel momento in cui si è accorto che non erano usciti di scena del tutto. Invece, le ultime notizie parlano di una rottura completa dei contatti. A che punto siamo, oggi?R. – Siamo ad un punto molto confuso. Karzai ha deluso enormemente le aspettative: non ha dato benessere, non ha contrastato la corruzione, con i talebani ha avuto un atteggiamento troppo duro all’inizio, probabilmente, e poi man mano che diventava chiaro il loro “ritorno”, ha cercato compromessi e trattative. Il fatto è che “taleban” è una parola che dice poco o nulla, ma sotto vi sono tantissimi gruppi diversi. Con alcuni ci si può trattare, perché vogliono soldi, poteri e prebende. Altri sono più fortemente ideologizzati. Ora, con il declino dell’interesse occidentale, la stanchezza dopo dieci anni di guerra, la mia percezione è che sempre più gruppi di insorti puntino alla vittoria totale, dopo che gli occidentali se ne saranno andati.D. – In tutto questo, il Paese ancora oggi – a distanza di anni – è lontano dalla normalizzazione, ed è un Paese che svolge tutte le proprie attività amministrative con una base di corruzione altissima. Come riuscirà a risolvere i suoi problemi?R. – L’Afghanistan è sempre stato un Paese fragile perché vi sono tantissime etnie in profonda rivalità, perché il centro non ha mai controllato le periferie … E devo dire che 30 anni e più di guerra civile dopo l’invasione sovietica del ’79, hanno distrutto le prospettive di futuro di questo Paese e hanno fatto emergere tutto il peggio. Questo non significa far perdere le speranze: io credo che si debba aiutare non per proporre modelli irrealistici, ma per cercare di far tornare le parti migliori delle popolazioni afghane, riducendo l’arbitrio, riducendo la corruzione, e dando soprattutto prospettive socio-economiche credibili alla popolazione normale. (RADIO VATICANA.IT 7 OTTOBRE DI GF )

DIECI ANNI A KABUL TALEBANI ANCORA FORTIDieci anni esatti di guerra in Afganistan: migliaia di militari occidentali morti sul campo, tra loro 44 italiani, migliaia di vittime civili ma anche migliaia di Talebani e militanti di Al Qaeda uccisi. Ne valeva la pena? È stato giusto condurre la guerra in Afganistan? La domanda è lecita, la risposta non immediata, i dubbi legittimi, ma basta soffermarsi ad analizzare le ragioni di quel conflitto e con facilità, ma anche con sofferenza, si giunge ad una conclusione univoca: sì, è stato giusto. Il 7 ottobre del 2001, quando sono iniziate le operazioni belliche degli Usa e degli alleati, l’Afganistan era governato dai Talebani che affliggevano la popolazione con una dittatura feroce e medioevale e che avevano offerto a Osama binLaden un santuario sicuro e protetto per organizzare non solo l’11 settembre di New York, ma anche gli attentati che di lì a poco hanno fatto strage in mezzo mondo, a Bali, a Londra, a Madrid, in Arabia Saudita e in Marocco. Se il mondo civile avesse permesso che Talebani e al Qaida agissero indisturbati, il Jiahd perverso di al Qaida avrebbe potuto spaziare indisturbato seminando morte in tutto il mondo, Italia inclusa. Oggi, dopo dieci anni di guerra, possiamo affermare che Al Qaeda è stata colpita a morte. Non solo è stato ucciso Osama Bin Laden, ma anche i suoi principali uomini d’arme sono caduti. L’ultimo, l’imam Awlaqi, cittadino Usa, che aveva tentato di fare saltare il26 dicembre 2009 il volo Amsterdam-Detroit, è stato ucciso pochi giorni fa in Yemen da un drone che Obama ha ordinato di lanciare, una esecuzione sommaria che fa impallidire le contestazioni umanitarie e legaliste dello stesso Obama ai rigori di Guantanamo. Detto questo, va anche però rilevato che oggi in realtà l’Afganistan non è pacificato: i Talebani non sono affatto stati sconfitti, sì che possono portare a termine attentati sin nel cuore di Kabul, come quello che il 21 settembre ha ucciso l’ex presidente Burhanuddin Rabbani. Le ragioni di questa “non vittoria” Usa e Nato in Afganistan sono fondamentali, perché ci conducono al cuore del problema. L’ammiraglio Mike Mullen, capo degli Stati Maggiori Usa, il 23 settembre ha apertamente accusato parte dei servizi segreti del Pakistan (Isi) di avere rapporti organici con il networkHaqqani, il nucleo piùduro e spietato dell’alleanza talebana. Questa alleanza perversa tra settori delle forze armate del Pakistan e i Talebani (ma anche con al Qaida, come si è visto dal rifugio da questi settori dell’Isi offerto a Bin Laden ad Abbottabad) è una realtà nota agli analisti da anni e

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incontrovertibile, tante sono le prove a suffragarla. Una realtà che costringe a prendere atto che il problema del terrorismo islamico va ben al di là della vicenda di al Qaida e che quindi non scomparirà con la sua sconfitta. Una realtà forgiata dai principi del fondamentalismo, prodotta da una ideologia jihadista e oscurantista, che ha lo spessore di uno scisma religioso maturato negli ultimi decenni nel corpo dell’Islam. Una realtà che verrà sconfitta solo quando - e se - il corpo dell’Islam si deciderà finalmente a reagire non solo sul piano militare, ma anche contrastando i principi religiosi intolleranti e violenti che la animano. Sino a quando questo non avverrà - e al di là delle parole, questo non sta avvenendo - il terrorismo islamico come una araba fenice continuerà a agire e a seminare morte e l’occidente, sarà costretto a difendersi, armi alla mano, come ha fatto con onore per dieci anni in Afghanistan. (LIBERO 7 OTTOBRE DI CARLO PANELLA )

LA GUERRA DEI DIECI ANNI - AFGHANISTAN, LA PACE IMPOSSIBILE«E' stata ed è ancora una guerra giusta, a differenza di quella dell'Iraq: protetta dai talebani, la rete di Al Qaeda aveva attaccato l'America e si doveva reagire con le armi. Ma è una guerra che non si può più vincere e che quando ce ne andremo, anche se forse noi non ce ne andremo mai del tutto, lascerà l'Afghanistan nel caos. Dieci anni fa, io la appoggiai. Ma non mi sarei mai aspettato uno sbocco del genere. Credevo che avremmo vinto subito, e che l'Afghanistan si sarebbe stabilizzato e democratizzato. Invece è un Paese in preda alla corruzione, al tribalismo, alla guerriglia, alla droga, e di cui non si può prevedere il futuro a lungo termine. E' desolante. E' un nostro tragico fiasco. Ed è una lezione per i nostri leader: non si interviene in un Paese straniero se non si hanno mezzi adeguati, non si ha un piano per il dopo, e non si hanno gli uomini per attuarlo». Michael Walzer, il più grande filosofo politico americano vivente, l'autore di Guerre giuste e ingiuste, trae un bilancio negativo dei dieci anni del conflitto afghano. A suo giudizio, l'America ha ottenuto un solo successo: «Ha sottratto ad Al Qaeda la sua base territoriale e l'ha quasi smantellata, oggi i covi del terrorismo sono in Pakistan, 15% dei bambini afghani muoiono prima di compiere il loro primo annodi vita 70% è il tasso di analfabetismo in Afghanistan. Tra le donne si arriva all'87% nello Yemen e in Somalia». Ma lo ha pagato a caro prezzo, i suoi caduti, le troppe vittime civili, l'alienazione di parte del popolo afghano, l'esodo dei terroristi nei Paesi suddetti. Di chi è la responsabilità? «Dell'amministrazione Bush, che inizialmente ha rifiutato l'aiuto della Nato, che non è andata a fondo del conflitto, che non ha catturato Bin Laden, che ha sguarnito il Paese per combattere in Iraq, che più tardi ha sbagliato strategia, e che ha consegnato all'amministrazione Obama una eredità insostenibile». Se pensiamo che l'Afghanistan poteva diventare un esempio di pacifica coesistenza tra forze diverse per l'Asia centrale e per il mondo dell'Islam, dice Walzer, ci rendiamo conto dei nostri errori. «Oggi è un focolaio di tensione attorno a cui giostrano il Pakistan e l'Iran, e che nel migliore dei casi si spezzetterà in varie parti, alcune sotto i tale-bani, altre sotto i signori della guerra, altre ancora sotto i signori dell'oppio, con isole di relativa e instabile democrazia nelle metropoli. Anche se riprenderanno i negoziati tra il governo Karzai e i talebani la situazione non migliorerà». A breve termine l'Afghanistan può evitare una guerra civile ma è condannato a gravi sbandamenti. Il filoso politico rifiuta tuttavia il paragone con il Vietnam. «Quando lo abbandonammo, una precipitosa ritirata, il Vietnam divenne una dittatura, un monolite comunista. Questa volta invece il disimpegno sarà graduale, e non penso che si ristabilirà un feroce regime talebano». Ma l'America avrà lo stesso obbligo morale che ebbe in Vietnam: «Dovrà portare con sé gli afghani che hanno lavorato con noi all'edificazione di una società civile per evitare che divengano oggetto di sanguinose rappresaglie, gli insegnanti, i sindacalisti, le femministe». E insieme con l'intera comunità internazionale dovrà adoprarsi per risollevare economicamente il Paese e per impedire che destabilizzi il continente. La diplomazia dovrà valersi delle potenze regionali e della Russia e della Cina, «che hanno interesse a controllare l'Asia centrale». Secondo Michael Walzer, l'uscita dell'America dall'Afghanistan non danneggerà Obama alle elezioni. «La exit strategy del presidente è sostenuta dalla maggioranza degli elettori e Obama ha segnato un grosso punto a proprio favore con l'uccisione di Bin Laden». Le vicende afghane secondo Walzer non incideranno molto sulla lotta al terrorismo. «Non si può abbassare la guardia, perché è meno coordinato ma più diffuso di prima, e non ha soltanto l'America e l'Europa come bersaglio, ma anche l'India e altri Paesi. Bin Laden è morto ma il terrorismo è vivo». Il bilancio di questa lotta è però più positivo di quello della guerra dell'Afghanistan: «Il terrorismo sta ripiegando, ha perso molti leader. Obama è più efficace di quanto sia stato Bush, si serve di più delle nostre alleanze e delle nostre tecnologie e non ha la distrazione della guerra dell'Iraq». L'Afghanistan ha segnato l'inizio del declino americano? Walzer ritiene di no. «Ci ha insegnato che non possiamo essere il gendarme del mondo, che non possiamo svolgere più missioni di pace simultaneamente, come chiamiamo anche le nostre guerre. Dobbiamo imparare a usare di più il nostro soft power, la politica, la diplomazia, la cultura, e di meno le armi. La Cina c'incalza da vicino, ma per ora restiamo l'unica superpotenza. Una superpotenza, tuttavia, che deve risanarsi socialmente ed economicamente se vuole mantenere la leadership mondiale». (CORRIERE DELLA SERA 7 OTTOBRE DI ENNIO CARETTO )

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INTERVISTA A STAFFAN DE MISTURA - "IL NUOVO AFGHANISTAN AVRÀ IL VOLTO DELLE DONNE E GUARDERÀ ALL'INDIA"Sono passati dieci anni dall'inizio della guerra in Afghanistan, la società afghana e il governo di Ha-mid Karzai si stanno preparando all'ultima, delicata fase, di transizione con dell'inizio del ritiro delle truppe della Coalizione. La pacificazione con i talebani però sembra ancora rinviata e il vicino Pakistan è attualmente molto allarmato dal recente accordo di partenariato commerciale tra Kabul e Nuova Delhi, firmato solo pochi giorni fa. In mezzo a tutto il rompicapo, tra nuove e vecchie tensioni, è l'Onu e in particolare la missione Unama capitanata da Staffan De Mistura, diplomatico svedese di grande esperienza che ha a lungo soggiornato a Roma alla guida del Programma alimentare mondiale. Quarè la sua valutazione sul recenti accordi tra Karzai e rindla? Servirà alla pace o Innescherà altri giochi? «C'è una lunga tradizione di legami culturali ed economici tra India e Afghanistan. L'India, che è ormai una superpotenza economica, sta investendo un miliardo e 800.000 milioni di dollari nella costruzione di strade e in altri progetti, come anche la Turchia. E normale che Karzai voglia sancire questa collaborazione e assicurarsi il sostegno di più Paesi per il futuro». Una strategia d apertura... «Una strategia connaturata agli afghani e alla loro posizione di crocevia geopolitico. Un sistema di rapporti e alleanze che servono a bilanciare le pressioni dei Paesi vicini e lontani, dando maggiore stabilità al Paese». Che potrebbe Nwkrare ulteriormente i già diffidi! rapporti col Pakistan? «Questo accordo sancisce un processo in corso da tempo e non c'è alcuna minaccia per il Pakistan. Karzai lo ha ribadito. E chiaro che questo è un momento molto delicato per i rapporti tra i due Paesi ma entrambi sanno che non c'è alternativa: bisogna trovare delle formule di vicinato costruttivo». Delicato In particolare dopo gli ultimi attentati talebani a Kabul. Sembra che N Pakistan sia coinvolto. «Per questo dobbiamo aspettare le indagini». Cosa possiamo aspettarti ora dai tale banD *** «Attualmente ci troviamo di fronte ad azionii spettacolari, efficaci in termini di messaggio ma non in termini militari. Sul campo non è cambiato niente. Ma non hanno prodotto l'effetto che volevano di destabilizzare la città. Sono stati affrontati e sconfitti dall'esercito e dalla polizia afghana». Il sistema di sicurezza ha retto quindi? «Esatto. In un certo senso hanno ottenuto l'effetto opposto. L'esercito ne è uscito rafforzato. Io ero presente ad almeno tre di questi attacchi. Le racconto un episodio che ha avuto un grande impatto qui. Il giorno dell'attacco ci sono stati attentati suicidi simultanei. Un attentatore era stato individuato nella piazza centrale di Kabul. Il capitano della polizia si è lanciato sull'attentatore e l'ha abbracciato, facendosi esplodere con lui per salvare i suoi uomini. Uno spirito di corpo che ci ha sorpreso». Quindi, politicamente hanno fallito secondo lei? «Sì. Ma hanno ricordato sia ai talebani che alla Coalizione che i successi militari non bastano. Rimane la percezione che possono attaccare dove vogliono e che bisogna discutere con loro. La soluzione è solo politica. Non c'è altra strada». Che fine faranno i diritti umani e quelli delle donne nel processo di Riconciliazione? «È un punto fondamentale. È indispensabile che siano rispettati. Stiamo insistendo perché alla conferenza di Bonn di fine anno il 25% dei delegati siano donne. I talebani devono capire, anche dall'impatto visivo, che se vogliono essere parte di questo Paese devono rispettare i diritti delle donne. Si cercherà certamente di tornare indietro. Ma è qui che la comunità internazionale deve marcare il terreno. Non ci saranno aiuti, non ci saranno progetti da parte nostra se i diritti umani non saranno rispettati». La situazione delle donne appare catastronca, lo testimoniano anche I rapporti dl Unama. «È così purtroppo». Che risposte dà Il governo Karzal alle vostre denunce? «Risposte molto lontane dall'essere sufficienti. Dobbiamo insistere e alzare il tiro sui diritti delle donne. A parte i talebani la cultura afghana conservatrice è un grosso ostacolo. Ma ci sono esempi straordinari che dobbiamo sostenere affinché siano seguiti. Come Maria Bashir, procuratore di Herat. Ha condannato decine di uomini colpevoli di violenza sulle loro donne. lo credo molto nelle donne afghane e spero che anche loro alzino il tiro e la voce per pretendere i loro diritti». Eccezioni a parte, rimane il problema del sistema giudiziario, Inquinato da corruzione e fondamentalismo, che non applica le leggi. «Esattamente. La battaglia che dobbiamo sostenere è molto difficile. Ma, in alcuni casi, la pressione delle donne, delle ong afghane e internazionali, ha successo». Quale? «La legge che criminalizzava le donne che fuggivano da casa e impediva loro, proprio perché condannate, di accedere alle case rifugio. Abbiamo davvero rischiato che questi rifugi sparissero. Ma ce l'abbiamo fatta. Il decreto ora è cambiato, segue le linee che auspicavamo. Anche questi personaggi molto conservatori hanno bisogno di non apparire troppo retrogradi e hanno bisogno dei nostri progetti. Noi li leghiamo al rispetto dei diritti umani». Un ottimo ricatto. «Lo chiamerei piuttosto incentivazione ma molto determinata». Valido per I talebanl ma anche per I fondamentalisti che sono in Parlamento.. «Sì. Dobbiamo scontrarci spesso e duramente con loro. Alle elezioni scorse ho dovuto minacciare di ritirare l'appoggio dell'Onu alle elezioni se non veniva garantito il posto in Parlamento alle 68 donne elette». Lei ha detto recentemente che è necessario coinvolgere la società civile afghana nel processo politico del paese. Come? Alla Conferenza di Bonn ci saranno i loro rappresentanti. Il giorno prima si terrà anche una riunione della società civile che stiamo organizzando. Il punto è che devono avere una strategia chiara e univoca. Dobbiamo sostenerli perché siano in grado di fare proposte precise. Non possiamo perdere l'occasione di far sentire la lor voce forte e chiara». La società civile chiede anche

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giustizia peri crimini commessi dai signori della guerra, che oggi sono in Parlamento come requisito fondamentale per costruire una vera pace. «Bisogna sempre mantenere accesa questa fiammella di richiesta di giustizia. Se arriverà oggi o più tardi dipenderà dalle circostanze politiche. II Parlamento è pieno di questi personaggi e chiedere giustizia oggi destabilizzerebbe ulteriormente il Paese. Il momento arriverà. L'importante è non far spegnere quella fiammella». Dopo dieci anni di guerra, sembra che ci sia ancora tutto da fare in Afg «Dieci anni fa siamo arrivati qui e eravamo tutti newyorkesi con addosso l'orrore di quel terribile attacco. Certo non potevamo trasformare l'Afghanistan in una nuova Svizzera. Ma dobbiamo fare in modo che diventi una nazione in pace con se stessa e con un rapporto costruttivo con i suoi vicini. E soprattutto salvaguardare i diritti umani. C'è ancora molto da fare». (L’UNITA’ 7 OTTOBRE DI CRISTIANA CELLA)

A KABUL MISSIONE COMPIUTA A METÀAfghanistan il Paese della guerra infinita. La terra delle grandi montagne, dei fiumi impetuosi e dei deserti dalla sabbia rossa. Dove i peschi selvatici addolciscono l'aria in primavera e da tre decenni si conosce solo l'odore della polvere da sparo, del sangue e della morte. Da due lustri il conflitto coinvolge militari di 40 nazioni sotto la guida della Nato. Un aiuto per stabilizzare ilPaese dopo la cacciata dei talebani e sostenerlo nella ripresa delle attività economiche e civili. Un aiuto sostenuto dalle armi e dai soldi, tanti, che ogni anno i Paesi donatori versano al governo di Kabul insediato nel 2002 e rinnovato appena un anno fa. Uno sforzo costato migliaia di vite umane. Tantissimi civili, molti i bambini sacrificati, oltre duemila soldati occidentali uccisi nella guerra con i talebani. Guerra, parola censurata dai politici italiani, e che non sarà mai vinta. Né dalle forze internazionali, né dai mujaheddin del Mullah Omar. Così come è sempre stato in questa terra lontana dalle profonde valli e dalle caverne labirintiche. I conflitti sono da secoli terminati per abbandono di uno dei due contendenti. E anche oggi avverrà così. L'exit strategy della Nato è già scattata. Gli Stati Uniti hanno cominciato a ridurre le proprie truppe lo scorso giugno. Gli altri Paesi hanno pianificato un'agenda che vedrà nel 2014 la fine della missione. L'Italia ha previsto la progressiva diminuzione dai primi mesi del 2012, che sarà accelerata nel 2013, per arrivare al 2014 con il Paese restituito al controllo del governo afgano.Addestramento forze armate afghaneAl centro della strategia della Nato c'è l'addestramento della polizia e delle forze armate afghane, così da poter controllare il territorio e contrastare gli «insorgenti». L'Ana, l'esercito nazionale afghano, e la polizia sono così aumentate di numero. Dal primo raccogliticcio esercito formato in gran parte dagli uomini dell'Alleanza del Nord, oggi Kabul può contare 100mila uomini. È stata costituita ex novo la polizia di frontiera (anche grazie all'apporto della nostra Guardia di Finanza), che controlla i confini, ma anche i commerci transfrontalieri per impedire il traffico di droga e di armi. Il governoKarzai si è dotato di un servizio di intelligence con ramificazioni in tutte le province. Tutto questo, però, deve fare i conti con l'affidabilità di queste istituzioni.L'affidabilità della forze di sicurezzaL'esercito, la polizia e anche l'intelligence sono infiltrati dai talebani che così riescono a conoscere i piani del loro nemico e a colpire anche le zone più protette come è avvenuto pochi giorni fa al centro di Kabul nella «green zone». Anche il vice capo dell'Nds, i servizi segreti afghani, è stato ucciso da un attentatore suicida mentre pregava in una moschea di Kunduz. Per ovviare al rischio di lasciare il lavoro a metà, la Nato ha proprio ieri deciso di lasciare una parte di truppe anche oltre il 2014. E gliStati Uniti hanno già pianificato di lasciare 25mila uomini fino al 2024 in basi permamenti. La notizia è stata confermata da Rangin Dadfar Spanta, consigliere per la sicurezza di Karzai. Del resto, ha sostenuto l'ambasciatore russo a Kabul «come potranno poche migliaia di soldati afghani riuscire a mantenere l'ordine e la sicurezza dove hanno fallito oltre 200mila soldati ben addestrati».I talebani controllano ancora il territorioLa missione Nato e Usa ha condotto una strategia mirata per «liberare» il Paese dai talebani e restituire così la governance nelle mani del governo legittimo. Un successo a metà. Il presidente pashtun Hamid Karzai, dopo nove anni dalla sua investitura, è ancora sconosciuto come ha potuto constatare lo stesso generale Petraeus prima di lasciare l'Afghanistan per l'ufficio di Langley alla Cia. Durante la visita in alcuni villaggi del nord, il generale fece la spiacevole scoperta che nessuno degli elders (i vecchi del villaggio), sapeva chi fosse «Karzai». I talebani ancora oggi, dopo 10 anni di guerra, controllano una vasta area dell'Afghanistan considerata pari al 65 % del Paese. Intere province sono ancora sotto le bandiere bianche con la shahada (il primo verso del Corano ndr). E possono contare anche su molte cellule «militari» nelle principali città. Gli uomini con il turbante possono contare su appoggi internazionali che li riforniscono di soldi e, soprattutto, di reclute. Sono, infatti, sempre più numerosi i soldati della jihad che arrivano dall'Europa, negli ultimi tempi soprattutto con passaporto tedesco, e dal vicino Pakistan: serbatoio storico della milizia talebana. I soldi arrivano dalle rimesse degli emigrati negliUsa e in Gran Bretagna che, attraverso le agenzie di trasferimento

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di denaro, riempiono le casse del Mullah Omar. Milioni di dollari utilizzati per acquistare armi e tecnologia, ma anche per pagare informazioni ed elargire sostegno alle famiglie dei «martiri» che si fanno esplodere nelle azioni suicide.Diplomazia segreta e negoziati fallitiIl sogno di un accordo di pace tra il governo Karzai e i talebani del MullahOmar è esploso con il turbante dell'attentatore suicida che ha ucciso l'ex presidente Rabbani, capo negoziatore per Kabul. Karzai ha deciso, dopo anni di tentativi sostenuti da Arabia Saudita e Pakistan, di interrompere qualsiasi contatto con i guerriglieri. Se Kabul chiude la porta, Washington la apre. Secondo indiscrezioni delle ultime ore, confermate però dalDipartimento diStato Usa, l'America sta cercando di trattare conHaqqani suo alleato ai tempi della guerra contro i sovietici e nelle prime fasi del conflitto contro il regime del Mullah Omar. La svolta sarebbe maturata negli Stati Uniti dopo gli ultimi sanguinosi attentati a Kabul, dietro i quali - secondo le autorità Usa - ci sarebbe proprio il gruppo di Haqqani.La strategia Nato dei Prt e la ricostruzioneL'impegno delle forze della coalizione si è sviluppato sula formula del doppio binario. Da un alto il ruolo «combat» per fronteggiare i talebani. Dall'altro quello di ricostruzione. Un impegno che ha visto l'Italia in prima fila nella zona di sua competenza. Nella regione diHerat i militari italiani e la Cooperazione della Farnesina hanno attuato una serie di progetti finalizzati alla realizzazione di scuole, ospedali, edifici pubblici, pozzi, strade. In questi giorni è cominciata la realizzazione della nuova aerostazione di Herat con sale d'attesa e check-in. In precedenza, l'Aeronautica militare italiana aveva provveduto a migliorare la pista d'atterraggio. Il costo di questa operazione ammonta a diversi miliardi di dollari in gran parte sostenuto dai Paesi Nato.Nuova economia e investimenti stranieriLa nuova stagione afghana si manifesta in una rinnovata effervescenza economica che si manifesta principalmente a Kabul. Herat, Kunduz, Jalalabad. In queste città sono sorti centri commerciali e nuovi alberghi. In gran parte sono investimenti cinesi. La presenza di Pechino è particolarmente forte in molti settori. È infatti cinese la ditta che si è aggiudicata l'appalto per costruire la ferrovia che dall'Uzbekhstan arriverà a Mazar-i-sharif nel nord dell'Afghanistan. Settantacinque chilometri di strada ferrata finanziata con 170 milioni di dollari dall'«Asian Development Bank». Made in China anche le società che hanno iniziato a sfruttare l'ingente patrimonio minerario del Paese. L'azienda di Stato cinese «Mcc» si è aggiudicata la miniera di rame di Ainak vle cui riserve stimate sono di 280 milioni di tonnellate. La Cina è entrata nel «grande gioco» dalla porta principale, accolta con tutti gli onori dal presidente Karzai.Kabul guarda a Est e snobba gli antichi alleatiDopo dieci anni di lotta, sostenuto dai governi occidentali, Stati Uniti in testa, e dal vicino Pakistan il governo Karzai sembra ormai intenzionato a volgere la bussola della sua politica estera verso Est. Strizzando l'occhio a Mosca. Karzai ha aperto da tempo a Pechino e, pochi giorni fa, ha incontrato il primo ministro indiano Manmohan Singh col quale ha firmato un accordo di «partenariato strategico» in materia economica e di sicurezza.Irritando non poco Pakistan. (IL TEMPO 7 OTTOBRE DI MAURIZIO PICCIRILLI )

AFGHANISTAN, UN DISASTRO LUNGO DIECI ANNI (E PIÙ) Dietro gli occhiali spessi, il viso incorniciato in un foulard scuro, Hasina Nekzad, rappresentante per la provincia di Herat dell’organizzazione Afghan Women Network, non esita a giudicare l’occupazione dell’Afghanistan, iniziata il 7 ottobre 2001. Quando l’allora presidente americano, George W. Bush, decise di troncare le discussioni interne al movimento taleban - diviso tra quanti volevano consegnare agli Stati uniti lo sceicco saudita bin Laden e quanti ritenevano inevitabile «coprirgli le spalle» – usando gli argomenti a lui più cari: i cacciabombardieri. Da allora, gli afghani non hanno smesso di pagare le conseguenze di una guerra mai voluta, e di interrogarsi: prima sulle ragioni di quell’attacco e poi, sempre di più, sui suoi esiti e le sue contraddizioni. «Perché le truppe internazionali, nonostante le armi sofisticate, non sono ancora riuscite a sconfiggere i Taleban?». A dieci anni di distanza dall’intervento armato americano, la domanda che con finta ingenuità mi pone Hasina Nekzad è la più diffusa in tutto l’Afghanistan. Anche a Farah, capoluogo dell’omonima provincia al confine con l’Iran, tra le più problematiche del paese, quanto a presenza taleban e a tenuta del governo centrale. Per Farid Ehsas, un passato da giornalista e attivista, un presente da dirigente delDipartimento della riforma amministrativa, dietro quella domanda si nasconde una bugia: «la gente comune, qui a Farah come nel resto del paese, crede ormai che gli stranieri, soprattutto americani e inglesi, ci abbiano preso in giro. Sono venuti - così ci hanno detto - per combattere il terrorismo, al Qaeda e i Taleban. Ma guardiamo i fatti: i Taleban sono più forti di prima, e molti altri gruppi si sono consolidati. Per questo molti pensano che gli Stati uniti mentano, che non vogliano combattere veramente: una volta sconfitti i Taleban, dovrebbero lasciare il paese, e non potrebbero continuare a perseguire i propri interessi». Tra questi, non ci sarebbero quelli sbandierati al tempo dell’invasione: «gli abbiamo dato il benvenuto, convinti

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che ci avrebbero aiutato a costruire una democrazia, un sistema basato sui diritti umani, sulla libertà di opinione ed espressione, che avrebbero ricostruito il paese. Ora invece siamocerti che non guardavano ai nostri diritti,ma ai loro interessi: quelli strategici, rispetto all’Iran, alla Cina, all’India, al Pakistan». Da qui, dalla priorità accordata ai propri interessi strategici rispetto alle esigenze degli afghani, secondo Farid Ehsas è derivato il fallimento del progetto dell’intera comunità internazionale, costruito – almeno nominalmente – intorno a due grandi obiettivi, sicurezza e ricostruzione. Che ancora tardano ad arrivare: «Quando chiediamo più sicurezza, gli stranieri ci dicono di essere qui per la ricostruzione. Quando chiediamo la ricostruzione, ci dicono di essere qui per la sicurezza. Alla fine, non garantiscono nessuna delle due. Ecco perché la maggior parte degli afghani è delusa». Tra questi, c’è anche Mohammed Naim Ghayur, candidato non eletto alle scorse elezioni parlamentari nella provincia di Herat, ed esperto di questioni militari: «Quando gli stranieri sono arrivati - mi racconta in una biblioteca di Herat -, pensavamo che si stesse aprendo una grande finestra, di opportunità e novità positive. In questi anni in Afghanistan sono passati più di 40 paesi, alcuni dei quali politicamente ed economicamente molto forti, tra cui l’Italia, laGermania, gli Stati uniti, l’Inghilterra. Dicevano che volevano aiutarci, ricostruire il paese, ma quell’aiuto non è andato alla popolazione: si è perso nella corruzione, o è tornato nei paesi d’origine. Oggi l’impressione più diffusa è che quella finestra si stia sempre più restringendo. Che sia diventata un piccolo buco nero». Un buco nero che raccoglie tante speranze tradite e illusioni perdute, spiega Mohammed Akram Azimi, professore di scienze politiche alla Ghargistan University, la prima università privata della provincia di Farah, che lui stesso ha contribuito a fondare. «Anch’io ci sono cascato - racconta il professor Azimi -. Quando è caduto il regime taleban, con un paese ancora segnato dalle distruzioni causate dai combattimenti tra i mujaheddin, dalla comunità internazionale ci aspettavamo una ricostruzione simile a quelle avvenute in Giappone o in Europa dopo la guerra mondiale. Con il tempo, però, abbiamo dovuto fare i conti con la realtà, e oggi è definitivamente chiuso il tempo delle illusioni. Perché? Perché cercavamo la stabilità e viviamonel caos; volevamo una vera democrazia e ci ritroviamo con governo corrotto e inefficiente; ci aspettavamo giustizia, e viviamo in uno dei paesi più ingiusti al mondo». Ed è proprio alla giustizia, relegata dagli attori internazionali a mero fatto secondario, occultata dalle ben più «urgenti» questioni della stabilità e della sicurezza, ridotta a vuoto simulacro da esibire nelle conferenze internazionali, che guarda invece Abdul Qader Rahimi, un uomo fiero «di non aver lasciatomai l’Afghanistan, né sotto il regime comunista, né durante il periodo dei mujaheddin, e neanche quando al governo c’erano i Taleban ». Come capo dell’Afghanistan Indipendent Human Rights Commission di Herat, Abdul Qader Rahimi sa infatti che, per uscire dal pantano afghano, piuttosto che per i piani strategici dei generali a quattro stelle occorre passare attraverso il nodo gordiano di ogni conflitto, quello che lega pace e giustizia. «Anche qui conosciamo il detto "non c’è pace senza giustizia", sappiamo dunque che la giustizia non può essere sacrificata alla pace, alla stabilità, e che dall’altro lato la pace tarda ad arrivare senza giustizia. Ma la giustizia deve valere per tutti», spiega Abdul Qader Rahimi. Per i civili, vittime di una guerra che qualcuno si ostina a definire umanitaria, e perfino per quanti sono considerati terroristi dalla comunità internazionale, e target legittimi dalle truppe straniere: i Taleban. «Anche tra i Taleban ci sono vittime: gente che è stata ingannata dai leader politici e religiosi, gente ordinaria, che ha perso qualcosa, a cui è stato negato un diritto. Dobbiamo chiedere loro cosa hanno perso, per quale ragione combattono, dare loro altri strumenti per rivendicare i diritti negati, cercare un terreno comune di incontro. Se no non ci sarà via d’uscita ». La via d’uscita del negoziato con i movimenti anti-governativi è però complicata. Non c’è solo la riluttanza di parte della comunità internazionale, i contrasti tra Pentagono e Casa bianca nell’amministrazione Obama, l’ambiguo ruolo del Pakistan. C’è, soprattutto, la diffidenza della popolazione afghana. Di almeno metà della popolazione afghana: «le donne rappresentano il 50% dell’Afghanistan - ricorda Hasina Nekzad - e questo vuol dire che almeno il 50% del paese non vuole i Taleban di nuovo al potere. Discutere con loro è forse necessario, ma molto pericoloso. Stiamo muovendo i primi passi nel negoziato. Sono i più importanti, perché da questi dipende tutto il resto. E’ essenziale che le donne siano parte attiva di questo processo ». Per evitare che, dopo 10 anni di guerra, vittime civili e occupazione militare, l’Aghanistan torni al punto di partenza. (IL MANIFESTO 7 OTTOBRE DI GIULIANO BATTISTON)

BUON COMPLEANNO AFGHANISTANOggi compie dieci anni la guerra più lunga mai sostenuta dagli Stati Uniti, Vietnam compreso. Il 7 ottobre 2001 i bombardieri statunitensi e britannici cominciarono i primi raid sull’Afghanistan, mentre navi da guerra e sottomarini contribuivano all’azione con i loro missili Tomahawk. Da allora le bombe Nato non hanno mai smesso di cadere sul Paese. L’ordine di attacco era partito dall’allora presidente degli Stati Uniti George W. Bush all’indomani dell’attacco alle Torri Gemelle, dopo un ultimatum lanciato ai talibani. Il 20 settembre la Casa Bianca intimò al governo dell’Emirato islamico dell’Afghanistan di consegnare immediatamente Osama Bin Laden, il rilascio di tutti i prigionieri stranieri, la consegna alle autorità competenti delle persone

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sospettate di terrorismo presenti nel Paese, e il pieno accesso degli Usa ai campi di addestramento. Da Kabul chiesero di poter vedere le prove che collegassero il leader di Al Qaida agli attentati dell’11 settembre prima di procedere al suo arresto. Per tutta risposta, un paio di settimane dopo, l’Afghanistan veniva bombardato con l’obiettivo dichiarato di catturare o uccidere Bin Laden, distruggere al Qaida e rovesciare il governo talibano per dar vita a un Afghanistan “democratico”. Grazie ai bombardamenti a tappeto della Nato, le milizie delle minoranze etniche ostili ai talibani riunite nell’Alleanza del Nord – il cui carismatico leader Ahmed Shah Massud era stato ucciso due giorni prima dell’11 settembre da due finti giornalisti – riuscirono a “liberare” il Paese prima della fine dell’anno. Ma i problemi cominciarono dopo i primi, rapidi, successi militari. Gli insorti, infatti, cominciarono ben presto a riconquistare le zone al confine con il Pakistan e il governo insediato dagli Usa si rivelò corrotto e inadeguato. I tentativi di controllare il Paese non portarono i frutti sperati e a Washington si cominciò a discutere di ridimensionare gli obiettivi iniziali della campagna militare. In particolare, si pensò di rinunciare all’idea di sconfiggere militarmente i talibani e concentrarsi invece sulla cattura o l’uccisione delle cellule terroristiche internazionali. Il dibattito sulla questione esplose quando alla Casa Bianca venne il momento di discutere della nuova strategia promessa dal presidente democratico Barack Obama. In quell’occasione ci fu un duro scontro tra il generale Stanley McChrystal, che spingeva per l’invio di maggiori truppe e il vicepresidente Joe Biden, secondo cui sarebbe stato meglio ridurre la presenza militare nel Paese, limitandosi a controllare i principali centri abitati e intensificando le operazioni mirate dei droni e delle truppe speciali. Obama scelse una via di mezzo, inviando dei rinforzi, ma non quanti erano stati richiesti dal Pentagono. Adesso, dopo 10 anni di guerra, 2.753 soldati della Nato rimasti uccisi (tra questi 1.800 statunitensi e 45 italiani), 150 miliardi di dollari spesi solo dagli Usa, la corruzione e la violenza in crescita in tutto il Paese (il 2010 è stato l’anno più sanguinoso per militari e civili), l’illusione di sconfiggere gli insorti e di “democratizzare” l’Afghanistan sembra ormai tramontato. Washington, insieme al debole governo di Kabul, cerca da tempo di aprire un tavolo delle trattative con i talibani, che, tuttavia, si sono sempre dimostrati restii ad ogni negoziato. Nel frattempo i governi dei Paesi impegnati nel conflitto hanno annunciato le date per il ritiro delle truppe da combattimento, ma la scadenza del 2014 è dettata più da esigenze economiche e politiche che dal raggiungimento degli obiettivi preposti. (RINASCITA 6 OTTOBRE DI FERDINANDO CALDA)

KABUL: FUORI GLI USA, DENTRO L'INDIA Dopo sei anni di trattative, martedi 4 ottobre India e Afghanistan hanno firmato un Accordo di Collaborazione Strategica (SPA) che potrebbe aprire nuovi scenari sulla scacchiera politica del Nord-Est asiatico. Il patto infatti prevede l'addestramento indiano delle forze militari afgane, un passo decisivo che sembra indicare l'India come partner privilegiato per il futuro processo di ricostruzione che, a partire dal 2014, dovrebbe vedere il ritiro delle forze Nato dal territorio. E soprattutto, indica la volonta' precisa del governo afgano di prendere le distanze da un vicino sempre piu' scomodo: il Pakistan. Non ci sono precedenti di un simile trattato firmato da Kabul con nessun'altra nazione. Il Presidente afgano Hamid Karzai e il Primo Ministro indiano Manmohan Singh hanno siglato un'intesa ad ampio spettro, che comprende una fitta agenda di collaborazioni militari, politiche, commerciali ed economiche. Tanto per cominciare, l'apertura di una base aerea indiana in Tajikistan, e di un ospedale a Farkhor, sulla frontiera afgana. Le aspettative indiane puntano anche a ottenere, grazie alla intercessione afgana, maggiore considerazione a livello internazione, e magari un ruolo permanente nel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Pratiche doganali, servizi di credito, assicurazioni e trasporti via cargo, saranno semplificati da entrambe le parti per favorire lo sviluppo delle transazioni commerciali. D'ora in avanti inoltre, l'Afghanistan potrà contare su nuove rotte di trasporto per gli idrocarburi e minerali grezzi, di cui il suo territorio è particolarmente ricco. Con l'apertura delle sue miniere all'India, il Presidente Karzai intende mettere fine con una sola mossa all'isolamento del suo Paese e alla sua dipendenza dal Pakistan per l'accesso al mare. Ovviamente, l'accordo è stato accolto con freddezza e irritazione da Islamabad che, dopo l'uccisione di Burhanuddin Rabbani, ha visto raggelare i suoi rapporti sia con Washington sia con Kabul. Alla crisi della politica internazionale pakistana mancava solo l'entrata in gioco del suo avversario storico, l'India, per confermare il detto “l'amico del mio amico è il mio peggior nemico”. (FAMIGLIA CRISTIANA 6 OTTOBRE DI MARTA FRANCESCHINI )

AFGHANISTAN: TAVOLA DELLA PACE, DOPO 10 ANNI BILANCIO GUERRA DISASTROSO ''Domani ricorre il decimo anniversario dell'inizio della guerra in Afghanistan e io trovo davvero scandaloso che non se ne parli. Un mese fa non c'è stato un giornale o una televisione che non abbia dedicato ampio spazio al decennale dell'11 settembre. Oggi invece il silenzio è totale. Eppure il 7 ottobre 2001 è iniziata una guerra disastrosa che ci vede ancora pienamente coinvolti. Possiamo permetterci di non fare un bilancio di questi dieci anni di guerra? Possiamo fingere di non vedere il disastro che ha provocato? Possiamo evitare di discutere quello che dobbiamo fare ora?''. Lo sottolinea Flavio Lotti, coordinatore nazionale della Tavola della

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pace. ''Mettiamo per il momento da parte le riflessioni morali, politiche e militari e guardiamo solo agli aspetti biecamente economici della faccenda. Se il primo anno di guerra in Afghanistan ai contribuenti italiani e' costato circa settanta milioni di euro -continua Lotti- oggi ne costa più di settecento. Quante famiglie in difficoltà potremmo aiutare con due milioni di euro al giorno? A quanti giovani potremmo offrire un posto di lavoro?''. ''Tra poche settimane il Parlamento sarà chiamato ancora una volta a decidere se e come rifinanziare la partecipazione italiana alla guerra in Afghanistan. Nessuno -aggiunge- può permettersi di giungere a quell'appuntamento nello stesso modo in cui ci si e' arrivati per dieci anni, senza un vero confronto politico pubblico, senza una valutazione della strada che si sta percorrendo, senza una strategia e degli obiettivi chiari”. ''Decidere cosa fare della nostra presenza in Afghanistan e' questione di grande rilievo pubblico nazionale e dopo dieci anni di guerra solo degli irresponsabili possono pensare di rifinanziare automaticamente la missione. Gli Stati Uniti hanno gia' inviato in Afghanistan il generale incaricato di organizzare il loro ritiro, alcuni paesi occidentali lo hanno gia' effettuato, altri l'hanno avviato. E noi cosa vogliamo fare? Restare sino al giorno in cui se ne andranno gli americani? Aspettare che gli americani ci dicano cosa dobbiamo fare? Fino ad oggi -rileva Lotti- questo dibattito è stato condotto nelle segrete stanze da un manipolo di militari e politici. Ora non è più ammissibile. Anche dal punto di vista economico. Ogni soldo speso per continuare a fare la guerra in Afghanistan è un soldo sottratto agli italiani che vivono nell'insicurezza quotidiana''. (ADNKRONOS 6 OTTOBRE)

MISSIONE INCOMPIUTA A KABULHamid Karzai? Il generale Petraeus proprio non se lo spettava Quando l'allora comandante delle truppe americane e dell'Isaf, si recò a Bala Morghab, lo sperduto avamposto sotto il controllo dei contingente italiano, i capi villaggio convocati per l'occasione si guardarono intorno sconcertati Quasi tutti non avevano mai sentito il nome del presidente dell'Afghanistan. Due settimane più tardi, a fine agosto del 2009, durante una visita con gli alpini a Bala Morghab, fui ricevuto da Rais Abdel, l'anziano di Quibca, l'unico villaggio tajiko da poco liberato dai talebani. Con maestria schivò la domanda su Karzai. Altri anziani, tuttavia, non sapevano cosa rispondere. Non riuscivano nemmeno ad afferrare il concetto di repubblica. Per non parlare di elezioni. Là a Bala, una lingua verde che si distende in mezzo a una catena di montagne brulle nella remota provincia settentrionale di Baghdis, la valle vicina era già una terra lontana. A Bala conta il clan, la tribù, l'etnia. Nel novembre 2010 trascorsi 15 giorni come embedded insieme alla 1012 divisione americana, le "aquile urlanti, nei territori più ostili di Zhari, uno dei tre distretti caldi di Kandahar. Dove il mullah Omar era di casa. Le truppe erano impegnate in un difficile compito: visitare e dare un nome ai villaggi pashtun che esistevano solo sulle mappe del satellite. In molti dei poverissimi villaggi di Siah Choy, zona infestata dai talebani, era la prima volta che vedevano degli occidentali. «Ma sapete cosa è accaduto l'u settembre 2001?» chiesi. Solo una persona su dieci seppe rispondere, e in modo approssimativo. Qualche anziano, al nostro passaggio, pensava fossimo i "vecchi demoni", i russi. Questo è l'Afghanistan rurale. L'Afghanistan che l'Occidente non riesce a liberare dai talebani. Domani la guerra compie dieci anni. Nella loro storia, gli Usa non erano mai stati impegnati in un conflitto così lungo. Nemmeno in Vietnam. L'operazione "Enduring freedom" prese il via tre settimane dopo l'attacco alle Torri gemelle. Il 7 ottobre del 2001 l'aviazione americana investì con una pioggia di bombe le postazioni talebane. Gli obiettivi principali erano distruggere l'organizzazione terroristica di al-Qaida e rimuovere il regime dei talebani, creando le premesse per avviare il Paese alla democrazia. Come in altri conflitti "asimmetrici" la prima fase ebbe un grande successo. Grazie agli intensi bombardamenti, le truppe afghane dell'Alleanza del Nord ebbero facilmente la meglio. Il regime dei talebani si dissolse. Kabul cadde 1112 novembre, Kunduz, crocevia strategico nel Nord, due settimane dopo. Il 7 dicembre toccò a Kandahar, nel Sud, la roccaforte dei talebani. La sua caduta simboleggiò il crollo di un regime brutale (1996-2001) che aveva precipitato l'Afghanistan ai tempi del Medio Evo. Una guerra lampo? Tutt'altro. Mentre alla fme del 2001 veniva conferito mandato alla missione Nato (Isaf) e si creavano le basi per il Governo ad interim (presieduto da Karzai), gli osservatori più acuti compresero che la stradaverso la stabilità era tutta in salita. Che i talebani fuggiti in Pakistan, si sarebbero presto riorganizzati, dando vita a una guerriglia tanto brutale quanto difficile da debellare. Mentre, nel 2004, Karzai veniva eletto presidente, in un voto alquanto discusso, i talebani cominciavano a rioccupare aree sul confme. La svolta avvenne nel 2006, quando le truppe Isaf si spostarono nelle riottose regioni meridionali subendo però una pesante offensiva. Nel 2007 sferrarono una controffensiva, i cui risultati furono, però, deludenti Si inviarono più soldati L'incremento più consistente fu deciso a fine 2009 da Barack Obama: 3omila marines in più. La presenza militare internazionale in Afghanistan saliva così a 14omila soldati (gli italiani sono 4.200), di cui ioomila americani. Eppure più aumentavano le truppe - e più crescevano le perdite - più ci si rendeva conto che la campagna afghana è una guerra che non si può vincere solo con la forza. L'unica certezza erano i sacrifici peri contribuenti americani. La guerra senza fine è costata finora 557 miliardi di dollari. Spese salite costantemente, fino ai 9 miliardi al mese degli ultimi tempi. Lo stesso sta accadendo sul fronte delle perdite

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umane: secondo l'Onu da gennaio ad agosto 2011 sono morti 1.841 civili, un record. Dall'ottobre del 2001 le vittime sarebbero tra 12.500 e 14.700. Quanto alle forze straniere, gli americani morti hanno toccato quota 1.m, quelli degli altri contingenti 956, di cui 45 italiani. Nonostante l'uccisione di Obama Bin Laden, lo scorso maggio in Pakistan, abbia inferto un duro colpo ad al-Qaida, ciò che più preoccupa è che, a ritiro appena iniziato, i talebani stanno offrendo una dimostrazione di forza, attaccando il cuore di Kabul e uccidendo obiettivi illustri Da gennaio a oggi hanno quasi raddoppiato il numero di attacchi kamikaze rispetto allo stesso periodo del 2010. Oggi i talebani controllano diverse zone rurali nelle province di confine, e non solo. Quanto alla democrazia, è opinione condivisa che le quattro tornate elettorali (tra presidenziali e legislative) siano state compromesse da gravi frodi, mentre le corruzione paralizza le istituzioni ll ritiro, previsto per il 2014, sembra fissato più per motivi economici o politici che per il raggiungimento degli obiettivi. Quello principe - la creazione di un esercito e polizia afghana capaci di gestire da sole la sicurezza - è di là da venire. I talebani lo sanno. Nella pericolosa provincia di Logar, un loro leader ci spiegò: «I vostri soldati arrivano qui segnando i giorni che li separano dalla partenza. Noi siamo pronti a combattere per sempre, lo stiamo facendo già da 100 anni. Voi avete l'orologio, noi il tempo». (IL SOLE 24 ORE 6 OTTOBRE DI ROBERTO BONGIORNI )

IL DECENNIO AFGANOIl decennale dell'intervento in Afghanistan, per dare la caccia a Osama bin Laden e sloggiare il regime talebano è pieno di simbolismi. Prima di tutto perché ci riporta all'11 settembre. Le due cose sono strettamente collegate anche se il ricordo di quegli eventi comincia sbiadire. L'attacco alle due torri fece parlare di svolta della storia, di un prima e di un dopo che sarebbero rimasti scolpiti nella memoria collettiva. Ricordiamo l'emozione di quei giorni, le piazze europee affollate di cittadini, la partecipazione sentita, la solidarietà dei governi. Per un po' il famoso "ich bin ein Berliner" di John Kennedy è stato simbolicamente contraccambiato agli americani. Ci sentivamo molto solidali. Poi l'invasione dell'Iraq dell'amministrazione Bush, le altre vicende internazionali, lo scorrere del tempo, hanno via via scolorito queste immagini di cui non è rimasto molto. Anche la divisione della storia in "prima" e "dopo" 1'11 settembre ha perso il suo significato originario. Sì, certo, una data significativa, ma poi il mondo ha continuato a correre. Ormai le pagine dei capitoli in cui si succedono gli eventi, vengono girate ad una velocità sempre maggiore. Almeno così ci sembra. Ma dove sta l'Afghanistan in tutto questo? Rappresenta la lotta al terrorismo internazionale e la ricostruzione di uno stato fallito. La rabbia degli americani per l'umiliazione subita ed il primo attacco esterno della storia moderna, si rivolsero subito in direzione delle montagne afgane. Da li era partito il piano per colpire gli Usa. Nel mezzo di altopiani sperduti e senza nome qualcuno aveva concepito un piano, poi realizzato con i mezzi più moderni. Telefoni satellitari, banche tedesche, scuole di volo americane e tanto altro. Se c'è un insegnamento importante da trarre è che nessuno può ormai. Il regime talebano si rifiutò di espellere gli arabi di al Qaeda che si trovavano nel suo territorio, malgrado le pressioni di tutti, compreso il Pakistan. Islamabad mandò inutilmente un missione ad alto livello per convincere il Mullah Omar. A quel punto a Washington non restava che l'intervento, insieme all'Alleanza del Nord, orfana del famoso Massud. Da lì partì l'offensiva che si concluse con la conquista di Kabul. Se guardiamo in retrospettiva, l'amministrazione americana commise un errore politico non coinvolgendo gli europei dall'inizio. L'Alleanza atlantica aveva appena proclamato che si doveva applicare l'articolo 5 del Trattato istitutivo, mai invocato prima. Era stato pensato per l'ipotesi inversa, cioè per consentire agli Usa di venire in soccorso degli europei in caso di invasione sovietica. In conclusione, se Washington lo avesse chiesto si sarebbe andati subito a Kabul. Una bella differenza per le opinioni pubbliche. All'epoca, lo abbiamo appena detto, in Europa c'era unanime solidarietà. Invece l'Alleanza intervenne solo due anni dopo, nel 2003, finalmente richiesta dagli americani. Ma tardi rispetto al momento delle grandi emozioni. L'Afghanistan è il doppio dell'Italia e manca quasi completamente di infrastrutture, non c'era alcuna esperienza in quella parte del mondo. Il paese è anche uno dei difficili e dei più lontani, non ha accessi al mare o ferrovie. Si potrebbe dire che piove sul bagnato. Quindi uno dei più costosi per una operazione di vasta portata. Dove in epoca coloniale l'impero britannico e quello zarista si prendevano le misure attraverso infinite montagne e desolate steppe. Le risorse a disposizione sono sempre state inferiori alle necessità, minori di quelle a disposizione in Bosnia ed in Kosovo, che pur si trovavano in Europa. In buona sostanza una polpetta avvelenata per la Nato, trascinata in questa parte del mondo. Che finisce per pagare di colpe non sue, almeno in termini di immagine. Oggi si è arrivati al momento più delicato, è iniziata l'exit strategy e bisogna avere i nervi saldi. Coloro che dicono che in Afghanistan si è fallito hanno torto. Perché? Bisogna avere presente cosa era il paese nel 2001 o nel 2003. Uno dei posti più poveri di questa terra, dove un terzo della popolazione era scappato in Pakistan o in Iran, per non morire di fame o sotto le bombe di qualcuno. Ci si è dimenticati che Bre2nev l'aveva invaso senza giustificazione, distruggendo i villaggi e seminando di mine il territorio per un decennio. Nel 2003 il paese pullulava di armi di ogni genere e tipo e di signori della guerra. Il regime talebano si era distinto per il suo completo disprezzo dei diritti umani ed il trattamento inflitto alle donne, vietando perfino la radio e

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esplodendo le famose statue dei Budda di Bamyan. Non bisogna certo essere celebrativi, però oggi il paese è ben diverso. L'istruzione è enormemente migliorata come l'assistenza sanitaria; ci sono strutture politiche tuff altro che perfette, ma comunque più rappresentative che negli altri paesi vicini. Sappiamo che la situazione sul terreno rimane difficile, ma anche qui bisogna ricordare che si tratta di un confronto asimmetrico. Mentre le forze armate dei paesi democratici hanno delle precise regole di comportamento, ciò non vale per gli insorgenti. Si possono fare esplodere autobombe sulle strade facendo notizia, nascondere esplosivo nel turbante. Come è successo giorni fa per l'assassino di Rabbani che cercava di negoziare con i moderati ed è stato ucciso per questo. In conclusione dove siamo? A fine anno vi sarà a Bonn una conferenza politica che riunirà tutte le componenti nazionali. Ognuno cerca di presentarsi a questa scadenza da una posizione di forza per cui il giudizio rimane sospeso. Credo che Karzai abbia ragione ad indicare il Pakistan come determinante. Islamabad è vacillante ,in bilico fra militari e civili ,spinte separatiste. Un paese controverso, assai significativo e oggi poco decifrabile. Bloccato a est dalla controversia con UIndia sul Kashmir, esso ritiene irrinunciabile mantenere ad ovest la sua influenza sull'Afghanistan. Questo è il punto cruciale su cui è disposto perfino a perdere aiuti americani. Il compromesso potrebbe essere conciliare l'indipendenza afgana e un accettabile regime interno, con il rispetto degli interessi storici pachistani. Pare che sia la strada su cui si sta cominciando a negoziare. La storia ci dice che quando si negozia per avere seriamente il risultato prima o poi ci si riesce. (EUROPA 6 OTTOBRE DI ALESSANDRO RIZZO MINUTO )

L'IMPEGNO ITALIANO, IN CAMPO TRA I PRIMIE’ il 18 novembre 2001 quando un pacchetto di forze navali viene inviato nel Mar Arabico. Inizia l'impegno italiano in Afghanistan, nell'ambito dell'operazione Enduring Freedom. La flotta è imperniata sulla portaerei Garibaldi, uno squadrone di cacciabombardieri Harrier, una fregata (Zaffiro), un pattugliatore (Aviere) e una nave appoggio (Etna). Quasi subito (estate 2002), Washington chiede a Roma la disponibilità di un gruppo tattico di fanteria, da integrare nel dispositivo della coalizione. Il Parlamento non si sottrae e autorizza l'invio di un contingente di mille uomini. La task force Nibbio opera con mandato semestrale, schierandosi a Khowst, nella provincia orientale di Paktia, lungo la frontiera con il Pakistan. Quasi parallelamente alla guerra globale al terrore, si organizza una seconda operazione. Obiettivo: avviare un progetto di stabilizzazione dell Afghanistan. È a Petersberg, ' 5 dicembre 2001, che viene deciso di dispiegare a Kabul una Forza multinazionale di assistenza e sicurezza (Isaf). L'Italia è fra i decisori e i primi partecipanti. La condotta strategica della guerra è sempre m mano a Washington, così come la direzione operativa. Roma mantiene dei caveat, non molto diversi da quelli di molti altri partecipanti. Le regole d'ingaggio, prima stingenti, si fanno col tempo abbastanza ampie da consentire l'uso della forza, non solo per autodifendersi, ma per condurre operazioni a supporto del governo alano. i combatte e non mancano i caduti: 44 totali dall'inizio del conflitto. 1118 settembre 2006, ecco la prima azione di un certo rilievo: le forze speciali e una compagnia aeromobile della brigata Friuli partecipano all'opera-zioneWyconda Pincer, voluta dal comando italiano di Herat per cacciare i taleban da Bala Buluk e Pusht-e-rod. Siamo all'interno dell'area di competenza del Comando regionale occidentale, area vasta quanto il Nord Italia e imperniata sulle province di Herat, Farah, Badghis e Ghor. L'Italia vi comanda dal 2005. Vi ha costruito ponti, strade, scuole e ospedali. Ha contribuito ad addestrare le forze di sicurezza e la polizia locale, riformato il sistema giudiziario e fatto maturare ufficiali e uomini del 207 Corpo d'armata afghano. Agli ordini di un generale di brigata italiano, operano nel Regional command west 8mila militari di 11 Paesi, oltre metà dei quali (4.200) italiani. La situazione della sicurezza migliora col tempo, ma permangono sacche d'instabilità: dalle province dell'Helmand e di Nimroz, s'infiltrano a Farah gruppi di insorti. Nel distretto di Bala Murghab, all'estremo nord della provincia di Baghdis, l'elemento criminale non è facilmente distinguibile dal guerrigliero. Le comunicazioni sono assenti, mentre abbondano le operazioni militari. A partire da maggio 2011, sono state lanciate azioni su larga scala, che hanno coinvolto i paracadutisti del 183 reggimento, forze americanee dell'esercito afghan La strategia si è fatta più dinamica: prevenire le iniziative degli insorti e guadagnare ulteriori posizioni sul terreno, lasciando agli afghani il consolidamento dei risultati raggiunti. Ma il problema si chiama carenza cronica di truppe, che costringe a concentrare lo sforzo m alcuni punti e a sguarnirne altri. Mentre si parla di exit strategy, l'avvio del processo di transizione potrebbe essere prematuro. I12014 è vicino, molte aree del Paese sono fuori controllo, la logistica è una sfida enorme, non diversamente dal supporto aereo. Esercito e polizia afghani sono tutt'altro che pronti ad intervenire da soli. (AVVENIRE 6 OTTOBRE DI FRANCESCO PALMAS )

TELEFONI OSCURATI E SITI WEB, LA GUERRA HI-TECH DEI TALIBANPuntualmente, alle 8 di sera, ogni sera, il segnale del cellulare in questa città capoluogo di provincia scompare. Sotto la minaccia dei Taliban, i principali operatori spengono i loro ripetitori, tagliando di fatto i collegamenti con il resto del mondo. È quello che succede ormai in oltre la metà delle province afgane ed è un esempio dei nuovi e più sottili metodi impiegati dai Taliban, a dieci anni dall'inizio della guerra, per far

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sentire la loro presenza, nonostante i generali della Nato parlino di una guerriglia indebolita, che fatica a mantenere il controllo del territorio. È solo un esempio di un cambiamento più generale nella strategia del movimento integralista, che ora punta maggiormente su intimidazioni, omicidi mirati e attentati limitati ma eclatanti. I Taliban e i loro alleati della rete Haqqani di solito evitano di affrontare le forze della Nato in battagliecampali, ma sono riusciti a far saltare i colloqui di pace con il presidente del governo Karzai e cercano di preparare il terreno a un loro graduale ritorno al potere, man mano che la coalizione militare guidata dagli Stati Uniti riduce le operazioni militari nel Paese. La provincia di Wardak, che confina con Kabul, è uno dei posti a rischio. È anche un posto dove i cellulari cessano di funzionare, in gran parte del territorio, per 13 ore al giorno. I Taliban vedono queste interruzioni del segnale come una linea di difesa, secondo i comandanti e i portavoce del movimento: se i telefoni sono spenti, gli informatori non possono chiamare gli americani per dare segnalazioni utili a eventuali raid e gli americani non possono usare strumenti di intercettazione per individuare la posizione dei guerriglieri. «II nostro principale obbiettivo è rendere più difficile al nemico scovare i nostri mujaheddin», dice Zabiullah Mujahid, il portavoce dei Tali-ban per le zone orientali e settentrionali dell'Afghanistan. Ma un effetto più generale è quello di ricordare alla popolazione che sono loro che comandano, non il governo. Hajji Mohammad Hazrat Janan, capo del consiglio provinciale di Wardak, riassume così la situazione: «In quelle aree dove esercitano un controllo diretto o indiretto, i Taliban pretendono l'interruzione del segnale dei ri -petitori dalle 5 di sera alle 8 di mattina. Quindi noi sappiamo che ci sono». I ribelli ottengono l'interruzione del segnale minacciando di far saltare in aria i ripetitori, odi darli alle fiamme. Alle compagnie telefoniche far ricostruire un ripetitore costa 200-250 mila dollari, e spesso i Taliban minacciano gli operai che vengono a ripararli. Un altro vantaggio della campagna contro i ripetitori è che non mette in pericolo le vite dei civili, coerentemente con i nuovi sforzi degli insorti per ricostruire la propria immagine. Nell'apparente tentativo di mostrarsi più aperto, il mullah Muhammad Omar ha promesso, in un messaggio diffuso ad agosto alla fine del Ramadan, che quando iTaliban riconquisteranno il potere coinvolgeranno tutte le etnie del Paese, intratterranno rapporti amichevoli con tutti i Paesi e si impegneranno per sviluppare l'economia. L'Afghanistan ha «miniere ricche e grandi potenzialità dal punto di vista delle risorse energetiche», hadettoilmullahOmar,aggiungendo poi, con vena larvatamente utopistica: «Con la pace e la stabilità avremo la possibilità di realizzare investimenti in questi settori e districarci dai tentacoli della povertà, della disoccupazione e dell'ignoranza». Professionisti e imprenditori saranno «incoraggiati», ha detto il leader talebano. Nessun accenno alle donne nel suo lungo messaggio, tradotto dal Site, il servizio di monitoraggi o con sede nel Maryland che tiene traccia delle comunicazioni jihadiste. «Siamo maggiormente interessati all'istruzione islamica; usano la tecnologia», dice un importante ex leader Taliban che vive a Kabul, il mullah Abdul Salam Zaeef, alludendo al forte uso di Internet da parte del movimento, con siti web e account su Twitter e su Facebook. «Vogliamo offrire un simbolo di istruzione islamica», dice. «Ma moderno. Però totalmente, al cento per cento, islamico». (LA REPUBBLICA 6 OTTOBRE DI ALISSA J. RUBIN )

KABUL DIECI ANNI DOPO L’AMERICA VUOLE IL RITIROCominciò con una campagna di bombardamenti aerei, subito seguita da un’invasione di terra. Era la mattina del 7 ottobre 2001, e George Bush comunicava al mondo l’inizio della campagna Enduring Freedom contro al-Qaeda e i talebani in Afghanistan. Era una guerra popolare e largamente voluta da una nazione ferita dagli attacchi dell’undici settembre e ancora a lutto. Ma oggi, a dieci anni esatti da quel giorno, solo il 41 per cento del pubblico americano pensa che la guerra sia «valsa la pena», come rivela un sondaggio del Pew Research Center. La percentuale arriva a mala pena a un 50 per cento fra i veterani che la guerra l’hanno combattuta. Il sondaggio rivela approvazione anche inferiore per la guerra che è venuta dopo, quella in Iraq: solo il 36 per cento degli americani l’approva, contro il 44 per cento dei veterani. Tutte e due le guerre sono costate oltre mille miliardi di dollari, e hanno tolto la vita a oltre seimila soldati americani, per non parlare delle perdite fra i civili dei due Paesi. Il peso di questa ferita umana ed economica è stata una delle ragioni che nel 2007 spinse Barack Obama a candidarsi alla presidenza. Da candidato il senatore dell’Illinois promise di chiudere il capitolo iracheno e rafforzare quello afghano. Su tutti e due i fronti il presidente ha mantenuto la parola: le truppe americane stanno lasciando l’Iraq, e il fronte afghano è stato rinforzato. Ma su questo secondo fronte le cose non stanno andando come sperava: i rinforzi dislocati nel Paese l’anno scorso non hanno portato la pace, e il Paese non decolla. Anzi ieri c’è stato l’ennesimo tentativo di uccidere il presidente Hamid Karzai (sei persone sono state arrestate). E Karzai ha dovuto pubblicamente ammettere che l’omicidio da parte degli insorti del negoziatore Burhanuddin Rabbani ha di fatto bloccato ogni trattativa con i talebani: «Un finto inviato di pace ha ucciso Rabbani» ha spiegato Karzai. «Quindi abbiamo deciso che non ci saranno più colloqui con i talebani». Obama intende comunque procedere al progressivo ritiro di parte delle truppe dislocate in Afghanistan: almeno 10 mila torneranno entro la fine dell’anno e altri 23 mila entro il prossimo settembre. Su queste decisioni contano anche le pressioni economiche scaturite dall’ingigantirsi del debito

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pubblico Usa. Lo ha ammesso lo stesso segretario della Difesa, Leon Panetta, che ieri ha preso parte per la prima volta a un summit Nato a Bruxelles. Panetta, che ha sostituito Robert Gates alla guida del Pentagono, ha usato il suo viaggio in Europa per ringraziare gli Alleati dello sforzo compiuto sul fronte libico, e con l’occasione non ha mancato di citare l’Italia che «ha dato un contributo prezioso, mettendo a disposizione basi indispensabili per le operazioni dell’Alleanza». Ma Panetta doveva anche consegnare un messaggio meno caloroso ai colleghi della Nato: «C’è chi ritiene che il bilancio della Difesa Usa sia ricco a tal punto da coprire le difficoltà dell’Alleanza, ma attenzione, perché siamo alla vigilia di drastici tagli». Si prevede infatti che nei dieci anni a venire, il Pentagono vedrà i propri finanziamenti tagliati di almeno 450 miliardi di dollari. (IL MESSAGGERO 6 OTTOBRE DI ANNA GUAITA )

KABUL DIECI ANNI DOPO RESTA SENZA PACE: SI ARENA IL DIALOGO CON I TALEBANIHamid Karzai l’aveva detto sei giorni fa incontrando alcuni leader religiosi a Kabul e l’ha ripetuto ieri in visita a New Delhi: “Interrompo il dialogo con i talebani perché non sappiamo dove trovarli. Il processo di pace si concentrerà ora sulle alleanze con i paesi vicini”. Fra questi indica esplicitamente il Pakistan. L’altro giorno aveva anche lasciato capire perché (ieri è stato più diplomatico): “Il mullah Omar è irraggiungibile, il suo Consiglio (shura) pure. Chi è allora la controparte nel processo di pace? Non ho altra risposta se non dire che la controparte è il Pakistan”. Sottinteso polemico: loro si che hanno accesso a Omar e ai suoi stretti collaboratori visto che li ospitano in casa. Karzai non rinuncia affatto al negoziato. Ma capisce che non serve trattare con comprimari, i quali come è accaduto per l’assassinio dell’ex presidente e capo del team negoziale afghano Rabbani, si rivelano dei sicari per giunta di nazionalità pakistana. Bisogna parlare ai capi e ai loro protettori occulti, cioè le autorità di Islamabad. A dieci anni dall’inizio della guerra afghana, la sospensione del dialogo coni ribelli è un segno delle estreme difficoltà in cui si trova il governo nonostante il massiccio aiuto militare internazionale. Così come ne è segno l’ennesimo attentato alla vita di Karzai, sventato ieri con l’arresto di sei persone compresa una sua guardia del corpo. Eppure quanto il 7 ottobre 2001 George Bush lancia l’operazione Enduring Freedom per punire i mandanti degli attentati alle Torri e al Pentagono (Al Qaeda) e i loro complici (il regime teocratico di Kabul) la resistenza non dura molto. Kabul cade il 14 novembre. La martellante pressione aerea angloamericana spiana la via alle milizie tagike e uzbeke della cosiddetta Alleanza del Nord, ostile ai talebani, che fino allo scoppio del conflitto non controllavano che il 5% del territorio afghano. La capitale religiosa Kandhar resiste qualche settimana in più, fino alla celebre fuga del mullah Omar in sella a una moto Yamaha. Non poteva andare diversamente visto il divario delle forze in campo. Ma qui gli americani commettono il primo madornale errore, scambiando l’inevitabile batosta militare dei talebani per un tracollo politico. Da quel momento, per alcuni anni a seguire, non si occupano che di dare la caccia i capi talebani o qaedisti rifugiati sulle montagne o nelle zone di confine con il Pakistan. Con l’illusione che si tratti di pochi banditi. La stessa cecità politica ispira l’esclusione degli sconfitti dalla conferenza convocata a Bonn nel dicembre 2001 sotto l’egida dell’Onu per dare all’Afghanistan un’amministrazione provvisoria. L’ideologia della destra neo-con imperante a Washington in quel periodo assegna agli Usa il diritto di imporre la democrazia pluralista di tipo occidentale ovunque ritengano la cosa per sé conveniente. La stessa visione dogmatica intrisa di profonda ignoranza culturale, dà per scontata l’adesione entusiastica dei popoli liberati ai modelli esportati in casa loro e per il loro bene. Gli altri paesi, Italia compresa, si accodano sostanzialmente agli Usa. Un contingente internazionale (Isaf) viene dispiegato nella capitale a tutela del governo provvisorio di Hamid Karzai, mentre il resto del Paese resta abbandonato a se stesso. Solo alla fine del 2003 gradualmente, la presenza dell’Isaf viene estesa alle altre province, mentre la formazione di forze di sicurezza afghane fedeli al nuovo corso procede a fatica. Gli aiuti economici esterni sono insufficienti e mal distribuiti. Più che stimolare la ricostruzione, alimentano la corruzione dei nuovi dirigenti. Quando il 9 ottobre del 2004 si svolgono le elezioni programmate per segnare la fine della transizione e la nascita della democrazia, la sfiducia della popolazione locale nel nuovo ordine ha già preso piede. L’onda talebana lentamente si rialza nel mare della disillusione generale. Tribù, clan, villaggi cui la caduta di Omar e compagni non ha portato gli attesi miglioramenti nelle condizioni di vita e sono anzi sempre più insofferenti della rapacità e inefficienza dei nuovi dirigenti, non hanno difficoltà a riallacciare gli antichi rapporti. A mano a mano che i miliziani integralisti riacquistano consistenza numerica e capillarità di legami sul territorio non esitano a imporre la loro legge. Interi distretti e province tornano sotto il loro controllo. Già nel 2007 l’istituto Senlis di Londra calcola che il 54% dell’Afghanistan ospiti una stabile presenza talebana. Quasi il naturale sviluppo della situazione che gli stessi ricercatori hanno fotografato l’anno prima: “Le politiche messe in atto dalla missione internazionale a guida Usa non sono solo fallite, ma hanno minato agli occhi degli afghani, la formazione di un governo Usa (Bush) ha riportato uno spettacolare successo nel cambiare il regime e una spettacolare sconfitta nel ricostruire la nazione. Non hanno saputo identificare il principale nemico, la povertà”. Fra gli esempi degli sbagli americani la campagna per sradiare le colture di oppio, una delle principali fonti di sostentamento per gran parte della popolazione. Non essendo

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accompagnata dall’offerta di attività alternative, crea “ostilità verso Usa e Nato spingendo molti contadini a rivolgersi ai talebani”. Obama prende il posto di Bush alla Casa Bianca e a partire dal 2009 tenta di correggere il tiro. Manda più truppe ma esige che si riducano i raid aerei che spesso provocano più morti fra i civili che fra i ribelli. Spinge perché si cerchi un contatto più stretto con la società civile. Ottiene che aumentino gli aiuti economici. Apre finalmente alla ricerca di un negoziato con il movimento insurrezionale o almeno una sua parte. Indica un calendario per il ritiro da completarsi auspicabilmente entro il 2014. Ma siamo arrivati alla fine del 2011 e grandi progressi non si sono visti. Pochi giorni fa la denuncia shock dell’Onu: fra gennaio e agosto gli episodi di violenza sono aumentati del 39% rispetto al 2010. (L’UNITA’ 6 OTTOBRE DI GABRIEL BERTINETTO )

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