bloglobal weekly n°14/2014
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Rassegna di BloGlobal-Osservatorio di Politica Internazionale (8-21 giugno 2014)TRANSCRIPT
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N°14, 8-21 GIUGNO 2014
ISSN: 2284-1024
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BloGlobal Weekly Report Osservatorio di Politica Internazionale (OPI) © BloGlobal – Lo sguardo sul mondo
Milano, 22 giugno 2014 ISSN: 2284-1024 A cura di: Davide Borsani Giuseppe Dentice Danilo Giordano Maria Serra
Questa pubblicazione può essere scaricata da: www.bloglobal.net
Parti di questa pubblicazione possono essere riprodotte, a patto di fornire la fonte nella seguente forma:
Weekly Report N°14/2014 (8 – 21 giugno 2014), Osservatorio di Politica Internazionale (BloGlobal – Lo sguardo sul mondo), Milano 2014, www.bloglobal.net
Photo credits: AFP; Anastasia Vlasova; China Files; Il Messaggero; Reuters; Press TV; The Guardian; The News;
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FOCUS
IRAQ ↴
Dal 10 giugno i miliziani legati alla rete di al-Qaeda dello Stato Islamico dell’Iraq
e del Levante (ISIS) hanno lanciato un’offensiva militare contro il governo centrale
di Baghdad retto dallo sciita Nouri al-Maliki. Nelle operazioni partite dall’ovest e dal
nord, rispettivamente dalle province di al-Anbar e di Niniveh, sono cadute in serie
Mosul, seconda città più grande del Paese dopo la capitale irachena, Tikrit, Baiji,
Jalawla e Sadiyah. Obiettivo degli insorti è arrivare a Baghdad e instaurare un Ca-
liffato islamico unificato che si estende dalle coste della Siria sino all’Iraq.
Mentre continuano i combattimenti nei pressi di Tal-Afar e al-Qaim, e mentre ISIS ha
annunciato la conquista di quattro nuove città proprio nella provincia di al-Anbar
(Qaim, Rawah, Anah and Rutba), lungo il confine siriano, l’esercito regolare iracheno
è riuscito, grazie anche all’intervento di milizie curde e sciite, a fermare l’avan-
zata jihadista nel triangolo tra Samarra, Dhuluiya e Taji, cittadine distanti una ses-
santina di chilometri dalla capitale. In particolare, le milizie Peshmerga del Go-
verno Regionale Curdo sono state le uniche militarmente preparate e in grado di
fronteggiare i qaedisti dell’ISIS e con le quali si stanno scontrando per il controllo
di Kirkuk: città strategica dalla cui messa in sicurezza deriva anche la capacità di
controllo dei giacimenti petroliferi di cui l’area è ricca, tra gli obiettivi degli insorti per
poter finanziare le proprie operazioni.
L’azione dell’ISIS affonda sue radici tra il dicembre del 2012 e gli inizi del 2013 con
la conquista di diverse città del nord della Siria. Dopo essersi assicurato un retroterra
strategico sicuro da dove poter operare, nel gennaio 2013, in Iraq, i miliziani jihadisti
hanno cavalcato le proteste nelle già citate province di al-Anbar e Niniveh
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contro le politiche anti-sunnite dello sciita al-Maliki e fomentate dalla decisione
del stesso Premier di arrestare l’allora Ministro delle Finanze, il sunnita Rafi al-Issawi.
Sul finire del 2013, a seguito di una nuova ondata di attacchi terroristici, l’incedere
dell’ISIS si è poi spostato dalla periferia irachena verso il centro del Paese e più pre-
cisamente nei governatorati di Diyala e di Salaheddin, regioni poco distanti da Bagh-
dad. Da questo momento in poi le offensive dei miliziani qaedisti guidati da Ibrahim
Awwad Ibrahim Ali al-Badri, meglio conosciuto come Abu Bakr al-Baghdadi, si sono
fatte sempre più pressanti e difficili da contenere da parte del governo centrale dato
anche l’importante appoggio fornito dalla gran parte delle tribù sunnite irachene e
siriane.
Attualmente le battaglie principali tra forze regolari e insorti sono concentrate intorno
a Baiji e la sua raffineria, la più importante del Paese. Nel frattempo il grande Aya-
tollah Alì al-Sistani, la più alta autorità sciita dell'Iraq, ha chiamato a raccolta tutti i
cittadini iracheni indipendentemente dall’appartenenza confessionale alla difesa di
Baghdad dall’invasione dei ribelli sunniti. A dar man forte vi sarebbero anche 5mila
volontari, provenienti dal vicino Iran, pronti ad arruolarsi per difendere i luoghi
sacri sciiti a Najaf, Karbala e Samarra. Anche il Presidente iraniano Hassan Rouhani
e il leader di Hezbollah Hassan Nasrallah hanno ribadito, con sfumature diverse, che
faranno «tutto il necessario» per proteggere il Paese dall’invasore sunnita. Oltre a
sodali sciiti, il Premier al-Maliki ha potuto contare sul sostegno anche di Vladimir
Putin che, analogamente alla Siria, si muove in continuità per la protezione dello
status quo.
L’instabilità politica preoccupa anche le principali compagnie petrolifere occidentali
che, ad eccezione della nostrana ENI, hanno dato l'ordine di evacuare gran parte del
proprio personale in Iraq. Nel frattempo il Primo Ministro al-Maliki ha ufficialmente
chiesto agli Stati Uniti di effettuare raid aerei contro i jihadisti nel Nord del
Paese. Il Presidente Obama e il Segretario di Stato John Kerry, pur dichiarandosi
neutrali e non intenzionati ad un nuovo intervento armato, non hanno chiuso all’ipo-
tesi di un’incursione aerea attraverso droni e all’invio di consiglieri militari nel Paese
per aiutare l’esercito nell’approntare la migliore strategia utile al contenimento della
minaccia jihadista. Ad ogni modo, come riporta il Wall Street Journal, Obama pun-
terebbe a cercare appoggi politici nella regione e a offrire collaborazione di
intelligence all'Iraq. Una risposta che rientra all’interno di una strategia più com-
plessiva e che vede contemplare anche un possibile coinvolgimento iraniano. Infatti,
sempre secondo indiscrezioni di stampa, Washington avrebbe colto l’occasione di
questo nuovo round di negoziati sul 5+1 per dialogare con Teheran sul ginepraio
iracheno.
Se un possibile coinvolgimento statunitense ha immediatamente allertato le cellule
qaediste dislocate tra Siria, Sinai e Libia, e dichiaratesi tutte disponibili ad atti dimo-
strativi contro obiettivi occidentali nell’area, anche l'Arabia Saudita ha messo in
guardia dai pericoli derivanti di una guerra civile irachena, la quale potrebbe avere
effetti destabilizzanti per l'intera regione. Proprio la monarchia saudita, al pari del
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vicino Qatar, è stato accusato in questi mesi da al-Maliki di aver apertamente
finanziato gli jihadisti sunniti in Iraq in funzione anti-sciita e anti-iraniana.
Al pari della crisi politica, si sta sempre più evidenziando anche una nuova emer-
genza umanitaria: secondo le Nazioni Unite sono circa 500mila le persone sfollate
dalle regioni occidentali dall'inizio dell'anno. Inoltre, un altro mezzo milione di abitanti
è fuggito dai recenti combattimenti di Mosul, nel nord, e decine di altre migliaia hanno
abbandonato i governatorati di Diyala e di Salaheddin.
MAPPA AGGIORNATA AL 15 GIUGNO 2014 © BLOGLOBAL-OPI
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ITALIA ↴
Tra il 9 e il 12 giugno il Primo Ministro italiano, Matteo Renzi, ha effettuato un impor-
tante missione in Asia, la sua prima fuori dall’Europa, per la promozione del sistema
Paese. Il suo viaggio è consistito in tre tappe: Vietnam, Cina e Kazakistan. Renzi ha
guidato una folta delegazione composta anche da rappresentanti di aziende e da ca-
tegorie che aderiscono a Confindustria.
Ad Hanoi, Renzi è stato il primo Premier italiano a calcare il suolo vietnamita dopo
oltre quarant’anni, dove, appena atterrato, ha tributato un omaggio al mausoleo
dell’eroe nazionale, Ho Chi Minh. Lo scopo della visita è stato comunque di natura
prettamente commerciale: per rilanciare le relazioni economiche col Vietnam, ha
infatti affermato Renzi, «l’Italia deve e può fare di più. Oggi in Europa siamo il nono
Paese per investimenti in Vietnam e noi per il Vietnam siamo il terzo. Dobbiamo
recuperare posizioni e costruire un rapporto strategico». Il Primo Ministro ha così
annunciato che entro il 2014 si terrà una commissione economica mista con un piano
di lavoro concreto tra i due Paesi, con una particolare attenzione a temi come il turi-
smo, la difesa e la finanza. Il Premier vietnamita, Nguyễn Tấn Dũng, ha quindi definito
“amichevole” l’incontro con Renzi, affermando che la visita di quest’ultimo segna una
nuova fase di sviluppo e cooperazione. Dopo aver visitato alcuni stabilimenti della
Piaggio e della Ariston, Renzi è ripartito alla volta di Shangai.
Con la Cina, ha dichiarato, «è impensabile» mantenere una relazione commerciale
dove l’Italia acquista 23 miliardi di prodotti a fronte dei 10 miliardi spesi dai
cinesi: «c’è qualcosa che non va in queste cifre, dobbiamo esportare di più, dob-
biamo anche attirare investimenti esteri, non ci possiamo accontentare». La visita in
Cina è stata per Renzi l’occasione di sottolineare che in Italia «si è dato alla deloca-
lizzazione un significato solo negativo, così si è scoraggiata l’apertura al mondo del
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Paese. Noi vogliamo creare le condizioni per cambiare e per internazionalizzare le
imprese». Recatosi al padiglione italiano dell’ultima EXPO, tenutasi proprio in Cina,
Renzi ha ricordato che l’Italia «deve avere coraggio come Marco Polo o Matteo Ricci».
Il Premier ha infine annunciato che l’assicurazione pubblica dell’Italia per i crediti
all’estero, la SACE, insieme a Intesa San Paolo garantiranno due miliardi di prestiti
alle PMI in Cina, un accordo che prevede un ruolo di sostegno da parte di 14 gruppi
bancari cinesi. Allo stesso tempo, per favorire il turismo cinese in Italia, Renzi ha
annunciato che saranno portati i tempi per i visti da 48 a 36 ore. Il Presidente cinese,
Xi Jinping, e il suo Primo Ministro, Li Keqiang, favorevolmente colpiti da Renzi, hanno
confermato che è loro intenzione aiutare l’Italia a tornare a crescere continuando, tra
l’altro, ad acquistare titoli di Stato; hanno anche chiesto, però, che Roma diventi
un partner di Pechino nel contesto dell’Unione Europea, mediando con Bruxelles
affinché questa abbatta alcuni dazi che frenano l’export cinese in Europa.
Sulla rotta che lo riportava in Italia, Renzi si è fermato ad Astana, capitale del Kaza-
kistan, dove ha incontrato il Presidente Nursultan Nazarbayev. Superato il caso
Shalabayeva, il Primo Ministro italiano ha sottolineato la relazione strategica con il
Kazakistan (Roma è infatti il secondo Paese UE per relazioni economiche con Astana)
e ha sostenuto le attività di ENI, in particolare in relazione al consorzio di Kashagan,
l’investimento energetico per il momento in fase di stallo del valore di 47 miliardi che
ricopre una grande importanza per l’Italia e la sua politica energetica. In cambio dello
sblocco della situazione, Renzi ha garantito ad Astana di sostenerla nell’ottenere un
seggio come membro non permanente del Consiglio di Sicurezza dell’ONU
nell’immediato futuro.
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PAKISTAN ↴
Il 15 giugno il governo di Islamabad ha dato vita ad una straordinaria campagna
militare in Nord Waziristan contro i talebani e gli altri gruppi terroristici che
hanno eletto quest’area del Pakistan nord-occidentale a loro base strategica. L’Ope-
razione Zarb-e-Azb, chiamata così in riferimento ad una delle sette spade del pro-
feta Maometto, è stata annunciata con enfasi dal portavoce dell’esercito secondo il
quale questa offensiva rappresenta «un’operazione su larga scala contro tutti i terro-
rismi, senza alcuna distinzione, che negli ultimi anni hanno condizionato, in negativo,
la vita del Paese».
All’inizio l’operazione militare si è configurata principalmente come un’offensiva ae-
rea: gli F-16 pakistani hanno bombardato le montagne del Nord-Waziristan; succes-
sivamente l’attacco aereo è stato affiancato dallo schieramento di truppe di terra,
circa 2300 soldati che sono andati ad incrementare il numero dei militari già schierati
nell’area.
Dall'avvio dell'offensiva terra-aria nel Nord Waziristan contro le postazioni e i covi dei
militanti pakistani e stranieri, secondo un bilancio non ufficiale, i sospetti miliziani
uccisi sono stati più di 250, mentre sarebbero otto i soldati morti. La maggior
parte dei combattenti uccisi nell' “Operazione Zarb-e-Azb”, ha specificato il governo
Islamabad, erano principalmente di nazionalità uzbeka che avevano cercato rifugio
nella zona dopo la caduta del regime talebano in Afghanistan oltre dieci anni fa. Tra
le vittime ci sarebbe Abdul Rehman al-Maani, uno dei leader dell’IMU, l’Islamic
Movement of Uzbekistan, ritenuto tra i responsabili dell’attacco all’aeroporto in-
ternazionale Jinnah di Karachi, avvenuto lo scorso 8 giugno, che ha provocato 28
morti e 10 feriti.
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Proprio l’ennesimo sanguinoso attacco ai danni della popolazione civile, compiuto da
gruppi terroristi, ha spinto Islamabad all’azione, dato che dall’inizio dell’anno il go-
verno ha cercato di dialogare con i talebani e i gruppi affiliati senza ottenere
risultati tangibili. Finora le forze armate di Islamabad avevano evitato massicce cam-
pagne contro i leader tribali del Nord Waziristan, ritenuti vicini al sistema di sicurezza
pakistano, e si erano concentrati principalmente sugli attacchi contro le forze stra-
niere e afghane oltre confine: i comandanti talebani locali, in particolare la rete Haq-
qani, erano definiti "talebani buoni" dalle forze conservative vicine alle autorità.
Finora, il rifiuto delle autorità pakistane di condurre un’operazione di repulisti nelle
regioni nord-occidentali, fortemente caldeggiata dagli USA, aveva portato ad una
escalation degli attacchi con droni condotti dalla CIA, che dal 2008 avrebbe
ucciso più di 2800 persone. Ma l’offensiva pakistana, più che una risposta alle richie-
ste del governo americano, che non dimentica il fatto che il rifugio di Osama bin
Laden fosse situato proprio in queste aree, sembra rappresentare la presa di co-
scienza sull’importanza di rafforzare i controlli sulle FATA (Federally Administered
Tribal Area). La paura principale di Islamabad risiede inoltre anche nella possibilità,
non troppo remota, che il governo statunitense possa abbandonare al suo destino il
vicino Afghanistan, stanco di sovvenzionare i 250 mila componenti dell’Afghan Natio-
nal Army, e permettere che avvenga una riproposizione di quanto sta accadendo in
Iraq, con le milizie islamiche che riguadagnano terreno minacciando la capitale Ba-
ghdad. Un eventuale fallimento statale dell’Afghanistan si ripercuoterebbe
inevitabilmente sul già delicato equilibrio interno del Pakistan. Al momento,
a causa dell’offensiva militare pakistana, si è verificato la situazione inversa, con circa
duemila persone che si sono rifugiate nella provincia afghana di Khost, ma in futuro
si potrebbe verificare un flusso inverso, di dimensioni molto maggiori.
Durante i giorni dell’offensiva il Primo Ministro Nawaz Sharif ha chiamato il Presidente
uscente dell'Afghanistan, Hamid Karzai, per discutere della cooperazione nella
guerra al terrorismo e di come il successo dell'offensiva pakistana dipenderà anche
dall'impegno delle autorità afghane nel sigillare il poroso confine tra i due Paesi. Il
timore del governo pakistano è che ogni tentativo di prendere il controllo dell’area,
se non portato a compimento, potrebbe risolversi in un'ondata di violenze ritorsive
da parte dei talebani pakistani nelle città del Paese, mettendo a dura prova le capacità
di difesa delle deboli forze di sicurezza pakistane.
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UCRAINA ↴
A seguito di due telefonate intercorse con il Presidente russo Vladimir Putin, con il
quale aveva convenuto ad una rapida soluzione della crisi e ad una de-escalation
degli scontri e delle violenze, il 20 giugno il neo-Capo di Stato ucraino Petro Poro-
shenko ha lanciato un piano di pace, annunciando dal quartier generale dell’opera-
zione anti-terrorismo vicino a Sloviansk un cessate il fuoco unilaterale da parte
delle Forze Armate, della Guardia Nazionale, dei reparti dipendenti dal Ministero degli
Interni e delle guardie di frontiera. Tale cessate il fuoco durerà fino al 27 giugno,
quando anche i separatisti dovranno deporre le armi: una scadenza che a molti tra i
gruppi in lotta con il governo centrale e tra gli uomini vicini a Putin è suonato come
un ultimatum. L’articolato programma di Poroshenko, fondato essenzialmente sulla
garanzia dell’integrità territoriale ucraina, si articola in 14 punti e prevede:
1. adozione da parte della Verkhovna Rada di una legge sull’amnistia per i membri di
formazioni armate illegali che non si siano comunque macchiati di omicidi nei con-
fronti di civili e soldati ucraini;
2. deposizione della armi da parte di tutte le formazioni armate;
3. rilascio di tutti gli ostaggi;
4. apertura di un corridoio per l’allontanamento dei mercenari russi verso il loro
Paese, a patto che essi lascino in Ucraina tutte le armi e tutti i veicoli militari di cui
sono attualmente in possesso;
5. definizione di una buffer-zone di 10 Km lungo il confine russo-ucraino che dovrà
fungere come protezione supplementare da un ulteriore ingresso di mercenari e armi
in Ucraina;
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6. liberazione di tutti i locali amministrativi delle regioni di Donetsk e Lugansk; smo-
bilitazione di tutti i blocchi stradali, delle barricate e dei sit-in; ristabilimento dell’or-
dine in tutte le città ucraine, non solo di quelle del Donbas;
7. rilancio del sistema di sicurezza sociale; riattivazione delle forniture elettriche e di
acqua danneggiate dai disordini separatisti; ripristino delle tesorerie per il pagamento
degli stipendi, delle pensioni e di tutte le prestazioni sociali;
8. avvio di un dialogo politico con i rappresentanti legittimamente eletti degli enti
locali e delle organizzazioni civiche riconosciute;
9. dialogo con i rappresentanti dei gruppi separatisti, eccetto con coloro che siano
stati coinvolti negli atti di terrorismo, omicidio o tortura;
10. introduzione di alcuni emendamenti costituzionali, da approvarsi già entro set-
tembre, che prevedono l’affidamento di maggiori poteri alle autorità locali;
11. introduzione di Consigli locali: tali Consigli formeranno dei Comitati esecutivi che
auto-nomineranno i propri vertici, i quali eserciteranno poteri diretti, tra cui anche la
gestione del bilancio locale;
12. riconoscimento della lingua russa insieme con la lingua di Stato e garanzia del
rispetto dei diritti, delle tradizioni e della cultura delle minoranze;
13. elaborazione di un nuovo piano di creazione di posti di lavoro grazie al sostegno
dell’Unione Europea;
14. il programma di assistenza dell’UE – con il quale Kiev firmerà il prossimo 27
giugno anche la parte economica dell’Accordo di Associazione e Stabilizzazione, in-
sieme con Georgia e Moldavia – assicurerà dai rischi politici degli investitori esteri
nella regione del Donbas.
Poroshenko ha infine dichiarato che la situazione nelle aree orientali del Paese non
si trasformerà in una nuova Transnistria, dove il conflitto è sostanzialmente con-
gelato dal 1992 e relativamente al quale sono ancora in corso i negoziati 5+2 sotto
la guida OCSE (il prossimo round è fissato per il 17-18 luglio).
Il piano di pace è sostenuto da tutta la comunità internazionale, in particolare
dal Presidente degli Stati Uniti Barack Obama, dal Presidente della Francia François
Hollande, dal Cancelliere tedesco Angela Merkel, dal Premier britannico David Came-
ron, dal Segretario Generale dell'ONU Ban Ki-moon, dal Presidente della Confedera-
zione svizzera e Presidente in carica dell’OCSE Didier Burkhalter (con cui tra l’altro si
è discusso circa una missione di monitoraggio della stessa organizzazione nel con-
trollo sul regime di cessate il fuoco), dal Segretario Generale del Consiglio d'Europa
Thorbjørn Jagland.
Nonostante ciò, gli scontri non si fermano: i separatisti avrebbero attaccato gli
edifici di Izvarino e di Uspenka, mentre a Sloviansk l’esercito ucraino sarebbe tornato
a sparare dopo l’agguato ad un posto di blocco. Ancora tra il 19 e il 20 giugno nel
villaggio di Yampil 7 soldati sono morti e 30 sono rimasti feriti, mentre nei giorni
10
precedenti combattimenti nella zone di confine di Snizhne, Stepanivkov e Dobropolie
avrebbero provocato un’altra decina di vittime. L’ONU stima che dallo scoppio della
crisi e dall’inizio della guerriglia siamo almeno 375 i morti, per lo più civili. L’episodio
più sanguinoso della prima metà di giugno (14 giugno) riguarda l’abbattimento di
un aereo militare ucraino – un Il-76 che trasportava persone, armi e viveri – nella
zona di Lugansk: le vittime sono state almeno 49. Il giorno prima il governo di Kiev
aveva annunciato la riconquista della città portuale di Mariupol, dove peraltro
sbarcano carichi di ferro, carbone e altri materiali. Continua inoltre la polemica da
ambo le parti circa presunti sconfinamenti nelle aree di confine: mentre Mosca
accusa Kiev di aver oltrepassato senza autorizzazione il confine nella regione di Ro-
stov, sul Don, con due blindati, lo stesso Ministro della Difesa ucraino Mikhailo Koval
ha dichiarato che le forze ucraine hanno abbattuto due blindati, due carri armati e
due camion Kamaz russi entrati in territorio ucraino. Nell’ambito dell’implementazione
del piano di pace, il 20 giugno il Presidente del Parlamento Oleksandr Turchynov ha
pertanto annunciato la chiusura della frontiera con la Russia.
Sul piano economico, dopo quella del 2006 e del 2009, l’altra guerra riguarda il
gas per il ripianamento del debito ucraino, salito a 4,458 miliardi di dollari (1,451
miliardi per le forniture di novembre e dicembre 2013 e 3,007 miliardi di dollari per
quelle di aprile e maggio del 2014). L’incontro del 15 giugno a Kiev tra i rappresen-
tanti di Gazprom, le autorità ucraine e i mediatori della Commissione europea circa
un’intesa sul pagamento di 1,95 miliardi di dollari come parte del debito accumulato
si è risolto con un sostanziale nulla di fatto: dopo aver versato una prima tranche di
786 milioni di dollari alla fine di maggio, l’Ucraina continua ad insistere su una ridu-
zione sostanziale del prezzo imposto a partire dal 1° aprile quando erano scadute le
revisioni agli accordi di fornitura energetica stipulati in dicembre e la tariffa era
tornata a salire a 485 dollari per mille mc, la più alta d'Europa. Rifiutando una
proposta di Mosca di ridurre la tariffa di 100 dollari portandola a 385 dollari per mille
mc, il governo di Arseniy Yatseniuk ha deciso di ricorrere all'arbitrato della Corte di
Stoccolma contro Gazprom affinché sia stabilito un prezzo equo per le forniture di
gas. Il 16 giugno Mosca ha dunque interrotto le forniture di oro blu all’Ucraina,
mentre il Ministro dell'Energia di Kiev, Iuri Prodan, ha assicurato che i flussi diretti
verso l’Europa non sono a repentaglio. Il Commissario UE per l’Energia, Gunther Oet-
tinger ha comunque dichiarato che, benché i Paesi europei siano oggi meno esposti
ad una nuova crisi del gas proveniente dall’Ucraina grazie all’implementazione delle
altre pipelines – Nord Stream su tutte – il prossimo inverno l’Europa potrebbe tornare
a fare i conti con la carenza di gas e Gazprom ha avvertito su nuove “possibili inter-
ruzioni” delle forniture.
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BREVI
AFGHANISTAN, 14 GIUGNO ↴
Si è tenuto il 14 giugno il ballottaggio per la nomina a
Presidente dell’Afghanistan tra l’ex Ministro delle
Finanze, Ashraf Ghani Ahmadzai, che al primo turno
aveva ottenuto il 31% delle preferenze, e l’ex Ministro
degli Esteri, Abdullah Abdullah, forte del 45% del
consenso dell’elettorato. I talebani non sono rimasti a
guardare, rivendicando oltre novecento attentati in tutto il Paese. Versione differente
quella del Ministro dell’Interno, Mohammad Ayoub Salangi, che ha parlato di
centocinquanta attentati con oltre cento vittime tra soldati, civili e insorti. Più
attendibili le stime che parlano di oltre duecento morti. Nonostante gli attentati,
l’affluenza alle urne si è attestata quasi al 60%, con oltre sette milioni di afghani che
hanno votato: una cifra superiore a quella del primo turno. I risultati sono attesi per
inizio luglio, con l’insediamento ufficiale che non avverrà prima dell’ultima settima
dello stesso mese. Lo spoglio, però, ha già visto le prime polemiche sulla validità del
voto. Il 19 giugno Abdullah Abdullah ha convocato una conferenza stampa per
annunciare che non intende riconoscere come legittimo il lavoro portato avanti dalla
commissione elettorale nazionale con la motivazione che questa avrebbe favorito
Ghani. Abdullah non ha lesinato critiche nemmeno nei confronti del Presidente
uscente, Hamid Karzai, che «non si è dimostrato neutrale. Ha lavorato per favorire
Ghani”. Il voto, insomma, nella sua versione caratterizzato da diffusi brogli, sarebbe
stato “una truffa su scala industriale». Ghani, dal canto suo, ha respinto le accuse di
Abdullah proprio nel momento in cui i primi exit pool lo hanno dato effettivamente in
vantaggio sull’avversario.
ARGENTINA, 16 GIUGNO ↴
La Corte Suprema degli Stati Uniti ha respinto il ricorso
dell’Argentina per la dilazione dei crediti degli hedge
fund NMH-Elliott e Aurelius (fondi di investimento
privati, più comunemente noti come fondi speculativi),
confermando la sentenza del tribunale di distrettuale
di New York del novembre 2012 che ha imposto al
governo di Cristina Kirchner di rimborsare senza sconti
i creditori statunitensi. L'Argentina in totale deve a
questi fondi oltre 1,3 miliardi di dollari e se non verserà
la cifra pattuita come da sentenza entro il 30 giugno prossimo il Paese è nuovamente
a rischio default finanziario dopo quello del 2001. Un verdetto a dir poco sorprendente
se comparato con l’accordo raggiunto solo poche settimane prima (29 maggio) tra
Buenos Aires e il Club di Parigi – un gruppo informale di organizzazioni finanziarie dei
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19 Paesi più ricchi del mondo – per l’estinzione del debito argentino pari a 9,7 miliardi
di dollari entro i prossimi 5 anni. L'accordo tra Buenos Aires e il Club di Parigi prevede
l’erogazione di una prima tranche da 1,15 miliardi di dollari entro maggio 2015,
mentre le successive dal 2016. Infatti, le difficoltà economiche del governo argentino
avevano imposto alla Presidente Kirchner di annunciare il 27 agosto 2013 l’apertura
di un terzo piano di ristrutturazione del debito che prevedeva lo swap (cambio) dei
titoli per i creditori dei Tango Bond che non hanno aderito alle precedenti
ristrutturazioni del 2005 e del 2010 lanciate dopo il default del 2001. Proprio i fondi
USA non hanno accettato la proposta argentina chiedendo il pieno e immediato
pagamento dei loro crediti. La decisione dell’Alta Corte statunitense rappresenta un
duro colpo alla credibilità del sempre più traballante Esecutivo Kirchner che ha
immediatamente accusato gli Stati Uniti di essere responsabili «delle nuove catastrofi
economiche che colpiranno milioni di ordinari cittadini argentini». Il Ministro delle
Finanze Axel Kicillof ha annunciato che Buenos Aires pagherà il proprio debito solo
«alle condizioni previste dai precedenti accordi e secondo le disposizioni della legge
argentina». Come ha continuato a spiegare Kicillof, la possibilità di pagare l’intera
rata esporrebbe il Paese a nuovo crack finanziario. A pesare sulle condizioni
economiche del Paese latino-americano, pesano l’isolamento politico-istituzionale nei
confronti del Fondo Monetario Internazionale, con il quale è in corso una controversia
sul dato ufficiale dell’inflazione – per l’istituto di Washington è intorno al 25% mentre
per Buenos Aires è al 12% –, la fuga di capitali esteri e il conseguente restringimento
delle riserve internazionali di valuta estera, nonché le misure impopolari di politica
monetaria. Intanto anche le agenzie di rating hanno abbassato nuovamente le
previsioni di crescita del Paese. Standard & Poor’s ha tagliato il rating di Buenos Aires
da CCC+ a CCC-, ritenendo i titoli di Stato argentini più che “junk” (spazzatura). A
seguito di ciò e della decisione del governo di non inviare una delegazione a
Washington per negoziare con i creditori statunitensi, la borsa argentina ha chiuso in
due giorni perdendo quasi il 15%.
COLOMBIA, 15 GIUGNO ↴
Con il 50,9% dei voti, Juan Manuel Santos ha sconfitto
al secondo turno l’esponente del Centro Democrático
Oscar Ivan Zuluaga (attestatosi al 45%),
confermandosi alla guida del Paese sudamericano.
Con meno di un milione di voti di scarto (7.790.434
preferenze contro 6.890.911), e in calo rispetto alle
elezioni presidenziali del 2010 quando battè Antanas
Mockus ottenendo il 69,13% dei consensi, il leader del
Partido de la U (Partito Social de Unidad Nacional) ha
ottenuto il suo secondo mandato grazie agli eccellenti
risultati ottenuti nei dipartimenti di Atlántico, Bogotá,
Valle e Cauca [nell’immagine laterale le zone in
arancio]. Nonostante una maggiore partecipazione
elettorale rispetto alla consultazione del 2010 (passata dal 44% al 47,89%), si è
13
registrata inoltre una crescita del voto en blanco, salito di un punto percentuale
rispetto al 2010 (dal 3% al 4%), spia di un generalizzato malcontento popolare già
evidenziatosi in occasione delle manifestazioni dei lavoratori del settore agricolo nel
corso dell’estate 2013. Tra i punti in agenda del Presidente vi è la conclusione dei
negoziati di pace con le Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia (FARC), lanciati
dallo stesso Santos nell’ottobre del 2012 per porre fine ad un conflitto armato che
dura dagli anni Sessanta ma osteggiati dalle opposizioni. Dal 23 di giugno ripartiranno
le trattative riguardanti il riconoscimento e la riparazione delle vittime, le modalità
operative della smobilitazione della guerriglia e l’implementazione degli accordi
sottoscritti nel mese di maggio a Cuba circa il contrasto al traffico di droga nel Paese.
IRAN, 19 GIUGNO ↴
È terminato venerdì 19 giugno l’ennesimo round dei
negoziati a Vienna tra Iran e il gruppo 5+1, composto
da cinque membri permanenti del Consiglio di
Sicurezza più la Germania. La deadline per il
raggiungimento di un accordo definitivo era stata
fissata nel novembre scorso per il prossimo 20 luglio.
Ad ora, i negoziati non hanno portato ad alcun risultato che faccia pensare che la
firma sia imminente. Il problema di natura politica è che Teheran non intende
rinunciare al nucleare civile e, per far ciò, richiede alle Sei Potenze di accettare che
centinaia di migliaia di centrifughe restino operative, com ha spiegato il Ministro degli
Esteri francese, Laurent Fabius. Al contrario, la controparte richiede che gli Iraniani
riducano sensibilmente le quasi ventimila centrifughe, che costituiscono la maggior
preoccupazione in presenza della possibilità che l’Iran si doti dell’arma nucleare. I
delegati iraniani a Vienna hanno dunque parlato di “richieste eccessive” da parte del
5+1. Wendy Sherman, il sottosegretario del Dipartimento di Stato USA, ha dovuto
quindi constatare che «ciò che ancora non è chiaro è se l’Iran sia davvero pronto e
disposto ad adottare tutte le misure necessarie per rassicurare il mondo che il suo
programma nucleare è e sarà esclusivamente pacifico». Le Sei Potenze quindi si
aspettano maggiore flessibilità da parte di Teheran in occasione della ripresa dei
colloqui, fissata per il 2 luglio. Per il momento, il Ministro degli Esteri dell’Iran,
Mohammad Javad Zarif, pare aver abbandonato il consueto ottimismo per assumere
una posizione più scettica sulla possibilità di raggiungere un accordo onnicomprensivo
entro il termine indicato. Un’estensione della deadline pare d’altronde irrealistica, in
particolare per gli Stati Uniti e per il loro Presidente in vista delle elezioni di mid term
che si terranno in novembre.
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ISRAELE-PALESTINA, 12 GIUGNO ↴
Tre ragazzi israeliani tra i 16 e i 19 anni, seminaristi di
una scuola rabbinica, sono scomparsi in Cisgiordania
nei dintorni di Hebron, alimentando immediate tensioni
tra Israele e Autorità Nazionale Palestinese (ANP). In
un comunicato ufficiale, il Premier Benjamin
Netanyahu ha «dato ordine di fare ricorso a tutti i
mezzi a nostra disposizione per rintracciare i rapiti» e
ha accusato Hamas del sequestro politico e l’ANP di complicità morale. Poche ore
dopo il rapimento, il governo ha lanciato l'operazione “Brother's Keeper” nell’ambito
della quale è stato dispiegato l’esercito; sono stati richiamati, inoltre, centinaia di
riservisti e si è provveduto ad isolare totalmente l’area cittadina e quella
immediatamente limitrofa di Hebron. Le forze di sicurezza israeliane hanno
controllato i villaggi di Tufah, Bnei Naim, Yata, Halhul, Beit Ayoun e Doura. In otto
giorni di ricerche gli uomini dell’IDF hanno ispezionato 1.100 abitazioni e hanno
arrestato 330 palestinesi, tra cui molti militanti di Hamas e almeno una cinquantina
dei detenuti scambiati nel 2011 per la liberazione Gilad Shalit, il soldato israeliano
rapito in Libano nel 2006 durante l’operazione militare “Summer Rains”. Nelle ultime
ispezioni sono morte anche due giovani palestinesi in circostanze non ancora del tutto
chiarite. L’episodio ha creato molto scalpore soprattutto nei media israeliani e ha
provocato le prime spaccature anche nel fronte palestinese. Nel timore di una
reazione militare israeliana, alcuni funzionari palestinesi hanno fatto sapere alla
stampa che l’ANP sta collaborando alle ricerche e il Presidente palestinese Abu Mazen
è tornato a chiedere la liberazione dei tre ragazzi rapiti definendo la cooperazione con
Israele una scelta di «interesse nazionale […] volta ad evitare una nuova
intifada». Sempre Abu Mazen aveva infine criticato gli autori dell’atto definendone
l’azione come una mossa volta a distruggere l’unità nazionale appena ritrovata.
Parallelamente alle azioni in Cisgiordania, il 15 giugno l’aviazione israeliana ha
lanciato quattro raid contro obiettivi di Hamas a Gaza City e nella Striscia, ferendo
tre persone, in risposta al lancio di due razzi Qassam verso il territorio meridionale
israeliano. Proprio per prevenire nuovi lanci di razzi verso l’entroterra israeliano,
l'esercito ha deciso di schierare, oltre a quello già dispiegato nella zona tra Ashqelon
e Ashdod, un'altra batteria dell’Iron Dome a Rehovot, nel centro del Paese a pochi
chilometri da Tel Aviv. Intanto in Israele il 10 giugno la Knesset ha eletto il decimo
Presidente della Repubblica: Reuven Rivlin, uomo vicino ai coloni israeliani e alla
destra del Likud, il partito di maggioranza relativa, ha vinto il ballottaggio contro Meir
Shitrit di HaTnuah, il partito di Tzipi Livni.
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SUD SUDAN, 10 GIUGNO ↴
Un nuovo accordo di cessate il fuoco è stato raggiunto
ad Addis Abeba tra i due leader sud sudanesi, il Presi-
dente in carica Salva Kiir, e il suo oppositore Riek Ma-
char, ex-vice Presidente: i due leader si sono impegnati
a completare il dialogo per la formazione di un governo
transitorio e di unità nazionale entro 60 giorni, oltre a
fornire sostegno umanitario alla popolazione colpita dai combattimenti. Anche questa
volta l'accordo è stato raggiunto sotto l’egida dell'IGAD, l'Autorità intergovernativa
per lo sviluppo, e dei rappresentanti delle Nazioni Unite, dell'Unione europea e dell'U-
nione Africana. Il Primo Ministro etiope, Hailemariam Desalegn, ha sottolineato che
se ci dovessero essere nuove violazioni del cessate il fuoco, ci saranno sanzioni e
"misure punitive" per i responsabili. Secondo gli analisti, sia Kiir, che Machar, non
sono pronti a portare avanti una pace negoziata, ma anzi, sperano ancora di ottenere
vittorie militari decisive che possano far pendere il piatto della bilancia a loro favore.
Nel corso del conflitto, scoppiato lo scorso dicembre, gli accordi di pace sono stati
infranti più e più volte, sia dalle forze governative che dai ribelli e il rischio che anche
questo accordo diventi carta straccia è molto alto. Le fazioni in gioco danno poca
importanza agli avvertimenti, ai trattati e anche alla stessa minaccia di sanzioni. Inol-
tre, resta difficile comprendere come attuare un cessate il fuoco. Il 16 giugno sarebbe
dovuto tenersi un secondo round di negoziati, successivamente annullato a causa
delle improvvide dichiarazioni del Segretario esecutivo dell’IGAD, Mahboub Malim:
durante un confronto con la delegazione di Salva Kiir questi ha definito “stupidi” i due
leader se pensano di risolvere militarmente la controversia, scatenando le proteste
generali sud sudanesi e l’annullamento delle trattative in corso. A questo si aggiunge
il dibattito sull’eventuale adozione di uno statuto federale per il Sud Sudan che trova
l’approvazione delle regioni che sostengono Riek Machar e l’opposizione dei sosteni-
tori di Kiir.
TANZANIA, 13 GIUGNO ↴
Una bomba è esplosa a Zanzibar, l’isola della Tanzania
con uno status di semi autonomia, causando la morte
di una persona e il ferimento di altre sette. La bomba
è scoppiata a Stone Town, la città vecchia inserita
dall’UNESCO nella lista dei siti patrimonio dell’umanità,
situata nel quartiere commerciale Daranjani. Uno dei
capi della polizia, Mkdam Khamis, ha spiegato che sono in corso le indagini per indi-
viduare il tipo di esplosivo utilizzato e risalire così agli autori. La bomba è esplosa
nelle vicinanze di una moschea; tra i feriti ci sono i fedeli che avevano appena termi-
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nato la preghiera del venerdì sera. Proprio in questi giorni si stava svolgendo a Zan-
zibar un raduno di musulmani provenienti dall’Africa occidentale. L’arcipelago
dell’Oceano Indiano, famoso per il suo mare e le spiagge, è stato colpito da diversi
attacchi simili in passato: l’unica differenza è che in precedenza le vittime designate
non erano musulmani, bensì cristiani e turisti occidentali. In febbraio era stata fatta
esplodere una bomba vicino alla cattedrale anglicana, un’altra, quasi contempora-
neamente, a pochi passi da un ristorante, frequentato da turisti. L’attacco, che non è
stato rivendicato, potrebbe avere come scopo quello di fomentare le differenze reli-
giose: sulle coste della Tanzania vivono molti musulmani che si sentono emarginati
dal governo del Presidente Jakaya Kikwete. Le indagini della polizia si stanno concen-
trando sull’unica persona deceduta, Muhammed Abdallah Mkumbalagula, che era re-
centemente giunto sull’isola e che aveva forti legami con Sheikh Mohamed Idris, un
influente musulmano di Mombasa, in Kenya, che si era opposto fortemente alla mi-
naccia islamica rappresentata da al-Shabab e che per questo era stato ucciso all’inizio
dell’anno. Altre piste condurrebbero invece agli Uamsho, un gruppo che sta acqui-
stando grande influenza tra i giovani e i senza lavoro.
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ALTRE DAL MONDO
CINA, 21 GIUGNO ↴
13 attivisti uiguri sono stati uccisi dalla polizia cinese dopo un assalto contro un edi-
ficio delle forze di sicurezza a Kargilik, nella prefettura di Kasghar, nello Xinjiang,
provincia musulmana nel nord est della Cina. Secondo quanto riferito dalle autorità
locali, il gruppo aveva lanciato una vettura contro la struttura innescando un esplo-
sione. Nelle operazioni di arresto sarebbero rimasti feriti anche tre poliziotti cinesi.
EGITTO, 21 GIUGNO ↴
La Corte d'assise di Minya, nell'Egitto centrale e teatro nel 2013 dell’assalto al com-
missariato per cui erano state accusate quasi 700 persone, ha confermato la con-
danna a morte per istigazione alla violenza nei confronti della Guida suprema dei
Fratelli musulmani, Mohamed Badei, e di altri 182 militanti esponenti dello stesso
movimento messo al bando nel settembre 2013.
LIBIA, 17 GIUGNO ↴
Il Pentagono ha annunciato di aver arrestato con la collaborazione delle forze di si-
curezza libiche Ahmed Abu Khatallah: leader del ramo locale di Ansar al-Sharia,
Khatallah è ritenuto la figura chiave nell'attentato contro il consolato USA a Bengasi
l'11 settembre del 2012 nel corso del quale morirono l’Ambasciatore Christopher Ste-
vens e altri 3 americani. Khatallah sarebbe ora detenuto su una nave americana e
trasferito nelle prossime settimane negli Stati Uniti.
MALI, 11 GIUGNO ↴
I dirigenti del Movimento nazionale di liberazione dell’Azawad (Mnla), dell’Alto consi-
glio per l’unità dell’Azawad (Hcua) e del Movimento arabo dell’Azawad (Maa) hanno
sottoscritto ad Algeri una Dichiarazione per il rilancio dei negoziati di pace con Ba-
mako a seguito della ripresa degli scontri tra ribelli e governo nella regione di Kidal.
Il documento riconosce l’importanza dell’unità nazionale e ribadisce la necessità di
rispettare le aspirazioni delle comunità locali. Il 12 giugno un’esplosione di un’auto-
bomba contro l’ingresso di una base militare delle Nazioni Unite ad Adjelhoc, a 430
Km a nord di Gao, nel nord-est del Paese, ha provocato la morte di 4 soldati ciadiani.
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SPECIALE BRASILE
I MILLE VOLTI DEL BRASILE ALLA VIGILIA DEI MONDIALI DI CALCIO
FRANCESCO TRUPIA ↴
All’interno del Programma della Crescita (PAC), varato dal governo di Dilma Rousseff,
l’incombente evento dei Mondiali di calcio ha assunto fin da subito un ruolo centrale
e di snodo per i settori dell’economia nazionale, dei diritti e delle questioni sociali.
Come mai prima d’ora il Brasile conferma di realizzare attraverso il futebol, fenomeno
storicamente endogeno della sua società, il segno più distintivo capace di consacrare
il poliedrico gigante economico e politico nella comunità internazionale. L’entusiasmo
per l’avvicinamento dell’evento è stato smorzato però dalla rabbia dei movimenti di
protesta che nelle più importanti piazze del Paese hanno costituito una “galassia del
No” pronta a manifestare il proprio dissenso contro le politiche della Rousseff e della
Fifa. L’inizio delle proteste popolari avvenne la scorsa estate durante la Confedera-
tion Cup, quando il governo aumentò (…) SEGUE >>>
IL BRASILE ALLO SPECCHIO: INTERVISTA A LUCIA CAPUZZI
GIUSEPPE DENTICE E FRANCESCO TRUPIA ↴
Ha preso il via in Brasile la ventesima edizione dei campionati del mondo di calcio
FIFA. Un evento importante e preparatorio all’altro (e forse più rilevante) appunta-
mento internazionale, ossia le Olimpiadi 2016 che si svolgeranno a Rio de Janeiro.
Nonostante l’importanza mediatica, e in parte politica, dell’evento – data anche la
prossimità delle elezioni presidenziali di ottobre – sono in tanti ormai in Brasile a
percepire il campionato del mondo come un successo soltanto parziale. A giustificare
tale atteggiamento è il mix di preoccupazione e di rabbia sociale per gli alti costi, i
ritardi infrastrutturali e un’immagine – in parte distorta – diffusa dai media nazionali
e internazionali che continuano a provocare un’ondata di proteste per le strade e le
piazze delle città brasiliane. Di questo e di altri temi l’Osservatorio di Politica Inter-
nazionale di BloGlobal ha discusso con Lucia Capuzzi, giornalista della redazione
Esteri di Avvenire, esperta di narcotraffico e America Latina e autrice di numerosi libri
(…) SEGUE >>>
BRASILE E SICUREZZA INFORMATICA: IL MARCO CIVIL DA INTERNET ORA È LEGGE
ELISABETTA STOMEO ↴
Prima ancora del fischio d’inizio dei mondiali di calcio, il Brasile aveva già segnato un
gol, l’ennesimo gol, che gli permette di continuare a scalare la vetta dell’olimpo delle
potenze mondiali. Settima economia mondiale con un tasso di disoccupazione che nel
2013 è sceso al 5,4% (raggiungendo il più basso livello mai registrato), il Brasile ha
fatto nuovamente centro il 23 aprile scorso, portandosi alla ribalta mondiale come
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Paese innovativo non solo dal punto di vista economico ma anche giuridico: dopo
la Câmara dos Deputados, anche ilSenado Federal do Brasil ha approvato all’unani-
mità il progetto di legge denominato Marco Civil da Internet, nonostante le critiche
dell’opposizione. La legge 12.965 – ribattezzata “la prima Costituzione di internet” –
è stata pubblicata il 24 aprile del 2014 ed è composta da trentadue articoli suddivisi
in cinque capitoli, in cui si statuiscono principi, diritti, doveri e garanzie per l’uso di
internet in Brasile. La libertà di espressione (articolo 2) risulta essere il principio car-
dine su cui poggia l’intero Marco Civil (…) SEGUE >>>
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ANALISI E COMMENTI
IL KOSOVO ALLE URNE: PROVE TECNICHE DI NORMALIZZAZIONE
ANNALISA BOCCALON ↴
Si sono svolte domenica 8 giugno le elezioni politiche anticipate nello Stato più gio-
vane d’Europa. Le consultazioni elettorali, che hanno visto trionfare il Partito Demo-
cratico del Kosovo (PDK), riconfermando il Premier uscente nonché ex leader
dell’Esercito di Liberazione del Kosovo (UÇK) Hashim Thaçi, sono state le prime ele-
zioni pienamente inclusive sul piano etnico dal 17 febbraio 2008 – ovvero da quando
Priština si è dichiarata indipendente da Belgrado – vista la partecipazione anche degli
elettori serbi delle municipalità delle aree settentrionali. Secondo i dati forniti dalla
Commissione Elettorale Centrale, il PDK ha dunque ottenuto il 31% dei voti, mentre
il principale partito d’opposizione, la Lega Democratica del Kosovo (LDK) dell’ex sin-
daco della capitale, Isa Mustafa, si è fermato a poco più del 26% (…) SEGUE >>>
IL RUOLO DEL GIAPPONE NEL SOGNO ENERGETICO DI ANKARA
PAOLO BALMAS ↴
La dimenticata crisi siriana e la più recente crisi ucraina hanno imposto al governo
turco di mettere in primo piano la questione energetica. Ciò che oggi è indicato con
le espressioni “indipendenza energetica” e “sicurezza energetica” sembra essere di-
venuta la ragione di fondo di molte decisioni prese a livello nazionale e internazionale,
nonché la causa di pressioni esercitate sia all’interno che dall’esterno della Turchia.
Ankara più di qualsiasi altra capitale della regione si è trovata stretta fra le crisi men-
zionate. L’allerta sugli approvvigionamenti di gas e greggio era già scattata nel 2009
quando la Federazione Russa aveva interrotto la fornitura di gas all’Ucraina. Ma gli
anni di guerra in Siria e l’inasprimento dei rapporti fra Mosca e Bruxelles (sia per
quanto riguarda l’Unione Europea che la NATO), hanno determinato una presa di
coscienza secondo la quale le vie alternative all’energia devono essere perseguite con
decisione e senza ritardi (…) SEGUE >>>
CERCASI PRIORITÀ GLOBALI PER LA NATO DEL FUTURO
STEFANO LUPO ↴
Con la fine della Guerra Fredda la NATO ha inequivocabilmente perso il nemico reale,
l’URSS, oltre che il focus strategico che la caratterizzava. Le numerose recenti ragioni
intercorse che motivano la riduzione delle spese europee nel quadro dell’Alleanza
Atlantica, tra cui la nuova concezione strategica delle forze armate e la crisi finanzia-
ria e poi economica, sottendono tutte, ad ogni modo, al mutato contesto internazio-
nale. La NATO si è scoperta non al passo con le nuove congiunture globali, con la
necessità stringente di dover passare da forza di deterrenza difensiva a una struttura
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di reazione rapida da impiegarsi, ad esempio, in determinate missioni su scala regio-
nale e/o planetaria, come nel riuscito caso della operazione anti pirateria “Ocean
Shield”. Non ci sono ancora tuttavia i margini per affermare che la NATO stia dispie-
gando la sua capacità di azione rapida nel migliore dei modi, specie nel momento
attuale, in cui lo spettro di antichi confronti torna alla ribalta dell’agone internazionale
e la missione in Afghanistan vede terminare il suo orizzonte (…) SEGUE >>>
A cura di
OSSERVATORIO DI POLITICA INTERNAZIONALE
Ente di ricerca di
“BLOGLOBAL-LO SGUARDO SUL MONDO”
Associazione culturale per la promozione della conoscenza della politica internazionale
C.F. 98099880787
www.bloglobal.net