bloglobal weekly n°22/2014

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www.bloglobal.net N°22, 518 OTTOBRE 2014 ISSN: 2284-1024

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Rassegna settimanale di BloGlobal-Osservatorio di Politica Internazionale (5-18 ottobre 2014)

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N°22, 5–18 OTTOBRE 2014

ISSN: 2284-1024

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BloGlobal Weekly Report Osservatorio di Politica Internazionale (OPI) © BloGlobal – Lo sguardo sul mondo

Milano, 19 ottobre 2014 ISSN: 2284-1024 A cura di: Eleonora Bacchi Giuseppe Dentice Danilo Giordano Maria Serra Alessandro Tinti

Questa pubblicazione può essere scaricata da: www.bloglobal.net

Parti di questa pubblicazione possono essere riprodotte, a patto di fornire la fonte nella seguente forma:

Weekly Report N°22/2014 (5 –18 ottobre 2014), Osservatorio di Politica Internazionale (BloGlobal – Lo sguardo sul mondo), Milano 2014, www.bloglobal.net

Photo credits: El Cronista.com; Demotix.com; AP; Palazzo Chigi; Reuters; AFP; BBC/AFP; AFP/Getty Images/Giuseppe Cacace;

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FOCUS

ASEM-ITALIA ↴

Il 16 e il 17 ottobre l'Italia ha ospitato la decima edizione del meeting Asia-

Europa (ASEM), il forum interregionale nato nel 1996 che – con il recente ingresso

di Croazia e Kazakistan – conta ora 53 Paesi con lo scopo di rafforzare la cooperazione

politica ed economica tra i due Continenti che insieme detengono il 60% della popo-

lazione mondiale e che generano metà della ricchezza globale. Nell'ottica di molti

leader dell'Unione Europea, questa è stata l'occasione per continuare a porre le basi

per la crescita comune dello spazio comunitario in un momento di forte dibattito sulle

politiche di austerità, puntando piuttosto a creare un mercato aperto con le eco-

nomie asiatiche e resistendo alle tendenze protezionistiche. Come ha spiegato il

Presidente uscente del Consiglio europeo, Herman Van Rompuy, «l'Europa ha bisogno

di investimenti asiatici e l’Asia ha bisogno delle tecnologie europee».

Tuttavia, come si è già verificato in occasione degli incontri precedenti, il Vertice

non ha prodotto alcun risultato significativo a livello generale (vi erano, in

particolare, aspettative riguardo a possibili progressi riguardo all'accordo globale sul

clima in vista della Conferenza di Parigi del 2015), ma è servito come piattaforma per

testare e/o potenziare lo stato delle relazioni bilaterali.

Oltre al faccia a faccia tra Putin – reduce dalla visita a Belgrado – e Poroshenko sugli

sviluppi della crisi in Ucraina che ha certamente dominato la scena, l'Italia ha

mostrato un deciso attivismo nel rafforzare la partnership con i Paesi asia-

tici. Sul piano commerciale, il Presidente del Consiglio Matteo Renzi ha infatti incon-

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trato i Primi Ministri di Bangladesh, Malaysia, Vietnam, Singapore e il Presidente ka-

zako Nazarbayev, confermando la strategicità dei mercati orientali come già messo

in evidenza durante il tour nel continente durante lo scorso mese di giugno.

Oltre a quello con il Premier giapponese Shinzo Abe, con il quale si è discusso della

possibile acquisizione da parte di Hitachi di Ansaldo e STS per il prossimo mese

di novembre – un'offerta in concorrenza con quella della cordata cinese CNR-Insi-

gma che permetterebbe la creazione del quarto gruppo mondiale del trasporto su

rotaia –, l'incontro più significativo è certamente stato quello con il Primo

Ministro cinese Li Keqiang. A margine della seconda riunione del business forum

Italia-Cina, Renzi ha ricordato la straordinaria partecipazione di Pechino ad Expo 2015

e l'importanza anche dei legami culturali tra i due Paesi, mentre Li ha dichiarato che

il Dragone intende importare il «Made in Italy di alta tecnologia e creatività» non

desiderando «un surplus nelle relazioni commerciali bilaterali».

Le due delegazioni hanno dunque firmato 20 patti commerciali per un valore

complessivo di 8 miliardi di euro. I più importanti riguardano: un accordo tra

Intesa Sanpaolo e China EximBank che prevede il supporto agli scambi di prodotti e

di impianti meccanici, elettronici e tecnologici, di energia e di materie prime, oltre

alla collaborazione in progetti infrastrutturali nei due Paesi o in Paesi terzi ma che

vedono coinvolte imprese italiane e cinesi; un protocollo di intesa tra Enel e la Bank

of China per potenziali operazioni finanziarie e di consulenza strategica nei prossimi

5 anni, comprendendo l'apertura di possibili linee di credito fino ad un miliardo di

euro; un Memorandum of Understanding tra Fondo Strategico Italiano (FSI) e la

China Investment Corporation (CIC International) dal valore complessivo di un mi-

liardo di euro per il sostegno alle attività di investimento comuni; un contratto tra Fin-

meccanica-AgustaWestland e la Beijing Automotive Industrial Corporation (BAIC) per

la fornitura di 50 elicotteri – che si aggiungono ai 70 elicotteri venduti negli ultimi 12

mesi e agli altri 60 agli altri clienti cinesi – e, in prospettiva, per il supporto tecnico

e l'addestramento nell'utilizzo dei velivoli.

Il summit è stato, in effetti, anche una prova generale della potenza economica

della Cina, destinata a superare nel giro di breve tempo anche quella degli Stati

Uniti: secondo gli ultimi dati diffusi dal Fondo Monetario Internazionale e dalla Banca

Mondiale, Pechino avrebbe già superato Washington in termini di PIL (17.600 mi-

liardi di dollari contro 17.400). Facendo seguito allo storico accordo sul gas da 400

miliardi di dollari dello scorso maggio, Li Keqiang si è recato a Mosca lo scorso 13

ottobre, siglando una nuova serie di accordi commerciali (almeno 40) che riguardano

l’economia, l’energia e le finanze per un valore complessivo di alcuni miliardi dollari,

ed impegnandosi reciprocamente maggiormente ad effettuare gli scambi in rubli e in

yuan.

Il prossimo Vertice ASEM si svolgerà alla fine di luglio del 2016 a Ulan Bator (Mongo-

lia).

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IRAQ-SIRIA-TURCHIA ↴

L’assedio di Kobane sembrava volgere ad un punto critico per la disperata resi-

stenza dei curdi. Incessanti colpi di mortaio hanno sostenuto la lenta e regolare pro-

gressione dei miliziani dello Stato Islamico (IS), dotati di armamenti pesanti e tre

volte i guerriglieri curdi, entro il cuore della cittadina siriana sul confine turco. Il 6

ottobre i primi vessilli neri del Califfato hanno iniziato a svettare sui tetti dei quartieri

orientali, prefigurando la capitolazione di Kobane. Benché il Pentagono abbia esplici-

tamente dichiarato che il dominio dei cieli non sia sufficiente a sottrarre la città curda

al furore dell’IS, gli attacchi della coalizione internazionale capeggiata dagli

Stati Uniti hanno tuttavia arrestato l’offensiva, costringendo i jihadisti ad un

deciso arretramento. Se nella giornata del 10 ottobre il quartier generale curdo era

stato annientato dagli aggressori, tra il 14 ed il 15 ottobre una serie martellante di

bombardamenti (40 i passaggi dei caccia statunitensi) hanno minato la mobilità e la

compattezza delle corti di al-Baghdadi, che ad oggi mantengono il controllo su circa

un quinto dell’area urbana. L’Osservatorio siriano dei diritti umani stima che nell’arco

di quattro settimane la battaglia di Kobane abbia provocato almeno 652 morti,

ma secondo i vertici americani i raid delle ultime ore hanno inferto perdite pesanti

anche alle forze jihadiste. Tuttavia, lo scontro per la città – il cui valore simbolico e

propagandistico eccede l’effettivo peso strategico – resta indeterminato negli esiti,

laddove l’IS è in grado di foraggiare l’assalto mobilitando uomini e risorse in direzione

della frontiera turca, mentre le forze curde sono esposte alla consunzione di munizioni

e beni di prima necessità.

Alla ferocia dei combattimenti è corrisposta la manifesta inazione delle truppe

turche schierate oltre confine. La reticenza di Ankara ad assicurare un corridoio uma-

nitario per rifornire i guerriglieri curdi strenuamente impegnati nella difesa di Kobane

è esplosa in concitate manifestazioni di dissenso, in Turchia come in numerose città

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europee. Mentre dalla vicina Suruc si moltiplicavano gli appelli affinché ogni curdo si

unisse alla lotta, il governo presieduto da Davutoğlu ha coercitivamente im-

posto misure di coprifuoco nelle province sud-orientali del Paese al fine di scon-

giurare una temibile sovrapposizione tra i peshmerga siriani (YPG) ed i militanti del

PKK. Gli echi violenti delle contestazioni (in cui hanno perso la vita 34 persone) ri-

chiamano alla memoria la sanguinosa guerra civile che per decenni ha visto contrap-

poste le rivendicazioni secessioniste curde alla dura repressione delle istituzioni cen-

trali. Il 13 ottobre i caccia turchi hanno colpito alcune postazioni del PKK lungo

il confine iracheno, replicando ad alcune schermaglie dei separatisti curdi.

L’intransigenza della linea turca, oltre a risvegliare le tensioni etniche e ad incrinare

la tregua annunciata da Öcalan nel marzo 2013, nuoce pure alla solidità della tradi-

zionale alleanza con Washington. Se Erdoğan vincola il coinvolgimento militare alla

rimozione di Assad, l’amministrazione Obama è intenzionata a non far cadere il velo

di ambiguità che ha sinora avvolto le incursioni aeree in territorio siriano ed è pari-

menti ostile (malgrado l’apertura francese e britannica) alla creazione di una zona

cuscinetto – che nella prospettiva della leadership turca consentirebbe il reinsedia-

mento dei profughi e la concertazione di un’azione risolutiva contro Damasco. Mal-

grado i colloqui con il Segretario NATO Jens Stoltenberg e con il Generale John R.

Allen, quest’ultimo incaricato dalla presidenza americana del coordinamento della

coalizione anti-IS, il Ministro degli Esteri Çavuşoğlu ha ribadito che la Turchia non

condurrà unilateralmente un’azione di terra a protezione di Kobane. Da que-

sto punto di vista la politica tracciata da Ankara scopre le carte degli attori occidentali

rispetto al dispiegamento di contingenti nel bifronte scenario di guerra – soluzione

appoggiata da Erdoğan solo all’interno di una strategia votata al rovesciamento del

regime alawita. Dietro l’offerta di addestrare ed equipaggiare le forze mode-

rate che contestano Assad, le autorità turche mantengono il veto circa l’utilizzo

estensivo da parte americana della base di Incirlik, ad eccezione delle attività di

ricognizione e combattimento già condotte dai droni Predator. Del resto larga parte

dell’opinione pubblica sunnita avversa l’adesione alla campagna bellica, mentre la

permeabilità dei confini e le capacità dei jihadisti pongono il rischio concreto di rap-

presaglie terroristiche. Per contro, stante la delicata postura di Teheran, Obama perde

l’opportunità di delegare alla principale potenza militare della regione (già sotto pres-

sione dal soccorso umanitario di oltre 1,5 milioni di profughi) un compito di diretta

opposizione armata alle ambizioni dell’IS.

La reprimenda della comunità internazionale non si è fatta attendere: il voto del 16

ottobre ha respinto la candidatura per l’attribuzione del seggio non perma-

nente in seno al Consiglio di Sicurezza ONU – un segnale del diminuito prestigio

turco nell’arena mondiale ed una sconfitta per il disegno neo-ottomano immaginato

da Erdoğan.

L’escalation nella frequenza e nell’intensità degli attacchi messi a segno dalla US

Air Force è stata resa possibile dagli avvenuti contatti con i rappresentanti dei gruppi

curdi asserragliati a Kobane, che hanno fornito le coordinate delle postazioni occupate

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dai miliziani islamisti. Parallelamente la frequenza dei raid nel teatro iracheno è di-

minuita drasticamente, anche in virtù di condizioni metereologiche avverse. Ciono-

nostante, l’efficacia dei bombardamenti statunitensi è inficiata dall’adattamento tat-

tico delle forze jihadiste, che operano a ridotto margine di visibilità (ad esempio ri-

nunciando a spostamenti mediante lunghi convogli) e tendono a mescolarsi nella po-

polazione civile. A denunciare i limiti della guerra aerea, l’amministrazione Obama

ha autorizzato l’impiego degli elicotteri Apache, soddisfacendo la precisa richie-

sta irachena ma elevando la vulnerabilità dei propri effettivi. Considerato il protrarsi

dell’impegno bellico nel centro di gravità mediorientale, nel dibattito interno acquista

credito la tesi dell’invio di “boots on the ground”, precauzionalmente contem-

plato dagli stessi ambienti del Pentagono; è influente in tal senso l’opinione di David

Petraeus secondo il quale l’abbattimento del Califfato procede necessariamente dallo

schieramento di forze di terra adeguate. Al momento sono 1600 i militari americani

che svolgono funzioni di advising in Iraq. Sul fronte diplomatico, a seguito di un in-

contro ad Amman con le controparti giordane, il Generale Allen si è recato ad Il

Cairo per stabilire un’intesa sia con il governo egiziano (disponibile ad una

piena partecipazione alla missione condotta da Washington), che con i rappresen-

tati della Lega Araba al fine di rafforzare l’isolamento dell’IS.

Le vicende sul confine turco-siriano hanno mediaticamente offuscato l’andamento

delle ostilità nello scenario iracheno, laddove il Califfato sta conducendo una siste-

matica e prioritaria azione di avanzamento nella provincia sunnita di Anbar e

segnatamente contro il capoluogo Ramadi, unico ostacolo che si frappone alla messa

in sicurezza di un passaggio incontestato tra Raqqa e le porte di Baghdad. Nella ca-

pitale gli attentati terroristici si susseguono con atroce regolarità: sabato 11 ottobre

l’esplosione di 3 autobombe ha provocato la morte di 26 persone ed il ferimento di

96; da ultimo, nella sola giornata del 16 ottobre almeno 50 civili sono stati vittime di

una massiccia ondata di attacchi dinamitardi nei quartieri sciiti della città. Altrove,

nonostante i costanti raid americani in prossimità delle dighe di Mosul e di

Haditha, il controllo di snodi fondamentali per la fornitura di acqua potabile è dive-

nuta un arma formidabile in mano ai jihadisti per piegare la resistenza dei villaggi.

Dopo un mese di negoziati, il 18 ottobre il Parlamento iracheno ha infine appro-

vato le nomine proposte dall’esecutivo di Haider al-Abadi per le posizioni di

Ministro degli Interni e Ministro della Difesa, rispettivamente conferite a Mohammed

Salem al-Ghabban (espressione della potente fazione politica sciita, nonché milizia

paramilitare, Badr Organization) e a Khaled al-Obeidi (politico sunnita proveniente

da Mosul). Gli incarichi rispettano il carattere di inclusività programmaticamente ri-

cercato dal nuovo governo, ma al contempo evidenziano la preminenza acquisita dalle

milizie sciite in virtù dei duri combattimenti intrattenuti a protezione di Baghdad. Nel

frattempo l’esercito iracheno è impegnato nella difesa di Ramadi, dove è scattato il

coprifuoco al fine di intralciare le infiltrazioni jihadiste, e nella riconquista di Tikrit.

La modesta flotta aerea per la prima volta si è levata in volo per condurre operazioni

di attacco contro le fila del Califfato, eliminando 94 guerriglieri fedeli ad al-Baghdadi.

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È tuttavia di maggior rilievo annotare che i corpi d’élite delle forze di sicurezza ira-

chene abbiano ricevuto il sostegno delle tribù sunnite di al-Jughaifi e al-Bunimer nei

violenti scambi a fuoco nei pressi della diga di Haditha, mentre nella cittadina di

Dhuluiya a nord della capitale è la tribù al-Jabbouri a reggere gli urti degli attacchi

jihadisti, assistendo in modo indispensabile la polizia locale ed i combattenti sciiti.

Nel quadro regionale degli attori coinvolti, le autorità iraniane hanno intimato i reparti

delle Guardie Rivoluzionarie leali al comandante Suleimani di non assumere azioni

aggressive contro le forze statunitensi operanti in Iraq. Sebbene la presenza di truppe

straniere sia ritenuta un elemento esasperante il risentimento contro le istituzioni di

Baghdad, il Ministro degli Esteri Javad Zarif ha ammonito che l’Iran non appoggerà

alcun atto peggiorativo della situazione, dunque destituendo le minacce indiriz-

zate dalle milizie sciite (che dipendono da Suleimani sul fronte del finanziamento e

dell’addestramento dei propri uomini) contro le bandiere statunitensi. Benché i bom-

bardamenti degli Stati Uniti siano ritratti quali espressioni d’imperialismo pressoché

inutili a rovesciare la minaccia dell’IS, Teheran è intenzionata a mettere sul piatto dei

negoziati sul nucleare un maggior ruolo nella crisi irachena.

Mentre il teatro di guerra si estende pericolosamente al Libano, dove l’esercito

ed Hezbollah respingono quotidianamente le sortite dei militanti jihadisti di Jabhat al-

Nusra, le monarchie sunnite associatesi alla causa anti-IS mettono in guardia Wa-

shington dalle ambiguità di Doha. Al Qatar sono sovente fatti risalire gli ingenti capi-

tali che hanno armato i gruppi islamisti oggi imperversanti in Siria e Iraq, quando già

nel marzo scorso Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Bahrain hanno richiamato i

propri ambasciatori dal Paese denunciando la violazione dell’accordo sottoscritto dai

membri del Consiglio di Cooperazione del Golfo in virtù del comprovato sostegno alla

Fratellanza Musulmana.

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BREVI

AF-PAK, 15 OTTOBRE ↴

Dopo l’aumento, nelle ultime settimane, delle

operazioni di raid aerei USA diretti contro i gruppi

talebani stanziati nell’area nord-occidentale del

Pakistan, un nuovo attentato sucida è stato attuato,

mercoledì 15 ottobre, a Pir Mela nella provincia di

Khyber Pakhtunkwa. L’esplosione, che ha causato

cinque morti e sette feriti, è avvenuta nel corso di una riunione di un consiglio di pace

anti-talebano. Sebbene l’attentato non sia stato rivendicato, l’azione è probabilmente

avvenuta per mano di uno dei gruppi jhiadisti legati al movimento Tehreek-e-Taliban

Pakistan (TTP) che raggruppa varie fazioni terroristiche della regione di frontiera con

l’Afghanistan. Negli ultimi mesi, tuttavia, il TTP ha visto sorgere delle spaccature

interne che ne hanno causato il distaccarsi di diverse sezioni. Il dissidio è stato acuito,

inoltre, dalla dichiarazione del leader del movimento, Maulana Fazlullah, con la quale

ha dato aperto supporto al califfo dell’IS, Abu Bakr al-Baghdadi. Il comunicato del 4

ottobre scorso riportava le seguenti parole di Fazlullah rivolte ad al-Baghdadi: «Noi

fratelli siamo orgogliosi delle vostre vittorie. Siamo con voi nella felicità e nella

sofferenza». Queste affermazioni hanno causato il malcontento di chi all’interno del

TTP intende restare fedele all’alleanza con il mullah Omar. Di un altro gruppo di

miltanza talebano, legato al mullah Omar e ad al-Qaeda, è arrivata, invece, la notizia

da parte dell’intelligence afghana della cattura di due dei maggiori esponenti. Si tratta

della Rete di Haqqani e gli arresti, eseguiti martedì 14, sono di Anas Haqqani e Hafiz

Rashid. Il primo, noto per il ruolo di ricerca di fondi privati e reclutamento di attivisti,

è figlio del fondatore della Rete, Jalaluddin Haqqani, e fratello dell’attuale leader,

Sarajuddin Haqqani; mentre Hafiz Rashid si occupava dell’aspetto operativo degli

attentati, inclusi l’addestramento di uomini-bomba e il reperimento di armi ed

esplosivi. Le azioni terroristiche compiute da questo gruppo sono state tra le più

mortali e sofisticate sferrate contro obiettivi quali le autorità afghane, le basi NATO

di Kabul e vari target americani in Afghanistan.

BOSNIA ERZEGOVINA, 12 OTTOBRE ↴

In un clima privo di particolare entusiasmo si sono

svolte in Bosnia Erzegovina le elezioni politiche

generali: nella stessa giornata si è votato per il rinnovo

della presidenza tripartita, per quello dei Parlamenti

delle due entità territoriali in cui è divisa il Paese

(Federazione di BiH e Republika Srpska) e nei 10

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cantoni che compongono la Federazione. Per quanto riguarda la presidenza, come da

aspettative, Bakir Izetbegović (figlio dell'ex Presidente Alija Izetbegovic) del Partito

di Azione Democratica (SDA) ha ottenuto il secondo mandato come membro

musulmano, battendo Fahrudin Radončić – ex Ministro della Sicurezza ed

esponente del partito politico Alleanza per un futuro migliore in Bosnia-Erzegovina

(SBBBiH) – e l'ex Ministro dell'Istruzione del cantone di Sarajevo, Emir Suljagić,

candidato per Fronte Democratico, formazione nata da una recente scissione dei

socialdemocratici. Il seggio croato della stessa presidenza è stato vinto da Dragan

Čović dell'Unione Democratica croata (HDZ), che ha sconfitto Martin Raguž, leader di

HDZ 1990, partito gemello di HDZ, da cui è fuoriuscito nel 2006 e di ispirazione

popolare. Resta infine ancora da confermare il seggio serbo: testa a testa tra Željka

Cvijanović – Primo Ministro della Repubblika Srspka e candidata dell'Alleanza dei

Socialdemocratici dei Serbi (SNSD) di Milorad Dodik, Presidente e uomo forte della

stessa entità da oltre un decennio – e Mladen Ivanić, esponente di Alleanza per il

cambiamento (PDP), che tuttavia secondo gli ultimi scrutini potrebbe avere la meglio

sull'avversaria per circa un migliaio di voti. Proprio nella RS il voto ha assunto

sostanzialmente una valenza politica nei confronti di Dodik, che, perso in parte il

sostegno da Belgrado, nei giorni immediatamente precedenti al voto ha ricevuto un

importante endorsement da parte di Vladimir Putin. La vittoria dei partiti nazionalisti,

ad ogni modo, restituisce un'immagine del Paese ancora saldamente ancorata alle

visioni e alle divisioni etniche, nonché al sistema di convivenza messo in piedi dagli

Accordi di Dayton del 1995. Non di meno, nonostante le numerose manifestazioni

di protesta popolari che hanno caratterizzato il Paese nel corso dell'ultimo anno, la

scarsa affluenza alle urne – il 54% (in calo di due punti percentuali rispetto al 2010)

– riflette una profonda scarsità di fiducia dei cittadini nei confronti della classe

dirigente. L'immobilismo del sistema istituzionale bosniaco è stato tra l'altro

nuovamente oggetto di critiche da parte dell'Unione Europea nel Progress Report

pubblicato l'8 ottobre. Bruxelles ha deciso peraltro di bloccare i fondi di assistenza

pre-adesione per Sarajevo per il 2014 a causa della mancanza di meccanismi di

coordinamento a livello statale.

BRASILE, 5 OTTOBRE ↴

Il primo turno delle elezioni presidenziali brasilane ha

registrato un importante colpo di scena. La leader

ambientalista e candidata di “riserva” del Partito

Socialista Brasiliano (PSB) – dopo la morte di Eduardo

Campos –, Marina Silva non sfiderà nel ballottaggio del

prossimo 26 ottobre la Presidente in carica Dilma

Rousseff. Infatti a fronteggiarla sarà il conservatore del

Partito Social Democratico Brasiliano (PSDB) Aécio Neves, che con il 33,6% dei

consensi potrebbe insidiare direttamente da vicino la Rousseff. Nonostante fosse

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stata addirittura accreditata di vittoria al primo turno in alcuni sondaggi pre-elettorali,

Marina Silva ha raccolto solo il 21,3%. A incidere negativamente sulla performance

della Silva probabilmente hanno influito da un lato una mancanza di chiarezza nei

programmi economici e di governo – una condizione che comunque accomunava tutti

e sette i candidati al palazzo di Planalto di Brasilia –, dall’altro la discesa in campo

dell’ex Presidente Lula in favore della sua pupilla Rousseff. Nonostante l’affermazione

al primo turno, la leader del Partito dei Lavoratori (PT) potrebbe seriamente rischiare

la sconfitta qualora i voti della Silva dovessero riversarsi totalmente sul candidato

conservatore. Attualmente sodanggi IBOPE e Datafolha danno proprio Neves in

vantaggio di appena due punti percentuale sulla Rousseff. Ancora una volta decisivi

saranno l’economia e la capacità di creare quella giusta empatia nei confronti

dell’elettorato brasiliano, sempre più alla ricerca di un leader carismatico che di un

vero e proprio statista in grado di guarire il Paese dagli scandali di corruzione e dalla

recessione economica che lo hanno colpito di recente.

COREA DEL NORD, 14 OTTOBRE ↴

Dopo oltre un mese di misteriosa assenza dalla scena

pubblica, il 14 ottobre Kim Jong-un è stato ritratto

sulle pagine del quotidiano di regime Rodong Sinmun.

Se fonti sudcoreane accreditano la tesi della degenza

forzata a seguito di un intervento chirurgico,

l’improvvisa scomparsa del leader nordcoreano ha

sollecitato varie ricostruzioni convergenti in un ipotetico cambiamento dei vertici di

Pyongyang, a maggior ragione a seguito della mancata partecipazione (il 10 ottobre)

al 69esimo anniversario della fondazione del Partito dei Lavoratori. Tuttavia, la

riapparizione di Kim Jong-un non chiarisce i segnali contrastanti recentemente

sopraggiunti dalla Penisola coreana. In una conferenza stampa presso il Palazzo di

Vetro a New York, per voce del Ministro degli Esteri Choe Myong-nam il regime ha

ammesso l’esistenza di campi di lavoro rieducativi, così replicando all’accusa di gravi

e sistematiche violazioni dei diritti umani denunciata da un rapporto ONU rilasciato

nello scorso febbraio; una dichiarazione che appare in netta controtendenza rispetto

agli usi dell’autoritarismo nordcoreano, mostratosi disponibile nella stessa occasione

all’apertura di un dialogo in materia con le istituzioni europee. Parimenti singolare è

stato l’inedito incontro presso Panmunjon delle alte cariche militari delle due Coree:

l’avvicinamento tra le parti evidenzia primi tentativi di conciliazione intrapresi dalla

dirigenza nordcoreana, una cui delegazione si era recata a Seul lo scorso 4 ottobre a

margine della conclusione dei Giochi Asiatici. Entrambi i governi hanno convenuto di

riprendere il filo dei colloqui entro la fine del mese. Malgrado ciò, la tensione nella

penisola coreana non accenna a scemare. Schermaglie lungo confine sono avvenute

a seguito del lancio da parte di attivisti sudcoreani di palloncini recanti volantini di

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protesta. A pochi giorni di distanza, lo sconfinamento di una nave nordcoreana è stato

antefatto di un nuovo scambio a fuoco, anch’esso tuttavia senza conseguenze.

GAZA, 12 OTTOBRE ↴

Si è tenuta al Cairo la Conferenza dei donatori

internazionali volta a raccogliere fondi per la

ricostruzione di Gaza e dell’intera Striscia praticamente

distrutta dalla guerra di luglio-agosto scorso tra le

fazioni palestinesi di Hamas-Jihad Islamica e Israele. Il

bilancio finale dell’operazione Protective Edge è stata

di 2.200 palestinesi e di una settantina di israelani uccisi, nonché della distruzione di

oltre centomila abitazioni e di circa diecimila sfollati interni tra i palestinesi di Gaza.

Alla conferenza hanno preso parte i delegati di circa 50 Paesi, fra cui il prossimo Alto

Rappresentante per la Politica Estera e di Sicurezza dell’Unione Europea, il Ministro

degli Esteri Federica Mogherini, il Presidente Abdel Fattah al-Sisi, il Segretario di Stato

USA John Kerry, il Re di Giordania Abdallah, il Ministro degli Esteri francese Laurent

Fabius e 20 organizzazioni regionali e internazionali. Fra i presenti anche il Segretario

Generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, e il Segretario della Lega Araba, l’egiziano

Nabil al-Arabi. Nella conferenza promossa e presieduta in coabitazione da Norvegia

ed Egitto – e nella quale Italia e Stati Uniti hanno avuto un importante ruolo di

sponsor politici – si sono raccolti 5,4 miliardi di dollari, una cifra di gran lunga più alta

rispetto ai 4 miliardi di dollari chiesti inizialmente dal Presidente dell’Autorità

Nazionale Palestiese (ANP) Mahmoud Abbas. Come hanno spiegato gli organizzatori,

gli aiuti verranno direttamente versati sui conti dell’ANP, riconosciuto

internazionalmente come garante della ricostruzione. Un’operazione politica, questa,

che indebolisce da un lato Hamas, lasciandola sempre più ad un ruolo marginale,

dall’altro conferendo all’ANP e ad Abbas la possibilità di ergersi a voce unica nel

dialogo con Israele. L'Italia si è impegnata a versare per Gaza 18,7 milioni di euro,

gli USA 212 milioni di dollari e l'UE ha promesso 450 milioni di euro. Per quanto

riguarda gli altri Paesi, il Qatar – alleato al pari della Turchia della dirigenza islamista

al governo nella Striscia – donerà un miliardo di dollari, mentre gli Emirati Arabi Uniti

e la Turchia hanno promesso 200 milioni di dollari. Sempre a Gaza, il 9 ottobre, è

andato in scena il primo incontro ufficiale dalla cacciata di Fatah dalla Striscia nel

2007, tra le dirigenze di Hamas e di Fatah stessa. A presiedere gli incontri del governo

di unità nazionale è stato il Primo Ministro palestinese Rami Hamdallah, che ha

confermato che la riunificazione delle istituzioni governative palestinesi è una priorità

assoluta dopo anni di divisioni.

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LIBIA, 12 OTTOBRE ↴

Non si arrestano gli scontri in Libia per il controllo

dell’aeroporto Benina di Bengasi. Da settimane le

milizie ribelli stanno cercando di prendere il controllo

dello scalo cirenaico controllato delle truppe filo-

governative. Secondo quanto riportato dall’esercito

libico, le fila di Ansar al-Sharia hanno subìto gravi

perdite nei recenti scontri. Tuttavia, per mano dei

militanti, un’autobomba è esplosa nella giornata di martedì 14 uccidendo sette soldati

libici. Il giorno successivo sono avvenuti scontri diretti tra l’esercito regolare e i ribelli,

oltre a ciò raid aerei sono stati effettuati contro le milizie, con un bilancio di dodici

morti tra i jhiadisti. Dell’operazione aerea fonti anonime hanno riferito alla Associated

Press (AP) che ad attaccare i militanti sarebbero stati dei velivoli appartenenti

all’esercito egiziano. A supporto di tale tesi è stato sostenuto che le truppe libiche

non sarebbero sufficientemente addestrate per poter condurre una simile operazione.

Nonostante ciò, fonti ufficiali cairote hanno smentito la notizia. Scontri sono avvenuti

anche nei giorni precedenti, nella zona a ovest di Tripoli, in concomitanza con una

visita del Segretario Generale delle Nazioni Unite Ban Ki-Moon, domenica 12 ottobre.

Ban Ki-Moon è arrivato accompagnato dal Ministro degli Esteri italiano, Federica

Mogherini. Le due alte cariche, si sono recate a Tripoli prima di volare al Cairo per la

conferenza internazionale dei donatori della ricostruzione della Striscia di Gaza. Il

motivo della visita è stato l’apertura della seconda sessione di dialoghi politici, in seno

alle Nazioni Unite, sulla questione libica. Tali negoziati sono iniziati il 29 settembre

scorso grazie all’azione del rappresentante speciale per la Libia a capo di UNSMIL,

Bernardino Leon. Il Segretario Generale ha affermato, nell’incontro con le autorità

del Paese, che «le milizie si devono ritirare dalle città libiche, dagli aeroporti e dalle

sedi governative per consentire agli organi legittimi di lavorare», e si è appellato alle

varie fazioni in lotta per la ricerca di una soluzione negoziale alle tensioni che

impreversano in Libia. Dal canto suo la Mogherini ha dichiarato che «l’Italia è pronta

a stare al fianco del popolo libico, se lo [vorrà]. Bisogna salvare la Libia da un destino

che non merita».

PALESTINA, 3-14 OTTOBRE ↴

Nel suo discorso inaugurale, il neo Primo Ministro sve-

dese Stefan Lovfen ha proposto il riconoscimento for-

male da parte di Stoccolma dello Stato di Palestina nei

confini del 1967. L’iniziativa svedese ha immediata-

mente provocato le ire dello Stato ebraico: Tel Aviv ha

protestato sia con l’Ambasciatore di Stoccolma in

Israele, sia inviando una lettera di rimostranze al nuovo

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esecutivo scandinavo. Il neo Premier ha giustificato la sua scelta spiegando che la

soluzione pacifica al conflitto israelo-palestinese passa per la creazione dei due Stati

indipendenti e che si riconoscano reciprocamente. Immediate anche le reazioni di

Unione Europea e Stati Uniti che bollano come «prematura» la decisione di Stoc-

colma. La Svezia è il primo Paese occidentale dell'UE a riconoscere la Palestina come

entità statale e si aggiunge a Repubblica Ceca, Slovacchia, Ungheria, Polonia, Bulga-

ria, Romania – questi avevano riconosciuto la Palestina ai tempi della loro adesione

al blocco comunista dell’URSS –, a Malta e Cipro. Sebbene criticata dai vertici di Bru-

xelles, la scelta svedese potrebbe aprire la strada ad altri membri dell’UE in tal senso.

Infatti, pochi giorni dopo, circa la metà dei membri della Camera dei Comuni di Londra

ha votato una mozione non vincolante che chiede il «riconoscimento della Palestina

come Stato sovrano accanto a quello israeliano come contributo ad assicurare la pro-

secuzione il negoziati di pace sulla base del principio due popoli, due Stati». I voti a

favore sono stati 274 (192 laburisti, incluso il leader Ed Miliband – quest’ultimo di

origine ebraica –, e 39 conservatori) e 12 i contrari. Si è invece astenuto il governo.

Al di là della natura simbolica del voto, il vice Ministro per il Medio Oriente, Tobias

Ellwood ha spiegato che «Le aspirazioni del popolo palestinese non potranno realiz-

zarsi pienamente fino quando non sarà posta fine all'occupazione (israeliana) e cre-

diamo che questo si potrà ottenere solo attraverso i negoziati» e «quindi il Regno

Unito riconoscerà bilateralmente lo Stato palestinese quando giudicheremo che que-

sto potrà contribuire alla pace». Come per la Svezia è arrivata immediata la condanna

israeliana che ha reputato il voto inglese «pregiudizievole di minare le possibilità di

pace con i Palestinesi».

UCRAINA, 17 OTTOBRE ↴

Per la terza volta dall'inizio della crisi, e nel “formato

Normandia” – al tavolo cioè anche con i capi di governo

di Francia e Germania come nell'incontro dello scorso

giugno –, il Presidente ucraino Petro Poroshenko e Val-

dimir Putin si sono incontrati a Milano a margine del

Vertice ASEM (16-17 ottobre). Nonostante i leader eu-

ropei avessero inizialmente riferito di “incomprensioni”

e di “forti divergenze” su tutte le principali questioni della crisi ucraina, e malgrado

anche il portavoce del Cremlino Dmitri Peskov avesse confermato il clima di gelo al

tavolo delle trattative, sembrano essersi aperti alcuni spiragli e non solo limitata-

mente alla dichiarazione di impegno da parte di entrambi i Capi di Stato a rispettare

la tregua di Minsk dello scorso 5 settembre. Un'intesa di massima sembra infatti

essere stata raggiunta sulla spinosa questione della fornitura di gas dalla Russia:

Putin ha difatti dichiarato di essere andato incontro alle esigenze ucraine, abbassando

il debito di Kiev dai 5,3 miliardi di dollari come finora chiesto da Gazprom a 4,5 mi-

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liardi, aggiungendo che almeno per questo inverno non ci saranno tagli alle condu-

zioni di gas al vicino. Allo stesso tempo, il Presidente russo ha chiesto che l'Unione

Europea sostenga l'Ucraina nel ripianamento del debito, punto su cui dovrebbe discu-

tere il Consiglio europeo del prossimo 21 ottobre. A margine dello stesso, inoltre,

dovrebbe essere previsto un nuovo incontro a quattro. Passi in avanti si sono regi-

strati anche in merito al monitoraggio della sicurezza nel Donbass lungo la linea di

controllo istituita con l'accordo del 19 settembre e lungo lo stesso confine con la

Russia: la sorveglianza dovrà essere infatti garantita da droni messi a disposizione

da Austria, Francia e Germania (anche se relativamente a quest'ultima è in corso una

polemica circa il non funzionamento degli apparecchi ad una temperatura inferiore ai

19 gradi sotto lo zero, come ha spiegato il parlamentare tedesco Gernot Erler) attra-

verso l'OCSE. Il Consiglio permanente di quest'ultima è ora chiamata ad approvare

l'accordo. Intanto il 12 ottobre la Russia avrebbe formalmente avviato il ritiro dei

17.600 militari dislocati dall'estate nella regione di Rostov, nel sud del Paese, al con-

fine con l'Ucraina, con lo scopo di condurre esercitazioni militari. La manovra di arre-

tramento non sarebbe stata tuttavia confermata dalla NATO. Un gesto di distensione

è stato contemporaneamente offerto anche dall'Ucraina con le dimissioni del Ministro

della Difesa, Valeriy Geletey, il cui successore dovrebbe essere nominato il prossimo

20 ottobre. Anche se l'intensità degli scontri è diminuita, a Donetsk si continua co-

munque a combattere: sono almeno 4 – due civili e due militari – le vittime di un

razzo lanciato su un quartiere residenziale; secondo il colonnello Andriy Lysenko,

portavoce del Consiglio di sicurezza e di difesa ucraino, sono 27 i militari ucraini morti

nelle ultime tre settimane nell'aeroporto della stessa città. Episodi di violenza, infine,

si sono registrati anche a Kiev il 14 ottobre, anche se per motivazioni diverse: mani-

festanti di estrema destra hanno protestato davanti al Parlamento per la mancata

approvazione di una legge riguardante il riconoscimento dell’esercito insurrezionale

ucraino e della sua lotta per l'indipendenza ucraina (collaborando tuttavia con i nazi-

sti) nel corso della seconda guerra mondiale; almeno 26 sono gli agenti di sicurezza

rimasti feriti e decine gli arresti.

YEMEN, 17-19 OTTOBRE ↴

La situazione politica e sociale in Yemen continua ad

essere estremamente fluida, nonostante gli appelli

della comunità internazionale e i ripetuti tentativi di

accordo tra le varie forze ribelli e il governo. Venerdì

17 era stato siglato un accordo di cessate il fuoco tra

le milizie sciite e quelle sunnite, durato poco meno di

24 ore a causa dello scoppio di nuove ostilità tra le due fazioni che hanno causato la

morte di 20 persone: le violenze sono scoppiate a seguito di un tentativo dei sunniti

di erigere delle barricate nei pressi della città di Yareem, capitale della provincia di

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Ibb, per contrastare l’arrivo degli Houthi. La città di Ibb rappresenta uno snodo stra-

tegico importante per gli Houthi che, dopo essersi impadroniti di importanti zone della

capitale Sana’a e del porto nel Mar Rosso di Hudaydah, si apprestano a conquistare

le province di Dhamar e Ibb, appunto, contendendole alle milizie sunnite, alcune delle

quali vicine ad al-Qaeda in the Arabian Peninsula (AQAP). Nelle ultime ore sembra sia

stato siglato un nuovo accordo per la cessazione delle ostilità nella provincia di Ibb,

ma nel Paese ormai va affermandosi l’impressione che esistano due diverse guerre:

una di tipo confessionale, dove a scontrarsi sono sciiti e sunniti, e una di tipo sepa-

ratista, nel sud del Paese, in cui alcune tribù mirano ad ottenere la tanto agognata

indipendenza dal nord. Nella giornata del 15 ottobre, i separatisti del sud hanno in-

viato un ultimatum al governo centrale, intimandogli di evacuare, entro il 30 novem-

bre, tutto il personale civile e militare dallo Yemen del sud. La situazione interna

diventa sempre più esplosiva e a nulla sono valsi i tentativi del Presidente Abd Rabbuh

Mansour al-Hadi di stemperare i contrasti eliminando le imposte sui carburanti e no-

minando un nuovo Premier gradito agli Houthi. In questo contesto si inserisce la

rivalità tra i due giganti del Golfo, Iran e Arabia Saudita, con Teheran che sostiene gli

sciiti Houthi, e con Riyadh che supporta gli sforzi sunniti del governo centrale.

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ALTRE DAL MONDO

ARMENIA, 10 OTTOBRE ↴

A margine del vertice dei Capi di Stato della CSI, l'Armenia ha firmato l'accordo per

l'ingresso nell'Unione eurasiatica. L'organizzazione, nata formalmente ad Astana lo

scorso maggio, riunisce anche Russia, Bielorussia e Kazakistan e dal 1° gennaio 2015

sostituirà la Comunità Economica Eurasiatica (EurAsEC). Il percorso di avvicinamento

all'Unione eurasiatica era iniziata nel settembre 2013 dopo la decisione di Yerevan di

abbandonare – anche sotto le pressioni russe – il percorso di integrazione europea.

BELGIO, 7 OTTOBRE ↴

Dopo quattro mesi di trattative, le forze politiche belghe hanno trovato un accordo

per la formazione di un governo di centro-destra guidato dal liberale francofono Char-

les Michel. La coalizione di governo raggrupperà il partito liberale francofono (MR), il

movimento Nuova alleanza fiamminga (N-VA), i democristiani fiamminghi (CD&V) e

i liberali fiamminghi Open VLD. Le elezioni legislative si erano svolte il 25 maggio e

avevano visto la vittoria di N-VA di Bart De Wever. Per la prima volta dopo circa 30

anni, il partito socialista francofono, presieduto dall'ex Premier Elio Di Rupo, sarà

all'opposizione.

BOLIVIA, 5 OTTOBRE ↴

Con oltre il 60% dei consensi, il Presidente indigeno Evo Morales ha vinto le elezioni

presidenziali boliviane battendo l’industriale e leader di Unidad Democrata, il conser-

vatore Samuel Doria Medina, che ha raccolto il 24,5% dei voti. Morales, eletto per un

terzo mandato consecutivo, ha potuto vantare un netto successo grazie al rilancio

dell’economia nazionale e ad una ridistribuzione della ricchezza grazie alle entrate

derivanti dalla vendita di idrocarburi nella regione.

BULGARIA, 5 OTTOBRE ↴

Come accaduto nell’ultima elezione del maggio 2013, il Parlamento bulgaro non ha

visto una netta affermazione di un partito e pertanto si appresta a vivere una nuova

stagione di grande coalizione di governo. La vittoria è andata ai conservatori del GERB

(Cittadini per lo sviluppo europeo della Bulgaria) dell'ex Premier e Sindaco di Sofia

Boyko Borisov, con quasi il 34% dei voti. Più distanziati i due partiti sinora al governo,

il Partito Socialista Bulgaro (BSP) e il partito della minoranza turca Movimento per i

Diritti e la Libertà (DPS), che hanno raccolto rispettivamente il 16% e il 14% dei voti.

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EGITTO, 14-16 OTTOBRE ↴

Diversi attentati sono avvenuti in Egitto nel corso della passata settimana. Al Cairo

nella sera di martedì 14 ottobre un ordigno artigianale è stato posizionato accanto ad

un’auto nei pressi della Corte Suprema vicino la stazione metropolitana Ramses, nel

centro della capitale, ed è stato fatto esplodere ferendo 12 civili. Con molta probabi-

lità l’obiettivo erano gli agenti di polizia presenti nell’area circostante. Tale attentato,

secondo alcune fonti, è stato rivendicato dal gruppo islamista Ajnad Misr (Soldati

dell'Egitto). Nella giornata di giovedì 16 ottobre, in aggiunta, nella città di Tanta, a

nord del Cairo, altre 11 persone sono rimaste ferite a causa di due bombe fatte esplo-

dere durante un Festival musulmano sufi e, alcune ore dopo, un terzo attacco è av-

venuto nel Sinai per mano dello stesso movimento Ajnad Misr. In quest’ultima azione

due soldati egiziani sono rimasti uccisi.

GERMANIA, 14 OTTOBRE ↴

Berlino ha rivisto al ribasso le stime di crescita della propria economia. Il Ministro

dell'Economia, Sigmar Gabriel, ha reso noto che le nuove previsioni vedono l'econo-

mia tedesca espandersi al ritmo dell'1,2% quest'anno rispetto al +1,8% indicato nelle

precedenti stime, mentre per il 2015 il PIL è atteso a +1,3%, rispetto al +2% pre-

ventivato. Gabriel ha rimarcato che il taglio delle stime è dovuto alle crisi in Ucraina

e in Medio Oriente e, più in generale, a un rallentamento del mercato dell’export

mondiale. Gabriel ha poi voluto precisare che «non vi è alcun motivo di pensare che

il Paese è in una fase di recessione». I dati ufficiali sull'andamento della prima eco-

nomia europea nel terzo trimestre arriveranno tra un mese, il 14 novembre: un nuovo

segno meno sancirebbe ufficialmente l'ingresso in recessione della locomotiva tede-

sca dopo il -0,2% fatto registrare nel secondo trimestre.

HONG KONG, 18-19 OTTOBRE ↴

Non si placano le ostilità tra il movimento di protesta popolare denominato Occupy

Central e le forze di polizia ad Hong Kong. Nelle ultime ore violenti scontri si sono

avuti a Mongkok, uno dei tre siti occupati dalla protesta che va avanti da tre setti-

mane, e il risultato sono state numerose cariche della polizia, con bastoni e spray al

peperoncino, che hanno provocato il ferimento di 20 persone. Intanto è stato rag-

giunto l’accordo per un incontro tra manifestanti e governo: martedì 21 ottobre sono

previsti colloqui tra la delegazione governativa e quella dei giovani manifestanti, che

saranno teletrasmessi e che si svolgeranno nei locali dell’Accademia di Medicina ad

Aberdeen, località lontana dai quartieri al centro delle proteste. Gli eventi di Hong

Kong sono stati recentemente al centro degli incontri tra il Segretario di Stato ame-

ricano John Kerry e il consigliere diplomatico cinese Yang Jiechi.

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KASHMIR, 6 OTTOBRE ↴

Sono ripresi il 6 ottobre scorso gli scontri tra truppe indiane e pachistane in Kashmir,

nella zona di confine con il Pakistan. Sebbene entrambi i paesi si accusino a vicenda

di spari e attacchi non provocati, resta incerto chi sia stato in realtà a rompere il

cessate il fuoco, in vigore dal 2003. Le vittime degli scontri a fuoco sono state circa

venti e numerosi i feriti. Inoltre, più di mille hanno dovuto lasciare le proprie abita-

zioni a causa degli scontri. Un duro colpo, questo, alle trattative di pace tra i due

Paesi del subcontinente indiano che si sarebbero potute avviare in seguito alle dichia-

razioni propositive del Primo Ministro indiano, Narendra Modi, in occasione dell’ultima

assemblea delle Nazioni Unite di fine settembre. In tale circostanza, di fatti, Modi ha

dichiarato necessario creare «un’atmosfera appropriata» per far ripartire i negoziati

con il Pakistan.

LETTONIA, 4 OTTOBRE ↴

Ottenendo 61 seggi sui 100 complessivi, la coalizione di centro-destra del Premier

uscente Laimdota Straujuma – formata da Vienotība (Unità), ZZS (Unione dei Verdi

e dei Contadini) e Nacionālā apvienība (Alleanza Nazionale) – continuerà a detenere

la maggioranza della Saeima, il Parlamento lettone. Il partito socialdemocratico e filo-

russo, Saskana (Armonia) del sindaco di Riga Nils Ušakovs, si conferma tuttavia

prima forza politica, pur perdendo 8 deputati rispetto alle consultazioni del 2011.

Nonostante la tenuta dell'alleanza di governo, la Straujuma potrebbe non essere ri-

confermata: alla guida del prossimo esecutivo si fa il nome del Ministro degli

Esteri, Edgars Rinkēvičs.

MOZAMBICO, 15 OTTOBRE ↴

Nonostante lo spoglio proceda molto a rilento, le prime proiezioni di voto delle elezioni

presidenziali del Mozambico confermano un ampio vantaggio del partito di governo

Frente de Libertaçao de Moçambique (FRELIMO) e del suo candidato Filipe Nyussi con

il 62% dei consensi, mentre il candidato della Resistencia Nacionale Moçambicana

(RENAMO) Alfonso Dhlakama ha ottenuto sinora il 32%. Sebbene gli osservatori in-

ternazionali abbiano considerato libere le consultazioni, gli ex-ribelli della RENAMO

hanno dichiarato illegittimo il voto perché viziato da brogli. Tuttavia, Dhlakama ha

affermato di essere pronto al dialogo con la controparte, sottolineando che «bisogna

trovare una soluzione negoziata tra tutti i mozambicani».

REGNO UNITO, 9 OTTOBRE ↴

Si sono svolte le elezioni suppletive nelle circoscrizioni di Clacton-on-Sea, sulla costa

orientale del Paese, e di Heywood e di Middleton, nel nord dell’Inghilterra. I risultati

di Clacton-on-Sea hanno consegnato la vittoria a Douglas Carswell del partito popu-

lista UKIP, guidato da Nigel Farage, che ha ottenuto il suo primo seggio alla Camera

Page 20: BloGlobal Weekly N°22/2014

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dei Comuni da quando il partito è stato fondato nel 1993. L’UKIP ha rischiato di otte-

nere la vittoria anche nella circoscrizione di Heywood e Middleton, da sempre rocca-

forti laburiste, dove i Labour, con Liz McInnes, hanno vinto con il 40,9% dei voti

contro l’UKIP fermo al 38,7%. Entrambi i risultati elettorali rappresentano un cam-

panello d’allarme per i partiti tradizionalisti, considerando anche le intenzioni di voto

espresse da un sondaggio pubblicato sul The Mail on Sunday, secondo il quale il 25%

degli elettori britannici sarebbe pronto a votare il partito euroscettico di Farage alle

prossime elezioni nazionali previste per il 2015.

SOMALIA, 12-15 OTTOBRE ↴

Il gruppo terroristico somalo al-Shabaab continua a lanciare attacchi nella capitale

Mogadiscio. Un attentato è avvenuto domenica 12 ottobre in un ristorante della città,

causando tredici morti tra i civili. Il giorno successivo due feriti sono stati causati

dall’esplosione di un ordigno installato in una macchina della polizia e mercoledì 15

un’autobomba ha causato dodici morti in una strada affollata della città. Gli attacchi

sono stati rivendicati dagli al-Shabaab, sebbene il movimento nell’ultimo periodo ab-

bia subìto dure perdite. Da sottolineare, infatti, la recente ripresa del completo con-

trollo – il 5 ottobre – da parte del governo di Mogadiscio, dello strategico porto di

Barawe, utilizzato dai militanti per ricevere soprattutto rifornimenti di armi. Le ope-

razioni, dirette contro gli Shabaab, fanno parte di Operazione Oceano Indiano, l’of-

fensiva iniziata nello scorso agosto e condotta dall’esercito regolare somalo unito alle

truppe della missione AMISOM (dell’Unione Africana) e supportata dai militari statu-

nitensi.

SPAGNA, 14 OTTOBRE ↴

Il Presidente catalano Artur Mas ha annunciato che non si terrà più il referendum

sull’indipendenza previsto per il 9 novembre. La decisione è arrivata 15 giorni dopo

la sospensione da parte della Corte Costituzionale delle norme sulla convocazione del

referendum, a seguito di una riunione “fiume” con i leader degli altri partiti

indipendentisti. Artur Mas ha precisato che una consultazione, dal valore esclusiva-

mente simbolico, si terrà comunque, il 9 novembre e conterrà «lo stesso quesito del

referendum, sarà organizzata grazie a ventimila volontari e coinvolgerà i comuni, i

cittadini e le associazioni attive nella regione». La decisione di Mas, leader del partito

Convergència i Union, ha provocato la spaccatura del fronte indipendentista. Oriol

Junqueras, leader di Esquerra Republicana de Catalunya, ha dichiarato di «non ac-

cettare consultazioni in tono minore», mentre i partiti più piccoli, come Candidatura

Unitaria Popular, evidenziano il “nonsense” di una consultazione priva dei crismi della

piena legalità.

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STATI UNITI-UNIONE EUROPEA, 9 OTTOBRE ↴

Dopo mesi di speculazione politica sui media, i governi di Washington e dei singoli

Paesi dell’Unione Europea hanno stabilito di comune accordo di declassificare le di-

rettive per il negoziato del Transatlantic Trade and Investment Partnership (TTIP), il

negoziato commerciale e finanziario ripreso nel giugno del 2013 tra USA e UE.

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ANALISI E COMMENTI

L’AMERICA LATINA DI FRONTE ALLA CORTE DELL’AJA: IL CASO DI BOLIVIA E CILE

ELISABETTA STOMEO ↴

Pochi mesi fa la Oxford Analytica, famosa società di consulenza e di analisi strategica

degli accadimenti mondiali, ha pubblicato un’infografica molto interessante riguar-

dante i casi sottoposti al vaglio della Corte Internazionale di Giustizia dai differenti

Stati latinoamericani, ponendo l’accento proprio sulla loro sempre più costante pre-

senza. Negli ultimi anni, infatti, i giudici de L’Aja si sono ritrovati oberati dalla risolu-

zione di conflitti latinoamericani: dal 2001 ad oggi sono state ben tredici le contro-

versie su cui si è pronunciato il Tribunale, di cui otto riguardanti – nello specifico –

liti territoriali o marittime. La Corte Internazionale di Giustizia è l’organo giurisdizio-

nale delle Nazioni Unite, chiamato principalmente a dirimere le dispute tra gli Stati

membri dell’ONU che hanno accettato la sua giurisdizione. Ultimamente l’impressione

diffusa tra gli attori del diritto, esperti politologi e non solo, è quella che tale Corte

abbia acquisito il ruolo di giudice supremo nelle questioni legate fondamentalmente

alle contese confinarie sul territorio latinoamericano. I motivi di tale (consapevole o

meno) tendenza sono vari e possiedono differenti matrici. L’intervento della Corte

Internazionale di Giustizia sull’interpretazione o applicazione dei vari strumenti giu-

risprudenziali internazionali ha una grande trascendenza per i Paesi latinoamericani

data la competenza consultiva che la Corte Interamericana dei Diritti Umani possiede

rispetto all’interpretazione degli stessi strumenti (…) SEGUE >>>

LE SFIDE DELL’AFRICA E IL RUOLO DELL’ITALIA: INTERVISTA ALL’ON. LIA QUARTAPELLE

REDAZIONE ↴

A fronte di quello che è stato definito il “Secolo dell’Asia”, a causa della rinascita

asiatica dopo alcuni Secoli di relativo declino, l’Africa – e in particolar modo quella

sub-sahariana –attraversa indubbiamente dalla seconda metà degli anni Novanta

un’eccezionale fase di espansione e di sviluppo economico, registrando un tasso di

crescita che, secondo le stime del Fondo Monetario Internazionale, ha superato nel

2012 quello medio dei Paesi BRICS. Tuttavia, nonostante un miglioramento comples-

sivo delle performance economiche e nonostante anche una significativa evoluzione

politica e sociale di alcuni contesti, il Continente resta segnato da debolezze struttu-

rali, nonché da un nuovo periodo di instabilità e di arretramento dei processi demo-

cratici, coincisi in parte con le cosiddette Primavere Arabe del 2011, sbocciate sulla

costa mediterranea africana, ma definitivamente esplose in tutta la loro evidenza

nell’ultimo biennio con le crisi che hanno toccato l’Africa saheliana e con la recente

epidemia di ebola. In questo contesto frammentato, l’Italia sta provando a ritagliarsi

un ruolo importante sia attraverso la partecipazione ad azioni multilaterali – quale ad

esempio l’immigrazione e la pirateria – sia attraverso l’instaurazione di un nuovo

modello di cooperazione allo sviluppo – improntato anche all’uso della diplomazia –

rispettoso delle differenze e delle specificità locali (…) SEGUE >>>

Page 23: BloGlobal Weekly N°22/2014

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LA CENTRALITÀ DELLA POLONIA NELLA CRISI UCRAINA

ALBERICO IUSSO ↴

La BBC ha commissionato nel 2013 un interessante sondaggio sulla percezione

dell’influenza internazionale di alcuni Paesi. Tra i dati raccolti tra 25 Stati, quelli sulla

Russia sono particolarmente interessanti: tra i Paesi europei coinvolti nell’indagine,

solamente la Grecia aveva una percezione complessivamente positiva del governo di

Mosca; i due Paesi che avevano una visione maggiormente negativa erano la Germa-

nia e la Polonia [1]. Proprio quest’ultima nutre da sempre grande diffidenza nei con-

fronti della Russia. Entrambi parte del mondo slavo, pur con le peculiarità che li con-

traddistinguono, questi due Paesi vivono storicamente una relazione conflittuale, che

affonda le sue radici in secoli di scontri e occupazioni per il controllo delle terre di

confine e per l’estensione dell’influenza nell’area centro-orientale europea. Nel Set-

tecento l’Impero zarista aveva contribuito attivamente alle spartizioni della Polonia,

provocandone peraltro la cancellazione dalle mappe geografiche per 123 anni (1795-

1918) (…) SEGUE >>>

TURCHIA, ZERO PROBLEMS TOWARDS IRAN?

FRANCESCO MINICI ↴

Il rapporto tra Turchia e Iran nell’ultimo anno ha segnato il passo dell’evoluzione

magmatica del quadro regionale. Tutti i tradizionali schieramenti del Medio Oriente

sono in sommovimento. Il Califfato dell’IS ha avuto l’effetto di rivedere antiche stra-

tegie e alleanze. E’ indubbio che la maggiore difficoltà risieda nel delineare una pro-

spettiva stabile che abbracci il medio periodo. Le variabili da considerare sono mol-

teplici sia dal punto di vista economico sia da quello politico. Il reciproco interesse

dei due Paesi a porsi come guida della regione risente della necessità di normalizza-

zione della situazione nell’area. Vari dossier imporrebbero ragionate scelte dei due

governi più cooperative mentre interessi più particolari sembrerebbero allontanare in

stringenti divergenze le due capitali. Procedendo con un ordine cronologico occorre

ricordare che lo scorso gennaio Turchia e Iran hanno rafforzato le proprie relazioni

attraverso la firma di tre accordi di cooperazione bilaterale. Il Premier turco Erdoğan,

dopo una visita diplomatica a Teheran, sottoscriveva tali accordi suggellando quello

che a detta di molti analisti è stato definito come un turning point per tutto il Medio

Oriente (…) SEGUE >>>

A cura di

OSSERVATORIO DI POLITICA INTERNAZIONALE

Ente di ricerca di

“BLOGLOBAL-LO SGUARDO SUL MONDO”

Associazione culturale per la promozione della conoscenza della politica internazionale

C.F. 98099880787

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