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Il gioco come mezzo d'adattamento sociale.
Al giorno d'oggi il ruolo del gioco nello sviluppo psicofisico del bambino e' ampiamente
riconosciuto, eppure fino agli anni settanta vi era un netto prevalere di quella visione
adultomorfa secondo cui il gioco era un'attivita' futile, se non priva di senso.
Una svolta verso la legittimazione scientifica del gioco proviene da una serie di ricerche e
contributi sullo studio etologico dei primati per i quali l'attivita' ludica rappresenta una
spinta molto forte nella loro evoluzione.
Nel 1968 un equipe di studiosi guidata da Jane Goodall formulo' la prima ipotesi di teoria
funzionale del gioco studiando gli scimpanze' selvaggi di una riserva in Tanzania.
Per questi ultimi l'esercizio ludico di modalita' comportamentali osservate negli adulti
(ad es. lotta che diviene una danza) costituiva un importante tasello del loro processo
d'adattamento.
Dunque l'adattamento dipendeva proprio dalla capacita' di apprendere attraverso il gioco,
poiche' in esso si scaricano quelle tensioni e frustrazioni legate all'esecuzione di un atto.
Similmente diversi studi hanno mostrato come bambini messi in condizione di
sperimentare liberamente dei materiali sul piano ludico riuscissero poi piu' facilmente
nello svolgimento di un compito. Una sperimentazione condotta da Corinne Hutt ha
dimostrato che i bambini con una scarsa attitudine al gioco non sviluppano poi capacita'
creative e un altra ricerca condotta da Erikson ha rivelato che i soggetti con una vita ricca
di stimoli e soddisfazioni vivono una realta' fortemente centrata sul senso del gioco.
Sempre legato alla funzione sociale del gioco come strumento di adattamento e quindi di
trasmissione di convenzioni sociali e culturali, studi antropologici hanno mostrato come
diverse culture incoraggiano forme di giochi differenti. Qui subentra il discorso delle
regole, in quanto ogni gioco ha un suo preciso sistema di regole, che cambia a seconda
della cultura che lo produce, proprio come il linguaggio. In questo senso c'e' anche un
rapporto tra quest'ultimo e il gioco, che in qulche modo ne e' precursore, possibilita'
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avvallata da osservazioni svolte da Brumer e dai suoi collaboratori che mostrano come il
gioco possa fungere da veicolo di apprendimento linguistico.
L'approccio antropologico alla teoria del gioco.
Per giungere a queste considerazioni che riconoscono al gioco una sua valenza sociale,
dobbiamo fare un passo indietro e riconoscere il contributo del precursore di questo
approccio antropologico sul fenomeno gioco: lo studioso olandese Johan Huizinga che
nel suo “Homo Ludens” del 1939, analizza il significato del gioco nella sua totalita'.
In questa analisi Huizinga individua alcune caratteristiche peculiari del gioco:
– Il gioco e' un atto libero, in quanto tale non puo' essere imposto. Solo quando il gioco
assume una funzione culturale, subentrano i concetti di compito e impegno.
– Il gioco si distingue dalla vita vera, da quella ordinaria. In esso si afferma il concetto
di “finzione” che pur essendo chiaro a chi gioca non ne sminuisce per questo la sua
importanza.
– Il gioco e' un'attivita' disinteressata. In questo senso e' una “ricreazione” che non
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soddisfa i bisogni primari dell'individuo ma bensi quelli di espressione della vita
collettiva, di cui trasmette i legami spirituali, sociali e culturali.
– Il gioco e' limitato nel tempo e nello spazio. Pertanto il limite temporale viene
compensato dalla capacita' del gioco di essere tramandato nel tempo, sia pure con delle
varianti ( e' il caso dei giochi tradizionali).
– Il gioco e' creatore di ordine e armonia. Avendo al suo interno un ordine proprio e
assoluto esso realizza una perfezione, seppur temporanea e limitata.
– Ogni gioco ha le sue regole, anche quello spontaneo, senza le quale il gioco crolla.
– Infine vi sono altri tre apetti del gioco che vanno sottolineati: quello della tensione che
spinge ciascun giocatore a dare il meglio di se', quello del rafforzamento del senso
della comunita' che si verifica nel caso del gioco sociale come anche per i bambini
nonche' in alcuni riti dei popoli primitivi e di feste tradizionali quali appunto il
Carnevale dove convive un' altra caratteristica del gioco, quella del sentirsi diverso che
si esprime attraverso il travestimento.
Dopo aver analizzato i modi in cui il gioco si manifesta Huizinga tratta altri due apetti del
gioco molto importanti: la “gara” e la “rappresentazione” che sono presenti in varie
manifestazioni culturali e sociali. Ad esempio nel diritto della pratica giudiziaria, si
possono ritrovare caratteristiche del gioco quali la competizione, la rappresentazione e il
travestimento. La stessa filosofia deriva dal gioco, in particolare da quello degli
indovinelli e degli enigmi. Inoltre Huizinga fa discendere dal gioco il culto religioso, la
poesia, l'arte e la guerra stessa.
Molte critiche sono state mosse alle teorie di Huizinga. Roger Callois, suo
contemporaneo, individua dei limiti nella sua impostazione allargando le categorie
entro le quali il gioco si puo' inscrivere. Nella classificazione di Callois abbiamo:
– “Alea”, ovvero il rischio dell'abbandono dovuto al caso ( ad es nei giochi d'azzardo).
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– “Agon”, ovvero la volonta' di prevalere nel confronto ( ad es nelle gare sportive).
– “Mimicry”, ovvero il gusto per il travestimento.
– “Illinix”, ovvero la vertigine, l'eccesso e l'estasi.
Tali funzioni del gioco rispondono a loro volta a due principi opposti che sono
“la paida” vista come il divertimento sfrenato e incontrollabile e il “ludus” inteso come
esigenza di contenere la paida in vista di un risultato auspicato.
Infine per Callois sono le regole il fattore determinante del gioco che ne governano lo
svolgimento rispondendo al grado di sviluppo della cultura in cui si attua.
In epoca piu' recente sono state mosse critiche radicali alle speculazioni di Huizinga.
Umberto Eco individua un limite e una contraddizione di fondo nel rapporto tra gioco e
cultura, ove secondo Huizinga il primo e' espressione del secondo: ne deriva una visione
della storia che vede nel progresso un impoverimento della sua funzione ludica.
Di fatti la societa' civile va perdendo nel tempo molte delle sue componenti ludiche
originarie (che invece sono molto forti nelle culture primitive) ma se ammettiamo che il
gioco e' fonte di cultura la societa' dovrebbe arricchirsi di momenti ludici e non
impoverirsene. E' questa la contraddizione e il limite di Huizinga, il non riconoscere al
gioco una funzione critica rispetto alla cultura stessa.
Una teoria antropologica del gioco non puo' considerarlo isolatamente dalla realta' e dalla
cultura di cui fa parte ma considera i tre aspetti come facenti parte della stessa
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problematica.
Sempre in una prospettiva antropologica alcuni studiosi come LeviStrauss e Lanternari
hanno messo in luce che alcuni giochi infantili come ad esempio il girotondo e gli stessi
giochi di forza risalgono a riti primitivi.
L'antropologia sociale ha focalizzato i suoi interessi di studio sul rapporto tra il gioco e le
istituzioni sociali nelle varie culture. Se l'interesse degli adulti rispetto al gioco e' quello
di trasferire cultura, cioe' di imprimere nel bambino quei valori condivisi dalla societa', i
giochi si fanno veicolo di questa operazione. Inoltre essi fungono anche da occasione di
interazione sociale e quindi influiscono nei rapporti sociali in termini di equilibrio tra
gruppi e sottogruppi di una societa'.
Uno studio comparato sul gioco ad opera di Robert e SuttonSmith ha mostrato che gran
parte dei giochi trasmessi nelle varie culture sono imitazioni di attivita' sociali.
Nella stessa direzione si sono mossi alcuni teorici della sociopedagogia che hanno
studiato il fenomeno gioco proprio in relazione di quelle variabili sociologiche e
ambientali che ne influenzano i modi. In questa lettura il gioco e' visto come un abitudine
sociale che varia a seconda dei valori, dei modelli educativi e delle mode. Quindi il gioco
e' visto come processo di apprendimento di modelli sociali e comportamentali.
La prospettiva psicologica verso una teoria del gioco come apprendimento.
Un altro approccio sul fenomeno gioco che sottolinea la sua importanza in tutta la vita
dell'individuo e' quello di tipo psicopedagogico.
Qui sono numerosi gli studi e le
ricerche che da Freud in poi si sono susseguiti.
Per riallacciarsi al discorso del gioco come forma di apprendimento e' fondamentale il
contributo dello psicologo svizzero Jean Piaget, i cui sudi hanno influenzato gran parte
delle teorie psicopedagogiche piu' recenti.
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Piaget individua tre principali stadi del gioco:
– Il gioco d'esercizio, appartenente al periodo senso motorio, dove c'e' una ripetizione di
quelle attivita' d'adattamento a scopo di divertimento. Sono proprio le prime
esperienze senso motorie a gettare le basi del futuro sviluppo intellettivo.
– Il gioco simbolico che e' il momento di massima espressione delle funzioni del gioco,
in cui le pressioni ambientali vengono meno e lasciano spazio alla libera espressivita'
del bambino. Sulla scia di Freud, Piaget afferma che il bambino ricorre al gioco per
costruire il suo sistema di simbolico nel quale i conflitti inconsci (paure, angosce,
interessi sessuali) vengono liquidati.
– Il gioco con regole che corrisponde allo stadio operativoconcreto dove c'e' una
progressiva emancipazione dall'egocentrismo. In questa fase i giochi con regole
tendono a sostituirsi o affiancare il gioco simbolico. Da qui in poi si entra nella sfera
sociale. Sono tali i giochi istituzionali come quelli della tradizione infantile, e quelli
spontanei che pure sono strutturati su degli accordi tra i partecipanti.
Piaget riconosce al gioco un valore fondamentale nello sviluppo cognitivo, affettivo e
sociale del bambino. Egli afferma che il gioco e' prima di tutto assimilazione che domina
l'accomodamento. Il bambino adatta le cose a se stesso per poi giungere ad un suo
adattamento ai modelli che la societa' gli richiede. Un esempio in questo senso e' proprio
il linguaggio, un codice che il bambino acquisisce in forma precostituita. E' quindi
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importante che il bambino ricorra ad un proprio sistema di significati che sia in grado di
evocare secondo la sua volonta': e' appunto il sistema dei simboli del gioco usati in
funzione di un assimilazione ludica.
Tra le critiche alla concezione piagetiana, vi e' quella di svalutare la finzione vista come
evasione dal quotidiano, mentre secondo alcuni psicopedagogisti rappresenta uno
strumento per riprodurre il reale. Inoltre, secondo Vygotskij (1979), nel gioco infantile in
genere , sono comunque presenti delle regole e man mano che il bambino cresce tali
regole si fanno sempre piu' forti finche' non raggiungono lo status di “contratto sociale”.
In tal senso anche il gioco simbolico si puo' gia' considerare un attivita' sociale in quanto
le regole sono gia' presenti seppur non esplicite.
A Piaget va comunque conferito il merito di aver sottolineato che l'apprendimento non
puo' essere separato dal momento del gioco, attraverso il quale il bambino costruisce la
sua identita'. In concordanza con le tesi di Piaget, Jean Cheateau approfondisce il suo
punto di vista sulla funzione del gioco simbolico: attraverso una padronanza dei simboli,
l'uomo si affranca dalla sua componente animale e forma la sua personalita' morale.
Il gioco quindi, lungi dall'essere un semplice apprendistato, e' la prima di quelle attivita'
che costituiscono la cultura dell'uomo (scienza, arte, sport, religione derivano proprio dal
gioco). In particolare e' attraverso il gioco collettivo che il bambino puo' superare il suo
egocentrismo, accettando e condividendo quelle regole che creano la societa' infantile e
pongono le basi per una convivenza civile.
Dalle osservazioni compiute dagli psicopedagogisti si deduce che il bambino e' portato ad
apprendere meglio quando si tiene conto delle sue motivazioni e tendenze. Li' dove
prevale il luogo comune di contrapporre il momento del gioco a quello del lavoro si tende
a svalutare l'attivita' ludica come momento d'apprendimento. La conseguenza e' quindi
una diminuizione della motivazione. Eppure e' ormai evidente che obiettivi pedagogici
quali l'apprendimento, la maturazione cognitivo affettiva e la socializzazione si possono
efficacemente raggiungere li dove c'e' una motivazione del bambino che come abbiamo
visto e' vissuta pienamente attraverso l'esperienza ludica.
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Pertanto e' importante sottolineare che i momenti ludici sono tanto piu' liberatori quanto
piu' slegati dalla programmazione scolastica. Abbiamo due considerazioni al riguardo:
in primo luogo il “gioco si autocrea”, indipendentemente dalle intenzioni educative il
gioco e' bisogno di comunicazione, dove tale bisogno e' rappresentato dall'esigenza di
sperimentare il gusto di non essere costretto a fare tale esperienza. Si gioca per stabilire
una connessione con gli altri: il bambino sceglie spontaneamente con chi giocare in base
alle sue simpatie.
In seconda battuta l'attivita' ludica e' una forma di comunicazione con le cose.
Abbiamo detto che attraverso il gioco il bambino impare ad usare le cose, fino ad entrarne
in possesso, ed e' proprio queso tipo di energia che l'individuo riportera' poi nei vari
campi di indagine e di attivita' umana.
La comunicazione ludica diventa specchio di quanto avviene intorno a noi.
In questo senso la scuola offre un punto di vista privilegiato, in cui e' ancora possibile
applicare la distinzione tra “jocus” e “ludus”, dove il primo termine indica un
passatempo, un'attivita' piacevole cui dedicarsi con impegno e il secondo, piacere sfrenato
in cui le regole si riducono al minimo e il risultato finale e' affidato al caso.
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Nella lingua italiana tale distinzione non esiste piu', sicche' nel linguaggio comune la
parola “gioco” li include entrambi mentre nella letteratura scientifica l'aggettivo “ludico”
indica appunto quell'attivita' interiore o relazionale dove le norme sono minime.
Tornando alla scuola i momenti di “jocus” sono quelli stabiliti da tempi, regole e obiettivi
pedagogici, mentre quelli “ludici” sono quanto piu' possibile svincolati da norme se non
quelle del rispetto reciproco, nonche' del rispetto per le cose. E' importante partire da tale
distinzione prima di andare ad analizzare il gioco dal punto di vista educativo.
I modelli pedagogici.
Dal momento che ciascun pedagogista si ispira alla scuola di pensiero in cui
maggiormente si riconosce, non e' possibile elaborare una teoria generale sul gioco.
Possiamo pero' individuare tre modelli di pensiero pedagogici impegnati a conferire al
gioco il suo posto di diritto all'interno degli spazi istituzionali dedicati all'infanzia.
– Il modello funzionale considera il gioco come un processo continuo di apprendimento.
Si afferma che il bambino impara giocando e di conseguenza piu' l'insegnamento crea
dei momenti ludici in funzione dell'apprendimento piu' aumenteranno le sue
possibilita' di successo.
Tale modello e' accreditato tanto dalla corrente cognitivista che dalle psicologie che
lavorano sull'affettivita' del bambino e del ragazzo.
La scuola deve essere per il bambino un momento di benessere (poiche' trova
piacevole se non divertente frequentarla) in cui la psiche ne e' influenzata
positivamente recando un giovamento anche nel rapporto con gli altri.
La personalita' del bambino, che occupa qui un ruolo centrale, si formera' quindi in
un ambiente rassicurante sia dal punto di vista emotivo che dell'apprendimento.
In questo modello joci e luci convivono serenamente.
– Nel modello occasionale il gioco e' un momento importante ma speciale.
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L'attivita' didattica non e' impostata sul gioco, cui e' riservato uno spazio a se, separato
dal resto (la ricreazione, le gite, le feste). Ne consegue che il bambino tendera' a
riappropiarsi del gioco nei momenti piu' impensati e meno adatti. Questo e' il modello
adottato nella scuola tradizionale, che tende a considerare l'apprendimento come una
cosa seria e che intende cosi' trasmettere al bambino il senso della vita, vista come
percorso in cui i momenti ludici non si confondono con il vivere quotidiano fatto di
fatica e impegno. Qui joci e luci si separano nettamente.
– Il modello delegato nega i precedenti, ritenendo il primo in parte ipocrita e il secondo
troppo autoritario. Esso non ritiene che la scuola possa adempiere in pieno a tutte le
esigenze ludiche del bambino ma ritiene che essa debba aprirsi a tali esperienze con
degli spazi ad hoc, vere e proprie “botteghe della fantasia”, quali sono ad esempio
laboratori artistici e teatrali, animazioni e momenti di gioco puro. Questo sia facendo
ricorso a strutture presenti nel territorio che inserendo nella programmazione scolastica
un sistema di iniziative che insegnino, magari anche divertendo, ragazzi e insegnanti.
La scuola diventa quindi sede di attivita' ludiche, aprendosi al territorio che entra nella
scuola per partecipare a quanto di ludico si possa fare al suo interno.
Pur essendo diversi tra loro, i tre modelli pedagogici possono coesistere all'interno della
stessa scuola, e talvolta dello stesso insegnante. In particolare il modello funzionale e
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quello delegato possono avere dei punti di contatto, e si puo' affermare che una scuola o
un insegnate in grado di ricreare una giusta dialettica tra gli “ joci” e i “ludi” realizzano
la vera essenza del bisogno ludico infantile. La sfida che si pone qui non e' tanto quella di
trasformare la scuola in una sorta di paese dei balocchi ma piuttosto di rendere
l'insegnamento meno noioso possibile, ma al contrario affascinante nei confronti dei
ragazzi e che lasci loro degli spazi in cui esprimere liberamente il proprio Io attraverso la
parola, l'arte, il movimento corporeo. Questi spazi di espressivita' implicano da parte
dell'insegnante/educatore il fatto di porsi in una “posizione d'ascolto” in cui il bambino o
il ragazzo non si senta giudicato in quella che e' una manifestazione del suo mondo
interiore.
Gioco e psicomotricita'.
Abbiamo sottolineato piu' volte che il bambino cresce attraverso il gioco. In questo
processo di crescita il corpo entra in gioco fin dalla nascita e secondo le piu' recenti teorie
di psicologia prenatale il nascituro apprende attraverso l'esperienza sensoria gia' durante
la gestazione. Sono infatti proprio le prime esperienze sensomotorie (
fase che Piaget
riferisce ai primi due anni di vita del bambino) a gettare le basi del futuro sviluppo
intellettivo. Dapprima il bambino entra in contatto con il proprio corpo e con quello della
madre senza una chiara distinzione tra i due: e' questa la fase dei “ giochi autoerotici”
secondo la definizione della psicologa Anna Freud.
Successivamente il bambino elabora un primo distacco dalla madre facendo ricorso a
quelli che Winnicott chiama “oggetti transizionali” (la coperta, l'orsacchiotto) e a quei
giochi tipo il cucu' e il nascondino che lo aiutano ad elaborare tale distacco: coprirsi il
viso per poi riscoprirlo, nascondersi dietro una coperta per poi ricomparire.
Osservando i bambini molto piccoli e' possibile comprendere il legame stretto che c'e' tra
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il pensiero e l'azione. E' noto che i bambini molto piccoli toccano tutto ed e' proprio
attraverso questa continua interazione con il mondo degli oggetti filtrata dal proprio
corpo che si costruisce la personalita' del bambino.
Studiosi come Vayer, Wallen e Gesen hanno sottolineato il rapporto tra motricita' e
psichismo. In tale ottica la parola stessa prima ancora di essere espressione di un pensiero
e' il prolungamento di un gesto. Vayer asserisce che per parlare di educazione essa deve
essere globale, dove corpo e psiche sono un considerati un tutt'uno e dunque per essere
completa l'educazione deve essere psicomotoria.
Bisogna osservare che questo pensiero
ha influenzato buona parte degli indirizzi psicopedagogici piu' vitali.
Un altro studioso, Le Boulch parte dal presupposto che l'educazione psicomotoria sia
fondamentale per lo sviluppo di varie facolta' mentali e in questo senso e' utile a prevenire
il disadattamento scolastico. Egli afferma che l'attivita' psicomotoria facilita la scioltezza
dei comandi neuromotori e in tal modo sviluppa la volonta' e quindi il passaggio all'atto
e la successiva ripetizione di atti semplici, complessi, simultanei e alternativi che sono
necessari nell'esecuzione del lavoro scolastico. A tal proposito molti insegnanti segnalano
una corrispondenza tra le abilita' in campo motorio (agilita', destrezza, equilibrio,
possesso dello schema corporeo) e sviluppo intellettivo. Da queste considerazioni deriva
l'esigenza di inserire l'educazione psicomotoria nei programmi scolastici, e
particolarmente in quelli che precedono l'inserimento nella scuola dell'obbligo.
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Una riflessione sul gioco collettivo di oggi.
Qual'e' il significato del gioco oggi nella dimensione gruppale? La riflessione sul gioco
collettivo si riallaccia alla concezione del gioco come veicolo di trasmissione di quelle
regole che fanno parte della nostra cultura.
Vorrei condurre una riflessione sul come sono cambiati i giochi collettivi di oggi
partendo da una ricerca scientifica di recente commissionata dal Museo delle tradizioni
popolari di Canepina e che ha portato alla pubblicazione del libro “I Giochi” di Maria
Rita Mechelli. Qui l'autrice compie un indagine su aspetti sociali e culturali locali
attraverso l'analisi della sfera ludica. In questa pubblicazione vengono raccolti, sia in
forma di scheda che attraverso le fonti dirette, molti giochi appartenenti alla tradizione
locale. Alcuni sono gli stessi della tradizione infantile piu' nota, altri sono invece legati al
territorio, in particolare quei giochi che ad esempio utilizzano le castagne o le nocchie,
che sono appunto dei prodotti locali.
Alla luce delle attuali abitudini ludiche ne risulta una realta' che nell'arco di pochi decenni
si e' trasformata radicalmente. La gran parte dei giochi rievocati dagli anziani che sono
stati intervistati, si sono persi e sono quindi destinati ad estinguersi. Ne risulta un quadro
che vede sempre piu' sfumata la differenza tra citta' e campagna in ragione dell'influenza
dei massmedia,
pensiamo alla televisione ma anche al computer e ai giochi da consolle
(gameboy e playstation).
Altri aspetti che emergono da questa indagine sono: il basso
indice di coloro che si costruiscono da soli i giocattoli; la scomparsa di filastrocche e
indovinelli che venivano tramandati come passatempi; l'identificazione del momento
ludico con le attivita' motorie (sport); l'elevato tempo trascorso davanti alla TV; la
perdita di confidenza del bambino con l'ambiente, se consideriamo tutti quei giochi in cui
sono coinvolti gli elementi naturali.
Sono partita da questa indagine benche' si concentri su una piccola comunita' locale,
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perche' offre molti spunti di riflessione che si possono estendere su un piano piu' ampio e
lasciano aperti alcuni problemi su cui vale la pena interrogarsi. Nel caso di Canepina
ad essere minacciato e' proprio il legame di una comunita' con le sue radici, con la sua
tradizione. Pier Paolo Pasolini asseri' che “il futuro e' nella tradizione” : di fatti se questa
non si mantiene viva e' la nostra stessa identita' culturale che rischia di scomparire.
Sembra evidente che la globalizzazione abbia mutato radicalmente le nostre abitudini
incluse quelle ludiche. L' industria del divertimento crea di continuo nuovi stimoli ludici
e bisogni di consumo veicolati da una pubblicita' diffusa e martellante: tali bisogni cosi'
indotti nei nostri bambini, vengono rapidamente soddisfatti e talvolta anticipati da
genitori incapaci di ascoltare i bisogni reali dei propri figli e non solo quelli materiali.
Un altro cambiamento importante riguarda poi gli spazi del gioco, se nelle zone rurali si
andava per campi o si giocava nelle piazze del paese, nelle citta' si giocava molto nei
cortili ( e' di questi giorni una campagna di comunicazione pubblica del Comune di Roma
per promuovere il ritorno al gioco nei cortili della citta', altrimenti abbandonati al
degrado). Certamente anche questo cambiamento ha condizionato le abitudini di gioco di
bambini e ragazzi, indirizzando i giochi motori verso lo sport e facendo perdere
l'abitudine al gioco spontaneo, sicche' i ragazzi e con loro i bambini hanno sempre piu'
difficolta' ad organizzare giochi collettivi spontaneamente.
In questo quadro vale la pena di chiedersi in che modo sta cambiando la valenza
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educativa del gioco, intesa come educazione fisiologica e psicologica del bambino e quali
possono essere le conseguenze.
Che senso ha per i nostri bambini trascorrere interi pomeriggi da Mcdonald's e come
interpretare l'affermarsi sempre piu' preponderante di fenomeni come il “wrestling” cosi'
avulsi dalla nostra cultura? Verso quali valori vengono indirizzati?
In questo contesto che ruolo puo' svolgere la scuola visto che i bambini vi trascorrono
gran parte del loro tempo?
Proposta di giochi psicopedagogici nella scuola materna di Capranica.
Quando dal gioco simbolico si passa al gioco con le regole si entra nella sfera della
socializzazione e si prospetta per gli insegnanti/ educatori la possibilita' di portare avanti
un progetto educativo: indirizzare i bambini verso un ventaglio di valori.
In questo senso il gioco si offre come opportunita' per il bambino di apprendere in modo
divertente quelle norme che sono alla base della nostra convivenza civile.
Uno dei problemi maggiormente avvertiti all'interno della scuola e' proprio la mancanza
di regole. A questo riguardo sembra che un educazione troppo permissiva da parte dei
genitori, abbia prodotto bambini, non solo insofferenti nei confronti dei limiti che
comunque si trovano di fronte all'interno della scuola, ma anche incapaci di collaborare
con i loro compagni e quindi di rapportarsi con gli insegnanti e con il gruppo in un ottica
di rispetto reciproco.
La nostra societa' attribuisce un valore assoluto alla competizione, di conseguenza i
bambini imparano presto a paragonare i propri risultati a quelli degli altri. Sebbene sia
stato dimostrato che i bambini apprendono meglio in situazioni di cooperazione gran
parte del sistema scolastico e' basato sulla competizione, cosi' come i giochi sono spesso
in forma di gara.
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Eppure i bambini non sviluppano il concetto della competizione fin quando viene loro
insegnato. Dal punto di vista educativo e' importante riflettere su come trasmettere questo
valore attraverso il gioco, in modo che si focalizzi il valore della competizione in
funzione della sfida e della collaborazione all'interno della squadra, e quindi del gruppo,
senza prendere troppo sul serio il risultato finale.
Da queste considerazioni nasce l' idea di sperimentare all'interno della scuola materna di
Capranica una serie di giochi psicopedagogici, in parte appresi durante il master 'La vita
in gioco” sulle attivita' ludicoespressive,
in parte appartenenti alla nostra tradizione
infantile.
Ne ho quindi parlato alle maestre che mi hanno offerto la loro disponibilita' anche nella
conduzione dei giochi e abbiamo concordato di svolgere gli incontri negli spazi della
palestra che tra l'altro sono molto ampi e luminosi.
La classe, che in parte conosco poiche' frequentata da mia figlia, e' composta di circa 25
bambini in eta' compresa tra i quattro e i cinque anni. Nell'ultimo incontro con i genitori
le maestre hanno lamentato che i bambini presi singolarmente riescono a seguire le
attivita' ma nella dimensione gruppale sono molto indisciplinati anche nei giochi, a
questo riguardo ha tra l'altro invitato le mamme a non lasciarli guardare programmi
televisivi come il wrestling, visto che poi li riproducono in classe con la conseguenza che
possono farsi male. In sostanza i bambini hanno difficolta' ad accettare le regole della
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convivenza civile, come ad esempio aspettare il proprio turno, non spingere quando si e'
in fila, gridare per ottenere qualcosa, etc... Aggiungo di mio, desumendo questa
conclusione dai racconti di mia figlia, che nella classe si sono formati vari sottogruppi
all'interno dei quali ci sono delle gerarchie. Tanto tra i maschi che tra le femmine ci sono
elementi che tendono a comandare sugli altri con diverse modalita': in un caso basandosi
piu' sullo scontro fisico nell'altro su quello verbale.
Ho dunque proposto alle maestre una serie di giochi psicopedagogici che hanno
l'obiettivo di rafforzare lo spirito di gruppo minimizzando la competizione a favore della
cooperazione. A seguire riporto in forma di scheda i giochi da noi sperimentati nell'arco
di quattro incontri di circa un ora e mezza ciascuno, e quindi le mie osservazioni sulle
dinamiche del gioco.
Scheda n.1
SERPENTI VOLANTI.
Modalita' di esecuzione del gioco
I bambini vengono divisi in due o tre gruppi e disposti in fila indiana. In ciascun gruppo
ci sara' un capogruppo ( il primo della fila) con funzione di guida e un ultimo che portera'
alla cinta dei pantaloni un fazzoletto. Dal momento del VIA i “serpenti” inizieranno a
correre cercando di non rompere le fila. Il capogruppo dovra' cercare di afferrare il
fazzoletto di uno dei serpenti avversari.
Finalita' formative del gioco
Questo e' un gioco che sviluppa la coesione, la sincronia, la prontezza di riflessi e
soprattutto la collaborazione aal'interno del gruppo.
Scheda n.2
BANDIERA CON I COLORI E LE SEDIE
Modalita' di esecuzione del gioco
E' una variante del vecchio rubabandiere, con la differenza che i giocatori anziche' stare in
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piedi debbono stare seduti per scattare quando viene estratta la bandierina del proprio
colore. Inoltre il giocatore che afferra la propria bandiera dovra' tornare al proprio posto
mentre l'altro anziche' toccarlo, cerchera' di occupare il suo posto.
Finalita' formative del gioco
Il rubabandiere e' un gioco che mette in gioco tutta la struttura neuromuscolare e dunque
investe varie abilita' tra cui la coordinazione e la prontezza dei riflessi, destrezza nella
corsa e prontezza di riflessi. Da un punto di vista socioeducativo,
favorisce lo spirito di
gruppo e il lavoro di squadra, la capacita' di competere accettando i propri limiti. La
variante delle bandierine colorate favorisce la distinzione dei colori, quella delle sedie,
favorisce il cambiamento di ruolo.
Scheda n.3
GIOCO DELLA SCOSSA
Modalita' di esecuzione del gioco
Si formano due squadre che si allineano in fila tenendosi per mano. Il conduttore
si colloca al centro tenendo per mano i primi bambini di ciascuna fila. Dal lato opposto
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della stanza si metteranno due sedie che gli ultimi bambini di ciascuna fila dovranno
raggiungere in corsa e occupare non appena riceveranno la scossa. La scossa altro non e'
che una stretta di mano che viene data come input dal conduttore ai due bambini che tiene
per mano, a seguire ciascun bambino dovra' trasmettere la scossa al suo compagno fino
ad arrivare all'ultimo che dovra' scattare non appena la riceve per raggiungere in corsa la
sedia.
Finalita' formative del gioco
Oltre a stimolare l'attenzione e la prontezza dei riflessi questo gioco rafforza la coesione
del gruppo e insegna a lavorare insieme.
Scheda n.4
STREGA COMANDA COLORE
Modalita' di esecuzione del gioco
Un bambino o l'insegnante/educatore, rappresentano la strega che chiama un colore, tutti i
bambini scappano finche' non toccano il colore comandato dalla strega.
Finalita' formative del gioco
Oltre a mettere in gioco la destrezza nella corsa e la prontezza di riflessi, sviluppa
l'attenzione e il riconoscimento dei colori. Inoltre favorisce il superamento della
competitivita'.
Scheda n.5
PASSA PAROLA
Modalita' di esecuzione del gioco
Questo e' un gioco della tradizione infantile che si puo' svolgere in cerchio, bisbigliando
una parola all'orecchio del compagno. La parola corre lungo il filo immaginario del
telefono e viene infine riportata ad alta voce dall'ultimo bambino. La regola da rispettare
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in questo caso e' di non pronunciare ad alta voce la parola prima che finisca il giro.
Finalita' formative del gioco
Oltre a sviluppare l'attenzione il passaparola contribuisce a rafforzare il senso di
collaborazione con i compagni ed inoltre non meno importante a rompere il ghiaccio e
socializzare con un sorriso.
Scheda n.6
CHI E' LA PECORELLA
Modalita' di esecuzione del gioco
Il gioco si svolge in cerchio e inizia con una conta per stabilire chi esce per indovinare chi
e' la pecorella. Una volta uscito uno dei bambini si mette al centro del circolo coperto da
un telo. Si fa dunque rientrare il bambino che era fuori e che dovra' indovinare chi dei
compagni si nasconde sotto la coperta usando i seguenti comandi:
“Pecorella bela!”; “Pecorella mostra la zampetta” e cosi' via finche' il bambino riesce ad
individuare chi e' la pecorella.
Finalita' formative del gioco
Questo gioco sviluppa la percezione uditiva e visiva e facilita la capacita' di
discriminazione. Sviluppa inoltre la memoria, l'attenzione e la concentrazione e
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favorisce il processo di identificazione dell'individuo rispetto al gruppo.
Scheda n.7
TOPOLINO, TOPOLINO....
Modalita' di esecuzione del gioco
I bambini si dispongono in circolo con le braccia in alto e al centro due giocatori
rappresentano il topolino e il padrone del giardino. In coro i bambini recitano la
filastrocca: P. “Topolino, topolino cosa fai nel mio giardino?” T. “Mangio l'uva”
P. “E il permesso?” T. “ Fa lo stesso” P. “E la chiave?” T.”E' sotto il trave” P.” E il
chiavino” T. “E' sul camino” P.”E se io ti prendo?” T. “Io scappo”.
A questo punto il topolino scappa e il padrone del giardino cerca di prenderlo, entrando e
uscendo dal cerchio.
Finalita' formative del gioco
Questo gioco facilita la destrezza nella corsa, l'astuzia e la prontezza dei riflessi. Dal
punto di vista educativo, favorisce il superamento della competitivita', la memoria e la
capacita' di misurarsi con gli altri accettando i propri limiti.
Scheda n.8
IL GIOCO DELLO SCATOLINO
Modalita' di esecuzione del gioco
Disposti in ordine sparso i bambini si rannicchiano su se stessi ad imitare gli scatolini
chiusi. La maestra/educatore alterna i comandi “Dagli scatolini escono...” e “scatolino
chiuso!”. I bambini fanno le imitazioni per poi richiudere lo scatolino a comando.
Finalita' formative del gioco
Il gioco sviluppa le capacita' motorie e l'attenzione. Educa il bambino all'autocontrollo e
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ad adeguarsi ai comandi con rapidita'. Offre la possibilita' di esercitare la mimesi.
Scheda n.9
LA CHIOCCIA CHIAMA
Modalita' di esecuzione del gioco
Un bambino impersona la volpe che deve acchiappare i pulcini mentre camminano nel
prato. Non appena la volpe scatta per acchiappare i pulcini la mamma chioccia che si
trova in un area delimitata del campo comincia a chiamarli e i pulcini corrono da lei per
non farsi acchiappare. Se la volpe riesce a catturarne uno questo diventa la volpe e il
gioco ricomincia.
Finalita' formative del gioco
Anche questo gioco favorisce la destrezza e la prontezza di riflessi per reagire a situazioni
improvvise. Aiuta inoltre il bambino ad inserirsi in una dinamica di gruppo e ad accettare
cambiamenti di ruoli.
Relazione degli incontri e osservazioni conclusive.
Il primo incontro con i bambini e' avvenuto in classe dove mi sono presentata dicendo che
ero li' per proporre loro dei giochi da fare tutti insieme, ho inoltre spiegato che questi
giochi sono molto vecchi e che anche i loro genitori e le maestre li facevano.
-
Come di consueto i bambini si sono disposti in fila indiana per raggiungere la palestra
imitando il verso del serpente. Giunti in palestra c'e' stato un primo approccio per
conoscere i nomi dei bambini con la variante dell'uso della palla. Puo' parlare solo chi ha
in mano la palla, gli altri dovranno cercare di rimanere in silenzio ed aspettare il proprio
turno per presentarsi. La regola e' stata osservata da tutti.
Abbiamo dunque iniziato con il gioco dei “serpenti volanti”, ottimo da usare sia come
riscaldamento che per avvicinarsi e cominciare a lavorare insieme. In questo gioco e'
tanto importante riuscire a prendere il trofeo ( il fazzoletto) che non farsi prendere il
proprio, pertanto per una buona riuscita e' necessario che ci sia coesione.
All'inizio c'e' stata molta confusione in quanto i serpenti non riuscivano a rimanere
“uniti”, specialmente nella corsa. La maestra ha invitato i bambini a partire camminando
per poi accellerare il passo e infine correre al mio VIA, mentre commentava l'azione
descrivendo il movimento del serpente che striscia tra l'erba lentamente poi sempre piu'
veloce. Pertanto al momento della corsa le fila si disfacevano quasi sempre, visto che
c'era chi correva troppo e staccava il resto del gruppo. La seconda variante funzionale a
far tener uniti i serpenti, e' stata quella di far agganciare i bambini alla maglietta anziche'
con le mani sulle spalle: tra magliette che si allungavano di un metro e code vacanti, il
gioco si e' risolto spesso con qualcuno che afferava il trofeo pur non essendo il
capogruppo.
Il secondo gioco, quello della “scossa” , al primo tentativo non e' riuscito affatto, poiche' i
bambini non riuscivano a passarsi la scossa. Anche qui una semplice variante come alzare
il braccio del vicino anziche' stringere la mano, ha facilitato lo svolgimento del gioco.
Nel terzo gioco, il rubabandiere ci sono state delle difficolta' soprattutto nel primo
incontro, dovute alla memorizzazione dei colori, sicche' per il secondo incontro la
maestra ha realizzato dei cartoncini colorati da appendere al collo di ciascun bambino.
La seconda variante, quella di occupare la seggiolina del compagno non e' stata presa in
considerazione da nessuno, semmai c'e' stato chi si e' tuffato addosso all'avversario nel
tentativo di appropriarsi del trofeo.
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Tirando le somme, in questi primi due incontri ci sono state delle difficolta' dovute in
parte al fatto che come mi facevano notare le maestre i bambini non sono piu' abituati a
partecipare a questi giochi di gruppo, e dunque e' stato per loro il primo approccio al
gioco con regole. Al riguardo ho constatato come scorporando dal gioco alcune regole, e
focalizzandone lo svolgimento solo su una, il gioco ha una buona possibilita' di riuscita.
In generale c'e' stata partecipazione e ilarita', anche se un vero e proprio entusiasmo c'e'
stato solo per l'ultimo gioco, la “strega comanda colore” che non a caso e' quello in cui le
regole sono ridotte al minimo e il bambino e' piu' libero di sfogarsi.
Partendo da queste considerazioni, ho scelto per i successivi incontri due giochi che
lasciano al bambino la possibilita' di esprimersi liberamente e su consiglio del maestro
dei giochi del Master, Nicola Titta, ho introdotto dei giochi da svolgere in cerchio,
modalita' che e' del tutto mancata nei precedenti incontri.
Il cerchio ha aiutato molto i bambini a creare uno spirito di gruppo e ad inserirsi in una
dinamica di gioco collettiva. Abbiamo iniziato con il passaparola: anche qui ci sono state
delle difficolta', la linea cadeva spesso, anche se l'intervento della maestra ha consentito
la ripresa del flusso comunicativo. Il secondo e terzo gioco si sono svolti pure in cerchio.
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Nel gioco della “pecorella” ci sono state molte risatine specialmente quando a
nascondersi sotto il telo e' stata la maestra. I bambini hanno risposto molto bene a questo
gioco rispettando la regola di non rivelare chi e' la pecorella, forse perche' avevamo detto
loro “il cerchio e' un recinto e i recinti non parlano”. Anche il terzo gioco “topolino,
topolino...” ha coinvolto molto i bambini, che hanno partecipato recitando in coro la
filastrocca che precede l'acchiapparella. Alcuni hanno poi infranto la regola di tenere le
braccia alzate, e abbassandole hanno finito per avvantaggiare uno dei due compagni.
Nel gioco dello “scatolino” i bambini si sono trasformati in animali che camminano,
saltano, volano, strisciano, ruggiscono e pigolano, in elementi naturali e in oggetti
familiari, esercitando cosi' le loro capacita' di mimesi anche interagendo tra loro. In alcuni
momenti c'e' stata un'imitazione reciproca ad esempio quando ho detto “dagli scatolini
escono dei frullatori”, dapprima i bambini hanno riprodotto suoni e azioni originali, poi
hanno imitato una bambina che ha cominciato a girare su se stessa con le braccia
spiegate. Il comando “scatolino chiuso” e' stato rispettato da tutti anche se non veniva
eseguito subito, infatti anziche' rannicchiarsi sul posto in cui si trovavano, i bambini
tendevano o a ritornare al punto da cui erano partiti o ad avvicinarsi gli uni agli altri.
Sulla scorta di quanto appreso nel Master, nell'ultimo incontro con la classe ho condotto i
bambini a sperimentare il passaggio da un elemento all'altro: la nuvola che diventa
pioggia che va nel fiume per immergersi nel mare, oppure ho detto loro di essere un
albero le cui foglie sono mosse dal vento finche' non arriva la pioggia, etc...
L'ultimo gioco “la chioccia chiama”, molto simile a quello della “strega”, e' stato il piu'
gradito a detta dei bambini stessi che al termine del terzo incontro ho richiamato in
cerchio, per chiedere loro, sempre con la modalita' della palla, quale gioco preferivano.
Dopo i “pulcini”, i piu' gettonati sono stati nell'ordine “il topolino”, “la pecorella”, la
“scossa” e “rubabandiera”. Anche se nessuno ha menzionato il gioco dello “scatolino”,
alcuni hanno nominato degli animali che avevano imitato in quel gioco.
In conclusione, sebbene quasi tutti i giochi proposti ( ad eccezione della scossa e dei
serpenti volanti), siano indicati nel manuale per gli educatori “Giocando s'impara” come
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giochi per la scuola materna, alcuni erano meno adatti di altri, che non lo erano affatto
almeno per questi bambini. Inoltre ho sperimentato un concetto che forse e' chiaro a chi
l' educatore lo fa di mestiere, e che nel mio caso e' stata una scoperta e cioe' che nel gioco
c'e' un osservazione continua, ed e' questo il punto di partenza per apportare poi dei
cambiamenti: le varianti dei giochi sperimentati in questo contesto. Del resto non avrebbe
senso pretendere che un gioco riesca al primo colpo, la parte piu' interessante di questo
lavoro e' stata per quanto mi riguarda proprio sperimentare i modi per far funzionare i
giochi. Infine, sono molto soddisfatta della collaborazione con le maestre, che mi hanno
agevolato nel compito della conduzione, e di come hanno risposto i bambini, che hanno
partecipato ai giochi e in alcuni casi li hanno eletti come propri. Sono rimasta infatti
piacevolmente sorpresa nel vedere che, durante una festicciola extrascolastica dove
erano presenti molti bambini della classe, il gruppo delle bambine stava giocando a
“rubabandiera” con l'aiuto di una bambina piu' grande che deve aver illustrato loro come
usare i numeri al posto dei colori. I maschi invece hanno voluto mostrarmi il loro gioco
“prendi e mangia”, una sorta di acchiapparella. Nel corso della festa, hanno poi giocato a
“passaparola” e a “chi e' la pecorella”, il tutto spontaneamente e in piena autonomia.
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BIBLIOGRAFIA
– A cura di LAURA BELLISARIO, Gioco e simbologia degli affetti. Edizioni “Angelo
Guerini e Associati srl”, 1988
– ROSOLINO TRANABONA, Il gioco e l'uomo, Editrice “Il Gabbiano”
– ANDRE' LAPIERCE, L'educazione psicomotoria nella scuola materna. “Ed. La
Scuola”
– V. CASTELLAZZI, Quando il bambino gioca, diagnosi e psicoterapia. “Las, Roma”,
2000
– L. M. LORENZETTI, Il corpogioco,
Pragmatica del rapporto
educazione/riabilitazione. “Franco Angeli, Milano”,1986
– PIERRE VAYER, La conoscenza e' avventura, “Edizioni Scientifiche Magi”, 2001
– LUIGI GALLI, Giocando s'impara, “Editrice Berti”, 1998
– MARIA RITA MECHELLI, I Giochi, “Ed. Museo delle tradizioni popolari di
Canepina”