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news seguici su Stitichezza (stipsi) cronica autocontrollo per l’igiene: e la sicurezza alimentare il sistema Haccp le distorsioni di caviglia preoccuparsi o no?

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newsseguici su

Stitichezza (stipsi) cronica

autocontrolloper l’igiene:

e la sicurezza alimentareil sistema Haccp

le distorsioni di cavigliapreoccuparsi o no?

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stiticHezza (stipsi)cronica

le dimensioni del problema

nel mondo occidentale circail 30% della popolazionesoffre di stipsi, in partico-

lare le donne in età adulta conuna frequenza 2-3/1 rispetto al-l’uomo. L’età avanzata è un altrofattore predisponente ad un aggra-varsi di questa patologia, in rela-zione ad altre malattie concomitanti,all’uso di farmaci e alla riduzionedi attività fisica. La stipsi costituisceun problema rilevante sia dal puntodi vista economico, (consumo deilassativi), sia per la condizionepsicologica di tali pazienti. Nelsoggetto stitico oltre alla difficoltosadefecazione si osservano altri sin-tomi digestivi (il meteorismo e ildolore addominale, la sensazionedi malessere generale, una dige-stione laboriosa con eruttazioni egonfiore) che possono essere moltoinvalidanti.Circa il 30% dei pazienti sofferentidi stipsi dichiara di assumere las-sativi e di aver iniziato con l’au-

toprescrizione. Progressivamentesi instaura una dipendenzafisica/psichica per cui diventa dif-ficile svezzarsi dal lassativo e siperdono gradualmente i riflessi na-turali della defecazione.Per tale motivo è importante, al-l’apparire dei primi sintomi di al-terata defecazione, rivolgersi al me-dico specialista soprattutto dopoi 50 anni poiché una irregolaritàdell’alvo può essere legata a pato-logie ben più gravi (es.: neoplasiedel colon).

deFinizione di stipsiPer stipsi (o stitichezza) popolar-mente viene intesa la diminuzionenella frequenza delle evacuazioni,ma tale frequenza, nei soggettinormali, ha estrema variabilità (3evacuazioni al giorno a 3 alla set-timana). Ciò significa che è sba-gliato ritenersi stitici se non si eva-cua tutti i giorni. Molti pazientiperò si lamentano non tanto (onon solo) della frequenza quantodella particolare difficoltà dell’eva-

cuazione e della consistenza dellefeci. La parola “stipsi” quindi puòassumere un significato diverso aseconda dell’individuo e normal-mente i pazienti tendono a sopra-valutare il problema.Attualmente per la definizione distipsi si seguono i Criteri di RomaIII: i disturbi sotto elencati devonodurare almeno per 3 mesi nell’arcodell’ultimo semestre:

1. Almeno due o più delle se-guenti caratteristiche in alme-no il 25% delle evacuazioni:Sforzo nella defecazione.Feci dure.Sensazione di evacuazione in-completa.Sensazione di occlusione.Meno di tre scariche alla setti-mana.Necessità di manovre manualiper poter evacuare.

2. Evacuazioni rare senza ricor-rere ai lassativi

3. Esclusione della Sindrome delcolon Irritabile

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cause della stipsiFattori estrinseci:alimentari e stile di vita (basso ap-porto di fibre e liquidi, sedentarie-tà)squilibri elettrolitici (calcio/ma-gnesio/potassio)endocrine e disordini metabolici(diabete, ipotiroidismi, insufficienzarenale cronica)neurologiche (Parkinson, neuro-patie, sclerosi multipla, traumi allacolonna vertebrale, ecc.)farmaci (diuretici, anticolinergici,beta-bloccanti, antidepressivi, ecc.).Fattori intrinseci (legati al mecca-nismo della defecazione):Stipsi da “rallentato transito”(stipsi alta), dovuta alla ridottafunzione propulsiva di tutto il colonche determina un rallentamentonella spinta delle feci verso l’ano.Stipsi da “defecazione ostruita”(stipsi bassa), con “blocco” dellefeci a livello rettale per alterazionianatomiche (prolasso del retto, diun rettocele, di un enterocele) o

alla presenza di una disfunzionedel muscolo puborettale o per altredisfunzioni del perineo..In molte situazioni non è facileuna netta distinzione fra le dueforme in quanto la stipsi può esserelegata ad entrambi i meccanismipatogenetici.

complicanze della stipsi cronicaLa stipsi cronica può essere re-sponsabile di alcune complican-ze:Emorroidi. Lo sforzo defecatoriocomporta un aumento della pres-sione addominale che determinaalterazione del plesso venoso emor-roidario.Ragade anale. Il trauma sulla re-gione anale di feci dure può deter-minare la fessurazione della mucosaanale. Lo spasmo dello sfintere èl’elemento che favorisce poi lapersistenza della ragade. La pro-babilità di sviluppo di una ragadenella stipsi cronica è di 5 volte su-

periore rispetto alla normale po-polazione.Prolasso degli organi pelvici: utero,retto, vescica e vagina.Fecalomi. Un ammasso di feci puòbloccarsi nel retto e diventare sem-pre più grosso e duro tale da crearein alcune situazioni un’ostruzionenon facilmente risolvibile con laterapia conservativa.

diagnosiLa storia clinica e l’esame fisicodevono essere condotti con l’intentodi escludere cause secondarie osistemiche della stipsi. Anamnesticamente ricercare even-tuale familiarità per cancro colorettale o di malattie infiammatorieintestinale.Indagare, inoltre, sulla presenzadi “sintomi di allarme” come ilsanguinamento rettale, l’anemiz-zazione, la perdita di peso e recentimodifiche dell’alvo. Nel dubbio,e soprattutto dopo i 50 anni di età,il medico procederà alla richiesta

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di accertamenti diagnostici per lostudio del colon (colonscopia, cli-sma opaco, colonscopia virtuale).L’esame obiettivo deve compren-dere l’esame dell’addome alla ri-cerca di un’eventuale distensionecolica o di masse. Si deve poi pro-cedere all’ispezione del perineoed eseguire l’esplorazione digitaledel retto alla ricerca di segni di:debolezza sfinteriale; discesa delpiano perineale; contrazione para-dossa del muscolo puborettale;prolasso genitale/rettale; lesionianali o del retto.Per lo studio della stipsi possiamoutilizzare diversi esami strumentali.Studio del tempo di transito in-testinale. E’ il primo, fondamentale,accertamento che permette di di-stinguere le “false stipsi” da quellevere. Si fanno ingerire al pazientedei marcatori radio-opachi e si ese-gue una radiografia diretta del-l’addome dopo 4 giorni. Un nor-male transito prevede l’espulsionedi almeno il 70-80% dei marcatorial quarto giorno mentre una riten-zione di più del 20% è indice diun transito rallentato. Si tratta diun esame di facile attuazione epermette anche di riconoscere ilsegmento colico nel quale c’è ilrallentamento maggiore: colon de-stro, sinistro o retto.

manometria anorettalePermette di valutare la forza e la

coordinazione motoria dei muscolideputati all’evacuazione. Permetteinoltre di valutare la sensibilitàrettale allo stimolo evacuativo.

test di espulsionedel palloncinoE’ un esame che simula l’atto fi-siologico evacuativo (si verificase il soggetto, in posizione seduta,è in grado di espellere un palloncinoposizionato nel retto e gonfiato adaria). L’incapacità di espulsionedel palloncino è segno di una di-sfunzione del pavimento pelvico.Defecografia RXE’ un esame radiologico, dinamico,che consente di valutare l’espul-sione del mezzo di contrasto in-trodotto con una sonda nel retto,osservando eventuali alterazionianatomiche quali i prolassi, le in-vaginazioni, i rettoceli e l’eventualeincapacità dell’angolo anorettaledi rilassarsi durante l’evacuazione.

terapiaLa terapia della stipsi deve esseremirata al paziente, ovvero forte-mente personalizzata non solo te-nendo conto della causa, ma anchedelle caratteristiche e della storiaclinica del soggetto. Le terapiesono spesso complementari e vannodalle misure dietetico-comporta-mentali a quelle farmacologiche,sino ad arrivare a quelle riabilitative(come nella stipsi da defecazioneostruita).

La strategia terapeutica della stipsinon è semplice, e spesso occorrefar capire al paziente che potrebberoessere necessari più tentativi tera-peutici.

stipsi da rallentato transitoConsigli igienico-dieteticiUn adeguato apporto di liquidi (al-meno 1,5 litri al giorno) e unabuona quota di fibre nell’alimen-tazione sono momenti irrinunciabiliper iniziare il trattamento del pa-ziente con stipsi. La correzione diquesti due aspetti risolve circa il50% delle forme di stipsi.Utile anche l’assunzione dei pro-biotici.E’ bene, inoltre suggerire una re-golare attività fisica, adeguataall’età e alla condizione fisica delsoggetto.

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lassativiNella terapia della stipsi cronica,in mancanza di una risposta sod-disfacente alle norme dietetico-comportamentali è indicato l’usodi lassativi. Nella scelta di qualelassativo proporre al paziente sideve tener conto del tipo di stipsiinnanzittutto, quindi dei possibilieffetti collaterali della terapia, dellepatologie concomitanti nonché del-la compliance alla terapia del sog-getto stesso. Esistono agenti di vo-lume (mucillagini), lassativi di con-tatto (senna), emollienti (vasellina),disaccaridi (lattulosio) e osmotici(sodio fosfato). Tra questi ultimiil macrogol, a base di polietilen-glicole, una sostanza inerte nonfermentabile dalla flora intestinalee non assorbibile dal tratto gastro-enterico, rappresenta il trattamentodi prima scelta sia nel soggettoadulto che nel bambino, nell’an-ziano e in gravidanza. La maggiorparte degli studi clinici controllatihanno dimostrato infatti l’efficaciaterapeutica di questo prodotto sianella gestione della stipsi a breveche a lungo termine, con pochi ef-fetti collaterali e con un’efficacia

che si mantiene stabile nel tempo,evitando continui incrementi neldosaggio del farmaco. La terapiacon i lassativi, non “guarisce” dallastipsi, ma un loro utilizzo adeguatoe costante consente di regolarizzarele abitudini intestinali del soggetto.

terapia cHirugicaLa terapia chirurgica, nella stipsida rallentato transito, deve essereconsiderata solo in casi eccezionalie solo dopo aver osservato il falli-mento di ogni terapia ed avere ef-fettuato tutti gli accertamenti utiliad escludere una stipsi da “defe-cazione ostruita”. L’intervento discelta è la colectomia totale conileo-retto-anastomosi. Il pazienteperò deve essere correttamente in-formato sulle reali possibilità di“guarigione” (50% dei casi).

stipsi da deFecazioneostruitaIn tale forma di stipsi (presentenel 25-50% delle stipsi) accantoad una terapia farmacologica,il trattamento è fisiokinesitera-pico o chirurgico, a seconda se ildisturbo alla base è funzionale

(contrazione paradossa del pubo-rettale) o anatomico (rettocele, in-tussuscezione retto-anale, prolassoemorroidario).La chinesiterapia consiste nel ren-dere il paziente “cosciente” dellapropria area perineale, dei muscoliche la compongono e della lorofunzione (in contrazione ed inibi-zione). La fisiokinesi viene poi in-tegrata dal biofeedback o riedu-cazione sfinteriale. Mediante taleprocedura, condotta da personalespecializzato e che utilizza dellesonde rettali collegate ad un sistemacomputerizzato, viene mostrata aipazienti l’attività dei muscoli dellosfintere anale, che devono esserecontratti e rilassati a seconda dellostimolo dato. In tal modo vieneappreso e memorizzato il correttomeccanismo della defecazione.Infine, si può far ricorso alla elet-trostimolazione che migliora ilcontrollo del tono anale e la sensi-bilità rettale.

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il protocollo hACCP (hazard ana-lysis and critical control points) èun sistema che consente agli ope-

ratori del settore alimentare, oSA1,l’autocontrollo in materia di igiene esicurezza alimentare in maniera ra-zionale e organizzata. È quindi unostrumento sviluppato per conseguireun livello più elevato di sicurezzanella filiera e pertanto consente digarantire al consumatore finale, diconcerto alle operazioni di vigilanzada parte degli organi istituzionalipreposti la sanità del prodotto.Il sistema hACCP venne ideato ne-gli anni sessanta negli Stati Uniti,con l’intento di assicurare che glialimenti forniti agli astronautidella NASA non avessero alcuneffetto negativo sulla salute o potes-sero mettere a rischio le missioninello spazio. L’hACCP è stato introdotto in Eu-ropa negli anni Novanta, con l’obbligodi applicazione per tutti gli operatoridel settore alimentare. In seguitol’impianto normativo comunitario inmateria di sicurezza alimentare èstato ridisegnato dal Reg. (CE) n.178/2002, che introduce il principiofondamentale di un approccio inte-grato di filiera: ciò comporta la re-sponsabilizzazione di tutti gli operatori

della filiera alimentare,dalla produzione agricolaprimaria alla distribu-zione finale al consu-matore, ristorazionecompresa. La normativa attuale ècostituita dal cosiddetto“Pacchetto Igiene” checomprende principal-mente 4 testi legislativi:– Regolamento CE

852/2004 del Parlamen-to europeo e del Con-siglio sull’igiene deiprodotti alimentari;

– Regolamento (CE)853/2004 del Parla-mento europeo e delConsiglio, che stabi-lisce norme specifichein materia di igieneper gli alimenti di ori-gine animale;

– Regolamento (CE)854/2004 del Parlamento europeoe del Consiglio che stabilisce normespecifiche per l’organizzazione dicontrolli ufficiali sui prodotti diorigine animale destinati al consumoumano;

– Regolamento (CE) 882/2004 delParlamento europeo e del Consiglio

relativo ai controlli ufficiali intesia verificare la conformità alla nor-mativa in materia di mangimi e dialimenti e alle norme sulla salute esul benessere degli animali;

– I Regolamenti sono stati pubblicatisimultaneamente il 29 aprile 2004,pochi giorni prima dell’allargamentodell’Unione Europea a 25 paesi.

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autocontrollo per l’igienee la sicurezza alimentare il sistema Haccp

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Tuttavia il “pacchetto igiene” è invigore solamente dal 1° gennaio2006 su tutto il territori o dell’UnioneEuropea.

Il regolamento 852/2004 stabilisce iseguenti principi generali:– Estensione del principio “dalla fattoria

alla tavola” (n.d.r. rintracciabilità)lungo l’intera catena alimentare, in-clusa la produzione primaria;

– Applicazione generalizzata di pro-cedure di autocontrollo basate suiprincipi dell’hACCP;

– Rispetto dei criteri microbiologici; – Registrazione e, in alcuni casi, au-

torizzazione, di tutti gli operatorialimentari;

– Flessibilità (per la produzione, latrasformazione e la distribuzione diprodotti tradizionali, per le aziendedi piccole dimensioni, per i soggettioperanti in aree caratterizzate davincoli geografici);

Rispetto dei requisiti generali di igieneper tutti gli operatori del settore ali-mentare.

Il Regolamento 882/2004 definisceun quadro armonizzato di norme ge-nerali per l’organizzazione dei controlliufficiali di mangimi e alimenti neisingoli Stati Membri e stabilisce i se-guenti principi: – imparzialità ed efficacia dei controlli; – regolarità dei controlli, che devono

essere proporzionati al rischio;– svolgimento dei controlli sulla base

di procedure documentate;

– coordinamento delle diverse autoritàe dei diversi livelli (centrale, regionaleo locale) coinvolti nell’esecuzionedei controlli;

– completezza ed esaustività dei con-trolli che comprendono: esame delleprocedure di autocontrollo, ispezionedi impianti, materie prime, semila-vorati, sostanze a contatto con glialimenti, prodotti e procedimenti dipulizia, manutenzione e antiparas-sitari, condizioni igieniche, valuta-zione gMP, ghP, corrette prassiagricole, hACCP; esame materialescritto e altre registrazioni.

applicazione del sistema HaccpData l’ampia gamma di imprese ali-mentari prese in considerazione dalReg. CE 852/2004 e la grande varietà

di prodotti alimentari e di proceduredi produzione applicate agli alimenti,sono state redatte dalla CommissioneEuropea delle Linee guida generalisull’applicazione delle procedure riferiteai principi del sistema hACCP, venendocosì in aiuto a tutti coloro che inter-vengono nella catena della produzionealimentare. Tali linee-guida si ispiranoprincipalmente ai principi enunciatinel “Codex Alimentarius”2, e dannoindicazioni per un’applicazione sem-plificata delle prescrizioni in materiadi hACCP, in particolare nelle piccoleimprese alimentari. I principi su cui si basa l’elaborazionedi un piano hACCP sono 7:1. Identificare ogni pericolo da pre-

venire, eliminare o ridurre. Identi-ficare i pericoli potenziali associatialla produzione di un alimento in

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tutte le sue fasi, dalla coltura o alle-vamento fino al consumo (inclusi itempi morti), che dovranno esserecontrollati. valutare le probabilitàche il pericolo si concretizzi e lagravità dell’eventuale danno sullasalute del consumatore.

2. Identificare i punti critici di controllo(CCP - Critical Control Points)nelle fasi in cui è possibile prevenire,eliminare o ridurre un rischio. UnCCP è un punto, una fase, o unaprocedura in cui è possibile ed in-dispensabile attuare un controllo alfine di eliminare, prevenire o ridurrea limiti accettabili un pericolo. Peridentificare le fasi che possonoessere controllate viene utilizzato ilcosiddetto “albero delle decisioni”3,al fine di comprendere se un pas-saggio all’interno della produzionedi un alimento è da ritenersi unpunto critico di controllo o solamenteun punto critico. ogni fase rappre-senta uno stadio di produzione e/omanipolazione degli alimenti, com-prendenti la produzione primaria,la loro ricezione e trasformazione,la conservazione, trasporto, venditae uso del consumatore. NoN sonopunti critici di controllo: 1) un’azionesu cui non è possibile applicare unmetodo di controllo e riduzione delpericolo (che verrà invece identificatacome un punto critico); 2) un puntocritico che a valle è in possesso diun sistema che elimini il pericolo.

3. Stabilire, per questi CCP, i limiticritici che differenziano l’accettabilitàdall’inaccettabilità. Stabilire i limiticritici che devono essere osservatiper assicurare che ogni CCP siasotto controllo.In pratica, limite critico è quel valoredi riferimento che separa l’accetta-bilità dall’inaccettabilità. I limiticritici sono desunti da quelli dilegge, ove presenti, oppure dallegMP (good manufacturing practices,ossia “buone pratiche di lavorazio-ne”), nel senso che possono derivaredall’adozione di una pratica igienicadi lavorazione propria di un’azienda.Un classico esempio è la temperatura

le rughe e le linee sottili

gli accumuli di grasso

le braccia e interviene sulla lassità cutanea

l’addome per un girovita più sottile e definito

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minima e massima a cui devonoessere conservati tutti quegli alimentisoggetti a degradazione; oppure itempi di lavorazione, o i parametrimicrobiologici e chimici. Importantericordare che non sempre i limiticritici sono rappresentati da valorinumerici: possono infatti corrispon-dere a quantità rilevabili sensorial-mente, come la presenza o assenzadi sporco visibili.

4. Stabilire e applicare procedure disorveglianza efficaci nei punticritici di controllo. Il monitoraggioè una misurazione periodica/os-servazione di un CCP per deter-minare se un limite critico o livellodi sicurezza è stato rispettato. Laprocedura di monitoraggio deveessere in grado di individuare per-dite di controllo al CCP. Inoltre, ilmonitoraggio dovrebbe idealmentefornire questa informazione in tem-po utile affinché possa essere in-trapresa un’azione correttiva permantenere il controllo del processoprima che ci sia la necessità di ri-fiutare il prodotto. Se il monito-raggio non è continuo, allora lasua frequenza deve essere suffi-ciente a garantire che il CCP siasotto controllo. Le procedure dimonitoraggio per i CCP dovrebberoessere eseguite rapidamente, quindi,nella maggior parte dei casi, nonsaranno fattibili prove analitichetroppo lunghe. Sono preferibili mi-surazioni fisiche e chimiche rispettoa prove microbiologiche più lente.

Il monitoraggio deve essere con-dotto da una persona incaricatache abbia la necessaria conoscenzaed autorità in modo da poter ese-guire le azioni correttive quandoprevisto.

Il monitoraggio consiste in interventie modalità che dipendono dalla realtàdell’azienda in oggetto; un piano mi-

nimo di controllo comunque solita-mente prevede: - controllo e qualificafornitori, - controllo conservazionedei prodotti, - registrazione tempe-rature di conservazione, - controlloe predisposizioni di procedure di la-vorazione definite in tempi e modi, -controllo e pianificazione condizioniigieniche.

Figura 1. Esempio di “Albero delle decisioni” dei CCP

Esistono misure diprevenzione

è necessario il controlloper la sicurezza in questa

fase?

Modificare fase,progetto o prodotto

La fase specificamente destinata ad eliminare un pericolo o a ridurlo ad un livello accettabile?

Esiste una fase successiva che riduca a livelli accettabilio elimini il pericolo?

CCP

Potrebbe una contaminazione dovuta ad un pericoloidentificato manifestarsi a livelli superiori a quelliaccettabili o aumentare fino a livelli inaccettabili?

01

02

03

04

NO

NO

SI

SI

SI

NO

NO

NO

Non è un CCP Fine •

Non è un CCP Fine •

Non è un CCP Fine •

SI

SI

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Un piano minimo di controllo deveinoltre riportare: - chi si occupa dimonitorare e verificare i dati rilevati,- quando vengono effettuate le mi-surazioni o le osservazioni, - comevengono effettuati il monitoraggio ela valutazione dei risultati.

5. Stabilire azioni correttive se unpunto critico non risulta sotto con-trollo (superamento dei limiti criticistabiliti). Le azioni correttive sonoquelle azioni che devono essereseguite sia quando i risultati dimonitoraggio mostrano che unCCP ha oltrepassato il suo limitecritico specificato o dal suo livellodi sicurezza, o, preferibilmente,quando i risultati di monitoraggioindicano una tendenza verso perditedi controllo. In quest’ultimo casole azioni devono essere eseguiteper correggere il processo e man-tenere il controllo prima che ladeviazione conduca ad una perditadi controllo e quindi ad un pericoloper la sicurezza. E’ necessario chesiano date precise istruzioni perquegli alimenti che sono stati pro-dotti durante il periodo di tempoin cui il CCP era fuori controllo.Le azioni correttive e le istruzionidate dovrebbero essere entrambedocumentate nel sistema di regi-strazione dell’hACCP. Devono es-sere chiaramente assegnate le re-sponsabilità per documentare que-ste azioni.Le azioni correttive devono com-prendere: - la correzione della

causa dello scostamento dal limitecritico, - la verifica che il CCP siadi nuovo sotto controllo, - le pro-cedure da attivare verso gli alimentinon sicuri perché prodotti quandoil CCP non era sotto controllo, - laregistrazione dell’accaduto e dellemisure adottate, - l’eventuale in-dividuazione di misure preventivepiù efficienti.

6. Stabilire le procedure da applicareregolarmente per verificare l’ef-fettivo funzionamento delle misureadottate. Devono essere definiteprocedure di verifica per assicurareche il Metodo hACCP funzionicorrettamente. A tale scopo possono

essere utilizzati metodi di moni-toraggio e visite ispettive, proceduree prove, inclusi campionamenticasuali ed analisi. La frequenzadella verifica dovrebbe essere suf-ficiente per fornire garanzia che ilpiano hACCP e la sua realizza-zione possano prevenire problemidi sicurezza negli alimenti. Esempidi attività di verifica comprendono:esame del Metodo hACCP e dellerelative registrazioni; procedureutilizzate per determinare se i CCPsono sotto controllo; esame delleazioni correttive e delle azioni dideclassamento del prodotto quandoi limiti critici non sono rispettati;validazione dei limiti critici stabiliti.

Figura 2. Esempio di scheda per la registrazione della temperatura rilevata.

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Va ricordato che il sistema HACCPè un sistema dinamico che puòvenir cambiato e integrato in modopersonalizzato secondo le esigenzedi ogni azienda.

7. Predisporre docu-menti e registrazio-ni adeguati alla na-tura e alle dimen-sioni dell’impresaalimentare. Perl’applicazione delMetodo hACCPsono essenziali datiadeguati e docu-mentazioni da con-servare. La docu-mentazione delleprocedure hACCPapplicate a tutte lefasi dovrebbe es-sere inclusa e raccolta in un ma-nuale. Esempi di dati da raccoglieresono: piano hACCP; registrazionedel monitoraggio dei CCP; elencodelle deviazioni; elenco delle azionicorrettivo/predisposte; elenco dellemodifiche; dati di verifica; esamedei dati come pure delle informa-zioni quali il dossier di sanifica-zione. In pratica, la definizionedei dati da conservare e della do-cumentazione è spesso trattata dalgruppo hACCP prima di, o unita-mente alla definizione delle pro-cedure di verifica.

responsabilitÀ di impostazione, redazione e applicazione del piano diautocontrolloIl Piano di Autocontrollo basato sulsistema hACCP, normativamenteparlando, è in toto responsabilitàdell’oSA. Nella maggior parte deicasi, però, quest’ultimo si affida asocietà di consulenti esperti in mododa evitare di impostare un piano diautocontrollo inadeguato alle esigenzedella sua attività. Tali società forni-scono servizi di analisi dell’azienda,stesura del piano adeguato, strumentiper la verifica della corretta applica-zione del protocollo (ispezioni interne,

tamponi microbiologici, ecc…) ecorsi di formazione per l’oSA e peri dipendenti. ovviamente la respon-sabilità della corretta applicazionedi quanto stabilito nel Piano di Au-tocontrollo è totalmente dell’oSA.

Secondo quanto stabilito dalla nor-mativa, tutti gli addetti alla manipo-lazione degli alimenti, direttamenteo indirettamente, e il responsabiledell’autocontrollo e dell’igiene devonoaver sostenuto un corso di formazionesul sistema hACCP con rilascio direlativo attestato. La regolamentazionedi tali corsi è a carico delle singoleRegioni, per quanto riguarda il Lazionon sono ammessi corsi di formazioneon – line ma solo corsi in modalitàfrontale. Questi corsi possono essereerogati da professionisti del settorecon titoli di studio accademici inerentila biologia, chimica, tecnologie ali-mentari, ecc.

in conclusioneIl sistema hACCP non è quindi unprotocollo standard per tutti gli oSA,in quanto ogni azienda ha caratteri-stiche e processi produttivi unici, maè un piano “personalizzato” e dina-mico che varia al variare dei processiaziendali e secondo procedure mi-gliorative del sistema di controllo.Prima dell’adozione del sistemahACCP le verifiche venivano effet-tuate a valle del processo produttivoe solo da organi di controllo compe-tenti, con analisi della sa lu brità delprodotto finito e pronto per la venditaal consumatore. Effettuando questi

controlli a campione (analisi di un lot-to tramite prelievo di un campione)il risultato non era sempre significativo(l’eventuale contaminazione non sidistribuisce omogeneamente nel lotto).L’introduzione del piano di autocon-

trollo basato sui prin-cipi hACCP invecestimola innanzituttol’oSA ad un’atten-zione più capillare sulprocesso produttivo,e contemporaneamen-te previene e correggeeventuali criticità amonte e durante (enon più solo a valle)la filiera, garantendocosi maggior sicurez-za sia igienica che disanità del prodotto alconsumatore.

DoTT. BRAI MAURoBIoTECNoLogo PERITo AgRARIo

SPECIALIzzATo IN vITICoLTURAED ENoLogIA

AgRICoLTURA BIoLogICA, SICUREzzA ALIMENTARE, hACCP

note1 oSA; persona fisica o giuridica responsabiledi garantire il rispetto delle disposizionidella legislazione alimentare nell’impresaalimentare posta sotto il suo controllo;2 CoDEX ALIMENTARIUS; insieme diregole e di normative elaborate dalla CodexAlimentarius Commission, una Commissione(suddivisa in numerosi comitati) istituitanel 1963 dalla FAo e dall’organizzazionemondiale della sanità (oMS). La Commis-sione intergovernativa, cioè costituita dai go-verni di 185 Paesi più la Comunità Europea,si riunisce una volta all’anno per revisionareed aggiornare il Codex Alimentarius Proce-dural Manual. Lo scopo del Codex è di fa-cilitare gli scambi internazionali degli alimentie preservare la corretta produzione e con-servazione dei cibi.ALBERo DELLE DECISIoNI; Dopo chesono stati identificati i pericoli, può essereutilizzato un “ALBERo DELLE DECISIo-NI” dei CCP per determinare se una faserappresenta un CCP per il pericolo identifi-cato. Applicazioni di modelli del albero pos-sono differenziarsi leggermente a secondache si tratti di attività per la produzione,macellazione, processo ed industria, ma-gazzinaggio, distribuzione od altri settori.

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l’articolazione della caviglia,composta dalla tibio-astraga-lica e dalla tibio-peroneale,

con i suoi segmenti scheletrici(tibia, perone e astragalo) ed i tregruppi di legamenti (mediali, late-rali e sindesmosi tibio-peroneale),viene frequentemente interessatada eventi traumatici acuti nel corsodi molte discipline sportive, maanche e soprattutto nella vita quo-tidiana.

etiopatogenesiLa distorsione di caviglia è l’eventotraumatico acuto più frequente inassoluto.Infatti, a causa della con-formazione anatomica della tibio-tarsica, qualsiasi sollecitazione di-namica supportata da vettori ope-ranti sui piani frontali o assiali,può determinare, una volta superatii meccanismi protettivi capsulo-legamentosi, la comparsa di undanno articolare o del sistema dicontenzione. Ai meccanismi primari( la ricaduta da un salto, i cambidi direzione improvvisi ed impre-vedibili ) vanno aggiunti altri fattorisecondari quali terreni accidentatio calzature incongrue.

meccanismo traumaticoLa maggior parte dei traumi av-vengono per meccanismo di supi-nazione, movimento complessoche prevede l’adduzione, l’inver-sione dell’avampiede e l’inversionedel tallone che assume una confi-gurazione in varismo ed una lieveflessione plantare del piede, rispettoa quella in pronazione (abduzione,valgismo, pronazione) a causa ditre fattori:1) la conformazione scheletricadella tibio-tarsica: il malleolo ester-no è più lungo di quello interno2) la robustezza del legamentodeltoideo3) la predominanza, nei soggetti

infortunati, di piede con morfotipocavo supinato rispetto a quelli conpiede piatto-supinato.Nelle sollecitazioni in supinazioneil piede risulta quasi sempre at-teggiato in “equinismo”: in questasituazione il primo legamento adessere interessato è il peroneo astra-galico anteriore (PAA), principalestabilizzatore dell’articolazione.Successivamente possono essereinteressati gli altri legamenti delcompartimento esterno (Fig. 1).

a) legamento peroneo astragalicoposteriore

b) legamento peroneo calcanearec) legamento peroneo astragalico

anteriore.Nelle distorsioni in eversione vienecoinvolto il robusto legamento

deltoideo (Fig. 2), ma in una altapercentuale di casi tale evento èpreceduto dalla frattura del mal-leolo esterno.

FIg. 2 - a, b, c) legamento deltoideo

classiFicazioneTra le varie classificazioni propostenelle distorsioni di caviglia quellapiù accreditata da un punto di vistaanatomo-patologico che riguardaesclusivamente i traumi del com-partimento esterno, per la notevolefrequenza e per lo specifico inte-resse in ambito medico sportivo,suddivide le lesioni in:- lesione di I grado: rottura totaleo parziale del legamento peroneoastragalico anteriore (PAA)- lesione di II grado: rottura dellegamento peroneo astragalico an-teriore e del peroneo calcaneare - lesione di III grado: rottura dellegamento peroneo astragalico an-teriore, del peroneo calcaneare edel legamento peroneo astragalicoposteriore.

Un’altra classificazione, che puòessere di aiuto a quella anatomo-patologica per un più preciso in-quadramento dei vari quadri clinici,è quella che considera l’elementotemporale e suddivide le l e -sioni in:- lesioni acute: primo evento di-storsivo- lesioni acute su precedenti: episodidistorsivi sei – dieci mesi successivial primo trauma

le distorsioni di cavigliapreoccuparsi o no?

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- lesioni inveterate: frequenti epi-sodi distorsivi (lassità croniche).

diagnosiLa diagnosi generica di distorsionedi caviglia non presenta in generesignificative difficoltà; il dolore,la tumefazione articolare e di con-seguenza la limitazionefunzionale ci guidano, in modo daprendere gli opportuni accorgimentiper ridurre tali sintomi.Ben più difficile, e solo alla portatadello specialista, è la diagnosi qua-litativa della lesione che devemirare all’esatto riconoscimentodelle strutture anatomiche lesionate,alla individuazione dell’entità deldanno capsulo-legamentoso, allaprevisione della stabilità futuradella lesione nonché alla identifi-cazione di eventuali patologie as-sociate.L’anamnesi è fondamentale e deveessere sempre la più accurata pos-sibile. Si basa sulla conoscenzadel meccanismo traumatico, sullasensazione avvertita al momentodel trauma, sull’entità del dolore,sulla tumefazione e sulla limita-zione funzionale. Altro elemento fondamentale èquello di chiedere se in passato ilpaziente ha subito altri episodi di-storsivi della stessa caviglia o dellacontro laterale per poter inquadrarela distorsione nell’ambito di unalassità cronica di tipo post-trau-matico o costituzionale.

La visita clinica si basa su ispe-zione, palpazione ed esecuzionedi alcuni test diagnostici per la va-lutazione della stabilità articolare.All’ispezione vanno individuate lasede e l’entità della tumefazione.Solitamente nelle distorsioni di Igrado questa è localizzata nellaregione retro malleolare internaod esterna, a seconda del mecca-nismo traumatico, mentre interessatutta l’articolazione nelle lesionidi II e III grado. La palpazione deve comprenderetutte le aree nelle quali è prevedibilela comparsa del danno anatomico:– l’inserzione del legamento PAAsuccessivamente gli altri legamentidel compartimento esterno; – il legamento deltoideo

i due malleoli, la base del V me-tatarso (alla ricerca di aree do-lorose provocate da possibililesioni fratturative)

la sindesmosi tibio – peroneale di-stale (squeezing test) il dolore pro-vocato dalla digitopressione dellaporzione distale del polpaccio èsuggestivo per una lesione di questaformazione anatomica.- la regione retro malleolare esterna,sede dei tendini peronei, per verifi-care la eventuale lacerazione delcanale osteo – fibroso con sub-lus-sazione o lussazione degli stessi.Va valutata la stabilità articolare:- Test del cassetto astragalico an-

te-riore: serve a valutare la trasla-zione anteriore dell’astragalo ri-spetto alla pinza malleolare

- Test dell’inversione: nel posizio-nare il piede in inversione forzata,in presenza di una lesione gravedel compartimento legamentosoesterno l’esaminatore non avvertenessuna resistenza durante l’ese-cuzione del test

indagini strumentaliUn esame radiografico standardnelle due proiezioni ortogonalideve essere sempre eseguito intutte le distorsioni di caviglia alloscopo di escludere la presenza difratture.Le radiografie “dinamiche” vanno

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invece effettuate tutte le volte chel’indagine clinica pone il sospettodi grave lesione legamentosa coninstabilità. Le radiografie sotto stressconsistono nell’adottare tecnichefunzionali finalizzate alla realizza-zione di immagini correlabili allarealtà anatomo-patologica.

radiograFia dinamicaLa risonanza magnetica nucleare(RMN) è l’indagine strumentaleelettiva per la valutazione del dannolegamentoso e per la dimostrazionedi eventuali lesioni osteocondraliassociate; risulta, inoltre, partico-larmente indicata nello studio del-l’articolazione sotto astragalica lacui valutazione clinica è in genereassai difficile

trattamentoIl primo trattamento terapeuticoche bisogna adottare quando ci sitrova di fronte ad una distorsionedi caviglia, a prescindere dalla gra-vità della lesione, è quello di cercaredi ridurre il dolore e la tumefazionearticolare.

Nelle lesioni di I e II grado siattua, solitamente, un trattamentofunzionale che consiste nel riposoper 48/72 ore, applicare ghiaccioogni ora per 20′, per ottenereuna azione analgesica,e la ridu-zione dell’ematoma attraverso lavasocostrizione indotta dal fred-do, mantenerel’arto in posizio-ne elevata.

Trascorso tale periodo l’atleta vienenuovamente visitato e se il quadroclinico lo consente (lesione stabiledi I – II grado) si inizia la fisiote-rapia associata alla rieducazionefunzionale, che consiste inizial-mente nell’esecuzione di movimentipassivi, esercitazioni in acqua edesercizi isometrici, mantenere l’arto in scarico durante il movimento( movimento in monopodalico con2 bastoni canadesi ).Dopo circa sette giorni, si inco-raggia il carico utilizzando un’ortesi elastica con strutture di pro-tezione legamentosa (molla a spiraleetc…), da mantenere durante ladeambulazione.Quando il carico è libero e senzadolore si iniziano i movimentiattivi e contro resistenza integratidalla ginnastica in acqua e dalla gin-nastica propriocettiva; questa tec-nica, attraverso l’uso di tavolettead appoggio instabile sulle qualisi deve imparare a rimanere inequilibrio, crea condizioni di po-tenziale instabilità capaci di allenarei complessi meccanismi deputatial controllo neuromuscolare dellastabilità articolare Il momento in cui si è in grado di

camminare anche a passo speditoe senza dolore, si può definirecome la fase finale del processodi riadattamento funzionale, che,prudentemente dovrebbe essere ac-compagnata dall’ uso di ortesi ela-stiche con possibilità di tutela dell’apparato legamentoso ( molle aspirale etc…. )Nell’atleta, invece, questa fase pre-lude al riaffidamento al preparatoreatletico che attraverso una serie diesercitazioni riporterà l’atleta a ri-

prendere con gradualità la specificadisciplina sportiva praticata.È opportuno alla ripresa degli al-lenamenti proteggere la cavigliacon un “taping” per almeno quattrosettimane, continuando sia gli eser-cizi di potenziamento aspecificoche la ginnastica propriocettiva.Nelle distorsioni più gravi (III grado),il trattamento può essere di tipo in-cruento (conservativo) o chirurgico.Quello conservativo può essere ditipo funzionale o ortopedico.Il trattamento funzionale, che con-siste nell’uso di bendaggi o tutorisemirigidi, ha il vantaggio di con-sentire un recupero più rapido.Il trattamento ortopedico consistenella immobilizzazione della ca-viglia in un gambaletto gessato oin un tutore a stivaletto con piedein posizione neutra. Tale immobi-lizzazione deve essere mantenutaper 4-5 settimane, successivamenteci si sottoporrà, alla rieducazionefunzionale come per le lesioni di I– II grado.Il trattamento ortopedico offresenza dubbio maggiori garanziedel trattamento funzionale, ma pre-vede tempi di recupero più lunghicon il rischio di rigidità articolari.Il trattamento chirurgico deve essereriservato ad atleti, agonisti, che pre-sentano un tilt astragalico superiorea 30°, alle lassità croniche post-traumatiche e alle gravi lesioni acutein atleti con lassità costituzionale.

DoTT. MIChELE FALINoMEDICo ChIRURgo

SPECIALISTA IN MEDICINA FISICAE RIABILITAzIoNE

(RICEvE PRESSo IL CENTRo ME-DICo ARCIDIACoNo IL LUNEDì E

gIovEDì PoMERggIo)

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