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N° 11 - GIUGNO 2006 - TRIMESTRALE EDITO DALLO STUDIO EDITORIALE GIORGIO MONTOLLI - POSTE ITALIANE S. P. A.- SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE - 70% - DCB VERONA i n VERONA

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N° 11 - GIUGNO 2006 - TRIMESTRALE EDITO DALLO STUDIO EDITORIALE GIORGIO MONTOLLI - POSTE ITALIANE S.P.A. - SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE - 70% - DCB VERONA

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Ci diamo un gran da fare per pro-muovere manifestazioni a tuteladelle tradizioni popolari. Addirit-tura si creano assessorati per nonperdere la memoria di quando ibambini giocavano per le strade,le donne facevano la spesa nellebotteghe del quartiere, gli anzianitrovavano nella briscola o nellebocce il motivo per stare insieme.Per far fronte a questo vuoto dicultura della relazione nasconoassociazioni, si creano eventi,vengono destinati luoghi idoneiad ospitare manifestazioni, sispendono soldi.Anche quando si parla di recupe-ro delle tradizioni c’è la tendenzaa rendere molto visibili gli inter-venti messi in atto per raggiunge-re lo scopo. Lo scianco da sempli-ce gioco di strada passa per gli uf-fici stampa, la carta stampata, latelevisione, l’intervista al sindaco.A questo punto non staremo quiad analizzare il rapporto che sicrea tra ciò che è di interesse me-diatico e la politica, anche se l’im-pressione è che l’unica realtà de-gna di attenzione sia quasi sem-pre quella che passa attraverso ilfiltro delle telecamere.Piuttosto preferiamo domandarcicosa ci proponiamo con tuttoquesto. Se la meta è riprodurredelle pagine di storia, allora rap-presentare quel mondo con delleistantanee legate ad eventi occa-sionali va certamente bene. Se in-vece l’obiettivo è quello di recu-perare, con i necessari aggiorna-menti, quella cultura della rela-zione di cui si parlava, questomodo di procedere può ancoraandar bene, ma non è sufficiente.E qui veniamo all’altra realtà,quella che non si impone alla cro-naca, che non ha bisogno di esse-re recuperata ma che ancora esi-ste e andrebbe tutelata.A pagina 9 c’è la fotografia di tresignori e una signora seduti al ta-volo di un’osteria del centro diVerona. Chi suona la chitarra, chi

il mandolino, chi il cembalo. Il si-gnore a sinistra ha sicuramentepiù di ottant’anni. Suonano e can-tano in cambio di un bicchiere divino perché questo è il loro mododi stare insieme. Non sapevanoche saremmo andati a fotografarli.La gente li ascolta, la musica aiutaa creare un clima sereno, ci sonoanche dei giovani.Una spontaneità minacciata dallenormative ENPALS, l’Istituto diprevidenza degli artisti, e SIAE, laSocietà Italiana Autori ed Editoriche tutela i diritti d’autore. Infatti,se riferiti al caso di chi suona gra-tuitamente e per passatempo, c’èuna serie di obblighi macchinosi eassurdi, anche per i gestori dei lo-cali, che di fatto colpisce, mortificae scoraggia qualsiasi iniziativa delgenere (vedi a pagina 10).E qui avanziamo due proposte. Laprima è che il Comune istituiscaun registro con i nomi di suona-tori, cantanti, ballerini, poeti, bu-rattinai ecc. che senza scopo di lu-cro si esibiscono in ambienti pub-blici e privati. Il Comune provve-da poi ad espletare tutte le prati-che necessarie con ENPALS eSIAE, come un’agenzia di servizi,facendosi carico delle spese, comericonoscimento del valore di que-sto genere di manifestazioni. Unaspesa importante per le tasche delsingolo cittadino ma un piccoloonere per le casse dell’ente; ungrande risultato per il tessuto re-lazionale dei veronesi.La seconda proposta è che i nostriparlamentari insistano per una re-visione della legge sui diritti d’au-tore, per quella parte che riguardale manifestazioni spontanee, a tu-tela delle tradizioni popolari.

È iniziata la stagione lirica. Anchequest’anno, a fronte di una crisistrutturale che investe i teatri ita-liani, avremo un cartellone all’al-tezza della situazione, in grado diattirare melomani da ogni partedel mondo.

Primo piano

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Chi suona nei locali,anche se gratuitamentee per passare il tempo,deve sottostare a unaserie di obblighi che difatto scoraggia ogniiniziativa. Il Comunedovrebbe farsi caricodell’aspetto burocraticoe delle spese, mentre i parlamentaridovrebbero insistere per una revisione dellalegge sul dirittod’autore, a tutela delletradizioni popolari

In copertina foto di Cinzia Inguanta

Trad

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oste Anche in questo settore si parla

tanto di dare spazio ai giovani,magari veronesi. Un modo perdimostrare l’interesse della cittàper i talenti di casa nostra sarebbequello di investire nelle loro capa-cità, dando loro un’opportunità,uscendo da quel clima un po’ in-gessato che ci impedisce di guar-dare avanti. Nel mondo del teatronon è così facile, perché oggi leamministrazioni si interfaccianocon le agenzie per gli ingaggi e lelogiche commerciali non sempresono in linea con i criteri artistici.Però un tentativo andrebbe fattougualmente. Pensiamo ad esem-pio alla direzione dell’orchestra:perché non affidarla, anche soloper una sera, a un maestro giova-ne e capace?

g.m.

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di Francesca Paradiso

Una chitarra, una voce e un pro-getto. Così nascono molti gruppimusicali e a Verona il loro numeroè cresciuto a tal punto che si puòparlare di un vero e proprio boom.Un fitto sottobosco di artisti più omeno giovani tenuto insieme daLivepoint.it, un sito internet dedi-cato principalmente ai gruppi sca-ligeri che informa su tutti gli eventimusicali e sulle band.Andrea Longobardi, creatore delportale, ci spiega: «In cinque an-ni abbiamo registrato 1454gruppi, di questi 801 sono anco-ra attivi. C’è un grande fermento

a Verona che conta 454 gruppi,216 in provincia e 238 in città».Un panorama sorprendente chefa capire come l’escalation inizia-ta negli anni Sessanta, quando inogni cantina nasceva un comples-so, non si sia mai esaurita.Sono tanti i giovani alle prese conla musica e che hanno il desideriodi esibirsi. Alcuni ce la fannoe van-tano nel proprio curriculum pa-recchie uscite nei locali veronesi.Spesso accade proponendo cover(brani di successo). Come i ThinkTwice che suonano i Green Day,con ben 20 date dall’inizio del2006. Willy, chitarra e voce delgruppo, racconta: «Per suonare nei

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di Silvia Andreetto

Quando abbiamo deciso di indagare sul mon-do della musica giovanile a Verona, il primopunto di riferimento è stato Livepoint, il sitointernet che fa da vetrina a tutti i gruppi musi-cali presenti sulla scena.Sapevamo esistessero vere e proprie confrater-nite in rete, ma non credevamo che una sem-plice inchiesta avrebbe destato tante polemi-che, giudizi e pareri discordanti. Abbiamoaperto una nuova finestra sul forum del sito, inaccordo con i responsabili di Livepoint, ponen-do poche, semplici, e forse un po’ provocatoriedomande sulla musica e sulla realtà veronese,sui musicisti che suonano dal vivo. In pochigiorni abbiamo raccolto oltre 80 commenti, unsusseguirsi di pensieri passionali, dettati dal-l’impulso del momento (come spesso accade inrete), o frutto di considerazioni tratte dall’espe-

rienza personale. L’interrogativo che ha scate-nato più risposte riguarda la scelta di moltigruppi di trattare solamente brani conosciuti,proponendo quel vasto genere chiamato cover.I musicisti sostengono che più la musica è nota,maggiore è l’affluenza di pubblico. Si ottienesuccesso se le esibizioni coinvolgono i ragazzi,vuoi in divertenti balli scatenati, vuoi in cantia squarciagola. Più difficile ottenere gli stessirisultati con delle produzioni proprie. Dal fo-rum emerge in maniera molto forte che la diffi-coltà e le pretese dei gruppi si scontrano con le

pochissime opportunità di esprimersi, i pochiconcerti fattibili, le poche date, i pochi localiche accettano musica dal vivo. «Un’inchiestanon può risolvere i problemi e non può cam-biare le cose», sostengono diversi intervenuti alforum, ma forse può far venire a galla i proble-mi, nella speranza che qualcuno poi se ne inte-ressi. Il problema che però tutti indicano comemaggiore è la mancanza di informazione. Li-vepoint serve proprio a colmare questo vuoto,ad aiutare i locali e i gruppi a tenersi in vita.Per colmare questa lacuna, secondo molti, civorrebbero sponsor e maggiore disponibilità siada parte dei gruppi, che da parte dei gestori deilocali. Secondo altri sarebbe necessaria unamaggiore cultura musicale che permetta di ap-prezzare più la musica dal vivo che il ritrovonei pub. Altri ancora replicano che sono i con-certi raffazzonati e di bassa qualità a indurre lepersone a snobbare i musicisti.

MUSICA GIOVANI

«La mia bandasuona il rock»

Un fitto sottobosco di artisti più o meno giovani che cercano spazi e notorietà.Ma si ritrovano anche solo per il gusto di suonare. A Verona 454 gruppi.

Un fenomeno in crescita. Propongono brani noti ma anche produzioni proprie

Un forumper andarea curiosare

locali si può sfruttare il passaparolaanche se di solito si porta al gestoreun demo (provino). I prezzi peruna serata variano a seconda delgestore e dalla grandezza del locale,aspetti che influenzano la retribu-zione della performance».Ma perché un gruppo preferiscesuonare cover piuttosto che com-porre musica propria? Willy spie-ga: «Noi siamo agli inizi, ma ci stia-mo lavorando». Stesse difficoltàper i Valori Bollati, gruppo verone-se con 70 uscite nel 2005: «Propor-re pezzi noti è più vantaggioso cheoffrire musica originale. Manche-rebbe il sostegno dal pubblico e diconseguenza quello dei proprietari

Un panoramasorprendente che fa

capire comel’escalation iniziatanegli anni Sessanta,

quando in ognicantina nasceva un

complesso, non si siamai esaurita

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dei locali. Ci sono difficoltà nel-l’instaurare rapporti con i diretto-ri perché il più delle volte ci chie-dono quanto pubblico siamo ingrado di coinvolgere senza guar-dare alla qualità dell’offerta. Èchiaro che come musicisti vor-remmo essere valutati diversa-mente».Matteo Muzzo, direttore artisticodel Lucille, Rock’n’Roll House, èun manager controcorrente: «Ar-riviamo a proporre 600 artisti l’an-no, circa 12 gruppi a settimana. Ri-usciamo a dare spazio anche aband straniere. Per presentarsi ènecessario un demo che ci permet-ta una selezione in grado di garan-tire anzitutto musica di qualità,senza dimenticare le esigenze delpubblico».Livepoint cataloga artisti e locali,così Lucille è al primo posto pernumero di concerti tenuto nel2006, seguito da La Fontana diAvesa e da Il Blocco di San Giovan-

ni Lupatoto. Importante palcosce-nico sono anche il Gate52 e il Jackthe Ripper di Roncà. In tutti igruppi c’è il sogno di farsi strada:Deadstars, rock band votata all’al-ternative, è uno di questi. Stefano,chitarrista, racconta la loro espe-rienza: «Sono i proprietari dei lo-cali a scegliere i musicisti secondola loro filosofia, la loro tendenza e iltarget. La sensazione è che a Vero-na manchi lo spazio: non ci sonogare musicali o grandi festival co-me in altre città italiane, mancanopalcoscenici importanti per lancia-re artisti emergenti». I RosolinaMar si sentono di dare qualcheconsiglio. Negli ultimi cinque annihanno prodotto dischi e girato pertutta Italia, esibendosi anche comegruppo spalla per grandi nomi. Sidefiniscono una band under-ground indipendente, consapevolidi fare musica che non sempre in-contra i favori della critica e altret-tanto consapevoli che non devono

Livepoint cataloga artisti e locali, così Lucille è alprimo posto per numero di concerti tenuto nel

2006, seguito da La Fontana di Avesa e da Il Bloccodi San Giovanni Lupatoto. Importante palcoscenicosono anche il Gate52 e il Jack the Ripper di Roncà

Claustrofunk

Home

Bikini The Cat

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Osservatorio

di Francesca Paradiso

Livepoint.it nasce sul web il 16 ottobre2000, giorno in cui il portale si propone aitanti appassionati di musica in internet.Andrea Longobardi e Simone Mujelli, duegiovani che amano ascoltare e fare musica,si accorgono che a Verona manca qualcosanella comunicazione di settore e che le nu-merose date e concerti della provincia pas-sano sotto silenzio perché nessuna testata èin grado di annunciarli tutti. Decidonoquindi di mettersi in società con l’obiettivodi offrire al territorio veronese un serviziomaggiore rispetto alla sola pagina di spetta-coli pubblicata dal quotidiano L’Arena.Un’idea azzeccata, visto il successo che ilsito ha riscontrato tra il popolo della mu-sica a tutti i costi. Su Livepoint.it si trova-no oggi tutte le proposte di Verona e pro-vincia e di carattere nazionale. Un’infor-mazione a 360 gradi con le notizie di sa-gre, spettacoli e concerti. Insomma, un oc-chio sempre puntato sulla musica dal vivoe sulle band emergenti, una realtà impor-tante per tutti coloro che fanno musica maanche per chi ne è semplicemente un con-sumatore.«La prima sfida è stata quella di far aderire igruppi musicali al nostro servizio e dar lorola possibilità di inserire autonomamente sulweb le date dei propri concerti», spiega An-drea. «Abbiamo creato, a detta di molti uten-ti, un servizio di grande fruibilità, con tanteinformazioni da reperire in maniera sempli-ce». Il portale è anche un veicolo di promo-zione dei locali e di tutte quelle Amministra-

zioni comunali che organizzano spettacolimusicali, teatrali e cinematografici.Livepoint, che collabora con l’assessorato al-le Politiche giovanili, è consultabile gratuita-mente e la registrazione, anch’essa priva dicosti, permette di essere aggiornati via emailsugli avvenimenti in programma. Impor-tante è anche il forum, nato nel 2001, in cui igiovani sono liberi di scambiarsi idee e pen-sieri. Andrea sottolinea: «è una piazza vir-tuale dove i pensieri si intrecciano libera-mente e tutti si esprimono in maniera piùlimpida, per noi di Livepoint diventa unostrumento fondamentale per capire meglio inostri utenti».

MUSICA GIOVANI

Livepoint, un’idea che ha fatto strada

«Abbiamo creato un servizio di grande fruibilità, con tanteinformazioni da reperire in maniera semplice».

Il portale è anche un veicolo di promozione dei locali e di tuttequelle Amministrazioni comunali che organizzano spettacoli

musicali, teatrali e cinematografici

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Andrea Longobardi

Lavoirlinge

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Osservatorio

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piacere per forza. Enrico, il chitar-rista, sottolinea: «Oggi tanti localinon propongono musica per valo-rizzare i talenti artistici. Sono di-ventati luoghi di puro divertimen-to, privi di quella tensione cultura-le necessaria per ospitare musica diqualità». E aggiunge: «Qui a Vero-na non si lavora male ma l’Ammi-nistrazione comunale è un po’ in-gessata, e anche qui spesso il crite-rio primario è quello di raccoglierespettatori. Il Comune finanzia iprogetti ma talvolta non conoscebene il settore, per cui si arriva apagare cara una band italiana sen-za considerare un gruppo america-no, magari più economico e cheoffre ottima musica».L’assessorato alle Politiche giova-nili replica con un nuovo proget-to. Si chiama VRBAN ed è il festi-val delle arti e delle produzionigiovanili, che ha come obiettivoquello di trasformare Verona nellacapitale della cultura riferita aigiovani. «Dallo scorso gennaio ol-tre 30 gruppi hanno collaboratoper costruire questo progetto cheabbraccia tutte le realtà delle tec-niche espressive: musica ma nonsolo» spiega l’assessore GiancarloMontagnoli. «L’obiettivo è quellodi mettere a disposizione spazinuovi: oltre a Piazza Isolo e Piazzadei Signori, anche i Bastioni dellozoo. In questa amministrazione lepolitiche giovanili hanno cercatoin primo luogo di sostenere e farcrescere le occasioni di esibirsi“abbassando il palco” cioè soste-nendo le idee dei ragazzi, dandoloro un’occasione e un luogo dovefarsi conoscere. Secondariamentesi è voluto favorire l’incontro trale diverse associazioni. Alcuniesempi sono “Sound Pancrazio” ele sale prova/registrazione neicentri di aggregazione giovanile».E in quanto ai luoghi, Monta-gnoli suggerisce ai ragazzi nontanto di trovare nuovi spazi,quanto di saper valorizzare quelligià esistenti e ripensarli secondola nuova idea. Fermo restandocomune l’impegno dell’Ammini-strazione a ricercare nuovi luo-ghi, l’assessore annuncia che inautunno sarà riaperta Interzonaagli ex Magazzini Generali, spa-zio chiuso insieme all’Estravaga-rio Teatro Tenda dopo 13 anni diattività per permettere i lavori diriqualificazione della zona.

Nel vocabolario dei giovani la musica non mancamai. Che sia rock, heavy metal, jazz non è impor-tante. Sono accontentati tutti i gusti e a Veronaanche quello classico. “La città nel teatro”, peresempio, è un progetto che ha favorito la parteci-pazione dei giovanissimi, anche se sono gli adultia restare i protagonisti delle platee scaligere.Il Conservatorio statale di Musica Dall’Abacoconta oltre 500 allievi, in gran parte giovani.Monica Margonari, clarinettista ventitreenne, cispiega la sua passione: «Cosa si perde chi non

ascolta la classica? Io ascolto tutto, dalla musicaleggera al rock». E aggiunge: «mi sono iscrittaquando frequentavo la terza media. Nella bandacercavano clarinettisti e così mi sono immersain questa avventura». Clarinettista diplomata efan di Mozart, Monica stupisce gli amici scate-nandosi in discoteca e magari la sera successivasedendo a qualche concerto di musica classica.Ha un sogno nel cassetto: «Vorrei insegnare mu-sica e seguire la formazione dei ragazzi».Tommaso Rossato, Tommy, suona in un gruppo(gli Arena) da molti anni, insieme ai cinqueamici che si sono esibiti, la prima volta nel2003, con pezzi come Wasting Love e The WickerMan degli Iron maiden. Studente al liceo Fraca-storo, l’anno prossimo si iscriverà al Conserva-torio e sostiene: «Ascolto heavy metal ma adorola Cavalleria Rusticana e Pavarotti. Vado sem-pre ai concerti e alle opere». Ci racconta come èiniziata la sua passione: «Mio nonno ha inse-gnato a mio padre l’amore per la lirica, e miopadre a me, aggiungendo però le tendenze deglianni ’70, come il rock progressive». Capelli lun-ghi, aspetto “metallaro”, Tommy fa della musicala colonna sonora della sua vita, rock duro perricaricarsi e opere liriche per i momenti riflessi-vi. «Spero di passare il test, è una sfida con mestesso», commenta, «vorrei diventare un can-tante polivalente». C’è un sogno anche perTommaso: comparire in Arena in qualche operalirica. (F.P.)

Artisti a 360 gradiAmanti dell’heavy metal, ma senza dimenticare Mozart

Il Conservatorio di musica “Felice Evaristo Dall’Abaco”

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Enpals e Siae: così non vaPer tutelare i diritti d’autore a volte si mortifica la tradizione. Ritrovarsi con chitarra

e mandolino al bar per suonare e stare insieme davanti a un bicchiere di vino non si può fare. O meglio si può, ma costa soldi e ci si perde in una burocrazia eccessiva

di Cinzia Inguanta

Esistono due realtà diverse: quelladei locali in cui si suona facendoun’attività strutturata (bar, pizze-rie…) e quella dove è possibilesuonare per stare in compagnia.Una realtà molto apprezzata, cheperò sta via via scomparendo acausa della troppa burocrazia.

Ecco cosa è accaduto in un bar diperiferia dove ogni tanto il gestoresuonava con qualche amico. Con ilpassaparola il giro si era allargato ecosì, una volta o due la settimana,si suonava gratis e per divertimen-to. La cosa è finita perché il pro-prietario, che desiderava rispettarele norme in vigore, si è trovato inuna situazione per cui avrebbe do-vuto pagare il contributo Enpals.«Abbiamo dovuto smettere. Non

potevo chiedere agli amici che ve-nivano per divertirsi di pagare piùdi 39 euro ogni volta».Francesco suona il sitar: «Faccia-mo musica popolare indiana. Sa-pevo della Siae ma non credevoche si dovesse pagare suonandogratuitamente. Peccato, era diver-tente avere un pubblico».«Canto così, per gli amici quandome lo chiedono» dice Antonellache prosegue: «immaginavo cheLa sede della SIAE di Verona

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vertirsi, facendo un po’ di “casi-no”. Non c’è pubblico, non ci so-no artisti che si esibiscono, soloun gruppo allargato di amici chesi diverte facendo musica.La situazione è diversa per i localiin cui l’attività musicale è una pro-posta che il gestore fa ai suoi clien-ti, come avviene per esempio a L’-Hostaria Agli Angeli di Castelrot-to. Marcella, il direttore artisticodel locale, ci spiega che all’iniziolei si occupava esclusivamente deirapporti con la Siae, perché per iltitolare era molto oneroso e com-plicato interessarsi anche di que-sto aspetto. Si tratta di un lavorovero e proprio. «Vado regolar-mente alla Siae, almeno una voltaal mese, spesso di più, con tutti imoduli e permessi. Di solito hotutto in ordine, ma se c’è qualchesbaglio, sono sempre molto gen-tili e disponibili ad aiutarmi. Lenorme sono complicate e ognitanto sembrano confusi anche lo-ro. A giugno vorremmo provare aproporre delle serate di prosa, incollaborazione con il Monocolo,un giornale letterario. Ma dob-biamo ancora capire cosa serveper la Siae». I musicisti che suo-

di Giorgia Cozzolino

La legge, si sa, non ammette eccezioni. E la bu-rocrazia molto spesso è un vero killer delle ini-ziative spontanee e personali. Molti tra i localidove siamo andati a curiosare hanno rinun-ciato a ospitare anche le più piccole esibizionicanore perché, sebbene a titolo gratuito e senzaobbligo di consumazione, queste manifestazio-ni andrebbero regolarizzate secondo le norma-tive Siae ed Enpals. Ma c’è molta confusione suquesta materia, una congerie dovuta alla com-plessità dell’argomento ma anche a un atteg-giamento di rassegnazione da parte dei gestoriche, piuttosto che affrontare scartoffie e contri-buti, decidono di lasciar perdere l’intratteni-mento musicale o di proseguire da fuorileggerischiando magari qualche ammenda.Le norme che regolano le attività musicali al-l’interno di locali pubblici, come bar, pub e ri-storanti, sono però piuttosto esigenti. Lo spiritoche le anima è la legittima tutela dei dirittid’autore, ma tiene in conto poco o per nullatutte quelle manifestazioni della tradizione po-polare che niente hanno a che vedere con ilcopyright. Per orientarci in questo dedalo di

obblighi legislativi ci siamo fatti aiutare daGiovanni Dellino, titolare della filiale Siae diVerona, che funziona anche da sportello En-pals.Emerge subito che i più penalizzati da questenormative sono i gestori dei locali. Infatti, seun’osteria decide di ospitare, a titolo gratuito,un gruppo di arzilli vecchietti che ogni setti-mana si ritrova a cantare le canzoni della tra-dizione popolare veronese, dovrà in primo luo-go comunicare alla Siae la manifestazione epubblicizzare, per quanto possibile, all’esternodel locale i brani musicali e gli autori perché,spiega Dellino, «anche se il diritto d’autore siestingue dopo 70 anni dalla morte del titolaredel diritto, permane comunque un diritto mo-rale che non si prescrive». Fatto ciò, la Siaechiede un deposito cauzionale che dipende daltipo di manifestazione, dalla sua durata e dal-la capienza del locale. Nel caso, per esempio, diun complesso di cinque elementi (se sono dipiù si cambia tabella di riferimento) che suonaper un massimo di tre ore, il gestore dovrà ver-sare 28.33 euro (più Iva) che gli saranno rim-borsati qualora l’elenco dei brani eseguiti noncontenesse nemmeno una canzone tutelata dal

diritto d’autore. Finisse tutto qui, molti localinon ci penserebbero due volte a invitare musi-cisti e poeti, invece ciò che frena è l’obbligo diiscrivere ciascun musicista e la stessa impresaall’Enpals, l’istituto di previdenza degli artisti.Il costo di tale operazione corrisponde al 32,70per cento del compenso ricevuto e, anche se atitolo gratuito, è obbligatorio versare un mini-mo di circa 39 euro. Una spesa che compete algestore, quale titolare d’impresa, per ciascunodei suoi lavoratori-artisti i quali non verrebbe-ro comunque ritenuti responsabili in caso dievasione contributiva.Sgradevoli conseguenze invece spetterebbero aigestori, considerati alla stregua di un qualun-que titolare d’azienda, che fossero “pescati” inflagrante. Per fortuna, i controlli al momentosono ancora sporadici ma, avverte Dellino,prossimamente saranno rafforzati. L’alternati-va più semplice per i locali, suggerisce il re-sponsabile Siae, è quella di affidarsi a coopera-tive che si occupano di tutte queste faccende eche presentano al titolare una semplice fatturache lo esonera da ogni obbligo fiscale. Il tutto,comunque, con buona pace dell’improvvisa-zione e della spontaneità.

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stessimo facendo qualcosa chenon si poteva. Ho un amico musi-cista, insomma uno che vive con lamusica e mi ha spiegato qualco-sa… ma mi sembra tutto un po’complicato e assurdo».C’è una vecchia osteria in centrocittà, in cui un giorno la settima-na, nel tardo pomeriggio, si riuni-sce un gruppetto di persone anzia-ne che suonano musica della tra-dizione popolare italiana. C’èqualche nonno, qualcun altro cheè solo, vite diverse che s’incontra-no davanti a un tavolo su cui so-no appoggiati gli spartiti e i bic-chieri di vino. Non sanno nientedella Siae, non sanno nemmenoche stanno facendo qualcosa chenon potrebbero fare. Qualcunovive con la pensione minima, co-sa direbbe se sapesse di dover pa-gare quasi 40 euro all’Enpals ognivolta che suona? «É la musica checi mantiene giovani», affermacon sicurezza uno dei musicisti,gli altri ridono e confermano al-l’unanimità. La sera, dopo le die-ci, per circa un’oretta si suona dinuovo. Questa volta sono ragazzipiù giovani, che vengono per lostesso motivo: stare insieme, di-

Ecco in sintesi cosa dice la legge

nano in locali di questo tipo, sonoprofessionisti, persone che vivo-no di musica, per cui anche lorohanno generalmente buoni rap-porti con la Siae. Il leader di ungruppo che suona jazz confessa:«Non siamo completamente inregola con il discorso della Siae,speriamo di arrivarci. I rapporti,comunque sono buoni, abbiamosempre trovato la massima dispo-nibilità». Non mancano gli scon-tenti che principalmente si riferi-scono alla compilazione del fa-moso borderò, l’elenco con tutti ibrani eseguiti. Simone, portavoce

di un gruppo che suona blues, di-ce: «Il meccanismo in teoria èbuono, però devi tener conto diuna cosa: il borderò è compilato amano, di solito in tarda serata e sesbagli e scrivi “Black magik wo-man” invece di “Black magic wo-man”, tutto il borderò viene inva-lidato. Sai cosa succede quandoaccade? Che tutti i soldi che laSiae ha incassato per quella seratavanno a finire nel fondo cassadella società e a fine anno vieneripartito in base a un criterio cheli destina a chi è ai vertici delleclassifiche. Ti sembra giusto?».

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Cultura

inVERONA

di Irene Lucchese

Il 2006 è l’anniversario dei 600 an-ni della presenza degli ebrei a Ve-rona; secondo un documento uf-ficiale della Serenissima, infatti,risale al 31 dicembre 1406 l’auto-rizzazione che permise alla popo-lazione ebraica di risiedere nella

ANNIVERSARIO

Per gli ebrei di Veronasono 600 anni di storia

Nel 1406 un documento della Serenissima autorizza la popolazione ebraica a risiedere nella città scaligera, in contrada San Sebastiano, vicino a piazza Erbe

città veronese, a patto che si occu-passe solo di prestito. In tale occa-sione venne destinato agli ebreiun quartiere in contrada San Se-bastiano, vicino a piazza Erbe. Inrealtà, la presenza ebraica nellacittà veneta è riscontrabile benprima di questa data ufficiale. Sene hanno tracce già nel 965, quan-

do il vescovo Raterio fece scaccia-re gli ebrei dalla città; altre notizieriguardano gli anni tra il 1169 e il1215, durante i quali sembra certoil soggiorno del poeta AbrahàmIbn Ezra e del rabbino Eliezer BenShemuel. Con molta probabilitàun altro poeta, Immanuel BenShelomoh Romano (detto Ma-noello Giudeo), trascorse un pe-riodo alla corte di Cangrande del-la Scala e alcuni documenti citanola presenza in città di judaei, manon è certo che si tratti effettiva-mente di ebrei.La consistenza della presenzaebraica a Verona non è ben defini-bile, sia a causa delle continueespulsioni, sia per il fatto che nes-sun censimento venne effettuatosino al 1539. La comunità stessaprese vita solo nella seconda metàdel XVI secolo. Nel 1539, comun-

que, una conta dei cittadini effet-tuata per il calcolo delle tasse, sti-mava la presenza ebraica in circa400 persone.Nel 1505 papa Paolo IV, con labolla Cum nimis absurdum, stabilìla segregazione degli ebrei neighetti, ma per vederne uno nellacittà scaligera bisogna attenderefino al 1599, quando iniziarono ilavori, dopo le forti pressioni delvescovo Valier. Il ghetto fu realiz-zato in via Crocioni, tra le odiernevia Mazzini e via Pellicciai e inau-gurato nel 1600; a differenza diquanto avvenne in altre localitàdella penisola, questa sembrò aglistessi ebrei la soluzione al proble-ma della convivenza con i cristia-ni. Solo nel 1797, quando i france-si di Napoleone occuparono Vero-na e aprirono il ghetto, si stabilì laparificazione degli ebrei agli altricittadini. L’Editto napoleonicopermise loro di abitare in qualun-que parte della città e così le fami-glie benestanti abbandonarono lemalsane abitazioni del ghetto, ilquale diventò quartiere dei pove-ri. La completa emancipazione av-venne, però, nel 1866 con l’annes-sione di Verona al neonato Regnod’Italia: iniziò un periodo d’oroper gli ebrei veronesi, che raggiun-sero in quegli anni il numero di1.400. Subito dopo, però, la comu-nità iniziò a ridursi e nel 1931 con-tava poco più di 400 persone. La

Parte di ciò che rimane delprimo Ghetto in piazza Erbe

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Cultura

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di Elisabetta Zampini

«Il silenzio dei vivi» e «L’eco del si-lenzio. La Shoa raccontata ai giova-ni» sono due libri memoria che,solo a molta distanza di tempo daifatti raccontati, l’autrice è riuscita ascrivere. Elisa Springer, nata aVienna più di ottanta anni fa, è unadelle voci dei salvati che si è sentita

ti altri ne partirono da Firenze, Bo-logna, Milano e, appunto, Verona.Quasi tutti diretti ad Auschwitz-Birkenau. É del 17 novembre 1943il manifesto di Verona, in pratica lacarta costituzionale della Repubbli-ca di Salò, che per quanto riguardagli ebrei prevede la più estremaemarginazione. Privati della citta-dinanza italiana, diventano stranie-ri e nemici senza tutela giuridica econ il destino consegnato nelle ma-ni dei tedeschi. Questo l’epilogostorico estremo delle scelte politi-che e ideologiche del fascismo chesi instaura in seguito all’8 settem-bre del 1943, in un’Italia davverodivisa in due: la parte meridionalecontrollata dagli alleati e quella set-tentrionale nelle mani dei tedeschicon Mussolini al capo del governo.Ma la persecuzione degli ebrei ita-liani trova il suo inizio nel 1938quando i loro diritti civili furonoabbondantemente limitati: si trattadelle leggi razziali, tema ancora og-gi controverso. Sempre più accan-tonata l’idea di uno sbaglio di per-corso o di un semplice gesto di imi-

situazione peggiorò con la se-conda guerra mondiale e l’av-vento del fascismo: la condi-zione degli ebrei veronesi nonfu dissimile da quella vissutanel resto d’Italia; anche Veronapagò il dazio al regime nazifa-scista e alle deportazioni cheallontanarono per sempre dal-la città 31 persone.Attualmente ci sono circa 100ebrei iscritti alla Comunitàebraica di Verona; nonostantel’esiguo numero, la comunità èabbastanza attiva e presentenella realtà culturale veronese.Infatti il presidente, il dottorCarlo Rimini, definisce positi-vo il rapporto degli ebrei con lacittà: le autorità cittadine invi-tano spesso la comunità a par-tecipare a eventi ufficiali, inparticolar modo nelle ricor-renze del 25 aprile e del 27 gen-naio. Inoltre, il presidente sot-tolinea i buoni rapporti che in-tercorrono tra i cittadini ebrei equelli veronesi: gli unici casi discontro nascono in relazione afatti politici nazionali o inter-nazionali, quando scatta la ri-sposta dei gruppi politici gio-vanili più estremi, ma senzagravi conseguenze.

Paolo Ligozzi, veduta di Verona: la zona attorno alla attuale Piazza delle Erbe dov’era sorto il Ghetto.

La grande volta della Sinagoga di Verona creata dall’architetto Fagiuoli

Le leggi razzialiÈ del 17 novembre 1943 il manifesto di Verona

che prevede una forte emarginazione per gli ebrei. Privatidella cittadinanza italiana diventano stranieri senza tutelagiuridica con il destino consegnato nelle mani dei tedeschi

in dovere di dire e di tramandare ilproprio vissuto. Il suo destino si in-crocia con Verona perché da quipartì il treno che la portò ad Ausch-witz. Verona, ieri come oggi, si tro-vava in una posizione geografica edi collegamenti ferroviari impor-tanti. Dopo che il primo treno dellamorte partì dalla stazione Triburti-na di Roma il 18 ottobre 1943, mol-

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di Francesca Paradiso

Il ghetto di Verona fu realizzato nel 1599 e successiva-mente demolito per la mancanza di condizioni igie-niche. Una prima modifica avvenne dall’Editto na-poleonico, che permetteva agli ebrei di abitare in ogniparte della città; gli ebrei si spostarono lasciando ilquartiere sempre più povero e malfamato. Proprioperché privo di decoro, fu in seguito chiuso con l’an-nessione al Regno d’Italia che voleva risanare le cittàitaliane. Dopo l’Unità gli amministratori si concen-trarono sulla sua posizione prestigiosa, zona però in-salubre, già definita tale da alcuni rapporti sanitaridel 1887. Il ghetto venne abbattuto nel 1924, si salva-rono alcune case-torri sul lato di Piazza Erbe, grazieall’intervento del pittore veronese (non ebreo) AngeloDall’Oca Bianca e da altri uomini di cultura come ilpoeta Berto Barbarani. Dall’Oca Bianca si batté stre-nuamente perché luoghi tipici, come questo, fosseropreservati da ristrutturazioni che avvenivano a voltesenza criterio, radendo al suolo angoli storici dellacittà. A schierarsi invece a favore i futuristi Boccioni eCarrà portatori dell’avanguardia, che esaltavano lamodernità, il culto del tempo veloce con idee innova-tive da attualizzare anche a Verona.Fu Giovanni Giachi di Milano che concretizzò l’ab-battimento, progettando una nuova costruzione.L’intervento riecheggiò a livello internazionale dallaGermania alla Russia, dall’Inghilterra alla Francia. Igiornali riportavano gli scontri tra conservatori e in-

terventisti, su L’Arena del 1924 si leggeva «…ha ob-bligato Verona a sopportare più oltre quella piaga in-decorosa e vergognosa contro cui l’igiene e la civiltà elo stesso buon senso gridano la loro ribellione…». Il 5giugno 1913 la Cassa di Risparmio di Verona bandìun concorso internazionale per l’erezione della pro-pria sede sull’area del ghetto. La gara, a cui aderironoarchitetti e ingegneri, si concluse però con un nulla difatto dato che il progetto del vincitore, Giovan Batti-sta Milani, fu bloccato dalla Commissione Superioredi Belle Arti. Il concorso fu comunque significativoper modernizzare il linguaggio tradizionale dell’ar-chitettura veronese. Nel 1924 l’Amministrazione co-munale ripresentò il progetto di sventramento delghetto e predispose un piano generale approvato dalConsiglio stesso. Nel ripristino fu mantenuto lo sche-ma planimetrico preesistente pur con l’aggiunta dimoderni elementi; fra tutti il Supercinema dell’ar-chitetto Francesco Banterle. La comunità israeliticaper completare il tempio nominò l’architetto EttoreFagiuoli, dopo che nel 1926, il conservatore Gerola el’architetto modernista Aldo Goldschmiedt non tro-varono accordi. Fagiuoli lasciò integre le preesistenticomposte dal porticato trecentesco di via Portici e ilfronte dell’architetto Franco sulla via Sella. Nel nuo-vo tempio, di gusto eclettico, si fusero elementi baroc-chi e romanici grazie ad un monumentale fronte,mentre sotto i portici vennero ricavate tre botteghe.In accordo con la Soprintendenza, Fagiuoli non alte-rò il porticato, anzi ne ordinò il restauro.

Il Ghetto risale al 1599

Cultura

tazione dei deliri sulla razza dellaGermania nazista, molti storicifanno rientrare le leggi razziali inun preciso progetto politico e so-ciale più ampio che mirava, adesempio, a legittimare l’espansio-nismo italiano in Africa in nome diuna superiorità della civiltà e dellarazza italiana con relativa psicosicollettiva contro “l’altro”, identifi-cato come “il nemico”.Ma l’opinione pubblica italiananon era un terreno fertile per l’an-tisemitismo o per qualsivoglia teo-ria razziale, per quanto abbondan-temente veicolata dalla carta stam-pata a partire dall’estate del ’38.Non c’era in Italia il problema del-l’integrazione delle comunitàebraiche, perché mancava il pre-supposto: gli ebrei non erano sen-titi diversi dagli altri italiani. Le co-

munità ebraiche erano infatti partenaturale della società italiana el’antisemitismo era limitato a fran-ge minoritarie. Esponenti delle co-munità ebraiche avevano ricoper-to e ricoprivano cariche importan-ti nell’esercito e nella politica. Lostesso avvento del fascismo ricevet-te sia plausi che opposizioni all’in-terno delle comunità ebraiche.Perciò le leggi razziali piovverodall’alto provocando reazioni di-Il rabbino di Verona Crescenzo Efraim Piattelli con il vescovo Padre Flavio Roberto Carraro

La città ha vissutoquesto periodo con

atteggiamenticontradditori, tra chi

metteva in pratica la segregazione suggeritadalle leggi e chi cercava

degli escamotage per aggirarle

Ricorda UmbertoBasevi: «Dopo le leggirazziali la gente che ciconosceva da sempre citolse il saluto. Non tuttiperò. La mia famiglia

non li ha mai biasimatiperché si respirava un

clima di paura e perciò i più obbedivano»

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verse: dall’incredulità al disorien-tamento alla disperazione. Quelliche avevano la possibilità emigra-rono verso le Americhe, la Palesti-na o fuggirono in Svizzera, altri siadattarono a vivere nella nuova li-mitante situazione.Ma c’è anche un dato inquietante:l’uno per mille dei perseguitati sisuicidò. A riguardo, Gian PaoloMarchi pubblica nel 1989 “La sca-la” dove ripercorre la tragica sortedi un ebreo maestro di violino chemuore a Verona il 4 marzo 1939precipitando dalla scala interna delPalazzo Maffei. La causa della mor-te rimane in bilico tra disgrazia osuicidio, ma il fatto viene inseritonel momento in cui a Verona si re-spirava l’atmosfera delle leggi raz-ziali, con il loro risvolto di martel-lamento mediatico attraverso lastampa locale. Come il titolo checompare su L’Arena il 3 settembredel ’38 e che immortala il provve-dimento d’avvio di tutta la legisla-zione razziale: «Altri provvedi-menti in difesa della razza. Gliisraeliti esclusi dall’insegnamentonelle scuole. I docenti sono sospesia far data dal 18 ottobre. Agli alun-ni di razza ebraica sono precluse lescuole di qualsiasi grado».Il regime attribuiva un ruolo de-terminante alla scuola, luogo dovemettere in atto la trasformazionepolitico-culturale in favore degliideali fascisti e perciò dovevano es-sere isolati gli elementi scomodi,fossero semplici studenti o illustrirappresentanti della comunitàscientifica, che in molti settori ri-mase orfana di menti brillanti.Il veronese Umberto Basevi, all’e-poca, era studente al Lornia. Pocopiù che un ragazzino. Ma arrivòuna lettera a casa e non andò più ascuola. Anzi, dovette andare a lavo-rare, come le sorelle. Lui spazzino ele sorelle operaie in una fabbrica dimatite e di scatole di cartone. Lacittà stava a guardare con atteggia-menti fortunatamente contraddi-tori, tra chi metteva in pratica lasegregazione suggerita dalle leggi echi cercava degli escamotage peraggirarle. «Non ho mai avuto pro-blemi particolari con i miei com-pagni», ricorda Basevi. «Qualchevolta mi prendevano in giro strin-gendo un angolo della giacca perdargli la forma di un orecchio dimaiale, questo perché noi ebreinon mangiamo carne di maiale.

Non è una gran cosa, ma mi facevastar male. Dopo le leggi razziali lagente che ci conosceva da sempreci tolse il saluto. Non tutti però. Lamia famiglia non li ha mai biasi-mati perché si respirava un climadi paura e perciò i più obbediva-no». Le testimonianze controcor-rente non mancano e suggerisconoche una omogeneità di pensieroera ben lontana da essere realizza-ta: «Un giorno, mentre lavoravo,dei bambini hanno cominciato a

gridare “Ebreo! Ebreo! Ebreo!”. Si èavvicinato un adulto e ha mollato auno di loro uno schiaffo». Un uffi-ciale vedendolo pulire in piazzaCittadella lo esonera dal lavoro. Èquesto un episodio di umanità chepiù di altri provoca commozione:«Non ho mai saputo come si chia-masse quell’ufficiale. Del resto erameglio non conoscere o dimenti-care i nomi per una questione disicurezza».La secolare presenza della comuni-tà ebraica nella vita della città haimpedito gesti di antisemitismoeclatanti e la sorpresa delle leggirazziali portò talvolta a una lorosottovalutazione. «Mio zio Tullio»,ricorda Basevi, «era un musicista,non si occupava di politica perciòci diceva che si sentiva sicuro, chenon gli sarebbe capitato nulla dimale. Venne preso e deportato.Non tornò più. Piano piano laconsapevolezza aumentava. Di na-scosto si ascoltava Radio Londradove si parlava di campi di concen-tramento e di camere a gas». Nonerano più i diritti civili in pericoloma la stessa vita ed era importantefarsi notare il meno possibile».

Contemporaneamente continua-no le azioni sotterranee di sentireopposto: «Mi ammalai di tifo enon potevo andare in ospedaleperché altrimenti sarei comparsosul registro. Un primario dell’o-spedale di Borgo Trento, il dottorCevolotto, veniva a casa mia percurarmi. E protesse tutta la mia fa-miglia perché fece mettere sul no-stro cancello una targa dell’IstitutoOspedaliero con scritto “Tifus”. Itedeschi avevano infatti l’ordine dinon portare via persone con ma-lattie infettive».Quando la città divenne troppopericolosa, si cominciò a cercare ri-fugio sui monti Lessini: «Mio papàintuì il pericolo e così fuggimmo inmontagna. Andammo da don Be-po Pasquotto, parroco di Valdipor-ro. Era sempre di buonumore. Ilprimo rifugio fu la sua canonicama poi la voce si diffuse in paese eperciò ci spostammo in una frazio-ne presso la famiglia Gaspari. E lìrimanemmo fino alla fine dellaguerra. Così ci salvammo». Unasalvezza dal risvolto amaro: «Permolto tempo», conclude Basevi,«ho avuto il complesso del salvato.Quando ho saputo, a guerra finita,che i miei amici e i miei parentierano morti, ho avuto una crisiprofonda. Non mi sono sentitofortunato. Non ero contento. Queimorti mi sono sempre pesati: chemeriti avevo io?» È la stessa dolo-rosa contraddizione tra «i som-mersi e i salvati» su cui tanto hadetto, scritto e patito Primo Levi eche da molti è stata ed è condivisa.

Gian Paolo Marchipubblica nel 1989 “La

scala” dove ripercorre latragica sorte di un ebreomaestro di violino chemuore a Verona il 4

marzo 1939precipitando dalla scala

interna del PalazzoMaffei. La causa dellamorte rimane in bilicotra disgrazia o suicidio

L’Aron ha-qodesh e la balaustra settecentesca. Sotto, particolare esterno della Sinagoga ebraica

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Redazione e impaginazione di libri e giornaliComunicati stampaProgetti editoriali

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STUDIOeDITORIALEGiorgio Montol l i

LA DIFFERENZANEL FARE LE COSE.

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di Nicola Guerini

Il grande impulso dato da Veneziaalla diffusione del teatro dell’ope-ra, con la nascita nel 1637 del Tea-tro San Cassiano, primo teatropubblico a pagamento, favorì il fio-rire di iniziative analoghe in tuttal’area veneta. Questo fenomenocoinvolse anche Verona contri-buendo così a risollevare in parte ilnostro ambiente musicale dalla

STORIA

Come è nato a Veronail teatro dell’opera

Nel 1651due musicisti, un ballerino e un falegname trasformano in teatro un locale affittato nella contrada dell’Isolo di Sopra. Nel 1665 inizia l’attività

il Teatro dei Temperati. Nel 1732 apre il Filarmonico...

Cultura

stasi che lo aveva colpito in seguitoalla pestilenza scoppiata nel 1630. Imotivi della crisi non sono da cer-care solo nel grave episodio dellapeste, con tutte le ripercussionieconomico-sociali, ma soprattuttonella difficoltà delle istituzionimusicali della città di adeguarsi aimutati indirizzi stilistici e di gustoche il Seicento portava con sé.La Cappella della Cattedrale è laprima ad allinearsi alle nuove ten-denze nonostante i numerosi pro-blemi organizzativi. Per l’Accade-mia Filarmonica, al contrario, ilprocesso di adattamento fu moltopiù lento e faticoso. Nata e cresciu-to nel clima culturale del Rinasci-mento, l’Accademia denunciavauna decadenza dello spirito origi-nario fin dall’inizi del secolo XVII.Il culto delle lettere e delle discipli-

Nel 1822 Verona fu lasede del Congresso della

Santa Alleanza. Percelebrare l’evento furonocommissionate a Rossiniquattro cantate: Il vero

omaggio, L’auguriofelice, Il bardo, La SantaAlleanza, da eseguirsi inArena e al Filarmonico

alla presenza degliimperatori e regnanti

di tutta Europa

ScipioneMaffei in unacaricatura

Teatro seicentesco

ne filosofiche e scientifiche tolseprogressivamente spazio alla “pra-tica” musicale, come confermatoda un documento dell’Accademiadatato il 14 giugno 1613 in cui siscriveva: «...il solo esercizio musi-cale non è sufficiente ad aggrandi-re et illustrare il prestigio dell’isti-tuzione se bene è tratenimento vir-tuoso». Così, mentre la Filarmoni-ca maturava una lenta trasforma-zione, iniziava a Verona un’attivitàoperistica, dapprima in sordina,poi sempre più regolare e stabile.Nel 1651 si costituì la prima socie-tà impresariale veronese formatada due musicisti, un ballerino e unfalegname. I due musicisti erano ilcantore del Duomo e della Filar-monica, don Gerolamo Zaninelli, eil romano Paolo Cornetti, già mae-stro di cappella a Ferrara. Anasta-

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sio Anastasi era il ballerino, mentre“marangon da pezzo” (falegnamespecializzato nella lavorazione dellegno d’abete) era Francesco Nobi-li, “ingegnere” del teatro e curatoredelle strutture sceniche.La novella società trasformò in tea-tro un locale affittato nella contra-da dell’Isolo di Sopra che da essoprese il nome di “teatro dell’Isolo”.L’opera d’esordio, l’Endimione, fuanche l’ultima per il teatro che do-vette dichiarare fallimento per lafuga di uno dei soci (lo Zaninelli)con tutto l’incasso delle recite. Sor-te ben più felice ebbe il teatro fon-dato dagli Accademici Temperati eattivo fino al 1656, stando a quantosi deduce dalla data del primo li-bretto conosciuto di un’opera rap-presentata in questa sede. Dal 1665il Teatro dei Temperati, certamenteospitato in più sale nel corso dellasua esistenza, registrava una serie dirappresentazioni che portarono aVerona opere di autori importanticome Francesco Cavalli, AntonioCesti, Antonio Lotti. L’attività delteatro cessò nel 1715 quando l’Ac-cademia Filarmonica, stimolata dairisultati ottenuti dall’intrapren-dente Accademia dei Temperati,decise di avviare i lavori di un pro-prio grande teatro e restituire allamusica il ruolo di primo piano, inorigine ad essa riservato all’internodell’Accademia. Il più grande so-stenitore dell’iniziativa fu il celebreletterato Scipione Maffei, membrodella Filarmonica dal 1701, e suoGovernatore fino al 1712.L’azione del nobile veronese inco-minciò con le pressioni esercitatesul Capitano di Verona, Marc’An-tonio Quercini, affinché inducessele autorità veneziane alla soppres-sione del Teatro dei Temperati«…per il sito pericoloso in cui sitrova e per le opere poco modestecantate da persone non molto one-ste». Queste pressioni hanno tuttal’aria di pretesti per eliminare findal primo momento una pericolo-sa concorrenza. In ogni caso, nel1715 arrivò l’ordine di chiusuraper il vecchio teatro, del quale Maf-fei e soci avevano chiesto la demo-lizione. L’anno successivo si diedeprincipio al teatro accanto all’acca-demia de’ Filarmonici sopra un di-segno di Francesco Bibiena, cele-bre architetto bolognese, già co-struttore del teatro imperiale diVienna per Leopoldo I, nel 1704.

Tra vari rallentamenti e sospensio-ne dei lavori il progetto fu portatoa termine soltanto nel 1730. Per l’i-naugurazione, Maffei riprese unsuo libretto giovanile,“La fida nin-fa”, per farlo musicare a propriespese dal compositore bologneseGiuseppe Maria Orlandini. Sem-brava tutto pronto quando, unnuovo imprevisto (difficoltà nonchiarite di ordine politico, conconseguente divieto ufficiale dellospettacolo da parte di Venezia),impose una proroga all’inizio del-l’attività nel Teatro Filarmonico.Trascorsero, infatti, altri due anniprima che il tormentato progettopotesse andare in porto. Finalmen-te, il 6 gennaio 1732, il Filarmonicoaprì i battenti: nel frattempo Maf-fei, insoddisfatto del lavoro di Or-landini, affidò il proprio libretto adAntonio Vivaldi, noto anche per larapidità con la quale era solito por-tare a termine le opere commissio-nategli. Le scenografie furono cu-rate dallo stesso Bibiena e l’accop-piata Vivaldi-Bibiena risultò vin-cente all’inaugurazione. Si rivelòinfatti un trionfo come riportatosulla “Gazzetta” di Mantova chescrisse:«L’opera riesce a maravi-glia, si per la Composizione, ed is-quisitezza della Musica, e sceltezzadei cantanti, come per la nobiltà, ebellezza delle Scene, e altre decora-zioni corrispondenti alla perfezio-ne di quel nuovo Teatro, che è unodei più vaghi, e ben intesi di tuttaitalia». Iniziò così per il maggiorteatro della città un’intensa attivi-tà: Antonio Vivaldi tornò al Filar-monico nel 1735 con “Tarlano” e“L’Adelaide”, e nel 1737 con “Cato-

ne in Utica”(seguita nell’occasionedal celebre intermezzo comico diPergolesi “La serva padrona”). Al-tri illustri compositori, come Bal-dassarre Galuppi e Adolf Hasse, in-sieme a celebri cantanti passaronoal Filarmonico fino al 1749, quan-do un incendio lo distrusse ripor-tandolo allo splendore solo dopoquattro anni. Dal 1754 le rappre-sentazioni si susseguirono ininter-rottamente mentre altri nomi pre-stigiosi si affacciavano alla ribaltadel teatro veronese: da Paisiello eCimarosa (dell’area napoletana) ainostri Salieri e Gazzaniga, fino al-l’avvento di Rossini, che dal 1813 al1830 impose anche a Verona la suaegemonia in campo teatrale.Si giunse così nell’Ottocento, altrosecolo di musica operistica per ec-cellenza, almeno in Italia. Nella no-stra città nuovi teatri, accanto al Fi-larmonico, si preparavano ad acco-gliere i grandi e meno grandi pro-tagonisti del melodramma. A tal

proposito, un altro teatro sorse nelluogo della chiesa di San Tommasoapostolo, detta S. Tomio, soppressacome parrocchia nel 1805, ridottaad oratorio nel 1808 e chiusa defi-nitivamente nel 1810. L’ex chiesafu poi acquistata dal conte France-sco Morando che sul disegno diLuigi Trezza la fece trasformare inteatro, molto elegante, con trenta-due palchetti, inaugurato nel 1814.Al Teatro Morando furono rappre-sentate numerose opere di Rossini,Donizetti, Guglielmi, e ospitò can-tanti illustri come il celebre sopra-no Teresina Brambilla e il castratoLuigi Bassi.Al nome di GioacchinoRossini è collegato un importantemomento della storia politica dellanostra città: nel 1822 Verona fuscelta quale sede del Congressodella Santa Alleanza dal principe diMetternich, potente cancellieredell’impero austriaco. Per celebra-re l’evento furono commissionatea Rossini quattro cantate: Il veroomaggio, L’augurio felice, Il bardo,La Santa Alleanza, da eseguirsi inArena il 24 novembre, mentre leprime tre al Filarmonico, il mesesuccessivo, sotto la direzione dellostesso autore e alla presenza degliimperatori e regnanti di tutta Eu-ropa come lo zar Alessandro diRussia, Francesco I d’Austria, Fe-derico Guglielmo di Prussica, il redi Sardegna Carlo Felice, il duca diWellington, il principe di Metter-nich, e il visconte di Chateau-briand. Il “bel canto” continuò adominare fino alle soglie del XXsecolo la vita musicale a Verona,per la quasi totalità concentrata neiteatri d’opera. Al Teatro Filarmo-nico si affiancarono i più recentipalcoscenici del Teatro Ristori (in

In una stampa del Settecento l’edificio d’angolo di Piazza Bra, a fianco deiportoni, che dal 1606 divenne sede definitiva dell’Accademia Filarmonica

Il Teatro Ristori come si presenta oggi

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Cultura

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origine Teatro Sardi, poi Valle) edel Teatro Nuovo (inaugurato nel1846 con l’Attila di Giuseppe Ver-di). Accanto ai capolavori di Belli-ni, Donizetti, Rossini e Verdi trova-rono successo anche opere di Mer-cadante, Auber e Meyerbeer. Peravere un’idea, vediamo che cosaaccadde, in un anno, per esempionel 1853, in tema di melodrammaa Verona. Al Filarmonico:“Ernani”di Verdi, “I Puritani” di Bellini,“Medea” di Pacini, “Mosè” di Ros-sini” e “Lucia di Lammermoor” diDonizetti. Al Teatro Valle (Ristori):“I lombardi” di Verdi,“I due fosca-ri” di Verdi, “Rigoletto” di Verdi,“Lucrezia Borgia” di Donizetti, “Ilbarbiere di Siviglia” di Rossini e “Ilfeudatario” di Vincenzo Mela(compositore di Isola della Scala,nato nel 1820, che inaugurò la suacarriera proprio con questa “pri-ma”. Al Teatro Nuovo, “Il mantel-lo” di Romani, “I due Figaro” diSperanza e il “Don Pasquale” diDonizetti. Riassumendo, cinqueopere al Filarmonico, sei al Valle,tre al Nuovo: in totale quattordiciopere in un anno. Negli anni cru-ciali delle lotte per l’indipendenzaitaliana, i nostri teatri rimaserochiusi o rallentarono di molto l’at-tività. Infatti, dal 1858, il Filarmo-nico si fermò fino al 1866 mentre ilNuovo, dopo la chiusura fino al

1862, riaprì le recite nel 1865. Il Ri-stori rimase chiuso solo nel 1857 enel 1860 mantenendo poi la suatradizione lirica. Nel 1872 al Teatronuovo si ascoltò per la prima voltaWagner: non un’intera opera mauna selezione ridotta per comples-so bandistico di Lohengrin. Alladiffusione del repertorio wagne-riano in Italia contribuirono note-volmente i veronesi Carlo Pedrottie Franco Faccio, dirigendo in variteatri numerose prime di Wagner,il quale nel 1876 venne a Veronaper concordare con Pedrotti l’im-minente allestimento di Lohengrinal Regio di Torino. Occorse atten-dere ben otto anni prima che que-sto dramma andasse in scena a Ve-rona: il 26 dicembre 1884.Da ricordare il grande successo del1887 che ottenne al Filarmonicouna Carmen di Bizet, sotto la guidadell’allora ventenne Arturo Tosca-nini, prossimo a divenire un diret-tore di fama internazionale. Anchela generazione post-verdiana fupresente nei teatri veronesi: nel1890 al Ristori arrivò la Cavalleriarusticana di Mascagni e la ManonLescaut di Puccini, nel 1895 i Pa-gliacci di Leoncavallo e nel 1898Andrea Chénier di Umberto Gior-dano.Ma eccoci allo “storico”1913: men-tre nei teatri di Verona proseguiva

la consueta attività operistica, ungruppo di amici ( il tenore Giovan-ni Zenatello, il direttore di coroFerruccio Cusinati, il critico GinoBertolaso e l’impresario OttoneRovato) decisero di dar vita a un’i-niziativa ambiziosa: allestire unarappresentazione operistica inArena. L’Anfiteatro romano avevagià ospitato nei secoli precedentimanifestazioni musicali e teatrali(come il famoso evento già citatodel 1822), ma l’allestimento diun’opera all’aperto presentava in-cognite per i cantanti, direttorid’orchestra e scenografi. I quattroamici, sostenuti anche dal direttore

d’orchestra Tullio Serafin, supera-rono ogni perplessità e scelserol’Arena quale cornice delle celebra-zioni veronesi per il centenariodella nascita di Giuseppe Verdi. Il10 agosto 1913, l’Aida inaugurò laprima stagione lirica all’aperto inArena. Diresse il maestro Serafin, ilcoro fu affidato a Cusinati, canta-rono nei ruoli principali il tenoreZenatello, il soprano Ester Mazzo-leni, il mezzosoprano Maria Gay ele scene furono curate dall’archi-tetto Fagiuoli. In quella sera me-morabile furono presenti tutte lepersonalità più autorevoli del mo-mento: Giacomo Puccini, ArrigoBoito, Pietro Mascagni, Luigi Illica,Ildebrando Pizzetti, Riccardo Zan-donai, Italo Montemezzi, gli edito-ri Ricordi e Sonzogno, MassimoGorki, Roberto Bracco e FranzKafka. La grande avventura arenia-na era iniziata e l’anno dopo furappresentata Carmen (dieci repli-che dal 1 agosto 1914), poi il lungosilenzio nel periodo della GrandeGuerra fino al luglio 1919 e dal1940 al 1945. Negli anni della se-conda guerra mondiale i teatri cit-tadini continuarono la loro attività,ma in tono minore e discontinuo.Per il Teatro Ristori e il Nuovo sitrattava di uno spegnersi naturalementre il Filarmonico, dopo lachiusura nel 1938 con il Tristano eIsotta di Wagner, diretto da SergioFailoni, fu bombardato e raso alsuolo nel febbraio del 1945. Soltan-to nel 1969 il maggior teatro dellacittà riaprì i battenti interamentericostruito ma dovette attendere il1975, con il “Falstaff ” di AntonioSalieri, per poter riavere l’originariadestinazione operistica.Il Teatro Nuovo in una stampa ottocentesca

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di Giuseppe Brugnoli

Questa è la storia, anzi no: è soltanto un pic-colo ritratto a memoria di un grande giorna-lista veronese, che pochi ricordano e forse al-trettanto pochi conobbero come tale, perchéin sostanza fu un grande giornalista manca-to. Si chiamava Gilberto Altichieri, e a Vero-na fu per molti anni direttore responsabilede “Il Nuovo Adige”, testata settimanale diproprietà del Partito liberale, ma che funge-va da edizione del lunedì de “L’Arena”, se-condo le norme di una vecchia e mai cassatalegge fascista che prescriveva che tutti i quo-tidiani uscissero con soli sei numeri settima-nali, e che tipografi e redattori riposassero ladomenica. Poi, come sempre, fatta la legge,trovato l’inganno, tutti i quotidiani uscironoanche con il numero del lunedì, che portavafresche le notizie di tutte le partite di calcio edegli altri sport che privilegiavano la dome-nica: alcuni facevano cominciare il lavoro al-le tipografie alla mezzanotte tra la domenicae il lunedì, altri trovarono più comodo ag-giungere “del lunedì” alla testata di tutti glialtri giorni, altri ancora cambiarono testatalasciando intatte redazioni e tipografie.Quest’ultimo fu il caso de “Il Nuovo Adige”,e il suo direttore Gilberto Altichieri si quali-ficò quindi, nell’immaginario collettivo diun lungo periodo, sia come giornalistasportivo che come esponente di spicco delpartito liberale. Nulla fu più lontano in luidall’interesse per qualsiasi attività sportiva,e in particolare per il calcio, che riempiva lepagine del suo giornale. Era sempre con iltono di una signorile e distaccata affettazio-ne che, quando ogni domenica sera arriva-va al giornale, si informava dagli addetti allepagine sportive come era andata la partitadel Verona, e dopo un commento educato evolutamente generico si accingeva ad impa-ginare la prima pagina. Anche la sua mili-tanza politica era piuttosto blanda: più cheun liberale dei suoi tempi, con un partitoimpegnato in una accesa battaglia politica,egli avrebbe potuto essere definito, se l’ac-cezione oggi di moda si fosse usata ancheallora, un “liberal” di stampo anglosassone.Una definizione che certo gli sarebbe pia-ciuta, perché in effetti Altichieri, partitodalla natia Oppeano, dove i suoi avevanocampi e villa, molti anni prima, per arrivare

a Verona aveva fatto il giro da Londra. Pri-ma della guerra, la seconda mondiale, erastato assunto al “Corriere” dal direttore Bo-relli, fascista, come allora era d’obbligo, magran scopritore di talenti giornalistici. Gil-berto Altichieri non era fascista, e quindinon poteva firmare, per cui fu coniato perlui uno pseudonimo, “Oliviero”, e con quelnome firmò molti pezzi di critica letteraria,soprattutto sugli scrittori inglesi e america-ni, in cui si era specializzato dopo la laurea,e diverse corrispondenze e interviste dall’I-talia e dai paesi europei più vicini. Poi fumandato a Londra, che era allora il centromondiale delle agenzie di stampa, e le suecorrispondenze comparvero su quasi ogninumero del quotidiano milanese. Primadello scoppio della guerra dovette rientrarein sede, perché per lui, sprovvisto della tes-sera del fascio, l’esposizione in una capitaleestera che stava per diventare nemica eratroppo pericolosa, e prese posto in quel fa-moso “stanzone” del Corriere dove gomitoa gomito si affiancavano ai lati di una gran-de tavola tutti gli inviati e i principali colla-boratori del giornale. Ancora negli ultimitempi della sua vita Altichieri, se sollecitatocon qualche insistenza, raccontava dei per-sonaggi della temperie artistica e culturaleitaliana con cui divise il “tavolone”, ma isuoi erano ricordi brevi e scarni, quasi dei“flash”, come se gli dispiacesse rammentarequei tempi che per lui furono i più attivi e ipiù animati da speranze di future aperture.La qualità della sua scrittura, il nitore e lamodernità della sua prosa, anche negli arti-coli di più breve momento, insieme con lanecessità di ripararlo ulteriormente dalleattenzioni del regime, lo imposero all’atten-zione del direttore e lo fecero trasferire alsettore della cronaca, dove fu a fianco di

Buzzati, con il quale ebbe una lunga amici-zia, e con il quale seppe sollevare all’altezzadi prose memorabili anche i racconti deipiccoli avvenimenti quotidiani. Poi venne il25 luglio, con la caduta del fascismo, e quin-di l’8 settembre con la sua temporanea ri-presa, e Altichieri fu costretto a trovarsi unrifugio per sfuggire alle retate che colpivanogli antifascisti. Ma il 25 aprile 1945, giornodella liberazione, fu tra i primi a tornare,con Emilio Radius, al suo posto di lavoro alCorriere. Ma subito lo colpì tragicamente lasorte: i suoi due fratelli Marcello e Plinio, adOppeano, catturati con le armi in mano in-sieme ad altri otto partigiani, il 26 aprile fu-rono uccisi dai tedeschi in fuga. Il 26 aprileera stato deciso dal Comitato di liberazionenazionale come il giorno dell’insurrezionegenerale contro i nazisti e i fascisti. Poi l’or-dine fu cancellato, perché le armate tede-sche stavano già sciogliendosi, ma il con-troordine non giunse mai ad Oppeano, o sevi giunse non arrivò ai fratelli Altichieri chescesero in strada con le armi.Gilberto Altichieri resistette a Milano finoal 1946, poi tornò ad Oppeano, dove c’era-no altre due famiglie alle quali provvedere,e cominciò la sua vita di agricoltore. «Lacampagna non era il mio mestiere», mi dis-se una volta, durante una di quelle lunghechiacchierate notturne in cui, alla fine dellavoro, quando già gli spazzini si muoveva-no per corso Cavour, dove abitava, alle pri-me luce dell’alba, ci intrattenevamo dopoche l’avevo accompagnato a casa. Era unuomo colto, di grande e non ostentata cul-tura, ricco di aneddoti e di citazioni. Era an-che una persona di grande sensibilità e diestrema gentilezza, un vero gentleman, ar-guto e spesso anche pungente, ma semprecon un sorriso. Di quel grande scrittore egiornalista che era mi rimangono due libri,uno “Il passato raggira”, una sorta di ro-manzo autobiografico scritto con la fre-schezza e la felicità espressiva, con la ric-chezza di una tavolozza in cui sono stati ap-pena stesi, intatti, i colori, che documenta lasua stagione umana e letteraria più bella,l’altro, “L’urbe ilare e pensosa”, dedicato aVerona e ai suoi personaggi dell’arte, in cuial termine della sua vita intensa e laboriosaraccoglie le ultime perle di una scrittura e diuna intuizione egualmente favolose.

I RICORDI DI UN GIOVANE CRONISTA

Gilberto AltichieriVeronese di Oppeano,giornalista e scrittore,

fu corrispondente da Londraper il Corriere della Sera.

Per molti anni ricoprì la caricadi direttore de “Il Nuovo

Adige”, che fungeva da edizionedel lunedì de “L’Arena”.

inVERONA 19

Cultura

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di Giorgia Cozzolino

Il protettore della polizia munici-pale è San Sebastiano. Un santoche i vigili urbani consideranomolto vicino e, ironicamente, ri-tengono corrispondere pienamen-te al loro destino in quanto fu mar-tirizzato non una, ma ben due vol-te. Comandante dei pretoriani nel300 dopo Cristo, venne prima tra-fitto da frecce su ordine dell’impe-ratore Diocleziano e poi, avendoscampato la morte quasi miracolo-samente, fu ucciso a bastonate co-me l’ultimo degli schiavi. Una de-dizione tale al martirio che faemergere l’aspetto masochisticodell’essere vigile urbano, chiuso tradue fuochi: il governo della città ela cittadinanza stessa, due padronicon esigenze talvolta diverse.Ironia a parte, la polizia municipa-le di Verona ha una lunga e glorio-sa storia alle spalle che trae le pro-prie origini dal Corpo delle Guar-die Municipali istituito nel 1866.Proprio il prossimo 6 ottobre,quindi, i vigili urbani compiranno140 anni, quasi un secolo e mezzopassato al servizio e a protezionedella gente… Ztl compresa!Ma come nacque l’esigenza dicreare un corpo di polizia comu-nale? Nella seconda metà dell’Ot-tocento la città di Verona facevaparte del Regno Asburgico ed erasede di una consistente guarnigio-ne militare. Poteva contare su ac-campamenti, fortificazioni e suuna importante linea ferroviarianelle cui realizzazioni i cittadinitrovarono opportunità di lavoro efonti di guadagno. Ma gli archivi divia del Pontiere raccontano ancheche i fermenti nazionalistici, cheallora attraversavano la penisola, sifecero talmente pressanti anche incittà, che dal 23 maggio 1863 nonvi furono più notabili disposti acollaborare con il governo austria-co. Fecero così cessare la loro larappresentanza municipale e al-l’ufficio venne destinato un com-missario governativo. Due annipiù tardi le tensioni sociali reserochiaro alle autorità scaligere cheera giunta l’ora di riprendere le re-dini del governo cittadino per ge-stire al meglio l’auspicata unione alRegno sabaudo. Così il 1965 segnòl’ascesa alla carica di Podestà delcavalier Edoardo De Betta, scien-ziato e spirito illuminato, che l’an-

no seguente istituì un corpo di po-lizia indipendente dalla ImperialRegia Gendarmeria austriaca,chiamandolo appunto delle Guar-die Municipali.La nuova polizia cittadina era con-cepita con finalità moderne per l’e-poca, non come strumento per op-primere i cittadini, ma, al contrariouna polizia più vicina ai cittadini,prendendo quale esempio la Me-tropolitan Police istituita a Londranel 1829 da Sir Robert Peel, i cuiagenti furono soprannominati“Bobbies” o “Peelers” in onore delfondatore. Le uniformi e l’equi-paggiamento dei “vigili” veronesirispecchiarono quello dei colleghidi Londra, componendosi di: «unatunica di panno bleu oscuro, pan-taloni bleu oscuri, cappello tondodi feltro nero, mantello impermea-bile, soprabito lungo, guanti di pel-le, cravatta nera, revolver a 6 colpi ecanna di sambuco con pomo inmetallo bianco ed inciso sopral’impugnatura lo stemma munici-pale». E proprio a causa di questacanna di sambuco i vigili furonosoprannominati “cana”.Fin da subito, il Corpo fu intensa-mente impegnato nel soccorso deicittadini durante le disastroseinondazioni che colpirono la città,fino alla costruzione dei “mura-glioni” (1887 -1894) e l’apportodegli agenti fu determinante anchenelle fasi della prima e secondaguerra mondiale e nelle rispettivericostruzioni. Nel 1929 persino ilpoeta Gabriele D’Annunzio ebbeoccasione di lodare l’efficienza deivigili veronesi ai quali riservò unacuriosa dedica: «Agli occhiutissimivigili veronesi, l’orbo vigile delquartiere San Zeno». Gli “occhiu-tissimi” di oggi devono confron-tarsi con problematiche diverse etalvolta anche con richieste buffe. Èil caso di una telefonata giunta alcomando che suonava così: «Sia-mo 550 turisti olandesi e quest’e-state passeremo per Verona, dovestaremo un giorno. La sera cenere-mo lì. Poiché vorremmo rendere ilnostro breve soggiorno più sugge-stivo, nell’andare dal ristorante aipullman, possiamo accendere dellecandele per fare una fiaccolata?Contiamo di accenderne una ogni10 componenti del gruppo: dob-biamo chiedere l’autorizzazione?».

Ha collaborato Irene Lucchese

Anniversario

Giugno 200620

140 ANNI DI SERVIZIO

La storia della Polizia municipale

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Spettacoli

“Shakespeare e Verdi, l’incontro tra due ge-ni”. È questo il titolo di un originale conve-gno organizzato, nell’ambito del FestivalShakespeariano, il prossimo 10 luglio, alle17, nell’auditorium del conservatorio Dal-l’Abaco di Verona. Una tavola rotonda chevuole indagare il legame tra i due composi-tori, l’uno di opere musicali e l’altro di opereletterarie, grazie agli studi e alle conoscenzedi veri esperti in materia. Interverranno aldibattito, patrocinato dall’Istituto nazionalestudi verdiani, il direttore scientifico LuigiPetrobelli, il musicologo e consulente artisti-co della Accademia Filarmonica di Verona,Carlo Mezzadri, il preside della facoltà di lin-gue dell’ateneo veronese, Luigi Righetti eCarlo Mayer, regista e già direttore artisticodi alcuni Enti lirici. Un “pool” di tecnici chemetterà in luce gli incontri drammaturgicitra Verdi e Shakespeare come in Otello, Fal-staff e Machbeth.«Preferisco Shakespeare a tutti i drammatici,senza eccettuare i Greci», scriveva GiuseppeVerdi, il 22 aprile del 1853, in una lettera al-l’amico Antonino Somma, al quale confessa-

va anche la sua ammirazione per alcuni per-sonaggi del poeta di Stratford. «Questo Jagoè Shakespeare e l’umanità, cioè una partedell’umanità, il brutto», sottolineava Verdiche si era accostato alla drammaturgia ingle-se grazie all’incontro e agli stretti rapportid’amicizia che teneva con Carcano, uno deipiù noti traduttori dell’Ottocento. Ma fu permerito del librettista Arrigo Boito, principa-le esponente della Scapigliatura milanese,che Verdi venne attratto in modo teatral-mente completo dal grande drammaturgo.Così nel 1887, con l’Otello, dove la poetica diBoito sposa il credo di Verdi di «inventare il

vero», e con il Falstaffdel 1893, la sua ultimagrande opera, la musicadel compositore par-mense ritorna miraco-losa e stilizzata.Dagli scambi epistolaricon Boito è facile com-prendere che Verdi ave-va per Shakespeareun’ammirazione e unaconsiderazione piene ditimidezza artistica. Per-cepiva la grande creati-vità del genio inglese al-la quale la sua musica,per raggiungere un taletraguardo, avrebbe do-vuto stravolgere alcunicanoni del mondo ro-mantico che avevano

quasi sempre condizionato la sua ispirazio-ne. Infatti, tranne che per il Machbeth, diret-to nel 1847 su libretto del Piave, sia Otelloche Falstaff offrono un nuovo Verdi, con unastruttura musicale del tutto innovativa econcepita su un parametro di creatività qua-si rivoluzionaria: una musica nuova inventa-ta per il linguaggio dei testi di Shakespeare.Se di Verdi conosciamo gran parte della vitae delle sue creazioni, per Shakespeare dob-biamo spesso affidarci alla leggenda che cidona un uomo difficilmente catalogabile. Ese, infine, gli eroi e le eroine di Verdi sonoscolpiti con una sentimentalità che non ri-esce sempre a nascondere la propria originedura e complessa e il carattere toccato daaspre delusioni, i paladini di Shakespearetrascendono spesso l’umanità terrena perelevarsi in un infinito che domina gli avveni-menti di cui sono protagonisti.Un incontro di grandi, quindi, che il FestivalShakespeariano offre a cornice del cartellonedi appuntamenti teatrali e musicali e che ciricorda, come disse lo stesso poeta inglese, dinon temere la grandezza, poiché «alcuni so-no nati grandi, alcuni raggiungono la gran-dezza e altri hanno fede nella grandezza».

inVERONA 21

CONVEGNO

Shakespeare incontra VerdiIl 10 luglio al Conservatorio Dall’Abaco una tavola rotonda organizzata

nell’ambito del Festival Shakespeariano che evidenzierà il legame tra i due artisti

Fu per merito del librettistaArrigo Boito, principale

esponente della Scapigliaturamilanese, che Verdi venne

attratto in modo teatralmentecompleto dal grande

drammaturgo

William Shakespeare

Giuseppe Verdi

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Spettacoli

Giugno 200622

di Oreste Mario dall’Argine

Tosca, una delle più popolari madiscusse opere di Puccini per lesue invenzioni musicali, vibra lesue melodie su tre momenti prin-cipali, anzi quattro. La romanzadi Cavaradossi del primo atto“Recondita Armonia”, il grandesquarcio musicale del “Vissi d’ar-te...” di Tosca e il pezzo finale, tra-dizionale per il tenore protagoni-sta “E lucean le stelle”. Il quartomomento è il monumentale “TeDeum” che chiude il primo attodell’opera, nel quale Puccini riescea costruire sulla melodia ambro-siana, una possente sonorità co-rale e orchestrale che ci riporta alRequiem di Verdi.Quest’opera di Puccini, in scenanell’anfiteatro dell’Arena il 15, 22e 29 luglio (poi il 12, 18 e 25 ago-sto) fu giudicata verista. In realtà,questo “fumettone” di Sardou,nella sua truculenza invasiva, nel-la sua mistura di sentimentalitànon corrisposta e di crudeltàumana, pare uscire dagli schemiromantici di Puccini.L’autore inseguì questo dramma

con un’insistenza e una pervica-cia quasi sconosciute in lui. Avevavisto Sarah Bernard interpretareTosca, aveva parlato a lungo conSardou, rimanendo affascinatodalla vitalità e dalla vivacità crea-tiva di quest’uomo. Infatti Pucci-ni scrive a Fraccaroli: «Quell’uo-mo era portentoso, aveva più disettant’anni e c’erano in lui l’e-nergia e la spigliatezza di un gio-vanotto… qualche nostra seduta

si ridusse a dei semplici monolo-ghi di Sardou squisitamente pia-cevoli, non v’è dubbio, ma chenon facevano progredire la nostraTosca… Era meraviglioso».Sotto l’influenza teatrale dellagrande diva Sarah Bernard, sog-giogato dalla personalità di Sar-dou, Puccini mise Illica e Giacosaalla preparazione del libretto. Fuuna gestazione sofferta, furiosa,tanto da indurre Illica ad abban-donare, lasciando solo Giacosa aterminare l’impresa.Che in Tosca il nostro autore si al-lontani dalle romantiche melodiedi Mimì e Manon non lo si puònegare, così come non si può ne-gare una certa ricerca di verismoe di effetti teatrali; certo non fini ase stessi, ma senz’altro contornipoco veritieri di una melodia ca-parbiamente ricercata che trova ilsuo apice nella romanza “Vissid’arte...” del secondo atto. Attoanche truculento, perché l’assas-sinio del suo ossessivo spasiman-te, più che un’uccisione è una ma-ledizione che conduce la mano diTosca a colpire Scarpia. Non biso-gna dimenticare che Tosca è la

ARENA

Tosca: da Sardoua Puccini

In scena dal 15 luglio al 25 agosto. Con quest’opera iniziaper il musicista un periodo duro della sua vita quotidiana

e creativa che coincide con l’inizio del nuovo secolo

Sopra: il regista Hugo De Ana.In alto: rappresentazioni di Toscain Arena

Sotto l’influenzateatrale della grandediva Sarah Bernard,

soggiogato dallapersonalità di Sardou,

Puccini mise Illica e Giacosa alla

preparazione dellibretto. Fu una

gestazione sofferta

Giacomo Puccini in un ritratto.

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Spettacoli

inVERONA 23

TEATRO ROMANO

«Giulio Cesare» e l’esercizio del potere

di Alice Castellani

Dal 20 al 23 luglio andrà in scenaal Teatro Romano, all’interno del-l’Estate Teatrale Veronese 2006, unGiulio Cesare di Shakespeare conprotagonista Franco Branciaroli ela regia dell’inglese Tim Stark.Quest’anno il cartellone della ras-segna ha il suo punto di forza nelFestival Shakespeariano, con mes-se in scena internazionali e, final-mente, un gemellaggio con il pri-mo Festival Shakespeariano almondo, quello della città nataledel bardo di Stratford-On-Avon,da cui nel solstizio d’estate arriva aVerona il Sogno di una notte dimezza estate per la regia di TimSupple, un sogno indiano ed etni-co, ma ancora fedele al testo.Tim Stark è un giovane regista,proviene dal Royal National Thea-tre di Londra e ha già diretto Ro-meo&Juliet e, recentemente, un ReLear che sottolineava la quasi en-demica violenza di una societàsempre più autodistruttiva. Il suoGiulio Cesare porterà in scena at-tori italiani, sarà molto fedele al te-sto e attualizzato secondo le abitu-

sul corpo di Cesare morto cambiala storia. Il conflitto tra i due schie-ramenti politici, che esprimonoanche due diverse concezioni delmondo, si consuma sempre in unospazio pubblico: ruoli e destini deipersonaggi si legano a opzioniideologiche e a conseguenti fazio-ni, da sottoporre alla prova del po-polo. AAAAaazioni linguistiche volte allapersuasione della folla risultanocentrali e il popolo, apparente pro-tagonista della storia, è di fatto ciòsu cui si compie la trasformazionein potere dei contrapposti orienta-menti ideologici.A dominare è il paradigma dellapersuasione, la sua retorica di par-te, la recitazione e la simulazione.Il regista induce a riflettere suquanto la storia non sia il risultatodi programmi razionali, bensì dipersuasioni. Tutti i personaggiparlano gli uni agli altri, o al popo-lo che deve convalidare il loro po-tere, sempre cercando di imporsi odi imporre un certo “contratto”, ri-correndo a simulazione e dissimu-lazione. Come a dire che non si dàazione politica se non all’internodi una qualche finzione.

creatura pucciniana che inquesto atto gioca tutta la suapassione. Il “Vissi d’arte...” è larivelazione di un illusione per-duta, un testamento d’amoreaffidato al suo persecutore eche per questo ella ucciderà.Tosca è il vertice di un triango-lo di un amore sconfinato perCavaradossi e di un odio tuttofemminile per l’ignobile Scar-pia, la cui figura forse introdu-ce quegli elementi di verismoche sviò molti critici. Ma daquesto verismo, se verismo è,Puccini si riscatterà subito conla creazione di una delle sue fi-gure più romantiche, Butterfly.Tutto si può dire di Tosca tran-ne che essa non sia stata untraguardo creativo inseguitocon un desiderio quasi oniricoe difeso non solo dai suggeri-menti dei suoi librettisti tra-volti da un’irruenza incredibi-le del compositore, ma ancheda critiche altrettanto precise.A Ricordi, che gli rimprovera-va di essere musicalmentemancato nei momenti crucialidell’opera creando una melo-dia frammentaria e spezzata,Puccini rispondeva: «Non èorgoglio il mio è solo una dife-sa per un lavoro che ho pensa-to e che mi è costato tantopensiero». Tosca segna quindil’inizio di un distacco dal suogrande editore cui toccherà lasofferenza più grande. Ma conTosca comincia anche per Puc-cini un periodo duro della suavita quotidiana e creativa checoincide con l’inizio del nuovosecolo. Certo, anche se Puccinisi rifiuta di accettare una nuo-va epoca che sta per iniziare,non può non partecipare, an-che inconsciamente, ad uncambiamento irreversibile.Egli è talmente conscio diquello che sta facendo, stregatodall’irruenza creativa di Sar-dou e dal fascino teatrale di Sa-rah Bernard, che sembra sfio-rare la speculazione di ungrottesco melodramma per ilgrande pubblico.Il finale di “Vissi d’arte...” è ilgrido disperato di chi sente l’i-nutilità di una preghiera chenon potrà essere ascoltata. Sequesto è verismo, cos’è allora ilvero? Luca Giordana Il regista Tim Stark

Franco Branciaroli

dini inglesi, giocando sull’ambi-guità di tutti i personaggi e sulladifficoltà a circoscriverli nelle co-mode categorie del “buono” o del“cattivo”.Lo spettacolo, in programma inprima assoluta a Verona, sarà ilculmine di un work-shop che,senza Franco Branciaroli, sarà pre-sentato a Parma in maggio. Lascelta del Giulio Cesare – dice Stark– si lega al suo essere un testo poli-tico dove non è affatto chiara lacontrapposizione tra bene e male.L’idea del nemico che è tra noi edella paura guidano il talento bri-tannico nell’allestimento, così co-me la paranoia del potere, altro te-ma fondamentale: con le azioni diCesare dettate dalla paura e dalladebolezza, con la violenza e l’usodelle armi sintomi non di forza odi potere ma di pavidità.Il nome di Cesare governa l’interodramma, il cesarismo è al suo cul-mine fino all’imminente ratifica-zione monarchica e imperiale, conil parallelo costituirsi della congiu-ra repubblicana che lo attacca. As-sassinato Cesare, irrompe il nuovocesarismo incarnato da Antonio,che con la sua orazione al popolo

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di Maria GraziaTornisiello

«L’acustica ci ha insegnato ben po-co, poiché applicata allo studio deisuoni puri, ha quasi completa-mente trascurato, finora, lo studiodei rumori». Queste le parole diLuigi Russolo nel Manifesto dei ru-mori da lui redatto nel 1913. Pitto-re, compositore, incisore, esoteri-sta, studioso di filosofia orientale,Russolo è una delle personalità piùoriginali del Futurismo, di cui èstato uno dei teorici e fondatori.Per rendere omaggio a questoeclettico artista, il Mart, il Museo diarte moderna e contemporanea diTrento e Rovereto, fino al 17 set-tembre gli dedica una grande mo-stra antologica dal titolo “LuigiRussolo. Vita e opere di un futuri-sta” a cura di Anna Gasparotto eFranco Tagliapietra. L’esposizio-ne, prodotta dal Mart insieme allaEstorick Collection of Italian Artdi Londra, è un’occasione per ri-percorrere la vicenda artistica diLuigi Russolo, ed è stata costruitagrazie ai numerosi documenti ap-partenenti all’archivio dell’artista.Il percorso della mostra è suddivi-so in sei sezioni: i rapporti con ipittori lombardi simbolisti e divi-sionisti, l’attività incisoria e pitto-rica dal pre-futurismo al futuri-smo, l’attività musicale, la produ-zione pittorica post-futurista e, in-fine, il periodo parigino e spagno-lo, il ritorno in Lombardia. Dalleidee espresse nel Manifesto dei ru-mori nacquero le sperimentazionidi spettacolari macchine sonore,chiamate gli “intonarumori”, concui Russolo realizzò concerti e per-formance. Di questi apparecchi so-no esposte delle ricostruzioni,create appositamente per l’occa-sione da Pietro Verardo, sulla basedi nuovo materiale documentario,che ne migliora sensibilmente l’ac-

rini, Romolo Romani e Ugo Piatti.La proiezione di tre film di EugeneDeslaw,“La marche des machines”,“Les nuits electriques” e “Mont-parnasse”, montati per l’occasioneda Carlo Montanaro, con un ac-compagnamento musicale a curadi Daniele Lombardi, fanno dasottofondo al pubblico nel corsodella visita. Russolo fu attratto dalmovimento futurista fondato dalpoeta italiano Filippo TommasoMarinetti, diffusosi in Italia agliinizi del ’900 e rapidamente la suanotorietà giunse anche all’estero. Il1912 infatti, rappresentò per l’arti-sta l’avvio di un “Grand Tour” eu-ropeo attraverso le maggiori capi-tali: Londra, Bruxelles, L’Aja, Am-sterdam, Monaco e Budapest. Ifuturisti esplorarono ogni formaartistica, dalla pittura alla scultura,dalla letteratura alla poesia e alteatro, ma non trascurarono nep-pure la musica, l’architettura, ladanza, la fotografia, il nascente ci-nema e persino la gastronomia. Iprincipi fondamentali del Futuri-smo, che Marinetti riassunse nel“Manifesto del futurismo” del1909, comprendevano un appas-sionato disgusto per le idee delpassato, con un netto rifiuto dellatradizione, specialmente di quellapolitica ed artistica, ed un’esalta-zione della vita moderna e dei suoiaspetti più caratteristici: la veloci-tà, le macchine, le nuove metro-poli ed i complessi industriali.Ben presto però, con l’avventodella Grande Guerra, il movi-mento subì una scissione a causadell’adesione di Marinetti al Par-tito fascista e della sua celebrazio-ne della guerra come la migliorepoesia futurista mai scritta. Leposizioni del futurismo giunserofino alla seconda guerra mondia-le, quando ormai il movimentosopravviveva a se stesso e fu pro-prio nell’intervallo tra le dueguerre che le invenzioni rumori-stiche di Russolo si spinsero per-sino alla cinematografia d’avan-guardia, cui si interessò nel corsodel suo soggiorno parigino dal1928 al 1930. In quegli anni l’arti-sta frequentò gli ambienti del ci-nema sperimentale e suonò i suoistrumenti, gli intonarumori e il“Russolophone”, durante leproiezioni allo “Studio 28”.Informazioni: tel. 800.397760; sito web: www.mart.trento.it

Mostre

Giugno 2006

ROVERETO-MART

Luigi Russolovita e opere

di un futuristaUna grande mostra

antologica aperta fino al 17 settembre e

prodotta insieme allaEstorick Collection ofItalian Art di Londra

Luigi Russolo in una foto del 1930

sita un prezioso elemento di inte-rattività. Presente inoltre anche ilcomplesso della sua produzioneincisoria, ed un nucleo di suoi di-pinti futuristi e prefuturisti, accan-to alle opere degli artisti a lui piùvicini: Gaetano Previati, UmbertoBoccioni, Carlo Carrà, Gino Seve-

curatezza filologica rispetto ad al-tre ricostruzioni del secolo scorso.I visitatori possono suonare gli ap-parecchi, aggiungendo così alla vi-

Qui sopra: “La Musica”A sinistra: “Impressioni di bombardamento, 1926”

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di Marta Frediani

Quello che colpisce nella pitturadi Alice Castellani, giovane arti-sta veronese alla sua secondapersonale, è la costante rivisita-zione dei concetti di esterno e in-terno. Già presente nella serie dei“corpi”, il rapporto dialettico traqueste due istanze si esprime inuna ricerca delle ragioni e dellemanifestazioni dell’interioritàattraverso la rappresentazionedell’esteriorità. Il corpo, percepi-to dapprima come pura esterio-rità e come forma volumetrica,spaziale e sensuale, si rivela esse-re la chiave d’accesso che portadall’esteriorità all’interiorità. Inquesto senso la pittura di AliceCastellani si avvicina all’espres-sionismo, per l’uso di colori acidie stridenti, di segni agitati attra-verso cui si spiegano le sollecita-zioni dell’interiorità. Allo stessomodo è rappresentata la città,non più vista nella sua naturaoggettiva e naturalistica, ma tra-sfigurata dall’occhio interioredell’artista. Diverse le opere de-dicate alla città di Verona, manon mancano soggetti differenti(Bruxelles, Palermo e altre cittàpiù oniriche che reali). I punti divista sono differenti, insoliti,spesso non-verosimili. In “Co-loured Amburgo”, la facciata diuna palazzo diventa motivo peruna struttura obliqua bidimen-sionale in cui i colori, piatti esemplificati, stravolgono il sensodella posizione e dell’orienta-mento prospettico, riuscendo atrasmettere una percezione quasimaterica e sensuale del costruito.L’opera si fa essenziale e concretafino a diventare “materia”, come

in “Città materica con sole gial-lo”. Il tratto è sempre nervoso, ec-cessivo, anche in questo sensoespressionista. La rappresenta-zione recupera quindi il reale ri-visitandolo in chiave irreale. La“irrealizzazione” è evidente, apartire dall’esecuzione stessa in“Piazza Bra” e “Verso via Mazzi-ni”: queste fotografie, attraversola loro rielabo-razione, riflet-tono i luoghicittadini in tut-to il loro stra-niamento, conuna nota di no-stalgia dovutaall’impossibileritorno al pas-sato e forse alla

realtà stessa. In altre opere, il sen-so di irrealtà è dato dall’uso dicolori non naturalistici: non piùrappresentativi di alcunché, i co-lori si estendono al di là della lo-ro significazione, diventano puripretesti, sottolineano forme, agi-tano sensazioni. Proprio come in“Ragazza che legge arancio”, do-ve il corpo sembra emanare e

trasmettere ma-teria e luce, con-tribuendo a evi-denziare l’asso-luta concentra-zione sull’inte-riorità che ilcorpo manifestae al tempo stessonasconde. Altrevolte, come si è

detto, sono le prospettive ano-male a creare un effetto onirico edi straniamento, una dilatazionedello sguardo soggettivo, quasiallucinato, come in “Le calze a ri-ghe”, dove la prospettiva frontaleviene quasi compromessa dal-l’effetto ottico delle righe bianconere delle calze. O come in “Pri-mo lui blu”, dove il busto di unuomo supino potrebbe sembra-re un acido paesaggio collinare,illusione ottica aiutata dall’as-senza del volto dell’uomo, e dallarappresentazione spessa e mar-cata delle linee del corpo. Nel suopassaggio dal corpo alla città Ali-ce Castellani conferma la priori-tà data all’interiorità e alla sog-gettività. Il corpo, ancora colle-gato fisicamente all’idea di unsoggetto, lascia il posto alla rap-presentazione “esterna” per ec-cellenza, l’ambiente urbano. Unafuga che non fa che ribadire lasostanziale impossibilità dell’ar-tista di rappresentare alcunchéoggettivamente. Alice Castellaniha partecipato, nel marzo 2004,presso lo spazio espositivo del-l’ex Macello in Corte Filippini aVerona, alla collettiva Colori didonna. Nel settembre 2004 hapreso parte alla collettiva ArtePresente - Arte Futura organizza-ta dal Comune di Verona in col-laborazione con ARS Associazio-ne Culturale, presso l’ex ArsenaleAustriaco di Verona. La primapersonale, Alchimie di corpi emo-tivi e sensazioni variabili, si è te-nuta nel 2005 presso Art Gallerydi Verona.Dal 14 maggio 2006 è al Cecchibar di Verona con la secondapersonale, Suggestioni urbane, vi-sioni miste di città.

Mostre

inVERONA 25

PITTURA

La materia soggettivaLo sguardo indagatore di Alice Castellani

Sopra: “Donne al fiume”. In basso: “Via Mazzini”

Page 26: Verona In 11/2006

di Angelo Brugnoli

Il Museo Civico di Storia Naturaledi Verona ha accumulato negli an-ni diverse migliaia di fotografie,dedicate principalmente alla de-scrizione delle collezioni, ma an-che frutto di campagne di ricerca escavo sul territorio o nella docu-mentazione di eventi pubbliciquali mostre o convegni. A questoampio nucleo di fotografie, tipica-mente su lastra e pellicola o stam-pato su carta, si è aggiunto neglianni recenti la travolgente valangadelle fotografie digitali. Nata perfacilitarci la vita, la fotografia digi-tale si sta rivelando molto com-plessa nella gestione e nella con-servazione dei files. Nel tentativo,iniziato ormai da alcuni anni, diriordinare e riunire insieme tuttoil materiale fotografico, il museoha iniziato una schedatura rico-gnitiva, riscoprendo così alcunifondi fotografici di grande interes-se. Le scoperte più interessanti so-no avvenute “scavando” negli ar-chivi delle sezioni del museo. Eccoallora comparire lastre fotografi-che, scatolini di stampe “old fas-hion” con quelle belle cornicettedentellate che si usavano una vol-ta, fotografie montate con pas-spartout d’annata, il tutto ripro-ducente preparati animali, sale delmuseo anteguerra, siti naturalisti-ci, personaggi e momenti di vitadel museo. Questi soggetti foto-grafici risultano il più delle volteassolutamente inediti e l’immagi-ne o il materiale fotografico man-ca di annotazioni riguardanti luo-ghi, nomi, vicende. Da una parte lafotografica scientifica e catalogra-fica, minuziosamente e precisa-mente annotata e sistemata, dal-l’altra quelle immagini di vita or-dinaria in cui compaiono celebriricercatori naturalisti nelle classi-che foto di gruppo oppure in mo-menti di attività sul campo. Si trat-ta di documenti curiosi, affollati divolti che spesso non sono ricono-scibili. Ecco allora nascere la ne-cessità di scansionare tutto il ma-teriale al fine sì di conservare me-glio l’informazione fotografica,ma anche per facilitare la distribu-zione e così la visione da parte dichi ancora ricorda vicende e voltirappresentati. Il museo di Storianaturale può dirsi fortunato, po-tendo ancora oggi recuperare dalla

Scienze

Giugno 200626

memoria sempre vivida del pro-fessor Sandro Ruffo, profondo co-noscitore delle vicende del museoper tutto il secolo passato, i nomi,le date e le circostanze di moltomateriale fotografico, altrimentimuto. Aspetti certamente curiosirivelano vecchie fotografie di og-getti naturali; non infrequente-mente si tratta di materiali chenon risultano più presenti nellecollezioni, per cause belliche o na-turali, oppure di oggetti dei qualinon si conosceva neppure l’esi-stenza. E in questo gioco di “scato-le cinesi” si arrivano a scoprireaspetti veramente curiosi dell’atti-vità del museo e delle persone chelo hanno frequentato negli ultimicento anni. A questo genere appar-tiene la foto che riproduce unascheda fotografica nella quale èpossibile distinguere una giraffa,mentre la segnatura sul cartellinorecita: «Esemplari che vivono inschiavitù nel giardino del Nobilconte Dottor Enrico Cartolari diVerona». Il conte Cartolari aveva

domicilio a Isola della Scala e forseproprio là deve collocarsi questo“serraglio” che sembra aver ospi-tato diversi animali. La grafia èquella di Vittorio Dal Nero, primapreparatore e poi direttore del mu-seo, ed è anche del medesimo auto-re il raro ibrido naturale di germa-no e mestolone (nella foto), foto-grafato da Sartori in un’altra stam-pa montata. L’immagine mostral’animale naturalizzato, cioè im-balsamato; oggi non sembra esserepresente nei depositi del museo.Forse la fotografia ritrae l’animalepreparato da Dal Nero per qualcheprivato, cacciatore o appassionatocollezionista dell’epoca. Non dimeno resta una preziosa testimo-nianza di rapporti, interessi, studidel personale scientifico del museoagli inizi del secolo scorso.Di tutt’altra natura è invece il fon-do fotografico digitale denomina-to Archivio Storico Virtuale. Essoraccoglie in un apposito databasefotografico le scansioni di docu-menti, fotografie, manoscritti, let-

tere e quant’altro riguardi la storiadel Museo o delle sue collezioni.Nato due anni fa sull’esigenza direperire materiale iconograficoper una pubblicazione storiografi-ca, grazie alla disponibilità di entidiversi che hanno messo a disposi-zione i propri fondi documentali,oggi raccoglie una documentazio-ne ricca e variegata che abbracciagli anni che vanno dalla cessionedi Palazzo Pompei al Comune(1833) alla seconda metà del 900.Raccoglie quindi l’attività dei pro-tagonisti della storia del MuseoCivico, quali Cesare Bernasconi,Pietro Sgulmero, Giuseppe Gero-la, Achille Forti, Filippo Nereo Vi-gnola, Abramo Massalongo e figli,Edoardo De Betta, Vittorio DalNero, Antonio Avena e molti altri.Questo vero e proprio “scavo do-cumentale” ha permesso di indivi-duare materiali molto interessanti,sui quali andranno effettuati ap-profonditi studi. Per esempio, unnucleo rilevante di documenti ri-guarda l’accorpamento al PalazzoPompei di una nuova ala di edifi-cio di proprietà della famiglia Car-lotti ed il successivo adattamento asede museale: mappe e richieste diinterventi architettonici alla Con-gregazione Municipale e alla Dele-gazione Provinciale, entrambe diVerona, oppure di semplice manu-tenzione, la sistemazione e l’alle-stimento delle sale, l’acquisto dimobili e vetrine per ospitare le col-lezioni, l’assegnazione degli inca-richi e la nomina di commissioni.Un ambito di straordinario inte-resse è quello relativo alla gestionedel Museo, con documenti che te-stimoniano le azioni finalizzate al-l’aumento progressivo delle colle-zioni, alla conservazione e alla va-lorizzazione del patrimonio conparticolare attenzione alle colle-zioni naturalistiche. L’opera di ri-cerca e divulgazione del museo ètestimoniata dalla fitta corrispon-denza con istituzioni italiane edeuropee per pubblicazioni, ricercae, non ultimo, scambi. Tutto que-sto materiale documentale, cheammonta ad oggi a più di 1000schede inventariali e a più di 40Gigabyte di immagini digitalizza-te, è in costante ed esponenzialeaumento, grazie anche alla conti-nua individuazione di nuovi fondie raccolte documentali di interesseper il Museo e la sua storia.

Il Museo Civico di Storia Naturale di Verona ha raccolto diverse migliaia di fotografie, dedicatealla descrizione delle collezioni, ma anche frutto

di campagne di ricerca e scavo sul territorio

MUSEO DI STORIA NATURALE

Le immagini come memoria

Accumuli, anno dopo anno,di ricordi e testimonianze del passato

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Territorio

inVERONA

di Guido Gonzato

A causa della sua maggiore lonta-nanza dalla città, la Lessiniaorientale viene spesso trascuratadai veronesi, che per le loro gitemontane preferiscono destina-zioni più tradizionali come SanGiorgio o altre località dei Lessinicentrali. Ma l’ultimo bastioneorientale dei Lessini veronesi valesicuramente una mezz’ora in piùdi viaggio. Il paesaggio della Les-sinia orientale è più selvaggio,quasi sempre più boscoso, e do-minato dalla vicinanza delle im-ponenti cime delle Piccole Dolo-miti. Uno dei percorsi più bellidell’intera Lessinia è quello cheparte da Campofontana e rag-giunge il Gruppo del Carega pas-sando per Cima Lobbia e seguen-do poi il confine di provincia.L’intero tragitto è troppo lungoper essere percorso in un sologiorno, ma è sempre possibilescegliere quanta strada si vuolefare. Anche il solo tratto inizialepermette di organizzare una bellaescursione che può durare unamattinata o una giornata. La stra-da che conduce a Campofontanaè già tutto un programma. È diffi-cile non farsi distrarre nella guidaguardando il magnifico panora-ma, così diverso rispetto a quelloche si gode sull’altopiano dei Les-sini centrali. Come sempre, è lageologia della zona a condiziona-re il paesaggio: stiamo avvicinan-doci alla zona vulcanica vicenti-

na, e il substrato roccioso è scon-volto da pieghe, fratture e altera-zioni. Andiamo con ordine.Giunti a Campofontana, lascia-mo la macchina al parcheggio difronte al cimitero e prendiamo ilsentierino che lo oltrepassa sullasinistra. Ci aspetta una salita nonmolto impegnativa sul fianco delMonte Telegrafo che dischiude,man mano che si sale, il magnifi-co panorama verso i Lessini. Inprossimità delle prime malghe, lasalita aumenta e il sentiero si av-vicina al margine della Val d’Illa-si. Ci dà il benvenuto un impo-nente faggio secolare. Se la gior-nata è limpida, il panorama sullepareti rocciose sul lato oppostodella valle è spettacolare e vale lapena fermarsi, anche per tirare ilfiato.Riprendendo il cammino, dopopochi minuti si arriva a malgaPorto di Sopra, ricavata dalla vec-chia caserma della Finanza. Fino

al 1915, infatti, qui correva il vec-chio confine tra Italia e Austria, ela povera gente della Lessinia ar-rotondava il bilancio familiare ri-correndo al contrabbando. Dietroalle caserme, sulla destra, si apreuna valletta laterale. A costo di al-lungare un po’ il percorso, è me-glio seguirne il crinale. Verso laparte alta della valletta si notauna tipica “città di roccia” incisanel rosso ammonitico, sul cui or-lo – con attenzione, c’è il precipi-zio! – potrete affacciarvi per am-mirare il magnifico panorama suCampodalbero; si nota in parti-colare l’impressionante cono vul-canico della Purga di Durlo. Nellavalletta ci sono numerose tane dimarmotte, specialmente vicinoalle pozze. Durante la buona sta-gione, se fate piano potrete osser-vare le marmotte al pascolo; di si-curo sentirete il caratteristico fi-schio di allarme lanciato dallesentinelle. Purtroppo è difficile

ESCURSIONE IN LESSINIA

Sulle tracce dei contrabbandieriUn interessante percorso nella natura che parte da Campofontana

e raggiunge il Gruppo del Carega passando per Cima Lobbia

avvicinarle, tranne che in autun-no: prima del letargo sono moltooccupate a ingrassare e perdonoun po’ della loro timidezza. Ri-prendendo il sentiero, si sale finoa giungere al successivo punto pa-noramico, cima Lobbia. Qui l’e-scursione potrebbe concludersise avete poco tempo, ma si con-siglia di proseguire verso nord,superare un saltino un po’ disage-vole e inoltrarsi nella splendidafaggeta. Da qui in avanti il pae-saggio diventa tipicamentemontano, sembra proprio ditrovarsi in Trentino. Sceglietevoi quanto proseguire, tenendopresente che più andate avanti,più spettacolare diventa il per-corso. Vi aspettano il Passo dellaScagina, la testata della Val Fra-selle e, se avete una buona anda-tura, il passo Zevola. In una solagiornata non è consigliabile an-dare oltre. Ma è certo che quan-to visto fino a questo punto viinvoglierà ad organizzare un’e-scursione di due giorni che viconsentirà di raggiungere il Ca-rega a Passo Scalorbi.

Il massiccio del Carega

Orbettino

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di Alessandro Norsa

«I ghe vol schei», «i ghe vol sempre piasséschei», «massa schei», «quanto éto dito checusta? ...gnanca schei».Quante volte ogni giorno sentiamo parlaredi “schei”, di soldi, e quanta importanza nediamo? Certo, questo è un periodo di grossaincertezza economica ed è normale che, rap-presentando una preoccupazione, se ne parlidi più. Credo però che nella nostra città l’a-spetto economico abbia avuto una certa im-portanza. Sarebbe un’ipocrisia attribuire aldenaro nessuna importanza.Sono stato testimone, nella mia pratica pro-fessionale di psicoterapeuta, di situazioniparadossali come ad esempio una madre cheistruiva la figlia su come scegliere il fidanza-to: «stai attenta sai, perché l’amore passa, mai soldi restano».Ma vediamo qual è il valore del denaro per lapsicoanalisi che, nella sua teorizzazione ori-ginale freudiana, assimila le dinamiche delbambino nelle sue prime fasi di vita a quelleche si possono osservare anche negli adulti,in relazione ai momenti infantili dove han-no trovato maggiori difficoltà. In questachiave di lettura dall’associazione simbolicafeci-denaro nasce la primitiva acquisizionedel significato di “proprietà”: il rilascio delle

feci da parte del bambino nei momenti op-portuni è spesso rinforzato dagli adulti, tan-to che si innesca un’idea di possesso di qual-che cosa di prezioso per poter ottenere ap-provazione-affetto. Le feci, quindi, hannoper il bambino la stessa funzione di merce discambio che verrà svolta più tardi dal denaroper l’adulto.Nel nostro quotidiano trovo particolarmen-te evidenti due dinamiche, la “sterilizzazio-ne” dei rapporti, e l’invidia. Per quanto ri-guarda la prima, questa consiste nel farscomparire l’umanità dalla scena sociale. Labrama di arricchirsi a ogni costo, il gusto de-gli affari, l’amore del guadagno, la ricerca delbenessere e dei piaceri materiali, sostituiscerapporti personali con relazioni “sterilizza-te”, limitate alla possibilità di profitto. La se-conda dinamica è quella dell’invidia inquanto il denaro può essere il tramite sim-bolico anche di “approvazione e riconosci-mento”. Il meccanismo dell’invidia è piutto-sto subdolo, anche perché è tra i sentimentiuno dei più difficili da ammettere ed accet-tare, in quanto non è socialmente approvato.Esso nasce da una sofferenza: la mancanza.La persona che prova questo sentimentoquando si trova con un’altra che soffre dellastessa mancanza non prova invidia, anzi si

sente emotivamente moltopartecipe. A questo puntopuò mettere in atto compor-tamenti solidali, oppure sen-tire una particolare ansietàperché sta riconoscendo at-traverso l’altro la propriamancanza. Il problema au-menta quando il sofferente sitrova di fronte a chi effettiva-mente ha: in questo caso ilcomportamento che metteràin atto sarà di tipo distrutti-vo. Eppure è possibile trova-re atteggiamenti più positivi.Due recenti viaggi in India eRomania mi hanno insegna-to che la vera ricchezza è la

“relazione” con le persone. L’uomo ricco esolo non è felice, anzi tenderà sempre di piùa cercare di “accaparrarsi” maggiori ricchez-ze e potere per compensare alla propria soli-tudine. È vero che dalla relazione può nasce-re anche un aspetto economico, ma è neces-sario che questo non sia il fine, altrimenti sicadrà in uno stato di solitudine per l’incon-sistenza delle relazioni. Come mi diceva unapersona in un villaggio del Maramurefl(nord della Romania), «bani nu duc fero-cia»,“i soldi non portano la felicità”. Mi sonoricordato allora che questo era un detto an-che della nostra terra, «i schei no i è tuto»,che non sentivo da tanto tempo. Un’indica-zione a recuperare qualcosa di originario eche ci appartiene, e che, presi da tante coseeffimere, forse ci sta un po’ sfuggendo. Perquanto riguarda la dinamica dell’invidia,varrebbe la pena, se ci fossimo identificati inquesta dimensione, di concentrarci sulla no-stra situazione, cercando di migliorare la no-stra posizione. In questo modo eviteremmoquel pericoloso tranello dell’invidia che por-terebbe alla distruttività nostra prima anco-ra che del prossimo. Anche qui, se volessimorecuperare un detto popolare, potremmodire: «chi semina grano miete frumento, chisemina grandine raccoglie tempesta».

IMPARARE A VIVERE MEGLIO

Il valore dei soldiQual è il valore del denaro per la psicoanalisi? Presi da troppe cose effimere ci sta un po’ sfuggendo la situazione di mano.

Ecco come migliorare la nostra posizione

L’invidia

Quante volte ognigiorno sentiamoparlare di soldi?

Questo è un periododi grossa incertezza

economica ed ènormale che se ne

parli di più.Sarebbe un’ipocrisiaattribuire al denaronessuna importanza

Il meccanismo dell’invidia è piuttosto subdolo, anche

perché è uno dei sentimenti piùdifficili da ammettere, inquanto non è socialmente

approvato. Esso nasce da unasofferenza: la mancanza.

La persona che prova questosentimento quando si trova conun’altra che soffre della stessamancanza non prova invidia,anzi, si sente molto partecipe...

inVERONA 29

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tiene contatti diretti con il territo-rio nazionale. «Il ruolo di “piccola”,– dice l’imprenditore –, ha certouna fragilità nell’aspetto economi-co, stare ai margini permette peròdi scegliere cosa pubblicare. Nonfagocito tutto come le grandiaziende, ma faccio della mia debo-lezza un pregio, concentrandomipiù sulla cultura che sull’aspettocommerciale». E da questa filosofianascono le collane Alfabeti e Ghiri-bizzi. La prima propone letteraturedel Sud del mondo, ristabilendocon i paesi dominati un rapportopiù equo. Rumba Palace, Come rac-cogliere l’ombra dei fiori, La sordidaragnatela della mansuetudine sonoopere di autori di Santo Domingoe dell’Avana a cui è riconosciutauna propria identità culturale.«Questa collana – dice Perosini –sostiene progetti nei paesi poveri,in collaborazione con organizza-zioni non governative che operanoper il loro autosviluppo».Ghiribizzi è dedicata ad esordientie giovani scrittori. La casa editriceinveste molte energie in questo,anche se l’editore spiega che «nonsi può pubblicare indiscriminata-

di Francesca Paradiso

È iniziata quasi per caso l’avventu-ra di Pierluigi Perosini, fondatorenel 1984 dell’omonima casa editri-ce a Zevio di Verona. «Insieme aquattro amici volevamo creare ungiornale locale, ma mancava l’edi-tore che lo pubblicasse. E così misono proposto e dal bimestralePrima Pagina è nata la mia attivi-tà». Dal novembre di 22 anni fa, lapassione dell’editore non si è maiarrestata dando vita a numerosepubblicazioni. «Il libro ha una ca-pacità coinvolgente», commentaPerosini, «con esso e con le personeche vi lavorano intorno si instaurauna relazione unica. Nasce con lacasa editrice una scommessa, unasfida quotidiana, nel sostenere leidee che la contraddistinguono».La città di Verona è stato il primointeresse dell’azienda, con autorilocali, poeti e letterati zeviani comeDino Coltro, ora nella collana Ve-ronesitudine. Altre due raccolte,Avventure e Salgarina, sono statededicate a scrittori scaligeri chegrazie ai loro racconti hanno mo-strato nuovi orizzonti, accompa-gnando i lettori in avventure e luo-ghi lontani, fuori delle mura dellacittà. «Era necessario riportare allaluce questo patrimonio letterariorecuperato dagli scaffali della Bi-blioteca Civica». E così Perosini si èconcentrato sul romanziere Salgarie sul missionario Comboni che tra’800 e ’900 hanno viaggiato e rac-contato moltissimo.Un selezionato catalogo di saggisti-ca, poesia e narrativa fa di questapiccola casa editrice un importanteriferimento per Verona. Perosinidistribuisce nel Triveneto e man-

mente: nella nostra sede di Zevioarrivano molti manoscritti, ma es-sere scrittori non è così semplicecome sembra».L’ultima pubblicazione appartienealla collana Fiordalisi, dedicata allanarrativa allargata, Darina LaracySilone è il racconto di una donnastraordinaria che avviene median-te colloqui.Passato e futuro sul tavolo diPierlugi Perosini. «I libri a cui so-no più legato sono quelli che miricordano le persone, anche quel-le scomparse. Due maestri su tut-ti, due persone cristalline che hatorto sono state trascurate dallagrande editoria, Eugenio Tomioloe Umberto Bellintani». Autoripresenti in Paradigmi, collana dipoesia in lingua e in dialetto, conlinguaggi che spaziano dal classi-co al nuovo.Tra i libri più venduti Il lampo diHiroshima, giunto in Italia solograzie alla casa editrice scaligera.Già pubblicato nel mondo in 13lingue, quasi rischiava di passareinosservato nel nostro paese.Hanno poi conquistato il pub-blico veronese le poesie in dia-

letto di Roberto Puliero e Ampe-lio Buriana Noantri, vincitoredel concorso “Non gh’è verso”.La casa zeviana ha pubblicatoanche Tutto cominciò con Bilbol-bul, storia del fumetto italiano,di Claudio Gallo e Giuseppe Bo-nomo.Perosini nell’editoria si descrivecome un “giardiniere”. Con curacoltiva cose belle, sui libri dinotte, nel tempo libero e nei finesettimana, e contro gli imprevi-sti della natura continua a lavo-rare il suo piccolo orto.

Libri

Giugno 200630

Giornale di attualità e cultura

DirettoreGiorgio [email protected]

RedazioneGiorgia Cozzolino

Cinzia InguantaElisabetta Zampini

Lungadige Re Teodorico, 10 37129 -Verona. Tel. 045.592695

StampaCroma - Verona

Registrazione al Tribunale di Veronan° 1557 del 29 settembre 2003

N° 11/giugno 2006

Progetto editorialeProporre temi di attualità e cultura,

stili di vita per la crescita della persona

Il giornale è distribuito gratuitamentenelle librerie di Verona.

www.verona-in.it

STUDIOeDITORIALEGiorgio Montol l i

inVERONA

LA CASA EDITRICE

Perosini editoreFilosofia di una piccola casa editrice con la passione per la cultura e per le avventure, in viaggio tra orizzonti lontani e autori locali

Pierluigi Perosini

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