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N° 6 - MARZO 2005 - TRIMESTRALE EDITO DALLO STUDIO EDITORIALE GIORGIO MONTOLLI - POSTE ITALIANE S. P. A.- SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE - 70% - DCB VERONA i n VERONA

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Page 1: Verona In 06/2005

N° 6 - MARZO 2005 - TRIMESTRALE EDITO DALLO STUDIO EDITORIALE GIORGIO MONTOLLI - POSTE ITALIANE S.P.A. - SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE - 70% - DCB VERONA

inVERONA

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Martedi 10 Maggio, alle 21 al tea-tro Filarmonico, Verona sarà ilcentro di un’operazione culturaledi un evento musicale promossodalla Fondazione Giorgio Zanot-to in collaborazione con l’Asso-ciazione veronese “Progetti Feli-cità” che si occupa delle proble-matiche del mondo dell’infanzia,con particolare riguardo alla di-mensione culturale e sociale dellasordità.La serata rappresenta il primoprogetto al mondo che coinvolgela dimensione dei suoni con quel-la dei non udenti, attraverso unpercorso curato dalla dott.ssa An-tonella Paternò Rana, per un la-voro percettivo delle vibrazionidel suono sul corpo. L’obiettivo diquesta operazione è la sensibiliz-zazione del pubblico attraversouno strumento universale di co-municazione come la musica neiconfronti delle problematiche diun mondo che, se non può sentirei suoni, è comunque in grado dipercepire la gestualità e le sensa-zioni che possono essere trasmes-se attraverso la lingua dei segni.A questo scopo è stata invitata laprestigiosa Orchestra Filarmoni-ca rumena, di Targu Mures, gui-data dal giovane direttore NicolaGuerini in un programma intera-mente dedicato a Ludwig VanBeethoven.La scelta del compositore tedescoè esplicitamente legata alla sordi-tà che colpì lo stesso artista. «Du-rante tutta la sua vita – spiegaGuerini – Beethoven si fece visi-tare da numerosi medici nellasperanza di trovare rimedio aisuoi problemi di salute e in parti-colare alle sue noie uditive che,malgrado i trattamenti, si evolse-ro verso una sordità profonda». Ilcompositore, spiega il direttore,ebbe frequenti ragioni di disac-cordo e discordia con parecchimedici sino al punto che alcuni diloro si rifiutarono di prestargli lecure richieste. «Però non tutti

sanno – aggiunge Guerini – chead alcuni dottori dedicò anchebellissime pagine come nel casodel Trio per piano, violino e vio-loncello, dedicato a Johann AdamSchmidt, della piccola cantata“Un lieto brindisi” composta peril compleanno di Giovanni Mal-fatti di Monte Reggio e dei dueCanoni: “Doktor speert das Tor” e“Ich war Hier, Doktor” in onoread Anton Braunhoffer. Il progres-sivo peggioramento, fino alla to-tale sordità, influenzò fortementeil processo creativo-spirituale diBeethoven trasformandolo in unpanteistico atto d’amore» sostie-ne il musicista.La grande sfida del progetto cheandrà in scena il 10 maggio èquello di affiancare all’OrchestraFilarmonica di Targu-Mures ungruppo di persone esperte nellalingua dei segni che possano co-municare ai non udenti le vibra-zioni dei suoni di alcune pagineimmortali della storia della musi-ca. Questi traduttori silenziosiprenderanno posto nella bucadell’orchestra a voler significarela loro reale collocazione con glistrumenti musicali.Il concerto sarà però il culmine diuna serie di incontri in cui i musi-cisti spiegheranno alle personeaffette da sordità la partitura mu-sicale trasmettendo, anche conl’uso della tecnologia, le vibrazio-ni dei brani scelti per il concerto.Inoltre, questi particolari astantipotranno mettere su carta leoscillazioni percepite trasfor-mando un’arte sonora in una vi-siva che avrà spazio, la sera delconcerto, al foyer del teatro Filar-monico.Naturalmente un’iniziativa tantooriginale quanto lodevole nonpoteva che avere anche uno scopobenefico: il ricavato della venditadei biglietti sarà infatti completa-mente devoluto a favore dell’As-sociazione Progetti Felicità e de-stinato a proposte tese a favorire,

Primo piano

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In copertina foto di Francesco Passarella

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ti con il linguaggio dei segni, l’inte-grazione tra il mondo dei suoni equello del silenzio.E in questo ardito compito fa ilsuo appropriato ingresso Beetho-ven la cui musica rappresenta ilsuperamento di quella che talvol-ta può sembrare un’invalicabilebarriera.Guerini, che oltre ad essere ungiovane e apprezzato direttored’orchestra è anche un fine cono-scitore della storia della musica,spiega che l’artista tedesco cercòin tutti i modi di tenere nascostoil suo problema uditivo ma infi-ne, all’età di 31 anni, si confidò al-l’amico medico Franz GerhardWegeler scrivendo: «Devo confes-sarti che conduco una vita infeli-ce. Sono almeno due anni cheevito qualsiasi compagnia, perchénon posso dire alla gente che so-no sordo. E se i miei nemici, chenon sono pochi, venissero a sa-perlo… A teatro, per sentire gliattori devo mettermi accanto al-l’orchestra, altrimenti non odo lenote acute degli strumenti e dellevoci… Posso udire i toni di unaconversazione, ma non le paro-le». Negli anni successivi le con-dizioni peggiorarono drammati-camente e nel 1822, alla provagenerale del “Fidelio”, apparvechiaro sin dal duetto del primoatto che egli non sentiva assolu-tamente nulla di ciò che si canta-va sulla scena e del fatto che cia-scun cantante andava per pro-prio conto creando una confu-sione generale. Fu per Beethovenun momento di assoluto dolore esmarrimento comprendere, dal-l’amico e biografo Schindler, larealtà dei fatti ma ciò non fermòla caparbietà creativa del geniodella musica. Nel maggio 1824,al termine di un concerto, unacantante dovette prenderlo per lespalle e voltarlo verso il pubblicoperché si rendesse conto che l’in-tero teatro lo stava applaudendofreneticamente.

Martedi 10 Maggio al Teatro Filarmonico

il primo progetto almondo che coinvolge

la dimensione deisuoni con quella deinon udenti. È stata invitata l’Orchestra

Filarmonica Rumena,di Targu Mures, che

sarà guidata dalgiovane direttore

Nicola Guerini

Il maestro Nicola Guerini

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La Fiera del libro non si limiterà ariconsiderare la centralità del so-gno nelle culture di ogni tempo epaese, o lo scandaglio psicoanaliti-co che ha gettato luce nelle profon-dità dell’inconscio. Al centro delcartellone sarà il sogno come ten-sione progettuale, forte spinta ver-so obiettivi che il senso comunegiudica difficili o impossibili, ri-cordando però che tutta la storiadell’umanità è segnata dal supera-mento, da parte dei cosiddetti so-gnatori, di quei limiti che si ritene-vano invalicabili.Al Lingotto l’attenzione cadrà in-fatti sul momento dell’immagina-zione, della fantasia intesa comeinvenzione capace di darsi unagrammatica rigorosa. Riflettoripuntati dunque sull’utopia “com-patibile”, su progetti arditi ma rea-lizzabili, sulle sfide e sulle scom-messe, in un’epoca che sembraaver rinunciato a pensare in gran-de. Concentrando l’attenzione sul-la tensione progettuale, si dipaneràun’accurata ricognizione dellarealtà contemporanea per acco-gliere voci e proposte autentica-mente innovative. Sull’onda dell’e-sortazione del Caligola di AlbertCamus “Siate realisti, chiedete l’im-possibile”, la fiera di Torino invitaquindi i protagonisti della culturacontemporanea, scrittori, filosofi,artisti, scienziati, architetti, musici-sti, medici, imprenditori a parlaredei propri sogni, delle sfide che sisono imposti e delle avventurecreative che ne sono scaturite.

Ma se Edgar Allan Poe sostenevache “Chi sogna di giorno conosce co-se che sfuggono a chi sogna solo dinotte”, enfatizzando così le poten-zialità dei visionari e dei sognatori,spesso emarginati e ridicolizzatidalle società di ogni epoca, bisognaconsiderare che anche il sognonotturno, quello che invade il no-stro sonno regalando una sorta divita parallela, ha un dignitoso se-guito nel corso della storia. Fin dal-le più lontane civiltà al sogno sonostate attribuite proprietà divinato-rie come premonizioni, profezie erivelazioni, talvolta legate all’espe-rienza mistica. Il bisogno di attri-buire un significato al sogno è do-cumentato addirittura nelle scrit-ture cuneiformi, risalenti a 1500anni prima di Cristo, e non c’è cul-tura al mondo che non abbia colle-gato tale capacità interpretativa al-la regalità e al potere.Nel territorio brumoso dell’Ade, oaldilà che dir si voglia, c’è posto perun Paese dei sogni, figli della Not-te, potenza tenebrosa più anticadegli dèi olimpici. Il sogno assumeinvece una valenza terapeutica neisantuari greci: il paziente si purifi-ca alle fonti sacre e aspetta il sonnoguaritore in apposite stanze dettedi incubazione. Il dio visita l’am-malato e in sogno lo cura come citestimoniano tante iscrizioni voti-ve. Artemidoro, scrittore di Efesodel secondo secolo dopo Cristo, è ilprimo a organizzare, e addiritturaa rendere sistematico, un reperto-rio simbolico basato su ben tremila

Cultura

Marzo 20054

di Giorgia Cozzolino

Se il sogno è “l’infinita ombra delvero”, come sosteneva Pascoli, laverità trionferà quest’anno a Tori-no, nell’annuale Fiera del libro (alLingotto dal 5 al 9 maggio) dove ilmiraggio onirico sarà il motivoconduttore dell’esposizione.Prosegue infatti sul filone delle pe-culiarità umane la fiera piemonte-se che, dopo aver proposto l’ironiacome tema centrale dell’edizione2004, apre quest’anno i battentisotto l’egida del sogno, quell’attivi-tà psichica che porta alla luce leelaborazioni profonde dell’incon-scio e che, sin dall’antichità, è stataoggetto di un intenso fervore inter-pretativo.

EDITORIA

Alla Fiera di Torinoi sogni diventano libriI riflettori saranno puntati sull’utopia “compatibile”, su progetti arditi marealizzabili, in un’epoca che sembra aver rinunciato a pensare in grande

Un messaggio incontrotendenza

perché oggi il sogno èspesso utilizzato persollecitare i desideri

dei consumatoririmuovendo ognirealtà sgradevole:

una sorta di droga abuon mercato che non

si nega a nessuno

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sogni. Il legame tra immagine oni-rica e salute si prolunga nel Me-dioevo cristiano, come narranomolti episodi della Leggenda aurea,un antico scritto dell’undicesimosecolo dell’arcivescovo domenica-no Jacopo da Varazze, mentre lagrande pittura del Rinascimentoutilizza con frequenza il sogno nelprediletto ambito simbolico.A partire da Freud il sogno si rivelacome un paesaggio interiore e unviaggio verso l’ignoto e il misterio-so, uno strumento di rilevazionedell’interiorità che ci introduce auna realtà diversa da quella ordi-naria dalla quale trae però linfa. Isogni dimostrano una potenza de-stabilizzante, perturbante, che tut-tavia ci aiuta a capire meglio noistessi, e, dopo aver alimentato neisecoli letteratura e pittura, trovanola loro consacrazione figurativanelle libere associazioni del Surrea-lismo.Nel Novecento il linguaggio chedescrive il sogno si preoccupa sem-pre meno di sopprimere gli ele-menti incongrui, anzi li accoglie

come distintivi, segni di autenticitàe originalità. Il sogno diventa unponte tra cielo e terra, presente epassato, razionale e irrazionale,realtà e illusione, conscio e incon-scio.Oggi il sogno è frequentementeutilizzato per sollecitare fantasti-cherie e desideri di persone, o con-sumatori, che tendono a rimuove-re realtà sgradevoli: una sorta didroga a buon mercato, che non sinega a nessuno. Perché, come so-steneva Giacomo Leopardi, “Il piùsolido piacere di questa vita, è il pia-

Cultura

inVERONA

do un forte coinvolgimento dipubblico, come il Festival delle let-terature. Insieme alla capitale, To-rino sta infatti investendo in misu-ra significativa nella lettura comemomento essenziale dell’appren-dimento e della formazione dei cit-tadini, appoggiando pienamente lapolitica dell’UNESCO per la pro-mozione del libro e lo sviluppodell’industria culturale: strumentostrategico in grado di interagirecon altre realtà, in particolare con ipaesi in via di sviluppo.I “segni della scrittura” riassume-ranno un intero anno di eventi, in-contri, convegni, dibattiti, letture,momenti di spettacolo: una festamobile che coinvolgerà autori ededitori, librerie, biblioteche, asso-ciazioni e protagonisti della cultu-ra mondiale in un scambio conti-nuo di linguaggi e di esperienze,dalla letteratura all’arte, dallascienza alla musica. In talmodo anche le Olimpiadi dellaCultura, che accompagneranno igiochi invernali di Torino 2006,troveranno uno sviluppo di ampiorespiro. E per Roma sarà un’ulte-riore straordinaria occasione perpromuovere il suo eccellente patri-monio culturale.Tra i progetti, la costruzione di unnetwork internazionale di città dellibro, che da Buenos Aires ad AddisAbeba, da Amsterdam a Washing-ton, da Dehli a Kigali, da Parigi aToronto fino a Dakar, stabilirannocon Torino e Roma iniziative dicollaborazione e scambi comestrumento di pace e di svilupponella ricorrenza del giorno nataledi William Shakespeare, il 23 apriledi ogni anno.

La Fiera del Libro per Ragazzi di Bologna è l’appun-tamento più importante a livello internazionale dedi-cato all’editoria libraria e multimediale per i più gio-vani e anche quest’anno apre i battenti con la 42° edi-zione, dal 13 al 16 aprile 2005. Qui sarà possibile tro-vare il meglio della produzione editoriale e multime-diale per ragazzi, creare nuovi contatti e anche scopri-re opportunità di business oltre a tastare il polso delleultime tendenze del settore.E per il terzo anno consecutivo, il quartiere fieristicoospita, all’incirca nello stesso periodo, dal 14 al 17

aprile, Docet: la maggiore esposizione dedicata alleidee e ai materiali per la didattica, un evento uniconel panorama fieristico nazionale, momento di in-contro fra i produttori e gli operatori del settore e di di-battito sull’infanzia e sui giovani adulti. Fin dalla pri-ma edizione la manifestazione si è connotata comeluogo di dibattito per le grandi tematiche della scuola,attivando interessanti momenti di confronto sui temipedagogici. Non solo esposizione dunque, ma piatta-forma di discussione sulle problematiche dell’infanziae dei giovani adulti in ambito scolastico e sociale.

Appuntamento a Bologna dal 13 al 16 aprile

cere vano delle illusioni” e se il so-gno non è elevazione ma solo eva-sione, rovinare nella delusione ne èla tragica conseguenza.E a proposito di sogni, talvoltaqualcuno trova sbocco anche nellarealtà: è il caso della prestigiosa de-signazione da parte dell’Unescoche riconosce Torino come capita-le mondiale del libro dall’aprile2006 allo stesso mese del 2007. Unanomina importante che primad’ora è toccata solo ad Alessandriad’Egitto, Madrid, Nuova Dehli,Anversa e Montreal.Il premio non si riferisce soltanto auna città che vanta una tradizioned’eccellenza delle sue strutture cul-turali, e che da quasi vent’anniospita una Fiera del libro tra le piùimportanti manifestazioni euro-pee del settore, ma riconosce l’ori-ginalità di un progetto che ha co-me tema conduttore i “segni dellascrittura”.L’idea, nata dalla partnership Tori-no - Roma, si basa sulla realizza-zione di alcuni eventi e su progettioriginali che stanno già riscuoten-

Con Freud il sogno si rivela come un viaggio

verso l’ignoto, unostrumento di rilevazione

dell’interiorità che ciintroduce a una realtà

diversa da quellaordinaria dalla quale

trae però linfa

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di Maria Pia Cottini

In piazza delle Erbe un gruppo dituristi sta osservando la fontanadi Madonna Verona, alle sue spal-le il leone alato e poco più in làPalazzo Maffei. Sono questi alcu-ni tra i numerosi segni presenti incittà di una storia antica che haconosciuto periodi splendidi diespansione, ricchezza e stabilitàalternati a guerre, carestie e pesti-lenze: il governo della Serenissi-ma Repubblica. Quel leone è in-fatti il simbolo del dominio vene-ziano che qui ha avuto inizio il 23giugno 1405, giusto 600 anni fa.È il 1387 quando Gian GaleazzoVisconti corona il sogno della suafamiglia conquistando Verona. Lasignoria milanese, nonostante ivari tentativi di insurrezione so-stenuti dai Carraresi di Padovaper riportare gli Scaligeri al pote-re, si concluderà soltanto dopo lamorte improvvisa di Gian Ga-leazzo, nel 1402. Vista la debolez-za dei Visconti, i da Carrara ap-profittano per prendere la città: il22 maggio 1404 Francesco daCarrara si fa proclamare Signoredi Verona. Scoppiano poi ostilitàtra Venezia e i signori di Padova.Quindi i veronesi, stremati dallafame e minacciati dalle epidemie,acclamano Capitano del PopoloPietro da Sacco, che tratta con ida Carrara. Le truppe veneziane,appostate nei pressi di Montorioe pronte ad occupare la città,pongono fine al dominio dei da

Cultura

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chiaro che per quanto Venezia ga-rantisca un potere stabile e dura-turo, Verona perde per sempre lasua indipendenza.Ma vediamo per quali ragioni lacittà lagunare entra in lizza con icarraresi, mirando a conquistarela più occidentale delle città vene-te e che cosa concretamente com-porta per Verona e la sua popola-zione il dominio veneziano. Tor-niamo perciò al leone alato: lezampe sono due in acqua e due interra a significare la natura anfi-bia delle sue componenti: città sulmare, isole e porti, ma anche laterraferma da cui la Serenissimasi approvvigiona di cereali e le-gname. Inoltre Venezia ha biso-gno di estendersi sul continenteper prevenire il formarsi di unforte stato regionale alle sue spal-le, ma anche per controllare le viecommerciali e garantirsi così de-gli empori oltralpe.Nei primi tempi dopo la resa iproventi di Verona sono impor-tanti per la ripresa economica diuna Venezia reduce e ancora im-pegnata in numerosi conflitti, male guerre successive e i disastri na-turali accrescono le difficoltà digestione. Tutto ciò, unito alla dis-onestà degli stessi amministratoriveronesi che speculano sui pro-venti delle esazioni fiscali, esauri-sce le entrate provenienti dalletasse che vengono rese semprepiù pesanti e impossibili da soste-nere. “Nemo civis dare potest quodnon habet” è la negativa risposta

STORIA

Verona 600 anni fapassava ai veneziani

L’anniversario della dedizione cade il 23 giugno. Quel giorno in Piazza delle Erbela Serenissima cambiò la storia della città, ma per il popolo fu ancora la fame

Carrara e a Verona non resta cheaccettare di passare alla Serenissi-ma. Una delegazione si reca daGabriele Emo, provveditore del-l’esercito veneziano, per fissare lecondizioni della resa, le stesse chesaranno suggellate a Venezia.È il 22 giugno 1405. Il giorno suc-cessivo ha come sfondo della scenaPiazza delle Erbe. Qui, al Capitellodel Foro, con le campane di tutte lechiese che suonano,Gabriele Emo rice-ve i simboli delcomando dellacittà. Più fastosae solenne è la

Le truppe veneziane,appostate nei pressi di

Montorio e pronte a occupare la città,

pongono fine al dominiodei da Carrara .

A Verona non resta cheaccettare di passare

alla Serenissima

cerimonia che si svolge a Venezia,il 12 luglio, in cui la Serenissimafesteggia la nuova conquista. Ladelegazione veronese consegna lechiavi della città e riceve in cam-bio le bolle d’oro contenenti itrattati e i privilegi, dove si assi-cura il possesso dei beni, si garan-tisce che non saranno impostetasse eccedenti, se non per motivieccezionali, con l’impegno amantenere in vigore gli statutidella città e della casa dei mercan-ti. Inoltre si attesta che tutte le ca-riche saranno affidate a cittadiniveronesi, tranne quella di pode-stà, di capitano e degli uffici dellasicurezza e della difesa militare.Quanto agli incarichi ecclesiasti-ci, che Verona vorrebbe come ap-pannaggio dei suoi cittadini, sa-ranno per lo più affidati a espo-nenti delle famiglie veneziane. È

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che, nel 1411, il Consiglio cittadi-no invia a Venezia, di fronte a unarichiesta di tremila ducati. Mai Ve-rona aveva subito una pressione fi-scale tanto superiore alle sue forze,in anni durissimi di carestia se-gnati anche da ondate di recrude-scenza della peste che, appena nelsecolo precedente, aveva decimatola popolazione di mezza Europa.Nonostante il sommarsi di tantedifficoltà, nel corso del Quattro-cento la popolazione veronesecresce, passando dai 14 mila abi-tanti del 1420 (valore molto ridi-mensionato rispetto ai primi delTrecento, a causa della peste) ai42 mila del 1502.Parallelamente alla crescita demo-grafica si registra anche un au-mento di ricchezza per le classi piùagiate, che si può senz’altro accre-

impronta aristocratica.Nel corso del Quattrocento i no-bili veronesi, come l’aristocraziaveneziana, cominciano a investireil proprio denaro acquistandoterre creando così un rapportomolto stretto tra città e territorio.Il signorotto, invogliato a renderepiù produttiva la propria azienda,bonifica, disbosca, introducenuove colture, rinnova i sistemiper lavorare la terra. Nell’arco diun periodo non troppo lungo ilpaesaggio agrario si trasforma,non senza conseguenze sull’eco-nomia. L’attività laniera, tantofiorente a Verona fino alla primametà del XVI secolo, comincia aentrare in crisi anche a causa delladiminuzione dei pascoli ovini chesaranno piano piano sostituitidalla lavorazione della seta che ri-chiede la coltivazione del gelso.

Cultura

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In un documento del 1612 Girola-mo Corner scrive che in quegli an-ni sono circa 25 mila le personeche a Verona si sedicano alla bachi-coltura, soprattutto donne di ogniceto sociale.Si assiste a un miglioramento dellaresa della terra e degli interessi delsuo proprietario. L’élite cittadinasfrutta in questo periodo l’oppor-tunità di acquistare le fattorie ap-partenute agli Scaligeri, ai Viscontie ai da Carrara che Venezia ha mes-so in vendita e vengono fissatenuove norme che regolano l’am-ministrazione delle campagne.Tali regole, però, sono spessosvantaggiose per i contadini cheversano ancora in condizionimolto grame di sfruttamento, af-famati, penalizzati da questo fe-nomeno di “rifeudalizzazione”:lavorano in condizioni moltoprecarie, spesso trattati comeschiavi da quei nobili per i qualila campagna è solo un investi-mento da cui trarre profitti e illuogo in cui ritirarsi per trascor-rere piacevolmente il tempo.Per consentire una certa libertà dimercato ai produttori, la Domi-nante ad un certo punto evita diimporre il prezzo dei cereali, a sca-pito dei ceti più umili che si nutro-no quasi esclusivamente di cerealipoveri, i “menudi” (segala e mi-glio) con cui impastano il pane.Per fronteggiare la fame Veneziaemana alcune norme protezioni-stiche sulle derrate alimentari diprima necessità. Ma pure nelQuattrocento valeva la regola“fatta la legge, trovato l’inganno”:oltre a lamentare la sterilità delleterre, i proprietari ricorrono alcontrabbando lungo l’Adige, sullago di Garda e attraverso i sen-tieri montani verso il Tirolo. I ce-reali eccedenti, che si dovrebberoconsegnare in città, prendono co-sì altre strade e i funzionari ad-detti al controllo molto spesso silasciano corrompere. Il quadroche riguarda la gran parte dellapopolazione continua quindi anon essere roseo, e non è destina-to a migliorare nemmeno nel se-colo successivo, quando Veronatenterà di limitare o di bloccare lerichieste di cereali da parte di Ve-nezia. La fame resterà una costan-te per la povera gente, unita allamalattia che, quella sì, non guar-da in faccia nessuno.

“Nemo civis darepotest quod non habet”

è la negativa rispostache nel 1411 il Consigliocittadino invia aVeneziadi fronte a una richiesta

di tremila ducati

ditare a una maggiore stabilità po-litica, ma anche a una aumentatalibertà di mercato con Venezia econ altre zone della Serenissima.Per la gente comune la vita invecenon è facile: fra il 1400 e il 1509 siregistrano altre riprese di pestilen-za, terremoti, nuovi episodi diguerra, due inondazioni dell’Adi-ge, inverni freddissimi che provo-cano la morte di olivi e viti e, comese non bastasse, nel 1477, le locu-ste divorano le coltivazioni.Quanto alla vita politica, Veronasotto il dominio della Serenissimaviene sottoposta al controllo didue patrizi veneziani: il Podestà eil Capitano. Inoltre vengono in-trodotti dei cambiamenti costitu-zionali, i quali però sembranouna scelta autonoma veronese in-dipendente dell’influenza vene-ziana. Non si tratta nemmeno di

La vitalità della borghesiascaligera è spenta

dall’esosità di Venezia cheimpone pesanti dazi di

uscita sui manufatti,proibendo anche

l’esportazione di seta grezza.La conseguenza di tale

politica fiscale è ilcontrabbando.

Nella foto: Bocca di leone invia Dante per le denuncesegrete nei confronti dei

contrabbandieri della seta edei bachi, per i quali eraprevista la pena capitale

un vero e proprio cambiamento;semplicemente viene riconosciu-ta in forma legale una situazionegià di fatto esistente: il 31 luglio,subito dopo la resa, il comune diVerona decide di sostituire ilConsiglio Maggiore, composto da500 persone, con un Consiglio dicinquanta membri, eletti seme-stralmente da un Consiglio deiXII, conferendo in questo modoal governo della città una chiara

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di Elisabetta Zampini

Il mondo della danza popolareanche a Verona è vivo, dinamicoe frequentato da un gran nume-ro di appassionati. Non si tratta

Cultura

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di uno sparuto gruppo di etno-musicologi impegnati a recupe-rare remoti passi e arie di festa,ma è soprattutto un’occasioneper unire tradizione e socializza-zione. Il valzer e la mazurca sono

solo due danze, e nemmeno lepiù richieste, tra le tante note aquesti ballerini amanti di polka,manfrina, soti, furlana, sette pas-si, bourrè…I danzatori si ritrovano la sera, inpalestra, come si fa per una qual-siasi attività fisica. I maestri sonodei volontari interessati alla cul-tura popolare, spesso dediti alunghe ricerche sul campo, tra iMonti Lessini o la Valpolicella,per portare alla luce antiche co-reografie. È il caso di FrancescoPagani, animatore dei gruppi “IlCerchio” e “Cantafilò”. Sono poida ricordare lo storico e nutritis-simo “Gruppo Ricerca DanzaPopolare”, la “Prilla” e il neonatoGruppo Danze Popolari “Nievo”.Con sempre maggiore frequenzaquesti ballerini escono dalle spo-glie palestre e riportano in vitadanze che hanno una storia lon-

COSTUME

In crescita l’interesseper le danze popolari

Il valzer e la mazurca sono solo due balli, nemmeno i più gettonati, tra i tanti notia questi ballerini di polka, manfrina, soti, furlana, sette passi, bourrè…

I danzatori siritrovano la sera in

palestra come si fa peruna qualsiasi attività

fisica. I maestri sono dei volontari

interessati alla culturapopolare, spesso dediti

a lunghe ricerche sulcampo, tra i Monti

Lessini o laValpolicella, perportare alla luce

antiche coreografie

Page 9: Verona In 06/2005

tanissima, le reinterpretano, learricchiscono anche di variantipersonali e di armonia nei passi,a seconda della bravura e dell’a-gilità di ciascuno.La danza portata nelle piazze di-venta così un fenomeno sociale esocializzante. Recupera la vec-chia funzione per cui è nata ed èstata tramandata. In città e inprovincia, nei contesti di festa dipaese, di quartiere, nel periododi Natale o di Carnevale, suona-tori e ballerini vengono chiamatie coinvolti ad animare piazze estrade indossando costumi ca-ratteristici. Per le donne è di ri-gore la gonna lunga, a balze: bal-lano, coinvolgono il pubblico,che si lascia prendere divertitosoprattutto con le danze di cer-chio che danno un’idea di corali-tà e di condivisione. Si seguonogli altri, in semplici passi, il con-testo è rassicurante e sbagliarenon compromette quasi mai lariuscita dell’insieme.Così la danza popolare riscuoteconsenso non tanto per il retag-gio storico e per la bellezza dellemusiche ma per l’atmosfera didivertimento e di gioco che ri-esce a creare grazie alla sua forzaaggregante. Dal punto di vistaantropologico, la danza popolareè un fenomeno che appartienealla collettività. Tanto che è diffi-cile risalire a un unico autore,così come distinguere gli ele-menti davvero popolari da quellicolti perché le danze hanno fre-quentato in alternanza la stradae le corti. Certo è che, come pertutte le varie forme di culturapopolare, si basa sulla memoriaorale e pertanto è in continua ri-elaborazione. Cambiano le for-me e figure a seconda delle esi-genze e degli individui che lapraticano.Gli esperti sostengono che nellefeste di paese era possibile capirela provenienza dei ballerini dallevarianti che eseguivano su unmedesimo schema. La danza, in-fatti, era un modo in cui la co-munità e il paese esprimevano imomenti delle feste e scandivanoi passaggi più importanti dellavita e delle stagioni. Perciò eraun potente mezzo di identifica-zione per riconoscersi parte dellacollettività. Inoltre la musica e ledanze da sempre hanno viaggia-

Cultura

inVERONA 9

La danza popolare è un fenomeno che

appartiene allacollettività. È difficile

risalire a un unicoautore, così come

distinguere gli elementidavvero popolari daquelli colti, perché

le danze hannofrequentato in

alternanza la strada e le corti. Come per tuttele varie forme di culturapopolare anche questa si basa sulla memoria

orale e pertanto è soggetta a una

continua rielaborazione

Danze popolari in Piazza delle Erbe

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Cultura

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to insieme agli uomini: soldati,commercianti, cantastorie, mu-sicisti itineranti hanno favorito ildiffondersi di danze nelle partipiù diverse d’Europa, creandocosì i presupposti per sane con-taminazioni culturali e segreti fi-li che hanno unito le genti nelprofondo attraverso questa co-mune scansione rituale e festivadella vita, pur in lingue e geogra-fie diverse.Non è difficile trovare impegnatiinsieme nelle danze giovani e an-ziani, adulti e bambini. Per i piùpiccoli poi si apre una particolareparentesi, visto che in moltescuole la danza popolare è di casa,perché il genere di musica che laaccompagna piace ai bambini.Molte danze hanno inoltre figuresemplici e ripetitive che esprimo-no il gusto del ballare insieme, ri-spettando ritmi e tempi per crea-re un’armonia. Ma soprattutto ledanze popolari vengono propostein contesti educativi per la lorovalenza relazionale.Le manifestazioni più riuscitesono quelle che si inseriscono infeste che mantengono l’aspettoculturale alto e l’identità di paeseforte. È il caso, ad esempio, diquel gioiello che è la “Festa dellaFae” di San Giorgio Ingannapol-tron. In novembre, assieme alladistribuzione beneaugurale delminestrone di fave ai capifami-glia, sono sempre presenti la mu-sica e la danza popolare. Al mat-tino, subito dopo la messa, i mu-sicisti accompagnano la proces-sione che si apre con il pentolonefumante delle fave. Nel pomerig-gio, fino a quando la luce lo per-mette, suonatori e ballerini ri-creano i modi e lo stile delle festedanzanti. Qui, e in situazioni si-mili, i ballerini non esibisconosolo la loro bravura con costumid’altri tempi, ma mostrano dan-ze di un patrimonio comune sepur in gran parte dimenticato esoprattutto coinvolgono nella fe-sta chi si ferma a guardare e adascoltare.Oltre ai classici balli di coppia,dove dall’inizio alla fine si danzacon il partner scelto, ce ne sonomolti altri che si basano sulloscambio continuo di dame e ca-valieri. Modo questo con cui inpassato, ma non solo, si iniziava aconoscersi, protetti dalla regola e

dal delizioso pretesto della danza.La distanza tra la cultura popola-re e contadina, che ha mantenutovive le danze, e la modernità, por-ta però a cercare nuovi spazi diespressione. Se le esigenze sonocambiate, anche la danza popola-re, dinamica per natura, si ade-gua. E non sono solo le ricorrenzedi paese a farla uscire allo scoper-to. Da due anni Francesco Avesa-ni, con uno spirito da mecenate,l’ultima domenica di ogni mese,mette a disposizione di ballerini eappassionati lo spazio della pizze-ria “La Fontana”. È questo un luo-go interessante per osservare il fe-nomeno; per chi non conosce larealtà della musica popolare opensa che si identifichi con le fe-ste di liscio, rimarrà sorpreso dal-la quantità delle persone presentie dalla varietà dei balli. Le musi-che sono eseguite dal vivo con glistrumenti tipici della cultura po-polare: fisarmonica, organettodiatonico, chitarra, mandolino,violino, contrabbasso, pifferi,flauto, piva. Molto apprezzato è ilgruppo veronese dei “Folkama-zurka” che vanta un vasto reper-torio che fa contenti i ballerini,anche i più instancabili. Alcunisono davvero bravi, eleganti neimovimenti e misurati, altri, piùcreativi, sorprendono con nuovefigure. L’importante è stare al gio-co anche per conservare, nellapratica, un prezioso patrimoniomusicale e gestuale che magarinon sempre sarà di rigore filolo-gico, ma almeno non è in pensio-ne nei musei.Per curiosare (e magari provare)ci sono varie possibilità: Il grup-po “Il Cerchio” si ritrova ognimercoledì, alle 21 alla palestradelle scuole elementari Frattini,via Monzambano (Francesco,tel. 0458033955). Le scuole Car-ducci di v ia Betteloni sono ilpunto di ritrovo del “Gruppo Ri-cerca Danza Popolare”, il lunedìsera, alle 21.30 (Ornella, tel.045573765); “La Prilla” invece èil lunedì dalle 21.15 nella pale-stra del Circolo Culturale Mazzi-ni, in via Biancolini (Emanuela,tel. 045974895), mentre il mer-coledì alle 21.15, in via Valdone-ga, la palestra Nievo si animadell’omonimo “Gruppo DanzePopolari” (Cristina, tel.3476863633).

Le manifestazioni più riuscite sono quelle che si inseriscono in feste che mantengono l’aspetto

culturale alto e l’identità di paese forte. È il caso di quel gioiello che è la Festa della Fae di San

Giorgio Ingannapoltron: in novembre, assieme alla distribuzione beneaugurale del minestrone

di fave ai capifamiglia, sono sempre presenti la musica e la danza popolare

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Cultura

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COSTUME

Il gioco delle mascherein Sant’Anastasia

Nella basilica veronese alcune rare rappresentazioni di questo peculiare modo di camuffarsi che i bambini nel tempo impararono ad utilizzare nei loro giochi

fago dove un eroe gioca conun’altra maschera.Non sappiamo se nell’antichitàesistesse questa pratica, certo èche la maschera, nel Medioevo, fuutilizzata dalle nutrici per spa-ventare e, quindi, far star buoni i

bambini. Dovevano quindi essereorribili, barbute, pelose (Fig. 2,Manoscritto Royal, Londra - Bri-tish Library). Dovevano rappre-sentare il diavolo, l’orco e il lupomannaro. Un significativo esem-pio possiamo ammirarlo nel Li-

di Marco Fittà

Celarsi e cambiare sembianze in-ventandosi nuove identità e av-venture è sempre stata un’attrat-tiva di tutti i bambini che consen-te di sbrigliare la loro inesauribilefantasia. Se a questo aggiungiamol’utilizzo furtivo di indumenti ap-partenenti ai genitori o ai fratellimaggiori, avremo la chiave di let-tura di questo gioco. Quando poiquesta attività ludica di emula-zione diviene un divertimentocon il quale misurarsi con i com-pagni, il tutto risulta ancora piùeccitante e divertente.Come cambiare quindi il proprioaspetto se non infilandosi unamaschera che celi il proprio sem-biante? È il metodo più sempliceutilizzato anche dai bambini del-l’antica Roma.Un affresco proveniente da Erco-lano (Fig. 1) rappresenta un amo-rino che cerca di spaventare duecompagni di gioco, uno dei qualimima un terribile spavento che lo

getta in terra. Analogo soggettoè ripreso da alcune scul-

ture tra cui una delIV-III secolo a.C.

dove un fanciullo,ridente, gioca con una

maschera silenica che staper mettersi davanti al viso.

La statua è conservata neiMusei Capitolini di Roma e,

sempre nella Città eterna, aVilla Mattei si può ammi-

rare un fronte di sarco-Fig. 2

Altare Miniscalchi, basilica di San’Anastasia (Verona). Due bimbi con maschere.In basso: l’esatta ubicazione del blocco marmoreo all’interno della chiesa

Fig. 1

Non possiamo ancoradire con certezza a

quando risalgono leorigini di questa

pratica. Sappiamo chenel Medioevo la

maschera fu utilizzatadalle nutrici per

spaventare e, quindi,far star buoni i

bambini

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Bimbi che giocano festosamentecon una maschera si possonoammirare nel Palazzo Te di Man-tova e, nella stessa città, in un af-fresco di una lunetta della Galle-ria dei marmi del Palazzo Duca-le, opera di Giulio Romano.Da gran signori sono le masche-re che due bimbi tengono, nel-l’atto di mettersele davanti al vi-so, scolpite su uno dei basamentidelle colonne dell’Altare cinque-centesco dello Spirito Santo o al-tare Miniscalchi nella chiesa diSan’Anastasia a Verona.Forse i bambini oltre che giocarea spaventarsi mettendosi ma-schere orripilanti, per aumentaregli effetti scenici potrebbero averindossato ali da pipistrello a imi-tazione di Lucifero, demone ilcui solo nome crea timore neifanciulli. Sarebbe così possibileinterpretare un affresco quattro-centesco di Michele Giambono,rappresentante l’Annunciazionenel monumento a Cortesia daSerego, sempre nella chiesa diSant’Anastasia; nel dettaglio del-l’architettura dell’angelo sonorappresentati putti che cavalca-no bastoni, che tirano con l’arco,che fanno pipì ed esibisconograndi ali di pipistrello. Con si-mile travestimento il successo diterrorizzare i compagni è assicu-rato. Pratica fanciullesca docu-mentata anche in altre raffigura-zioni, ma nessuna con la perso-nificazione del diavolo.Il Libro d’Ore di Marie Ango, di-

pinto a Rouen nel 1505 in occa-sione del suo battesimo, chiama-to anche Le livre des enfants poi-ché contiene 185 miniature digiochi fanciulleschi, riporta bencinque immagini di travestimen-ti fantastici: in una di esse vedia-mo un essere peloso da capo apiedi picchiato vigorosamenteda un bimbo mentre i suoi trecompagni di gioco avendolo pre-so al laccio, lo trascinano conuna lunga corda; in un’altra sivede un bimbo che indossa uncappuccio con le sembianze dilupo. Il miniaturista ha rappre-sentato un bimbo, carponi, checon tale mascherata, che gli arri-va fino a metà busto, mette in fu-ga i suoi compagni.Nel XVI secolo erano molto invoga i romanzi del ciclo arturianoe le chansons de geste raccontava-no di cavalieri in perpetua lottacon mostri e draghi, così che ilcodice Ango rappresenta duebimbi che fuggono davanti a undrago con enormi ali, mentre uncompagno più coraggioso si voltaper stordirlo sferrandogli unagran botta in testa; operazionefruttuosa perché, nella miniaturadella pagina successiva, il dragoviene rappresentato al guinzaglio.Scene di giochi fanciulleschi inlotta con draghi sono riprese davari artisti tra i quali Pieter Brue-gel ne La battaglia fra carnevale equaresima. Non si possono di-menticare le numerose rappre-sentazioni di San Giorgio che ab-

batte il drago e dei vari demoni,con Satana in primis, rappresen-tati con enormi ali di pipistrelloche, sicuramente, avranno influi-to sui giochi infantili.Una grande maschera barbutacon un enorme naso aquilinoviene mostrata a quattro bimbidue dei quali, rendendo la scenaancor più verosimile, sono cadu-ti, per lo spavento, all’indietro inun’incisione cinquecentesca diClaudine Bouzounet-Stella.Nel dipinto Lot e le sue fig lie(Norfolk, The Crysler Museum ofArt), Bonifazio de’ Pitati dipingedue putti di cui uno spavental’altro con una maschera e Giu-lio Carpioni dipinge Fanciullocon maschera (Conservato nellaPinacoteca Martini a Ca’ Rezzo-nico a Venezia).Ci sono perfino giunte mascherein cuoio, una risalente al 1400 cir-ca, conservata ad Amersfoort inOlanda e un’altra, di un secoloposteriore, conservata a Kampen,sempre nel paese dei tulipani.Anche il grande Pablo Picasso,che ha dedicato al gioco moltisuoi dipinti, non ha disdegnatocostruire per i suoi figli prima eper i nipoti dopo, giocattoli e, traquesti, maschere; nel suo casonon per spaventare, ma per celar-si, considerato che una di questefu realizzata con un pezzo di car-ta lacerata da una tovaglia, altredue tagliando un vile cartone ealtre, invece, più elaborate e “arti-stiche”.

Cultura

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I bambini oltre chegiocare a spaventarsimettendosi maschere

orripilanti, peraumentare gli effetti

scenici potrebberoaver indossato ali dapipistrello, come sivede nell’affresco

quattrocentesco diMichele Giambono

nell’abside diSant’Anastasia

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icas

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bro d’Ore di Carlo d’Angoulême,risalente al 1470 circa.Più tardi i bimbi si appropriaro-no di questo strumento “educati-vo” per spaventarsi l’un l’altroper gioco, quindi le mascherepersero, a poco a poco, il loroaspetto terribile venendo utiliz-zate anche solo per nascondere lapropria identità per qualche gio-co inventato lì per lì.Ricca e varia è l’iconografia: Pie-ter Bruegel nella sua tavola I gio-chi dei fanciulli ha rappresentato,all’estrema sinistra del dipinto,un bimbo che, affacciato a una fi-nestra, tiene sul volto una grandemaschera; una, molto bella di fi-ne 400, è attribuita a Gaspero daPadova e un’altra, del 1533, sitrova nel Libro d’Ore di Antoinele Bon, duca di Lorena.

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inVERONA

LESSINIA

Gli esseri fantasticidella fantasia popolareLe creature di sesso femminile si chiamavano Fade, Anguane e Guandane,Genti Beate, Strie. Quelle maschili erano gli Orchi, il Basilisco e... il Diavolo

di Piero Piazzola

I Cimbri, il popolo della Lessinia,erano genti provenienti dalle terredel nord, dalle quali si sono portatidietro una congerie eccezionale diusanze e di consapevolezze, in-fluenzate dalla stregoneria, daun’appassionata fantasia e dal lorostesso habitat. Se da un lato aveva-no tanta fiducia e convinzione neiconfronti della fede e della chiesa,per l’altro verso possedevano al-trettanta superficialità e qualitàmolto elevate di superstizione.Le credenze popolari erano cosìforti che ancora oggi qualche per-sona della Lessinia nutre una certatendenza a credere nella presenzadi talune creature extraterrestriche la fantasia locale si è creata eche la religione cristiana non è ri-uscita ad assimilare.Le “creature” della fantasia popo-lare, in un certo senso, erano piùvicine, più familiari, più alla ma-no, perché concepite dalle proprieconvinzioni e convenienze anchese in generale esse sembravano es-sere creature mostruose o ripu-gnanti, rispetto alle forme dell’uo-mo. Certe “Fade” della LessiniaOrientale, in alcune zone, sonoconsiderate buone, socievoli, ge-nerose e altruiste, per esempioquelle di Camposilvano che inse-

gnavano alle donne a ottenere lalana dal siero del latte e tante altrecose utili; in altre località, come aSprea, erano invece consideratemalvagie, introverse, scostanti emangiatrici di bambini.Gli esseri fantastici di sesso fem-minile, dunque, si chiamavano“Fade”, “Anguane e Guandane”,“Séalagan Laute”(o “Genti Beate”)e “Strie”. Le creature di sesso ma-schile, invece, erano gli “Orchi”, il“Basilisco”, il Diavolo. Servirebbeun trattato per descrivere tuttiquesti esseri nella dovuta maniera.Ci limiteremo, pertanto, ai trattiessenziali.Le Fade erano di diversa natura, didifferente sembianza e costituzio-ne fisica da zona a zona, vestivanoin maniera diversa, esercitavanoimpegni diversi. Le “Fade” di Veloe Camposilvano erano donne delcontado, né più né meno. A Sprea,invece, vivevano una vita normale,ma con grossi difetti fisici: mani ecorpo pelosi, piedi terminanti azoccolo di capra e, più di tutto,mangiavano carne umana. Ma pu-re loro un lato buono lo avevano:insegnarono alle donne a otteneree a conservare a lungo la lana. Le“Fade” di Bolca, invece, eranodonne del popolo, sposavano uo-mini del luogo, potevano avere fi-gli, però non dovevano farsi sco-prire di essere delle streghe, perchéallora erano costrette a sparire dal-la faccia della terra.A Giazza, invece, abitavano le“Genti Beate”, cioè le “Séalagan

Le Anguane di Campofontana (M. Berolazzi)

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Laute”, donne bellissime, semprevestite di bianco, rilucenti di fuori,ma dentro formate da una scorzadi pianta, vuota. Ogni anno, il dìdei morti, scendevano in proces-sione dalla loro caverna, la “Séala-gan kuval”, sui costoni della ValFraselle, tenendo in mano un tiz-zone acceso, che era il braccio diun cadavere, e chi le toccava mori-va sul colpo. Campofontana era illuogo delle “Bele Butéle”, meglioconosciute con il nome di “Anguà-ne”. Parevano donne normali: sisposavano ma di notte scompari-vano e andavano a lavare la bian-cheria della gente del paese; poi lastendevano ad asciugare su lunghefuni tese tra un monte e l’altro,cantando e danzandovi sopra ecacciando via gli uccelli perchénon la sporcassero (Sciua, schiua,ra, ra…; cioè: Via, via, andate via).Il mattino dopo, prima che albeg-giasse, riportavano la biancheriapulita alle case dove l’avevano riti-rata. Vestivano sempre di nero ecantavano in modo meravigliosotrasmettendosi gli ordini con gri-da altissime. In alta Val del Chiam-po esseri molto simili venivanochiamati “Guandane”.Nel territorio dei 13 comuni dellaLessinia, il termine “orco” nonspecifica se si tratti di diavolo, dimostro, di drago o di altro esseredeforme, malvagio, spaventoso. Il

vocabolo cimbrico Orke è tradottocon “Orco”, ma il termine è anchesinonimo di “Orso”, di “Diavolo”,di “Demonio”. Dell’Orco si può di-re che era una creatura strana, vi-veva isolato dentro le spelonche,ma si poteva incontrarlo dapper-tutto e in qualsiasi ora del giorno odella notte, perché appariva e spa-riva improvvisamente, assumevadiverse fisionomie e forme, spessosi burlava della gente che prendevain giro col suo fare strambo: tal-volta era collerico, talaltra conci-liante, placido e servizievole. L’Or-co controllava l’operato delle “Fa-de” e delle “Anguane” per una cor-retta esecuzione dei suoi ordini.

Spettacoli

inVERONA 15

Il “Basilisco”, infine, lo si può im-maginare come un lucertolonelungo un metro circa, con una cre-sta rossa sul capo e con una spor-genza ossea lungo la spina dorsale,con due zampette corte e munitodi ali. Sprizzava fiamme, fuoco efumo dalla bocca e dalle narici. Ilsuo sguardo ammaliava e immo-bilizzava le persone.Di solito le “strie”, come scriveEzio Bonomi, si identificavano indonne ordinariamente anziane,mal vestite, trascurate, spettinate,curiose e chiacchierone, magaricon qualche difetto fisico, conside-rato segno di maledizione o di ca-stigo divino. Talora, però, col no-me di “strie” erano conosciute an-che quelle donne che andavano dicontrada in contrada a chiederel’elemosina e, intanto, curiosava-no e chiedevano informazioni.Con il loro modo di comportarsi

suscitavano timore e riguardo, perpaura di malefici e di disgrazie.Nel territorio dei Cimbri, il Diavo-lo era conosciuto come “Bòke”,oppure come “Berlìche” o “Berli-chete”, ma anche “Tauval”, tant’èche una valle di Giazza si chiamaTauvetal. Corpo da caprone, zam-pe pelose, sempre terminanti inzoccolo da cavallo, ma molto spes-so anche di capra, di becco, di sati-ro. Il sostantivo tedesco Bock, e ilcimbro Woche, infatti, significanomontone, capra. Il Boke dalla cin-tola in su aveva forma di corpoumano, ma le mani erano armatedi unghioni lunghi e acuminati;sopra la fronte portava due cornadritte e aguzze, il viso rosso fuoco,gli occhietti vispi e roteanti. Abita-va in grotte e caverne, ma apparivararamente e di notte; scomparivasubito, invece, con un segno diCroce.

Il volume “Ochi, Anguane, Fade in rottee caverne” (da cui sono tratte le imma-gini di queste pagine) è il frutto di unconvegno dal titolo “Immaginario po-polare e grotte delle Venezie” organizza-to dal Club Speleologico Proteo di Vi-cenza. L’incontro, svoltosi nell’eremo diSan Cassiano sui Colli Berici, fu l’occa-sione per i ricercatori veronesi Benetti,Bonomi, Piazzola e Rama di trattare letematiche relative alla religiosità e allecredenze popolari dei Cimbri ben inse-rite in una serie di interventi che tratta-

vano le diverse realtà geografiche. Il li-bro, coordinato dal Curatorium Cim-bricum Veronense, in collaborazionecon il Club Speleologico Proteo, delConsorzio Comuni del BIMA di Vero-na, della Federazione Speleologica Ve-neta e dalla Società Speleologica Italia-na e stampato dalla Comunità Monta-na della Lessinia può essere, a pieno ti-tolo, considerato come uno dei volumipiù autorevoli sulle leggende che circon-dano le singolari forme di vita del fol-clore montano

Orchi, Anguane, Fade... un libro

A lato: L’Orco e lesue trasformazioni(M. Bertolazzi)In basso: Ittele, laGuandàna di Durlo(P. Gabrielli)

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di Chiara Cappellina

Spy, Stars, Vips, Air Area: insom-ma, cartoline dal futuro. Al Di-partimento di Computer Sciencedell’Università degli Studi di Ve-rona, il domani è già realtà. Par-liamo di software all’avanguar-dia, laboratori sofisticati e tecni-che altamente automatizzate peraccelerare l’innovazione e svilup-pare la ricerca e la cooperazionetra università e imprese.C’è ARIA nuova, infatti, al dipar-timento diretto dal professor Vit-torio Murino: l’ha portata l’Acce-leratore di Ricerca InformaticaApplicata. “Aria” è appunto l’a-cronimo del progetto del Dipar-timento di Informatica, cofinan-ziato dalla Regione Veneto e conl’assistenza del Parco STAR di Ve-rona, per favorire la collaborazio-ne tra università e industria. Tut-to ciò mettendo a disposizionedelle imprese una serie di servizi

sentono l’esigenza di innovarsi evogliono investire nella ricerca,per raggiungere maggiore com-petitività in tempi rapidi. In Ita-lia mancano in maniera dram-matica imprese con la vocazionealla ricerca – continua Murinoche dirige il dipartimento dal2001 – mentre servono progettiche siano in grado di facilitarel’accesso all’innovazione grazie,

per esempio, all’utilizzo di nuovisistemi informatici che le aziendepossano poi trasformare in pro-dotti commerciali».E l’Acceleratore di Ricerca Infor-matica Applicata trasforma iltempo dedicato alla ricerca, at-traverso un effettivo avvicina-mento tra le imprese e l’universi-tà, creando non solo uno spaziofisico di incontro, ma anche unprogetto comune di lavoro, unavera e propria partnership. L’ini-ziativa cerca di «portare le azien-de a contatto con il mondo acca-demico per la co-progettazionedi nuovi prodotti ad alto conte-nuto tecnologico – sottolineaMurino – mettendo a loro dispo-sizione alcuni spazi universitari,detti hosting, in cui lavorare in-sieme ai ricercatori, magari dis-taccando uno o più dipendentiper meglio realizzare la collabo-razione». Si tratta infatti di ho-sting attrezzati con più postazio-ni di lavoro complete, connesse aInternet, dotate di strumenti divideoproiezione e teleconferen-za, software Cad e dedicato, oltreall’accesso ai laboratori di dipar-timento, ai servizi di segreteria,all’uso delle sale riunioni, il tuttoa costi agevolati. «L’azienda diri-ge il progetto, noi forniamo lecompetenze e a loro resta il pro-dotto finale» dichiara Murino.Oltre alla creazione di progetticongiunti, per l’azienda si ag-giunge la possibilità di far cresce-re le proprie risorse umane, sia intema di programmazione hard-ware che software in cambio diopportunità di eventuali assun-zioni del personale dedicato alprogetto. La prima azienda a cre-

Scienze

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UNIVERSITÀ

Il sapere e la ricercaal servizio delle imprese

Al Dipartimento di Computer Sciencedell’Università di Verona, diretto

dal prof. Vittorio Murino, troviamosoftware all’avanguardia, laboratorisofisticati, tecniche automatizzate

per accelerare l’innovazione esviluppare la ricerca e la cooperazione

tra università e imprese

orientati alla ricerca applicata eall’innovazione di prodotti, percapire come le tecnologie mute-ranno il nostro imminente do-mani.«Si tratta di un progetto esplora-tivo della durata di due anni –spiega Vittorio Murino – che sirivolge alle aziende del territorioveneto e nazionale per aprire ilDipartimento alle imprese che

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dere nell’iniziativa, nell’ottobre2004, è stata la Sitek che attual-mente «sta collaborando con igruppi di ricerca dell’universitàper realizzare due importantiprogetti hardware» afferma Mu-rino. «L’acceleratore offre infattialle aziende un programma di av-vio della ricerca e sviluppo di im-presa che, affiancato al mondouniversitario, stimola quello checomunemente viene definitobrainstorming, ovvero un con-fronto di idee, e porta a veri epropri studi di fattibilità dei pro-dotti» ribadisce Murino. Un lavo-ro interdisciplinare che richiede illavoro gomito a gomito di infor-matici, ricercatori e imprenditori.Fondato nel 2001, il Dipartimen-to di Informatica (Department ofComputer Science), offre quattrocorsi di laurea e un Master inProgettazione e Gestione dei Si-stemi di Rete, ma pur essendogiovane, ha già ottenuto i finan-ziamenti della Commissione Eu-ropea per cinque progetti di ri-cerca e sviluppo. Oggi ospita in-formatici, ingegneri, matematicie fisici e si occupa di un ampiospettro di aree, tutte in qualchemodo legate al calcolo. «Una ca-ratteristica del Dipartimento èl’interazione tra la fisica e la ma-tematica da una parte, l’informa-tica e le tecnologie dell’informa-zione dall’altra» spiega Murino.Quindi accanto a ricerche sui lin-guaggi, l’informazione, i modellidi calcolo e le architetture di si-stema, il dipartimento ospita ri-cerche sulle strutture multime-diali, sulla robotica e sui sistemiintelligenti, grazie a quattro labo-ratori didattici con più di due-cento postazioni di lavoro Win-dows e Linux, e sei laboratori diricerca tematica: Eda (ElectronicDesign Automation), Stars (Se-mistructured Temporal ClinicalGeographical Systems), Spy (Sta-tic Program Analysis), Lds (Lucedi Sincrotone), Vips (Vision,Image Processing and Sound) einfine AIR Area (Artificial Intelli-gence and Robotics).E i prodotti che potrebbero esse-re creati dalla sinergia università-impresa sono legati proprio aqueste aree di ricerca: dai sistemidi videosorveglianza ai controllibiometrici di sicurezza per il ri-conoscimento di volti e impron-

te, dalle applicazioni biomedicaliper la diagnosi precoce di tumo-re, con spettroscopia ad alta riso-luzione su cellule e tessuti, allachirurgia con bracci robotici. Einfine si parla di bioinformatica,con ricostruzione in 3D di orga-ni, di genetica con il DNA com-puting e l’analisi e modellazionedi proteine e stringhe di DNA,passando per l’ispezione auto-matica di prodotti e processi in-dustriali per il controllo di quali-tà fino all’informatica della sicu-rezza e intrusion detection, con-tro hackeraggio e spionaggio in-dustriale, oltre all’analisi e verifi-ca automatica della correttezzadi programmi e codici e alla pro-gettazione di offuscatori per latutela della proprietà intellettua-le del codice.Un ambito di attività molto vastoche non lascia fuori nemmenol’intelligenza artificiale, con l’in-terazione uomo-macchina basatasu visione, suono e gesti, né i si-stemi di navigazione e guida diveicoli autonomi o la realtà vir-tuale per il telecontrollo di mezziin ambienti ostili come quellosottomarino o spaziale.«Il settore informatico è stato perl’università in questi ultimi anniuno dei principali ambiti con cuiincentivare e favorire produzioniindustriali innovative» aggiungeMurino. Incorporare “tecnologiae intelligenza” nei prodotti è di-ventato un fattore competitivo diimportanza strategica. In questomodo il trasferimento tecnologi-co diventa terreno di collabora-zione tra università e imprese.«L’idea è di attuare delle spin-off,ovvero delle piccole società diconsulenza universitarie – con-clude Murino – in cui il mondoaccademico e quello industrialesi uniscano per creare prodottiinnovativi e di qualità».Nel corso del mese di aprile l’uni-versità organizzerà un open-day,ovvero un’intera giornata in cuitutte le aziende veronesi potran-no toccare con mano le potenzia-lità del progetto Aria.

Per informazioni contattare il Di-partimento di Informatica, Uni-versità degli Studi di Verona.Telefono 045.8027069; e.mail: [email protected];web: www.di.univr.it.

Scienze

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L’iniziativa cerca di portare le aziende

a contatto con il mondoaccademico per la

progettazione di nuoviprodotti ad alto

contenuto tecnologicomettendo a loro

disposizione alcuni spaziuniversitari, detti

hosting, in cui lavorareinsieme ai ricercatori,

magari distaccando unoo più dipendenti per

meglio realizzare la collaborazione

Nelle due pagine: laboratori di informatica della Facoltà di Scienze.Qui sopra: l’aula conferenze del Dipartimento di Informatica

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Scienze

Marzo 200518

di Angelo Brugnoli

Tra le attività di un moderno museo, una particolare attenzione vieneoggi riservata a tutto ciò che può creare un legame tra museo stesso epubblico. O meglio tra museo e pubblici, tanti quanti sono gli inte-ressi e le emozioni che spingono i visitatori alla frequentazione diesposizioni e mostre. La scoperta del proprio territorio di apparte-nenza è la molla nascosta che crea nella comunità territoriale atten-zione alle ricerche, alle attività di conservazione e alla divulgazioneproposta dal museo. In questo contesto il Museo Civico di Storia Na-turale di Verona ha avviato da anni alcuni progetti sul territorio vero-nese, culminati nella pubblicazione di importanti monografie scien-tifiche. Si tratta di impegnative campagne di ricerca, durate diversianni, che hanno coinvolto tutto il personale tecnico-scientifico delMuseo in complesse attività di campionamento e raccolta dati.La formazione di banche dati territoriali è di importanza strategicanello studio e nel monitoraggio della cosiddetta “biodiversità”. La pa-rola ha origine dal concetto di diversità biologica, formulato nel 1980,in riferimento al numero di specie che compongono una comunità. Iltermine contratto “biodiversità” è apparso per la prima volta duranteil “Forum nazionale sulla biodiversità” che si è tenuto a Washingtonnel 1986. Gli atti di tale forum sono stati poi pubblicati nel 1988 nel li-bro dal titolo “Biodiversità” che ha avuto un grande successo e ha datoil via a numerosi studi sull’argomento. Da allora, come confermato dairisultati dei Summits mondiali di Rio de Janeiro nel 1992 e di Johan-nesburg nel 2002, la conservazione della biodiversità è considerata co-me fondamentale nello sviluppo sostenibile a livello mondiale.I dati raccolti sul territorio oggi vengono informatizzati; l’archivio datidiventa così il punto di partenza per ricerche successive ed analisi fu-ture. Tra le attività che si servono delle banche dati del Museo vi è an-che la pianificazione territoriale. Potenti strumenti informatici posso-no fornire un aiuto nella fase di progettazione e gestione della pianifi-cazione di un territorio. I Sistemi Informativi Territoriali (detti SIT)sono appunto queste basi di dati geografiche, create grazie ad appositisoftware di gestione dati geografici (GIS). In altre parole si tratta diprogrammi che integrano cartografia digitale con archivi di dati: laprima permette di localizzare sul territorio i singoli oggetti (località diricerca, campioni raccolti sul terreno, aree di diffusione di un animaleo di una pianta), mentre la base di dati fornisce per ciascun punto del-la carta tutte le informazioni riguardanti quello specifico punto.Questa tecnica, oltre alla realizzazione di nuova cartografia moltodettagliata, mostra la propria utilità in un’ampia gamma di applica-zioni come la gestione ambientale, le telecomunicazioni, l’archeolo-gia, l’ecologia, e molte altre.L’uso del SIT permette inoltre di depositare in un computer le infor-mazioni basandosi su diversi livelli e tematismi. La gestione compute-

rizzata dei dati è quindi estremamente utile, particolarmente per in-terpretare grandi quantità di dati complessi, mostrando così gli ecosi-stemi in relazione alla biodiversità.Grazie ai database, che raccolgono tutte le informazioni sulla fauna esugli habitat del Veronese presenti in bibliografia e quelle derivanti danuove ricerche, si può procedere alla creazione di un SIT della pro-vincia di Verona.Ad oggi nel SIT sono stati inseriti i dati catastali delle cavità naturali,artificiali, la fauna presente, le schede dei Siti di Importanza Comuni-taria con gli elenchi degli habitat e delle specie animali e vegetali e infi-ne i dati relativi ai vertebrati e invertebrati osservati recentemente indiverse campagne di ricerca. Il SIT sarà utilizzato come base di parten-za per la formazione di uno strumento che fornisca metodi oggettiviper identificare i punti caldi di biodiversità, rarità ed endemicità.Le recenti ricerche del Museo hanno avuto, tra gli altri obiettivi, quel-lo di raccogliere ed organizzare tutti i dati faunistici e vegetazionali,riguardanti il nostro territorio, attualmente dispersi nelle diversepubblicazioni scientifiche e, soprattutto, nei dati non pubblicati inpossesso dei numerosi specialisti. Tutte queste informazioni, comple-tate dai dati raccolti sul campo dal personale del Museo, confluirannonella banca dati del SIT. L’insieme dei dati permetterà, unitamente al-l’utilizzo di dati storici, un monitoraggio permanente della situazioneambientale del territorio comunale e delle sue modificazioni nel tem-po.Queste tecnologie e le loro concrete applicazioni nel monitoraggioambientale saranno oggetto di una mostra del Museo di Storia natu-rale, in programma per l’autunno 2005.

MUSEO CIVICO DI STORIA NATURALE

Monitorare la biodiversitàPotenti strumenti informatici forniscono un aiuto nella fase di progettazione della pianificazionedi un territorio. La cartografia digitale può essere integrata con archivi di dati: la prima permettedi localizzare i singoli oggetti, mentre la base di dati fornisce utilissime informazioni specifiche

I Sistemi Informativi Territoriali (detti SIT) sono basi di dati geografiche,create grazie ad appositi software di gestione (GIS)

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Un tempo c’erano i caffè letterari,fumosi, creativi e passionali, dei ri-trovi nei quali scambiarsi idee, leg-gere racconti, confrontarsi. Oraquesti luoghi prediletti da studiosie scrittori rivivono a Verona neiLetterariaCafè organizzati dallaSocietà Letteraria scaligera. È par-tito infatti il ciclo 2005 che offremomenti d’incontro e di dibattitosui grandi temi culturali, sociali epolitici dell’attualità cittadina.In primavera sono già previsti,ogni martedì alle 21, due impor-tanti appuntamenti: il 5 aprile siincontreranno il vicesindaco Mau-rizio Pedrazza Gorlero e l’assessoreLuciano Guerrini con GiancarloBeltrame, Daria Anelli, Interzona,Diego Perez, Paolo Valerio e SirioTommasoli che discuteranno sultema delle “Politiche culturali a Ve-rona”. Il 12 aprile sarà la volta diMichele Colantoni, Gianni Zena-tello, Salvatore Massa, Paola Mari-ni e Roberto Cortenova, che ragio-neranno su “Cultura e impresa aVerona”. «Si tratta di un nuovomodello di dibattito, che si è rivela-to in questi anni una formula chefunziona» spiega Alberto Battag-gia, Presidente della Società Lette-raria. «Già dal 2002, infatti, siamo

riusciti a mettere intorno allo stes-so tavolo persone con cariche isti-tuzionali, problemi e interessi di-versi – aggiunge –, che non trova-no solitamente il tempo per scam-biarsi idee, abbozzare soluzioni, osemplicemente parlare». Così laSocietà Letteraria diventa un luogoche non solo accoglie la tradizioneletteraria, ma promuove unoscambio aperto. «Il nostro è un ter-ritorio neutrale dove si possono li-beramente esprimere le idee, senzascatenare liti o polemiche» spiegaBattaggia. Tra gli argomenti af-frontati in questi mesi spiccano laquestione Rom, i problemi e le po-litiche della sicurezza e della tossi-codipendenza a Verona, e l’affaireFondazione Arena. Un resocontodei LetterariaCafè, ai quali possonopartecipare esclusivamente i socidella Società Letteraria, viene inol-tre pubblicato sul BollettinoNewsdella Società, distribuito gratuita-mente ai soci e a mille interlocutoriveronesi. Per informazioni, SocietàLetteraria di Verona, p.zza ScaletteRubiani 1, 045.595949, email: [email protected],web: www.societaletteraria.it.

Chiara Cappellina

Marzo 200520

Che cosa si intende per diritti umani? Che cosa si fa per tutelarli? Digrande attualità e risonanza mondiale, il tema dei diritti umani e deldiritto umanitario è stato oggetto di un recente convegno all’Accade-mia di agricoltura scienze e lettere di Verona e che ha visto la parteci-pazione di Tathiana Flores Schram, membro del Tribunale Penale In-ternazionale de l’Aja.Il diritto umanitario quasi paradossalmente nasce dalla guerra, dis-umana per sua stessa natura, sotto la primordiale forma di diritto al-l’assistenza medica: vede infatti la sua prima espressione nella crea-zione dell’istituzione della Croce Rossa Internazionale, che fu fondatasotto gli auspici della convenzione di Ginevra del 1864 con lo scopodi assistere in tempo di guerra feriti e prigionieri. Da allora è stato in-trapreso un lungo cammino verso la tutela del diritto alla vita e l’isti-tuzione del Tribunale Penale Internazionale, sancita il 17 luglio 1998con la sottoscrizione da parte di numerosi paesi del cosiddetto Statu-to di Roma, ne costituisce una tappa fondamentale. Organo giudizia-rio permanente e indipendente, finanziato esclusivamente dagli stati

aderenti, questo tribunale svolge un ruolo complementare rispettoalle Corti nazionali, ossia agisce soltanto nei casi in cui le istituzionigiudiziarie nazionali coinvolte da un crimine sanzionabile non sianoin grado di agire oppure, pur potendo, si rifiutino di farlo.Ma quali sono i crimini rientranti nella giurisdizione del TribunalePenale Internazionale? Genocidio, crimini contro l’umanità, criminidi guerra, crimine di aggressione, da intendersi in senso lato comecrimine contro la pace. Quattro categorie dal contenuto apparente-mente intuitivo ma dai confini spesso labili, quattro reati accomunatiindubbiamente dalla negazione del diritto alla vita. Nei procedimentipenali svolti dal tribunale dell’Aja un nuovo ruolo è ricoperto dallevittime perché queste, siano esse paesi o persone, non sono più consi-derate solo testimoni da ascoltare, ma vittime a tutti gli effetti: da di-fendere, quindi, da proteggere e da aiutare anche economicamentegrazie ad un fondo speciale di riparazione di prossima istituzione.

Marzia Sgarbi

Società Letteraria

“Politiche culturali”il tema di un dibattito

La sede della Socità Letteraria in piazzetta Scalette Rubiani, 1

Accademia di Agricoltura Scienze e Lettere

Convegno sui diritti umani con Tathiana Flores Schram

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di Giuseppe Brugnoli

Quella volta che andai negli Stati Uniti, piùdi quarant’anni fa, in una specie di viaggiopremio per giornalisti, avevo due missionida compiere: la prima, affidatami un po’ perscommessa e un po’ per scherzo dal mio di-rettore, intervistare il presidente degli USAJohn Kennedy; la seconda, datami in conse-gna con grande serietà dalla signorina Ar-gento, una vecchia maestra che abitava vici-no alla nostra casa, di consegnare un prezio-so pacchettino al nipote Rino, mio amico digiochi e di parrocchia, che era in America dapiù di dieci anni.Il primo compito andò buco. Ebbi occasionedi essere ricevuto, con una comitiva di italianiin viaggio, dal mitico Kennedy, allora al cul-mine della sua fama, nella saletta vicino allasala ovale, e il presidente degli USA ci fece undiscorsetto. Poiché non capivo una parola diinglese, invece di starmene pigiato sotto la tri-bunetta, mi collocai solitario in fondo alla sa-la, dove avevo una vista migliore. QuandoKennedy terminò, non uscì da dove era entra-to, ma attraversò la piccola folla e si diresseverso la porta, accanto alla quale ero io. Mi sifermò davanti, mi rivolse un “Hello!”, mistrinse la mano e mi disse alcune parole contono interrogativo. Al che io non seppi che ri-spondere “Sorry”, e Kennedy, sorridendo, sene andò. Dopo quattro mesi, era ucciso a Dal-las. Giuro che non c’entro.Rischiò di andarmi buco anche il secondoimpegno, quello importante, affidatomi dal-la gentile signorina Argento, che oltretuttoera stata mia maestra di catechismo in par-rocchia, perché un imponente doganieredall’aria di cerbero, subito dopo il mio arrivoall’aeroporto, mi fece aprire la valigia, frugòcon mano guantata tra le calze e le mutande,estrasse con aria insieme trionfante e disgu-stata il pacchettino avvolto in carta a fiorelli-ni, e me lo tenne davanti al naso con atteg-giamento interrogativo. Non mi restò che re-cuperare in fretta le mie inesistenti nozionidi inglese e mormorare “present”, per poi ag-giungere, visto che egli rimaneva con il pac-chetto in mano “friendly”. Devo averlo com-mosso. Rimise il pacchettino al sommo delmucchietto di indumenti, io richiusi la vali-gia e guadagnai l’uscita.Rividi Rino Argento qualche sera dopo, mer-cè una laboriosa telefonata al numero che mi

aveva dato la zia, fatta attraverso il soccorsodi un cameriere italiano dell’albergo. Miportò a cena in un ristorante italiano, e midispiace ancora pensare a quanto gli sarà co-stato, e poi in Times Square, in un bar fumo-so da nottambuli, dove stemmo a parlare fi-no alla mattina. Gli consegnai l’involtino, escopersi che conteneva due pacchetti di siga-rette nazionali esportazione. Mi disse che, daquando era in America, non fumava piùMarlboro, ma sigarette italiane, che però aNew York si trovavano, ogni tanto, solo inuna stazione della metropolitana.Era partito innamorato dell’America ma ne-gli USA vestiva italiano, fumava italiano e gui-dava una rossa Alfa Romeo. Da allora, ho rivi-sto Rino più spesso, perché una o due voltel’anno viene in Italia da Los Angeles, dove la-vora ed abita, ma ci scriviamo abbastanza, eadesso più di prima, da quando ho imparatoa utilizzare Internet. La sua è stata una vitaintensa e laboriosa, prima come progettistain ditte dell’indotto automobilistico, poi di-rettore di una catena di montaggio alla Ford,quindi dirigente alla Chrysler sempre a De-troit, e capo della sezione corse, aiutando an-che quelli della Ferrari, Maserati e Abarthquando andavano negli States per le gare. In-fine il trasferimento in California, direttore diuna fabbrica con 230 operai e 500 macchineutensili della General Dynamic che costruivamissili, e poi un provvisorio ritorno in Italia,alla Harley-Davidson di Varese che poi diven-tò Cagiva, e in giro per il mondo ad acquistarecomponenti, fino all’ultima assunzione a Pa-rigi con l’americana Bausch&Lomb a dirigereuna fabbrica di strumenti per analisi chimi-che e il ritorno con la stessa ditta a Los Angelesdove fu trasferita l’intera produzione.Ma con tutte queste peregrinazioni, con mo-glie filippina e figli del tutto americani, RinoArgento è rimasto, quasi miracolosamenteun veronese de soca, che parla un perfettodialetto con qualche inflessione yankee e chenella sua casa di Lomita, un paese sull’ocea-no a poca distanza da Los Angeles, si è co-struito un piccolo sacrario dove ha sistema-to, accanto ai ricordi del padre medico, mor-to durante la tragica ritirata di Russia, i ci-meli della sua vita, da un paio di tabelle stra-dali che gli occupanti tedeschi durante laguerra fissavano sugli alberi dell’attuale viaD’Annunzio, i resti di quelli che correndo ri-schi staccavamo di sera per poi alimentare la

stufa, ai preziosi reperti della nascita e deiprimi anni di vita del glorioso “Verona X”, ilprimo reparto degli scout cattolici nato subi-to dopo la guerra, fino alle tessere di quandofu interprete della nazionale italiana di Bear-zot alle Olimpiadi del 1984 e ai documenti diun’associazione di calcio giovanile di Los An-geles da lui diretta che ora è diventata la piùgrande degli States, con oltre mille iscritti.Adesso, da quando c’è Internet, legge tutti igiorni l’Arena, e non manca di fare commen-ti anche pepati sui personaggi e sui fatti delgiorno. L’ultimo, via e-mail pochi giorni fa,sul Prusst e sul piano di Verona Sud, dice:«Ricordo che nel ’50 ci fu una riunione inuna sala della Cassa di Risparmio per discu-tere uno dei tanti piani regolatori, ed eraaperta al pubblico. Il pubblico ero io, solo so-letto, e quasi tutte le proposte sono ancor og-gi ‘in fase di studio’. Incredibile!”.È lo stesso Rino Argento che nel lontano1963 incontrai nel bar per nottambuli di Ti-mes Square. Era un maggio freddo e ventoso,e nella notte algida e limpida di New York, dilà dai vetri sporchi del locale, nel breve riparodella rientranza si addossavano gli homeless,una fauna umana allora sconosciuta qui danoi, prima di andare a distendersi sui cartonisotto i porticati delle grandi banche nella vi-cina Bowery. Ad un certo punto arrivò e sifermò davanti alla vetrata, impedendo la vi-sta dell’ininterrotto scorrere delle macchinenella piazza, un gruppo dell’Esercito dellaSalvezza, ad intonare con un complessino diottoni stonati i suoi cori sacri. E su quellosfondo di poveri infreddoliti e di ricchi nellelimousine, tra le multicolori luci ammiccantidei neon pubblicitari sui palazzi e le note in-termittenti, a seconda delle raffiche di vento,dell’Esercito della Salvezza, Rino Argento miparlava di Verona, mi chiedeva notizie diamici e conoscenti che io avevo ormai di-menticato, di sindaci ed assessori di ammini-strazioni scomparse, degli antichi e nuoviproblemi urbanistici e sociali della città. Hosempre pensato, da allora, che assai probabil-mente egli, con la sua voglia di vivere e di fa-re, di conoscere e di progredire, avrebbe avu-to fortuna anche senza andare in America, eche, senza dover leggere l’Arena su Internet,avrebbe potuto attivamente interessarsi deiproblemi di Verona anche stando a Verona,da bravo cittadino imperterrito amante diVerona qual è.

inVERONA 21

I RICORDI DI UN GIOVANE CRONISTA

Il mio amico Rino Argento

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di Alessandro Anderloni

Giunto al traguardo della cin-quantatreesima edizione, il piùantico e prestigioso festival perfilm di montagna del mondo, natoda un’intuizione del Club AlpinoItaliano e del Comune di Trentonel 1952, rivolgerà quest’anno lasua attenzione alla conquista, al-l’esplorazione e alla ricerca scien-tifica dei due poli terrestri.“Artide & Antartide - Polo nord ePolo sud” sono il tema che domi-nerà la rassegna cinematograficache avrà inizio a Trento il 30 apri-le per proseguire fino all’8 mag-gio 2005. Sulla locandina delFilmfestival campeggia una sug-gestiva immagine di un uomoche discende da un’ampia distesadi ghiaccio rotondeggiante, chia-ramente riferita al Polo nord.Speculare a essa la calotta antar-tica, dalla quale si innalza unamontagna di neve che a qualcunoricorderà la montagna del Purga-torio dantesco risalita dal Poetanel suo viaggio ultraterreno. Ilmistero, quindi, ma anche l’inna-ta propensione dell’uomo a co-noscere, a scoprire, a esplorare,ad andare oltre a ciò che puòsembrare invalicabile.Dopo il cinquantenario dellaconquista italiana del K2, festeg-giato lo scorso anno a Trento inun’edizione ricca di eventi spe-ciali, di dibattiti ma anche di ri-dondanti polemiche, quest’annosaranno i protagonisti delleesplorazioni dei due poli gli invi-tati speciali al Filmfestival. Il pro-gramma della manifestazione(consultabile sul sito www.tren-tofestival.it) prevede una grandeesposizione dedicata ai due politerrestri. Ma sarà il cinema ilprincipale protagonista, come hapreannunciato il regista Mauri-zio Nichetti che, dopo aver pre-sieduto la giuria internazionaledella scorsa edizione, da que-st’anno prende in mano la rasse-gna come direttore artistico epreannuncia di volerne rilanciareil profilo internazionale. Oltre alconcorso e alle ampie retrospetti-ve dei film che hanno raccontatola storia della conquista e dell’e-splorazione dei poli, si prevedo-no una serie di incontri per pro-duttori, registi e autori cinemato-grafici.

Il Filmfestival Internazionale diTrento si conferma così il puntodi riferimento consolidato pertutto ciò che riguarda la cinema-tografia “di montagna”. Nel corsodi oltre cinquant’anni di vita aTrento sono stati proiettati filmche testimoniano l’evolversi nonsolo delle tecniche e della filoso-fia dell’alpinismo, ma anche deiproblemi che oggi ruotano intor-no al territorio montano, all’am-biente, al territorio, al rapportocon l’uomo che vive in monta-gna. Tutto ciò non soltanto con ifilm, ma anche con i convegni e letavole rotonde, con le mostre te-matiche, con i concorsi fotografi-ci “Tre Ranuncoli d’oro” (svoltisidal 1955 al 1964) con la Rassegnainternazionale dell’editoria dimontagna “Montagnalibri” (natanel 1987), oggi la più importantea livello mondiale, con il PremioItas del libro di montagna (isti-tuito nel 1971) con la Mostramercato delle librerie antiquariedella montagna che arriva que-st’anno alla nona edizione.Il Filmfestival di Trento è capofiladell’International Alliance forMountain Film, un’alleanza in-ternazionale che ad oggi riunisce,in una rete mondiale di collabo-razione, 14 Festival di Cinema dimontagna di Italia, Canada, StatiUniti, Francia, Austria, Svizzera,Spagna, Regno Unito (Inghilter-ra e Scozia), Slovacchia, Sloveniae Repubblica Ceca che, in fondo,possono essere considerati tutti“figli” della rassegna trentina.Lo scorso anno anche Verona e laLessinia sono stati protagonisti alFilmfestival di Trento con l’ini-ziativa “Velo Veronese, la monta-gna in scena” che ha raccontatol’esperienza teatrale e cinemato-grafica che da 15 anni ha cambia-to il volto del paese di Velo Vero-nese. Il festival di Trento è statoospitato a sua volta alla decimaedizione del “Premio Lessinia”, lamanifestazione cinematograficache si svolge a Cerro Veronese nelquale ha trovato spazio, nell’esta-te del 2004, la mostra “52 GranPremi, 52 Anni di Cinema diMontagna” con le fotografie deiprimi 52 vincitori della rassegnatrentina. Un ponte di amicizia trail capostipite del festival di filmdi montagna e uno tra i più gio-vani nati.

Spettacoli

Marzo 200522

TRENTO - FILMFESTIVAL

2005: Artidee Antartide

Dal 30 aprile all’8 maggio la 53ª edizione del Festival dei film di montagna dedicata quest’anno

ai Poli terrestri

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«Ombre di mia prosàpia, non ar-rossite ancor! Tutto la morte vendi-ca, anche il tradito amor!». È suqueste tenebrose parole che si in-nalza uno dei motivi musicaliclassici più celebri al mondo: laDanza delle Ore, il ritmo cheAmilcare Ponchielli compose sulfinire dell’0ttocento e che, insie-me a Tobia Gorrio, pseudonimodi Arrigo Boito, firmò come unadelle opere maggiormente rap-presentate nei più prestigiosi tea-tri internazionali: la Gioconda.La “cantatrice” di Ponchielli eBoito tornerà a struggere i cuoridegli animi sensibili nel suggesti-vo scenario areniano il prossimo17 giugno. Nei panni della prima-donna ci sarà Andrea Gruber di-retta da Donato Renzetti con l’i-nedita regia, scene e costumi diPier Luigi Pizzi, già straordinaria-mente acclamato per l’allesti-mento dell’Ernani al Filarmoni-co. E, per campanilismo, è quasiobbligatorio citare che fu proprioquesto dramma lirico in quattroatti a dare i “natali” artistici a Ma-ria Callas che debuttò all’Arena diVerona nel 1947.La Gioconda fu l’opera più tor-mentata e ambiziosa di Ponchielliche, in cerca di quella notorietàche proprio questo progetto glidiede, si preoccupava dell’effettoche avrebbe avuto sul pubblico,una platea in bilico tra la voglia dirinnovamento e l’attaccamentoalle tradizioni operistiche. Unesame che l’artista superò a pienivoti fin dalla prima alla Scala diMilano, l’8 aprile del 1876, doveregistrò un successo immediato einternazionale. Mario Bortolotto,critico musicale e musicologo, inoccasione dell’ultima rappresen-tazione della Gioconda a Verona,nel 1988, fece notare come il con-nubio tra un Boito «sofisticatissi-mo, ipernevrotico, coltissimo,schifiltoso capofila della Scapi-gliatura milanese» e un Ponchiellidefinito come «bonario, umile,modesto, semi-illiterato direttoredi banda cremonese» potesse farpensare a uno scherzo. Di burlanon si trattò ma, scrive Bortolot-to, di «una scommessa, una in-gente somma puntata da un edi-tore di fiuto sicuro, Giulio Ricor-di, che aveva subdolamente com-preso come proprio dalla fusionedi collaboratori spaventosamente

eterogenei potesse saltar fuoriqualcosa di inedito, almeno dipiccante».Ambientata nella Venezia seicen-tesca, la storia narra del dramma-tico e funesto amore di Giocondaper il nobile Enzo. Costui è inrealtà un principe genovese pro-scritto dalla Repubblica che ritor-na nella Serenissima capitale sot-to mentite spoglie per ritrovareun antico amore, una fanciullapromessa a un altro uomo: Lauramoglie di Alvise, capo dell’inqui-sizione di Stato. In questo quadri-latero sentimentale entra in giocoil malvagio Barnaba, spia del tri-bunale che fin dalla prima scenamostra tutta la sua crudeltà accu-sando la madre cieca di Giocondadi aver lanciato un maleficio suuna delle imbarcazioni perdentiimpegnate nella regata. A salvare

la vecchia ci pensa Laura che, dadietro la provvidenziale masche-ra, grazia la donna e ritrova inquel momento il suo amato edesiliato Enzo. Barnaba organizzaun incontro clandestino tra i dueinnamorati con l’unico scopo diumiliare Gioconda, che da sem-pre respinge le sue avances, sma-scherando l’infedeltà di Enzo. Inun primo tempo l’ira si impadro-nisce della protagonista traditache decide di uccidere con del ve-

ce” si trafigge a morte sotto gliocchi increduli del suo aguzzino.Barnaba, colmo d’ira e frustra-zione, lancia il suo grido finaleconfessando all’orecchio “chenon ode più” di Gioconda di avercomunque avuto la sua perfidasoddisfazione annegandole lavecchia madre. Tragedia nellatragedia che dispiega però le alidell’amore, quell’amore che nes-suna barriera sociale o moralepuò abbattere.

Spettacoli

inVERONA 23

ARENA

La Giocondadi Ponchielli

Il 17 giugno in scena l’opera piùtormentata e ambiziosa del musicista

cremonese interpretata a Verona nel 1947 dall’esordiente Maria Callas

leno la rivale, ma successivamentescopre che Laura è colei che hasalvato la madre dal linciaggio edecide di sacrificarsi offrendo co-sì una possibilità di salvezza aidue amanti ormai scoperti da unAlvise che pretende vendetta.Gioconda scambia la fiala di vele-no con un potente sonnifero, lo fabere a Laura che così simula ilsuicidio e, mentre il capo dell’in-quisizione celebra festosamentela morte della moglie sulle notedella Danza delle Ore, promette aBarnaba che si concederà ai suoidesideri in cambio di una via difuga per Enzo e Laura. Un dram-ma della gelosia in piena regolache mescola nel finale il sommosacrificio di Madama Butterfly al-l’inganno romantico di Giuliettae Romeo. “Scorre il pianto a stillaa stilla nel silenzio del dolor, piangio turgida pupilla mentre sanguinail mio cor” canta Gioconda men-tre, assicuratasi della salvezza diEnzo e Laura, si appresta a rispet-tare i patti: “Che temi? Mantengoil mio detto, non mento, non fug-go, tradirti non vo’! Volesti il miocorpo, dimòn maledetto? e il corpoti do!” e così dicendo la “cantatri-

La compagnia de“La Gioconda” del 1952.

Quinta da sinistraMaria Callas

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Qualche anno fa Godard,parlando del cinema francese,

pare abbia detto «c’è soloVecchiali», mentre quest’ultimorispondeva «c’è solo Godard»

di Alice Castellani

Paul Vecchiali, cineasta corso (nato ad Ajac-cio nel 1930) che è stato pure critico dei Ca-hiers du cinéma e della Revue française de ci-néma oltre che scrittore di romanzi, anagrafi-camente appartiene alla gloriosa stagionedelle “nouvelles vagues”, avendo tra l’altroesordito con Les petits drames (1961) pocodopo Godard e Truffaut, poi influenzato daun certo cinema francese degli anni ’30 e ’40.La fruizione distorta che i suoi film hannoavuto in Italia (delle circa 40 pellicole da luigirate in 40 anni da noi ne sono giunte solotre, a cavallo degli anni ’80) lo colloca peròtra i registi degli anni ’70 e ’80, ripensatoreraffinato e coerente dell’estetica melodram-

matica, da lui espressa attraverso un cinemadi corpi che per alcuni richiama i classici delrealismo poetico degli anni del Fronte Popo-lare e del dopoguerra come Ophuls, peresempio. Cineasta sui generis, sperimentatoreanticonformista di generi e di linguaggi, crea-tore poliedrico e problematico – sempre atti-vo al di fuori dell’ufficialità dei grandi circuitiproduttivi – ha intrecciato nel suo universocreativo un interesse descrittivo, quasi docu-

mentaristico per la minuta realtà quotidiana,e un’analisi approfondita e coinvolgente dellecomplesse e variegate vicende umane.Il melodramma come scelta etica, vissuta ecreduta, evita ai suoi film di cadere nel com-piacimento e nell’ambiguità; è il caso del suolavoro forse più viscerale e più estetizzante,Once more (1988), che racconta l’amoreomosessuale, e non solo, ai tempi dell’Aids.Gianni Amelio ha detto di lui che è uno deiregisti che con maggior rigore ha saputoesplorare i sentimenti nel nostro tempo “ma-lato”, utilizzando in maniera originale i codi-ci del melodramma. Qualche anno fa Go-dard, parlando del cinema francese, pare ab-

bia detto «c’è solo Vecchiali»,mentre quest’ultimo risponde-va «c’è solo Godard». È dunqueuna fortuna che, grazie alla per-sonale “L’@mour est àréinventer” a lui dedicata all’in-terno della nona edizione delfestival Schermi d’Amore (15-24 aprile al teatro Nuovo), que-st’anno sia possibile la visionedi almeno nove dei suoi film,tra cui Femmes femmes; Corps àcoeur; Rosa la rose, fille publique;

Once more; À vot’ bon cœur. Quest’ultimo ti-tolo, presentato a Cannes nel 2004, si rifà al-l’espressione tipica dei mendicanti che chie-dono la carità, autoironia che Paul Vecchialiutilizza per denunciare lo spietato mercatocinematografico che, dopo avergli bocciatonumerosi progetti, lo ha costretto a far lavo-rare gli attori a titolo gratuito. Il film è infattiun’amara messinscena della marginalità del-l’autore, che comunque non rinuncia al suodesiderio di cinema solo per la mancanza disoldi, ma piuttosto dichiara: «Non sono arri-vato alla mia età, 73 anni, per chiedere a dellepersone di lavorare senza compenso. Questonon fa parte della mia morale». E i suoi atto-

ri, che sulla Croisette di Cannes protestavanocontro i tagli ai sussidi per gli artisti approva-ti dalla legislazione francese insieme a moltialtri lavoratori dello spettacolo, hanno presoper davvero delle sonore manganellate, men-tre sulla scena Vecchiali può far morire unodopo l’altro, a parte il Presidente, i membridella Commissione giudicatrice degli stan-ziamenti pubblici per il cinema, piccola ven-detta e rivincita personale alla base dell’in-treccio del film, in accoppiata con le scorreriedi un moderno Robin Hood muto che girasu pattini a rotelle rubando ai ricchi per dareai poveri.Con tragica ilarità Vecchiali rappresenta lapropria morte intellettuale e la crisi dell’in-dustria culturale francese in un film sull’eco-nomia del cinema, ma anche sull’amore esulla sua concezione del cinema, mescolandoin un coacervo tragicomico la commedia,anche quella musicale, il muto, il poliziesco ela critica sociale... sempre nel caso che alpubblico sia data la possibilità di fruirne!

NUOVO - SCHERMI D’AMORE

“L’@mour est à réinventer”a Verona nove film di Vecchiali

Marzo 2005

Spettacoli

Paul Vecchiali

À vot’ bon cœur

Corps à coeur

À vot’ bon cœur

Femmes femmes

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«Se qualcosa ci salverà, sarà la bel-lezza». È la figura eclettica e polie-drica di Ettore Sottsass a sostener-lo. Il designer, architetto, urbanista,pittore, viaggiatore e fotografo lacui estetica, difficilmente inqua-drabile, è stata più volte messa indiscussione durante tutta la sualunga carriera.A fare omaggio a questa particola-re ricerca artistica, etica ed esisten-ziale è il Mart di Rovereto che finoal 22 maggio 2005 darà spazio aimomenti salienti dell’attività del-l’artista, a partire dal 1948, in unamostra estremamente ricca e arti-colata. Un riconoscimento a quellasua ricerca globale che ha investitoil senso stesso del vivere umano eche il Centre Gorges Pompidou diParigi già gli aveva reso con un’am-pia esposizione nel 1994.Nato a Innsbruck nel 1917, acco-statosi all’architettura sulle ormedel padre, Sottsass junior a partiredagli anni ’50 ha affiancato all’atti-vità architettonica la ricerca sul de-sign, avviando rapporti di collabo-razione con rinomate gallerie, mu-sei e importanti aziende. Tra que-ste la Olivetti, di cui è stato il re-sponsabile del design per oltretrent’anni e per la quale ha creatooggetti divenuti icone del disegnoindustriale mondiale.La mostra del Mart, curata da Ga-briella Belli e Milco Carboni, inda-gando questa duplice dimensionedell’attività di Ettore Sottsass, oggiottantasettenne, propone due di-

stinte sezioni tematiche: una dedi-cata al design “non industriale” el’altra all’architettura, entrambeordinate con rigore filologico, conmateriali antichi e recenti, e anchecon opere inedite.«Per me, il design è un modo didiscutere la vita, società, la politica,l’erotismo, il cibo e persino il de-sign stesso – sostiene l’artista –. Èun modo di costruire, una possibi-le utopia figurativa o una metaforadella vita. Certo, per me il designnon è limitato dalla necessità didare più o meno forma a uno stu-pido prodotto destinato a un’indu-stria più o meno sofisticata; percui, se devi insegnare qualcosa suldesign, devi insegnare prima di

tutto qualcosa sulla vita e devi insi-stere anche spiegando che la tecno-logia è una delle metafore della vi-ta».Con questo spirito Sottsass ha rin-novato profondamente la conce-zione del funzionalismo propriadella prima metà del Novecento,restituendo agli oggetti uno spes-sore simbolico ed emotivo. La mo-stra presenta le varie tipologie pro-gettuali che hanno visto impegna-to l’architetto con accostamentisempre nuovi di forme, materiali ecolori. Ecco dunque i gioielli, rea-lizzati dagli anni ’60 ad oggi, e pre-sentati insieme per la prima volta,oppure i vetri, vera passione delgrande architetto. Eccezionale la

sezione dedicata alla ceramica: lapiù importante retrospettiva mairealizzata sul lavoro dell’artista inquesto campo, ambito in cui lasottsassiana interpretazione del-l’incontro tra spiritualità orientalee materialismo occidentale si fa piùevidente. Ma è soprattutto nellaprogettazione dei mobili, che laforza innovativa dell’ingegno diSottsass non conosce ostacoli, fa-cendo dell’architetto una figuracentrale del design internazionale.La seconda sezione della mostra sipropone come la prima antologicasull’attività di Ettore Sottsass ar-chitetto e ripercorre, attraverso uncentinaio di disegni, schizzi e mo-delli, l’intero arco della sua attività,dai primi lavori in collaborazionecon il padre agli inizi degli anni’50, al periodo dell’architettura ra-dicale sino ai progetti realizzati conlo studio Sottsass e Associati e aquelli attualmente in corso.Quella di Sottsass è un’architetturadisegnata attorno all’uomo: unacreatività e una progettazione an-tropocentrica tesa a stabilire uncontatto organico tra la natura e lacostruzione, seguendo un’ideale disaggezza contadina ed interpretan-do i dettami del genius loci, ovverol’antico spirito protettore dei luo-ghi. Insomma, un maestro dallastraordinaria, ironica, fresca creati-vità, che continua a stupire.

Info: Tel. 800.397760; sito web:www.mart.trento.it.

Mostre

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ROVERETO - MART

Il design metafora della vita

Ettore Sottsass fino al 22 maggio

Sottsass è nato a Innsbruck nel 1917.

A partire dagli anni ’50ha affiancato all’attivitàarchitettonica la ricerca

sul design, avviandorapporti di

collaborazione conrinomate gallerie, musei

e aziende. La mostra al MART di Rovereto

curata da Gabriella Bellie Milco Carboni

propone due sezionitematiche: una dedicataal design non industrialee l’altra all’architetturaCasa Mourmans e sopra Casa Wolf

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Mostre

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PALAZZO FORTI

Olivieri e RivadossiAlla Galleria d’Arte Moderna due mostre in contemporanea fino al 12 giugno.Si tratta di artisti locali di fama internazionale, diversi nelle scelte e negli esiti

artistici. Il primo pittore, il secondo scultore e designer

di Laura Muraro

La Galleria d’Arte Moderna diPalazzo Forti a Verona torna a fo-calizzare l’attenzione sull’arteitaliana e lo fa con le mostre incontemporanea dedicate a dueartisti locali ma di fama interna-zionale: il pittore veronese Gior-gio Olivieri e lo scultore-designerbresciano Giuseppe Rivadossi.L’attività e l’opera di Olivieri eRivadossi coprono il medesimoarco di tempo che va dagli anni’70 ad oggi: è il solo dato che ac-comuna questi due artisti, pres-soché coetanei, ma così diversinelle scelte e negli esiti artistici.

GIUSEPPE RIVADOSSIIL CUSTODE DEL TEMPO

Giuseppe Rivadossi, designer escultore, è nato nel 1935 a Nave, inprovincia di Brescia, dove risiede edove si trova la sua famosa “Offici-na Rivadossi”.Esordisce negli anni ’60 con scul-ture in legno e terracotta, quindidedica la sua attenzione allo spaziocasa trasformando la vecchia fale-gnameria del padre Clemente, dalquale aveva ereditato l’amore perl’arte, in un cantiere-studio, avva-lendosi della collaborazione dei fi-gli e dell’aiuto di un’equipe specia-lizzata. Qui si elaborano progetti esi realizzano mobili, strutture e si-tuazioni per lo spazio abitativo do-ve il legno è la materia principe,usata nel massimo rispetto dellesue caratteristiche. A Verona si po-trà vedere una raccolta di opererealizzate nella lunga stagione

creativa di Rivadossi: dalle sculturealle opere di design.Per quanto riguarda la scultura,dopo le iniziali esperienze giova-nili, nascono prima i nudi bronzeidi donna, vista come archetipodella vita stessa, e altre sculture li-gnee, poi, negli anni ’90, opere interracotta, pietra e bronzo rappre-sentanti la maternità.Il Rivadossi designer, definito ilGaudì italiano, propone neglianni ’70 credenze, contenitori,madie in legno dalle forme chiu-se, semplici, forti e simbolica-mente protettive, e alcune mossein superficie da cavità e apertu-re. Successivamente l’idea di fu-sione fra uomo, storia, natura,ambiente e quella della casa co-me rifugio gli fanno realizzareopere massicce, possenti e dimaggior impatto. Ne seguonoaltre che presentano invece unamaggior leggerezza strutturale e

altre ancora che ricercano piùfunzionalità e linearità.«Il lavoro di Rivadossi, sia comescultore che come designer – spie-ga Giorgio Cortenova, direttoredella Galleria d’Arte Moderna ecuratore di entrambe le mostre –,richiama una visione della formaplastica contenitrice dello spazioche si innesta nel solco della tradi-zione italica. L’arco etrusco, passa-to poi al mondo romano, è la piùcompiuta rappresentazione diquesta idea. Suggerisce infatti unaforma costruttiva che è uno spaziovivibile all’interno della stessa eche, trasformato in navata, abside earcata, continua poi nella tradizio-ne romanica e gotica nord euro-pea. Nell’opera di Rivadossi emer-gono quindi una grande forza chederiva dalla storia artistica e archi-tettonica cui egli si richiama, unagrande concezione del tempo chegravita nello spazio e ancora ungrande slancio mistico che derivadall’attenzione all’arte gotica».Per spiegare il titolo di questaesposizione “Giuseppe Rivadossi - ilcustode del tempo” si deve far riferi-mento al rapporto fra l’artista e iltempo. «Mentre lo spazio è misu-rabile concretamente, la misura deltempo è un concetto puramentevirtuale e astratto ed esiste solonella nostra coscienza ed esperien-za mentale – conclude Cortenova–. Ma gli artisti cercano da sempredi rappresentarlo visivamente e lofanno attraverso l’unico strumentoa loro disposizione: lo spazio. Iltempo viene raffigurato quindi co-me prospettiva nella pittura e co-me vuoto lasciato dal pieno dellamateria nelle arti plastiche». E ciòvale anche per Rivadossi.

«Il lavoro di Rivadossi,sia come scultore che

come designer – spiegaGiorgio Cortenova,

direttore della Galleriad’Arte Moderna e

curatore di entrambe lemostre –, richiama una

visione della formaplastica contenitrice

dello spazio che siinnesta nel solco della

tradizione italica.L’arco etrusco, passatopoi al mondo romano,

è la più compiutarappresentazione di questa idea»

Giuseppe Rivadossi

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Mostre

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«L’artista lavora sulle relazioni che ci sono tragli elementi della pittura (luce, superficie,

spazio)così che ogni elemento si viene a trovare sull’orlo dell’altro»

Giorgio Olivieri nasce nel 1937 a Verona, dove vive e lavora. Sidiploma all’istituto d’Arte di Modena ed inizia la sua attivitàespositiva alla fine degli anni ’50, partecipando a mostre edesposizioni in Italia e all’estero, sviluppando la propria ricercanell’ambito della pittura non oggettiva.A Palazzo Forti si potrà trovare una scelta di opere eseguite fragli anni ’70 e ’90, che vanno da “quadri-oggetto”, geometrici emonocromi, a lavori caratterizzati da una maggiore libertàespressiva e cromatica, dove bande multicolori o bastoncini co-lorati sono disposti ai bordi di fondi monocromi. Si passa poi amatasse di colore filamentose e opere caratterizzate dalla pre-senza di sabbie, impasti acrilici, spaghi, fino a dipinti più recen-ti percorsi ancora da corde, ora però impreziosite da nappe che sidispongono lungo il perimetro della tela o ne intersecano la su-perficie.«Questa antologica di Olivieri – spiega Cortenova – si inseriscein un percorso di sviluppo e approfondimento di “Astratta”, unaprecedente mostra ad ampio raggio storico che riuniva le espe-rienze dell’arte astratta italiana dal dopoguerra agli anni ’90.Questo artista infatti, fin dai suoi inizi, ne ha seguito la tracciafornendole un serio contributo, specie nell’ambito della cosid-detta “nuova pittura” e rivelandosi in questo settore uno dei pit-tori italiani più apprezzati anche a livello europeo. È stata la suastoria a suggerirci di allestire una antologica che percorra il suoiter artistico, molto utile anche per capire come le esperienze del-l’arte astratta, nate intorno agli anni ’70, si siano sviluppate nelcorso di oltre 30 anni».Il titolo della mostra in questione “Giorgio Olivieri. Sull’orlodella luce” chiarisce ulteriormente il significato dell’opera diquesto nostro concittadino, autore di una pittura semplice, mi-nima ed essenziale . «L’artista lavora sulle relazioni che ci sonofra gli elementi della pittura (luce, superficie, spazio) – precisa ildirettore della Galleria –, così che ogni elemento si viene a tro-vare sull’orlo dell’altro. In particolare questo artista concentrala sua attenzione sul rapporto che c’è fra la luce e il buio (ele-menti primari della pittura): si colloca quindi al confine fra l’u-no e l’altro».

GIORGIO OLIVIERI. SULL’ORLO DELLA LUCE

Giorgio Olivieri

di Silvia Castagna

«A me non interessano le imma-gini, viviamo nelle immagini sia-mo immersi nelle immagini, tuttivogliono fare immagini. Io lavorocontro l’immagine, la trovo uncongegno funebre e angoscioso».Si apre con questa affermazione,criptica e apparentemente para-dossale per uno che di mestiere falo scultore, l’ultima mostra per-sonale, intitolata Rimozioni, diArcangelo Sassolino, giovane ar-tista che ha recentemente fattotappa a Verona, alla Galleria Artee Ricambi.Arcangelo Sassolino ha 38 anni,vive a lavora a Trissino, in provin-cia di Vicenza, con un passato didisegnatore di giocattoli in unafiliale americana della Casio. «Illavoro era creativo, interessante –spiega l’artista –. Mancava peròl’aspetto poetico della creazione».Si iscrive dunque alla School of Vi-sual Art di New York, dove scopre

ciò che definisce la sua fede. «Miaffascinava l’idea di costruire og-getti apparentemente inutili, nonfunzionali, che fossero, tuttavia,espressione di valori fondamen-tali per l’uomo». Abbandona igiocattoli, rientra in Italia e iniziala sua carriera artistica. Si lega allagalleria milanese Grossetti doveallestisce tre mostre personali:Concrete Matters nel 2001, MiArte Art Cologne nel 2002 e nel 2003.Contemporaneamente partecipaad alcune collettive, fra cui: N-Eossia Nordest, a Milano, Materia eNiente a Venezia, alla FondazioneBevilaqua, Mito-Logica-Mente aCastelbasso (in provincia di Tera-mo) e Autonomie di Milano.La sua produzione viaggia a ca-vallo tra l’arte e l’architettura:«Mi interessa intaccare i pianispaziali, non solo usarli come pie-distalli. Per questo taglio l’archi-tettura, la rimuovo dalla propriasede». È il caso dell’opera Rimo-zioni, in pratica un pezzo di pavi-

ARTE MODERNA

Oggetti inutilima densi

di significatoArcangelo Sassolino scopre la sua fede

artistica alla School of Visual Art di New York

Arcangelo Sassolino

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mento strappato dal suolo: quin-tali di piastrelle e calcestruzzo aformare un quadrato di 20 metri,tenuto insieme da una rete metal-lica elettrosaldata e sospeso peraria grazie a cavi di metallo. «Èuna rivoluzione concettuale –spiega l’artista –. La galleria di-venta essa stessa oggetto artistico,il contente si fa contenuto». Per lesue opere, spesso enormi, usa ma-teriali standard da costruzione.Le sue creazioni sono lastre eparallelepipedi grandi come pa-reti, color grigio opaco come ilpiù comune cemento da cantieri.Sassolino parla di «riferimentoantropologico» per spiegare lascelta del cemento come materia-le scultoreo. È infatti il cemento adominare il paesaggio del Nord-est italiano, fra capannoni, pre-fabbricati, centri commerciali, ri-vendite all’ingrosso e locali, maspiega: «Il mio non è un elogio alcemento, quello che mi interessaè la sua lavorabilità, la sua valen-za sociale, e poi non riesco a sfug-gire dal fare qualcosa di fisica-mente pesante». E “fisici” i suoilavori lo sono di certo: evocano ilsenso della pesantezza, dellamassa, della pressione trattenuta,di stridore di superfici in attrito

Mostre

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Arcangelo Sassolino. Rimozioni

fra loro. Non possiedono alcunospunto figurativo, nessun riferi-mento a icone dei media. «Mipiace lavorare sull’oggetto» con-ferma «i miei lavori sono conte-nitori di pressione, non mi inte-ressa creare figure simboliche orappresentative».Delle immagini e di chi le crea, icosiddetti creativi, Sassolino dif-fida con ironia: «Oggi si confondela creatività con l’arte, invece nonsono la stessa cosa. L’arte impiegaventi a volte trent’anni a com-piersi e quando ciò accade fa terrabruciata di tutta questa abbon-danza di creativi». Non teme leaffermazioni nette Arcangelo, néle difficoltà legate alla realizzazio-ni di opere così complesse, fatico-se da allestire e da trasportare.«Nell’arte bisogna avere pensieriradicali, bisogna aver coraggio». Eaggiunge:«Per fare arte bisognaavere un forte senso del propriotempo e della propria cultura. Sidevono fare i conti con ciò che ciha preceduto e fare scelte precise.Le mie sculture sono espressionedi un tempo compresso, di unamemoria continua. Fare arte –conclude Sassolino – è il tentativodi conciliare la coscienza di esiste-re con il resto della realtà».

«Oggi si confonde la creatività con l’arte, invecenon sono la stessa cosa. L’arte impiega venti, a voltetrent’anni a compiersi e quando ciò accade fà terrabruciata di tutta questa abbondanza di creativi»

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Mostre

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Mostre

VERONA

La collezione Fnacagli Scavi ScaligeriNata nel 1978 sarà in città a maggio. Potremo così ammirare

i 400 scatti che hanno fatto la storia della fotografia

di Wilma Quartarolo

In principio – forse molti non losanno – fu solo fotografia. Poi,solo poi, alla Fnac vennero anchelibri, dischi, cd, apparecchiaturetecnologiche e tutto il resto.Attualmente la società è presentein tutto il mondo con oltre 100punti vendita e fa parte del Grup-po Pinault-Printemps-Redoute(PPR).Le origini però sono sacre e la fo-tografia rimane senza alcun dub-bio una parte fondamentale diquesto percorso di successo. A te-stimoniarlo sono proprio le pre-ziose immagini raccolte ed acqui-state dalla Fnac in più di mezzosecolo di attività culturale e com-merciale in una prestigiosa colle-zione che dal prossimo 6 maggiovedremo allestita negli spaziespositivi del Centro Internazio-nale di Fotografia - Scavi Scalige-ri, organizzata in collaborazionecon il Comune di Verona.La collezione Fnac, nata nel 1978per un’iniziativa dell’allora diret-tore delle Gallerie Fnac Gil Mi-jangos, si compone in realtà dipiù di 2000 stampe originali enegli ultimi anni ha fatto tappain numerose città italiane ed eu-ropee. Ha come intento principa-le quello di conservare una me-moria storica e documentaristicadelle esposizioni organizzate nelcorso degli anni nei suoi negozi,ma anche quello di proseguirel’impegno costante nella diffusio-

ne e nel sostegno dell’arte dellafotografia e di giovani artisti ditalento.La mostra veronese presenta unaselezione di circa 400 scatti chehanno fatto la storia della fotogra-fia, come quelli celebri di Daguer-re, di Cartier Bresson, Man Ray,Berenice Abbot, Robert Doisenau,Erwit, Brassai, Berengo Gardin,Ghirri, Tina Modotti e di moltissi-mi altri autori di enorme spessoreartistico, senza trascurare anchealcune opere di giovani talenti.Svincolate da limitazioni tempo-rali, tematiche o stilistiche, le im-magini spaziano dai più svariatigeneri fotografici: ci sono ritratti,riproduzioni paesaggistiche, re-portage, immagini di moda edanche lavori di ricerca e speri-mentazione.Si tratta di una raccolta di stampeche, a detta degli stessi promoto-ri, intende mantenersi libera daconsiderazioni speculative e svin-colata da limitazioni temporali ostilistiche. Così come era stato delresto negli intenti di chi, fin dalla

Così il primo negozio aperto nel1954 da due lungimiranti im-prenditori francesi, Andrè Essel aMax Theret, è sì un punto di ven-dita di articoli fotografici, maospita al contempo opere di gio-vani artisti di talento, presentamostre di pregio culturale, socialee storico, organizza dibattiti eworkshop. Diventa in breve tem-po punto di riferimento di moltiappassionati dello scatto in bian-co e nero.L’idea, decisamente all’avanguar-dia per l’epoca, è affascinante edottiene larghi consensi e ricono-scimenti in tutta la Francia. Fnaccoglie al volo l’occasione di pro-muovere la propria attività: allar-ga gli orizzonti, apre nuovi negozie centri culturali, varca i confini,organizza altre mostre, cominciaad acquistare e mettere da parteimmagini rare ed importanti e sidedica contemporaneamente an-che alla vendita di libri, dischi eapparecchiature elettroniche divario genere. Decide che sempre– comunque – all’interno dei suoinegozi uno spazio debba esserededicato all’incontro, al dibattito,all’evento culturale.Il resto è storia contemporanea:Fnac diventa in qualche decennioil famoso colosso commerciale edimprenditoriale che tutti cono-sciamo.

seconda metà del secolo scorso,ebbe l’idea di creare Fnac, chemuove i primi importanti passi inuna Parigi (e non poteva esserealtrimenti) ricca di fermenti arti-stici e culturali che toccano ognigenere espressivo, in primis, na-turalmente, un’arte giovane e co-involgente quale la fotografia.

Jean Shrimpton (David Bailey).Acquisizione Fnac del 1984

Bord de Sein (Henri Cartier-Bresson)Acquisizione Fnac del 1976

Ascension (Clark et Pougnard)Acquisizione Fnac del 2001

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Mostre

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a cura di Maria Grazia Tornisiello

Monet, la Senna, le ninfee.Il grande fiume, il nuovo secoloFino al 3 aprile Brescia, Museo di santa GiuliaUna delle più grandi storie della pittura in Eu-ropa, narrata in oltre 110 opere provenienti damusei e collezioni di tutto il mondo. Un fiumeche è diventato una leggenda dell’arte.Tel. 0438.412647;e-mail: [email protected];web: www.lineadombra.it.

I sentieri delle origini Fino al 9 aprileMilano, Galleria AgoràrteÈ il titolo della prima personale italiana di Em-manuel Rocco-Cuzzi, esponente della giovanepittura sudamericana. La mostra raccoglie qua-ranta opere che rappresentano luoghi irrealitrasformati in altari su cui sono dipinti segniprimitivi, monoliti e totem.Tel. 02-86917441;e-mail: [email protected];web: www.agorarte.com.

Primaticcio, un bolognese alla corte di FranciaFino al 10 aprileBologna, Palazzo di Re Enzo e del PodestàLa rassegna è già stata presentata al Louvre edora giunge in Italia con alcune aggiunte. Il per-corso si dipana illustrando lo sviluppo dell’artedi Francesco Primaticcio, che riunisce lo spiritodel Manierismo italiano con le influenze del Ri-nascimento francese. Tel. 800.697616;web: www.primaticcio.it.

Gaetano Pesce. Il rumore del tempoFino al 18 aprile Milano, Fondazione la Triennale di MilanoLa Triennale di Milano presenta la prima gran-de mostra mai realizzata in Italia sull’architettoe designer Gaetano Pesce. L’esposizione, suddi-visa in nove capitoli, ognuno dei quali mette afuoco questioni affrontate dall’artista nelle sueopere, si avvale di oggetti, disegni, testi e video.Ogni quindici giorni un personaggio conosciu-to, non necessariamente un esperto, sceglierà dimostrare alcune opere e nasconderne altre.Tel. 02.724341;web: www.triennale.it.

Sotto l’ombrello della fantasia.Gianni Rodari e i suoi maggiori illustratori dal 1950 a oggiFino al 25 aprileCentro Arte Contemporanea di Cavalese (TN)Un’inedita esposizione che permette di riper-correre la felice produzione di Gianni Rodari,

importante figura della letteratura per l’infan-zia in Italia e in Europa, attraverso un’esposizio-ne dedicata ai bozzetti originali dei più famosiillustratori. Tel. 0462.235416;e-mail: [email protected];web: www.artecavalese.it.

Omaggio al Quadrato Fino al 30 aprileBologna, Museo Morandi, Palazzo d’AccursioIl Museo Morandi di Bologna, in collaborazio-ne con il Museo Josef Albers Quadrat di Bot-trop in Germania e con la Anni and Josef AlbersFoundation di Belthany nel Connecticut, ospitala retrospettiva sul maestro del Bauhaus tedescoJosef Albers. In mostra dipinti, opere su carta,fotografie e oggetti, ma soprattutto i famosiOmaggi al quadrato e le Varianti della fine deglianni ’50 e ’60, i tanti studi su carta e i fotocolla-ge. Tel. 051.203128;e-mail: [email protected];web: www.museomorandi.it.

Il Bello e le bestie.Metamorfosi, artifici e ibridiDal mito all’immaginario scientificoFino all’8 maggio 2005Mart di Rovereto (TN)Dalla mitologia classica alle manipolazioni del-l’età contemporanea, l’ibrido come incrocio traumano e animale, spirituale e carnale, comemetafora della realtà e punto di vista sul mon-do. Centauri e sirene, fauni e meduse, sfingi earpie, visioni di sogno e apparizioni da incubonella cultura visiva occidentale tra passato, pre-sente e futuro.Tel. 800.397760;web: www.mart.trento.it.

Camille Pissarro. Impressioni InciseFino all’8 maggioCentro d’Arte e Cultura Brolo MoglianoVeneto (TV)Dedicata a uno dei fondatori del movimentoimpressionista, Camille Pissarro, e promossadall’assessorato alla Politiche culturali, la rasse-gna moglianese presenta oltre 90 dipinti chefanno il punto sull’intensa e significativa operagrafica dell’artista francese.Tel. 041.5905151

Giovanni BoldiniFino al 29 maggio Padova, Palazzo ZabarellaLa grande retrospettiva su Giovanni Boldini(1842-1931): una selezione di circa centoventiopere illustra il percorso artistico del grandepittore, dalla giovinezza legata a Firenze all’a-desione al gruppo dei Macchiaioli, alla maturi-tà. Le opere esposte sono solo una porzione

della sua enorme produzione pittorica, prove-nienti dai maggiori musei e collezioni privateeuropee e americane.Tel. 049.8753100;e-mail: [email protected].

Paolo Veronese. Miti, ritratti, allegorieFino al 29 maggioVenezia, Museo Civico CorrerLa mostra propone trenta capolavori attraversoi quali indagare i caratteri innovativi e peculiaridell’ opera di Paolo Veronese, dalle allegorie aglisplendori degli anni ’70 e ’80, dai ritratti allescene mitologiche, caratterizzati da una visionefavolosa, sensuale e vibrante. Si tratta di opereprovenienti da collezioni e musei europei eamericani, in molti casi mai esposte in tempimoderni in Italia.Tel. 041.5209070;e-mail: [email protected];web: www.museiciviciveneziani.it.

Nicolò dell’Abate. Storie dipinte nella pitturadel Cinquecento tra Modena e FontainebleauFino al 19 giugnoModena, Foro BoarioIn mostra circa 250 lavori, tra dipinti, disegni,incisioni, sculture e oggetti della produzionesuperstite di Nicolò dell’Abate, l’artista famosoper i suoi fregi e i suoi paesaggi, artisticamenteattivo presso la corte del re di Francia, ma ancheopere del Correggio, del Dosso, di Girolamo daCarpi, di Parmigianino e Pordenone.Tel. 059.200100.

Andrea Palladio e la Villa Veneta.Da Petrarca a Carlo ScarpaFino al 3 luglio 2005Vicenza, Museo PalladioUn viaggio affascinante attraverso 300 opereprovenienti da oltre cinquanta musei interna-zionali, tra cui dipinti di Veronese, Tiziano, Tin-toretto, Guercino e un itinerario che tocca lepiù belle fra le quasi 5mila ville disseminate traVeneto e Friuli.Tel. 199.112.112;web: www.cisapalladio.org.

Il vino di Dioniso - Dei e uomini a banchettoFino al 31 agostoRovereto (TN), Museo CivicoMostra che presenta una selezione di eccezio-nali materiali archeologici, del periodo magno-greco e dell’età romana, in gran parte prove-nienti dal Museo di Metaponto e con una sceltadi reperti appartenenti alle collezioni del Mu-seo Civico di Rovereto.Tel. 0464.439055;e-mail: [email protected];web: www.museocivico.rovererto.tn.it.

DA VEDERE FUORI PORTA

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Cultura

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di Guido Gonzato

Anni fa mi capitò di sentire ilcommento di una coppia di turi-sti inglesi che dalla Stazione am-miravano, incantati, la cerchia dimontagne innevate che contor-nava la città: «Che meraviglia.

Non sapevamo che ci fosse tuttaquesta natura vicino a Verona!».Anche molti veronesi non sannoche nella nostra provincia ci sonotanti piccoli paradisi da visitare.Il termine sembrerà forse esage-rato o retorico, ma non lo è: bastiricordare i toni entusiastici concui lo scrittore tedesco WolfgangGoethe descrisse il panorama dalui goduto dal crinale del MonteBaldo.

LA VALLE DEI PROGNI

Una delle particolarità naturali-stiche che più rappresentano iMonti Lessini sono le profondeincisioni vallive, denominate lo-calmente “vaj”, che si dipartonodalle Piccole Dolomiti a formareun bel ventaglio rivolto verso laPianura Padana. Sul fondo dellenostre vallate raramente possia-mo incontrare un corso d’acqua,se non in caso di forti piogge: in-fatti, a causa della natura carsicadel territorio, l’acqua viene as-sorbita nel sottosuolo.Naturalmente, ci sono delle ecce-zioni a questa regola. Il più bel-l’esempio è forse rappresentatodalla meravigliosa oasi naturali-stica denominata “Valle dei Pro-gni”, ovvero la “Valle dei torren-ti”. Situata pochi chilometri anord dell’abitato di Fumane, inValpolicella, la Valle dei Progni èun piccolo bacino idrografico re-lativamente separato dal restodella Lessinia. In termini sempli-

ci, si tratta di un’area dove varipiccoli torrenti confluiscono inuno unico, il Progno di Negrar:uno dei pochissimi della Lessiniaa non essere quasi mai in secca.La zona della Valle dei Progni habeneficiato di particolari atten-zioni da parte del Creatore, chesembra avervi voluto concentrareun gran numero di meravigliedella Natura. La vallata è infattimolto raccolta, silenziosa, com-pletamente ricoperta di verde:prati nel fondovalle, fitta bosca-glia lungo i versanti. Il rumoredella civiltà sparisce, sembra es-sere assorbito dalla vegetazione;gli unici strepiti sono il canto de-gli uccelli e il mormorare del tor-rente. Numerose piccole vallatelaterali si innalzano ripide su en-trambi i versanti, formando spes-so pareti verticali di roccia: veri epropri piccoli canyon umidi eombrosi, da cui spesso scendonominuscoli rigagnoli. Vi trovanoriparo numerosi animali selvati-ci, come la volpe, il tasso, loscoiattolo e diverse specie di anfi-bi e di rettili.

GIUSEPPE PERIN

Conosciuta in precedenza solodai contadini della zona, neglianni ’60 e ’70 la Valle dei Prognivenne “riscoperta” da GiuseppePerin: naturalista, insegnante discienze, poeta e instancabile di-vulgatore. Molti si ricordano dilui come Fratel Perin: era infatti

Territorio

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L’ESCURSIONE

La Valle dei Progni:un tesoro da conservareIl Parco della Val Sorda si raggiunge percorrendo la vecchia strada per Molina,prima dei tornanti. Già all’inizio del percorso si possono ammirare le bizzarre

forme scavate nella roccia dall’acqua e dal ghiaccio nel corso dei millenni

Il sentiero segue il torrente ed è spesso

attrezzato concorrimano, catene,scalette e passerelle

Il particolare habitat della Val Sorda

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un membro laico della comunitàdi Don Calabria.

L’IDEA DEL PARCO

Esplorando la zona per motivi diricerca archeologica (oltre a tuttoil resto, la Valle dei Progni è an-che ricca di importantissimi siti ereperti preistorici), Fratel Perinrimase colpito dalla bellezza deiluoghi, peraltro decisamente im-pervi e difficili da visitare. Decisequindi che avrebbe fatto in modoche tutti potessero goderne: eranata così l’idea della realizzazio-ne del Parco delle Cascate di Mo-lina e del Parco della Val Sorda.Quest’ultima è una profonda in-cisione che scende dall’abitato diMondrago. L’imbocco della vallesi trova lungo la vecchia stradaper Molina, dove iniziano i tor-nanti; qui si può parcheggiare e siincontrano i cartelli che segnala-no l’inizio del percorso. Il sentie-ro segue il corso del torrente, ed èspesso attrezzato con corrimano,catene, scalette e passerelle; l’ac-cesso non è purtroppo possibileai disabili e i bambini piccoli. Ilpercorso completo fino a Mon-drago richiede all’incirca un paiod’ore; da qui, altri sentieri con-ducono a Molina.

LA TRADIZIONE E IL DEMONIO

Fratel Perin sosteneva, non soquanto seriamente, che il nomedi Mondrago deriverebbe da De-

mon Drago: la tradizione locale,infatti, attesta la costante presen-za del demonio nella zona. In ef-fetti, durante il periodo invernalela Val Sorda è cupa e ombrosa, eha un certo che di dantesco. Fra-tel Perin si adeguò comunque aquesta diceria, e com’era solitofare battezzò alcune particolaritàgeologiche con nomi come “labalera dei diavoli”, “le improntedei demoni”e così via.

IL PERCORSO

Già all’inizio del percorso si am-mirano le bizzarre forme scavatenella roccia dall’acqua e dalghiaccio nel corso dei millenni.Sulle pareti si leggono ancora leindicazioni scritte da Fratel Perinper l’utilizzo di alcune attrezza-ture (teleferica, altalena, via fer-rata), rimosse in seguito per mo-tivi di sicurezza, e per evidenziarei dettagli geologici più interes-santi. Tra questi, un filone verti-cale di basalto, spesso meno dimezzo metro, che taglia gli stratidi calcare grigio, visibile sulla de-stra per chi risale la valle. Semprein quella direzione, poco piùavanti, si osserva una bancata dicalcare grigio, composto quasiinteramente di gusci fossilizzatidi un mollusco bivalve tipico diquesti strati: il Lithiotis problema-tica. Per chi sa guardare, ci sonoanche splendidi esemplari di pic-cole spugne fossili che, essendoper fortuna poco appariscenti,

sono sfuggiti all’attenzione deiraccoglitori. A tale proposito, datenere presente che la Val Sordafa parte del Parco della Lessinia, eche quindi vige il divieto di rac-colta di piante, animali e rocce.

MASSI E CASCATE

Proseguendo lungo la valle, ilsentiero diventa a tratti piuttostoimpegnativo. Le passerelle e lescale aggirano e scavalcano dicontinuo enormi massi, cascate,scivoli naturali coperti di mu-schio e mucillagine. In un puntosituato a circa metà percorso, ilsentiero sembra terminare con-tro una cascata: invece si seguonole indicazioni, ci si infila sotto unmasso in una piccola grotta, si faattenzione a non sbattere la te-sta... e si emerge qualche metropiù in alto, dove si può prosegui-re con maggior facilità. Se porta-

te bambini, state certi che saran-no entusiasti della piccola avven-tura!Il fondo del torrente è cosparsodi ciottoli bianchi e neri. Paradi-so e Inferno, diceva Fratel Perin:calcare bianco, formatosi dalfondo melmoso di antichi maritropicali, e basalto nero, lava cheveniva a giorno in filoni chesconvolgevano il fondo di queimari.Mano a mano che si sale, diven-tano sempre più frequenti anchei frammenti di selce: una roccialiscia, simile a vetro colorato, concui i nostri antenati costruivanoi loro strumenti. Se avete la pos-sibilità di farvi accompagnare daqualcuno che ne capisce, vi indi-cherà che alcuni dei frammentidi selce sono chiaramente lavo-rati dalla mano dell’uomo. Finoai primi anni del Novecento, in-fatti, sopravviveva l’industriadella fabbricazione delle pietreda acciarino e la selce grigia dellazona si prestava molto bene alloscopo. Piccoli frammenti rettan-golari di selce lavorata, cioè pic-cole lame da acciarino mal ri-uscite, sono piuttosto frequentida trovare. Raccoglietele, osser-vatele, e poi rimettetele a terra!L’ultimo tratto del sentiero, chesi inerpica uscendo dalla valleper raggiungere i prati di Mon-drago, è letteralmente ricopertodi schegge di selce. Qui l’espertopotrà anche riconoscere scarti dilavorazione di manufatti risalen-ti alla preistoria. La valle terminapoche centinaia di metri piùavanti, il sentiero raggiunge unastrada bianca che conduce aMondrago. Dopo il meritato ri-poso, decidete se tornare indie-tro o se proseguire per Molina eda qui, con una passeggiata facilema piuttosto lunga, tornare allabase.

IL PROBLEMA DELLE CAVE

Rientrando verso Verona, pensa-te se la visita alla Valle dei Prognie alla Val Sorda vi ha risollevatolo spirito. Credo che non ne du-biterete. Considerate allora sevarrà la pena darsi da fare per di-fendere questo piccolo paradisodal pericolo che una nuova cava,di cui si prospetta l’apertura, losfiguri per sempre.

Territorio

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Fratel Perin rimasecolpito dalla bellezza

dei luoghi. Decisequindi che avrebbe

fatto in modo che tuttipotessero goderne: eranata così l’idea della

realizzazione delParco delle Cascate

di Molina e del Parcodella Val Sorda

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di Michele Domaschio

C’è una scala, in Praça do Comer-cio: ti ci portano i vecchi lisboeti, segli offri qualche spicciolo e un sor-riso. È una scala speciale: parte im-ponente dalla balaustra che deli-mita la piazza, e i suoi gradini di-scendono – sempre più coperti difango e salsedine – fino a immer-gersi nelle acque del Tago. Qui lacittà finisce e inizia il suo amoreper il fiume.Lisbona digrada indolente verso ilTago come questa scala, e ti lasciauna malinconia che nessun pontepuò colmare, nemmeno se si pro-tende con le imponenti arcate del“25 de Abril”, il monumento archi-tettonico che celebra la storica e in-cruenta Rivoluzione dei Garofani.Abituata a nascere e rinascere dalleacque, Lisbona ha vissuto epochedi fastoso splendore e straordina-ria decadenza. Dopo il terremotodel 1755, ad esempio, il marchesedi Pombal la fece nuovamente ab-bellire con palazzi traboccanti di

stucchi e ori, e nemmeno gli incen-di che a più riprese hanno marto-riato l’Alfama, il quartiere storicodella città, sono stati in grado d’in-taccarne il fascino.La città conserva gelosamente lamemoria del suo glorioso passato,più con la Torre di Bèlem – a dire ilvero – che con il moderno monu-mento ai navigatori, un passatofatto di grandi speranze di là dal-l’oceano e altrettanto enormi illu-

sioni svanite. La si sarebbe definitauna superpotenza, questa terra lu-sitana, negli anni d’oro del 1600,quando le navi solcavano spavaldeil mare per tornare colme dei tesoridelle Americhe. Un declino lento einvisibile ne ha fatto il punto d’ap-prodo, in epoche ben più recenti,degli eredi derelitti delle ultime ve-stigia del colonialismo europeo: ivolti africani dei nativi provenientidall’Angola, dal Mozambico e dalla

Guinea ancora punteggiano i vico-li dei quartieri più malfamati.Per ammirare l’intero dispiegarsidell’urbe – ininterrotta alternanzadi strette viuzze e lussuose avenida,di ripide salite ove arrancano itram e piazzette appartate, ottimeper riposarsi e gustare un caffè – sipuò scegliere l’ottima visuale offer-ta dal Castello de Sao Jorge. Oppu-re, per i più pigri, ricorrere all’Ele-vador de Santa Justa, un vero eproprio ascensore che collega laparte bassa e la parte alta della cit-tà: progettato da Eiffel, come la piùfamosa torre è un catafalco di pu-trelle e bulloni, inserito però in unanfratto seminascosto tra le case,ben diverso dalla svettante e altez-zosa parente parigina.Le rotaie che portano al Barrio Al-to sono invece il viatico miglioreper accostarsi all’imponente fac-ciata della cattedrale, del Carmo,alla chiesa Pantheon di Santa En-gràcia, dove si rifugiano le beghineinfastidite dal rutilante vociare deituristi. In una scalcinata tabacche-

Viaggiare

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PORTOGALLO

Lisbona, sogni mancatiLa città ha un glorioso passato. Una superpotenza negli anni d’oro del 1600,

quando le navi solcavano l’oceano per tornare colme dei tesori delle Americhe

La letteratura portoghese è stata per lunghi anni sovrastata dalla figu-ra di Fernando Pessoa (1888-1935), poeta estremamente eclettico, ca-pace di esprimere il proprio talento ricorrendo a diversi pseudonimi,ciascuno dei quali dotato di una propria cifra stilistica (dall’orazianoRicardo Reis, al bucolico Alberto Caeiro, al futurista Alvaro de Cam-pos e così via). L’opera completa di Pessoa è stata pubblicata dopo lasua morte, fino al 1974. In Italia ne dobbiamo la conoscenza alloscrittore Antonio Tabucchi, che ha compiuto un’imponente opera ditraduzione e si è dedicato alla figura dello scrittore portoghese ancheattraverso la stesura di saggi critici e testi teatrali a lui ispirati.Più di recente, il panorama letterario portoghese ha visto affermarsila scrittura avvolgente di Antònio Lobo Antunes, autore capace di de-

scrivere nei suoi romanzi la decadenza della sua terra (dall’imperoperduto, alla dittatura di Salazàr, alla difficile transizione verso la de-mocrazia) come simbolo della corruzione dei costumi umani. Le pri-me opere tradotte in Italia sono state “In culo al mondo” e “Le navi”(editi da Einaudi), che hanno subito incontrato l’interesse dei lettori,affascinati da uno stile di scrittura-recitata, sospesa sul confine traepica e tragedia. Il ritmo narrativo ha sicuramente trovato manifesta-zione ancor più compiuta nei romanzi successivi, “Trattato delle pas-sioni dell’anima” (1998), “Il manuale degli inquisitori” (1999), “L’or-dine naturale delle cose” (2001), sino al recente “Che farò quando tut-to brucia?” (Feltrinelli, 2004), vera e propria discesa agli inferi sullosfondo di una crepuscolare e attonita Lisbona.

Letteratura: da Pessoa ad Antunes

Lisbona, Praça do Comércio

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Libri

inVERONA 35

Tutto è iniziato per passione, perla volontà di far conoscere i pro-blemi della parte sfortunata delpianeta anche tra i grattacieli del-le ricche metropoli. Infine perPaolo Rossignoli, che a Verona ètitolare della Achab Edizioni, far-si amplificatore di chi fiato perurlare non ne ha quasi più è di-ventato un lavoro in opposizioneallo strapotere dell’informazioneglobale, o globalizzata che dir sivoglia.Rossignoli ammette di sentirsiun po’ come il mitico capitanodel romanzo di Melville, alla pe-renne ricerca di una balena bian-ca che gli sfugge dannandoglil’anima, e questo anche se nel lo-go della sua casa editrice MobyDick ha la l ingua rossa e losguardo simpatico che la fa asso-migliare a un delfino.

In questo gioco delle parti ci sia-mo inseriti anche noi di VeronaIn. Come novelli Ismaele (la vocenarrante delle avventure della ba-lena bianca) ci apprestiamo a rac-contarvi di questa realtà che è tut-ta veronese, ma che ha occhi ebraccia aperte sul globo.Lo “scaffale della balena” come lodefinisce l’editore, ospita parecchititoli, tra cui un volume dedicatoalla tragedia del Kosovo, dove siricostruisce l’immagine di unPaese conteso dalle grandi poten-ze per il possesso di una delle piùvaste riserve di carbone d’Europa.Si viaggia poi nell’Africa distruttadalla miseria, nel Burkina Faso,dove il rivoluzionario ThomasSankara, ostacolato dai grandi in-teressi internazionali, riuscì a da-re vita a uno sviluppo autonomodel Paese e fu per questo ucciso.Nato con la valigia in mano, dasempre impegnato nelle coopera-tive internazionali di volontaria-to, grazie alla curiosità di chi vuo-le conoscere i fatti da vicino, Ros-signoli da tipografo si è pianopiano trasformato in editore.«Mi sono accorto che l’informa-zione offerta dai principali canalimediatici è carente e spesso ma-nipolata – ci spiega –. Così, graziealla mia passione per il reportagee a una rete di informatori cheoperano nel volontariato sparsinei vari Paesi del mondo, nel 1998è nata la rivista Maiz (www.edi-zioni-achab.it/maiz) con la qualeci proponiamo di divulgare quel-

ria, vicina alla Cattedrale, l’anzianasignora di là dal banco elargiscesorrisi e francobolli per cartoline,ed è disarmante quando chiede sel’Italia fa parte dell’Unione Euro-pea. Forse è l’unica lisboeta rispar-miata dalla valanga pedatoria ri-versatasi la scorsa estate sul Paese:per un mese, infatti, il Portogallo èstato sotto i riflettori del continen-te e del mondo grazie agli Europeidi calcio, e poco importa se sul filodi lana il trofeo è andato agli sco-nosciuti greci. Anzi, sembra quasiinsito nel carattere di questo popo-lo arrivare sempre a sfiorare il suc-cesso, per poi perdere tutto a unpasso dal traguardo.Per consolarsi, niente di meglio delbacalhau, il merluzzo onnipresentesulle tavole del Portogallo. La tra-dizione popolare vuole che qui losappiano cucinare in 365 modi di-versi, perché per molto tempo que-sto è stato l’unico cibo da servire intavola ogni giorno dell’anno, estatee inverno, molto spesso insaporitodalla miseria e dalla fame dei com-mensali. Il bacalhau rappresenta,inoltre, un infallibile stratagemmaper riconoscere un ristoratore de-gno di questo nome: basta attende-re l’abbinamento etilico propostocon la pietanza, perché solo i piùconsapevoli ne esalteranno la ro-boante consistenza dandolo insposo a una buona caraffa di viñotinto, il rosso corposo della regionedel Douro. Gli sprovveduti, ligi allaregola “pesce-quindi-vino-bian-co”, tenteranno invece di magnifi-care le virtù del viño verde, unbianco giovane e un tantino sciapoche può andar bene, sì e no, per ipalati malaccorti delle torme nor-manne, solitamente acquartieratepresso gli esclusivi Club Med del-l’Algarve. Non a caso, autoctoni eturisti che bazzicano questa zona –ovvero l’estremo lembo meridio-nale del Paese, proteso a guardarele coste nordafricane – sono addi-tati dagli abitanti di Lisbona e ditutto il Nord come una massa dibeoti, magari con le tasche piene didenaro, ma certamente a corto dimateria grigia. Niente a che farecon gli occhi vispi dei ragazzini chegiocano a pallone per le via delRossio, a pochi passi dai tavolinidove Fernando Pessoa era solito fa-re tappa, per scrivere, riposarsi osolamente per contemplare la suacittà, il suo fiume.

VERONA

Edizioni AchabL’altra editoria

Una casa editrice come alternativa all’informazione globale.Con un particolare riguardo per quanto avviene a Cuba

Nato con la valigia in mano, da sempre

impegnato nellecooperative

internazionali divolontariato, graziealla curiosità di chi

vuole conoscere i fattida vicino, Paolo

Rossignoli da tipografosi è trasformato in

editore

PaoloRossignoli in

cima allaantica torre

della moscheadi Samarra

(Irak)

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Editoria

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le notizie che normalmente nonvengono considerate dai grandicircuiti internazionali».Secondo l’editore il conflitto frainformazione e verità è oggi all’e-sasperazione e solo chi non si ac-contenta di una conoscenza su-perficiale dei fatti, utilizzando ca-nali alternativi come i libri, adattiall’approfondimento, può arriva-re a farsi una corretta opinione.È per questo che, malgrado la si-tuazione difficile dell’editoria ita-liana, Achab edizioni riesce a vi-vere dignitosamente: «Non facciograndi numeri» spiega Rossigno-li, «il mio è un lettore impegnato,che cerca qualcosa al di là dei ca-nali convenzionali e in questoampio ventaglio rientrano davve-ro le categorie più disparate: dallesuore ai centri sociali».Achab trova in internet un grandealleato e il suo indirizzo, dove èpossibile visionare l’offerta edito-riale, è cliccato da circa 70 milapersone ogni mese. In rete si trovaanche un’altra rivista, Isla Grande,un periodico con redazione all’A-vana che racconta tutto ciò cheavviene sull’isola caraibica più fa-mosa del mondo. Ciò che piùcontraddistingue l’Achab edizioniè infatti la caparbietà e la comple-tezza con cui racconta Cuba, mo-strando, con gli occhi di chi la Re-voluciòn ce l’ha nel patrimoniocromosomico, un fenomeno cheha fatto storia e che continua a

vederlo passeggiare per le vie diVerona in compagnia di dirigenticubani, nell’ambito di quegliscambi bilaterali che con fatica ededizione ha messo in piedi inquesti ultimi anni.Che Cuba sia il suo grande amoreglielo si legge negli occhi ancorprima che nel catalogo di vendita.Per Rossignoli il paese caraibico èun esempio per il Terzo mondo,un messaggio di speranza per tut-ta l’America Latina, un verbo dadiffondere durante le numeroseconferenze a cui è invitato a par-tecipare un po’ in tutta Italia. «Apensarci sembra incredibile comequesta piccola isola abbia potutotener testa al grande vicino con45 anni di embargo, aggressioni esabotaggi solo grazie alla propriavolontà politica» dice l’editore. Esubito aggiunge: «Qui si realizza-no cose che nemmeno il cosid-detto primo mondo riesce a fare».

In particolare Rossignoli si riferi-sce alla sanità cubana, «tra le mi-gliori al mondo, tanto che l’isoladi Fidèl invia ogni anno migliaiadi medici in tutte le aree più bi-sognose della terra». A dimostra-zione di ciò, dati alla mano, forni-sce alcune cifre significative, co-me quella sulla mortalità infantileattestata sul 6%, contro il 7% deicosiddetti paesi avanzati.Per il titolare delle Edizioni AchabCuba è un esempio anche perquanto riguarda l’istruzione: «Al-l’epoca della rivoluzione il Paesecontava il 60% di analfabeti, unanno dopo quasi tutti i cubanierano in grado di leggere e scrive-re almeno il minimo indispensa-bile. Questo grazie a una campa-gna di alfabetizzazione che ha uti-lizzato un metodo di insegna-mento unico, oggi impiegato dal-l’Unicef. Inoltre nelle universitàcubane si formano ogni anno,gratuitamente, centinaia di stu-denti africani. Ma queste sonotutte notizie… che non fanno no-tizia» commenta avvilito Rossi-gnoli, che considera Cuba «il mas-simo esempio di disinformazioneglobale perchè raccontare la veritàmostrerebbe l’alternativa possibi-le al nostro modello di sviluppo».Ma la libertà, i diritti civili, la de-mocrazia, la proprietà privata?«Tutti pensano che a Cuba ognicosa accada perché lo impone Fi-dèl Castro, e infatti una delle piùerronee credenze è che a Cubanon ci siano elezioni libere. Inrealtà gli eletti devono tornaredavanti al popolo ogni sei mesi dioperato per garantirsi l’appoggioplebiscitario».Secondo Rossignoli solo un 15%dell’intera popolazione cubana

vorrebbe il libero mercato, tuttigli altri sarebbero fedeli alla Rivo-luzione. Un altro mito da sfataresarebbe la mancanza di proprietàprivata: «A Cuba tutti hannoun’abitazione propria, quello chenon esiste affatto è invece l’accu-mulo di ricchezza. Certo nonstiamo parlando del paradiso ter-restre. Come in ogni altra societàci sono problemi e limiti ma, amio parere, è la realtà che più siavvicina a un modello di vita amisura d’uomo».Rossignoli nell’isola ha fatto il mu-ratore come volontario e conoscequindi tutte le norme che regolanola vita ma anche le peculiarità ca-ratteriali del popolo cubano: am-mette l’atteggiamento talvolta“ruffiano” con il turista, ma anchela grande generosità e operosità neimomenti di crisi, la tempestivitàcon cui si affrontano i problemicome la prostituzione o la droga.Calarsi nella realtà di questo pae-se, dove la violenza è quasi nulla,dove per legge i bambini non pos-sono fare più di tre chilometri perandare a scuola, è difficile per chicome noi è abituato a non fare ri-nunce e ad accumulare tutta laricchezza che può nel tentativo digarantire a se stesso e ai propri fi-gli un avvenire sicuro.Parlando del suo lavoro Rossi-gnoli conclude dicendo di averraccolto l’eredità spirituale diGiovanna Rossi, staffetta parti-giana compagna dell’artista Ma-rio Salazzari, che oltre all’edificioin cui ha sede la sua casa editrice euna statuetta (nella foto) che sololui e Mao Tse Tung possiedono,gli ha lasciato la passione, la dedi-zione e la speranza per un mondomigliore.

L’editore scaligero con una collaboratrice alla Fiera internazionale del libro deLa Habana (Cuba)

rappresentare per il Sudamericaun baluardo di indipendenza neiconfronti degli USA.Rossignoli, che recentemente èstato anche in Iraq, ha aperto conla “Flaca” un vero e proprio cana-le culturale, tanto che non è raro

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di Cinzia Inguanta

SostanzeArnaldo EderleEdizione Bonaccorsopp. 120, €10

Un libro, Sostanze di ArnaldoEderle, che pur continuando il per-corso inaugurato con Il fiore d’Ofe-lia e proseguito con Paradiso e Co-gnizioni affettive, evidenzia un in-nalzamento di tono linguistico euna nuova inclinazione. La fre-quentazione del poemetto, comepoesia di lungo respiro, si ritrovainvece nell’ultimo capitolo del li-bro. “Oh me diviso”, infatti, è unpoema drammatico separato in treparti, che affronta il secolare temadell’anima nel suo difficile rappor-to con il corpo. Sono quindi pre-senti entrambe le tendenze, quellalirica e quella poetica, a conferma-re la capacità di Ederle di affronta-re i due registri con la stessa pro-prietà espressiva e la stessa convin-zione etica.

Venezia 2036Anna Paola Stefani Edizioni Marotta - Collana Fuoripp. 192,€12,50Venezia nel futuro è plumbea epiovosa. Il sole si affaccia raramen-te in laguna. Nulla in città però ècambiato dal millennio preceden-te. La dottoressa Manin scopre,nell’antico e labirintico palazzo incui lavora, il cadavere di un politi-co. L’assassino è vicino, mescolatotra coloro che percorrono quoti-dianamente i corridoi dell’Euro-center. Un folto stuolo di perso-naggi si dipana tra imprevedibilimeandri architettonici, che ricor-dano i percorsi psicologici umani.La protagonista si troverà coinvol-ta in un intreccio di sesso, soldi emalapolitica ai danni della laguna.Una storia senza tempo. Non-ostante la visione di una città checerca di amalgamare le nuove tec-nologie al suo grande bagaglio sto-rico, Venezia 2036 è un giallo au-tentico, di stampo classico. Perché,

anche in un mondo tecnologico, itrucchi antichi possono creare ilpanico. E in fondo, al di là di tutto,la natura umana è sempre la stessa,con i suoi vizi e le sue virtù.

Valpantena: valle degli deiBruno Avesani e Fernando ZaniniEditrice Verona Spa 2004pp. 183

Un mosaico di testimonianzestoriche, naturalistiche, culturalie sociali ricostruito pazientemen-te da due appassionati di storialocale e da un imprenditore, Ste-fano Albrigi, titolare di un’azien-da di Stallavena che ha sostenutol’attività di ricerca per valorizzareuna delle più belle zone di Vero-na: la Valpantena. La denomina-zione “Valle degli dei” è dovutaalla presenza di templi dedicatialle divinità pagane e al Pantheondi Santa Maria in Stelle. Il volumeè stato realizzato per far conosce-re, soprattutto alle nuove genera-zioni, le peculiarità di una vallatache fin dalla preistoria ha accoltoi primi insediamenti abitativi equindi le tracce di una civiltà,contadina e poi industriale, chearrivano fino ai giorni nostri. Ilrisultato della collaborazione èun testo divulgativo e quindi difacile lettura, che contiene parec-chi disegni e fotografie sul passa-to e il presente della Valpantena,intesa non in termini generici,ma di patrimonio di saperi tra-mandati.

Conosciamoci meglio: un percor-so guidato alla conoscenza dellepersonalitàAlessandro NorsaEditrice Millenniumpp. 290

Il lavoro è nato dall’idea dell’autoredi raccogliere e sintetizzare il mate-riale e i concetti appresi nel qua-driennio formativo RIZA per l’abi-litazione alla professione di psico-terapeuta. Lo studio del professorNorsa, che vive e lavora a Verona,sostiene che solo attraverso la let-tura comparata dei diversi approc-ci delle teorie sulla personalità sipuò avere una conoscenza com-plessiva e acritica. La trattazione diogni “tipo” è affrontata da tre di-versi punti di vista: prima si analiz-zano le caratteristiche fisiche, emo-tive, comportamentali e relazionaliproprie della tipologia, spesso fa-cendo riferimento ad alcune dellepiù accreditate teorie sulla perso-nalità; in seguito si assimilano aquelle delle figure mitiche e simbo-liche nate all’interno delle diverseculture; e infine, nell’ultima parte,il terapeuta può trovare alcune in-dicazioni in ottica diagnostica e ri-abilitativa per gli eventuali aspettipatologici delle diverse tipologie.Chi avesse iniziato da poco unapsicoterapia potrà avvalersi di que-sto libro come un ulteriore stru-mento di autoconoscienza, evi-denziando le parti dove si ricono-sce maggiormente e discutendonein seduta col proprio terapeuta.

Pagine di storia della Polizia italia-na. Orientamenti bibliograficiPasquale Marchetto e Antonio MazzeiNeos Edizioni 2004pp. 63,€ 5,00

Questo volumetto, promosso dalCentro Studi e Ricerche sulla Sto-ria della Polizia di Stato, fornisceun’informazione su quanto finoraè stato scritto sulle forze di poliziaitaliana, dall’arma dei carabinierialla guardia di finanza, dalle polizielocali ai servizi segreti. L’attento la-voro degli autori ha consentito ilrecupero di 222 indicazioni biblio-grafiche sulle forze dell’ordine delnostro paese. Il volume si presentacome un’importante risposta, alla

necessità d’informazione biblio-grafica nel vasto ambito delle pub-blicazioni esistenti che hanno co-me soggetto la Polizia.

Guinea BissauFoto di Alessandro TosattoTesti di João Dias VicenteEdizioni CMD-CUMpp.143

Questa pubblicazione sulla GuineaBissau, pur privilegiando l’aspettofotografico, è accompagnata da al-cuni elementi narrativi sui princi-pali aspetti di vita delle popolazio-ni della Guinea Bissau. Il libro pre-senta un Paese che nonostante lagravissima crisi sofferta ha moltiaspetti interessanti, a partire dallenobili popolazioni che lo abitano.Un Paese che vale la pena di cono-scere più da vicino, per poterlomeglio apprezzare. In allegato ilDVD “Guinea Bissau” prodotto daLuci nel Mondo.

Libri

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Giornale di attualità e cultura

DirettoreGiorgio [email protected]

RedazioneGiorgia CozzolinoElisabetta Zampini

Lungadige Re Teodorico, 10 37129 -Verona. Tel. 045.592695

StampaNovastampa di Verona

Registrazione al Tribunale di Veronan° 1557 del 29 settembre 2003

N° 6/marzo 2005

Progetto editorialeProporre temi di attualità e cultura,

stili di vita per la crescita della persona

Il giornale è distribuito gratuitamentenelle librerie di Verona.

www.verona-in.it

STUDIOeDITORIALEGiorgio Montol l i

inVERONA

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