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N° 7 - GIUGNO 2005 - TRIMESTRALE EDITO DALLO STUDIO EDITORIALE GIORGIO MONTOLLI - POSTE ITALIANE S. P. A.- SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE - 70% - DCB VERONA i n VERONA

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Page 1: Verona In 07/2005

N° 7 - GIUGNO 2005 - TRIMESTRALE EDITO DALLO STUDIO EDITORIALE GIORGIO MONTOLLI - POSTE ITALIANE S.P.A. - SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE - 70% - DCB VERONA

inVERONA

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Mons. Francesco Avanzini neglianni ’70, dopo essere stato diret-tore della Caritas di Verona, fon-dò la sezione cittadina del CentroItaliano di Solidarietà (CeIS) cheutilizzava il metodo terapeutico“Progetto uomo”, avviato a Romada don Mario Picchi, per far usci-re tanti giovani dal tunnel delladroga.Una delle frasi che don. Francescoripeteva spesso era: “Prima uomi-ni, poi galatuomini, quindi cri-stiani”. La citazione ha il saporedi una conquista personale per-ché nel passare da un incarico al-l’altro il sacerdote, non più giova-ne, apprese un diverso modo diaiutare il prossimo. Un diversoapproccio maturato nell’applica-zione di un metodo che nelle co-munità terapeutiche di PiazzettaS.S. Apostoli, Poiano e Isola dellaScala sistematicamente eliminavaquegli aspiranti operatori che nelproprio curriculum vantavanoabbondanti frequentazioni par-rocchiali ma scarsa conoscenzadei problemi umani e insufficien-te maturità.Quel metodo fu etichettato come“metodo per il recupero dei droga-ti” ma in realtà aveva, e continuaad avere, una forte valenza cultura-le inespressa, che andrebbe ripresa

e spesa per risolvere i problemiquotidiani della gente e della città.Ad esempio quello delle persone,molte provenienti da altri Paesi,senza fissa dimora, che abitano neigiardini, alcune delle quali campa-no di espedienti criminali.Due mani che si stringono: nellogo del CeIS c’è tutta la forza delmetodo basato sull’assunto che èinutile tendere la mano se dall’al-tra parte non c’è la volontà di af-ferrarla per sollevarsi da una si-tuazione problematica. Innescarenella persona questo scatto di di-gnità era la missione di mons.Avanzini.Il modo con cui i veronesi entra-no in rapporto con questo terzomondo che popola le strade diVerona è invece molto diverso etrova giustificazione in alcuni ri-ferimenti culturali che appaionoinadeguati per definire e tentaredi risolvere il problema.Uno è sicuramente il solidari-smo, orientamento sociale pro-prio del pensiero cattolico, che simanifesta con un atteggiamentodi compassione e di aiuto nei ri-guardi di chi nella vita è menofortunato. I veronesi, che pro-vengono da una cultura contadi-

Primo piano

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In copertina foto di Francesco Passarella

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a na, sanno che devono alla solida-rietà e alla fede nella provvidenzail superamento dei momenti dif-ficili. Tale solidarietà si manifestanel “fare la carità”, nell’offrire ci-bo, vestiti, un tetto a chi è povero,spesso senza pretendere, e qui stal’errore, nulla in cambio.La frattura determinata dal be-nessere in questo contesto conta-dino-solidale, di gente semplice,ha fatto poi crescere un nuovomodello, una pericolosa misceladi ignoranza e ricchezza, di indif-ferenza nei confronti dei valoridella tradizione religiosa che ge-nera, e questo è vergognoso traesseri umani, intolleranza e dis-prezzo.Infine, quasi a voler bilanciarequesto strappo, e per l’abbatti-mento di antichi e nuovi privile-gi, la cultura di sinistra si è diffu-sa a tutela dei deboli e della giu-stizia con un approccio forsetroppo ideologico per essere con-vincente, soprattutto in una cittàcome Verona.La presenza di diversi modelliinterpretativi della realtà indicache siamo in una fase di trans-izione, da qui la difficoltà digiungere a una linea politicachiara per la soluzione di proble-mi come questo. Allora l’esem-pio del CeIS diventa illuminante.Applicato al problema suonereb-be così: possiamo aiutarti a mi-gliorare la tua condizione, a pat-to che tu lo voglia. Lo faremogradualmente, senza pretenderegrandi sforzi, ma subito ti chie-deremo un minimo di impegnoper quel piatto di minestra (adesempio tenere pulito il giardinopubblico, togliere le erbacce).E le regole del gioco devono esse-re molto chiare: massima dispo-nibilità e politiche di integrazio-ne per chi si impegna, tolleranzasolo per i casi disperati; allo stes-so tempo linea dura con chi nonsi adegua. Per il suo bene e per ilbene della città.

I veronesi, cheprovengono da unacultura contadina,

sanno che devono allasolidarietà e alla fede

nella provvidenza il superamento dei

momenti difficili. Talesolidarietà si manifestaanche nell’offrire cibo,vestiti, un tetto a chi èpovero, spesso senzapretendere, e qui sta

l’errore, nulla in cambio

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di Giorgia Cozzolino

Non c’è mondo fuor dalle mura diVerona sosteneva il Romeo diShakespeare oltre quattro secolifa. Ma il mondo cambia e con es-so anche l’immagine della nostracittà. Mai come oggi si sono riac-cese le polemiche e le aspettativesu quella che un tempo fu terra diMontecchi e Capuleti.Quale sarà il nuovo volto di Vero-na? Nascosto tra le pieghe dellebeghe politiche e di sgangheraticonsigli comunali, vi è un dise-gno, una fotografia dal futuro, dicome potrà essere la città fraqualche anno. Si tratta del PAT,una sigla che indica il Piano At-tuativo Territoriale, ovvero un

progetto che stabilisce dove pos-sono sorgere case, teatri, parchi,strade, oppure dove si potrannorecuperare aree in disuso affidan-do anche nuove funzioni sociali ecommerciali.Il piano però, per i non addetti ailavori, sembra un insieme di ter-mini tecnici e di mappe multico-lore nelle quali è arduo orientarsi.Per comprendere quindi comecambierà Verona (se mai il PATentrerà in vigore) ci siamo fattiaiutare dall’assessore alla Pianifi-cazione territoriale, RobertoUboldi, che in un volume intito-lato “Pensare Verona” ha parago-nato la città a una farfalla.Prendendo infatti in prestitoun’immagine suggerita dall’urba-nista Marcello Vittorini, Uboldispiega che al corpo immaginariodel più suggestivo degli insetti,idealmente costituito dalla gran-de area ferroviaria che da PortaNuova arriva a Santa Lucia, si le-gano due ampie ali: le zone urba-nizzate a Nord e a Sud. «Le due alinon rappresentano solo due partipiù o meno simmetriche ma duestorie, due vocazioni» spiegaUboldi. La città antica e la Zaistorica sarebbero quindi le duefacce di Verona: la contemplazio-ne e l’amore per il bello e per lapropria storia la prima, e il corag-gio del cambiamento e dell’inno-vazione, la seconda.Proprio come una farfalla, la cittàsi fa metafora del principio dellatrasformazione, senza dimentica-re però la propria essenza. Maqual è la vera natura di questamillenaria Verona? È proprio quiche anche Shakespeare perdereb-be la parola, perché in realtà la

città scaligera è un territorio mol-to vasto, ben 210 chilometri qua-drati (contro i 180 di Milano, perfare un raffronto), che si dipanain tipologie completamente di-verse: dalla zona montana a quel-la agricole e metropolitana. Una,nessuna, centomila si potrebbe di-re parafrasando con ironia LuigiPirandello, ma da ridere c’è benpoco: questa vastità di tipologiecomporta infatti anche un’infini-ta serie di funzioni, dalla turisticaall’aziendale passando per lacommerciale e residenziale. Eb-bene, tutto ciò ha contribuito afar sì che ci volessero quasi tre an-ni per realizzare un Piano etero-geneo che tenesse conto dellerealtà e delle relative aspettative.Ma cosa si decide davvero per Ve-rona con questo nuovo strumen-to urbanistico?In primo luogo, spiega Uboldi, sistabilisce il principio di “cittàcompatta”, ovvero uno “Stop” allacontinua espansione di edifici chevanno a rosicchiare sempre più leporzioni agricole, e via libera alrecupero degli spazi già toccatidal cemento.Un altro principio è poi quellodella compatibilità con l’ambien-te che indica la creazione di diver-si parchi. I maggiori sono deno-minati “Adige Nord” e “AdigeSud” ai quali si aggiunge il cosid-detto Parco delle Mura che creeràun percorso verde di collegamen-to tra i diversi forti difensivi.Il terzo punto fermo su cui si basail Piano è il recupero dei centristorici minori, aree urbane checonservano ancora una valenzaarchitettonica e sociale che il tem-po e la speculazione edilizia non

Società

Giugno 20054

LA VERONA DI DOMANI

Fotografie dal futuroL’assessore alla Pianificazione territoriale Roberto Uboldi spiega il Piano

Attuativo Territoriale che ridisegna la città. L’analisi e le critiche del presidente di Italia Nostra Giorgio Massignan

Quale sarà il nuovovolto della città?

Nascosto tra le pieghedelle beghe politiche e

di sgangherati consiglicomunali prende

corpo il progetto dicome potrà essere laVerona di domani

L’ex stazione frigorifera specializzata nell’area degli ex Magazzini generali

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Massignan: «Per laprima volta vienedefinito un limiteurbano della città

bloccandonel’espansione. C’è però dadire che in alcune zone,

come Borgo Trieste eMontorio, sono

permesse ancora aree di “completamento”

molto simili ad aree di“espansione”»

hanno cancellato, come peresempio Parona, Avesa e Quinza-no. Ma la vera scommessa di que-sto progetto è tutta su VeronaSud. Per questo, all’interno delPAT, è stato studiato un ulterioreprogetto definito Prusst (Piano direcupero urbano sostenibile) cheriguarda l’area, di quasi 300 milametri quadrati dove sorgeva ilmercato ortofrutticolo, che tieneconto della riqualificazione che laFondazione Cariverona apporte-rà ai vicini ex magazzini generalie del piano di ristrutturazionedella Fiera.Sull’asse di via del Lavoro sorge-ranno così tre poli: fieristico, fi-nanziario e socio-culturale. Persintetizzare, gli ex magazzini ge-nerali ospiteranno la nuova acca-demia Cignaroli, un auditorium,il teatro Estravagario e diversi ser-vizi di tipo sociale come la nuovasede dell’Ussl 20.Nell’ex mercato ortofrutticolo

cambiata: sono state approvateben 274 varianti al piano origina-rio che oggi portano gli ammini-stratori a dover, in determinatiambiti, «Prendere atto di alcunesituazioni più che fare delle vere e

Al di là di ogni previsione, Massi-gnan inizia spiegando tre motiva-zioni per cui trova positivo il Pat.La prima è l’introduzione deiparchi urbani come quello dellacollina che andrebbe a tutelare

co delle bocciature, e non sono népoche né sommarie. «In primoluogo ritengo che il calcolo di cre-scita demografica stimato, e sulquale si basa l’incremento edili-zio, sia eccessivo. Inoltre questoPat non prevede un incentivo, an-che privato, al recupero residen-ziale degli edifici militari del cen-tro storico con la legge 167 perl’edilizia popolare. Trasformarein abitazioni le vecchie caserme indisuso avrebbe un duplice effetto:drenerebbe l’espansione della cit-tà e invertirebbe il processo di ab-bandono del centro da parte dellegiovani coppie».Ma il vero tasto dolente è la via-bilità che, a dire dell’architetto,non porta una scelta radicale suitrasporti. «Facendo un po’ distrade e un po’ di trasporto pub-blico non si risolve nulla: ci vuoleuna scelta radicale che spingacon forza verso il minor utilizzodell’automobile». E in quanto al-la «scommessa» di Verona Sud,Massignan di certo non punte-rebbe i propri denari: «Manca unprogetto di insieme: il tutto va vi-sto in prospettiva, non si può de-cidere sull’ex mercato ortofrutti-colo senza prevedere anche il fu-turo delle Cartiere Verona e delloscalo merci ferroviario». Il Pat,secondo l’architetto, dà indica-zioni troppo generiche per alcu-ne zone rilevanti e aggiunge:«Credo che nella definizione del-le aree si sia guardato troppo allaproprietà più che agli effettivi be-nefici che i cambiamenti com-porteranno per i quartieri di Ve-rona Sud».

Società

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Progetto per Verona Sud (PRUSST, versione definitiva 2004)

Il Prusst definisce lo sviluppo dell’area dove si trovava il mercato ortofrutticolo

sorgerà invece un parco di 60 mi-la metri quadrati che divideràun’area residenziale da quella di-rezionale-finanziaria e commer-ciale. «L’idea è quella di evitare lamonofattorialità di Verona Sudma di creare una città nella città,firmata da progettisti illustri, do-tandola di superiori standard averde per andare a colmarne l’at-tuale carenza» spiega Uboldi.Dopo 30 anni dall’ultimo pianoregolatore, realizzare un nuovoprogetto non è stata un’impresafacile. Soprattutto perché, spiegal’assessore, nel frattempo la città è

proprie scelte».Anche in tema di viabilità sonostati necessari dei compromessiin gran parte accolti tenendo con-to dell’incredibile e continuo in-cremento di auto che percorronole vie cittadine, ormai attestatointorno al 3 percento annuo.Naturalmente un piano che ri-progetti il volto della città si pre-sta anche a delle critiche. Nel ma-re delle accuse e disapprovazioniabbiamo scelto di sentire gli argo-menti dell’architetto GiorgioMassignan, presidente dell’asso-ciazione “Italia Nostra”.

una zona abbandonata a se stessa.In secondo luogo l’architetto so-stiene che «Per la prima volta vie-ne definito un limite urbano dellacittà bloccandone l’espansione»,anche se subito precisa: «C’è peròda dire che in alcune zone, comeBorgo Trieste e Montorio, sonopermesse ancora aree di “comple-tamento” molto simili ad aree di“espansione”». Infine, di buonoquesto Pat per Massignan ha lafascia di verde che collegherà i va-ri forti rivalutando sia l’ambienteche le rovine storiche.Fatte queste premesse ecco l’elen-

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di Matteo Ferrari

Completati gli studi di Teologia,Carlo Melegari, che a Verona di-rige il Centro Studi Immigrazio-ne (Cestim), si è specializzato inSociologia della religione, in So-ciologia della conoscenza, lau-reandosi in Scienze politiche aBologna. Ha lavorato con le Acliin Germania, Belgio, Inghilterrae ha una lunga esperienza di co-ordinamento di iniziative per ilavoratori italiani all’estero.– Che idea si è fatto degli italianiche sono immigrati all’estero? Sidice che emigrano i migliori…

«Non è possibile generalizzare,ma spesso è così. Durante la miaesperienza all’estero mi sono re-so conto di quello che già unacerta letteratura ormai consoli-data in campo sociologico e dieconomia del lavoro ha messo inrilievo: i flussi migratori avven-gono in relazione alle capacità diassorbimento che ha il mercatodel lavoro locale. Quindi se unosi trova in un posto, in linea ge-nerale si trova lì perché ha verifi-cato che ci sono delle opportuni-tà di reddito da lavoro regolare odi lavoro nero».– Allora vincolare l’entrata in un

ficazioni rigide anche questa èquindi destinata al fallimentoperché la congiuntura economi-ca è soggetta a numerose variabi-li. La crisi di un determinato set-tore, ad esempio, comporta l’e-spulsione dal mondo del lavorodi un certo numero di personeche prima si ritenevano necessa-rie. Nel veronese, nella primametà degli anni Novanta, sonostate introdotte nelle aziende diproduzione del tabacco tecnolo-gie nuove che da un anno all’al-tro hanno ridotto di molto la ne-cessità di mano d’opera. Ma gliindividui non sono delle mac-

Giugno 20056

IMMIGRAZIONE

Cittadini a basso costo Con Carlo Melegari, del Centro Studi Immigrazione, abbiamo parlato della

difficoltà per gli extracomunitari di spostarsi da uno Stato all’altro. «Quelli chearrivano non sono criminali, ma persone in cerca di lavoro»

Paese alle esigenze lavorativeche quello stesso territorioesprime potrebbe essere la solu-zione a tanti problemi…«La libertà di circolazione degliimmigrati è oggi vincolata al de-creto sui flussi che stabiliscequanti individui possono entraree di che nazionalità. Si è pretesodi stabilire una programmazionedei flussi/ingressi in relazione auna domanda astratta di lavoro.Non è stato preso in considera-zione è che è localmente che siverificano le reciproche aspetta-tive del datore di lavoro e dellaforza lavoro. Come tutte le piani-

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chinette, sono delle persone chese si spostano portano con sé deidiritti, una vita di relazione, unafamiglia, dei figli…».– “Ragionando pacatamente diimmigrazione” è il titolo di unsuo libro di quasi 10 anni fa.Quale era l’idea cardine, e so-prattutto: è ancora attuale?«Ero e sono per la libera circola-zione, oltre che dei capitali e del-le merci, anche delle persone.Che non vuol dire assenza di re-gole. Faccio un esempio. La libe-ra circolazione stradale è un di-ritto di tutti, però sarebbe vanifi-cato se non ci fossero delle regolecondivise e ragionevoli. Bisognapoi partire dal presupposto chela gente si muove in base a unaconvinzione: che anche gli altri sispostano e scelgono le loro “stra-de” in maniera ragionevole. Iosono dell’idea che uno se vuolecircolare con l’automobile devesapere che per farlo gli serve lapatente».– Il problema è che proprio suquesta basilare regola, la libertàdi circolazione, non è facile tro-varsi d’accordo.«Nella Dichiarazione universaledei diritti dell’uomo è prevista lalibertà di lasciare il proprio Pae-se, ma non è esplicitato il dirittoa entrare in un altro. Questo si-gnifica che ogni Stato sovranopuò autonomamente deciderequanti individui far entrare e perquanto tempo farli restare sulsuo territorio. Ma le regole per lalibertà di circolazione devonoessere fissate dentro criteri di ra-gionevolezza. Ammettiamo dun-que che possa esistere il “permes-so di soggiorno” come qualcosadi analogo al “permesso di gui-da” (patente). È importante te-ner presente che se gli ostacoliper il suo ottenimento legalevengono percepiti come eccessi-

vi, è chiaro che avranno buongioco l ’ottenimento i l legale(corruzione e permessi di sog-giorno falsi) e gli ingressi clan-destini, con forti conseguenzenegative per gli stessi immigrati,l’ordine pubblico, la civiltà deldiritto, la credibilità dello Stato,i costi enormi degli apparati re-pressivi».– Rimane la paura di importarecriminalità, di un’invasione diextracomunitari...«Uno dei motivi per i quali unapersona si muove è legato al mi-glioramento delle proprie condi-zioni di vita, che può avvenire ograzie a un reddito da lavoro (re-golare o irregolare), o per attivitàillecita. Dagli studi che si sonofatti la componente delinquen-ziale nella motivazione alla mi-grazione è estremamente margi-nale rispetto alla componente daricerca di reddito onesto da lavo-ro. La negazione della libera cir-colazione non avviene per le ra-gioni che spesso sentiamo men-zionare, come quella che teme inquesto modo un aumento del-l’immigrazione. L’invasione nonci sarebbe comunque, e oggetti-vamente, il risultato che si ha ne-gando la libera circolazione èquesto: io avrò comunque lostesso numero di immigrati dicui ha necessità il mio territorio,ma invece di averli da cittadiniche rivendicano i loro diritti, liho da sottocittadini, cioè da“non persone” che posso in qual-che modo sfruttare. Nella realtàavviene questo».– Come pensa di convincere l’o-pinione pubblica che lasciare gi-rare le persone liberamente da

Società

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0Due i filoni di intervento del Cestim. Il primo riguardante l’atti-vità di documentazione-studio, ricerca e formazione; il secondoinerente agli interventi in ambiti di particolare problematicità .Per quanto riguarda il primo ambito di azione segnaliamo i servi-zi della Biblioteca e del sito internet accessibili a tutti i cittadiniwww.cestim.it. Per dare delle risposte ai bisogni degli immigratiil Cestim si è impegnato in interventi di particolare problematici-tà quali la casa, il lavoro, la salute e la scuola. Nel corso del 2004 ilCestim ha continuato a garantire direttamente condizioni abita-tive dignitose ad alcune famiglie di immigrati (per un totale di 23persone) nei 7 appartamenti acquistati e sistemati tra il 2000 e il2001, grazie al contributo della Fondazione Cassa di Risparmio diVerona, Vicenza, Belluno e Ancona e della Fondazione S. Zeno. Èstata portata avanti anche nel 2004, in sinergia con la “Coopera-tiva sociale La Casa per gli immigrati”, l’azione di promozione diaccordi con le Amministrazioni locali per la gestione di alloggi de-stinati a famiglie di immigrati in situazioni di bisogno abitativourgente. Per quanto riguarda il problema lavoro, per tutto il 2004è proseguito l’impegno delle collaboratrici volontarie nel serviziodi accompagnamento degli immigrati nell’esplorazione di oppor-tunità di lavoro regolare. Sul fronte della salute continua l’azionedi sostegno al volontariato Cesaim (Centro Salute Immigrati) at-tivo presso gli edifici della Croce Rossa a Porta Vescovo dal 1993.Anche nel corso del 2004 l’ambulatorio è stato aperto tutti i po-meriggi con un’affluenza media di circa 40-50 persone. Per quan-to riguarda la scuola con l’anno scolastico 2003/2004 l’organizza-zione del “Volontariato dell’integrazione scolastica” è entrata afar parte con i tradizionali corsi estivi di italiano del Progetto spe-ciale del Comune di Verona denominato “La lingua come stru-mento di scambio, socializzazione e integrazione fra culture diver-se”. Progetto della durata di due anni, finanziato dalla Fondazio-ne Cariverona e condotto in sinergia con il Centro Tante Tinte.Per i compiti affidati al Cestim, in convenzione, dal Comune si so-no avuti i seguenti risultati: 96 sono stati i volontari del Cestimpreparati e impegnati nell’attività didattica; 61 sono state le scuo-le della città coinvolte nell’iniziativa; 262 sono stati gli alunnistranieri di varie età seguiti; b) 357 sono stati i bambini e ragazzistranieri che hanno frequentato i corsi di italiano nell’estate 2004.

L’attività del Cestim

uno Stato e l’atro può risultarepiù vantaggioso del suo contra-rio?«Anzitutto attraverso una cor-retta informazione su quello che

le migrazioni hanno voluto direnel passato e vogliono dire nelpresente, nelle loro cause e neiloro effetti, nei loro aspetti nega-tivi e in quelli positivi, sotto i di-versi profili della realtà socialedei paesi di emigrazione e di im-migrazione. In secondo luogo,mostrando l’attuale inefficacia, equindi lo spreco enorme di ri-sorse e la funzionalità oggettivaalla corruzione e ai traffici illecitidel preteso governo dei flussi,basato da una parte su complica-te procedure nel rilascio dei vistidi ingresso e dei permessi di sog-giorno e dall’altra su misure dicontrollo e provvedimenti diespulsione velleitari e di conse-guenza ineseguibili. In terzo luo-go, mettendo in rilievo comel’autoregolazione dei flussi difatto sia sempre esistita».

Nella Dichiarazioneuniversale dei dirittidell’uomo è prevista la libertà di lasciare

il proprio Paese,ma non è esplicitato il diritto a entrare

in un altro

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no. Poi cominciano a sfogliare car-te, si alzano e leggono a turno leproprie poesie. Il pubblico è quellocasuale o abituale dell’Osteria.Qualcuno ascolta, altri mangiano,altri continuano a parlare, qualcu-no che passa si ferma incuriosito.L’idea è nata all’instancabile UgoBrusaporco e, un po’ alla volta, ipoeti sono arrivati. Tra i molti cisono gli affezionati: Roberto Niz-zetto, Giorgio Maria Bellini, Alve-rio Merlo e Diego Barca. Scrivonoin italiano o in lingua dialettale.«Qui c’è un’atmosfera che inco-raggia a leggere – racconta Bellini– e in un certo senso si è recupera-ta un’antica abitudine popolare diincontro tra chi scrive poesie e lagente». La cosa piace. Ma perché lapoesia? «Per me – spiega Nizzetto– la poesia è tante cose: divagazio-ne, liberazione dell’anima. Aiutaanche a butar fora il magon. E poi –prosegue Bellini – è ricerca di lin-guaggio: si usano le parole come ilpittore usa il colore».I poeti seguitano a leggere e poi, asorpresa, regalano i loro testi ai

Giugno 20058

di Elisabetta Zampini

“La poesia è sempre in agguatodietro l’angolo” diceva Jeorge LuisBorges nelle sue lezioni america-ne, invitando ad aprire i propriorizzonti e a esplorare luoghi di-versi. Un fenomeno non nuovoma certamente in continuo au-mento è la nascita di luoghi di in-contro per poeti noti e sconosciu-

I luoghi dei poetiIl lunedì all’Osteria

Sottoriva i poeti sialzano e leggono a

turno le propriepoesie. A sorpresa

regalano i loro testi aipresenti in una

fantasia di foglietti,anche scritti a mano.

Da settembre amaggio alla pizzeria

La Fontana di Avesa,il secondo giovedì delmese, si ritrovano gli

iscritti al nuovocircolo poetico Gatto

Rosso. E poi altriincontri alla locanda

Il Girasole a SantaMaria di Zevio, al

circolo Malacarne...

ti. Spazi informali, apparentemen-te inusuali per la poesia, general-mente luoghi pubblici, talvolta dipassaggio, confinanti con il via vaidella strada, il rumore delle mac-chine e il vociare della quotidiani-tà. La poesia esce dai libri per esse-re letta a voce alta.È il caso dell’Osteria Sottoriva,ogni lunedì, alle 18.30. I poeti sisiedono ai tavoli, parlano, discuto-

Il monumento a Berto Barbarani in Piazza delle Erbe

La Fontana, ad Avesa. Poesia da settembre a maggio, il secondo giovedì del mese

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L’Osteria Sottoriva. L’appuntamento con i poeti è il lunedì alle 18.30

presenti in una fantasia di foglietti,anche scritti a mano, che si spar-pagliano tra la gente. Si ha quasil’impressione che la scelta di que-sti luoghi non sia puramente for-male, di folklore. È piuttosto unavalutazione popolare, nel sensoprofondo. Si riscoprono e valoriz-zano spazi che fanno parte dellastoria della città e che ne disegna-no i tratti più caratteristici. D’altraparte, però, c’è la voglia diffusa dipoetare e il gusto di pronunciare leparole in verso, come esigenza ar-tistica di ogni uomo e non del sololetterato, spinta dal desiderio dimettere in gioco la facoltà comunedella parola.Se i confini della poesia si amplia-no oltre i riconoscimenti ufficiali,diventa difficile dare una defini-zione della poesia che accontentitutti e anche gli studiosi si divido-no su questo argomento. Sulla va-riegata dimensione del far poesia èben consapevole Armando Lenot-ti, segretario del Cenacolo di poe-sia dialettale “Berto Barbarani”:«Il senso della poesia? È un discor-so ricco, non basterebbero due ri-ghe e poche parole». I poeti del ce-nacolo si ritrovano due volte almese alle 21 alle scuole “Carducci”di via Betteloni, con incontri aper-ti al pubblico. «Tra i nostri soci –prosegue Lenotti - vi è una dellagrandi poetesse di sempre in ver-nacolo, Wanda Girardi Castellani,voce lirica di Verona».Poesia è sinonimo di bellezza.Una bellezza che ridisegna larealtà con parole non banali,emozionanti, vive. «Come di-re che la bellezza è in ag-guato intorno a noi – so-steneva Borges –. Può ve-nirci dal titolo di un filmo da qualche nota melo-dia». Dello stesso parereè Nicola Saccoman, no-to musicista, scrittore dipoesie e gestore dellalocanda “Girasole” diSanta Maria di Zevio. Ilsuo locale ha ospitatoserate di poesia, dedica-te ai libri pubblicati perle edizioni Perosini. In-contri di musica e versi,a cui volentieri Sacco-man ha dato ospitalitàsostenendo: «File di pa-role in cerca di bellezza.Anche dove c’è il vuoto e

si fatica. Definirei così la poesia».Sulla poesia ha scommesso ancheFrancesco Avesani, gestore dellapizzeria “La Fontana” di Avesa do-ve si ritrovano, da settembre amaggio, il secondo giovedì del me-se, i poeti del nuovo circolo poeti-co “Gatto Rosso”. Ogni appunta-mento è dedicato a un poeta noto:Pablo Neruda, Amelia Rosselli,Vincenzo Cardarelli, Pier PaoloPasolini, Thomas Stearns Eliot emolti altri. Una sorta di santi pro-

tettori della serata e deipoeti del circolo cheleggono le proprieopere, accompagnatidalla musica, creando

dei momenti a

metà tra l’incontro informale e laperformance. Poesie in italiano ein lingua dialettale, dagli stili e daimodi più diversi. Ed è ciò che più èstato gradito: il variare delle voci.«Per me la poesia è una riscoperta– spiega Francesco Avesani –. Gliincontri del Gatto Rosso sono statiun’opportunità per vederla inmaniera diversa. Prima ero curio-so e disponibile ma non ero mol-to incline alla poesia. Mi sono ri-creduto».Anche il circolo Malacarne prepa-ra incontri letterari negli spazi piùtradizionalmente veronesi. Pro-prio in maggio ha organizzato laquinta edizione del festival itine-rante “Dar a Bere storie”. Tra poe-sia e narrazione gli autori abitanoin maniera giocosa strade, piazze eosterie della città, accompagnatida orchestrine come nell’usanzadei cantastorie.Dieci anni ha poi compiuto il Poe-siafestival della Valpolicella. Natocon l’idea di valorizzare i luoghipiù suggestivi della zona e di farliconoscere a un pubblico semprenumeroso, ha portato nei comunidella Valpolicella molti tra i piùimportanti poeti italiani. Quest’ul-tima edizione si concluderà il 30giugno, a Jago di Negrar, con unnome d’eccezione: Dacia Maraini.«Grazie al Festival i poeti si sonomaterializzati - commenta FrancoCeradini, direttore artistico dellamanifestazione - Averli lì, in carnee ossa, stare con loro a cena, parlare

non necessariamente delle gran-di costellazioni ideali mi ha spin-to a domandarmi che posto ha lapoesia nella nostra vita. E poi, sipuò davvero distinguere tra il farpoesia della moltitudine poetan-te e quello dei poeti “laureati”?Credo di no. C’è una distinzionedi grado, non di essenza. Azzardouna ovvietà: poesia è ogni discor-so bello. E la troveremo ovunquevi sia sincera ricerca del bello, delbello emozionante. Bisognerebbeallora ridiscutere il canone scola-stico e le antologie. Un canone èuna rinuncia a capire, una gabbiaottocentesca, adatta a una societàgerarchica e autoritaria» conclu-de Ceradini.Ci sono molti modi in cui l’uo-mo manifesta l’inclinazione arti-stica e creativa. La poesia è unadi queste. Il suo abitare tra lagente è un segno importanteperché avvicina, diventa quoti-diana, come il pane. «Parole damangiare» titolava significativa-mente il proprio libro il poeta escrittore brasiliano Rubem A. Al-ves. In una pagina c’è una poesiadi Mario Quintana che suggeri-sce, forse, anche il senso di questiluoghi informali della poesia:“Sono come una poesia / le cui pa-role succulente colano / come pol-pa di un frutto maturo nella tuabocca, / una poesia che ti sazia diamore, prima ancora che tu necolga il senso misterioso: / bastaassaggiarne il gusto…”.

Cultura

9inVERONA

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Musica

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ACCADEMIA FILARMONICA

Pierre Boulez, maestro... senza bacchetta

Il celebre musicista dirigerà a Verona i Wiener Philharmoniker. Il Settembremusicale dell’Accademia anche quest’anno si presenta ricco e variegato

Mercoledì 7 settembre, ore 20.30Danish National Symphony Orchestra,(direttore Yuri Temirkanov)Grieg: Peer Gynt suite I e IIStravinsky: L’uccello di fuoco SuiteTchaikovsky: Sinfonia n°5

Martedì 13 settembre, ore 20.30London Philharmonic Orchestra (direttore Vladimir Jurovski)Messiaen: L’AscensionRavel: Concerto in sol maggiore per pianoforte eorchestraSolista: Benedetto LupoProkofiev: Sinfonia n°5

Venerdì 16 settembre, ore 20.30SWR Orchestra Sinfonica della Radio di Stoccarda (direttore Roger Norrington)Brahms: Concerto per pianoforte n°2Solista: Hélène GrimaudMahler: Sinfonia n°4

Soprano: Anu Komsi

Venerdì 23 settembre, ore 20.30Orchestre National de France (direttore Kurt Masur)Franck: Sinfonia in re minoreDebussy: Prelude à l’aprés-midi d’un faune lamerRavel: Bolero

Martedì 27 settembre, ore 20.30Wiener Philharmoniker (direttore Pierre Boulez)Schoenberg: Notte trasfigurataBruckner: Sinfonia n°7

Sabato 1 ottobre, ore 20.30 Orchestra Hallé Manchester (direttore Mark Elder)Brahms: Concerto per violino e orchestraSolista: Nikolaji ZnaiderDvorak: Sinfonia n°8

di Nicola Guerini

Anche quest’anno l’AccademiaFilarmonica di Verona offre unsettembre musicale di grande in-teresse artistico proponendo uncalendario di appuntamenti conorchestre e interpreti di fama in-ternazionale. Luigi Tuppini, pre-sidente dell’Accademia e ideato-re artistico del Festival nato nel1989, ha confermato infatti lapartecipazione della Danish Na-tional Symphony Orchestra, laLondon Philharmonic, la SWROrchestra Sinfonica della Radio

di Stoccarda, l’Orchestre Natio-nal de France, l’Orchestra HalléManchester e i Wiener Philar-moniker. Gli interpreti invitatisono Yuri Temirkanov, VladimirJurowski, sir Roger Norrington,Kurt Masur, Mark Elder e PierreBoulez.Per la prima volta la nostra cittàospiterà il compositore e diretto-re d’orchestra francese alla guidadi una delle più prestigiose or-chestre del mondo: i WienerPhilharmoniker. Parlare di Pier-re Boulez vuol dire incontrarsicon una delle personalità più si-

gnificative del ’900 che ha affian-cato all’attività di compositorequella del direttore d’orchestra.Nato nel 1925, inizia giovanissi-mo gli studi musicali sotto laguida di A.Vaurabourg-Honeg-ger e di O.Messiaen ottenendo,nel 1945, il primo premio di ar-monia. Con R. Leibowitz ha stu-diato la tecnica seriale e la dode-cafonia e P. Schaeffer lo ha ini-ziato alla musica concreta allaRadio Francese. Dal 1955 ha te-nuto corsi di composizione aDarmstadt. Come direttore d’or-chestra si è fatto notare per laprima rappresentazione francesedel Wozzeck di A.Berg (Parigi1963) e il Parsifal, diretto nelcorso del Festival di Bayreuth nel1966. Diventa direttore dell’or-chestra della BBC di Londra co-me successore di Colin Davis enel 1971 succede a L.Bernsteinalla direzione della Filarmonicadi New York. Dal 1974 dirigeinoltre l’Ircam (Institute de Re-cherche et de CoordinationAcoustique / Musique) al CentreBeaubourg a Parigi. Attualmenteè invitato a dirigere le più presti-giose orchestre del mondo conprogrammi che lo vedono un in-terprete raffinatissimo del nove-cento.Attraverso l’intervista a PierreBoulez da parte di Jean Vermeil,poi raccolta nel libro “Conversa-zioni sulla direzione d’orchestra”(edito da La Nuova Italia), è pos-sibile conoscere tutte le fasi di

Il programma

Luigi Tuppini,presidente

dell’Accademia eideatore artistico del

Festival nato nel 1989,ha confermato la

presenza a Verona dialcune tra le più

prestigiose orchestre

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Musica

inVERONA 11

di Alice Castellani

L’Estate Teatrale Veronese si apre il 18 giugnocon la grande musica di “Verona Jazz 2005”.Al Teatro Romano saranno presenti artisti divalore come Elvis Costello (18 giugno), LinoPatruno e Charlie Mariano con la sua Ensem-ble (20 giugno), Charlie Haden (22 giugno) eil piano solo di Abdullah Ibrahim (25 giu-gno); mentre all’Arena di Verona si esibirà il26 luglio Paolo Conte, a concludere un cicloall’insegna del grande jazz con la sua “Elegia”.«Fino a quando ci saranno musicisti con lapassione per l’improvvisazione e per la crea-zione di qualcosa che non c’è mai stato prima,la forma artistica del jazz potrà crescere e darei suoi frutti» ha detto una volta il leggendariobassista nativo del Missouri Charlie Haden,vincitore di un Grammy Award per la Miglio-re Performance di Jazz Strumentale, Indivi-duale o di Gruppo, con Pat Metheny per il loro“Beyond The Missouri Sky”.La curiosità per la composizione musicale ca-ratterizza in genere i musicisti jazz, è il casoanche di Elvis Costello, che a Verona suoneràcon “The Imposters” ma di cui si ricordano lepiù svariate performance e partecipazioni inconcerti di personaggi quali il pianista SteveNieve, Burt Bacharach, The Brodsky Quartet,Paul McCartney, il mezzo-soprano svedese

Anne Sofie Von Otter e la Charles Mingus Or-chestra, a riflettere il suo interesse verso unampio raggio di stili musicali, con il gusto del-l’ironia e dell’intelligenza tipico del jazz-man.La musica jazz non può mai venire partendodall’idea di uno stile preconcetto, insegnano imaestri, è piuttosto come quando si camminaper la strada e si incontra una carrozzina conun bimbo dentro: lo si guarda e gli occhi s’in-contrano, il bambino ci guarda e quel mo-mento è come quando si suona il jazz, e comequando si ha la fortuna di ascoltarlo dal vivoin riva all’Adige, nelle sere d’estate.Lino Patruno, che iniziò la sua carriera nelleprime jazz band sorte a Milano negli anniCinquanta e che ha poi lavorato con grandiinterpreti della storia del jazz, Bill Colemansolo per fare un nome, suonerà in accoppiatacon Charlie (Carmine Ugo) Mariano, consi-derato uno dei più importanti suonatori disax alto del mondo, la cui formidabile origi-nalità qualche critico descrive come «Unabrillante combinazione di autorità, virtuosi-smo e ispirazione». Giramondo per vocazione,anche Charlie Mariano ha saputo sviluppareun linguaggio personalissimo attraverso le piùdisparate esperienze musicali: dal bop alla

“progressive music”, dal jazz-rock alla fusion,dalla musica etnica alla musica indiana.Sarà poi la volta di Abdullah Ibrahim, genia-le pianista sudafricano che da decenni ipno-tizza migliaia di entusiasti a ogni suo concer-to: un pilota, come lui stesso ama definirsi,che dirige i suoi passeggeri nei meandri piùreconditi della propria mente, in posti dove disolito non osano andare. Nella sua musica iritmi africani e jazz si miscelano a melodiesenza tempo, creando ritmi forti ma scorre-voli in una dimensione di primordiale chil-lout.E per finire alla grande Paolo Conte propone,questa volta nel grandioso scenario areniano,la sua “Elegia”, l’ultimo gioiello del cantauto-re astigiano dopo nove anni senza un disco dicanzoni inedite. Una nuova suggestione conparole che vibrano e melodie che avvolgono.Con le nuove canzoni “Elegia” aprirà certa-mente interi universi, facendo scoprire storiee persone, incantando con quel magico mododi incrociare parole e musica, percorsi di vitae suoni, sempre ad altissimo livello artisticoed estetico, naturali quasi fossero un sognonitido in cui perdersi e ritrovarsi grazie altimbro di una voce che nel canto ha il suo la-scia passare oltre tutti i confini, all’esplora-zione dell’umanità senza mai bassi compro-messi con le mille banalità del nostro tempo.

Verona Jazz 2005

preparazione del direttore fran-cese per un concerto: dalla sceltadell’opera, la sua minuziosa ana-lisi, il gesto e la prova con l’or-chestra come restauro stilistico.Da questo percorso-intervista sipercepisce una mentalità lontanadall’effetto spettacolare strappaapplauso, molto ricercato dal di-vismo di certi direttori, e una cu-ra fraseologica e ritmica scrupo-losa del particolare a difesa ditutti gli elementi cellulari di cuila partitura è fatta trascurandoquella soggettività interpretativache spesso nasconde ciò che vuo-le essere ascoltato.Le sue esecuzioni nascono dauna lettura trasparente della par-titura e sempre bene agganciataalla verità compositiva soprat-tutto nel repertorio contempo-raneo che spesso, come lui stessoafferma, «Non è bene accolto dalgrande pubblico perché suonatoe diretto male!».Nella direzione d’orchestra, il ge-sto è il mezzo più importante pertrasferire le informazioni aglistrumentisti e Boulez colpisce

della mano con ciò che si vuolfare, e con ciò che si vuole otte-nere. Per esempio, per il fraseg-gio in particolare, sono necessa-rie le due mani». E aggiunge:«Non mi sono preoccupato diutilizzare una bacchetta perché,credo, ho cominciato con la mu-sica da camera, la musica con

gruppi strumentali molto picco-li. Questa musica fatta con unensemble non la si dirige conuna bacchetta, è del tutto inutile.Salendo di grado, per così dire, ocomunque con l’aumentare delnumero degli strumentisti, hocontinuato a non farne uso. Ep-pure Dio sa se non ho direttoopere ritmicamente difficili! Mamai ho trovato difficoltà con unagrande orchestra, mai».E spiega: «Se dirigo così non è af-fatto perché ho seguito un mo-dello o un altro, è che per perso-nalmente non ne ho mai sentitoil bisogno……Ciò che conta è lafunzionalità del gesto e la suaprecisione. Quando il gesto è as-solutamente preciso, non è ne-cessario un prolungamento otti-co. Sa, è come la storia della codadegli animali e di quella dell’uo-mo. All’inizio è stata anatomica-mente indispensabile, poi a pocoa poco è scomparsa, nella nostraevoluzione. Io sono convinto chesi imporrà sempre di più un mo-do di dirigere che non necessi-ta… di una bacchetta!».

perché lo fa con estrema preci-sione e senza bacchetta.«La bacchetta? Più si va verso lamusica contemporanea, meno siha bisogno di questo prolunga-mento» sottolinea Boulez «Sitratta di una questione di tecni-ca: la precisione del gesto sta nel-la corrispondenza del braccio,

Il maestro Pierre Boulez, a Verona il 27 settembre

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Musica

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Scienza

inVERONA 13

di Francesca Paradiso

Ghiande che si trasformano introttole, sambuco che diventauno schioppetto e ancora ma-scelle di cavallo trasformate inslittini per bambini: tutto que-sto, e molto altro ancora, si potràvedere alla mostra in preparazio-ne al Museo civico di Storia na-turale di Verona, in collaborazio-ne con il Consorzio Verona Tec-nologie e l’Associazione cultura-le Hermes di Marco Fittà.«La mostra – spiega Angelo Bru-gnoli, responsabile della Sezionedidattica del Museo – proporràgiochi e giocattoli naturalistici,botanici e zoologici che per fun-zionare sfruttano un principiofisico». Il 2005 è stato infattiproclamato dall’Unesco Annointernazionale della f isica equella di Verona è una delle tan-te iniziative italiane per celebra-re i cento anni delle rivoluziona-rie scoperte di Albert Einsteinsulle leggi che governano l’uni-verso. Incontri e manifestazioni,congressi e mostre si moltiplica-no offrendo l’opportunità di co-noscere questo ramo della scien-za e l’importanza che ha nellavita quotidiana.Nella mostra in preparazione sipotranno osservare curiosi gio-chi che la natura offre, ricavatida piante o animali, che per fun-zionare utilizzano proprio le leg-gi della fisica. Vedremo esposti invetrina lo xilofono realizzato con

canne di bambù, il nocciolo dialbicocca, appositamente limato,che diventa un fischietto, le partiinferiori delle zampe del bue odel cavallo trasformate in sor-prendenti birilli.Oltre a questi giochi “naturalisti-ci” saranno in mostra anchequelli “scientifici”, tra i quali lalanterna magica e i dischi rotanti.I primi esemplari di lanternamagica risalgono alla fine del1500, ma la loro diffusione av-venne solo nel 1700. Erano co-struite con una scatola metallicaal cui interno veniva messo unlume a petrolio. Con un sistema

di lenti si possono proiettare im-magini dipinte a mano su sottilivetrini.Importantissimi per la mostrasono anche i dischi rotanti diMarcel Duchamp. Un cortome-traggio di Charles Eams rivela glieffetti ottici creati dai dischi: unamacchina, con l’ausilio di unmotore, fa girare vorticosamenteuna serie di vetri concentriciproducendo effetti straordinari.Altre curiosità che troveremoesposte sono il Diavoletto di Car-tesio e la Trottola di Newton.Numerosi pannelli saranno adisposizione per raccontare lastoria dei giochi, le loro origini ecaratteristiche, mentre una partepiù didattica fornirà le istruzioniper la realizzazione del gioco.Bambini e ragazzi potranno usu-fruire degli applicativi multime-diali per scoprire i dettagli deigiochi in vetrina, oltre al suppor-to cartaceo con tutte le “istruzio-ni per l’uso” per la mostra. Gra-zie alla creazione di alcuni labo-ratori sarà anche offerta la possi-bilità di partecipare attivamentegiocando, oppure costruendo al-cune creazioni ludiche, che poipotranno essere conservate co-me ricordo.

MUSEO CIVICO DI STORIA NATURALE

Giocattoli in mostra nell’anno della fisica

Il 2005 è stato proclamato dall’Unesco anno internazionale della fisica. Ancoranon è stata fissata la data ma gli esperti sono al lavoro. Saranno esposti giocattoli

“naturalistici” che per funzionare sfruttano un principio fisico

Uno xilofono realizzatocon canne di bambù, un

nocciolo di albicocca,appositamente limato,diventa un fischietto, le

parti inferiori dellezampe del bue o del

cavallo si trasformano insorprendenti birilli...Numerosi pannelli

saranno a disposizioneper raccontare le origini

dei giochi

A partire dall’alto, a sinistra:dischi rotanti di MarcelDuchamp, lanterna magica,slittino costruito con lamandibola del cavallo, trottoladi Newton

Page 14: Verona In 07/2005

di Giuseppe Brugnoli

Cinquant’anni fa, il 23 ottobre del 1955, mo-riva in un letto dell’ospedale di Borgo TrentoGiacomo Lampronti, la cui figura di uomo edi giornalista ogni tanto mi torna in mente.Ebbi con lui soltanto un rapporto che si puòdire epidermico, quando giovane aspirantegiornalista lavoravo sotto la sua direzionebenevola, quasi svagata e insieme coinvol-gente, in quei due anni che precedettero lasua scomparsa. Eravamo a “Il Corriere delMattino”, vecchia gloriosa testata dei Popo-lari veronesi, fondata da Giovanni Uberti,che fu chiusa di forza dal fascismo, quandoredazione e tipografia furono devastate e di-strutte dagli squadristi, e che poi risorse perpoco tempo, sempre per opera di GiovanniUberti, nel secondo dopoguerra. RenatoGozzi, nel suo estremo tentativo di conser-vare qualcosa dell’eredità morale dei cattoli-ci popolari, dopo la scomparsa della DC,fondò con Giorgio Zanotto e altri pochiamici un’associazione che si chiamava “Ami-ci del Corriere del Mattino”, e che pubblicòtre o quattro numeri, alla fine degli anni No-vanta, di un giornaletto che riprendeva la te-stata per rivendicare, in un momento di de-riva berlusconiana imperante, la sopravvi-venza, pur in mezzo allo sfacelo, di quellaparte della defunta DC che in altre due epo-che tumultuose della nostra storia provin-ciale si era riconosciuta ne “Il Corriere delMattino”. Un impegno che avrebbe dovutopreparare, o almeno si augurava di poterlatentare, una seconda rinascita. Ma poi ancheGozzi venne a mancare, e con lui morì anchequesto terzo “Corriere del Mattino” al qualeaveva dedicato le sue ultime forze, nella se-conda pubblicazione, Giacomo Lampronti.Ma non furono queste lacrimevoli memoriedi un tempo che fu a farmi tornare in menteGiacomo Lampronti, quanto la circostanzache la Rai avesse messo in onda, in due gior-ni a cavallo del 25 aprile da poco passato, unbel sceneggiato televisivo dedicato ad AlcideDe Gasperi uomo, politico e statista, e la “fic-tion”, come oggi si dice in modo meschino equasi volgare, disseppellì in me un lontanoma non svanito ricordo in cui entrava ap-punto Lampronti, redattore capo del gior-nale veronese che nel frattempo era diventa-to edizione locale, pur mantenendo la vec-chia testata, de “L’Avvenire d’Italia”.

Giacomo Lampronti era veneziano, di vec-chia famiglia israelita, come anche la moglie,ma si era convertito al cattolicesimo in tem-pi non sospetti, prima cioè che in Italia fos-sero promulgate le leggi razziali e comincias-se la persecuzione contro gli ebrei. Lavoravacome giornalista professionista a “L’Avveni-re d’Italia”, il quotidiano cattolico di Bolo-gna. Quando, ormai in piena guerra, anchelui e la sua famiglia, nascosti a Carpi di Mo-dena, stavano per essere catturati e deportatiin campo di eliminazione, fu avvertito diquel che gli stava succedendo dal direttoreamministrativo del suo giornale, OdoardoFocherini, e con la moglie e i due bambiniintraprese una difficile e pericolosa fuga chelo portò poco dopo ad attraversare a piedi ilconfine con la Svizzera, dopo essere sfuggitoalle guardie di frontiera tedesche, e a trovarvirifugio fino al termine della guerra. Al suoposto, fu catturato Odoardo Focherini, cheportato a Dachau vi morì prima della libera-zione del campo, e di cui qualche anno fa erain corso il processo diocesano per la beatifi-cazione per le virtù eroiche che aveva dimo-strato prima di finire nella camera a gas.Quando “Verona Libera”, il quotidiano vero-nese del Comitato di liberazione nazionale,nato sulle ceneri de “L’Arena” (soppressa dalComando alleato per i suoi trascorsi fasci-sti), cessò le pubblicazioni e nelle edicole ri-comparve “L’Arena”, Lampronti vi fu assun-to dalla nuova proprietà con l’incarico di“responsabile”, in attesa che i tempi si cal-massero e potesse tornare l’antico direttoreprebellico Antonio Galata. Fu una scelta feli-ce: niente di meglio, in una Verona ancorapercorsa da fremiti ribellistici, con masse didisoccupati che ogni tanto assediavano la se-de del giornale, che avere un direttore ebreo,anche se convertito, e perseguitato politico.Poi, quando il 18 aprile del 1948 fece capireche non c’era più bisogno di lui, fu licenzia-to, finché non trovò ospitalità, certo menogratificante sul piano professionale e soprat-tutto economico, a “Il Corriere del Mattino”.Il quale giornale era allora alloggiato in duescomodi e maestosi locali al primo piano diPalazzo Maffei, con le finestre ancora mezzoscardinate dagli scoppi delle bombe e quat-tro tavoli di abete grezzo in cui sedevano aturno i redattori, Gino Nenz e Pino Sambu-garo, e i collaboratori. Fu lì che, in qualità diabusivo senza prospettive di assunzione, io

conobbi Lampronti, che reggeva con piglioscanzonato e battute salaci commiste a bo-narie imprecazioni, in un gergo venezianoda gondoliere, quella specie di porto di marein cui convenivano a ondate politici e postu-lanti. Aveva una gran testa di capelli grigi pe-rennemente arruffati, e un ghigno semprestorto a sostenere un mozzicone di sigarettafumigante, sul quale brillavano a tratti gliocchi vividi e puntuti in cui si accendevanolampi di ironia. Scriveva di fretta, e mentrestendeva le sue prose limpide ed asciutte, incui emergeva la sua vena di polemista, trova-va il tempo per inserirsi con un rapido sfer-zante commento nelle conversazioni che fio-rivano imperterrite intorno a lui.Quando morì De Gasperi, e Pino Sambuga-ro fu inviato di corsa a Borgo Valsugana perseguire il feretro lungo tutto il lento viaggioin treno del trasporto a Roma, io fui incari-cato di coprire la cronaca della messa di suf-fragio che la Democrazia Cristiana veroneseaveva fatto celebrare nella chiesa della Scala.Era il mio primo incarico di qualche peso, edero un po’ preoccupato perché, come si usa-va allora, dovevo fare l’elenco di tutte le per-sonalità e autorità presenti al rito. Nella chie-sa affollata a ranghi compatti di visi noti maai quali non sapevo attaccare un nome e unacarica mi trovai accanto a Bepi Faccincani,autorevole vicecapocronista della concor-rente “Arena”, il quale coltivava il vezzo, chepoi vidi in molti grandi colleghi, di nonprendere appunti, ma di segnare qualchenota sui margini di un giornale ripiegato.Dopo avermi osservato per un po’ con il mioquadernetto intonso in mano, cominciò asussurrarmi a mezza bocca: il prefetto tal deitali, il senatore…, l’onorevole…, finché nonriempii un paio di paginette.Alla fine, racconsolato, stavo per uscire tragli ultimi della folla quando nell’angolo piùbuio, inginocchiato su una sedia malferma,vidi con la solita giacca stazzonata e la cra-vatta di traverso Giacomo Lampronti. Miaccostai ed egli mi disse: Fermati qui, cheadesso che è finita la sfilata facciamo una co-sa per il povero De Gasperi. Trasse dalla ta-sca una corona del rosario e cominciò la sfil-za delle avemarie, mentre io rispondevo, fin-ché non venne un sacrestano a mandarcifuori perché chiudevano. Fu quella l’ultimavolta che lo vidi, perché poco dopo nonvenne più al giornale.

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I RICORDI DI UN GIOVANE CRONISTA

Giacomo Lampronti

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Spettacoli

inVERONA 15

VICENZA - TEATRO OLIMPICO

Le Troiane di Euripide«Dalla parte dei vinti»La tragedia in scena dal 7 al 10 ottobre per il 58° Ciclo di spettacoli classici

proposto dal Teatro Stabile del Veneto “Carlo Goldoni” con la coproduzione dellaFondazione “Atlantide Teatro” di Verona. La regia è di Piero Maccarinelli

«Alza, o infelice, su da terra il capo,il collo: Troia più non esiste… O fa-sto alto degli avi precipitato, il tuosplendore antico era un segno delnulla». È con queste struggenti pa-role che Ecuba, moglie di Priamo eregina di Troia, sigilla la fine dellapropria civiltà e l’inizio dell’incon-solabile disperazione.È l’assurda sofferenza cagionatadalle guerre, vista dalla parte dellemadri e delle donne dei vinti, cheEuripide trasmette nelle sue Troia-ne, in scena al teatro Olimpico diVicenza, dal 7 al 9 ottobre (alle 21)e lunedì 10 ottobre (alle 16).La tragedia di Troia, tradotta daDario Del Corno e interpretata daValeria Moriconi per la regia diPiero Maccarinelli, fa parte del 58°Ciclo di spettacoli classici propostodal Teatro stabile del Veneto “CarloGoldoni” con la coproduzione del-la Fondazione Atlantide Teatro diVerona.Ma i veri protagonisti dell’immor-tale vicenda questa volta non sonoAchille e Agamennone, ma le mo-gli e le figlie di quella Troia in fiam-me costrette a diventare schiave deiloro nemici. È la tragedia delle tra-gedie, quella che unisce morte etortura, che accende il fuoco del-l’odio e trova nella rassegnazione enella fantasia l’unica via di uscita aun destino troppo crudele: unapartenza che non lascia intravede-re un ritorno perché le radici delleproprie origini vengono divelte eperdute per sempre.Nello scenario di distruzione e sof-

ferenza, anche gli dei si indignano:Atena e Poseidone, ciascuno perdiversi rancori, complottano lavendetta contro l’armata greca au-trice di tanto scempio. Intanto ivincitori si sorteggiano le donnetroiane per tramutarle in schiave.Agamennone si impadronisce diCassandra mentre Andromaca, fi-glia di Ettore, viene destinata aNeottolemo, figlio di Achille, e allostesso tempo le viene sottratto il fi-glio Astianatte e gettato giù dallemura di Troia. E infine la vecchiaregina Ecuba va in premio a Ulissementre sua figlia Polissena vieneimmolata sulla tomba di Achille lacui ombra la richiede in cambio diventi favorevoli al ritorno in Gre-cia. E non poteva certo mancareElena, la causa scatenante del de-cennale conflitto, che il marito Me-nelao vuole ricondurre in patriaper ucciderla. La regina decadutamaledice la nuora ma Elena si di-fende con un abile discorso, consa-pevole che Menelao, ancora unavolta vinto dalla sua fatale bellezza,la risparmierà. La tragedia di Euri-pide si conclude con Ecuba che,dopo aver ricomposto il cadaveredevastato del nipotino, si avvia conle altre prigioniere verso le navigreche mentre la città è in fiamme.Le Troiane è l’unico dramma rima-sto della trilogia euripidea, com-prendente il Palamede e l’Alessan-dro, ed è dominato da un desolantesenso di morte e di lutto. In questatragedia, infatti, messa in scena nel415 a.C., nel pieno della guerra del

Peloponneso, Euripide riserva unospazio del tutto eccezionale alle si-tuazioni dolorose e agli stati d’ani-mo d’impotenza dei personaggi, levittime superstiti della spedizionemilitare greca contro Troia. Manell’esasperazione degli aspetti de-vastanti della guerra di conquistatraspare anche una critica dell’au-tore verso le scelte politiche impe-rialistiche del governo ateniese.Così, di fronte a un mondo chesente sempre più lontano, Euripidedà voce al proprio disagio attraver-so le parole delle donne troiane checantano il desiderio di fuggire dallarealtà verso splendide terre lonta-ne. «L’ambiguità del mondo è abo-lita, la psicologia euripidea conte-nuta, il dolore è insomma il doloredel mondo. Ed Ecuba la sua vocepiù intensa» spiega il regista Mac-carinelli «Per questa ragione hovolutamente omesso nell’allesti-mento le dispute capricciose fra glidei e la specificità della vicenda diTroia, perché in questa più che intutte le altre tragedie euripidee ildolore delle troiane mi sembra vo-ler essere il dolore del mondo, dellaDonna rispetto all’insensatezzadella guerra, di tutte le guerre».Nella sofferenza cantata da Euripi-de non resta che l’amara consola-zione dell’immortalità provocatadall’immane tragedia: «Se un dionon avesse sconvolto e sprofondato lesorti di questa terra, noi non avrem-mo nome e non vivremmo nel cantodei poeti, dando voce alla poesia deimortali che verranno».

È l’unico drammarimasto della trilogia

euripidea,comprendente il

Palamede el’Alessandro, ed èdominato da un

desolante senso dimorte e di lutto.

Nell’esasperazionedegli aspetti

devastanti dellaguerra di conquistatraspare anche una

critica dell’autoreverso le scelte politiche

imperialistiche delgoverno ateniese

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di Paola Quattrucci

L’amore contrastato, perseguita-to, giocato, deriso, sofferente egioioso, distruttivo e catartico èil principale motore dei drammidi Shakespeare. Dietro a questoeros multiforme c’è un’ideadrammaturgica geniale che dacinquecento anni aleggia, con ilsuo fascino misterioso, nellamente degli artisti. Una formulada carpire e re-inventare più cheda decifrare.Il 57° Festival Shakesperiano si apreall’insegna dell’innovazione all’in-terno dell’Estate teatrale veronese,con due originali edizioni di Romeoe Giulietta, in cinque appuntamen-ti a partire dal 30 giugno, e la Bibe-

Spettacoli

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TEATRO ROMANO

Romeo e Giuliettaadolescenti trentenniCinque spettacoli a partire dal 30 giugno che portano la firma del regista Gabriele Vacis, considerato l’iniziatore del teatro di narrazione in Italia

In questa nuovaedizione saranno gliattori Jurij Ferrini

e Sarah Biacchi a vestiregli insoliti panni

di Romeo e Giulietta.Due trentenni, figli dei

nostri tempi, con leproblematiche che

vivevano cinquecentoanni fa i giovani

dell’immortale storiache nel mondo è legata

alla città di Verona

tica domata, proposta in altrettanteserate, dal 13 al 17 luglio.La storia dei due amanti veronesiappartenenti a famiglie da semprerivali, i Montecchi e i Capuleti, èuna rielaborazione shakespearia-na di un ben noto racconto popo-lare. Ma la poesia di alcuni versidel drammaturgo anglosassone èentrata nell’immaginario colletti-vo. Celebre è il passaggio in cui,nel buio, Romeo resta abbagliatodalla visione di Giulietta, che giàsospira all’aria il nome del suoamato, e non esita a definirla “luceche apre l’ombra da quel balcone”.E più avanti nel dramma quando idue innamorati, stretti dopo la lo-ro prima notte di nozze, sannoche è giunto il tempo di separarsiLa casa e, nella pagina accanto, la statua di Giulietta, in via Cappello

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Spettacoli

inVERONA 17

ma, sentendo il verso dell’uccellodel mattino, si confortano nell’il-lusione che “non era l’allodola mal’usignolo”. La storia prosegue conla partenza di Romeo, che si al-lontana per un breve periodo af-finché Giuletta si finga morta gra-zie a una pozione che le fermerà ilcuore per poco tempo. Uno stra-tagemma che permetterà loro didarsi appuntamento nella cappel-la di sepoltura dei Capuleti primadi fuggire da Verona e dalle ostilitàdelle loro famiglie. Invece “il cru-dele destino” fa sì che le cose nonvadano secondo i piani ed en-trambi i giovani muoiono vittimedel loro contrastato amore.E proprio l’effetto narrativo erastato quello perseguito da Gabrie-le Vacis, che firma la regia di que-sto nuovo lavoro, nella sua prece-dente edizione del 1991. Allora, ilregista, considerato l’iniziatoredel teatro di narrazione in Italia,aveva ideato una messinscena tut-ta basata sulla parola: un Shake-speare letto e non agito fisicamen-te, dove le voci degli attori, filtratedalla sonorizzazione elettronica,rendevano le situazioni spaziali ele atmosfere del dramma. Vacisaveva inoltre estrapolato dal testoshakespeariano le parti discorsive

più famose e le aveva ricucite in-torno al nucleo narrativo del poe-metto del poeta veronese Bettelo-ni, raccontato dai toni affabulatoridi Marco Paolini.In questa nuova edizione sarannogli attori Jurij Ferrini e SarahBiacchi a vestire gli insoliti pannidi un Romeo e Giulietta trenten-ni, figli dei nostri tempi, con lestesse problematiche che viveva-no cinquecento anni fa i giovanidell’immortale storia. Ma qual è ilmotivo di tale scelta? «Probabil-mente perché oggi è a trentacin-que anni che finisce l’adolescen-za» ironizza il regista proponendouna lettura drammaturgica cheriflette un particolare approccioai classici che oramai fa scuola.Questa Giulietta e Romeo punta auna qualità di presenza scenicache riflette la chiave di lettura del-l’opera. «Mi piacciono gli attoriche lavorano per denudamento,che cercano delle verità interne»afferma Vacis. Un’interpretazio-ne, insomma, che va oltre la co-struzione di una verità esterna,che non penetra nell’immagina-rio dello spettatore, grazie al fon-damentale lavoro dell’attore,spesso complementare alle scelteregistiche.

L’altro spettacolo shakespeariano che andrà in scena al TeatroRomano, La bisbetica domata, é firmato dalla regia di MatteoTarasco, con l’attore comico Tullio Solenghi nei panni del pro-tagonista maschile Ferruccio.Introduce la commedia un prologo dove l’ubriacone Sly si ad-dormenta per una sbronza e un signore decide, con l’aiuto dialcuni commedianti, di fargli uno scherzo, facendolo credere, alsuo risveglio, un uomo ricco che dovrà dominare una bisbetica.Un teatro che ne introduce un altro, in un gioco di ruoli.La storia, ambientata a Padova, racconta di Caterina, figlia in-solente di un ricco signore che nessuno vuole sposare per viadel suo caratteraccio, a differenza della sorella Bianca, conside-rata esempio di virtù e corteggiata da molti pretendenti che pe-rò potrà sposarsi solo dopo che la sorella maggiore si sarà mari-tata.Pertuccio, giovane veronese in cerca di una moglie ricca, attrat-to dalla dote di Caterina la ottiene in sposa, destando meravi-glie e perplessità nella gente a cui va dicendo: “Credete chequalche strepito possa ferirmi le orecchie?... la lingua di unadonna neanche eguaglia lo schiocco d’una castagna nel focola-re di un contadino”. Convinto di farne una docile moglie, Pe-truccio, nella sua casa di campagna, costringe Caterina a priva-zioni e umiliazioni di ogni genere, per domarne l’irruente ca-rattere.Alla fine della commedia, durante una festa, lo scaltro Petruc-cio riuscirà a dimostrare a tutti i convitati ammogliati, che lasua Cate é la moglie più obbediente tra tutte le presenti. SaràCaterina, nel suo monologo finale, a raccomandare alle donnedi “spianare la fronte minacciosa e di non scagliare altezzosisguardi verso il proprio marito”. Una donna capricciosa, arci-gna, disobbediente diventa brutta a vedersi e perde ogni grazia,se ha il cuore gonfio di orgoglio e di ribellione.Il dramma, scritto originariamente per una compagnia di soliuomini, come accadeva ai tempi di Shakespeare, sarà ripropo-sto nella stessa maniera con interpreti solo maschili. Una speri-mentazione nel solco della tradizione in una commedia che«contiene anche il lato oscuro, farsesco e forse tragico nel qualesi cela l’eterno conflitto tra eros e psiche» spiega Tarasco. Ma aldi là delle filosofie e dei sensi più profondi, sarà interessante ve-dere quale effetto sortirà questa scelta registica, normale aitempi di Shakspeare ma inusuale ai nostri giorni, se non sia pu-ra spettacolarizzazione ma intelligentemente orchestrata e sesappia rendere l’ironia caratteristica dell’autore.Rimane solo una constatazione: sorprende vedere che un festi-val di tale portata, unico in Italia dedicato alle opere dell’attoree drammaturgo William Shakespeare, abbia solamente duespettacoli in cartellone. Un’idea potrebbe essere quella di valo-

rizzare quei teatri chelavorano di un artigia-nato costante e che so-no fucine di creativitàdando così spazio a fi-gure emergenti, accan-to a nomi conosciuti,per offrire una mag-giore varietà di propo-ste. (P.Q.)

La bisbetica domata

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di Paola Quattrucci

“Che gelida manina, se la lasci ri-scaldar...” sussurra Rodolfo a Mi-mì, con voce piena d’emozione. Èla vigilia di Natale e, in una freddasoffitta di Parigi, un giovane poe-ta sta componendo inquieto.Bussano alla porta: una timidavoce di donna chiede di poter ac-cendere il suo lume. È Mimì, lavicina di casa fragile e malata, dalsorriso malizioso. I due giovanirestano entrambi al buio, in cercadi una chiave smarrita. Dalla fine-stra entra la luce della luna, che fabrillare i tetti innevati, poi Rodol-fo prende la fredda mano di Mi-mì, che ricama fiori senza odore,e trova la sua poesia.È questo il passaggio più celebredella Bohème, l’opera puccinianache sarà uno dei cinque eventidella stagione lirica veronese, apartire dal 9 luglio. Un appunta-mento che non si ripeteva in Are-na dal 1994, anno dell’ultimaproduzione veronese diretta dalregista Lorenzo Mariani, mentrenel 2003 la città ospitò l’opera alFilarmonico, con un allestimentocurato dal Teatro Massimo Bellinidi Catania, per la regia di MarcoPucci Catena.Il tema dell’amore, che accende eriscalda la vita, percorre la storiadella Bohème da cui GiacomoPuccini trasse la sua opera, rap-presentata per la prima volta nelfebbraio del 1896 al Teatro Regiodi Torino. Il libretto, dal taglio in-novativo, nato dalla felice colla-borazione di Luigi Illica e Giusep-pe Giocosa (librettisti della suc-cessiva Madama Butterfly), fuscritto rielaborando le Scenes dela vie de la Bohème di Henri Mur-ger, una serie di episodi autobio-grafici, composti mezzo secoloprima, la cui storia era ben nota alpubblico. Puccini concepì la suaBohème, in apparenza semplice eimmediata, con forme nuove nel-l’orchestrazione e nella rappre-sentazione che risultò più fluida,scandita in macroscene dettequadri.Innovativa per il suo linguaggiomoderno e mobile, con esiguefrange di romanticismo, quest’o-pera smantellò il modello dram-maturgico ottocentesco e perquesto all’inizio non raccolseconsensi da parte della critica.

A debuttare in Arena sarà un gio-vane regista francese, ArnaudBernard, che dal 1989 è direttoredi scena al Theatre du Capitole deToulose. Allievo di Nicolas Joel, ilregista francese che ama “rispol-verare il copione”, Bernard speri-menta sempre nuove soluzioni,senza stravolgere la struttura del-le opere e puntando sulla narra-zione continua degli atti.A differenza di una Leonida, diun’Aida di una Violetta o di unaTurandot, la protagonista dellaBohème non spicca per la fortevalenza eroica che dona spessoree vigore scultoreo alle altre figurefemminili. Mimì, dipinta fragileed esile, sofferente per il freddo ela fame, ha una bellezza chiaro-scurale che s’accende a tratti e siaffievolisce nel corso del dram-ma, allegoria di una giovinezza

destinata a morire. Una naturabriosa che la malattia spegne len-tamente. Volto pallido che d’im-provviso si illumina di un vivorossore, incorniciato dalla cuffiet-ta rossa che il suo amato le regalaal primo incontro.E così altalenante è an-che il ritmo interno altessuto narrativo, per-meato di tinte veriste e ac-centi lirici, dove il realismo diven-ta poesia, con il suo mondo dipiccole cose e frammentimelodici. La musica correagile e vivace per arre-starsi in attimi di pa-thos e farsi struggente nel-la sospensione di una tragediaimminente.Il linguaggio musicale, concepitosui piani teatrali del libretto, evo-ca e descrive atmosfere, in un rac-

conto a sbalzi. I personaggi, cheappartengono a un’umanità sem-plice e quotidiana, sono emana-zioni di questi scenari, ritratti leg-geri che si fondono in un’unicacoralità poetica, anticipazioni diun imminente Impressionismo.La vicenda di alcuni giovani bo-hèmiens, tra cui il poeta Rodolfo eil pittore Marcello, apre il primoquadro, ambientato nel quartierelatino di Parigi, in una fredda sof-fitta e si conclude con l’incontro el’innamoramento di Rodolfo eMimì. Nel secondo atto la vicen-da scende in strada, al Caffè Mo-mus, lungo il marciapiede gremi-to di clienti ai tavolini e di vendi-tori ambulanti. La procace fem-minilità di Musetta fa disperareMarcello e questa coppia si ponecome l’altro polo della vicendaamorosa, con la sua dominantepassionale e un destino diversorispetto a quello di Rodolfo e Mi-mì.Caratterizzata da un ininterrottoflusso melodico, la vicenda siconclude con la morte di Mimìche, separatasi da Rodolfo, in-quieto per la sua malattia, vienesoccorsa morente da Musetta instrada e condotta a casa dei giova-ni artisti dove si spegne come inun sonno. Il grido disperato diRodolfo pone fine al quarto e ul-timo quadro. Un tableau viventche chiude la stagione della giovi-nezza, quella “vita gaia e terribile”che Puccini ripercorre senza ac-cento moralistico e che avverte, inun respiro più ampio, come chiu-sura di un’epoca.

Spettacoli

inVERONA

ARENA

«Vita gaia e terribile»La Bohème di Puccini torna dal 9luglio con un nuovo allestimento.

L’opera è un omaggio alla giovinezzache passa e segna la fine di un’epoca

Bohème, bozzetto per la scenografia

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di Alessandro Anderloni

Velo Veronese, una sera d’estate.Sul sagrato della chiesa parroc-chiale, sotto l’imponente campa-nile di pietra rosa, ci si ferma achiacchierare dopo gli spettacoliin teatro. Il piccolo teatro di Velosi apre sotto le arcate di pietradel Patronato, l’edificio che lagente di Velo costruì nel 1947 inmemoria dei caduti di tutte leguerre. Un teatro di 200 postiche la Parrocchia di Velo da anniha intrapreso a ristrutturare. Èprincipalmente in questa sala,dove si respira l’intimità e il ca-lore degli antichi filò, che va inscena nei mesi estivi la rassegnadi teatro, musica e cultura a cuida qualche anno è stato dato ilnome di VeloFestival.A Velo, dal 1990, un gruppo tea-trale, che è anche un coro polifo-nico, racconta sul palcoscenico lastoria del proprio paese. Si trattade Le Falìe di Velo Veronese.Falìe, in dialetto, sono i fiocchi dineve, ma sono anche le centinaiadi persone che hanno recitato ecantato dando vita a un fenome-no di cui parla ormai anche lastampa nazionale. Lo scorso an-no La Repubblica ha dedicatoun’intera pagina a “Velo Verone-se: un paese in scena”. Le Falìe re-plicano per una ventina di sera-te, durante l’estate, gli spettacoliche hanno inventato durantel’inverno. L’ultimo, “Gli esulantidell’8 settembre”, dopo oltre 40

repliche in due anni, anche fuoriprovincia, lascia il posto que-st’anno alla nuova invenzioneteatrale che porta la memoriaagli anni Settanta con un titoloche è già un programma: “Scu-docrociati”. Dopo il debutto, at-tesissimo, venerdì 1 luglio, altre17 repliche fino a ottobre.Il cartellone del VeloFestivalcomprende, per l’estate 2005,ben 37 serate. Ce n’è per tutti igusti, sempre però con l’atten-zione a un teatro di ispirazione e

di sapore popolare, meglio sedialettale. Così il 20 luglio sarà aVelo Silvio Castiglioni con lospettacolo “Filò”, da un testo diZanzotto, al termine del quale glispettatori potranno gustare il ri-sotto preparato, “in diretta”, sulpalcoscenico, mentre in agosto lospazio sarà dato alla commediadell’arte con il “Sior ToderoBrontolon” di Roberto Puliero, il9 agosto, e la commedia con ma-schere “Il Principe Moro” delgruppo Pantakin da Venezia, il13 agosto. Il calendario musicaleè ricco quanto quello teatrale. Siva dal d-Quartet di Raffaella Be-netti, straordinaria interprete ve-ronese, l’8 luglio, agli appunta-menti musicali nelle contrade diVelo, a Bepi De Marzi che, con ilcoro La Falìa, racconterà la storiadei suoi 150 canti.Il 14 e il 16 agosto, sul sagratodella chiesa, che si trasformerà

per una settimana in teatro all’a-perto, andrà in scena, in primanazionale, una co-produzione LeFalìe - Teatro Martinelli: “Mo-zart prodigio”. Per la prima voltanella provincia di Verona l’operadi Mozart dodicenne, “Bastianoe Bastiana”, per la regia di Beatri-ce Zuin e la direzione d’orchestradel maestro Carlo Miotto. Unevento che sarà il culmine dell’e-state musicale a Velo Veronese.La mostra fotografica “Oceani dipace” di Maurizio Marcato, apri-rà il 9 luglio la serie di mostreche troveranno spazio nella nuo-vissima Sala dei Centomila, l’e-dificio che Le Falìe hanno ri-strutturato, nel corso dello scor-so inverno, e che diverrà sede diesposizioni, concerti, eventi cul-turali nonché di una scuola diteatro e di musica che sarà inau-gurata il prossimo autunno. Unaseconda mostra dello scultureAndrea Vesentini si terrà nel me-se di agosto.E ancora una serata speciale dedi-cata agli ottant’anni di esplora-zioni nella Spluga della Preta (11luglio), il meglio del cinema dimontagna con il TrentoFilmfesti-val (11 agosto) e il FilmfestivalPremio Lessinia (4 settembre).Per il programma completo delVeloFestival www.lefalie.it; [email protected]; tel. 045.7835566,numero al quale ci si può rivol-gere per la prenotazione dei bi-glietti per le serate musicali eteatrali.

VELO

Un palcoscenicosui monti di Verona

VeloFestival 2005: teatro, cinema, musica, mostre, eventi... da luglio a ottobre nel cuore della Lessinia una manifestazione diventata un classico da non perdere

Spettacoli

Dal 1990, un gruppoteatrale, che è anche uncoro polifonico, raccontasul palcoscenico la storia

del proprio paese.Si tratta de Le Falìe

di Velo Veronese

Un’immagine della precedente edizione del VeloFestival

20

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di Piero Piazzola

Si ripropone anche quest’anno aCerro Veronese, dal 20 al 28 ago-sto, il concorso del “Film festival -Premio Lessinia”, giunto all’undi-cesima edizione con il tema “Vita,storia e tradizioni in montagna”.In gara saranno le opere in videoche – come recita il regolamento– “rappresentino, valorizzino efavoriscano la conoscenza di real-tà sociali, linguistiche, umane,economiche, ambientali, storichee artistiche della montagna, non-ché delle tradizioni, delle usanze edelle consuetudini dei popoli cheabitano in montagna”.Per entrare nello spirito del con-

aiuti da parte della ComunitàMontana della Lessinia, degli entipubblici della Provincia, della Re-gione Veneto e di altre istituzioni.Per farsi un’idea della quantità evarietà di materiale filmato che lamanifestazione ha accumulato inquesto decennio basterebbe citarequalche passo dal promemoria diAnderloni: “Il bilancio è di 219film arrivati all’organizzazione,tutti attentamente valutati eproiettati nella sala del teatro diCerro, sempre affollatissima; 164é il numero dei registi che hannofatto conoscere i loro lavori”.Rivedendoli ritornano alla mentele storie, i volti, le voci, le trans-umanze, i canti, le danze, le tradi-zioni dell’acqua e del fuoco, l’ar-chitettura, i dialetti, le lingue deipopoli che abitano le montagne:dal provenzale al ladino, dal cim-bro al bregagliotto fino ai milledialetti di ogni valle, di ogni pae-se, di ogni contrada.

Piero Zanotto, uno dei membridella giuria, esperto di opere ci-nematografiche, riassume così lasua esperienza: “Si ha la percezio-ne di come molti dei temi sceltisulle molteplici realtà della mon-tagna obbediscano a un appassio-nato bisogno di rendere partecipichi quella realtà conosce poco oaddirittura la ignora del tutto”.Se ci sono dei protagonisti nellastoria del “Premio Lessinia”, que-sti sono gli uomini e le donne, laloro vita in montagna, il convive-re con gli animali e le piante, la fi-losofia propria di chi abita le terrealte, i gesti e le usanze antiche, lafatica e la testardaggine di rima-nere lassù, il disincanto e la rasse-gnazione di fronte al tradimentodella montagna, l’indignazione difronte alla sua devastazione am-bientale, la speranza, l’amore, labellezza, la poesia. Questo ha vo-luto e vuole significare il “Film fe-stival-Premio Lessinia”.

Spettacoli

inVERONA 21

CERRO

Agosto in Lessinia con il Film festival

“Vita, storia e tradizioni in montagna”. Si tratta dell’11ª edizione di una rassegnasempre più seguita da esperti e amatori. Le opere in concorso e fuori concorso

saranno proiettate nel teatro di Cerro Veronese dal 20 al 28 agosto

corso e capirne gli obiettivi, biso-gna rifarsi al 1995 e a quelle circo-stanze storiche che portarono alprimo esperimento di una garaad hoc nel salone dell’Albergo“Belvedere” di Bosco Chiesanuo-va. La paternità dell’iniziativa vaallo scomparso regista tregnaghe-se Mario Pigozzi e al presidentedel Curatorium Cimbricum Vero-nense di quegli anni. Lo scopo ri-mane quello di far conoscere, confilm e documentari, la Lessinia, ilsuo ambiente naturale, la suamontagna, la sua gente, la sua sto-ria, le sue tradizioni e, contempo-raneamente, creare occasioni discambi culturali.Gli organizzatori sperarono, vistoil successo dell’iniziativa, di potercontinuare con altre edizionisempre a Bosco Chiesanuova, male vecchie strutture teatrali delluogo non erano conformi alledisposizioni di legge. Fu quindiinevitabile dirottare altrove la ri-cerca e la scelta cadde su CerroVeronese.Da quel momento il Curatoriumaffidò l’organizzazione della ma-nifestazione al regista AlessandroAnderloni, autore di spettacoliteatrali di successo, socio e ammi-nistratore del Curatorium, cheebbe l’incarico di dirigente arti-stico.Nello stesso tempo il “Film festi-val” fu sostenuto dal Comune diCerro, trovò un supporto e unavalida direzione nel CuratoriumCimbricum e non mancarono gli

In gara saranno leopere in video che

rappresentino,valorizzino e

favoriscano laconoscenza di realtàsociali, linguistiche,

umane, economiche,ambientali, storiche e

artistiche dellamontagna

Il teatro di Cerro durante l’edizione 2004 del Film festival della Lessinia

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di Alice Castellani

Per i detenuti la possibilità di fareteatro significa trasformare il luo-go della stasi e del tempo sospesoattraverso l’arte dell’azione, delmovimento, del gesto e della paro-la relazionata. Di questo si occupail progetto “Teatro tra le mura”promosso da Viva OperaCircus/Teatro dell’Angelo, in colla-borazione con il Centro Territoria-le Permanente “G. Carducci”, con ilpatrocinio della Regione Veneto edel Comune di Verona (assessora-to ai Servizi sociali). Con questainiziativa si stanno sperimentandolaboratori teatrali rivolti a detenutie detenute della Casa Circondaria-le di Montorio, anche in vista dirappresentazioni pubbliche, comequella dello scorso 7 giugno dal ti-tolo “Una giornata di poesia in car-cere: Evasioni... poetiche”.Nel corso della storia l’istituto car-cerario è mutato in parallelo allasocietà, passando dal carcere puni-tivo medievale, dove crudeltà espettacolarità fungevano da deter-renti nei confronti di potenzialitrasgressori delle regole impostedal “signore”, al carcere fondato inprevalenza sulla categoria della“penitenza”, il cui scopo correzio-nale si lega alle finalità ideologiche.Per giungere alla “privazione dellalibertà” come sanzione penale eforma esclusiva di punizione, si èpassati tra l’altro per case di corre-zione dove i carcerati erano obbli-gati a “riformarsi” attraverso lavo-

ro e disciplina, tramite l’utilizzo dipene corporali, di occupazioni cheavevano l’unico scopo di creare af-flizione, e dell’isolamento cellulare,dunque attraverso un carcere prio-ritariamente intimidatorio e dicontrollo totale.Fortunatamente oggi, dopo annidi lavoro teatrale nelle strutture direclusione da parte di compagnie eregisti, anche in Italia si è capita

l’importanza del sostegno di taliattività. Produzione e animazioneteatrale nelle realtà dei penitenziarie delle case circondariali, sonostrumenti di socializzazione dellapopolazione detenuta nell’ambitodell’educazione alla “cura di sé” e auna consapevole interrelazione.Attraverso la conoscenza e la prati-ca dei linguaggi teatrali, culture,lingue ed etnie diverse si incrocia-no; grazie al terreno di incontro,conoscenza, ricostruzione dellapropria storia personale che il fareteatrale crea, si realizza quella con-divisione che aiuta il confronto, loscambio, l’analisi.Proponendo il teatro all’internodel carcere si cerca poi di ridurnel’isolamento dal resto delle istitu-zioni sociali, che in passato lo hareso strumento di controllo fonda-to sulla sostituzione della rappre-sentazione pubblica della punizio-ne con il buio della prigionia, non

osservabile dall’esterno ma sorve-gliata costantemente all’interno. Ilteatro da sempre svela ciò che èdietro le quinte, chiama ad assiste-re e a fare da cartina di tornasolerispetto a ciò che accade. L’espe-rienza del teatro in carcere è unica,costituisce un particolare genereteatrale ma soprattutto una praticache nel “fare” ha la sua forza. Que-sto “fare teatro” poco etichettabilesupera barriere e confini, culturalima anche linguistici e sociali, dif-fondendosi a partire dagli anni Ot-tanta e Novanta nelle carceri euro-pee con i primi laboratori, poi ap-profondito e studiato in convegni epubblicazioni, con la nascita di as-sociazioni impegnate trasversal-mente a fare teatro “altro”. Le espe-rienze teatrali in carcere consento-no ai detenuti di ridefinire la pro-pria identità e autopercezione e,grazie all’uso a fini pedagogici delmezzo teatrale, anche di avvicinar-si a una diversa qualità dei rapportitra le persone.Inoltre il teatro stesso ritrova incondizione “reclusa” l’urgenza e l’o-riginalità delle sue ragioni: il suofarsi metafora del mondo muta isuoi stessi linguaggi della libertàespressiva e della costrizione fisica –perché costretto a un vedere “altro”perché altra è la visibilità consentita- con i giochi del dentro e del fuori.Idiomi che attraversano il contestorompendo la quotidianità ritualedel carcere, proprio con il gioco delteatro e tramite il rinnovarsi dellacomunicazione teatrale.

Spettacoli

Giugno 200522

MONTORIO

Evasioni... poeticheal carcere di Montorio

L’iniziativa “Teatro tra le mura” è promossa dal Teatro dell’Angelo, con lacollaborazione del Centro territoriale permanente “G. Carducci”

Le esperienze teatrali incarcere consentono ai

detenuti di ridefinire lapropria identità e

autopercezione e, grazieall’uso a fini pedagogici

del mezzo teatrale,anche di avvicinarsi a

una diversa qualità deirapporti tra le persone

La casa circondariale di Montorio

Page 23: Verona In 07/2005

di Elisabetta Zampini

“Riscritture” è la mostra personaledi Marco Campedelli ospite, dal10 al 25 settembre, nello spazioespositivo XX.9.12 Gallery Studiodi via XX Settembre, 12. Si tratta diun interessante percorso artisticodove la calligrafia e la sensibilitàgrafica si incontrano in ri-scrittu-re di frasi e pensieri di grandi filo-sofi e poeti del nostro tempo. Leparole, per l’artista, talvolta sonodegli incontri casuali illuminanti,altre volte sono isolate all’internodi testi più ampi nella lettura degliautori amati. Diventano poi segnigrafici dove il contenuto è solouna parte dell’operazione artisticache con talento, fantasia e tecnicarielabora le singole lettere e le fon-de in più livelli di colori e inchio-stri: “Mi occupo di calligrafia dal1997 – spiega Marco Campedelli,grafico creativo e calligrafo –. Fre-quento i corsi dell’AssociazioneCalligrafica Italiana dove ho ap-preso dapprima la tecnica dellescritture formali per arrivare poialle texture calligrafiche, tessituredi lettere in cui la leggibilità dellascrittura viene de-strutturata perlasciare spazio alla composizione”.Le parole e le frasi vengono ripetu-te, sovrapposte e quindi fuse traloro per essere ritrovate e riscoper-te. I vocaboli aprono scorci sullavita, sulle relazioni, sul mondo in-teriore. Frasi significative, interio-rizzate dall’artista e poi restituiteattraverso queste opere d’arte.«In uno dei due testi a lui dedicatiIonesco dice: “Ho l’impressione chela gente sia stanca del linguaggiocorrente che banalizza a tal puntoquello che pensa, che non c’è più

pensiero”. Ecco, con il segno grafi-co e il sentimento del gesto – spie-ga Campedelli – voglio rincontra-re i contenuti. Mi piace destruttu-rare le parole e la leggibilità. Mipiace che lo spettatore sia spinto ainterpretare, approfondire, a cer-care il testo originale».Mentre si mettono insieme questiframmenti testuali, ci si rendeconto che è un genuino sentimen-to a muovere la competenza tecni-ca dell’artista. «Anche le paroleuniche sono stupende – aggiungeCampedelli –. Penso alla parola

“infinito”: un termine che sprigio-na fuoco interiore. Mi affascinanoi segni liberi delle lettere, che si al-lungano all’esterno per creare rit-mi espressivi».Nello spazio espositivo sarannopresenti opere su carta, allesti-menti in stampa digitale di grandeformato, opere in bianco e nero,frammenti di studio e una videoinstallazione. Ma come nascono leopere? «Uso perlopiù inchiostri su

carta – spiega Campedelli –. In-chiostri liquidi che, lavorati fre-schi, si possono fondere fra loro.Vedere un colore che si contaminaall’altro è sempre una magia. Mipiace molto lavorare con l’acqua.Mi è capitato di lavare i fogli scrittisotto l’acqua corrente facendoscorrere il colore in superficie. Lapressione della scrittura invece ri-mane, indelebile impronta lasciatadi sé». La scrittura assume quindiun forte valore intimo e meditati-vo, armonia di tempi e materialinaturali: un calamaio di bambù,penne metalliche autoprodotte, lacarta, l’inchiostro e il gioco è fatto.Quasi un’esperienza spirituale:«Quando faccio calligrafia – spie-ga l’artista – sento dentro un pro-fondo senso di pace. Mi piace pen-sare che se uomini e donne di po-poli e culture diverse si mettesseroinsieme in una stanza e scrivesseroognuno nella propria scrittura cisarebbe un silenzio e una comu-nanza di sentimenti che supere-rebbe qualsiasi differenza».Alla mostra saranno affiancati an-che due eventi all’insegna dellamusica: giovedì 15 settembre è inprogramma un cocktail musicalecon una selezione ambient dell’eti-chetta veronese Silent Groove,mentre giovedì 22 settembre ilWood Duo (Enrico Breanza, Mar-co Pasetto) accompagnerà Massi-mo Totola e voci nella lettura deitesti. L’inizio è alle 21.L’inugurazione sarà il 9 settembre,alle 18.30. La mostra rimarrà aper-ta dal 10 al 25 settembre tutti igiorni, tranne il lunedì, dalle 16 al-le 20.Per informazioni: www.XX.9.12.itwww.marcocampedelli.it

Mostre

inVERONA 23

XX.9.12 GALLERY STUDIO

Le “Riscritture”di Campedelli

Nella mostra, aperta dal 9 al 25 settembre,saranno esposte opere

di calligrafia espressiva e grafica. L’originalepercorso di un artista

da seguire

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sala personale nel 1988, Paladinoha esposto al Castello di Praga, allaBiennale di Sidney, nei cinquemaggiori musei brasiliani e a New-York. È stato il primo artista con-temporaneo italiano a tenere unamostra in Cina, alla Galleria Na-zionale delle Belle Arti di Pechino.Grande sperimentatore, ha sem-pre utilizzato l’incisione emolte altre tecniche,mescolandole tra loro eintroducendo spesso,nelle sue tele, elementiscolpiti, in una mirabilecoesione di modernità earte povera.Per informazioni:[email protected]

Dall’immaginemonumentale

all’essenzialità della forma,l’artista campano resta aVenezia fino al 31 luglio

con le sue complesseiconografie. Venti opere in

terracotta e carta,organizzate per l’occasione,

documentano gli ultimiesiti della sua ricerca

artistica«Lo spazio è una circostanza nondeterminante. Le dimensioni di untavolino possono essere sufficientia provocare tensioni e strategie de-gne del più vasto affresco». Si puòriassumere così l’idea artisticadi Domenico Paladino, pittore escultore di Paduli, in mostra a Ve-nezia fino al 31 luglio, alla GalleriaInternazionale d’Arte Moderna,

Ca’ Pesaro. Esponente della Trans-avanguardia, movimento post-moderno che trae ispirazione dalNeo-espressionismo tedesco macon una visione della realtà menodrammatica e più solare, MimmoPaladino ne è un interprete origi-nale. La sua ricerca si incentra sulla“memoria profonda” dove le for-me, ridotte ad archetipi, si congela-no in istanti senza tempo ma per-manenti nella loro concretezza. Lamostra, allestita al piano terrenodel Museo, prevede in cortile l’e-sposizione di sei grandi sculture interracotta, realizzate per l’occasio-ne, che documentano gli ultimiesiti della produzione dell’artistacampano. Dopo le mostre deglianni Ottanta di Londra, Basilea eHannover che lo lanciano a livellointernazionale, mentre in Italia laBiennale di Venezia gli dedica una

Mostre

24

Venezia - Ca’ Pesaro, fino al 31 luglio

Mimmo Paladino: segni da decifrare

Rovereto - Mart, fino all’11 settembre

Una casa a misura d’uomo

Il mondo arabo in unamostra in esclusiva al Mart

di Rovereto fino all’11settembre: oggetti di vita

domestica e modelliabitativi ricostruiti su scala

reale ripercorronol’affascinante storia di

spazi accoglienti e ospitaliconcepiti per l’uomo

La casa riflette il nostro essere el’intimità domestica ci svela mon-di e culture. “Vivere sotto la lunacrescente” è il titolo della mostraallestita in esclusiva in Italia alMart di Rovereto fino all’11 set-tembre e dedicata alla vita dome-stica del mondo arabo. Una gran-de esposizione proveniente dal Vi-tra Design Museum di Weil amRhein,in Germania, racconta laquotidianità dei popoli arabi e iloro antichi valori religiosi e socia-li, attraverso oggetti quali cerami-che, tessuti e utensili e ricostruzio-ni di ambienti domestici che i visi-tatori hanno l’opportunità di spe-rimentare personalmente. Una se-rie di fotografie e video documen-tano aspetti poco conosciuti della

ze o l’uso delle risorse idriche. Laluna crescente è, presso le cultureorientali, il momento ideale e pro-piziatorio per edificare e costruire,per concepire e realizzare progetti,

riflessi di quella mappa celesteche aiuta i Beduini ad orientarsinel deserto. La mostra presenta laricchezza degli stili in un’area cheva dal Marocco alla Penisola Ara-ba, passando per l’Egitto, la Siria,la Tunisia, l’Algeria, la Giordania,la Mauritania, il Libano e lo Ye-men. Si potranno ammirare, daun lato, esempi di architettura ru-rale come le tende dei nomadiTuareg e Beduini, le casbah delMarocco, e molti altri; dall’altro,le grandi soluzioni abitative incittà come Il Cairo e gli splendidipalazzi di Marrakech e Damasco.Il percorso si snoda attraverso lavisione delle opere degli architettiarabi che hanno lasciato un im-portante segno anche nella cultu-ra occidentale fino a progetti diarchitettura internazionale comela realizzazione dell’Institut duMonde Arabe di Parigi. L’archi-tettura araba, con la sua esteticafunzionale, è concepita, in parti-colare, per le esigenze e i desideridi chi la abita come un rifugio sa-cro e luogo di convivenza e dialo-go. Per informazioni: tel. 0464438887.www.mart.trento.it

vita familiare araba e rivelano unasorprendente modernità, basta os-servare l’uso multifunzionale degliambienti e ancora il sistema perregolare la temperatura delle stan-

A lato: Senza titolo.Figura seduta 1999.In alto: casanomade dellaMauritania

Giugno 2005

Page 25: Verona In 07/2005

di Chiara Cappellina

Sostenere la formazione di nuoviparchi, proporre sistemi alternati-vi di mobilità, stimolare il rispar-mio energetico e diffondere lamentalità di un verde diffuso a li-vello cittadino per cercare di affer-mare un livello di vita eco-sosteni-bile. Questo è il riflesso veronesedella missione mondiale delWWF, che da anni combatte perfermare il degrado dell’ambientenaturale del pianeta e per costruireun futuro in cui gli uomini vivanoin armonia con la natura.Il WWF Verona (Via del Risorgi-mento 10 - Telefono e fax: 045.9175 14, email [email protected]) hatutte le caratteristiche per un’a-zione concreta a favore di una va-lida gestione ambientale del no-stro territorio.Con cinquemila tessere nella pro-vincia veronese e tremila in città, lasezione locale del Fondo Mondialeper la Natura fa capo a quella diMestre, e sul territorio scaligero co-ordina a sua volta sei gruppi localiattivi in provincia: a Povegliano,Castel D’Azzano, Villafranca, Lessi-nia,Veronese orientale,Arcole.«Si tratta di un’attività locale chefa parte di una missione globale –spiega Manuela Formenti, respon-sabile della sezione scaligera – noiportiamo i progetti internazionalia Verona e allo stesso tempo por-tiamo Verona in ambito interna-zionale». Questo significa «Colla-borare a livello internazionale, na-zionale e locale con governi, istitu-zioni finanziarie e organizzazioninon governative».Con i progetti, l’educazione e icampi estivi, gli appelli e le petizio-

ni, la sezione di Verona è attiva, an-che nell’ambito dei tavoli di Agen-da 21 del Comune, con i program-mi di sostenibilità a numerose atti-vità: dalla pulizia dei fossi, allapiantumazione di nuovi alberi,dalla promozione dell’attività diraccolta differenziata, all’istituzio-ne di nuove piste ciclabili, per«Creare una mentalità di uso con-sapevole dell’ambiente, assicuran-do che l’utilizzo di risorse rinnova-bili sia possibile, favorendo la ridu-zione dell’inquinamento e dellospreco di risorse» dichiara la For-menti.Il territorio su cui agisce la sezioneveronese del WWF è caratterizzatoda numerosi Siti di ImportanzaComunitaria (SIC), tra cui l’Oasinaturalistica del Vajo Galina, ilProgno Borago, la Palude del Busa-tello, la Palude del Feniletto e la Pa-lude di Pellegrina. Tutte aree parti-colarmente pregevoli dal punto divista naturalistico che necessitanodi importanti forme di tutela, cosìcome indicato da direttive specifi-che dell’Unione Europea.Ma non è abbastanza. «La situa-zione delle aree protette nel vero-nese è ancora sofferente – annun-cia Formenti – e la nostra regione

non è da meno: basti pensare chesolo oggi, dopo anni, il WWF haottenuto l’istituzione del Parcodell’Adige inserito nel Piano di as-setto territoriale (Pat), e da alcunesettimane il riconoscimento del-l’alveo del fiume Adige come Sitodi Importanza Comunitaria».Il Parco Adige, che si estende in ter-ritorio comunale per una superfi-cie di 820 mila metri quadrati, è unpolmone verde vicino al centrodella città. Con esso si vuole con-servare l’ambiente naturale che ac-

compagna lo scorrere dell’Adige, efavorire la già nutrita presenza diuccelli stanziali e migratori che po-polano le sponde e l’isolotto delPestrino», afferma Formenti.Nei prossimi mesi la sezione vero-nese del WWF promuoverà unaraccolta di firme a favore del VajoGalina e dell’alta Val Borago, perl’allargamento a tutto il territoriodello stato di area protetta. Ad og-gi, sostiene la responsabile dellasezione scaligera «Solo nella partesud del Vajo e nella zona Prognodella Val Brago è vietata la caccia. Èdoveroso estendere questa tutelaper via dell’alto grado di biodiver-sità presente in queste aree».Da qui l’importanza degli itinerariguidati da esperti naturalisti, pro-mossi negli scorsi mesi dal WWFdi Verona, in collaborazione conl’assessorato alle Politiche am-bientali, per conoscere e ammirarequeste oasi vicine alla città. «Cisiamo allontanati troppo dalla na-tura e non sappiamo più cosa glisuccede» afferma Formenti . «In-vece, nel momento in cui ci trovia-mo immersi nell’ambiente, que-st’ultimo diventa qualcosa che ciappartiene e che per questo vo-gliamo tutelare».È grazie al volontariato nelle Oasie nei Rifugi creati e gestiti dalWWF che l’attività dell’associa-zione vive e prosegue. A questoproposito la sezione di Verona in-vita tutti gli amanti della natura edegli animali a dare la propria dis-ponibilità per aiutare la loro mis-sione e propone un’alleanza spe-ciale con i giovani «per stimolarein loro la cultura e il rispetto del-l’ambiente, perché il suo futuro ènelle loro mani».

Ambiente

inVERONA 25

WWF

La tutela della naturaLa sezione locale del Fondo Mondiale per la Natura, guidata da Manuela

Formenti, conta tremila tesserati in città, cinquemila nella provincia

Sono numerosi i sitigestiti a Verona

dall’associazioneambientalista, tra cuil’oasi del Vajo Galina,

il Progno Borago,la Palude del Busatello,la Palude del Feniletto

e la Palude di Pellegrina.Tutte aree pregevoli dal punto di vistanaturalistico che

necessitano di tutela

Page 26: Verona In 07/2005

di Guido Gonzato

A chi ha la sana abitudine di farepasseggiate sulle nostre collinepuò capitare di imbattersi in unbossolo di fucile. Qualche caccia-tore, infatti, talvolta “dimentica”di raccogliere gli scarti della suaattività venatoria. Curiosamente,il comportamento dei cacciatoridei nostri giorni è esattamente lostesso dei loro colleghi vissutimigliaia di anni fa, in piena prei-storia. I loro scarti erano diversi eassolutamente naturali: le loroarmi erano infatti costruite in le-gno e pietra.Facciamo però un passo indietro

l’acciaio della preistoria.Nei calcari della media e alta Les-sinia si trovano strati di una for-ma microcristallina di silice, laselce. Questa pietra è una speciedi vetro naturale. La sua caratte-ristica principale è che quando sifrattura dà origine a scheggemolto taglienti. I nostri antenatiavevano sviluppato una vera epropria tecnologia basata sullaselce, con cui costruivano buonaparte dei loro utensili. Era unaricchezza, e veniva addiritturaesportata dalla Lessinia versoaree che ne erano sprovviste.Sembra che anche la lama in sel-ce grigia del magnifico coltellodell’Uomo del Similaun sia statarealizzata con la selce dei nostrimonti.Durante le loro battute di caccia,i cacciatori portavano con sémolti strumenti pronti all’uso eil materiale per costruirne in ca-so di bisogno. Se un cacciatorefiniva le punte di freccia o avevabisogno di un certo strumento,poteva costruirlo sul posto uti-

lizzando un piccolo blocco diselce che si portava appresso: ilcosiddetto “nucleo di lavorazio-ne”. Pochi colpi bastavano perestrarre una scheggia della formaadatta, che poi veniva ritoccatafino a trasformarla nello stru-mento finito. Quando il nucleoera diventato troppo piccolo perpotervi estrarre altre schegge uti-li, il cacciatore lo gettava; allostesso modo, venivano scartatipunte o lame rotte o non ben ri-uscite. Questi “rifiuti” sono ri-masti sul terreno per migliaia dianni.Nelle nostre passeggiate ci puòcapitare di ripercorrere il sentie-ro battuto da un antico cacciato-re. Sulle colline di Avesa e Quin-zano e sulle Torricelle, non è rarotrovare piccole schegge di selce,resti di lavorazione, nuclei o ad-dirittura strumenti più o menocompleti (come possiamo osser-vare nel piccolo campionariodella foto). Sono quasi sempre dicolore bianco, poiché l’ossida-zione nasconde l’originale coloregrigio o blu della selce. Più rara-mente possiamo rinvenire scheg-ge rettangolari di selce scura:queste sono pietre da acciarino,fabbricate dai contadini fino acirca un secolo fa.La prossima volta che andrete aspasso sulle Torricelle, provate aseguire il crinale e guardate conattenzione per terra: se trovatedelle piccole schegge bianche elisce, quella è selce.

Territorio

Giugno 200526

A SPASSO NEL TEMPO

Sulle tracce lasciatedai cacciatori preistorici

I primi uomini abitarono il veronese già nel Paleolitico medio-superiore.Dopo centinaia di migliaia di anni i manufatti di selce parlano delle loro abitudini

Diversi tipi di selce lavorata utilizzata per costruire utensili o armi per la caccia

Se un uomo finiva le punte di freccia oaveva bisogno di un

certo strumento, potevacostruirlo sul posto

utilizzando un piccoloblocco di selce che si

portava appresso

e raccontiamo la storia dal prin-cipio. La provincia di Verona, e inparticolare la zona collinare emontana, è abitata dall’uomo dacentinaia di migliaia di anni, cioèdal Paleolitico medio-superiore.L’ambiente montano era moltofavorevole all’instaurarsi di inse-diamenti umani. Non mancava lapossibilità di procurarsi il cibo,visto che i nostri antenati paleoli-tici vivevano di caccia e raccolta.I monti fornivano infatti tutto ilnecessario: mandrie di animali digrossa taglia, come i cervi, e fau-na di piccola taglia. Inoltre, erapresente in grande quantità unarisorsa preziosa: la selce. Ovvero

Page 27: Verona In 07/2005

di Michele Domaschio

Ovunque tu possa volgere lo sguar-do, incrocerai quello del dio; ovun-que, il viso del re ti segue. Salendo leterrazze del tempio del Bayon adAngkor, nel cuore della forestacambogiana, queste parole acqui-stano un significato tangibile e ma-gico: le 54 torri di pietra che nedanno forma terminano ciascunacon quattro enormi bassorilieviche riproducono il volto del Bud-dha, personificato nel sovrano Ja-yavarman VII, ed è praticamenteimpossibile trovare un punto nelquale non si avverta – maestosa einquietante – la presenza di questiocchi su di sé.Angkor, la grande capitale del re-gno Khmer edificata tra il nono e ilquindicesimo secolo dopo Cristo, è

oggi un patrimonio storico e arti-stico dell’umanità, tutelata a tal fi-ne dall’Unesco, ma è soprattuttoun’esperienza che – per noi occi-dentali – apre uno spiraglio unicosulla cultura e la tradizione di que-sto lembo d’Oriente. L’infinita se-rie di templi e palazzi, che la forestaha quasi completamente fagocitatodopo 500 anni di oblio, suscita an-cora l’emozione che i sudditi pro-vavano accostandosi alle sue muranel periodo del massimo fulgore,quando ogni centimetro delle fac-ciate degli edifici era coperto di le-gni intarsiati, pietre preziose, tes-suti di rara magnificenza.Le uniche concessioni alla nudapietra erano rappresentate dai bas-sorilievi che, ancor oggi, illustranobrani dei poemi epici del cultohindù, come il Ramayana o il Ma-

Viaggiare

inVERONA 27

La foresta cambogianae i templi di Angkor

Le 54 torri del tempio di Bayon terminano ciascuna con quattro enormi volti inpietra del Buddha. È praticamente impossibile trovare un punto nel quale

non si avverta la presenza maestosa e inquietante di questi occhi che ti guardano

La grande capitale del regno Khmer edificata tra il nono e il quindicesimo secolo dopo Cristo,

è oggi un patrimonio storico e artisticodell’umanità, tutelata dall’Unesco

Page 28: Verona In 07/2005

Viaggiare

Giugno 2005

della temperatura, che nelle orecentrali della giornata (durante labella stagione) arriva a sfiorare i40 gradi. La varietà del paesaggiocambogiano si comprende pro-prio ripensando a quanti diversimezzi di trasporto si possano uti-lizzare per attraversarlo: nel cao-tico traffico del centro di PhnomPenh sono comodissimi i motori-ni che i giovani del luogo utilizza-no quasi esclusivamente per darepassaggi ai turisti, mentre – senon si ha troppa fretta – ci si puòaccomodare su un cyclo, o noleg-giare una bici; le polverose stradeattorno ai villaggi sono riservate afuoristrada o eroici minibus,sempre sul punto di collassare perla fatica e l’eccessivo carico; i fiu-mi, come il Tonle Sap che collegala capitale a Siem Reap (la localitàpiù vicina ai templi di Angkor),sono invece solcati da motonavila cui velocità è direttamente pro-porzionale all’audacia (o all’inco-scienza) dei giovanissimi capita-ni, che umiliano con la forza delleturbine la quiete meditabondadelle numerose giunche fluviali.Le onde sollevate dalle potentiimbarcazioni simboleggiano unprogresso che sta rapidamentescalzando, anche qui, la tradizio-ne, con tutte le contraddizioniche ne conseguono. Così, adesempio, può capitare – a me èsuccesso - che la vostra guida siaabituata a parlare in inglese con ivisitatori stranieri, ma che riman-ga quasi terrorizzata all’atto di sa-lire su una comune scala mobile.Forse, proverebbe meno imbaraz-zo ad avventurarsi sul dorso di unelefante.

habarata. Di quando in quando,questi capolavori sono privi diqualche tassello, ritenuto magico equindi asportato per proteggere lacasa degli abitanti del luogo.Chiamare case le catapecchie chefiancheggiano la strada per Ang-kor è un timido eufemismo. Moltospesso, si tratta di semplici chio-schi per la vendita di bibite e qual-che souvenir, che con molta buonavolontà e altrettanta fantasia sonostati poi adibiti a dimora dai loroproprietari. I bambini, che scia-mano a frotte attorno ai templi, siprodigano per portare bevandefresche ai turisti, i quali si ritrova-no poi circondati da una selva dimanine tese a chiedere qualchespicciolo e un sorriso. In effetti, sitratta di un conforto molto gradi-to, in particolare per quei temera-ri – quasi sempre arzilli vecchiettiamericani, bardati di tutto puntocon al collo almeno due o tre vi-deocamere – che si lasciano con-durre per i sentieri polverosi dellazona a dorso di elefante, come fa-cevano gli antichi sovrani del luo-go (almeno così affermano le gui-de del posto, non appena avvista-no qualche comitiva di arzilli vec-chietti americani…).Oggi, la visita del sito archeologi-co – che si estende su un’area di400 chilometri quadrati – può es-sere più comodamente compiutafacendosi scarrozzare da un re-morque-moto, curioso aggeggiocomposto da un comunissimo ci-clomotore, cui è stato agganciatoun rimorchio coperto: con poco

più di dieci dollari al gior-no, si può così godere del-lo spettacolo di Angkorsenza rischiare un’inso-

lazione, inconvenienteabbastanza frequen-

te tenuto contodell’umidità e

Pol Pot e i Khmer Rossi

Il 17 aprile 1975 le formazioni para-militari dei Khmer Rossi, capitanatidal loro leader Pol Pot, prendevano ilcontrollo di Phnom Penh, abbattendoil corrotto governo filo-americano.Quello stesso giorno la popolazionedella capitale fu fatta evacuare, sottola minaccia di un imminente attaccoaereo statunitense. In realtà, era l’ini-zio dell’inferno per i quattrocentomilaabitanti della città e per altri 2 milionidi cambogiani (su una popolazionetotale di 12 milioni circa), condotti aforza nei campi di “rieducazione” e

poi morti per le esecuzioni di massa, la prigionia e gli stenti inflitti daun regime tanto breve (poco più di tre anni) quanto crudele.L’abisso della disperazione nel quale sprofondò la Cambogia del re-gime Khmer risulta ancora più sconvolgente rispetto ad altri stermi-ni di massa del secolo scorso (l’olocausto degli ebrei o degli armeni,ad esempio) perché perpetrato ai danni del proprio stesso popolo.L’accettazione di tale condizione disumana può essere, forse, rac-chiusa nelle parole di una donna – riportate dall’ambasciatore cam-bogiano all’ONU in un recente articolo apparso su InternationalHerald Tribune – che parlando da devota buddista, come la mag-gior parte dei suoi compatrioti, affermò in quei giorni: «Dobbiamoaver fatto qualcosa di molto cattivo nella nostra vita precedente, seoggi ci troviamo a patire tutte queste sofferenze».La dittatura di Pol Pot tentò di soppiantare queste nobili tradizionireligiose, introducendo nel paese una “purezza maoista” che com-portava la scomparsa delle classi sociali, la confisca di tutti i beni daparte dello Stato, l’abolizione della moneta, l’isolamento dal mondo(rimaneva aperto solo un corridoio aereo con la Cina comunista). Ipiù ferventi seguaci di tale ideologia si rivelarono i giovani, a voltepoco più che bambini, che con inusitata crudeltà non esitavano atorturare e uccidere parenti e amici sospettati di essere “borghesi an-ti-rivoluzionari”. La prigione di Tuol Sleng, sita in un quartiere pe-riferico della capitale e oggi trasformata in museo, è ancora pregnadi questa atmosfera di terrore, e una lapide ricorda gli ultimi dieciprigionieri, uccisi a bastonate poche ore prima dell’arrivo dei viet-namiti e della disfatta dei Khmer Rossi. Autori dell’eccidio, soldatiragazzini dai dodici ai quindici anni.

Page 29: Verona In 07/2005

«Entrai timido in una stanza tut-ta bianca, completamente spo-glia, al centro solo una scrivaniae un uomo curvo su una Olivettinera e lucida. Intimorito porsi lamia raccolta di poesie a Montale.Mi chiese se avessi pubblicato amie spese il libro e io gli risposidi sì; allora mi rassicurò dicen-domi che si inizia sempre così.Avevo ventisei anni».È da quel memorabile incontronella casa del poeta a Milano, invia Bigli 15, che il titolare dellaBonaccorso Editore, Antonio Se-racini, decise il proprio destinodi autore-editore.Scrittore dall’età di diciassetteanni, Seracini è editore dal 1975,quando fondò la casa editriceBonaccorso & C., oggi diventataBonaccorso Editore, con sede invia Nicola Mazza, 30. Insegnantecon una lunga esperienza didat-tica, dedica il suo tempo a educa-re altri ingegni, adottando qual-siasi proposta di opera letterariache ritenga valida, al di là dellemode e del marketing editoriale.Seracini ricorda il suo passato distudente e giovane autore, la suapartenza dalla terra di Locri e iprimi contatti letterari nella cittàdi Verona, in particolare l’incon-tro con il Cenacolo della poesiadialettale “Berto Barbarani” e ilrapporto di amicizia con FrancoMontaldo Jeròcades, suo profes-sore universitario di cui ha pub-blicato la raccolta di poesie Pagi-ne aperte.«L’idea originaria – spiega Bo-naccorso – era quella di fondareuna società di editori che fosseroanche autori e pubblicassero leloro opere condividendo passio-

ne e costi». Anche se da solo, oggiSeracini ha realizzato il suo so-gno e porta avanti un progettoeditoriale suddiviso in collanedove c’é spazio per la saggistica,la poesia (anche in dialetto), ilteatro, la narrativa, lo sport. Al-tra proposta sono i Taschinabili,pratici libricini dal prezzo eco-nomico.«Quando un autore sente che ètempo di far conoscere la suaopera, ma non sa bene come di-vulgarla, l’incontro con l’editoregiusto è determinante – spiegaSeracini -. Spesso si trova a bus-sare di porta in porta con il suomanoscritto e a dover investiretutti i risparmi per vedere pub-blicato il suo lavoro. Ma quandoun editore è anche un autore, chequindi conosce bene le difficoltàdegli inizi, sviluppa quella predi-sposizione alla collaborazione eall’assistenza di cui lo scrittoreha bisogno».Diversi per età ed esperienze let-terarie sono gli autori che hannopubblicato con Bonaccorso, an-che ragazzi molto giovani, o per-sone che coltivano da anni il so-gno di essere in libreria o magaridi concorrere a qualche presti-gioso premio letterario, come ilcaso recente del poeta ArnaldoEderle, finalista quest’anno alpremio Camaiore con la sua rac-colta di poesie Sostanze.«Se un progetto mi piace e miconvince cerco di realizzarlo. Èinteressante pubblicare ancheopere di altri tempi e sarebbebello se un autore, qualche volta,prendesse in mano un libro delpassato e lo rivisitasse con unasensibilità moderna».

Ma quali sono le qualità princi-pali che uno scrittore deve avereper l’editore Bonaccorso? «Sem-plicità e verità. Perché esserecomprensibile ai lettori, per unautore, significa saper comuni-care con la forma espressiva a luipiù congeniale e riuscire a tra-smettere idee ed emozioni attra-verso il suo stile unico. Lo scrit-tore è, in questo senso, “impe-gnato”, e la vocazione alla scrit-tura si accompagna alla sua in-tenzione comunicativa».«Un buon autore» continua Se-racini «deve essere prima di tuttoun accanito lettore. Le sue espe-rienze letterarie si depositano inun contenitore da cui attingecontinuamente per il suo lavo-ro».Cosa l’editore si sentirebbe di di-re a un autore? Forse alcuni suoiversi non potrebbero esprimerlomeglio: «Se leggendomi vi sem-brerà di trovarvi di fronte a unospecchio, dove vedrete qualcosa divoi stessi, che pareva dimenticata,allora io avrò il dubbio se ho fattoun passo avanti o indietro». L’edi-tore é un po’ l’alter ego dell’auto-re, l’altra coscienza che si lascialeggere leggendo e, comunque,sempre il suo lettore più critico.

Libri

inVERONA

EDITORIA

Bonaccorso editoreLa scelta decisiva è maturatadopo l’incontro con Montale

Antonio Seracini

«Essere comprensibile ailettori, per un autore,

significa sapercomunicare con la forma

espressiva a lui piùcongeniale e riuscire a

trasmettere idee edemozioni attraverso il suo

stile unico»

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Page 30: Verona In 07/2005

di Cinzia Inguanta

The Wandering SpiritEuro 15

Il cd di AriellaUliano è statorealizzato in duestudi di registra-zione: l’OceanStudios di MarkBhalla di Londra

e il Music Change Studio di Fu-mane, in provincia di Verona. Perregistrare in Italia l’artista si è av-valsa della collaborazione de IMusici di San Giorgio di Valpoli-cella, specialisti in musica anticaeuropea e tradizionale veronese,sotto la direzione artistica delProf. Ernesto Clemente De Mar-tino. Il repertorio contenuto nel-l’album The Wandering Spirit ècomposto di poesie e musiche delRinascimento inglese, interpreta-te dall’artista e dai musicisti chel’hanno accompagnata in chiavea volte antica o tradizionale, avolte etnica o moderna. In questoCd, la musica e la poesia rinasci-mentale inglese, che spazia daWilliam Shakespeare a RobertDevereux e John Dowland, e agliautori anonimi dei brani tradi-zionali del Cinquecento, rivivonoin Italia e, in particolare, nellaprovincia di Verona.

Venendo giù dai monti sento una voce cantareEuro 15

Si tratta del secon-do CD che racco-glie il terzo ed ilquarto volumedella serie Le tra-dizioni musicalidel Veronese, rea-

lizzato dall’assessorato alla Valo-rizzazione delle tradizioni popo-lari veronesi del Comune di Vero-na, con il contributo della Regio-ne Veneto. I curatori dell’operasono stati Grazia De Marchi, Li-vio Masarà e Alfredo Nicolettiò.Questo ultimo lavoro, oltre ad es-sere un omaggio al ricordo delmusicista Arturo Cardini, racco-glie anche una testimonianza so-nora delle Donne di Fane. Le re-gistrazioni provengono dall’ar-

chivio di Grazia De Marchi e so-no state realizzate a Fumane e aFane tra il 1979 e il 1980. I cd so-no accompagnati da un librettocon i testi e le notazioni musicalidei brani più significativi con al-cune note.Il cd è disponibile alla SocietàLetteraria. Per informazioni:[email protected]

Il lampo di HiroshimaMaruki Toshi (traduzione di Makiko YamadaMagonara)Perosini Editorepp. 52, Euro 11,36

Ad agosto ricorrono i 60 annidallo scoppio della bomba atomi-ca. Questa potrebbe essere l’occa-sione per leggere o proporre aipiù piccoli il racconto di Mii-chan, una bimba di sette anni,colpita dalla bomba atomica diHiroshima. Il libro narra la storiadel suo percorso verso la salvezza.“Il lampo di Hiroshima”, tradottoin tredici lingue, è diventato untesto guida per tanti insegnantied educatori che desiderano farconoscere la storia da una pro-spettiva diversa e insolita, attra-verso, appunto, lo sguardo deibambini. Sono disponibili a ri-chiesta le schede di lavoro per in-segnanti, elaborate dal Movi-mento di Cooperazione Educati-va di Verona.

Salvo precipitazioni localiRitratti tra cronaca e letteratura diuna città e dei suoi abitantiSilvino Gonzato Giorgio Ghelfi Editore 2005 pp. 239, Euro 13,42

Salvo precipita-zioni locali com-menta l’autoredel libro «è unviaggio tra sto-rie urbane chepossono essereraccolte in qual-siasi città, non

solo a Verona, perché è l’uomoche fa la città e non viceversa».Un libro, quindi, costruito sullepersone più che sui fatti. Fram-menti tutti giocati sull’antifrasi.Soggetti perfetti per una comme-

dia italiana dove si sorride conmalinconia sulla follia della real-tà.

I RomaniLa storia di Roma antica rivisitatada un federalistaLino Marinello Piero Lacaita Editore 1998pp. 286

In questo libro,com’è facile in-tuire dal titolo,la storia di Ro-ma, dalle originialla caduta del-l’Impero Roma-no d’Occidente,è rivisitata in

chiave federalista. L’intento pri-mario dell’autore è quello di di-mostrare che “la concessione del-la cittadinanza a tutti gli abitantidell’impero, l’unificazione dellalingua, delle leggi, dei costumi,della cultura, la possibilità di ac-cesso a tutte le cariche pubblicheper tutti gli abitanti dell’impero,ivi compresa la carica imperiale,fanno di Roma l’anticipatricedella concezione federalista”.L’impero viene così letto comemodello antesignano delle attualiteorie politiche.

Il tempo della danzaStorie per chi vuole sperarePaolo Bertezzolo Gabrielli Editori 2005pp. 414, Euro 24,00

Tante storie, intrecciate tra loro,per definire un’unica incalzante ri-cerca sui temi che da sempre ricor-rono nelle vicende umane: la fede,l’amore, l’impegno per migliorar-sai, le condizioni della felicità.Nella storia principale di GuidoBiancardi e di Laura se ne inne-stano altre: quella della guerraitaliana in Africa settentrionalenel ’40-’41; quella di Ipazia, disuo padre Teone, dei monaci del-la Nitria, di Atanasio e di tanti al-tri personaggi che vissero con lo-ro ad Alessandria alla fine del IVsec. d.C.; le storie di Sinesio, diTeofilo e Cirillo; quella dell’Italiadel dopoguerra, del centro-sini-stra, di Tangentopoli e quelle, an-cora, di Mariano, della “notte dei

cristalli” e della Shoah. L’intentodel libro è principalmente quellodi trattare questi argomenti inmodo non banale e offrire un’e-sperienza coinvolgente e stimo-lante di lettura.

Giocosport Trimestrale di cultura ludicaMarco FittàAssociazione culturale Hermes

Giocosport è il nuovo trimestraledi cultura ludica pubblicato daMarco Fittà, presidente dell’Asso-ciazione culturale Hermes (On-lus), che si interessa di ricercastorica sui giochi e sui giocattoli.Il giornale propone in ogni nu-mero un particolare gioco da rea-lizzare.La tiratura della rivista è di 2000copie e la distribuzione avvienetramite abbonamento. L’Associa-zione, in collaborazione con laFondazione Pianura Bresciana,distribuisce il trimestrale da giu-gno 2005 in tutte le scuole di ogniordine e grado di Verona e Bre-scia. Hermes propone anche corsie laboratori di diverso genere.Per informazioni tel. e fax:045.7514124; cell. 348.4933067.www.associazionehermes.com

Libri e cd

Giugno 200530

Giornale di attualità e cultura

DirettoreGiorgio [email protected]

RedazioneGiorgia CozzolinoElisabetta Zampini

Lungadige Re Teodorico, 10 37129 -Verona. Tel. 045.592695

StampaNovastampa di Verona

Registrazione al Tribunale di Veronan° 1557 del 29 settembre 2003

N° 7/giugno 2005

Progetto editorialeProporre temi di attualità e cultura,

stili di vita per la crescita della persona

Il giornale è distribuito gratuitamentenelle librerie di Verona

www.verona-in.it

STUDIOeDITORIALEGiorgio Montol l i

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