sguardi da meridiana

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1 Pierpaolo Cetera KROPIO Sguardi da Meridiana 2010

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Un libro su un territorio

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Pierpaolo Cetera

KROPIO

Sguardi da Meridiana 2010

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Prefazione

Il blog Kropio ( http: \\ kropio.blog.kataweb.it) è nato da poco più di un anno ed è ancora attivo. Si tratta di uno spazio che ha affrontato e affronta questioni che riguardano le idee e le forme presenti e pensate in un territorio che, riferendoci a un noto apporto culturale, chiamano Meridiana.

L‟esigenza di far una cernita di articoli pubblicati, con interesse precipuo su questioni del territorio, è stata dettata da un tentativo di pubblicizzare alcuni dei temi affrontati, per poter così rimetterli in discussioni e magari superarli con nuovi punti di vista e nuovi argomenti. Sono questioni riguardanti l‟ecologia mentale, e per questo necessitano di un ulteriore sguardo e di una nuova prospettiva di comprensione e arricchimento.

L‟uso e l‟abuso del territorio, la produzione culturale e la distruzione delle memorie del passato (memorie materiali e spirituali), le prospettive possibili e gli orizzonti foschi, sono i poli dialettici con cui si osservano le varie vicende della nostra Calabria.

Bisognerebbe appropriarsi di tutte le migliori energie e dei talenti che ci sono, metterli in connessione e far in modo che queste qualità emergessero con tutta la loro portata innovativa. Dedico proprio a loro queste limitate riflessioni. Per questo mi sovviene in mente una frase del grande studioso F. Braudel: << Ogni storico deve avere un suo territorio, una città di elezione, un suo osservatorio privilegiato, perfettamente conosciuto, a partire dal quale egli vede, meglio, cerca di vedere i destini del mondo … >>.

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CAPITOLO UNO

TERRITORI E STORIE

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La CALABRIA (così i Bizantini chiamarono la romana Regio III “Lucania et Brettii”) è stata, nonostante le alterne vicende, la regione italiana che più a lungo è rimasta nell'orbita dell' IMPERO ROMANO D'ORIENTE.

Dal 527 d.C., con la conquista di gran parte dell'Italia per mano di GIUSTINIANO durante la GUERRA CONTRO I GOTI, fino al 1059 d.C. (conquista di REGGIO CALABRIA da parte dei NORMANNI), i BIZANTINI determinarono in modo incisivo la CULTURA materiale, le vicende politico-amministrative e la RELIGIOSITA' di vaste aree e città dell'antica Bruzia.

La valle del CRATI e parte della SIBARITIDE furono amministrate dai Longobardi prima sotto controllo diretto del Ducato di Benevento, fino all'839 d.C, poi sotto la tutela del Principato di Salerno. ROUSIANON (Rossano, che i latini chiamavano Roskianum) divenne man mano una vera e propria fortezza Bizantina, grazie anche alla sua posizione strategica, essendo la cittadina allocata su un acrocòro naturale. Già durante le incursioni barbariche la città fu, secondo lo storico greco (?) Procopio, teatro di Battaglie memorabili, come quella combattuta nella contrada Lampa fra Visogoti e Bizantini.

Il presunto LIMES, cioè il confine politico-militare, fra l'area neogreca bizantina (Ducato di Calabria, successivamente Thema) e quella romano-germanica dei Longobardi, è da collocarsi subito dopo l'oppidum Roskianum (Rossano) nei pressi di Cassanum (odierna Cassano allo Jonio) per il versante ionico, mentre per il versante tirrenico il limite va collocato nell' area di Consentia (Cosenza), già unificata come GASTALDATO Longobardo (ovvero distretto territoriale con un funzionario di nomina regia), in direzione Malvito-Amantea-Laino.

Nel VII° e VIII° secolo Rossano, come anche il resto della Calabria, fu sottoposta a un processo di neoellenizzazione, con l'introduzione della lingua greca e della religione ortodossa (il clero doveva prestare GIURAMENTO al PATRIARCA di COSTANTINOPOLI, non più al Vescovo di Roma, al Papa). La Guerra Iconoclasta, con la relativa persecuzione dei monaci “adoratori di immagini”, combattuta dal 713 fino all'843 dai Basileus di Bisanzio, comportò l'emigrazione massiccia, anche nei territori della Sibaritide, di figure importanti del

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clero fedele all'ideologia iconodula (coloro che erano favorevoli all'uso delle immagini sacre). Altra emigrazione fu dovuta all'espansione degli Arabi in aree neoellenistiche del medio-oriente. Fu in questo periodo che, probabilmente, l'Evangelario greco del VI° sec., di provenienza siro-palestinese, e denominato CODEX PURPUREUS ROSSANENSIS pervenne in Rossano, probabile “tesoro” portato da monaci in fuga dalle invasioni musulmane.

La Conquista ARABA della Sicilia (iniziata nell'827) comportò il passaggio dello stratego dal Thema di Sicilia al Ducato di Calabria, che divenne Thema. In seguito il Thema di Calabria fu unificato (nel 965) con la Puglia attraverso la figura del CATEPANO, il Governatore bizantino di nomina imperiale risiedente a Bari.

ROSSANO fu sede di una Diocesi che faceva direttamente riferimento alla METROPOLIA di Reggio Calabria. Con la scomparsa di Thurii fu con molta probabilità Roscianum a essere la principale città sede di Diocesi nel nord est ionico (ad eccezione di Cassanum). Le fonti storiche indicano in Cosma il vescovo l'iniziatore della diocesi rossanese nell' 820 d.C., anche se, essendo le fonti ecclesiastiche in alcuni casi incomplete, è possibile retrodatare anche di qualche decennio.

Secondo l'erudito A. Gradilone “Rousianon-Rossano divenne per un periodo significativo “capitale” dei possedimenti bizantini in Calabria, dopo la caduta di Reggio Calabria in mano Longobarde e la conquista araba di Bari. Nella città risiedono, infatti, alti dignitari come il Domestico Imperiale, il Governatore Generale e il Protospatario (esattore fiscale).

Sede dello Stratego (il governatore del Thema, di nomina imperiale, secondo la suddivisione bizantina dei poteri) Rossano divenne <<... l'unica testimonianza vivente di un mondo greco e di una civiltà che continuava a scomparire altrove e di cui essa mantenne viva la tradizione con la sua Chiesa e il suo potente mezzo diffusivo del monachesimo basiliano >> (Alfredo Gradilone, Storia di Rossano, cit. pag. 43)

Il paesaggio naturale e la notevole conoscenza dell'agricoltura dei Bizantini fecero di Rossano e dintorni un giardino caratterizzato da campi coltivati a frumento, orzo, legumi, da uliveti e vigneti e distese di alberi di frutta e querce e castagno. Importantissima fu la

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gelsicoltura (baco da seta) e, naturalmente, un efficiente sistema di mulini.

Il KASTRON rossanese era un luogo di protezione per la comunità che aveva visto nel corso dei secoli invasioni, scorrerie piratesche e guerre devastanti sul proprio territorio. Nikephoros Fokas, il condottiero bizantino che fu artefice della riconquista di gran parte dei territori caduti in mano agli Arabi (888-894 d.C.), concentrava parte della flotta imperiale proprio nel porto di Rossano.

La distruzione di altre città calabresi durante l'altra invasione araba, quella dell'esercito Saraceno di Jafar Obeid, nel 925 d.c., rafforzò la potenza di Rossano, che accoglieva nelle sue mura i profughi, spesso dignitari, nobili, valenti artigiani e uomini di cultura ebrei o greci. Gli assalti proseguirono durante tutto il secolo ma nel 970 Rossano subì l'attacco più poderoso, resistendo alle armate musulmane.

A ridosso della città vi era la cosiddetta Tebaide rossanese: erano cioè utilizzate delle grotte (le Laure) da monaci basiliani, che vivendo in solitudine e preghiera, proseguivano così la loro ascesi spirituale. L'area in questione, nei pressi della Chiesa di S. Marco (altro importante monumento Bizantino della Città) riguarda il Vallone San Nicola, dove ancora oggi persistono in uno stato di abbandono e di degrado alcune di queste laure eremitiche.

Proprio la chiesa di S. Marco, paragonabile per stile e importanza alla Cattolica di Stilo, rappresenta bene quello straordinario movimento dei basiliani che hanno dato tanto alla città di Rossano. In origine era probabilmente un oratorio usato dagli anacoreti, i monaci-asceti, edificato nella prima metà del X° secolo.

La chiesa della Panaghia (“tutta santa”), anch'essa edificata nel X° secolo, è un altro esempio della importanza della presenza dei basiliani per l'architettura neogreca. Furono gli alti dignitari bizantini di Rossano (fra cui ricordiamo Euprassio, fondatore del convento di Sant'Anastasia, ora distrutto) ad abbellire la città con queste opere che hanno attraversato indenni i secoli o di cui se ne conserva memoria.

Altro monumento celebre: Chiesa del Pathirion (si rimanda al Pannello successivo)

Delle grandi famiglie indigene che ebbero importanza durante il

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periodo bizantino conosciamo alcuni nomi fra cui i Malena e forse, gli Amarelli.

San Nilo (910 ca. -1004), appartenente alla nobile famiglia Malena, nato a Rossano col nome di Nicola, secondo quando ci riferisce il suo concittadino biografo e discepolo, Bartolomeo, fu sempre attratto dalla vita appartata e contemplativa. Altre narrazioni più laiche descrivono un uomo che, sposatosi e avendo avuto un figlio o figlia, fu in piena crisi spirituale, dopo una vita frivola e piena di eccessi, come succede in gioventù. Da ciò il suo trasferimento nel Mercurion, ai confini calabro-lucani attuali, una sorta di Monte Athos calabrese in una caverna in solitudine e preghiera, poi nei cenobiti (piccoli gruppi di monaci) che sugli esempi degli anacoreti basiliani si venne a costituire in varie parti e nelle montagne rossanesi. Le minacce dei pirati Saraceni in quei territori allontanarono il santo e i suoi discepoli, trasferendosi nella sua città natale dove fondò un monastero (952-53). Qui operò da taumaturgo e da asceta (sulle orme di San Basilio il Grande), rafforzando il movimento monastico. Nel 979, sempre per via delle incursioni dei Saraceni, S.Nilo si trasferì a Capua, dove conobbe l'abate benedettino Aligerno di Montecassino che gli offrì il monastero di Valleluce. Successivamente con dedizione e forza di fede costruì a Grottaferrata, nei pressi della villa di Cicerone e con l'aiuto di Bartolomeo, suo discepolo e conterraneo, la straordinaria Badia, esempio universale dell'architettura prodotta dal monachesimo orientale. A S. Nilo si devono lo svilupparsi della letteratura innografica e delle arti calligrafiche.

Contemporaneamente alla figura di S.Nilo si distingueva nell'accanita lotta in seno al Papato la personalità di Giovanni Filagato (“amante della beatitudine”, così significa il soprannome attribuito) salito al soglio di Pietro come antipapa nel 997-998. Essendo stato una figura controversa e calunniata, per via delle sue relazioni sia con i Bizantini che con la dinastia Sassone degli Ottone, era stato portato sul soglio dopo l'allontanamento del “legittimo” Papa (figura altrettanto controversa), suscitando l'ira dell'imperatore stesso. Filagato fu deposto e mutilato e trascinato per le vie di Roma, morendo in carcere.

Già tre secoli prima (704-707 d.C.) la città di Rossano aveva dato

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un Papa, nella figura del dotto Giovanni VII.

Ultima e notevole testimonianza dell'antichità bizantina di Rossano, nonostante i pareri contrastanti fra esperti e le leggende sorte intorno alla sua origine, è rappresentata dalla ICONA della SANTISSIMA VERGINE MARIA appartenente alle icone dette ACHEROPOIETOI, cioè “non disegnate da mano dell'uomo” (popolarmente l'icona è chiamata Madonna dell'Achiropita, nome comune di donna diffusissimo nel rossanese e oltre).

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Un Centro storico. Rossano Calabro

Premessa

Le ricerche sulle aree urbane meridionali hanno dimostrato

che una delle caratteristiche più sorprendenti è l‟inversione di quelle

categorie della sociologia urbana denominate CENTRALITA‟-

MARGINALITA‟: mentre nelle città del centro-nord i centri storici

hanno buona salute e conservano la centralità nel sistema produttivo

e di comando della sfera economica, nonché dell‟innovazione, nel

sud (ad esempio nella nostra Cosenza) il C.S. presenta forti

connotati di marginalizzazione.

I Centri Storici come rappresentazione e come problema

1 Un esempio di confusione e incomprensioni fra società civile e Amministrazione può essere emblematicamente rappresentato dal caso “Rione Vasci” di Corigliano Calabro: nell‟aprile 2008 iniziarono delle demolizioni a ridosso del Castello Ducale; mentre per l‟A.C. erano demolizioni da fare per questioni “ d‟incolumità di persone e cose” un‟associazione criticava il provvedimento come atto vandalico, un‟azione “senza un Piano strutturale, senza una progettazione d‟insieme” di recupero. 2 Altre suggestioni provengono dal considerare il Quartiere un luogo dove si sovrappongono e sfumano i confini tra opera d‟arte e patrimonio architettonico, dove sono installate nuove opere e progetti che aumentano la bellezza del luogo e rafforzano il senso di appartenenza, favorendo così la percezione della città storica come bene comune e condiviso.

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3 Altro tema da considerare è quello relativo ai processi di svuotamento delle piccole comunità storiche di montagna. Il fenomeno dello spopolamento, con le gravi conseguenze, ha recentemente interessato vaste aree della Regione Calabria (nel nostro territorio, ad esempio, la Valle del Trionto). Nel 2008 per espressa volontà della Provincia e con la collaborazione dell‟Unical si è costituito un Comitato Scientifico ad hoc presieduto dal prof. Vito Teti, docente di Etnologia, sull‟analisi di questo fenomeno dal punto di vista della 1) perdita dell‟identità e delle tradizioni, 2)abbassamento della qualità della vita di vaste aree, e 3) abbandono delle forme tradizionali di produzione agricola (già fortemente ecosostenibili). 4 Una delle questioni più difficili si può condensare in un unico problema: negli ambiti locali è possibile progettare le relazioni sociali? - La tradizione è una innovazione riuscita (P.L. Cervellati) - Recentemente il sovrintendente per i beni architettonici e paesaggistici della Calabria, Stefano Gizzi in una‟intervista ha sostenuto che << … evidentemente c‟è stata un‟attenzione non tale da rapportare architettura e bellezza del paesaggio, soprattutto dal punto di vista del rapporto tra forma con i contesti dei CENTRI STORICI. Ho rilevato anche un abbandono delle tecnologie tradizionali e l‟utilizzo di materiali poco appropriati … >>. L‟idea, per i futuri interventi, è quella di << … arrivare a un progetto di restauro che deve mirare al mantenimento dell‟autenticità di materia e forma >>. E‟ questo un auspicio e, spero, una concreta direzione dell‟agire sociale e culturale.

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[...] avvertiamo la necessità di riscoprire la nostra identità, il legame con il nostro “centro storico”, dove sono stratificate le “memorie” delle generazioni che ci hanno preceduto, la storia di una comunità di artigiani, di commercianti, di liberi pensatori, che si configuravano con l‟essenza stessa della città, che faceva di loro cittadini partecipi e non distaccati dalle realtà delle tensioni umane, politiche e religiose dei loro tempi. E questa necessità di “identità” che spinge a riscoprire le fonti pietrificate del passato,le immagini di vie e vicoli, di scalinate che s‟inerpicano fin sotto il Castello Svevo, di portali di antiche botteghe artigiane, di finestre che paiono “buchi neri”, che nascondono arcani misteri di altre dimensioni di spazio e tempo. [Un] recupero di” identità”, che passa attraverso la riscoperta del passato, consapevole che si è cittadini, uomini liberi, quando la coscienza storica individuale si configura con quella collettiva.

(da L’Altra Città, Franco Portone).

Sul Centro Storico: il caso di Rossano Calabro

Nell‟affrontare un argomento di così vasta portata come quello sul “Centro Storico” non si può non mettere in discussione esperienze, problemi e punti di vista che provengono da altre realtà urbane e che coinvolgono culture materiali, valori estetici e consolidate prassi tecnico-scientifiche.

Così il concetto di Centro Storico (C.S.) diviene il luogo discorsivo dove s‟incrocia una pluralità di discipline: dalla ricerca archeologica e storiografica alla sociologia, dalla politica all‟economia, dall‟architettura all‟urbanistica, dall‟arte all‟ecologia urbana.

Se partiamo dalla definizione generale di C.S. , in altre parole << … il nocciolo più antico e gli edifici appartenenti al nucleo originario >> di una qualsiasi città, ci troviamo già a definire e mappare una complessa struttura, dove istantaneamente si applica una

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concezione geometrica euclidea della città che si presenta simile a una superficie in espansione centrifuga e che si configura con un core (nucleo originario), un centro, una semiperiferia, una periferia o hinterland, ecc.

Questa configurazione spaziale lineare non consente di dispiegare una razionalità specifica nel << recuperare l‟equilibrio degli interessi e delle scelte, che fanno vivere in modo equilibrato lo scenario fisico e il corpo sociale >> (Leonardo Benevolo).

Non lo consente perché presuppone un congelamento del proprio nucleo, una staticità che non ha nessun connotato reale: risultano così inspiegabili i vari fenomeni organici e di trasformazione del cuore pulsante di una città. Le topografie espansive e mutanti sembrano così interessare solo ciò che è al di fuori del core.

Poi se questa città è Rossano, allora il discorso è ancora più radicale: ma questo lo spiegheremo meglio dopo.

Non è possibile in questi termini ignorare che, nel corso del tempo, le modifiche urbane di concentramento edilizio e di espansione non intaccano il nucleo storico.

Lo stesso nucleo di una qualsiasi città è una stratigrafia causata della straordinaria sovrapposizione di civiltà nel lunghissimo periodo, all‟incirca dalla penetrazione greco-romana fino al secolo XIX, che caratterizza la città italiana (sono circa ventiduemila gli insediamenti urbani che vantano origini etrusche, italioti e greco-romane). L‟elemento importante, dal nostro punto di vista, diviene così la storia della relazione tra gli abitanti e l‟ambiente urbano, in altre parole di come un C.S. sia stato conservato o distrutto, riqualificato o abbandonato secondo le vicende storiche e sociali che hanno vissuto le popolazioni urbane.

E‟ stata espressa e affermata in più occasioni, in questi ultimi anni, la necessità del recupero del Centro Storico (C.S.) da un punto di vista che possiamo sinteticamente definire di “valore assoluto”, con ciò indicando un intento „valoriale‟ e „assoluto‟ nel correlare integralmente la nostra identità, il nostro presente come potenzialità, come possibilità di sviluppo e di continuità e il nostro futuro, in altre

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parole le attese di una comunità che, appropriandosi di una realtà materiale e simbolica, mostra la volontà di auto valorizzazione e di tutela della propria esistenza.

Esistono due piani complementari di intervento generale su un programma di vasta portata, oneroso ma non dettato da finalità di lusso, un programma spendibile dal punto di vista delle conseguenze dinamiche sulla società e di arresto del degrado e della dissoluzione dei processi socio-economici .

Il primo è il piano culturale, sociale, economico e politico che guarda prospetticamente alla conservazione dell‟identità che congloba gli individui in un processo storico condivisibile e sempre attrattivo rispetto alle spinte dissociative della modernità liquida; sono così intuiti i processi che individuano anche gli elementi che consentono lo sviluppo economico in una fase come la nostra contemporaneità da più parti è definita post-industriale di ripensamento dei modelli di sviluppo sostenibili.

Poi c‟è il piano tecnico, ambientale, architettonico che fa dell‟intervento restauratore un‟idea di forte connotazione sociale e di apertura verso i processi innovativi, tecnologicamente avanzati e progressivi al fine di rendere lo spazio urbano rifunzionalizzato alla sua dimensione umana e a misura della Urban ecology.

Dall‟altra parte della questione c‟è un‟esigenza quasi propedeutica ai piani sopra citati: viene posto cioè il problema dell‟educazione sociale della popolazione che abita il C.S, un tema che per implicazioni e conseguenze riguarda tutta la comunità.

Educare in questo caso significa sensibilizzare la popolazione riguardo al valore costitutivo del patrimonio storico-sociale, ambientale e architettonico, significa attuare scelte condivise che portano alla rivitalizzazione del C.S., evitando invece quei processi di museizzazione e mummificazione dello spazio urbano. La comunità, quindi, dovrebbe essere così investita di funzioni sociali e di coinvolgimento razionale ed emozionale in tutti gli aspetti dell‟organizzazione antropica dello spazio.

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Applicare concetti generali al caso particolare di Rossano è cosa ardua e forse inefficace. La Natura, con i suoi terremoti (devastante per Rossano fu quello del 24 aprile del 1836, con oltre cento morti e la distruzione di quartieri e di importanti monumenti della città: su 1538 edifici 370 furono completamente distrutti e 392 furono in seguito demoliti) ha fatto spesso ciò che gli uomini hanno fatto in altre città: sventramenti, bombardamenti e distruzioni di vestigia; quello che si è perso lo si è perduto definitivamente.

Rossano ha avuto la fortuna di modernizzarsi ai suoi piedi, nelle aree sottostanti lo scenario antico. Tuttavia lo stato di abbandono del nucleo corrisponde più a una depauperizzazione degli abitanti che a un grave spopolamento tipico di altre città di montagna. La diminuzione di ricchezza prodotta nelle aree del C.S. è stata determinata dalla scomparsa dei ceti medi produttivi (piccolo artigianato, abbandono dell‟agricoltura e del commercio). Solo con una riproduzione di quel tessuto socio-economico coniugato con le nuove tecnologie, e con la creazione di aree indotte allo sviluppo da circuiti virtuosi di rigenerazione dei mestieri.

Non bisogna tuttavia pensare il C.S. come un museo all‟aria aperta, né imbalsamare il tessuto vivente che popola lo stesso ambiente.

Tuttavia esiste una caratteristica unica e irripetibile dell‟esperienza del recupero del Centro Storico cosicché per ogni studio e soluzione dei problemi man mano individuati si utilizza il criterio della particolarità e delle caratteristiche intrinseche di ogni sito. Le soluzioni in Italia avviate storicamente possono essere presi in considerazione non come modelli esemplari e semplificativi e quindi trasferibili tout cour al caso di Rossano, ma piuttosto come argomenti di comunicazione tra esperti, tecnici, amministratori e cittadini allo scopo di cercare un metodo specifico per lo specifico recupero di un centro storico.

Che Rossano Calabro non sia un centro storico può essere considerata una boutade ma la domanda che sorge è la seguente: dov‟è la sua periferia? e la sua parte moderna?

Non sono domande oziose: in realtà Rossano è una città storica, integralmente. Anche se vista dal suo nuovo centro produttivo, dallo

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Scalo, la città appare protetta da enormi edifici moderni esterni alla cinta naturale; ma è dall‟altro lato, dai monti della Sila, come un Giano bifronte appare la magnificenza dell‟antico borgo.

Rossano nasce come baluardo, phrourion, greco-bizantino. Sappiamo da Procopio che era una fortezza inaccessibile. Possiamo intuire la struttura originaria perché conosciamo esempi di fortificazione bizantina nelle nostre vicinanze. L‟erudito bizantino Giorgio Ciprio nella sua opera tradotta in latino come “Descriptio Orbis Romani” nel narrare la riconquista delle terre dell‟Italia meridionale scrive sulla costruzione di un Limes fortificato verso le coste dell‟alto tirreno per opporsi all‟espansionismo longobardo; mentre verso le coste ioniche l‟unica difesa alle incursioni dei pirati era la fortificazione del Castrum, con le costruzioni di muraglie e castelli prelevando materiale dai vicini siti magno greci in abbandono. Un esempio ancora visibile di utilizzo di pre-esistenti fortificazioni elleniche (IV secolo a.c.) per costruire muri e cinte di difesa da parte Bizantina è Policastro (antica Pixous). Mentre nell‟antica Polychorium è stato descritto un altro modo utilizzato per la difesa della città: si tratta di un fossato bizantino che circonda la città, non visibile ma le fonti storiche attendibili l‟hanno descritto con precisione.

Essendo Rossano naturalmente posta su un acrocoro possiamo immaginare un sistema difensivo in parte simile a una cinta muraria con un sistema di torri di avvistamento. Dell‟antico tracciato urbano possiamo ancora intuire da aerofotogrammi o meglio da google earth la strutturazione spontanea tipica degli antichi insediamenti. Non sono presenti o sono del tutto scomparse le tipiche urbanizzazioni romane (cardo e decumano).

Rossano Calabro possiede palazzi nobiliari, abitazioni di antica costruzione e appartenute al popolo degli artigiani e dei piccoli commercianti, un sistema di Chiese di epoca bizantina, barocca e moderna, il sistema delle porte d‟ingresso con le relative risalite e mulattiere, le grotte eremitiche in stato di abbandono, le botteghe artigianali ancora attive e quelle chiuse (con la relativa perdita di quella memoria fatta d‟ingegnosità e laboriosità dei manufatti che caratterizzava gli abitanti del nucleo).

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La parte più antica è quella del Vallone di S.Nicola, dove erano diffuse le laure, le grotte eremitiche e forse cappelle ipogee.

Anche se una fase positiva è cominciata recentemente con l‟avvio del recupero urbanistico delle strade e di alcuni edifici, bisogna far prevalere nella volontà di restauro gli aspetti di Conservazione dei materiali e degli scenari urbani così come si sono preservati: le furie iconoclaste e le modernizzazioni scellerate non dovrebbero appartenere a chi ha una visione contemporaneamente amante della Tradizione e proiettata verso scenari futuribili dell‟uso dello spazio antropico.

Le operazioni di Restauro hanno senso se integrano un sistema di connotazioni che appare per certi versi disunito e disgregato: così un sistema “barocco” (di palazzi, piazze, chiese etc.) presenta un valore aggiunto se mostra la sua unitarietà e omogeneità.

Per questi motivi cogenti possiamo trovare anche pertinenti alcune critiche su certe azioni di restauro almeno discutibile e ne cito uno:

Nel centro storico di Rossano, ad esempio, nella chiesa bizantina di San Marco, coeva della Cattolica di Stilo, risalente, secondo alcuni studiosi, all‟XI secolo, sono stati eseguiti recentemente, da parte della Soprintendenza BB.AA.PP., degli interventi di “tinteggiatura bianca” sulle absidi, a nostro avviso non consoni al bene culturale (basti vedere le foto presenti su un qualsiasi catalogo con San Marco prima dell‟intervento nel 2003, e dopo, nel 2007).

Dal Piano Strategico “Rossano la Bizantina” apprendiamo che la città è “un territorio ricco di miti e memorie” e che per la sua particolarità geologica e storica, essendo l‟insediamento urbano ubicato a 5 km dal mare e circondato dai monti della Sila Greca, rappresenta ”un esempio significativo di urbanistica medievale e bizantina” nonché un luogo propenso “alla preghiera” e alla meditazione. Avendo conservato i caratteri originari dopo l‟abbandono, Rossano con i suoi 130 palazzi nobiliari (dal XVI secolo in poi, con l‟eccezione di Palazzo Sorrentino, dalla seconda metà del XV sec.) rappresenta benissimo, nell‟intero complesso sistema delle chiese e conventi, un sistema urbano di “architettura del passato” (la definizione è propriamente utilizzata da Pier Luigi

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Cervellati, urbanista e architetto del celebre recupero del centro storico di Bologna negli anni settanta). In un suo recente lavoro è stato proprio Cervellati a descrivere una specie di una costante presente nella storia dei processi di recupero riusciti dei C.S. : mi riferisco alla classica contrapposizione fra architetti, fautori del “moderno” e i sovrintendenti, dediti misticamente alla conservazione delle vestigie del passato. “Meglio un rudere che una menzogna, un falso storico”, affermava due secoli orsono, l‟intellettuale Ruskin, padre della concezione organicistica dei manufatti e delle opere dell‟arte e architettura: se un monumento moriva era meglio lasciarlo morire di sua morte propria, e non intervenire con costruzione di supporti che snaturavano il manufatto. Siamo certamente lontano da queste concezioni, se no non staremo qui a scrivere di recupero di centro storico. Ma l‟idea integrale di conservazione, è quindi anche del recupero dell‟edilizia minore (per continuare ad usare il lessico di Cervellati) non va tralasciata. I monumenti senza l‟architettura minore sembrano galleggiare e una struttura storicamente data va preservata dall‟apparire una mera composizione di opere poste in “vuoto architettonico” di manufatti moderni. Ecco che un progetto lungimirante ha una tendenza organicistica, di far rivivere i ceti popolari (artigiani in primis) dentro questa città storica. Nella città del passato non esistevano periferie: essendo centralità i conventi, le parrocchie, le botteghe ognuna di queste aggregava e costituiva un punto di riferimento per la sezione di città intorno all‟edificio. Ora questa differenziazione e policentrismo non si sono conservati e i Centri storici si svuotano e non sono più abitati dagli autoctoni. Il C.S. è consumato, usato e spento. da qui il degrado.

Nel tentativo di invertire queste tendenze i metodi utilizzati dalla Regione Calabria si esplicitano nella definizione del C.S. come << risorsa ad alto potenziale >>. Da quest‟assunto si prospettano interventi che vanno nella direzione che il recupero del C.S. possa avvenire se si costruisce << … una filiera dell‟attrazione per tematiche e finalizzate prioritariamente alle attività turistiche >>, dove alcune idee forti riescono ad innescare una rigenerazione del tessuto produttivo finalizzato al benessere, al tempo libero e creativo, e alle attività culturali.

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Fra le tante esperienze poste in attività in varie realtà italiane ed estere vi è quella del cosiddetto Albergo Diffuso.

In un articolo pubblicato recentemente sul quotidiano nazionale “la Repubblica” (18 giugno 2009) così si leggeva:

Dormire forse sognare

<< Si può dormire all’interno del Borgo nelle case ristrutturate che offrono da 2 a 8 posti letti. —— è infatti oggi anche un albergo diffuso: si può prenotare la casetta angioina o il Palazzo Svevo, il Palazzo D’Avalos e quello di Federico II . Gli arredi sono semplici, il servizio assicura la prima colazione e il collegamento internet >>

Mi piacerebbe che fosse possibile in un tempo assai prossimo poter trovare un‟analoga descrizione di un “dormire forse sognare” qui a Rossano Calabro, una città storica.

Relazione letta per il Laboratorio di Partecipazione 2009 anfiteatro Lido S.Angelo Rossano Calabro agosto 2009

Recenti pubblicazioni sui temi affrontati

Antonio Maiorano, Rossano Città Bizantina, in “Calabria Letteraria” (n 7/9, 1993)

Sugli studi bizantini, a cura di G. De Sensi Sestito, Rubbettino 1995

Adele Coscarella, Insediamenti bizantini in Calabria. Il caso Rossano, Cosenza ,EB 1996

Luigi Altomare, Rossano e il suo territorio: un progetto di museizzazione all’aperto, con un‟introduzione di P.G. Guzzo, Cosenza, Bios 1991

Paolo Gallo, La Calabria dalla preistoria al medioevo,con prefazione di G. Mercogliano e presentazione di A. Coscarella, itineraria bruttii, Rende, 2004

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BIBLIOGRAPHIA ROSSANENSIS

Batiffol Pierre, L’Abbaye de Rossano.Contrubution à l’histoire de la vaticane, Paris 1891 (Trad. italiana a cura di Crocenti Giuseppe, Calabria Letteraria, 1996, Soveria Mannelli).

Rossano bizantina minore, Archivio storico Calabria e Lucania(A.S.C.L.), XXIV, 1955, PP.31-53

Un restauro monumentale, la chiesetta bizantina di S. Marco in Rossano Calabro ( a cura di Eduardo Galli) in Arte Sacra II (1932), pp.69-73

Mandalari Maria Teresa, Le grotte di Rossano,A.S.C.L. VII, 1937, pp. 243-268

Testi di Analisi

P.L. Cervellati, L’arte di curare la città, Laterza, Bari, 2005

P.L. Cervellati, La città bella. Il Recupero dell’ambiente urbano, Laterza, Bari, 2006

Ulf Hannerz, Sociologia Urbana, Laterza, Bari 2004

nonché il classico di Lewis Mumford, La città nella Storia, Bompiani, Milano 1990

e Leonardo Benevolo, La città in Europa, Laterza, Bari 1991.

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UN MONUMENTO DA TUTELARE

La Torre di Santa Tecla di Fiumarella di Mirto Crosia (CS)

Il tema della nostra memoria storica è notoriamente un concetto

sulla bocca di tutti gli osservatori, sia semplici appassionati sia

amministratori, architetti, conservatori dei beni, politici e intellettuali

di varia estrazione. Un esempio di come non dovrebbe esser trattata

un‟area d‟interesse paesaggistico e archeologico è rappresentato

dalla TORRE S. TECLA di contrada Fiumarella nel comune di Mirto

Crosia nella provincia di Cosenza. L‟origine di questa costruzione –

un caso rarissimo di torre a sezione conica, tipica delle costruzioni

saracene presenti in Calabria – si è persa nel tempo. La torre è

associata (numerosi storici calabresi, ad esempio Gustavo Valente,

ne hanno diffusamente scritto) al sistema difensivo antipiratesco e

antiturchesco voluto dai governanti aragonesi e spagnoli durante la

loro dominazione. Per la sua struttura e la posizione così visibile dal

mare ionio potrebbe aver avuto anche funzioni di riferimento e di

coordinazione. Mancando studi e scavi in loco tutte le congetture

sono possibili e non verificate da elementi certi. Certo rimane

l‟unicum della sua forma che va in direzione di una contaminazione

tra stili architettonici o al diretto uso dei saraceni che sicuramente

furono stanziali in quei luoghi, ove avevano empori e compravano e

vendevano schiavi (l‟ area di riferimento va da Schiavonea e Cariati:

21

quest‟ultima città è storicamente dimostrata che fu conquistata e

amministrata per alcuni anni dagli imperiali turchi).

Tornando al nostro caso possiamo dire che l‟abbandono di questo

luogo, ora in preda a speculazioni edilizie d‟impatto negativo per

l‟area, rappresenta un disonore, un altro colpo inferto contro i beni

collettivi del patrimonio culturale già sottoposto a spoliazioni e

distruzioni irreversibili.

Basterebbe poco. Recintare con una staccionata di legno l‟area e

illuminare dal basso per creare uno scenario di straordinario

impatto visivo per le persone che attraversano sulla 106 e per chi

ama il proprio territorio senza retoriche.

Poche migliaia di euro e un permesso della sovrintendenza ai BB.

AA. AA. Potrebbe dare un cambio di direzione a questo totale

disinteresse per i nostri beni collettivi.

22

Il territorio come volontà e come rappresentazione.

Il 31 gennaio di quest‟anno è comparso un articolo a firma di Renato Nicolini dal titolo allettante di “Calabria e l'immaginario che genera cultura”. L‟autore, famoso per essere stato l’assessore dell’effimero culturale nella città di Roma, durante il Governo di Centro-Sinistra della caput mundi, s‟inabissava in un tentativo (per alcuni, forse riuscito) di applicare la lezione di un‟estetica dei nuovi linguaggi e della contaminazione tra “alto” e “basso” dell‟esperienza culturale alle nuove forme del “politico” e della creatività municipale. Esaltato (o denigrato) da alcuni intellettuali l‟assessore aveva sposato l‟idea che far coincidere (un certo tipo di …) politica e (un certo tipo di …) cultura significa anche aver consenso. Una lezione che ha fatto proseliti, anche qui in Calabria. Così scrivere il nostro: << … Ed ecco la narrazione di un futuro possibile per la Calabria sotto il segno della risorsa cultura. Che la cosa Calabria torni finalmente a corrispondere ai nomi della sua storia gloriosa! La Magna Grecia, ancor oggi modello inattingibile (Karl Marx) di civiltà o le utopie (la Città del Sole di Tommaso Campanella)… Se uno studioso come Placanica ha scritto, ormai vent'anni fa, che non esistono vere città in Calabria (non lo sono ancora né Cosenza né Reggio né Catanzaro, tanto meno i “nuovi” capoluoghi Crotone e Vibo Valentia), questa non è una maledizione senza scampo. Ma bisogna avere la forza di non cedere ai luoghi comuni. Tanti anni fa i luoghi comuni erano il centro siderurgico e l'industria chimica, l'industrializzazione del Sud per poli innescati da sovvenzioni statali … Gioia Tauro oggi non può essere presa a

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modello di un altro tipo di sviluppo (le sue grandi gru sono visibili da lontano, ma il porto è chiuso alla città di Gioia Tauro e a ogni visibilità di quello che succede al suo interno), ma comunque dimostra che una certa ricchezza non è arrivata dall'industria ma dal mare >>.

L‟autore continua sostenendo che in Calabria potrebbe svilupparsi un turismo di qualità, orientato alla sostenibilità più che un turismo di massa, in cui fosse possibile, a causa proprio della sua geo-conformazione (citando il grande storico calabrese Augusto Placanica) andare a dormire la sera in montagna o in collina e passare la giornata al mare.

Le motivazioni addotte per sostenere un turismo di qualità versus quello di massa, erano molteplici o come si suol dire oggi globali & locali: il surriscaldamento del clima, le condizioni sui generis della nostra terra, le capacità di spostare l‟orizzonte culturale (e l‟innovazione imprenditoriale) in nuove direzioni … e in fin dei conti l‟autopromozione di un‟idea dello stesso Nicolini (paesaggi & identità: conoscete?). Credo che il nostro conosca Hegel

1: ebbene

questo filosofo spiegava (lo dico un po‟ naÏvette) che nella storia agisce la dialettica degli opposti, in cui il movimento parte da un‟idea incompiuta che si rovescia

nell‟esatto opposto, e da quest‟opposizione si sviluppa l‟idea di sintesi.

Ora quale l‟idea di una tesi iniziale: che ci sia un tipo si sviluppo, fatto secondo canoni industriali, con modello la riviera romagnola. La tesi opposta è lo sviluppo ecosostenibile, fondato sui beni paesaggistici, agricoltura biologica e ricezione turistica mirata. Ma purtroppo non c‟è il primo dei due movimenti, anche se incompiuto. Quel che si sta sviluppando è un ibrido tra turismo plebeo di massa, potenzialmente distruttivo dell‟ambiente, e l‟esistenza di zone speciali, ad alta concentrazione di turismo di benestanti, in “isole” ben recintate dall‟esterno, con piscine, resort campi da golf e discoteque a la page …

Da questa impasse non se ne esce.

I risultati e le tendenze di questa fase di sviluppo del nostro territorio confermano le peggior premesse.

24

Le idee sono meno solide degli interessi che materialmente smuovono il “cambiamento” d‟uso del nostro ambiente. Molto di quel che si prefigura come “il nuovo”, ben rappresentato dal Giovane Presidente regionale, è in realtà un consolidamento, su basi plebiscitarie, dei progetti di massificazione e d‟elite (non sembri ciò un paradosso, in quando le due tendenze hanno in comune la fabbrica post moderna della creazione e dello spreco).

Ora il punto di torsione di ogni critica che produce un‟altra visione delle cose si sviluppa proprio tra queste pieghe di pensare un progetto pragmatico che man mano sfocia in una rassegnata concretezza del fare lo sviluppo secondo i criteri immediati del profitto … Ecco perché le idee vincenti si alimentano da questa svalutazione di quella politica che fa dell‟uso del territorio una “potenzialità” di produzione immateriale. I segni politici di questa futura vittoria del modello ibrido di turismo di massa-d‟èlite sono tutti già visibili, e investono sia amministratori “progressisti” sia “neoliberisti” o “post-sociali”: è difficile che un modello vincente possa sottomettersi a un modello opposto di “riformismo forte”, ove fossero presi in considerazione i temi del paesaggio&identità quando lo scopo del primo è proprio sopprimere il paesaggio e uniformare l‟identità particolare alla forma forte e prevalente dell‟identità globalizzata.

Che il concetto di “risorsa immateriale” non sia contemplata dai nostri amministratori (anche da che predicano bene e razzolano male), ci porta a un altro discorso: il discorso sul cemento. << In Italia, fatta di città e paesi in espansione edilizia, il problema si chiama cemento. Perché il cemento è quell‟incrocio pericoloso fra procedure amministrative locali, politica sul territorio e AFFARI >> (Edmondo Berselli, La Repubblica, 12 gennaio 2009).Il residuo di quell‟Idealismo che seppe immaginare la città come “senso della comunità” e non interesse privato va, pesantemente, a scontrarsi con quella maggioranza che fanno del Realismo senza immaginazione la cementificazione urbanistica del territorio parcellizzato e sottoposto alla crescita della rendita fondiaria.

Architetti, geometri, ingegneri, urbanisti e costruttori sono i principali attori della commedia che va a trasformarsi in tragedia e finirà in farsa.

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<< Il cemento continua ad avere appeal: la sua capacità di generare denaro a costi che non si vedono (ambientali, energetici, in termini della qualità della vita per chi ci lavora, per poi chi ci vivrà il guadagno in salute sarà ancor meno) rimane inossidabile, tant‟è vero che la ricetta che molti propongono per uscire dalla crisi è costruire ancora di più >> (Carlo Petrini, ibidem).

La distruzione delle aree verdi non implica un ripensamento dell‟uso del territorio: è che il territorio non è più pensabile senza case, strade, ponti, edifici di vario uso, lampioni e …

Per poter aprire il confronto su un discorso differente, come è quello teorizzato dal nostro studioso, bisognerebbe ripartire da un uso socializzante che è ancora una volta antropico: << In Calabria, si può costruire un sistema dei beni culturali che parta dall'interazione dei musei e dei parchi archeologici con il paesaggio, che usi senza pregiudizi nuovi strumenti di musealizzazione come i parchi letterari, il teatro di paesaggio, le telecamere e l'interattività con il web, pensato come servizio offerto al mondo intero. E' al mondo intero che ha parlato la Magna Grecia, è al mondo intero che può parlare questo “museo” della Magna Grecia oggi >>.

Quindi la missione di un nuovo umanesimo, come quello progressista, non taglia alla radice la questione che è proprio l‟uomo a generare l‟entropia

2 ovvero il disordine e consumo del territorio per

la sola presenza umana.

(1) Un lavoro apprezzato da molti per le feconde intuizioni è Giancristiano Desiderio, Hegel in redazione, Rubbettino 2006

(2) Spesso davanti all‟incedere delle trasformazioni un senso

nuovo può essere apportato da una nuova parola: senza

nominalismi definiamo ANTROPIA il dissennato lavoro

dell‟uomo sulla Natura; l‟incontrastato finora dominio

dell‟elemento umano sulla natura con una modificazione

incessante dell‟ambiente dei viventi e non viventi. Tra estetica e

funzionalità abbiamo amato subito questo termine per la sua

ovvia assonanza con entropia, un concetto che si riassume nel

processo di degradazione dell‟energia in senso irreversibile.

26

Antropia è l‟entropia che gli umani alimentano verso le strutture

auto dissipative dei viventi. Perché dissennato? Qui rimando a

un futuro racconto.

27

CAPITOLO DUE

SCRITTI

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SCRITTURE E SCRITTORI A ROSSANO CALABRO

Secondo lo studioso Salvatore Bugliaro, nel suo Dizionario

degli Scrittori Rossanesi. Dal medioevo a oggi, pubblicato per i

tipi di Ferrari editore, che ci presenta << un quadro completo

della storia bibliografica rossanese >> (pag. 14) nel periodo

2000-2008 sono stati pubblicati a Rossano o da rossanesi 395

volumi e questo dato è l‟equivalente di circa il 25% delle

pubblicazioni locali uscite nel corso dell‟intero secolo appena

trascorso.

La presenza di più Case editrici (Ferrari, Mangone,Guido,

Studiozeta, Grafosud) caratterizzate da uno sguardo diretto alla

produzione e alla ideazione di progetti locali, assorbe la

maggior parte delle pubblicazioni in loco. Esistono comunque

esperienze di produzioni di autori nati o cresciuti in luogo e

attivi nel sistema culturale di altre città.

La qualità della produzione è naturalmente differenziata. Ma

non è questo il luogo di un‟analisi per così dire critica-letteraria

dato l‟aspetto puramente sociologico del nostro intento.

Le eccezioni comunque vanno citate per dar senso a ciò che si

dice, mi riferisco a tre volumi di alto contenuto narrativo: Il mulino

del Colognati e Il Viaggiatore di Rolando Rizzo e Il romanzo del

casale di Giovanni Sapia.

L‟aspetto che immediatamente si mette in risalto è la qualità

artigianale dei prodotti, che di per sé non è sempre un male

ma...

L‟idea artigianale del prodotto fa ancora da ostacolo alla sua

efficacia nel mercato culturale che oramai ha altri sistemi di

visibilità e diffusione. Specificherò meglio fra qualche minuto.

Prima però partirei da lontano …

Se invece fissiamo uno sguardo di lungo respiro, nella

dimensione storica dell‟esperienza culturale rossanese, ci

29

risulta che molto del materiale prodotto dalla comunità dotta

rossanese è da una parte irrimediabilmente perduto e

dall‟altra parte inedito.

Importante risulta il lascito degli inediti presenti in archivi

privati e che avrebbero (o dovrebbero avere) dignità di

stampa: per il XX° secolo si tratta di ben 30 manoscritti che

facendo alcune doverose scelte dovrebbero arricchire la

conoscenza dell‟ambiente culturale rossanese.

Che cosa scrive un autore “rossanese”? i dati statistici ci

consentono di dire quali sono i campi di interesse più

significativi nel corso della storia bibliografica della città di

Alfredo Gradilone. La

disciplina compatta più presente è costituita da quei volumi

(il 18%) che riguardano aspetti tecnici del Diritto, del

repertorio delle leggi e norme, nonché delle memorie

giudiziarie e delle sentenze tecniche (avvocati in primis).

Questo naturalmente si spiega per quel fenomeno tipico

delle società complesse che sono quotidianamente alle

prese con le leggi e le disposizioni giuridiche emanate dalle

Autorità. La sostanza letteraria, cioè la pubblicazione di

romanzi e poesie rappresenta la seconda grande parte

dell‟intero corpus degli scritti con il 15 % (compresi saggi e

letteratura di memoria). Una buona percentuale circa il 16%

dell‟intero catalogo è costituita dagli scritti scientifici (un

insieme vasto: dall‟agricoltura all‟ingegneria, dalla geologia

alla matematica) con prevalenza del campo medico-

sanitario. La cultura storica e sociale ha una sua rilevante

percentuale del 17 % e include testi di storia locale,

tradizione, archeologia e studi specifici su fenomeni sociali

(emigrazione, religiosità, criminalità, ecc.). Nel mare magno

della saggistica teologica, filosofica, agiografica, la

percentuale di volumi pubblicati a Rossano si aggira intorno

al 10%

30

Dal punto di vista sociologico prevale ancora la componente

maschile nella produzione di volumi (con un rapporto di 1 a

10 a svantaggio delle donne). E‟ questo non fa altro che

confermare il doppio svantaggio da parte delle donne

nell‟essere penalizzati da un sistema che paradossalmente

presenta un attento pubblico di lettrici (forse anche

maggioritario per alcuni generi come il romanzo, la poesia e

le arti pratiche).

Significativa è la tripartizione dei luoghi della produzione

stessa con poco più della metà delle opere pubblicate in altre

parti d‟Italia, un terzo nel nostro luogo Rossano e per il

restante terzo nella Cosenza, provincia e Regione Calabria .

Questa disparità conferma le difficoltà di pubblicazioni non

legati certamente a questioni prettamente tecniche essendo

presenti sul territorio degli eccellenti editori .

La fruizione dei libri che entrano (o che sono entrati) nel

repertorio bibliografico posseduto da una comunità è

diventata veramente problematica e si spera che possa

essere la digitalizzazione ovviare a questa limitazione della

conoscenza della produzione scritta (dove per

digitalizzazione qui s‟intende sia la reperibilità del testo nel

web che la sua riproduzione, reprint on demand, del

cartaceo). Si è fatto riferimento alle intenzioni di introdurre

massicciamente i supporti digitalizzati nella scuola italiana

nel 2012, con relative paure ancestrali di apocalissi del libro,

di scomparsa delle biblioteche civiche e fine delle humanae

litterae: piuttosto dobbiamo prenderle in considerazioni

queste fobie non in quanto realistiche ma piuttosto come

indice di quel gap tecnologico e culturale che ci separa dalle

altre realtà già riorganizzate intorno ai modelli informatici

della trasmissione culturale.

31

Il problema della visibilità e della diffusione: ecco un tema

che scoraggia il neofita ma anche il serio studioso che si

appresta alla pubblicazione: problemi atavici dovuti a una

gestione monopolistica ed impositiva (nel senso di “Imporre”)

della catena della distribuzione, nonché della assurda

prerogativa di far passare solo il main taste (il gusto medio,

di mercato editoriale orientato dal consumo usa-e-getta)

Un capitolo a parte riserva la questione della svalutazione

del prodotto „locale‟: mi capitava spesso nelle discussioni

avute con amici, accademici e non, di vederli torcere il naso

(un pregnante esempio di snobismo culturale, certamente)

ogni qualvolta cercavo di invitare alla lettura di un autore non

certo di grido, ma che aveva suscitato a me, lettore onnivoro,

grande partecipazione per i contenuti artistici di un suo

romanzo o di una sua poesia. L‟ironia e il sarcasmo che era

associato dai miei interlocutori nei confronti dello scrittore

oscuro o del compassato poeta, dovuto a una confusione,

secondo il mio parere, fra produzione occasionale e con

intenti puramente da memoriale, ovvero di raccogliere i

propri affetti e ricordi, e il lavoro raro per la verità di una

lunga esperienza di ripulitura e “cesellatura” del proprio

spazio letterario (per citare un‟espressione del critico e

scrittore Maurice Blanchot).

Il fatto che a Rossano non esiste un‟associazione di Scrittori,

cioè un‟organizzazione finalizzata a tutelare, promuovere,

incentivare la produzione letteraria locale, come d‟altronde

avviene in ogni città, è sintomo di una certa arretratezza dei

mezzi in possesso dei singoli, di una volontà ancora

puramente individuale del processo di produzione e

riproduzione culturale.

La presenza di autori che hanno all‟attivo pubblicazioni di

carattere tecnico-professionale nel nostro caso non pongono

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questi generi di problemi, essendo le loro produzioni legata a

un consumo diretto, appunto, alle fasce di professionisti e

tecnici.

Diverso assunto, ai fini della nostra ricerca, è la questione

dei luoghi specificamente adibiti alla promozione culturale: le

biblioteche. Siamo convinti che “le nostre biblioteche non

hanno saputo aprirsi al pubblico, diventando luoghi fantasmi”

(queste sono parole espresse in un convegno

all‟Unical,Università della Calabria, figuriamoci se ciò non ha

attinenza con i nostri luoghi).

Il ritorno al libro è nell‟ordine delle cose (come è stato già

indagato da Umberto Eco). Il problema è piuttosto la

capacità di generare interesse e nelle comunità e nei singoli

cittadini alla presa con la propria crescita culturale ed etica.

Certo che molto positiva l‟azione svolta dalle iniziative come

“piovono libri” e del “club del libro della Sibaritide” (e altre

realtà simili) ma la mancanza di sinergia tra queste e altre

realtà e la sporadicità delle iniziative rende molto dispersivo

l‟intero progetto di accostare alla lettura e alla scrittura intere

fasce della società (con l‟intento di fare società colta).

L‟idea della promozione di modelli vincenti e convincenti di

coinvolgimento culturale di larghe fasce della popolazione ha

la sua base nella integrazione delle culture umanistiche e

scientifiche in esperienze di creatività organizzative costituite

da festival (di letteratura, di poesia, di filosofia: ogni territorio

potrebbe attingere alle proprie tradizioni) che oramai

proliferano in varie città. Altra forma efficace, atta al

coinvolgimento di pubblico, è la mostra del libro, in altre

parole la possibilità di creare spazi temporanei d‟incontri fra

editori e lettori, arricchite da tematiche specifiche e integrate

con la diffusione delle idee più avanzate delle culture

audiovisive e testuali.

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L‟istanza di integrare le arti col cinema come con la

letteratura, con i readings poetici e le performance teatrali ha

la sua valenza almeno per due tipologie d‟interventi: 1) la

valorizzazione di artisti\autori locali (che avrebbero così un

ulteriore spazio di comunicazione); 2)la potenza attrattiva di

un artista o di un tipo d‟arte che ha già una consolidata

presenza sulla scena contemporanea, e con funzione di

trascinamento d‟interessi, contaminazioni e valorizzazione di

più esperienze culturali meno conosciute al grande pubblico.

L‟idea quindi di generare queste aspettative e concretizzare

queste esperienze di comunicazione culturale dipende dalla

capacità e volontà di aggregazione proprio dei promotori

(scrittori in primis).

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MERIDIANA

… forse per assegnare un nome a questa regione indefinita, che non vuol essere regionalismo, che vuol essere una carta geografica d‟identità e non identitaria (perché è pericoloso operare una distinzione sic et simpliciter dall‟Altro). Lo stato nascente di una collocazione universale ma che tiene direttamente le radici dove si fonde il paesaggio esteriore con quello interiore …

Abitare la propria casa “oikos”

La storia è un ritorno

kropio

Il termine che utilizzo per questo blog di letteratura, scrittura e lettura

(una forma della vita, in altre parole) è una delle tante parole

sedimentate nel mio inconscio. Emersa dopo tanti anni,

questa parola mi riporta all‟infanzia e cioè, quando per riempire di

terra i vasi di terracotta (dove mia madre piantava vari tipi di fiori e

anche le erbette per cucinare) si parlava con meraviglia del cropiu,

“u cropiu”, praticamente quel terriccio nero, nerastro, ricco di

minerali e microrganismi, un pieno di humus che era il toccasana per

far “riprendere” una pianta malata o un jure morente. Il miglior

kropion (così lo chiamavano i greci, come i miei studi mi

consentirono di sapere, molti anni dopo) si trovava al vecchio

castello diroccato, ai piedi dei bastioni giganteschi che si stagliavano

nel cielo e come giganti buoni ci proteggevano dal vento o dal sole

cocente. Una metafora, la terra e le radici del mondo scomparso si

spostavano in quelle case, in quei nuovi vicoli assemblati a „ra

marina …

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CAPITOLO TRE

CULTURE

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Passaggio a nord est

Il senso vivo della scrittura . La facilità con cui eseguiamo la nostra composizione non ci consente di sbagliare il senso della domanda: come raggiungere uno dei pilastri del „savoir‟ senza correre per una via più corta?

SUL PASSAGGIO DI UNO SCRITTORE FAMOSO NELLA TERRA STRETTA TRA DUE MARI

Il passaggio di uno scrittore famoso nella nostra terra avviene per direttrici sempre uguali: mai che la traiettoria e lo spostamento avvenissero di qualche chilometro più a destra o a sinistra della linea spezzata costituita dalle grandi città di Cosenza, Catanzaro e Reggio Calabria.

Con la marginalizzazione chiamata provincialismo, la cultura del Canone Ufficiale rifugge dai luoghi senza risonanze, fa in modo che chi abita in questi interspazi (dove già il vuoto regna e la stagnazione è la quotidiana forma dello scambio culturale) sia costretto nel miglior dei casi a viaggiare per andare ad ascoltare il Nostro Scrittore oppure a seguirne le vicende in forma intermediata da pochi passaggi nei mass media.

E così sfuggono molte cose.

La necessaria espressione del Canone Ufficiale appare così garantita a chi è già garantito: coloro che, nel vivo corpo delle realtà urbane, già manifestano i propri interessi (direttamente o indirettamente, con la sola presenza nei luoghi adibiti alla cultura) e che si pongono dialetticamente nel confronto con le correnti vive del pensiero contemporaneo, nelle miriadi forme assunte dalle idee; ecco che così sono soddisfatti i popoli della lettura e scrittura.

Il piccolo borgo, ove è costretto o ama vivere l‟amante perduto delle belle letture non vedrà mai la figura sacra del Nostro Scrittore e non potrà verificare la veridicità delle sue affermazioni sanguigne, né la struggente interpretazione-lettura di un suo testo, neppure ascoltare la dolorosa ragione dell‟inversione del bello col brutto.

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E così molte cose rimangono inespresse.

Che cosa ha voluto dire in quel passo del suo capolavoro?

Chi si nasconde dietro la metafora della Fugace diatriba?

Che pensa di questi tempi senza speranza o eccessivamente fustigati?

Il mio interlocutore, abitante della mia spelonca, mi pone domande cui non posso trovare risposte: sono andato a questo incontro ma non erano queste le domande che mi frullavano in testa in quel momento. Era tutto così ricco di stimoli, generati più dall‟accolita dei numerosi presenti, oh bellezza dell‟ascolto partecipato! Hanno fatto tante domande, ma non le tue!

Nel sistema della comunicazione s‟ignora che, a volte, la ricchezza può situarsi in situazioni povere dal punto di vista dell‟organizzazione di eventi. Spesso le piccole comunità sono molto variegate dal punto di vista umano: e così può accadere di trovare un soggetto che spiazza il pubblico con la sua domanda al di là, ben al di fuori della possibile interpretazione d‟intelligenza del Nostro Scrittore. O anche il caso di quell‟altro esempio di un eccesso di interpretazione soggettiva di una frase dell‟Autore che sposta su altezze invidiabili e voli pindarici da intimo diario di scrittore dimezzato.

Non invidiando che soltanto coloro che scrivono per diletto e che leggono forsennatamente i libri invisibili e dell‟oblio, ho trascritto questa invettiva dolce a tutti i santi della penna: apparite anche nel nostro modesto paese, rendetevi visibili e compite il tanto atteso miracolo o almeno regalateci una vostra reliquia!

Ma sono parole al vento; e così gli spiriti liberi e gli amanti possono ricadere nel truce delitto di presenziare ignoti convegni, di ascoltare il simil-poeta recitare l‟atroce verso sciolto o il tardo-scrittore di assurde memorie spente, accaparrarsi così il posto in fondo nel circoletto culturale ove il musico stantio incespica sul fa diesis del Sordo immortale.

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Niccolò Conversi

Nato a Roseto Capo Spulico (Cosenza) il 18 marzo 1855, si iscrisse alla facoltà di Medicina di Napoli e iniziò a frequentare i circoli dell‟Internazionale (che aggregava anarchici e socialisti rivoluzionari). Amico di Francesco Saverio Merlino, uno degli iniziatori del Socialismo Anarchico a Napoli, e di T. Schettino, Niccolo‟ fu uno degli organizzatori delle attività politiche contro gli irredentisti che nel corso del 1878 invocavano la guerra per l‟annessione di Trento e Trieste.

Proprio in quell‟anno il rivoluzionario calabrese si fece promotore di giornali e pamphlet che lo resero celebre negli ambienti degli anarchici italiani, intitolando “Masaniello” la testata che cercava di unificare tutti i rivoluzionari napoletani e non solo.

La sua lotta politica proseguì, fra repressioni poliziesche e pressioni “terroristiche” da parte degli individualisti (coloro che erano favorevoli all‟uso della violenza armata diretta contro lo Stato), e nell‟ottobre 1883 fu un oppositore della partecipazione degli anarchici all‟Associazione “Lega dei figli del Lavoro”, un crogiuolo di repubblicani, socialisti legalitari e democratici ante litteram.

L‟intransigenza politica, e la coerenza, furono la cifra del suo modo di rapportarsi con le altre realtà politiche dell‟embrionale movimento operaio organizzato.

Nel 1885 uscì per pochi numeri l‟organo del Comunismo Libertario “il Piccone”; proprio per la sua attività contro la Monarchia e a favore della classe operaia e dei diseredati, nello stesso anno fu condannato (per le sue idee!) a ventidue mesi di carcere dal Tribunale di Firenze. Costretto a espatriare si rifugiava a Marsiglia (Francia) dove proseguiva la sua attività di medico dei poveri e di anarchico rivoluzionario. Diresse il settimanale bilingue “L‟international anarchiste /L‟internazionale anarchico” il cui primo numero uscì il 16 ottobre e l‟ultimo il 6 novembre 1886, chiuso, dunque, dopo poco tempo a causa di problemi di gestione economica.

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Le condizioni politiche in Francia stavano peggiorando e così l‟anarchico calabrese emigrò in Tunisia, stabilendosi a Tunisi (gennaio 1887), dove lavorò come Medico e riprese la sua attività di agitatore sociale e di critico politico fondando la rivista “L‟Operaio”, che per i suoi contenuti rivoluzionari deve chiudere dopo un anno su pressioni dell‟autorità di Tunisi (non prima di aver ottenuto un successo simbolico: aver festeggiato, per la prima volta, 1890, sul continente africano, il Primo Maggio, festa dei lavoratori).

Aprendo un ambulatorio il medico dedicava sempre parte della sua attività agli indigenti.

Ma la sua grande intuizione fu quella di costruire un vero e proprio Ospedale, l‟attuale Ospedale di Tunisi.

La sua dialettica intellettuale emerge chiaramente quando su un‟altra pubblicazione, “La Protesta Umana” (1896), avviò una critica contro quel che, in epoca più recente, è stato chiamato il “Darwinismo sociale”, ovvero l‟applicazione irrazionale della concezione darwiniana con scopi chiaramente imperialisti o protofascisti (superiorità di razze, lotta per lo spazio vitale ecc.).Il 1° gennaio 1905 esce un nuovo giornale, La Voce dell’operaio. La voix de l’ouvrier che fu pubblicata solo fino al 28 maggio 1905 (10 numeri), e il cui sottotitolo esprime chiaramente il contenuto: Organo Internazionale Sindacalista. Organe International Syndicaliste. Lavoratori di tutto il mondo, unitevi. Uno per tutti. Tutti per uno.

Episodi del suo impegno verso altri compagni anarchici o socialisti perseguitati dalle Autorità si intensificarono sia durante le repressioni fine secolo (dopo i moti del „98) sia durante la guerra di Libia (1912) che a ridosso della Grande Guerra : aiutò a emigrare in Svizzera l‟allora agitatore socialista Benito Mussolini, quando questi disertò dalla chiamata alle armi.

Ritornato in Calabria nel 1913 dopo un‟amnistia, si prodigò a partecipare alla campagna elettorale del 1913 come candidato della Sinistra per il collegio di Cassano Jonico. Ma i tempi non erano più favorevoli ai libertari e così con la consapevolezza che caratterizza i

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miglior uomini della Calabria ritornò a fare il medico e morì a Tunisi il 14 settembre 1939 (seconda guerra mondiale appena iniziata).

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CORRADO ALVARO O “IL COMPLESSO DEL MERIDIONALE”

In un vecchio ma efficace testo sull‟uso e abuso della lingua italiana così era messo in luce lo scrivere di Corrado Alvaro:

<< I nostri appunti sono su un Alvaro di trent‟anni fa; quando ancora resisteva bene il per articolato (pel, pei ), non si diceva pendolare ma fluttuante, secretamente poteva essere preferito a segretamente, automobile era maschile (si legge un automobilino). A parte annotazioni di questo genere, la prosa di Corrado Alvaro non consente molte osservazioni.

Qualche burocratismo (per esempio declinare le generalità). Concordanza del participio passato anche se precedente l‟oggetto: … dove io abbia passata la serata; … ha ottenuti uguali diritti; ….hanno posata una zolletta; … ha già data la sua promessa; rare le eccezione a questo uso: … non ho veduto macchine nuove. Piccole incoerenze nell‟accentazione del verbo dare (ora danno, ora dànno). Piccole incoerenze anche per quel che riguarda l‟eufonia e la cacofonia: leggiamo e educativo, bene, ma poi meno bene ad adorarla, leggiamo un invece v’è con il quale forse si è voluto evitare la bruttezza di “invece c‟è”, ma poi leggiamo metro troppo corto … altro tratto … e cosette del genere.

Un “complesso” di meridionale – Alvaro era calabrese- dà origine a certe grafie per “ ipercorrettismo”, cioè a non necessari raddoppiamenti di consonanti, come diggià e, peggio, come sopravvanzare.>>

In corsivo sono gli scritti attribuiti ad Alvaro. Le virgolette aperte sulla frase finale, quella sul complesso meridionale da adito a più di una riflessione di carattere socioculturale. L‟autore del testo, Luciano Satta, che è un fine grammatico e linguista, attribuisce al nostro scrittore una sorta di soggezione psicologica alla scrittura italianizzante delle regioni del nord per aver notato questa manifestazione di raddoppiamenti tipici di quella scrittura, ma se non erriamo più che il dato grammaticale che colpisce è la sua spiegazione freudiana: esisteva ed esiste una soggezione culturale da parte di nostri autori ai modelli più autoriali (mi si perdoni la

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ripetitività) che sono egemonici nel contesto della produzione editoriale? Direi di no, vista anche la minore visibilità che hanno tuttora gli autori di quella linea che chiamiamo Meridiana, in altre parole il luogo mentale una volta definito “meridionale”

Autori come La Cava, Calogero, Strati, sono e rimangono autori non riducibili a mode letterarie o a egemonie, né sono autori che hanno pedissequamente alterato i loro interessi, sposando una causa culturale dettata da una breve stagione ma per scrittori di tutte le stagioni. Ben diverso è il dato se in un appiattimento del genere sono finiti altri produttori culturali, ma questo è un altro argomento.

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LA RECENSIONE INFINITA (Sul caso Saverio Strati)

In tempi leggeri o pesanti, frivoli o impegnati, letargici o adrenalinici, sinistrorsi o destrorsi, iconografici o scritturali … ogni contributo a diffondere le profezie o le fallite previsioni non possono che renderci complici, nel giusto come nell‟ingiusto, di questo disegno di questo mondo.

Utilizzeremo gli spazi e i tempi per parlare di cosa si produce nell‟immateriale immaginario di questa mia terra, che pure ora non nomino.

SCRITTO, LETTO O VISSUTO … qui faremo le pulci al “novo paese”

INIZIAMO RICORDANDO CHE LA POVERTA‟ NON VOLUTA DEGLI SCRITTORI NON CI GARANTISCE DALLA NEMESI, CHE SIAMO NOI, I CITTADINI DELLE REPUBBLICHE, A ESSERE OGNI GIORNO PIU‟ POVERI.

VITALIZIO PER SAVERIO STRATI SUBITO!

Leggiamo su un quotidiano locale che lo scrittore ottantenne Saverio Strati (autore di numerosi romanzi di ampio respiro antropologico) non nasconde la sua difficoltà a vivere (economicamente parlando). E‟ stato esplicitamente richiesto l‟intervento della Legge Bacchelli in suo favore. Noi non possiamo che far da eco, ma rimane indelebile nella coscienza mia la nostra colpevolezza di aver ancora una volta dimostrato le nostre COLPE - dico come corregionali!- di fronte alla vita offesa di un uomo schivo e un letterato di grande valore.

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SULLA “ STORIA CRIMINALE. La resistibile ascesa di mafia,

„ndrangheta e camorra”, di Enzo Ciconte, Rubbettino editore, 2008

La tesi sostanziale del prof. Ciconte è l‟unitarietà dei linguaggi

simbolici, dei codici, della comunità e ritualità e dei rapporti

intrattenuti con i poteri economici e politici delle tre mafie, pur nella

differente vicenda evolutiva.

Negli ultimi anni doppie affiliazioni, sinergie criminali e omicidi su

commissione hanno ancora di più rafforzato le politiche di alleanze.

Il mostro a 4 teste della Sacra Corona Unita, della Camorra, della

„ndrangheta e di Cosa Nostra ha ulteriormente sviluppato altre teste

come i serpenti di Medusa: le mafie etniche anticipano i processi di

globalizzazione integrandosi e cercando un posto nello scenario

criminale (ed ecco sentir parlare di oggetti quasi esotici mafia

cinese, turca, mafia albanese, mafia russa ecc.)

Nel corso di questa difficile ricerca sulla natura delle grandi

organizzazioni criminali sono prevalse visioni, pregiudizi,

interpretazioni riduttive del fenomeno: le grandi correnti del pensiero

sociologico e politico hanno snobbato o creato ostacoli e diffuso

modelli interpretativi antropologici, etnologici e economicisti legati a

primitivismo, arcaicità e arretratezza della dimensione criminale.

Nella narrazione moderna spesso questi pregiudizi si sono

amalgamati con la secolare rassegnazione ai soprusi oppure alla

indifferenza nei confronti dello Stato e dei suoi nemici.

Ad ogni omicidio o attentato è stata prodotta un‟interpretazione di

comodo che fa della strategia di guerra mafiosa un regolamento di

conti fra individui, clan o cosche e che, quindi, non riguarda il

cittadino comune.

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Oppure si arriva a sostenere la tesi che essendo tutti mafiosi (politici,

imprenditori, massoni o altro) niente è mafia.

Si tratta come si può evincere di una visione che lascia intatto

l‟ambiente di riproducibilità del fenomeno e della mentalità mafiosa.

Colpire le basi economiche del potere mafioso (confische e controlli

finanziari) ed evitare che le leggi repressive dello Stato siano

eccessivamente garantiste per i gruppi criminali (tesi di Gratteri)

sono le grandi idee che hanno caratterizzato la recente lotta contro il

crimine organizzato in Calabria.

Ma quando gioverebbe alla lotta contro la mafia lo svilupparsi di una

coscienza civile fortemente avversa a quei processi identitari?

Quando l‟idea di uno sviluppo economico eticamente sostenibile?

Dall‟omicidio Fortugno (2005) alla strage di Duisburg (2007) si è

vista una forma inedita di sovraesposizione mediatica della

„ndrangheta che non è vero che non ha precedenti (basta pensare

all‟omicidio Ligato, 1989, o ai fatti australiani, omicidio di politici e

poliziotti, ma sicuramente mostrano un‟alterità rispetto al controllo

della vecchia guardia che faceva capo ai Tripodo , ai Piromalli, ai

Morabito, ai De Stefano o ai Condello.

Si è parlato di uno sbandamento derivato dalla eccessiva

esuberanza giovanile, alle nuove “anime nere” (tanto per dirla con

tremendo eufemismo).

La nuova ndrangheta, la Santa, come scrive il prof. Ciconte, sembra

preferire il fruscio del denaro piuttosto che il crepitio dei

Kalashnikov.

E‟ allora qual è lo stato attuale di pericolosità dei criminali organizzati

in “locale”?

46

Anche qui nella sibaritide dopo la fine dell‟egemonia Cirillo-Carella si

assiste a qualche “esuberanza” giovanile (vedi l‟omicidio Converso a

Rossano)

Ma siamo sicuri che la mafia della Sibaritide non abbia raggiunto

quello stadio supremo che ne fa un perfetto totalitarismo? Dove è

diventato impossibile districarsi tra gli interessi politico-economici di

una parte della comunità e gli interessi sic et simpliciter delle „ndrine

organizzate in consorzi a tutela del bene supremo, della merce

ideale ovvero della cocaina e l‟eroina?

Assistiamo alla crescita abnorme del riciclaggio del denaro sporco

materializzato in centri commerciali, villaggi turistici, hotel, resort e

luoghi dello svago organizzato eppure non facciamo una piega, non

moviamo un dito!

Mi piace ripetere qui le parole profetiche di Pierpaolo Pasolini: “io so

… ma non ne ho le prove … io so perché sono un intellettuale che

cerca di seguire tutto ciò che succede … di immaginare tutto ciò che

non si sa o si tace … che mette tutti i pezzi disorganizzati e

frammentati di un intero coerente quadro politico … che ristabilisce

la logica la dove sembrano regnare l‟arbitrio, la follia, il mistero.”

47

Dal meridiano. La Calabria o dell‟oblio

1

Che la Storia non insegni nulla, tanto meno alle genti del sud, è un

fatto accertabile quotidianamente.

I “meridionali”, o che si vantano o che denigrano quest‟identità

malferma, hanno fatto dell‟oblio una consuetudine di vita, una forma

di sopravvivenza e una prospettiva certa della propria esistenza, con

lo scopo di resistere al rullo compressore di una modernità

dilacerante.

Dimenticare e andare avanti, calpestando e rimuovendo gli ostacoli.

Fra le cose che vanno buttate nel dimenticatoio è proprio

l‟esperienza “passata” di diseredati, di dannati della terra, di paria.

Le sofferenze delle generazioni passate, i soprusi con cui i governi

hanno malgovernato il nostro territorio, con la complicità delle classi

sociali dominanti (l‟aristocrazia terriera prima, con i Barracco, i

Berlingieri, i Lucifero, i Compagna; la borghesia del ceto

impiegatizio-professionale, dopo) sono stati rimossi e quel che

rimane è una sorta di memoria artificiale, fatta in negativo, con i suoi

contro (la “criminalità”, il sovversivismo dei contadini, l‟antistatalismo

di segmenti del proletariato, la contrapposizione agli esperimenti

radicali o riformisti di gestione della cosa pubblica), e i suoi pro

(l‟inevitabilità della migrazione, la sottomissione ai più forti e l‟eredità

del privilegio del proprio ceto plutocratico).

Il vuoto della funzione sociale dello Stato è stato appannaggio di

quella Mafia pre-industriale ma, ancora oggi, non si capisce come lo

Stato stesso, in un modo subdolo, nel secondo dopoguerra si sia

fatto violenza organizzata contro il movimento contadino, facendo

così coincidere il suo operato con la funzione di controllo e di

repressione dei circuiti politici mafiosi e delle stesse organizzazioni

criminali.

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L‟invocazione di un Nuovo Stato, fatto attribuibile alla Sinistra storica

del dopoguerra, si è man mano attenuato e ridotto alle passioni del

patriottismo costituzionale, degli entusiasmi per l‟istituzione delle

Regioni e all‟allargamento di quella fascia sociale di assistenza

antieconomica (appannaggio della DC e, in parte, del PCI-

Sindacati). A tutto questo vanno aggiunti i fantasmi di

industrializzazione (voluti dai cosiddetti prenditori rapaci e avidi, di

provenienza locale e non), le prebende per i liberi professionisti

(edilizia, opere pubbliche, agricoltura, gestione amministrativa) e

sottosviluppo con integrazioni e parcelle per gli altri settori

(im)produttivi.

Che alcuni uomini e donne abbiano tentato o tentano esperimenti di

“progresso con sviluppo” (cito, nella nostra terra, Gullo, Pietro

Mancini sr, Guarasci e in tempi più recenti Falcomatà e, perché no,

Catizone e Speranza; ma la casistica comprenderebbe governi di

piccole realtà, sia di centro, di destra e di sinistra) ha maggiormente

spostato in avanti la tensione tipica alla rassegnazione delle genti

meridionali.

2

Dobbiamo chiederci cosa ha fatto la politica e l‟economia in questi

anni: e per dare senso alle affermazioni riportate in seguito

dobbiamo partire dal 1992, l‟anno della formazione dell‟Unione

europea. La Calabria (che versava in condizioni simili ad alcune

regioni della Spagna o Irlanda) ha conosciuto una strana Europa: da

una parte un sistema neoburocratico che si sovrapponeva a quello

elefantiaco dell‟Italia; dall‟altra una pioggia di milioni e milioni di euro

che, al resoconto finale, non realizzava nulla di concreto (in alcune

realtà calabresi l‟Europa non si è materializzata neanche come

fontana o una bitumazione di un breve tratto di manto stradale).

Mentre la beneficenza dello Stato italiano aveva partorito la “Legge

Calabria”, la Cassa per il Mezzogiorno, e le altre forme di

49

Participazione Statale, che nel bene e nel male hanno avviato un

processo di modernizzazione dimezzata (come erano dimezzate

alcune opere pubbliche costruite negli anni ‟50, ‟60,‟70, ‟80), l‟Unione

Europea è stata con i suoi POR 2000-2007 e 2007-2013 un vero e

proprio ectoplasma, una “euro-calabria virtuale”, fatta di finta

formazione, vere truffe industriali ed enormi arricchimenti per alcuni

soggetti che, col senno di poi, sembrano capitani d‟impresa e, al

contempo, dei Boiardi di Stato, nonostante la loro natura

criminogena.

La zona dell‟euro ha così rappresentato per noi periferia un modello

inarrivabile; mentre noi eravamo un modello di rifunzionalizzazione

dei processi di sottoutilizzazioni e di spreco delle risorse

comunitarie.

3

In Calabria possiamo pensare, non scherzandoci troppo, che si sia

verificato, nel secondo dopoguerra, una sorta di sovietizzazione : dai

racconti che abbiamo ascoltato dai cittadini dell‟ex impero sovietico

si è venuto a sapere che i lavoratori di Berlino Est o di Minsk o di

S.Pietroburgo lavoravano in fabbriche con salari di fame e

producendo merci scadenti; a Crotone o a Gioia Tauro gli operai

lavoravano con salari reali appena sufficienti e producevano …

niente! (o, meglio, inalavano veleni e gas cancerogeni, andando a

morire a cinquant‟anni).

In tempi recenti le cose sono cambiate: ora non si costruiscono

fabbriche fantasma e impianti a metà, si passa direttamente alla

truffa organizzata (grazie anche alle competenze di una borghesia

predona laureata), sfruttando le pieghe (le leggi) e le piaghe

(l‟assenza di controllo degli organi preposti) del sistema giuridico-

economico.

50

4

In quest‟ultimi anni la scomparsa di quel senso di comunanza fra

soggettività, storia, linguaggio simbolico e forma mentis ha fatto si

che proliferassero delle piccole narrazioni, fatte di esasperazione

identitaria, di revisione in negativo del vissuto collettivo e di

parcellizzazione della visione del proprio futuro come società

razionalmente organizzata. Ecco così comparire una miriade di

partitini che sussumono il valore/disvalore di essere meridionali, del

sud, calabresi, palermitani, neoborbonici o nazipugliesi.

La rancida questione meridionale come la definiva con lucidità e

lungimiranza il settario Bordiga (internazionalista perché napoletano,

non viceversa), diventa così un tema che confonde, annichila, avvita

ogni discorso su se stesso. La vera costante del nostro carattere è la

rassegnazione che spesso e volentieri sfocia in una violenza che

atterrisce e che non da lucide visioni alla speranza collettiva.

In tempi recenti sono comparsi nuovi (sic!) campioni del

meridionalismo, che, ripetiamo, sono la forma ideologica e

ipostatizzata di un paese ancora feudale, un‟idea del proprio popolo

e territorio vecchia come Matusalemme. Questi politici anfibi sono

espressioni di questa seconda repubblichina, sintetizzano idee di

destra e di sinistra, formano associazioni o leghe o partitini che

rivendicano orgoglio, autonomia, indipendenza: evocano in tutte le

salse l‟identità, il legame diretto col popolo o col territorio, con la

gente onesta e laboriosa; sono coloro che concludono insipidi

manifesti con le frasi tipo “adesso è quanto mai necessario aprire un

serio confronto… per una regione o una provincia … libera,

protagonista moderna” e altre banalità del genere.

5

Per farla finita definitivamente con lo stato delle cose presenti

sarebbe opportuno inserire questa nostra terra nel contesto delle

51

grandi trasformazioni della contemporaneità: farla finita con questa

classe politico-affaristica (introducendo dei limiti alle rielezioni delle

cariche pubbliche, delle incompatibilità fra gestione economica e

politica, delle rotazioni delle cariche; e ancora, confederazioni fra le

municipalità e trasparenza pubblica dei bilanci di tutte le istituzioni

governative; introduzione di Sistemi giuridici locali di tutela del

cittadino e dei beni ambientali); farla finita con questo sistema

arcaico di economia di depressione (abolendo gli ordini

professionali, liberalizzazione di tutte le attività socio-economiche,

compartecipazione dei lavoratori agli utili aziendali).

Bisogna sprigionare le energie innovative delle nuove generazioni e

di tutti coloro che hanno collegamenti esterni con le realtà più

progredite del mondo: sappiamo che nella nostra terra vi sono

uomini e donne associati a processi materiali e simbolici del

progresso civile, scientifico e culturale, nonché con funzioni e ruoli

già dentro le prossime rivoluzioni di matrice etiche ed umanistiche.

52

CALABRUCIA

E‟ confortante leggere il mini-saggio “Calabrucia” che avete

pubblicato domenica scorsa. Uno dei motivi dei miei ringraziamenti

ai due autori è che hanno avuto il giusto spazio per poter rendere

visibile un pensiero critico dispiegato su una questione che è

essenziale per i nostri tempi.

Ovvero come il potere politico-sociale e culturale costruisce il suo

mondo virtuale e lo proietti surrettiziamente in direzione del proprio

consenso, in funzione dell‟allargamento delle sue prerogative di

dominio e del tentativo di egemonia sociale su grandi segmenti del

corpo sociale, sui ceti medio-bassi e sulle classi privilegiate della

nostra regione meridiana.

Che un quotidiano liberale come CalabriaOra abbia fatto questo è un

segno dei tempi. Ma devo ancor capire se è indice di una non

ancora ben definita identità (del vostro quotidiano, si parva licet) che

consente di utilizzare spazi di libertà, oppure di una nuova stagione

del giornale stesso in funzione dei possibili cambiamenti della

gestione politica del territorio. Ospitare una disanima neomarxista,

come quella scritta da Arturo Lavorato e Felice D‟Agostino, può

essere certamente un vanto per la testata della cordata Aquino (di

cui nonostante alcune riserve per alcune posizioni, ne seguo

quotidianamente il movimento fin dall‟uscita del primo numero diretto

da Leporace)

Il Loierismo reale è morto, evviva il loierismo: mi verrebbe da far

sarcasmo. Chi ha effettivamente giovato di quel tipo di potere post-

democristiano collocato nel Centro-sinistra è stato quel ceto

culturale che ha potuto usufruire di una montagna di soldi per

iniziative alcune belle (ne è la cifra l‟interventismo nella cultura) e

alcune discutibili (molto discutibili: dalla Sanità ai Rifiuti urbani).

Proprio per lo spettacolo (quello prosaicamente definibile arte; non in

senso situazionista) il loierismo si è caratterizzato come un processo

53

di normalizzazione culturale (ma partendo da una scala in negativo)

di far fare alla Calabria un piccolo salto in alto per raggiungere… il

piano terra!

Ed ecco che anche la Calabria ora può avere finalmente i consumi e

i suoi spettacoli di massa!

Quello che invece va valutato, è qui esprimo un parere ancora

incompleto e da valutare, è che la sospirata egemonia del gruppo di

politici, imprenditori e intellettuali che fanno riferimento al futuro ex

Presidente si è fermata proprio a quei ceti che, marxianamente,

possiamo definire del general intellect . Questi, e solo questi, hanno

usufruito della manna loieriana.

Nessun contadino di Gioia Tauro od operaio di Rossano Calabro ha

intenzione di confermare una politica economica, sociale e generale

come quella espressa dalla classe dirigente in questi anni orribili.

Non vorrei che il mio scritto fosse semplicemente un attacco alla

persona di Agazio Loiero, che non ho mai conosciuto di persona e

che ho potuto apprezzare nel suo “L‟impossibile Altrove”. E‟ piuttosto

un modello di gestione del potere politico che tramonta

definitivamente e personalmente ne colgo le disgregazioni e le

distorsioni. Per finire devo dire che gli attori che ne vorrebbero

cogliere l‟eredità (un ex chiaravallottino e un altro post

democristiano) non credo che siano migliori.

54

IN MARGINE DELL’INCONTRO SU “MILANO NON ESISTE” DI

DANTE MAFFIA,

<< Io vivo la letteratura come una religione … Mi si chiede il perché

abbia scritto questo romanzo, quale siano state le intenzioni politiche

e sociali …

In una intervista ad Alberto Moravia, dove appunto gli si chiedeva

qual‟era il carattere socio-politico degli ambienti dell‟opera d‟esordio

“Gli Indifferenti”(1929), egli rispondeva che per via della sua malattia

– una forma di tubercolosi - che lo teneva sempre a letto, aveva

avuto l‟opportunità di leggere tanto, molti autori francesi, del

realismo post -romantico, prose e racconti del XIX° secolo, il secolo

di Balzac, Goncourt, Zola.Un piglio un po‟ realistico aveva fatto

presa nel suo modo di scrivere in quella contingenza, non c‟era

quindi nessuna intenzione politica o sociale. Ma questi aspetti del

realismo sono sempre presenti in letteratura, nei racconti impregnati

di realismo non possono non presentarsi situazioni e momenti vividi

e di rappresentazione diretta …

La questione più importante che mi sono prefissata è quella di

seguire la logica interna del libro, del racconto, e se, come spesso

capita, le parole e le immagini sfuggono di mano, bisogna

intervenire. Bisogna stare attenti seguire passo dopo passo le cose

che vanno dette, far combaciare le strutture e le forme del discorso.

Il libro sta andando bene. Ha riaperto un tema o più questioni che ci

toccano da vicino… il personaggio è negativo: vive in una sorta di

malattia, un individualismo estremo che lo separa e allontana da

tutto e da tutti. Comunque il dibattito è stato suscitato … ricevo

numerose lettere. Alcune lettere sono offensive, vere e proprie

ingiurie … qualcuno mi accusa di essere antimilanese, si fermano

soltanto al titolo. La Biblioteca di Milano ha collocato il libro sul sito

per molto tempo come tema di dibattito.. anche la redazione

55

milanese di Repubblica ne ha condiviso la versione più vicina alla

posizione dell‟autore, recensendo molto positivamente … Una

lettrice mi chiedeva specificamente con quale dei protagonisti io

stavo, con lui (che definiva “Mulo”, poco più di un baÜscia per dirla

alla milanese, nota di kropio), con la moglie o con i figli? Con tutti, le

risposi. La testimonianza più bella mi è stata fatta da Franco Nero,

si! Proprio lui l‟attore!... ho ricevuto una sua telefonata che mi

chiedeva sul serio: “… ma chi ti ha raccontato la mia storia!” (con la

sola variazione Londra-Roma piuttosto che Milano-Calabria!)…

Affronto un argomento sempre in modo totale, il fine è quello di

trasmettere delle emozioni, delle sensazioni dirette… Ho letto molta

letteratura industriale ( ho una stima molto sentita per Ottone Ottieri,

specialmente per Donnarumma all’assalto, 1959)

Vorrei che questo mio lavoro rimettesse in gioco una letteratura

meridionale … >>

Nota: L‟autore di questo blog ha ascoltato queste parole durante la conferenza tenuta nella sede dell‟Università Popolare fondata da G. Sapia, maestro e letterato; l‟opera è stata introdotta magistralmente dal critico letterario prof. Mercogliano e dal docente Unical prof. Trebisacce.

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I NOSTRI PREGIUDIZI HANNO PER VITTIMA LA CALABRIA

Caro direttore,

È sempre appassionante seguire le argomentazioni del vostro lettore

Antonio Giovanni Palermo. La mia preoccupazione sta piuttosto nel

fatto che spesso le discussioni cadono nel vuoto e non si continuano

i dibattiti suscitati dalle persone che hanno a cuore la propria terra.

Spesso mi sono trovato tra l‟incudine e il martello, quando la

conversazione si spostava sulla Calabria. Questa posizione

sgradevole per chi ha una concezione dialettica della

comunicazione, trova riscontro nelle mie conversazioni ininterrotte

con due idealtipi di calabresi con cui ho a che fare: possiamo

chiamarli, per comodità, rispettivamente “Pasquale” e “Cristina”.

Pasquale si offende se qualcuno parla male della Calabria, certo lui

ha studiato in un‟Università toscana, ha strumenti culturali e

conosce i limiti della nostra terra ma non sopporta chi, specialmodo

suoi conterranei, fa di tutta l‟erba un fascio, straparla dei suoi

concittadini come se fossero dei trogloditi o collusi con le peggior

nefandezze umane (crimini, abulia, familismo amorale ecc.).

Pasquale assaltato dall‟artiglieria pesante dei suoi amici del nord e

del sud si rifugia nell‟argomentazione meno consona, o meglio c‟è

un complotto per screditare la nostra terra. Questo non vuol dire che

il suo amore sia ingenuo e da ridicolizzare, né prive di senso le sue

argomentazioni a favore del positivo che è presente nonostante

tutto. Cristina non ne può più della Calabria: peggiore qualità della

vita, criminalità inarrestabile, malversazioni dei politici, odio atavico

per tutte le forme di egoismo e discriminazioni radicate nell‟animo

calabrese ( “… sono una donna è so di cosa parlo!” ). Il nostro senso

etico e il nostro impegno trovano ragione d‟essere nella lotta contro i

lati negativi della nostra terra, per questo motivo il ragionamento di

Cristina è degno del nostro ascolto e della nostra comprensione.

57

Come si fa a dialettizzare tra questi due idealtipi? Queste sono idee

diffuse specialmente nelle giovani generazioni, che interpretano (mi

si perdoni l‟accostamento!) la lettura de‟ “la scossa” (cfr Delzìo) con i

discorsi di Cetto Laqualunque, a favore del proprio idealismo o della

propria critica esistenziale come momenti inconciliabili e coesistenti.

Faccio un esempio.

Sulla „ndrangheta Pasquale vorrebbe che si parlasse più del

successo delle Forze (dell‟ordine) piuttosto che delle debolezze

(della società civile). Ma la „ndrangheta è dappertutto, ripete Cristina.

Ma ecco che avviene la coincidentia oppositorum: Pasquale e

Cristina concordono che la mafia è dovuta all‟arretratezza delle

nostre terre, alla cattiva politica e alla crisi sociale (sic!).

E‟ possibile ricordare che i nostri conterranei „ndranghetisti investono

nella borsa, costruiscono immensi Resort ultratecnologici e

partecipano ad appalti multimilionari delle grandi infrastrutture e

gestiscono il modernissimo ed efficiente traffico mondiale di

cocaina? Che le „ndrine non hanno un‟ideologia bensì un mission

economico-politica che prescinde da partiti, burocrazie, istituzioni ?

E che gli strateghi della mafia sono dentro la modernità (anzi fanno

la modernità!)?

Detto questo i miei interlocutori reiterano le loro posizioni.

Certo la criminalità organizzata, come argomento, è di una gravità

che lascia sconcertati: la sua geometrica potenza, la capacità di

riprodursi e la continuità nel tempo sono elementi da tenere sempre

in considerazione. E‟ un argomento che rappresenta il nostro vulnus

discorsivo in ogni tentativo di relativizzare la natura del consenso

mafioso.

Altri argomenti più leggeri possono essere affrontati con più

attenzione, liberandoci dalle scorciatoie del pregiudizio.

58

Noi certamente possiamo continuare a infastidirci per i difetti della

nostra terra o amarla nonostante tutto vada male e tentare una sua

giustificazione.

Mancherà sempre qualcosa: il nostro agire nella direzione della

razionalizzazione dei nostri limiti e delle nostre mancanze (“ portare

l‟acqua là dove manca …”).

Questa è una prassi, non un‟allontanarsi o ritirarsi nelle nostre

certezze.

(lettera al Direttore di Calabria Ora)

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IDENTITA’

Che il termine “meridionale” sia una parzialità dal punto di vista

sociologico lo deduco da quella scomposizione avviata da più di un

secolo: l‟emigrazione, il “loco natio”, la perdita delle radici ( con la

relativa sostituzione e ricostruzione in chiave mitica dell‟idea stessa

di Meridione) sono elementi che incidono pesantemente sulla

mentalità odierna. Dicevo una parzialità: nella complessa

disposizione sociologica della realtà capita sovente di trovare delle

totalità (che racchiudono identità, condivisioni di spazi materiali e

spirituali e distinzioni da altre entità) in varie parti geografiche,

linguistiche … in altre parole etnografiche. Mentre il soggetto

“meridionale” ora non si ritrova quasi mai nell‟idea comunemente

accettata o presupposta accettata. L‟orgoglio, che risponde a una

manifestata reazione d‟identità piuttosto debole e di circostanza, è la

forma assunta da questo soggetto debole in presenza d‟identità forti

e socialmente accettate. Chi è emigrato, da condizioni di

sottosviluppo o di depauperamento, risente (e, anche in modo più

forte, risentiva) della civiltà “accogliente” dell‟Occidente

industrializzato: l‟accoglienza era direttamente proporzionale

all‟integrazione totale nel costume e nella forma mentis del luogo

d‟arrivo; il complesso d‟inferiorità si manifesta(va) con la chiusura

prima e con l‟accettazione in toto, successivamente. Le sole cose

che resistevano s‟intravvedevano nel portato identitario costituito, ad

esempio, dalla cultura culinaria, e nella chiusura verso l‟esterno,

unica risorsa interiore utilizzata per superare lo shock della propria

60

presenza in un mondo profondamente ostile. Solo le generazioni

successive ripudiavano queste due caratteristiche.

Invece la nuova emigrazione, fatta perlopiù di scolarizzati, è

garantita da una parità di mentalità di partenza: sostanzialmente un

giovane di Palmi non differisce da uno di Busto Arsizio (o, almeno

hanno più cose in comune che differenze). La condizione sociale e

culturale si è uniformata e l‟unica differenza nelle varie parti del

globo (Occidentale, figuriamoci su “stretta scala”) è il maggior

successo della spinta individuale, la maggior opportunità di

raggiungere un livello socio-economico discreto dettata da questa

parvenza di eguaglianza della razionalità neoliberista.

Ecco il dispositivo che si attiva in elementi discriminanti sia i soggetti

svantaggiati sia gli appartenenti alla propria comunità d‟origine; e

che fa dire all‟abitante di Palmi, emigrato in Germania, che tutti i suoi

ex concittadini sono retrogradi o poco modernizzati.

61

CAPITOLO QUATTRO

EVENTI

62

EVENTI nella Calabria Glauca. Breve excursus su alcune manifestazioni che rendono la permanenza in Calabria un‟attraversata multisensoriale.

Tra le decine di manifestazioni che, nel torrido periodo estivo, si possono considerare come delle oasi nel deserto di discoteche, feste padronali e sagre, ve ne sono alcune che per forza attrattiva e per qualità, per proposta culturale e per spirito impresso dagli organizzatori, risultano ben presenti anche a distanze di giorni settimane mesi nella mente e nel corpo di chi vi ha partecipato. Essendo il tentativo di descriverne in situ abbastanza problematico per ovvie discrepanze tra il vivere e il vissuto, ci formuliamo in questo luogo una classifica che più che competitiva funge da classificazione, censimento, tipologia.

- Partiamo dal centro, dall‟omphalon calabrese, da quel

magnifico sito che è il PARCO ARCHEOLOGICO

“SCOLACIUM” di Roccelletta - Borgia, provincia di Catanzaro:

la mostra del maestro Michelangelo Pistoletto, uno dei padri (si

parva licet) della trans-avanguardia, il cui nome è

indissolubilmente legato all‟ Arte Povera. L‟esposizione,

intitolata “Terzo Paradiso”, fa parte della Va edizione di

Intersezioni, progetto di A. Fiz dedicato ai lavori di artisti

internazionali ospitati nello scenario suggestivo dal punto di

vista architettonico e della memoria storica. Il titolo di III°

Paradiso <<… è la somma dei due paradisi precedenti, quello

della Natura e quello creato artificialmente dall‟Uomo … il terzo

Paradiso è quello che non c‟è mai stato, che non è mai esistito

>> (Pistoletto).

- Più in giù a CROPANI, Reggio Calabria, è stato attivo il Festival

di Letteratura “Parole Erranti 2010” con la serata, il 27 luglio,

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dedicata al grande poeta e cantautore russo VLADIMIR

VYSOTSKIJ, interpretato da Alessio Lega (che omaggiava

anche Piero Ciampi). La parte puramente letteraria riguardava

invece lo scrittore russo SERGHEY DOVLATOV, “un gigante

invisibile” della letteratura mondiale del secondo novecento.

- La REMURATA di Crosia (CS), tenutasi il 18 agosto nel centro

storico del piccolo borgo sullo jonio che sta vivendo una felice

rinascita grazie alla ristrutturazione delle numerose case

private (e sappiamo cosa significa per un borgo che ha

conosciuto la forza tremenda del terremoto del 1836-7, che

distrusse e uccise metà paese e abitanti). Il Centro Storico è

stato vissuto all‟insegna della buona musica, con l‟ ensemble

LA TRESCA, del Teatro e della Buona cucina.

- Concerti delle CONTAMINAZIONI A SUD a Rossano (CS).

Hanno suonato il buon reggae dei BOO BOO VIBRATION,

MISS TRINITI,

- Teatro in Piazza. Saverio La Ruina in “La Borto”, monologo,

centro storico di Calopezzati (CS). Struggente e poetica

rievocazione di un dramma personale e corale di una donna del

“nostro e dell‟altro Mondo”.

- Concerto Modena City Ramblers – Nuju a Longobucco (CS)

- Concerto di Pat Metheny Group a Catanzaro

- Location calabrese del film “Cetto La Qualunque” del poliedrico

e visionario Antonio Albanese.

64

- Festival internazionale di Jazz di Roccella Jonica , la XXXa

Edizione di “Rumori Mediterranei” intitolata significativamente

“Memorie Future”.

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SULL‟ARTE CINEMATOGRAFICA IN CALABRIA (parte prima)

01

Una notevole iniziativa editoriale del 2006 è stata la pubblicazione

dell‟opera “Dizionario del Cinema. La Calabria” (edizioni Spot

Italia, 2006) curata da Giuseppe Papasso, giornalista e anche

autore di alcuni documentari. E‟ un volume che consente di avere

una vera e propria mappatura dei luoghi e delle produzioni (e

produttori e artisti) che hanno vivacizzato il panorama del cinema

della nostra regione, un ambiente che non è privo di ricchezze e

curiosità. Quando ero giovane qualcuno mi aveva raccontato che

alcune scene dello “Spartacus” di Kubrick erano state girate nelle

colline di Crosia! Sono stato in eccitazione a questo pensiero …

smentito dalle ricerche che ho successivamente fatto!

02

La nostra breve filmografia non può che aprirsi su un‟opera che

per ricchezza e interesse ancora stimola discussioni tra noi

appassionati : Il canto dei nuovi emigranti di Arturo Lavorato e

Felice D‟Agostino, vincitore a Torino 2005 nel Concorso

documentari .

03

Che in Calabria si producono e girano film può essere considerata

un‟ovvietà: il fatto discutibile e brutto a dirsi è che queste

produzioni non sono visibili né sono viste dagli stessi abitanti delle

nostre terre. Per non parlare di quella forma straordinaria delle arti

visive che è il documentario (cui si dedicano numerosi giovani e

impegnano molte energie). Alcuni esempi: “I am calabrese” di

Antonio Malfitano, regista proveniente da S. Fili in provincia di

Cosenza, nonostante il suo passaggio televisivo su RAIuno (il 25

giugno 2006, alle ore 10.30!) non ha avuto altra „fortuna‟ qui dove

praticamente non è stato visto (e alcuni luoghi dove si possono

66

proiettare – posti rari, per la verità!- esistono e non si sono attivati

in questa direzione). Nonostante l‟ottimo lavoro dell‟autore, già

premiato ai festival del cortometraggio sul tema del Lavoro indetto

dalla CGIL e dall‟ACLI, il breve film non ha avuto altre occasioni di

essere presentato (sono oramai passati quattro anni).

04

Altri film sono usciti con grande impegno da parte di autori e

maestranze locali ma il problema si è riproposto tale e quale : con

la “Fondazione Calabria Film Commission” (2006) le cose

sembravano andar per il meglio – almeno per quel che riguardava

la produzione!

05

Non la pensa così un regista, M. Stranieri, che così spiegava a

un noto quotidiano locale:

<< Il Cinema in Calabria è un circolo vizioso che non da possibilità

a un regista esordiente di realizzare qualcosa. Neanche se si

propone una sceneggiatura, come la mia “Anise e il fiore rosso”

che tenta di rivalutare l‟immagine della Calabria nel mondo, dove

non si parla di mafia e di ‟ndrangheta ma si cerca di riscoprirne la

storia poetica e musicale … >> . Naturalmente le speranze di

iniziare il Film nonostante era già tutto programmato (casting,

location, pubblicità e visibilità ecc.) non ebbero seguito: Stranieri

passò per folle, denunciando lo status quo delle istituzioni

regionali. Questo nel giugno 2006. Nell‟aprile 2007 il ben più noto

regista Giuseppe Ferrara (“Cento giorni a Palermo”, “Giovanni

Falcone”, “Il Banchiere di Dio”: un cinema d‟autore e d‟impegno

civile) voleva girare un film sulla „NDRANGHETA, sul possibile

riscatto civile e sociale di una comunità sotto la pressione della

mafia calabrese. Dopo varie peripezie il regista ottenne una

risposta della neonata film Commission calabra, nelle

67

dichiarazioni del suo presidente che cosi parlò: <<… ma di film

sulla mafia se ne fanno tanto, e poi affermare che in Calabria

domina un potere mafioso è banale. Il nostro orientamento è

proporre al CDA quei film che illustrino aspetti positivi . Il ritorno

d‟immagine deve essere pure in aspetti positivi in modo che

emerga una Calabria che lotta per riscattarsi >>. Nel frattempo la

FC ha finanziato film di sfuggente natura, tantoché non ne

conosciamo uno di titoli significativi dal chiaro valore artistico o,

tanto meno, commerciale.

06

Passando alle eccellenze devo dire che un argine a questa

indifferenza per l‟arte cinematografica è rappresentata dalle

iniziative legate alle istituzioni universitarie delle grandi città

calabresi. Basti pensare alla rassegna “Metafore della Visione”,

che si tiene periodicamente presso l‟Accademia delle Belle Arti di

Catanzaro, curata dal prof. Andrea La Porta.

07

Un produttore e regista calabrese ha diffuso (parliamo sempre del

2007) una sua lettera che, indirizzata al Ministero dei Beni

Culturali, faceva osservare che ora è un‟unica persona (il

presidente della FC) si trovava a gestire le sorti del cinema <<… e

questi si occupa di produzione, di premi, di distribuzione e

promozione >> e tutto ciò è poco democratico oltre che

controproducente.

08

Ritornando alle nostre produzioni vogliamo parlare di “Riturnella”

un lavoro di Francesca Garcea, proiettato a Roma (prima

nazionale) e poi a Catanzaro e poi… sparito dalla circolazione.

Una storia cruda incentrata su passioni intense di giovani

affacciati alla vita. Con attori professionisti e con la partecipazione

68

a numerose rassegne prestigiose e premi: pur essendo di questo

livello difficilmente è stato visto e rivisto nei nostri borghi o

cineforum.

Un altro caso: “Il Maestro Perfetto” di Giovanni Sole (2006), narra

invece la storia di un crociato che torna dalla Terra Santa

approdando in una Calabria magica e poverissima.

09

L‟appuntamento par excellence del cinema calabro è il REGGIO

CALABRIA FILM FESTIVAL, sempre ricco di film e ospiti

prestigiosissimi. Ideato da Bruno Di Marino e Gianluca Curti si

tiene ogni anno nella città dello stretto: segue la formula classica

di proposta del miglior cinema del momento e delle retrospettive

(mescolando sapientemente il cinema del passato con quello

attuale). Da qualche anno è associato anche il Premio Leopoldo

Trieste in onore del grande caratterista originario di Reggio C.

10

La prossima parte ci occuperemo di un grande del passato

(Aroldo Tieri di Corigliano) e un giovane talento che ha già

espresso una qualità come organizzatore (SARACINEMA) e

come regista (“La leggenda di Tony Vilar): Giuseppe Gagliardi di

Saracena (CS).

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AROLDO TIERI

Il più grande attore teatrale calabrese è nato a Corigliano Calabro il

28 agosto 1917, figlio del commediografo e critico teatrale Vincenzo

Tieri e di Francesca Garofalo. E a Roma che compie gli studi presso

la celebre “Accademia di Arte Drammatica” dove concluse la sua

preparazione diplomandosi nel 1937. L‟esordio è su un adattamento

di Silvio D‟amico della piéce di T. Pavlova, ma è con la

rappresentazione di Francesca di Rimini di Gabriele D‟Annunzio nel

1938, nel ruolo di Malatestino, che lo consacra sulle scene ad

appena 21 anni. Passa dalla compagnia fondata con i suoi colleghi

di scuola, la “Compagnia dell‟Accademia”, alla professionale

“Compagnia del Teatro Eliseo”. Recita i grandi drammaturghi,

Shakespeare e Dostojevski, con successo e consenso, come suol

dirsi, di critica e di pubblico. La guerra incombente fa compiere al

nostro attore una pausa: intensa è l‟esperienza vissuta nella

quotidiana sofferenza per la guerra e le distruzioni cui assisteva.

Nel dopoguerra s‟impegna col teatro contemporaneo privilegiando

Pirandello ma misurandosi anche con autori di un teatro che

potremmo definire “esistenzialista” (ricordiamo P. Vanderberghe, A.

Salacrou, A. Roussin, J.P. Priestley ). Negli anni cinquanta e

sessanta s‟impegna sia col teatro classico moderno (Pirandello,

Svevo, G. B. Show e Joyce) sia interpretando “Il Misantropo” di

Moliere. Ricordo qui una magnifica risposta di Carmelo Bene (noto

oppositore di questo teatro-della-parola, il morto-orale, che

rispondendo a Tieri ne riconosceva la statura di grande uomo di

70

teatro e credo che sia stato l‟unico riconoscimento di Bene a un suo

“collega”).

L‟esperienza cinematografica, che poi è l‟aspetto che più ci

interessa, è stata intensa. Se prendiamo ad esempio un suo

momento, di alto livello professionale, come nel film del 1943 “Il

fidanzato di mia moglie” per la regia di Carlo Ludovico Bragaglia,

notiamo la presenza del grande Eduardo De Filippo, il che sta a

indicare qual era l‟entourage frequentato dal nostro.

Se però dobbiamo fissare lo sguardo e valutare il senso profondo

della plasticità di Tieri è al film “I sogni muoiono all‟alba” (1961) che

bisogna rivolgersi (la regia è stata di Indro Montanelli, un film

controverso, maudit e dimenticato, ma che consiglio di vedere).

La sua lunghissima presenza nel cinema è attestata dai 126 film cui

ha partecipato durante la sua carriera. E una sfilata di nomi e

cognomi che hanno fatto il cinema (e non solo) italiano sono i suoi

direttori di scena, i collaboratori e gli altri attori protagonisti di questo

grande coriglianese.

Il grande critico Tullio Kezich ebbe a dire del talento di Tieri che era

in grado di <<… far arrivare l‟emozione poetica applicando un

virtuosistico repertorio di trucchi… >>, capace di tradurre <<...la

routine in sorpresa, la convenzione in originalità … >>.

71

IL CINEMA MERIDIANO DI GIUSEPPE GAGLIARDI

Il regista è nato a Cosenza nel 1977 , ha vissuto la sua adolescenza

a Saracena, piccolo paese di genti generose e ingegnose, per poi

andare a studiare a Castrovillari.Frequenta l‟Università di Roma,

dove si laurea al D.A.M.S. con una tesi di “critica cinematografica”.

Inizia l‟attività di film-maker nel 1998 con un cortometraggio intitolato

“Nunca pasa nada”; il suo secondo lavoro avrà per titolo “Uomini”.

Ma è con la produzione di “PEPERONI” (2001) che avviene una

svolta di ampio respiro: il cinema calabrese perde quello strato di

auto-referenzialità che lo aveva caratterizzato per un lungo periodo.

Finalmente questo passaggio di sprovincializzazione è compiuto da

un autore di cinema che vive nella/della sua terra, non è insomma di

“origini calabresi” ma calabrese tout court.

Per la sua effervescenza e il tono mai al di sotto di una banale

resipiscenza dei contenuti folcloristici “Peperoni” rappresenta un

nuovo modo di far cinema nella nostra terra. Il Premio Sacher 2001

(quello di Nanni Moretti, per intenderci) vinto in ex aequo conferma

la vocazione di “far cinema di ambio respiro”.

Gli altri lavori cinematografici di questo primo periodo sono: “Una

Storia” (2001) ed “ Era una notte” (2002).

Doichlanda (2003), definito come un “road movie nei luoghi

dell‟emigrazione calabrese in germania”, è un mediometraggio

prodotto dalla Zoropa produzioni di Roberto Alvaro, con le musiche e

protagonisti il gruppo rock calabrese più famoso degli anni „90 e ‟00.

Il film ha l‟ambizione di raccontare, con leggerezza, i cambiamenti e

le contraddizioni di alcune persone che lavorano nel campo della

ristorazione in Germania, che vivono con nostalgia la lontananza

dalla loro amata terra ma che sono rassegnati a questa mancanza

per ovvi motivi di lavoro e d' impossibilità di far altrimenti. Molto bella

è la scena della libera discussione tra l‟ultima generazione degli

emigrati, oramai completamente assimilata e “tedesca” e le difficili

72

identità e le forti discriminazioni del non poter esser mai “germanesi”

al 100%.

Ancora al periodo immediato successivo alla partecipazione al XXI

Film Festival di Torino si colloca la lavorazione del corto “Camera

C3” (2004)

Ma è con il mockumentary “La vera leggenda di Tony Vilar” (2006)

che il nostro regista consacra definitivamente la sua carriera di

autore cinematografico. Dobbiamo spendere due parole sul concetto

di questo genere mockumentary : il “falso documentario” fu inventato

dagli inglesi nel 1957. Infatti all‟epoca fu trasmesso un seriorissimo

documentario BBC sui contadini italiani intenti a raccogliere

spaghetti dagli alberi! (una scena degna dei migliori “Monty Python”).

Con la co-sceneggiatura di Peppe Voltarelli, il nostro “falso

documentario” si presenta come una lunga marcia alla ricerca di una

leggenda vivente: il cantante anni ‟60 di origine italiana (calabrese),

che aveva avuto un suo posto al sole nello star system musicale

latino americano, Tony Vilar alias Antonio Ragusa emigrato da

Genova per far fortuna in Argentina.

Il film ( 92‟) è girato negli USA, in Argentina e naturalmente in Calabria (Castrovillari e altre località), è prodotto dalla TICO film company (di G. e S. Pennacchi) e dall‟Avocado (di A. Kercok), sotto la direzione di Francesca Rogano.

Per Gagliardi il film è <<… sul successo. Sulla caducità del

successo, precisamente. L‟ascesa e la caduta di Tony Vilar sono

raccontate come fosse una parabola >>.

In fase di realizzazione è il nuovo film di Gagliardi: dovrebbe

intitolarsi “Tatanka scatenato” ed è tratto dal libro di Roberto Saviano

“La Bellezza e l‟Inferno”. E‟ la breve storia di Clemente “Tatanka”

Russo, boxeur di grande talento nato a Marcianise (Na). Tra gli attori

è presente il croato Rade Serbedzija, un volto conosciuto per i

73

cinephiles , protagonista di “Eyes Wide Shut” di Kubrick nei panni

del misterioso aristocratico russo che tenta di sedurre la Kidman. Le

location individuate per le riprese sono la Campania, Berlino e

Istanbul. La produzione è quella della Margherita Film e Minerva

Production.

74

CAPITOLO CINQUE

ZIBALDONE

75

RITORNO

Il mio “nostos” in questa terra coincise con la nascita di un

quotidiano, “Calabria ora”, diretto prima da Paride Leporace e dopo

da Paolo Pollichieni. E‟ stato per un lungo periodo il mio

appuntamento quotidiano, è stata la mia preghiera laica. Della città

dotta da dove provenivo, dopo la repentina fuga dal luogo natio sul

finire degli anni ottanta, mi portavo un bagaglio di esperienze vissute

in diversi ambiti, che speravo di poter mettere a disposizione della

nostra Calabria. Mi sono ritrovato con un pugno di mosche in mano.

Trovavo molte cose peggiorate e volevo vedere le cose migliorate!

Una ricerca che ancora continua. << In una società complessa come

la nostra ogni fatto non può essere letto sempre allo stesso modo

>>, scriveva Leporace nel primo anno di bilancio di CalabriaOra. E

ancora premetteva di non nascondere le notizie negative nella

speranza di veder aumentato il numero di notizie positive. Ma in un

anno la condizione generale era peggiorata!

La nascita del quotidiano è stato l‟evento più importante nel

panorama dell‟informazione calabrese. Ispiratosi già col titolo della

testata al giornale siciliano “L‟Ora” di Palermo, diretto dal mai

dimenticato Mauro de Mauro (fratello del noto linguista ed ex

ministro della cultura, ucciso dalla mafia), il quotidiano diretto da P.

Leporace ha rappresentato un vero e proprio esempio di

giornalismo attento alle modificazioni profonde che avvengono nel

“sottosuolo” e in superficie della nostra Regione. Partendo da un

presupposto mai completamente dimostrato, in altre parole che in

Calabria “non si legge” (e questo aprirebbe un vero e proprio buco

nero, rappresentato da quella gestione paramafiosa della

distribuzione di quotidiani, riviste e libri) ci si potrà chiedere come,

dopo la Gazzetta del Sud, la Provincia1 e il quotidiano della Calabria,

possa esserci spazio per un (altro?) quotidiano glocal (globale e

calabrese, per usare un neologismo)? Ebbene la sfida è stata

propria questa! Forse così si è voluto indicare che c‟è una Calabria

76

che vuole una rappresentazione degli eventi diretta a coinvolgere e

stimolare criticamente e propositivamente i cittadini piuttosto che

subire passivamente e chiudere gli occhi davanti a fatti d‟inaudita

violenza e che distruggono le basi stesse della convivenza civile.

1) Queste carte sono state scritte nell‟ottobre 2006

77

IL PARCO NAZIONALE DELLA CALABRIA

Ho trovato tra le mie scartoffie questo piccolo “registro d’impressioni”

che, quattordicenne, avevo scritto e siccome non presenta

l’andamento della classica composizione di terza media (e

probabilmente non è stato mai presentato o letto da insegnanti) ho

voluto riportarlo alla luce di questi pixel dopo ben ventisette anni,

“senza alcuna pretesa” (come canta Vinicio Capossela) … !

1983. TEMA: Parla del parco nazionale della Calabria. Se lo hai

visitato, impressioni e considerazioni.

Ho visitato anni fa una zona del parco nazionale della Calabria e ne

sono rimasto quasi esterrefatto. Indubbiamente la flora della zona

adibita a Parco è straordinaria per quel che riguarda la potenzialità

ecologica e ambientale. Infatti, la zona ha caratteristiche irripetibili

per quel che riguarda l‟aspetto idrogeologico, l‟habitat biologico e la

78

geografia del luogo. Ma ciò che mi ha colpito è il totale abbandono e

di conseguenza la degradazione , in cui si trovano alcune zone, in

parte da me osservate, del parco nazionale della Calabria.

Informandomi successivamente sulla gravità del problema ho

appreso che la situazione tende all‟irreversibilità: ciò induce a

riflessioni che non devono riguardare il solo calabrese o l‟abitante

dei luoghi adibiti a parchi ma, in generale, qualsiasi italiano perché la

tutela dei patrimoni ambientali è un dovere di ogni cittadino. Le

istituzioni certamente svolgono – o quasi !- il loro dovere, perché

l‟imparzialità sempre essere una caratteristica delle leggi e dei piani

di sviluppo (o d‟intervento straordinario come a volte sono definiti).

L‟imparzialità non si riferisce semplicemente a non sprecare i miliardi

di lire, ma a evitare l‟irrazionalità degli interventi di cura e

salvaguardia e, anche, nell‟introdurre quelle norme che mirano alla

conservazione di specie animali e vegetali. Solo recentemente si

parla di un piano integrato per il recupero delle zone dell‟altopiano

silano, ove finalmente si capiscono le utilità degli enti scientifici.

Lo stato della ricerca scientifica (specialmente quella biologica) è,

qui in Calabria, arretrato. Ciò rappresenta un blocco insormontabile

per una realizzazione di progetti efficaci nelle zone più degradate. I

nuovi mezzi biotecnologici possono essere il trait d’union tra

l‟intervento dell‟uomo e quello specifico della natura stessa.

L‟intervento dell‟uomo è fondamentale per due motivi: in primo luogo

bisogna ridimensionare gli errori umani e cioè l‟inquinamento, il

disboscamento e l‟eccidio di numerose specie animali e vegetali; in

secondo luogo l‟unico modo per evitare il collasso ambientale è

ridurre la pressione dell‟uomo sull‟ambiente e sull‟ecosistema

(principalmente è l‟agricoltura tecnologica in espansione ha causare

i principali “mali”, mentre assistiamo all’abbandono dell’agricoltura di

contiguità all’ambiente antropico, cioè dell’uomo, nota postuma).

79

Naturalmente i mezzi tecnologici non si creano dal nulla e quindi c‟è

bisogno di sovvenzioni alla ricerca scientifica pura e applicata.

Tocca poi alle istituzioni programmare gli interventi in comune

accordo con i ricercatori.

Certamente il mio modo di vedere le cose non ha nulla a che fare

con la mia fede politica, religiosa o altro; è solo un‟analisi realistica di

ciò ho visto e di ciò che credo si possa fare.

80

POSTFAZIONE

Vivere qui è prepararsi a partire. Ecco perché funzionano

abbastanza bene le lunghe percorrenze (se te ne devi andare a

Milano da qualsiasi luogo può decidere di partire di lunedì,

mercoledì, sabato o domenica!). Se devi andare al paesino limitrofo

impara a pedalare!

Niente autobus, niente mezzi pubblici!

Il treno in questi cinque anni è scomparso.

Meglio giocare la schedina e sperare di vincere che prendere il treno

e sperare di arrivare a destinazione.

I locali pubblici sono deserti.

I posti pubblici degradati, sporchi e con erbaccia di almeno tre

primavere.

Robba in comuni jettati i ru vaddunu!

(cose o beni in comune buttate dalla rupe)

E‟ questa la filosofia politica che sottende ogni discorso che

contempli il senso del “bene comune”.

La socialità è ridotta al lumicino. Anche le chiese sono deserte.

Qui conviene tacere, e prepararsi che il tempo è vicino.

81

Prefazione pagina 2

Capitolo primo pagina 3

Capitolo secondo pagina 27

Capitolo terzo pagina 35

Capitolo quarto pagina 61

Capitolo cinque pagina 74

Postfazione pagina 80

82

Inversione (2010). Foto dell’autore

Pierpaolo Cetera (Mirto di Crosia, 1969).

E‟ membro di alcune associazioni culturali

che si occupano di culture dello sviluppo

del territorio (“CalabriaFaRete” e “SOCI@L”),

Scrive sul web dal 2001.

Info: [email protected]