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Storia e linguaggio nell'opera di F. Rosenzweig

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Page 1: Rosenzweig- Cristina Guarnieri

XVIII Convegno Nazionale dei Dottorati di Ricerca in Filosofia 2008

Istituto Banfi, Reggio Emilia 21-24 gennaio 2008

Cristina Guarnieri

STORIA E LINGUAGGIO NELL’OPERA DI FRANZ ROSENZWEIG

Il mio progetto di ricerca ha per tema principale il rapporto tra storia e linguaggio nel pensiero del filosofo ebreo-tedesco Franz Rosenzweig (1886-1929), in particolare alla luce del suo opus magnum che è La stella della redenzione del 1921. Lo scopo del mio lavoro è di evidenziare quali siano gli elementi di novità del pensiero di Rosenzweig rispetto alla tradizione precedente, al fine di mettere in luce il ruolo fondamentale giocato dal linguaggio nell’articolarsi del neues Denken e di mostrare come l’attenzione rivolta dal filosofo di Kassel alla dimensione grammaticale rappresenti uno snodo decisivo nella formulazione di una concezione originale del tempo, della storia e dell’altro.

A partire dalla critica radicale ai concetti di sistema e totalità, considerati dall’autore caratteristici della metafisica tradizionale che ha trovato il proprio culmine nell’idealismo di Hegel, Rosenzweig comincia a delineare i contorni di una filosofia capace di tenere conto dell’esistenza particolare del singolo individuo, contrassegnato da nome e cognome, quell’individuo che la violenza del logos metafisico aveva tentato di riassorbire nel suo concetto di Tutto. La messa in questione dell’ontologia tradizionale, compresa come una filosofia della totalità, viene condotta in nome della priorità dell’esistenza sul pensiero. Il sistema dell’essere è messo in scacco secondo Rosenzweig dall’evidenza primordiale della fatticità.

Muovendo da qui Rosenzweig dà vita a quello che in un saggio del 1925 chiamerà il «nuovo pensiero», che si contraddistingue in modo particolare per l’emergenza di tre elementi da esso inseparabili: il linguaggio, il tempo e l’altro. Nasce con Rosenzweig quella filosofia del dialogo che avrà tanta parte nel pensiero del Novecento, ed in particolare nella filosofia ebraica contemporanea.

Il nuovo pensiero è consapevole del suo essere irriducibilmente legato al tempo, situato nell’hic et nunc della storia. È un pensiero che riconosce la sua propria temporalità, quella che viene testimoniata dal linguaggio stesso e dalla grammatica dei suoi tempi verbali. Si tratta, per usare l’espressione dello stesso Rosenzweig, di uno Sprachdenken, un pensiero linguistico, perché sa di doversi articolare nel linguaggio. Sul filo conduttore di questo tema si aprono i principali sentieri della mia ricerca: il rapporto di Rosenzweig con la filosofia del linguaggio tedesca, in particolare con Hamann e con Humboldt, che sono stati i primi a riconoscere l’originaria linguisticità della ragione; la tesi radicale proposta da Rosenzweig della messianicità del linguaggio e il conseguente rapporto tra linguaggio e storia1; il tema del linguaggio della rivelazione come anticipazione (Vorwegnahme) del futuro della redenzione; il tema dell’utopia, la cui rilevanza nel pensiero contemporaneo è stata ben mostrata dallo

1 Il tema del messianismo consentirà ulteriori riflessioni aperte ad una consistente pluralità di voci del ‘900, quali quelle di Scholem, Levinas, Derrida e Taubes

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studio di Michael Löwy Redenzione e utopia2; il rapporto tra la grammatica del nuovo pensiero e la logica idealistica, nemica del linguaggio, che presumendosi pura ed indipendente dalla grammatica, si riduce ad un «regno di ombre»3; infine la questione dei pronomi e la filosofia del nome proprio che diventano il centro pulsante del pensiero di Rosenzweig.

Il nuovo pensiero ha bisogno dell’altro; sin dall’inizio si realizza come il parlare di un Io a un Tu. Come scrive Rosenzweig, esso

vive soprattutto della vita di altri, siano essi l’uditore della narrazione, l’interlocutore del dialogo o il membro del coro4.

Al pensiero inteso in senso tradizionale, che «è sempre solitario, anche se avviene in comune tra più persone che “stanno filosofando in comune” (Symphilosophierenden)», Rosenzweig oppone un pensiero che in primo luogo è dialogo, o meglio, che si fa, si costituisce nel gioco di parola e risposta del linguaggio dialogico.

Nel dialogo vero qualcosa accade sul serio; io non so prima che cosa l’altro mi dirà perché in realtà non so neppure che cosa dirò io, anzi non so neppure se parlerò5.

Il filosofo del nuovo pensiero sa di non poter anticipare nulla, di dover dipendere dalla voce proferita dalla bocca dell’altro e perciò sa di dover attendere tutto. I caratteri dell’attesa, dell’incalcolabilità, di ciò che viene nella sua imprevedibilità perché è legato alla venuta di un altro non oggettivabile, perché è sempre a-venire, sono i temi peculiari del pensiero di Rosenzweig che avranno una forte incidenza nella riflessione filosofica del ventesimo secolo.

Poco ancora si è detto del ruolo giocato dai pronomi nell’articolazione del nuovo pensiero. La mia ricerca prende spunto da un saggio di Donatella Di Cesare intitolato Die Grammatik der Zukunft. Ich, Du, Wir in Rosenzweigs Sprachdenken, in cui viene messo l’accento per l’appunto sul sistema dei pronomi personali nei quali già Humboldt scorgeva, insieme al verbo, una delle due categorie fondamentali della «grammatica del parlare»6. I pronomi personali e il verbo costituiscono infatti il «tipo originario» delle

2 M. LÖWY, Redenzione e utopia. Figure della cultura ebraica mitteleuropea, Bollati Boringhieri, Torino 1992. 3 F. ROSENZWEIG, La stella della redenzione, a cura di G. Bonola, Vita e Pensiero, Milano 2005, p. 150. 4 F. ROSENZWEIG, Il nuovo pensiero, in id., La scrittura. Saggi dal 1914 al 1929, a cura di G. Bonola, Città Nuova, Roma 1991, pp. 257-282, p. 271. 5 Ibidem. 6 W. VON HUMBOLDT, Von dem grammatischen Bau der Sprachen [1827-1829], in ders., Gesammelte Schriften, hrsg. von A. Leitzmann, Berlin 1903-1936, Bd. VI, 1907, S. 337-486, insb. S. 626. Cfr. D. DI CESARE, Die Grammatik der Zukunft. Ich, Du, Wir in Rosenzweigs Sprachdenken, in Trumah (Zeitschrift der Hochschule für jüdische Studien Heidelberg), II, 2001, pp. 61-70.

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lingue7, in quanto il verbo presta esistenza corporea al discorso nella realtà, mentre la categoria della persona situa i parlanti nella realtà e fissa il loro rapporto reciproco. Così lo Sprachdenken di Rosenzweig non è un pensiero sul linguaggio, ma un pensiero che ha nel linguaggio la sua origine e che, sapendo di essere intimamente legato alla parola, non presume più di essere assoluto, ma accetta la forma linguistica articolandosi come dialogo. È perciò un pensiero dialogico che si compie nella realtà divenuta sonora8 del dialogo tra Io e Tu.

Rivendicando la fatticità irriducibile del singolo contro l’essenza intemporale del sistema, Rosenzweig pone nel cuore della sua filosofia anche la questione del tempo. Dal momento che «l’essenza non vuole saperne del tempo»9, il filosofo del nuovo pensiero non dovrà più formulare «enunciati-è», che sono la tipica espressione della metafisica dell’essenza. Egli concentrerà piuttosto il proprio interesse «sul verbo, il termine temporale (Zeit-wort)»10. Egli inaugura un pensiero che

sa, proprio come sa il pensiero antichissimo del senso comune, che non si può conoscere in modo indipendente dal tempo11.

Dalla temporalità di tale nuovo pensiero scaturisce anche un nuovo metodo, il metodo del parlare, perché, mentre «il pensiero è senza tempo», parlare invece

è legato al tempo, si nutre di tempo, non può né intende abbandonare questo terreno di coltura, non sa in anticipo dove andrà a parare, lascia che siano gli altri a dargli la battuta12.

Come indica bene Löwith, l’opera di Rosenzweig è contraddistinta da un pensiero grammaticale13. Infatti la grammatica dei pronomi e dei verbi intesse intimamente tutta la struttura della Stella. È proprio la questione del metodo grammaticale che costituisce a mio avviso il cuore segreto del neues Denken. Infatti alla domanda cruciale che si interroga su quale sia il ponte tra l’estremamente soggettivo e l’universalmente oggettivo, tra il pensiero universale e l’accadimento sempre singolare della rivelazione, intesa come evento relazionale che si dispiega nel dialogo tra Io e Tu, Rosenzweig risponde che tale ponte è costituito dal rapporto tra la logica del linguaggio e la sua

7 Id., Über den Dualis [1827], in id., Gesammelte Schriften, Bd. VI, S. 4-30, insb. S. 23-24, 26-27. 8 Insistendo sulla priorità che Rosenzweig accorda al suono della parola proferita nel passaggio dalla creazione alla rivelazione, intendo anche riflettere sulle sorprendenti convergenze che avvicinano intimamente il suo pensiero alle contemporanee riflessioni di Walter Benjamin sul linguaggio. Confronto che meriterà un ulteriore approfondimento, soprattutto al fine di mostrare come entrambi i pensatori si inseriscano al tempo stesso all’interno del pensiero ebraico e nel solco della filosofia del linguaggio tedesca. 9 F. ROSENZWEIG, Il nuovo pensiero, cit., p. 268. 10 Ivi, p. 267. 11 Ivi, p. 268. 12 Ivi, p. 271. 13 K. LÖWITH, M. Heidegger e F. Rosenzweig. Poscritto a “Essere e tempo”, in aut aut, n. 222, novembre-dicembre 1987, pp. 76-102, p. 84.

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grammatica inaugurato dalla parola viva e reale del dialogo d’amore. In tal modo la dottrina delle forme del linguaggio, la grammatica, diviene l’organon del nuovo pensiero.

Rosenzweig prende a prestito il metodo grammaticale dall’amico Eugen Rosenstock, di cui aveva potuto leggere nel 1916 una prima versione della Angewandte Seelenkunde, testo in cui la grammatica è considerata come la chiave d’accesso al castello dell’anima14.

Il pensiero costruito da Rosenzweig nella seconda parte della Stella contiene la sua originale applicazione di questo metodo. Questa seconda parte è scandita da tre libri, i quali descrivono i tre eventi relazionali che accadono tra Dio, uomo e mondo: la creazione, che è la relazione tra Dio e mondo; la rivelazione, intesa come relazione tra Dio e uomo e infine la redenzione, in cui si compie la relazione tra uomo e mondo. Tutte e tre queste relazioni sono contraddistinte da peculiari forme linguistiche e si articolano concretamente secondo loro specifiche categorie grammaticali.

Dopo aver tratteggiato le linee generali della mia ricerca, vorrei ora soffermarmi sui primi due libri della seconda parte della Stella, dedicati rispettivamente alla creazione e alla rivelazione. In tal modo intendo mostrare come la grammatica del linguaggio dischiuda in Rosenzweig un differente rapporto con il tempo e con l’alterità.

Nel libro dedicato alla creazione Rosenzweig descrive una fenomenologia delle forme grammaticali del logos della conoscenza. Nel mondo rivelato, di cui la creazione è parte integrante, la grammatica prende il posto del linguaggio simbolico della matematica, di cui Rosenzweig si era servito nella prima parte della Stella per esprimere le dinamiche interne a Dio, uomo e mondo. Queste infatti non possono più rendere conto dell’evento che accade nel mondo che si manifesta15. I muti segni dell’algebra costituivano il «linguaggio di quel mondo che antecede il mondo»16, e che per Rosenzweig descriveva i limiti, il fin-qui-e-non-oltre della venerabile tradizione filosofica dalla Ionia a Jena, da Parmenide a Hegel. La matematica, che aveva il compito di rappresentare il “senso” del silenzio del muto pre-mondo, spartiva «questo ruolo di organon che dispensa simboli» con l’arte, intesa come linguaggio dell’inesprimibile. Ora, nel mondo che si esterna, il mondo dell’esperienza sonora descritto nella seconda parte della Stella,

in luogo di una scienza di segni muti, deve farsi avanti una scienza di suoni vivi, in luogo di una scienza matematica deve venire la dottrina delle forme della parola: la grammatica17.

La grammatica diviene l’organon della realtà esperita e incessantemente rinnovata, il luogo che dischiude, con le sue coordinate spazio-temporali, l’evento della

14 E. ROSENSTOCK, Angewandte Seelenkunde. Eine programmatiche Übersetzung, in id., Die Sprache des Menschengeschlechts. Eine Leibhaftige Grammatik in vier Teilen, 2 Bde, Heidelberg 1963, Bd. I, pp. 739-810. La prima edizione della Psicologia applicata è però E. ROSENSTOCK, Angewandte Seelenkunde. Eine programmatiche Übersetzung, Roetherverlag, Darmstadt 1924. 15 F. ROSENZWEIG, La stella della redenzione, cit., p. 129. 16 Ibidem. 17 Ibidem.

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relazione tra Dio, uomo e mondo. Scandagliando i sentieri grammaticali del linguaggio Rosenzweig offre un modo nuovo di articolare il rapporto tra queste tre fattualità originarie.

Nel libro sulla creazione Rosenzweig delinea una mappa della grammatica del linguaggio della conoscenza, che muove dall’affermazione pura e semplice del ‘così’ espressa dall’aggettivo, dunque dalla qualità semplice, all’astrazione della cosa che si ottiene attraverso un gesto deittico, quello dell’indicare che è sempre accompagnato da un pronome. È in gioco in ogni processo gnoseologico il pronome dimostrativo “questo”, che addita la cosa ed esprime, con tale suo indicare, che qui c’è “qualcosa” da cercare. La cosa è da cercare, non è già trovata e ancor meno conosciuta. Il pronome infatti viene prima del nome, non in sua vece, perché per Rosenzweig - in questo fortemente influenzato dal pensiero ebraico - conoscenza autentica di una cosa si dà solo nel nome. Il logos della conoscenza, quello in cui il soggetto teoretico si pone davanti ad un oggetto, non perviene realmente alla conoscenza della cosa, ma si limita ad indicarla come un “qualcosa” che deve essere cercato. La cosa singola, fissata poi dall’articolo determinativo ad un unico punto dello spazio, può infine, al culmine del processo di conoscenza, essere designata come oggetto.

Rosenzweig descrive dunque in questo libro il procedimento conoscitivo attraverso il quale l’anthropos theoretikós perviene alla costruzione dell’oggetto. La creazione, con la sua grammatica, riflette proprio questo spazio della conoscenza. Tale oggetto, in quanto ciò che sta di fronte, riceve alla fine il suo posto nella frase come complemento oggetto. L’accusativo è dunque per Rosenzweig il caso dell’oggettività e perciò quello che meglio riflette il mondo della creazione. Perché la creazione è l’arco che Rosenzweig ha innalzato sulla conoscenza e l’uomo conosce nella misura in cui rende le cose del mondo oggetti che gli stanno di fronte. Inoltre Rosenzweig sceglie per il mondo della creazione anche delle forme verbali temporali, il modo indicativo e il tempo passato, le più adatte ad esprimere l’obiettività della conoscenza.

Non mi soffermo su tutta la complessa ramificazione delle forme grammaticali con cui Rosenzweig descrive l’atto conoscitivo del soggetto teoretico, tanto di quelle che articolano la dimensione dell’essere a partire dalla qualità (aggettivo predicativo, pronome dimostrativo, articolo indeterminativo, articolo determinativo, complemento oggetto), quanto di quelle che scandiscono l’accadere di questa realtà, il suo movimento processuale (copula, participio, infinito, indicativo, terza persona, passato). Quello che però vorrei mettere in evidenza è che con la scelta di queste forme Rosenzweig situa la cosa nello spazio e la mette in relazione con il tempo. Essere e accadere, ‘qui’ del pronome dimostrativo e ‘ora’ del modo indicativo, articolo determinativo e tempo passato, compiono l’oggettività del mondo della creazione, tanto spaziale che temporale.

Nelle pagine con cui introduce la Logica della Rivelazione, Rosenzweig dice di voler mostrare

i punti in cui il linguaggio della rivelazione, linguaggio parlante, si distaccava (sich abschied) dal linguaggio constatante/fissante, narrante/enumerante e condizionante/cosificante della creazione18.

18 Ivi, p. 191.

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Il linguaggio della rivelazione si distacca dunque dal linguaggio ancora impersonale ed oggettivante della creazione. Questo distacco indica un’eccedenza rispetto al sistema, la sporgenza di una parola altra che inaugura l’evento della rivelazione. Quest’ultima si configura perciò come un evento eminentemente linguistico, contraddistinto da nuove forme grammaticali, nelle quali accade dandosi come resto, come qualcosa che avanza all’interno del mondo ancora non rivelato.

Rosenzweig mostra le modalità con cui tale evento si realizza attraverso il commento grammaticale di Genesi 1. Mentre Dio crea il mondo, tra tutti i verbi al passato e tutti i «quieti indicativi» che scandiscono il tempo della creazione, già compare la subitaneità dell’imperativo presente “sia”, e tuttavia questa attualità, dice Rosenzweig, è ancora legata alla «forma impersonale del puro accadere»19, ovvero alla terza persona. Allo stesso modo nel “noi” di Dio, che si palesa nella locuzione “facciamo un uomo”, «è rotto l’incantesimo dell’obiettività»20 e per la prima volta risuonano, invece di un illud impersonale, un io e un tu custoditi nella prima persona del “noi”. Ma si tratta in realtà di un parlare, che pur essendo in prima persona, si presenta nondimeno ancora al plurale. Non esiste un tu reale, concreto, di fronte a Dio, e dunque nemmeno un io. Così, infine, nell’espressione “facciamo un uomo” risuona già nel nome comune della specie umana il nome proprio Adam, ma quest’uomo è creato muto, non ha ancora aperto la bocca ed è perciò privo della parola reale della rivelazione. Da queste tre forme linguistiche della creazione divina del mondo (l’imperativo “sia”, il plurale “noi” ed il nome comune “uomo”) scaturiranno, nella rivelazione, l’imperativo presente “amami”, personalissimo perché rivolto da un “io” ad un “tu”, anch’essi pronomi personali al massimo grado, ed infine, come culmine dell’intera rivelazione, il vocativo del primo nome proprio in mezzo a tante creature che appartengono semplicemente ad una specie. Dunque nuove forme grammaticali descrivono la fenomenologia della rivelazione ed inaugurano profeticamente il linguaggio vivente del dialogo dell’amore: un modo verbale (l’imperativo “amami”), due pronomi personali (“io” e “tu”), un caso (il vocativo) che evoca il nome proprio21.

Questo momento è esemplare per indicare come la scelta di un caso nella declinazione del nome proprio segni il momento culminante che apre il nuovo pensiero al tempo, al linguaggio reale e all’altro della parola dialogica. La rivelazione è l’accadimento in cui l’io si costituisce in quanto io solo nella misura in cui si apre ad un’alterità irriducibile, non sussumibile alla generalità della specie. Il movimento dalla creazione alla rivelazione può così essere letto come il passaggio tra due casi grammaticali: dall’accusativo della creazione al vocativo della rivelazione. La chiamata diretta, l’appello del nome proprio declinato al vocativo marca il culmine della rivelazione. Si tratta di quel «nome e cognome»22 che Rosenzweig scaglia contro la pretesa onnicomprensiva della filosofia idealistica, come un che di inassimilabile, inappropriabile, quel “fuori” che resiste nella sua esteriorità irriducibile. Esso fonda costitutivamente l’io e lo rivela come tale nella misura in cui lo palesa come il tu di un appello che viene dall’altro. E questo io, che affonda le sue radici in una recettività che

19 Ivi, p. 158. 20 Ibidem. 21 Riguardo al tema del nome proprio rinvio, solo a titolo di esempio, a S. MOSÈS, Système et Révélation. La philosophie de Franz Rosenzweig, préface d’Emmanuel Lévinas, Bayard, Paris 2003, in part. pp. 120-126. 22 F. ROSENZWEIG, «Cellula originaria» de La Stella della redenzione. Lettera a Rudolf Ehrenberg del 18.XI.1917, in id., La scrittura. Saggi dal 1914 al 1929, cit., pp. 241-256, p. 243.

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è ascolto del nome proprio, della parola che viene dall’altro, «recalcitra contro ogni traduzione in terza persona»23. Il nome proprio esprime perciò l’impossibilità della tematizzazione, della riconduzione a sé, segna la separazione ineliminabile tra uomo e Dio, ma anche il luogo dell’incontro e la possibilità del dialogo - proprio a partire da tale distanza.

A partire da questi spunti è già possibile intuire quanto sia importante una riflessione sul ruolo della grammatica nell’articolazione del nuovo pensiero di Rosenzweig. Solo muovendo da tale riflessione sarà poi possibile affrontare il tema del rapporto tra storia e linguaggio, così come viene dispiegandosi all’interno della Stella.

Bibliografia

a) Opere di Franz Rosenzweig in tedesco

Der Mensch und sein Werk. Gesammelte Schriften:

I. Briefe und Tagebücher, 2 Bde, Bd. 1 (1900-1918), Bd. 2 (1918-1929), hrsg. von R. Rosenzweig und E. Rosenzweig-Scheinmann unter Mitwirkung von B. Casper, Martinus Nijhoff, Haag 1979

II. Der Stern der Erlösung, Einführung von R. Mayer, Martinus Nijhoff, Haag 1976

III. Zweistromland. Kleinere Schriften zu Glauben und Denken, hrsg. von R. und A. Mayer, Martinus Nijhoff, Dordrecht/Boston/Lancaster 1984

IV. Sprachdenken, 2 Bde, Bd. 1, Jehuda halevi. Fünfundneunzig Hymnen und Gedichte. Deutsch und Hebräisch, mit einem Vorwort und mit Anmerkungen, hrsg. von R.N. Rosenzweig, Martinus Nijhoff, The Hague/Boston/Lancaster 1983; Bd. 2, Arbeitspapiere zur Verdeutschung der Schrift, hrsg. von R. Bat-Adam, Martinus Nijhoff, Dordrecht/Boston/Lancaster 1984

V. Hegel und der Staat, 2 Bde, Bd. 1, Lebensstationen (1770-1806), Bd. 2, Weltepochen (1806-1831), Oldenbourg, München/Berlin 1920

Die Schrift: Aufsätze, Übertragungen und Briefe, Europäische Verlagsanstalt, Frankfurt am Main 1976

Die “Gritli”-Briefe. Briefe an Margrit Rosenstock-Huessy, hrsg. von I. Rühle und R. Mayer, mit einem Vorwort von R. Rosenzweig, BILAM, Tübingen 2002

Von Einheit und Ewigkeit. Ein Gespräch zwischen Leib und Seele [1918], in B. Casper, Von Einheit und Ewigkeit. Ein Gespräch zwischen Leib und Seele. Ein unveröffentlichter Text Franz Rosenzweigs, «Bullettin des Leo Baeck Instituts» 74 (1986), pp. 65-78

Das Büchlein vom gesunden und kranken Menschenverstand [1921], hrsg. von N.N. Glatzer, Melzer, Düsseldorf 1964

23 Id., La stella della redenzione, cit., p. 183.

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b) Opere di Franz Rosenzweig in italiano

La stella della redenzione, a cura di G. Bonola, Vita e Pensiero, Milano 2005

La scrittura. Saggi dal 1914 al 1929, a cura di G. Bonola, Città Nuova, Roma 1991

Hegel e lo Stato, tr. it. di R.C. Cerrato e A.L. Künkler Giavotto, il Mulino, Bologna 1976

Dell’intelletto comune sano e malato, tr. it. di G. Bonola, Reverdito, Trento 1987

La radice che porta. Lettere su ebraismo e cristianesimo (coautore E. Rosenstock), tr. it. a cura di G. Bonola, Marietti, Genova 1992

Non nella forza ma nello Spirito. Novantacinque inni e poesie scelte da Franz Rosenzweig, Marietti, Genova 1992

Ebraismo, Bildung e filosofia della vita, tr. it. di S. Franchini, La Giuntina, Firenze 2000

Il filosofo è tornato a casa. Scritti su Hermann Cohen, tr. it. a cura di R. Bertoldi, Diabasis, Reggio Emilia 2003

Il grido, tr. it. a cura di F.P. Ciglia, Morcelliana, Brescia 2003

c) Altri autori

BENJAMIN W., Metafisica della gioventù. Scritti 1910-1918, a cura di G. Agamben,

Einaudi, Torino 1982

BENJAMIN W., Angelus Novus, a cura di R. Solmi, Einaudi, Torino 2005

BENJAMIN W., Sul concetto di storia, a cura di G. Bonola e M. Ranchetti, Einaudi,

Torino 1997

HUMBOLDT W. VON, Gesammelte Schriften, hrsg. von A. Leitzmann, Berlin 1903-

1936

HUMBOLDT W. VON, La diversità delle lingue, tr. it. e introduzione a cura di D. Di

Cesare, Laterza, Roma-Bari 2000

HUMBOLDT W. VON, Scritti filosofici, a cura di G. Moretto e F. Tessitore, UTET,

Torino 2007

ROSENSTOCK E., Angewandte Seelenkunde. Eine programmatiche Übersetzung, in

id., Die Sprache des Menschengeschlechts. Eine Leibhaftige Grammatik in vier Teilen,

2 Bde, Heidelberg 1963, Bd. I, pp. 739-810

ROSENSTOCK E., Angewandte Seelenkunde. Eine programmatiche Übersetzung,

Roetherverlag, Darmstadt 1924

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ROSENSTOCK E., Ja und Nein. Autobiographische Fragmente, hrsg. von G. Müller,

Lambert Schneider, Heidelberg 1968

d) Bibliografia secondaria

BAUER A., Rosenzweigs Sprachdenken im "Stern der Erlösung" und in seiner Korrespondenz mit Martin Buber zur Verdeutschung der Schrift, Lang, Frankfurt/Bern/New York 1992

CACCIARI M., Sul presupposto. Schelling et Rosenzweig, in aut aut, 1986, n. 211-212, pp. 43-65

CASPER B., Das dialogische Denken. Eine Untersuchung der religionsphilosophischen Bedeutung Franz Rosenzweigs, Ferdinand Ebners und Martin Bubers, Herder, Freiburg/Basel/Wien 1967

COURTINE J-F., Temporalità e storicità. Schelling-Rosenzweig-Benjamin, in L. Ruggiu (a cura di), Filosofia del Tempo, Mondadori, Milano 1998, pp. 162-182

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