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PSICOLOGIA E ALIMENTAZIONE 5 PASSI PER CONTROLLARE LA “FAME EMOTIVA” Paola Medde Alessandra Reposati

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PSICOLOGIA E ALIMENTAZIONE5 PASSI PER CONTROLLARE LA “FAME EMOTIVA”

Paola Medde Alessandra Reposati

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Indice

Introduzione

Capitolo 1 “Dieta e dintorni” 1° PASSO CAPIRE CHE NON È COLPA VOSTRA

1.1 Il mondo delle diete

1.2 Yo-Yo: la ripresa dei chili perduti

Capitolo 2 “ Bisogni alimentari e bisogni emotivi” 2° PASSO - CONOSCERE GLI EMOTIONAL EATING (MANGIARE EMOTIVO)

2.1 Perché mangiamo?

2.2 Cibo ed emozioni

Capitolo 3 “L’importanza della consapevolezza nel comportamento alimentare”3° PASSO - CAPIRE SE SEI UN “MANGIATORE EMOTIVO”

3.1. Come distinguere tra Fame Fisica e Fame Emotiva

3.2. Come capire se sei tra i “mangiatori emotivi”

Capitolo 4 “Strategie di coping per la modifica dello Stile Alimentare” 4° PASSO - CONOSCERE IL “PILOTA EMOTIVO”

4.1 Il “PILOTA EMOTIVO”: Come, quando, cosa, chi?

4.2 Il Monitoraggio alimentare

Capitolo 5 “Verso il cambiamento” 5° PASSO - CAMBIARE E’POSSIBILE

5.1 “Riscrivere” le abitudini alimentari

5.2 Alternative al “mangiare emotivo”

Appendice

Psicologia e alimentazione. 5 passi per controllare la “fame emotiva”

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RIGUARDO LE AUTRICI

PAOLA MEDDE Psicologa, Psicoterapeuta. Da gennaio 2014 coordino il Grup-po di lavoro di Psicologia e Alimentazione presso l’Ordine degli Psicologi del Lazio. Sono Pre-sidente della S.P.I.C.A.P., un’associazione rivolta a persone che hanno problemi con il cibo o con il peso corporeo e svolgo la mia attività a Roma. Dal 1995 ho inziato ad occuparmi di obesità, sovrappeso e disturbi del Comportamento Alimentare. Dal 1997 svolgo regolare at-tività di docenza in corsi di formazione indirizzati agli psicologi e psicoterapeuti sulle tecniche cognitivo comportamentali per la gestione del peso corporeo.

ALESSANDRA REPOSATI Psicologa e docente ai corsi di Psicologia Alimenta-re e tecniche di gestione del peso corporeo. Dal 1994 mi occupo di dipendenze, in particolare di dipendenza dal cibo. Sono socia della S.P.I.C.A.P. (Società Professionisti Italiani del Com-portamento Alimentare e Peso Corporeo) e svolgo attività libero professionale a Roma. Da gennaio 2014 partecipo alle attività dell’Ordine degli Psicologi del Lazio come componente del Gruppo di lavoro Psicologia e Alimentazione.

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Introduzione

Questo e-book nasce dal lavoro quotidiano delle autrici: aiutare persone che hanno problemi con il “cibo” a raggiungere gli obiettivi di una sana alimentazio-ne, adeguata alle loro necessità.

Persone, quindi, che devono seguire una dieta per ridurre i chili di troppo. Per-sone che hanno seri problemi di salute (diabete di tipo 2, celiachia, obesità), alle quali sono state prescritte delle diete che non riescono a seguire, se non per bre-ve tempo. Oppure persone che decidono di sottoporsi a un intervento chirurgi-co per ridurre il peso in eccesso e che, prima dell’intervento devono prepararsi a una nuova alimentazione. In tutti questi casi, il comun denominatore è: non riuscire a seguire il regime dietetico prescritto.

SE IL VOSTRO PROBLEMA È PERDERE PESO o, SE SIETE IMPEGNATI A SE-GUIRE UNA DIETA, necessaria a ristabilire dei parametri salutari,

SAPETE QUANTO SIA DIFFICILE FARLO.

Conoscete il “senso di colpa” che si prova quando non si riesce a perdere peso e la sensazione di fragilità e debolezza personale di fronte al cibo, il senso di fal-limento che si avverte quando non si riesce a seguire il regime alimentare pre-scritto dallo specialista.

Questa esperienza, comune a molti, è in parte legata alle caratteristiche della dieta stessa e in parte collegata a meccanismi psicologici che si attivano nel mo-mento in cui ci sentiamo “deprivati”. Seguire un regime alimentare dietetico può avere, sul piano psicologico, delle conseguenze: irritabilità, ansia, disturbi del sonno, stati d’animo depressivi nonché frustrazione e sensi di colpa derivanti dal non raggiungimento degli obiettivi.

Gli psicologi conoscono questi meccanismi e si impegnano, ogni giorno, per aiu-tare le persone a fronteggiare in modo più funzionale le difficoltà incontrate. Generalmente associata all’area dei Disturbi del Comportamento Alimentare come Bulimia, Anoressia, disturbo da Abbuffata compulsiva etc. (che in questo libro non verranno trattati), la figura dello Psicologo interviene anche nel tratta-mento e prevenzione delle patologie croniche, attraverso azioni di educazione, sostegno e utilizzo di strategie e tecniche per migliorare la qualità della vita.

Il comportamento alimentare, nei suoi aspetti bio-psico-sociali, può presenta-re problematiche non soltanto di tipo medico ma anche relazionali, psicologiche e sociali e non risolvibili con una semplice prescrizione dietetica. Mangiare non è semplicemente un atto necessario: il cibo veicola relazioni, significati, emozio-ni che non possono essere ricondotte semplicemente ad uno schema alimen-

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tare standard.

Diverse sono le figure che devono essere coinvolte nell’intervento rivolto alla persona con problemi di comportamento alimentare, diversi sono i modelli di trattamento, diversi i problemi presentati.

Uguali, invece, sono le conseguenze “pericolose” che abitudini alimentari er-rate hanno sulla salute e sul peso. Per questo è importante approfondire l’ar-gomento e diffondere le conoscenze fino ad oggi raggiunte che informano sui meccanismi della dieta, sulle conseguenze della dieta, sulle interferenze che le emozioni hanno sulla nostra alimentazione.

Da queste premesse nasce questo e-book: far conoscere il campo d’azione del-lo psicologo e dei possibili modi in cui, a partire dall’individuo e non dalla malat-tia, è possibile intervenire per offrire i percorsi migliori di trattamento. Ecco di cosa ci occuperemo.

Nel capitolo 1 illustreremo le “trappole” delle diete, le ragioni per le quali non funzionano (a lungo termine) e i possibili ostacoli che si presentano quando decidiamo di seguire un regime dietetico.

Nel capitolo 2 parleremo delle emozioni e del loro ruolo nell’emotional eating, quello che da ora chiameremo anche “mangiare emotivo”.

Con il capitolo 3 conoscerete la differenza tra la “fame biologica” e “fame emotiva”. Un breve questionario potrà aiutarvi a capire se siete dei “mangia-tori emotivi”.

Nel capitolo 4 potrete esercitarvi con il DIARIO ALIMENTARE (o automonito-raggio), uno strumento, tra i tanti messi a disposizione dagli psicologi, che potrà facilitarvi nel capire cosa sbagliate, cosa vi guida quando mangiate la cioccola-ta, anche se non volete, o vi fa finire la pizza del giorno prima, anche se ormai “molliccia e senza gusto”.

Infine, nel capitolo 5, vi daremo delle alternative di “coping”, (strategie per af-frontare la situazione problematica) suggerendo delle modalità nuove con le quali poter sostituire strategie fino ad ora non efficaci.

NON DIMENTICATE L’APPENDICE!

In questa parte troverete una serie di piccoli “suggerimenti” per regolare l’in-troito calorico senza fatica e CONSAPEVOLMENTE.

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Capitolo 1 “Dieta e dintorni” 1° PASSO CAPIRE CHE NON E’ COLPA VOSTRA

“La follia sta nel fare sempre la stessa cosa aspettandosi risultati diversi”A. Einstein

1.1 Il mondo delle diete

L’“Industria delle diete” vuole suggerirci l’idea che perdere peso sia facile. Per farlo, però, dobbiamo prendere queste pillole o mangiare quel prodotto; il tut-to condito con “una dieta moderatamente ipocalorica unita ad attività fisica”.

OGNI ANNO SI SPENDONO MILIONI E MILIONI DI EURO NELL’ACQUISTO DI PRODOTTI PER PERDERE PESO EPPURE SIAMO ANCORA IN SOVRAP-

PESO.

Negli anni i suggerimenti aumentano, così come aumentano le figure che si oc-cupano del problema e gli strumenti con i quali affrontarlo.

Sul primo punto, i professionisti, è importante distinguere tra:

• Professionisti della salute riconosciuti: dietisti, dietologi, diabetologi, psi-cologi e nutrizionisti. Troviamo spesso, tra questi ultimi, i biologi. Si tratta di figure preparate ad affrontare il problema del peso e della salute delle persone attraverso un percorso di studi molto lungo. A seguito di un’attenta valutazione dell’individuo, procedono con la prescrizione di regimi dietetici capaci di modificare i parametri alterati.

• Professionisti non ben specificati: Counsellor e educatori alimentari, coach

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alimentari, fino ad arrivare a “consulenti nutrizionali universali”. Dietro que-sti titoli possono nascondersi “non professionisti”.

Generalmente l’obiettivo d’intervento di queste figure è prevalentemente di apportare delle modifiche al comportamento alimentare “scorretto o inade-guato” attraverso la prescrizione di un comportamento alimentare alternativo (la dieta).

L’obiettivo d’intervento dello Psicologo che lavora nell’area che qui ci interes-sa, al contrario, è di offrire un aiuto e supporto alla dieta. Si serve di tecniche che aiutano a gestire i comportamenti alimentari problematici attraverso il controllo di quelle emozioni e quei pensieri che ci spingono a mangiare incon-sapevolmente.

Semplificando, quando parliamo di “dieta”, ci riferiamo a programmi alimentari che comportano una regolazione della quantità di calorie introdotta. In questo caso parliamo di “dieta dimagrante” (o dieta ipocalorica).

Dietro questo concetto l’idea di dieta che può essere rappresentata così:

MENO CIBO O MENO CALORIE = MENO PESO.

Negli ultimi anni, al regime di dieta, è stato aggiunto il concetto di dispendio energetico. Pochi semplici concetti:

MANGIA MEGLIO, MANGIA MENO, MUOVITI DI PIÙ

Non tutte le diete, però, sono “dimagranti”. Per “dieta” s’intende, infatti, un re-gime alimentare il cui obiettivo può anche essere diverso dalla perdita di peso (come accade nel diabete, nella celiachia, o per la preparazione a un esame dia-gnostico particolare).Nei casi in cui il regime alimentare “corretto” debba essere seguito per lungo tempo, come nel caso del trattamento dell’obesità e del sovrappeso, o nelle patologie croniche, il problema diventa complesso, nonostante la proposta di “cura” sembri facile. Bastano poche piccole modifiche e il risultato è proprio lì, dietro l’angolo. Sappiamo bene che non è così.

E’ DA ANNI CHE IL NUMERO DELLE PERSONE IN SOVRAPPESO E OBESE AUMENTA, PERCHÉ LO STUMENTO “DIETA”, DA SOLO, NON E’ SUFFICIEN-TE AD APPORTARE DELLE MODIFICHE “PERMANENTI” ALLO STILE ALI-

MENTARE DEL PAZIENTE.

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Il nostro rapporto con il cibo si costruisce nel tempo. E’ determinato da fattori biologici (la fame). E’ conseguenza delle abitudini alimentari che abbiamo ac-quisito nell’infanzia. E’ condizionato da una serie di stimoli ambientali, sociali e familiari e, inoltre, influenzato dalle nostre emozioni. Tutte queste variabili, pertanto, rendono complesso un problema che sembrerebbe di facile risoluzione.Pertanto, la complessità del fenomeno osservato, con caratteristiche multifat-toriali, necessita di un intervento multidisciplinare poiché la componente “cibo” non può essere disgiunta dai significati che il cibo stesso ha per l’individuo.

1.2 La sindrome dello yo-yo: la Ripresa dei chili perduti

MANGIARE È UNA NECESSITÀ. MANGIARE È ANCHE UN PIACERE.

Avviene molte volte al giorno e il cibo è spesso associato a delle attività sociali. Mettere cibo nello stomaco ci fa sentire meglio. Resistere allo stato di benes-sere immediato che ci viene dal cibo, è difficile. Anche quando siamo stati bravi, forti e capaci a non cedere alle tentazioni, (camminando veloci davanti alla ro-sticceria per non lasciarci “ammaliare” dall’odore della pizza appena sfornata), anche quando siamo stati a dieta per settimane e raggiunto l’obiettivo, quello che stranamente è capitato è che abbiamo ripreso i kg perduti.

“Com’è possibile? Tanto impegno per ottenere il risultato e invece...si ricomincia daccapo”

E’ una sensazione terribile e pensiamo che a nulla sia servito faticare per giorni e giorni. Ebbene, quello di cui stiamo parlando è il perverso rovescio della medaglia del-le diete, quel fenomeno conosciuto come la “sindrome dello Yo-Yo”. E’ quello che capita a molte delle persone che si sottopongono a diete “restrit-tive”, quelle diete che limitano le calorie e di conseguenza gli alimenti, sia nella qualità sia nella quantità.In poche parole la sindrome dello yo-yo è determinata da una serie di ragioni che possiamo dividere, per semplicità, in due categorie: biologiche e psicologi-che.

Cause BiologicheCIRCA IL 95% DELLE PERSONE CHE PERDE PESO LO RIACQUISTA ENTRO 12 MESI.A volte anche con qualche chilo in più rispetto a quello che aveva in parten-za. Questo fenomeno è perlopiù presente quando si seguono diete fortemente ipocaloriche e sbilanciate nella composizione dei nutrienti (spesso iperprotei-che, nelle quali sono previste grandi limitazioni di alimenti quali pasta e pane).

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La rapida perdita di peso comporta la perdita delle proteine della massa musco-lare e dell’acqua, che è nel muscolo, MA NON DEL GRASSO. Una volta tornati alle abitudini alimentari iniziali si tende inesorabilmente a recuperare il peso sotto forma di grasso.

Il problema non è solo il recupero del peso. Tende a cambiare la composizio-ne corporea: aumenta il grasso, diminuisce la massa magra che è responsabile dell’attività metabolica, attività che ci consente di utilizzare le calorie introdot-te. Immaginate di guidare un’automobile il cui consumo di carburante dipende dal-la cilindrata: più è alta, più consuma. Se riportiamo l’esempio al nostro corpo il valore della cilindrata dipende dalla quantità di massa muscolare: più è alta più consuma (anche a riposo). Aumentare la massa grassa, in sostituzione di quella magra (conseguenza delle diete molto restrittive), non fa altro che causare un RALLENTAMENTO DEL METABOLISMO e questo spiega perché sia così diffi-cile, per molte persone, perdere peso anche quando seguono una dieta.

A questo, si aggiunge un altro meccanismo che concorre a farci recuperare il peso: il nostro corpo reagisce alla riduzione della mancanza di energia (e quindi di cibo) difendendosi in vari modi. Ad esempio abbassando, come già detto, il metabolismo e facendoci ridurre l’attività fisica. Si è proprio così: meno ener-gia arriva più il corpo entra nella modalità “risparmio energetico”.

Uno degli elementi considerati fondamentali per la perdita del peso come l’attività fisica tende spontaneamente a ridursi quando siamo a dieta.Ciò significa che, quando seguiamo una dieta restrittiva per lungo tempo il no-stro corpo si difende e reagisce contro la nostra volontà.

Cause Psicologiche Gli esperti sostengono che la “sindrome dello yo-yo” ha implicazioni ben più vaste del circolo vizioso “perdi e prendi peso”.La dieta ha anche degli effetti psicologici che possono controbilanciare gli ef-fetti positivi della perdita del peso corporeo. Spieghiamo meglio. Quando siamo a dieta, proviamo una sensazione di euforia nelle prime settima-ne, ma poi tutto cambia. Nei casi in cui riusciamo ad andare avanti e ad avere in cambio chili in meno, o miglioramenti sul piano della salute, ecco che soprag-giunge un altro nemico: la depressione. Non si tratta della Depressione Endo-gena, quella che ha radici profonde, ma di quella depressione che noi psicolo-gi chiamiamo reattiva, quella tristezza che avvertiamo quando capita qualche cosa di spiacevole nella nostra vita.

Perdita di entusiasmo, apatia, ritiro dalle situazioni sociali, senso di impotenza, diminuzione della stima e fiducia in se stessi (per non essere in grado di seguire la dieta fino in fondo o nei minimi particolari), sono tra le conseguenze psicolo-

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giche più comunemente sperimentate durante il corso di una dieta (soprattut-to se prolungata). Meno conosciute sono le conseguenze sul modo di pensare, quello che secondo la psicologia cognitiva è definito “pensiero irrazionale”.

“Sono senza speranza”, “è il mio destino quello di non guarire”, “Non riuscirò mai a controllare il cibo e il peso”, “Appena finisco la dieta mangerò…”

Sono pensieri irrazionali perché privi di validità, perché abbiamo detto esse-re causati non dalla persona, ma dalla risposta biologica spontanea del nostro corpo a un regime restrittivo prolungato nel tempo.L’andamento altalenante, appunto lo Yo-Yo, non riguarda solo il peso ma coin-volge anche le emozioni. Rinunciare per settimane, mesi e anche anni ai cibi desiderati, per poi comincia-re nuovamente ad ingrassare. Rinunciare per molto tempo ai cibi “non consen-titi” (come nel caso della celiachia) o “limitare” l’introduzione di alcuni alimenti, per controllare il colesterolo o la glicemia, è complicato. Il pensiero della priva-zione è sempre presente e spesso si associa a un fenomeno, studiato in psico-logia, definito “restrizione-disinibizione”, un meccanismo che ci porta a provare un desiderio irrefrenabile nei confronti del “cibo” del quale ci siamo deprivati e che non dobbiamo mangiare.

Spesso si rinuncia per sempre alla dieta per paura di “fallire di nuovo”, per timore di non essere “bravi abbastanza”. In questi casi è la paura, il primo osta-colo da affrontare!

Quando siamo a dieta, cambia il nostro rapporto con il cibo. Pane, pasta, pizza, non sono più alimenti ma il “nemico da combattere”. Così accade che iniziamo a pensare al cibo continuamente e in questo, puoi ben capire, non c’è nulla di salutare, soprattutto se dobbiamo mangiare “meno e meglio”.

LA NOSTRA CAPACITÀ DI DISTINGUERE TRA FAME E SAZIETÀ DIMINUI-SCE.

Capire se si è sazi o ancora affamati diviene difficile ma, soprattutto, inutile poi-ché dobbiamo seguire lo schema che ci è stato dato.

Quando siamo a dieta, dobbiamo mangiare quello che ci dicono, quando ci dicono di farlo e in quantità stabilite.Ora hai capito che non è solo colpa tua. Non è solo questione di volontà.

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Capitolo 2 “Bisogni alimentari e Bisogni emotivi” 2° PASSO CONOSCERE GLI “EMOTIONAL EATING”

“Mangiare è una necessità. Mangiare intelligentemente è un’arte.”Francois de la Rocheloucauld

2.1 Perché mangiamo?

La psicologia, come scienza del comportamento, non interviene direttamente sui meccanismi della “nutrizione” (calorie, nutrienti, bilancio energetico) ma si occupa di comprendere quali siano i fattori (automatici o motivati) che rendono difficile l’adesione a un regime dietetico salutare e necessario. Come psicologi interveniamo per aiutare le persone in difficoltà e, con l’aiuto di strumenti per “gestire le emozioni”, facilitiamo il processo di comprensione dei meccanismi che ostacolano le persone nel raggiungimento dei loro obiettivi.

Nella situazione che qui è di nostro interesse, cerchiamo di capire cosa spinge le persone a fare quello che non vogliono fare: mangiare anche quando non vogliono, quando non devono, anche quando non hanno fame.

Come psicologi, cerchiamo di capire cosa c’é dietro il comportamento delle persone, le loro motivazioni, i loro obiettivi e, in questo caso, il nostro lavoro è capire perché le persone mangiano anche quando non vogliono, anche quan-do dovrebbero evitare di farlo per problemi di salute.

Nell’area del comportamento alimentare ciò che accade è che non sempre i bi-sogni alimentari coincidono con i bisogni di natura emotiva.

Per rimanere in vita, il nostro corpo “utilizza delle calorie” (quelle che introdu-ciamo con gli alimenti). Si chiama metabolismo basale ed è il consumo energe-tico di base che il nostro corpo utilizza per rimanere “vivo”. Non lo controlliamo e non dipende dalla nostra volontà.

Quello che dipende dalla nostra volontà è la scelta dei cibi, la quantità, la vo-lontà di impegnarci nell’attività fisica. Questo possiamo controllarlo.

Se noi utilizziamo più calorie di quante ne mangiamo o se rinunciamo alle calo-rie ingerite allora potremo ottenere dei risultati di riduzione del peso, nel tem-po. Se limitiamo gli alimenti dannosi per la nostra salute, come per la celiachia, il diabete, l’ipercolesterolemia, avremo una migliore gestione della malattia.

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SE È COSÌ SEMPLICE PERCHÉ, IN PRATICA, È COSÌ DIFFICILE FARLO?

Molti fattori influiscono sul nostro peso e sulla nostra alimentazione. Se ap-partenete alla categoria dei “dieter” (persone che hanno fatto molte diete) conoscete il concetto di calorie, di metabolismo e tanto altro. Conoscete an-che l’importanza dell’attività fisica, ma non è solo trovando del tempo per fare esercizio fisico o scegliendo l’insalata al posto del cheeseburger - sicuramente lodevole e salutare decisione - che la vostra situazione cambierà.

I professionisti in campo alimentare indicano quattro elementi da considerare per cambiare il proprio stile alimentare:1. Scelta dei cibi2. Conoscenza dei cibi3. Condimenti utilizzati e sistemi di cottura4. Quantità dei cibi ingeritiNoi vogliamo aggiungere il punto 5: “Consapevolezza”.

I primi quattro punti si riferiscono al “COME mangi, COSA mangi e QUANTO mangi”. Troppo spesso, però, si trascura il fattore della CONSAPEVOLEZZA (PERCHè e QUANDO mangi).La comprensione dell’ultimo fattore potrà trasformare l’efficacia di una dieta (a breve termine) nel cambiamento duraturo delle abitudini, ossia cambiare lo stile di vita.Avere uno stile di vita salutare non significa cambiare tutta la propria vita ma fare dei piccoli e progressivi cambiamenti che si stabilizzano nel tempo.

2.2 Cibo ed emozioni.

Il cibo, da sempre, è un nostro interesse. Mangiamo per fame, mangiamo alle feste. Digiuniamo per onorare un precetto religioso. Festeggiamo con il cibo i nostri compleanni. Offriamo del cibo ai nostri ospiti.

E’ chiaro che noi associamo al cibo eventi sociali ed emotivi che nulla hanno a che fare con la fame. Che dire poi dei “comfort food”?

Questi sono cibi che ci aiutano a gestire delle situazioni difficili. Cibi che ci consolano. Cibi che ci ricordano bei momenti del nostro passato e ci aiutano ad affrontare un presente difficile.Capita, così, di mangiare senza essere realmente affamati. Immaginiamo que-sto comportamento ripetuto nel tempo. Immaginiamo che possa accadere più volte al giorno. Che cosa accade se mangiamo senza fame?

Prima di continuare è importante capire che cosa è la fame.

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LA FAME È LA SENSAZIONE CHE SI PROVA QUANDO UNA SERIE DI SE-GNALI,

PROVENIENTI DAL NOSTRO CORPO, CI INFORMANO DEL FATTO CHE SIAMO A “CORTO DI CARBURANTE” (L’ENERGIA).

Se mangiamo senza fame, ingrassiamo!

La maggior parte delle persone che ha problemi di eccesso di peso corporeo mangia senza avere fame.È importante fare una distinzione tra mangiare per necessità, cioè per defi-cit calorico e per fabbisogno naturale, e mangiare per spinta emotiva, ossia in base a stati d’animo che, negli anni, abbiamo imparato ad abbinare al cibo, ma che non hanno niente a che fare con un bisogno biologico.

Generalmente non ci chiediamo perché respiriamo o come regolare la nostra frequenza cardiaca. Sono comportamenti automatici.Mangiare e bere invece, sono in parte, atti volontari.

Quando beviamo acqua non pensiamo di risolvere conflitti interni, ridurre lo stress, ma solo che il nostro corpo è disidratato e ha la necessità di introdurre liquidi. Quando pensiamo al cibo, invece, partiamo dal presupposto che man-giare sia un atto totalmente volontario e, come tale, completamente consape-vole.

SAPPIAMO CON CERTEZZA CHE LE NOSTRE ABITUDINI ALIMENTARI SONO INFLUENZATE DALLE EMOZIONI.

Diversi studi scientifici hanno evidenziato che, nell’arco delle 24 ore, sperimen-tiamo più di 41 emozioni che vanno dalla gioia, alla frustrazione, noia, ansia etc. Non ci sorprende, quindi, sapere che alcune emozioni influenzano la nostra ali-mentazione. Così, possiamo trovare: I “mangiatori emotivi” che sanno di esserlo e lo dicono, pensano che sarà trop-po difficile risolvere la situazione e allora continuano a fare quello che non de-vono fare: mangiare per “distrarsi” dalle emozioni che provano. Vivono nel circolo vizioso del provare a controllare ciò che mangiano e, se non ci riescono, si deprimono perché non vedono risultati sulla bilancia. Nella mi-gliore delle ipotesi, ricominciano una nuova dieta oppure decidono di “lasciarsi andare al cibo”.

I “mangiatori emotivi” che, invece, non sanno di esserlo, sono spesso in misura maggiore e pensano che dietro ai loro insuccessi ci sia qualche problema che ostacola la perdita del peso. Hanno una serie di credenze e tra le più diffuse ritroviamo:

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• La convinzione di avere un “metabolismo lento”.• La certezza di essere vittima di “un problema ormonale”.• La speranza di avere “la tiroide addormentata”.

Dietro queste credenze si nasconde un desiderio: che una pillola, un farmaco, un intervento chirurgico risolverà il problema. Un atteggiamento deresponsa-bilizzante ma anche una mancanza di consapevolezza.

IL NOSTRO PESO CORPOREO AUMENTA PERCHÉ SI MANGIA TROPPO, CIOÈ SI INGERISCONO PIÙ CALORIE DI QUELLE CHE SI BRUCIANO!

Muovendoci utilizziamo calorie. Questo è il motivo per cui l’esercizio fisico è importante per la perdita di peso così e apportare altri benefici salutari (nel caso del diabete, ad esempio, aiuta la regolazione dell’insulina).

UN’ORA DI ESERCIZIO INTENSO PUÒ FARCI CONSUMARE CIRCA 400-500 CALORIE.

Dall’altro lato, è facile mangiare centinaia o migliaia di calorie in pochi minuti anche senza rendercene conto.

A questo errore ne aggiungiamo un altro: pensiamo in “grande”, ritenendo fon-damentale, per esempio, dover percorrere chilometri di corsa o sottoporci a massacranti sedute di fitness in palestra. Allo stesso modo si pensa di dover fare delle rinunce enormi rispetto al cibo per ottenere dei “miracoli” sulla bi-lancia. Questa prospettiva “in grande” non è vincente anzi, fa sperimentare solo insuccessi.

Ci sono altri motivi che concorrono al nostro aumento di peso. Dal nostro pun-to di vista ci si deve occupare di quelle situazioni in cui non ci si rende conto di mangiare in eccesso e delle ragioni per le quali si tende a farlo.

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Capitolo 3 “L’importanza della consapevolezza nel comportamento alimentare” 3° PASSO - CAPIRE SE SEI UN “MANGIATORE EMOTIVO”

3.1. Come distinguere tra Fame fisica e Fame emotiva

Una certezza: non sempre mangiamo per soddisfare la fame. Ci capita, inve-ce, di rivolgerci al cibo per ottenere conforto (“comfort food”), per ridurre lo stress o per trovare sollievo alla noia, all’ansia, alla rabbia. In generale, il cibo rappresenta una fonte di benessere. Buono, disponibile in ogni momento, facile da ottenere, non particolarmente dannoso.

NON C’È MIGLIORE SOLUZIONE DEL CIBO QUANDO VOGLIAMO “COMPENSARE” DELLE EMOZIONI NEGATIVE.

Questo comportamento viene definito “emotional eating” (mangiare emoti-vo) ed è un comportamento alimentare nel quale il cibo è utilizzato allo scopo di farci sentire meglio; mangiare per riempire dei “vuoti” emotivi, piuttosto che per riempire lo stomaco. Spesso avviene senza la nostra consapevolezza e in modo automatico.

SFORTUNATAMENTE “L’EMOTIONAL EATING” NON RISOLVE I NOSTRI PROBLEMI EMOTIVI, ANZI, SOLITAMENTE LI PEGGIORA.

Non solo l’emozione negativa rimane ma, a questa, si somma il senso di colpa per aver mangiato “troppo” o per aver mangiato cose non necessarie o addirit-tura, dannose. Imparare a riconoscere l’emozione che scatena il comportamento di emotio-nal eating è il primo passo per gestire questa dipendenza dal cibo e cambiare le abitudini che hanno sabotato le vostre diete nel passato.

Sia chiaro: utilizzare il cibo, saltuariamente, per sentirvi meglio, non è di per sè una cosa sbagliata. Quando, però, avviene spesso e ogni volta che si è arrab-biati, stanchi, delusi il primo impulso è aprire il frigorifero, allora e’ necessario comprendere le ragioni di questo comportamento e porvi rimedio.

Le ricerche hanno dimostrato che le persone obese tendono a mangiare per controllare le emozioni negative. Più aumentano di peso e più questo compor-tamento aumenta. Inoltre, in molti casi, il cibo è utilizzato quando la persona non sa bene definire

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il sentimento negativo che sente. In altre parole, si mangia quando l’emozione negativa non è “etichettata”.

MANGIARE PUÒ FORSE FARVI SENTIRE MEGLIO SUL MOMENTO MA, SUBITO DOPO, RICOMPARE IL SENTIMENTO NEGATIVO CHE CERCAVA-

TE DI ALLONTANARE.

Le emozioni di rabbia, solitudine, ansia, che hanno dato lo stimolo a ricercare il cibo, sono ancora lì E si aggiunge un altro problema: le calorie non necessarie fanno salire l’ago della bilancia e gli alimenti dannosi creano un peggioramento dei parametri di salute.

Per prima cosa, allora, è importante comprendere la motivazione che spinge a mangiare: emozioni o necessità di cibo? A questo punto è necessario distinguere tra Fame fisica e Fame emotiva.

COSA È LA FAME FISICA?

È il segnale che interviene per avvertirci che l’organismo (cervello, muscoli, or-gani interni) sta finendo il carburante (ricordate la metafora dell’automobile?). Se non vogliamo concludere la gita con la macchina ferma in mezzo alla strada, dobbiamo provvedere a trovare una pompa di benzina e ……..MANGIARE!La Fame Fisica interviene quando nel corpo c’è un deficit di energia ed è quindi un segnale che richiede di introdurre carboidrati, grassi e proteine, al fine di andare incontro a tale necessità.

COSA È LA FAME EMOTIVA?

La Fame Emotiva, al contrario, è un tipo di fame che arriva quando situazioni o processi di pensiero fanno venire la “voglia di cibo” e non per un reale deficit di energia.

Avviene cosi’ che quando mangiamo per Fame Emotiva mangiamo inconsape-volmente, perché non ci rendiamo conto che ciò di cui abbiamo bisogno non è il cibo ma altro.

La Fame Emotiva può manifestarsi con elevate intensità ed è per questo che è facile sbagliarsi e confonderla con la Fame Fisica. Qui di seguito le principali differenze:• La fame emotiva arriva improvvisamente. In pochi istanti sentiamo di do-

ver mangiare. E dobbiamo farlo subito! Anche se abbiamo mangiato poco tempo prima, sentiamo l’urgenza di mangiare di nuovo.

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• La fame emotiva richiede particolari alimenti o “comfort foods”. A diffe-renza della fame fisica, in cui qualsiasi cibo (anche carote, frutta, un pezzo di pane semplice) può soddisfare l’impulso, nella fame emotiva siamo attratti da cibi ricchi di grassi o zucchero. Sentiamo di aver bisogno di cioccolata o pizza, e nient’altro può soddisfarci.

• La fame emotiva si associa a un “mangiare inconsapevolmente”. Prima che possiate rendervene conto, avrete finito la busta delle patatine o il pacchet-to di biscotti. Il più delle volte si è disattenti e di conseguenza il cibo non è assaporato ma “buttato dentro”.

• Spesso, la fame emotiva rimane anche dopo aver mangiato e anche quan-do il senso di pienezza è stato raggiunto. Lo stomaco dice basta ma la testa ci spinge a continuare oltre il senso di sazietà.

• La fame emotiva si avverte nella “testa”. Niente vuoto o brontolii nello sto-maco. Pensiamo a un alimento, al suo sapore, al suo odore e lo dobbiamo avere.

• Soddisfare la fame emotiva ci fa sentire in colpa e spesso, dopo averlo fat-to, proviamo sentimenti di vergogna. Questo avviene perché, in qualche modo, una parte di noi è consapevole di aver mangiato per motivi diversi dalla necessità biologica. Sappiamo che non era il nostro corpo ad averne bisogno e sappiamo anche che non avremmo dovuto farlo ma…

PER UNA MIGLIORE GESTIONE DELL’ALIMENTAZIONE È UTILE TENERE PRESENTE LA TABELLA CHE SEGUE.

FAME EMOTIVA vs FAME FISICA

La Fame Emotiva arriva all’improvviso. La Fame Fisica arriva gradualmente.

La Fame Emotiva richiede una soddisfa-zione immediata.

La Fame Fisica può aspettare.

La Fame Emotiva richiede particolari cibi definiti “comfort foods”.

La Fame Fisica può essere soddisfatta da molte tipologie di alimenti.

La Fame Emotiva non si soddisfa anche quando ci si sente fisicamente “pieni”.

La Fame Fisica si esaurisce quando si avverte una sensazione di pienezza allo stomaco.

La Fame Emotiva si avverte dal “collo in su”.

La Fame Fisica ci colpisce dal “collo in giù”.

Quando mangiamo per Fame Emotiva, compaiono spesso colpa, vergogna, e sen-sazioni di sconfitta.

Quando mangiamo per Fame Fisica, non compaiono sentimenti di colpa o vergo-gna.

3.2 Capire se siete “mangiatori emotivi”

Abbiamo detto che la fame emotiva può spingervi a mangiare a seguito di par-ticolari emozioni o pensieri o situazioni.

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Se siete dei “mangiatori emotivi” e mangiate continuamente carote, sedano, frutta e altri alimenti del genere, la cosa peggiore che potrà accadere sarà di “incanalarvi” verso un’alimentazione sempre più salutare. Purtroppo, però, sappiamo che i cibi che vi attraggono non sono questi. Cioccolata, biscotti, pa-tatine, merendine, e tanto altro sono i cibi che andrete a cercare quando l’emo-zione si farà sentire.Se siete dei “mangiatori emotivi” e mangiate sotto lo stimolo di emozioni come tristezza, ansia, rabbia, solitudine sarete ben presto, se già non lo siete, in so-vrappeso. Se siete diabetici e mangiate sotto l’influenza delle emozioni, il vostro stato di salute potrebbe peggiorare in breve tempo. Allo stesso modo, se siete celiaci, ipertesi, cardiopatici e dovete seguire un regime alimentare “sano”, è importante che capiate quali sono gli stati emotivi che attivano il processo per imparare a gestire queste emozioni e sviluppare un piano di azione alternativo.

IL MANGIATORE EMOTIVO MANGIA SPESSO IN MODO IRRAZIONALE, AUTOMATICO E INCONSAPEVOLE.

Prima che possa rendersi conto di quello che sta facendo, si ritrova con un pez-zo di cioccolata o una manciata di patatine in bocca. Se vi riconoscete tra questi ecco alcune strategie che vi aiuteranno a dare uno STOP a questo mangiare automatico.• Quando arriva l’impulso di mangiare può essere utile fermarsi per 2/5 mi-

nuti di orologio. Questo potrà aiutarvi a fare altre scelte e prendere decisio-ni diverse. Rompere l’automatismo, e non pensare continuamente di “non poter resistere”.

• Nell’attesa, invece di pensare al cibo, è utile porre l’attenzione su se stessi, guardarsi dentro e provare a capire se c’è qualche emozione dietro il desi-derio di mangiare. Se poi, conclusa l’attesa, finirete comunque per mangiare, non preoccupatevi. Avrete fatto allenamento e sarà utile, la prossima, volta a trovare delle risposte diverse.

Molti pensano che scoprire di avere delle emozioni negative e soffermarsi su queste sensazioni possa essere pericoloso, come aprire il vaso di Pandora: una volta aperto non sarà più possibile chiuderlo. Niente di più falso. La verità è che, quando si é travolti da un’emozione, diventa più facile cambiarla e controllarla, se la conosciamo. Una volta avuta maggior chiarezza, si potrà scegliere di af-frontare la situazione in modo diverso dal solito.

MANGIARE NON RISOLVE I PROBLEMI, ANZI LI AUMENTA.La strategia migliore diviene, quindi, quella di identificare il problema sotto-stante, per non mangiare!Di seguito, un breve questionario: permette di capire meglio il proprio stile ali-mentare. Se il punteggio di risposta alle domande supera 5…… Niente paura!Nel prossimo capitolo cercheremo di aiutarvi a ridurre questo comportamen-to!

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SEI UN MANGIATORE/TRICE “EMOTIVO”?

• Sei un mangiatore/trice “emotivo”?• Mi capita di mangiare di più quando sono stressato/a• Mi capita di mangiare anche quando non sono affamato/a• Non riesco a smettere di mangiare anche quando mi sento “pieno/a”• Mangiare mi aiuta a sentirmi meglio quando sono nervoso/a• Se sono triste, arrabbiato/a, annoiato/a, ansioso/a mangiare mi fa sentire me-

glio• Quando ho avuto una giornata “faticosa”, mi capita spesso di utilizzare il cibo

come premio/ricompensa al mio impegno• Il cibo per me è un amico che mi conforta nei momenti difficili• Spesso mi capita di pensare di non avere “controllo” sul cibo• Spesso mi sento in colpa e/o mi vergogno dopo aver mangiato• Quando sono sotto “stress”, cerco cibi particolarmente dolci o grassi (caramel-

le, merendine)• Mi piace mangiare e, quello che mangio, lo mangio con gusto!

RISULTATO

Da 0-2 SEI UN “MANGIATORE CONSAPEVOLE”. Qualche volta ti capita di mangia-re sotto la spinta delle emozioni. Capita a tutti! Il cibo ci aiuta, talvolta, a consolarci, ad aiutarci nei momenti difficili. Non lasci, però, al cibo la risoluzione di tutti i tuoi problemi. Hai le risorse per affrontare i tuoi momenti “difficili” in modi diversi e, sicu-ramente, più efficaci. Molto probabilmente tu non hai problemi di peso corporeo, ma se ritieni di averne, questo dipende dal rapporto che hai con il cibo o con il tuo corpo. Potresti non essere soddisfatto/a del tuo aspetto fisico ma questo non dipende dall’a-

go della bilancia (o dal numero se è elettronica).

Da 3-5 SEI UN MANGIATORE “CONFUSO” Ricorri al cibo più spesso di quanto vor-resti. Sai che il cibo non è la soluzione ai tuoi problemi ma fatichi a “controllarti”. Ma-gari il tuo peso corporeo è “ancora” accettabile e nella norma; oppure il tuo peso ten-de a oscillare. Potresti ricorrere, per brevi periodi, alla dieta e, in quei giorni, importi di evitare di mangiare i “comfort food”. Rischi di scivolare nel gruppo dei “mangiatori

emotivi”.

Da 6 in su SEI UN “MANGIATORE EMOTIVO”. Non riesci a controllare le tue emo-zioni negative se non ricorrendo al cibo. Anche quando sei felice, ti piace premiarti con alimenti “proibiti”. Mangiare è un pensiero costante e prioritario. Sei preoccupa-to/a per il tuo peso corporeo e per la tua salute. Ti senti senza volontà e sconfitto/a. Ti ripeti che da domani sarai a dieta ma ti ritrovi, puntualmente a interromperla perché non riesci a gestire le tue emozioni. Oppure ti riprometti di rivedere le tue abitudini alimentari ma senti che non sei capace. Hai sicuramente bisogno di essere aiutato.

Nel prossimo capitolo troverai indicazioni utili per gestire meglio la situazione.

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Capitolo 4 “Strategie di coping per la modifica dello Stile Alimentare” 4° PASSO - CONOSCERE Il TUO “PILOTA EMOTIVO”

“Fai attenzione a come pensi e a come parli, perchè può trasformarsi nella profezia della tua vita”

Francesco D’Assisi

4.1 Il “PILOTA EMOTIVO”: Come, quando, cosa, chi?

E’ chiaro, ormai, che mangiamo per molte ragioni differenti. Inoltre, spesso dobbiamo far fronte a eventi e situazioni che mettono a dura prova la nostra capacità di adattamento, e interrompono, in alcuni casi, la no-stra routine quotidiana. Non essere in grado di gestire efficacemente questi momenti, significa rischia-re rilevanti ripercussioni sul nostro benessere psico-fisico. In questo senso, le domande sono chiare:

• Come gestire questi eventi stressanti?

• Quali sono i fattori e i processi che entrano in gioco in situazioni del genere?

• Perché ci serviamo del cibo per fronteggiare queste situazioni difficili?

• Quale situazione, luogo, persona, emozione, ci spinge a cercare il “comfort food” per ottenere sollievo e ridurre l’emozione negativa ?

Dobbiamo sapere che, il mangiare automatico, può anche essere condizionato da emozioni positive (un festeggiamento, uno stato di rilassamento, un evento felice, un premio per essere stato in grado di raggiungere un obiettivo). Di se-guito troverete un elenco di situazioni in cui può verificarsi di mangiare sotto la spinta delle emozioni.

Situazioni comunemente collegate al “mangiare EMOTIVO”

• Abitudini acquisite nell’infanzia – Ritornando ai ricordi del passato è pos-sibile recuperare le abitudini alimentari presenti in famiglia, rintracciare non solo il tipo di alimentazione seguita ma anche situazioni in cui il cibo, ed anche qualche particolare cibo, era utilizzato come premio/ricompensa per alcuni comportamenti (il dolce preparato dalla mamma per tirarci su di morale oppure una particolare pietanza che veniva usata come premio).

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• Condizionamenti sociali o ambientali – C’è cibo ovunque, di tutti i tipi, trop-po! Decine di trasmissioni televisive sono dedicate a questo. Come non su-bire il condizionamento?

Inoltre, mangiare insieme ad altre persone può essere piacevole, ma può anche portarvi a farlo più di quanto vorreste e più di quanto dovreste.

AVERE DEL CIBO A DISPOSIZIONE, SOTTO I NOSTRI OCCHI, PUO’ FARCI MANGIARE DI PIU’ (LA TEORIA DELL’ESTERNALITÀ).

Molti sapori diversi azzerano il senso di sazietà e aumentano la sensazione di fame e si introducono, in questo modo, calorie in eccesso. Infine, può accadere, nonostante ci si senta sazi, che altre persone invitino ad assaggiare questa cosa o quell’altra. Diventa difficile dire di no.Una particolare attenzione deve essere fatta per tutte quelle situazioni nelle quali sperimentiamo delle emozioni negative.

Stress – Ogni volta che vi sentite stressati vi viene fame?

Non è solo un fatto mentale. Quando lo stress diventa cronico si alzano i livelli di un ormone chiamato cortisolo.Il cortisolo “guida” verso scelte di cibi molto calorici (molto dolci e/o molto gras-si) perché la presenza elevata di questa sostanza “comunica” al nostro cervello che ci stiamo preparando ad un super-lavoro.

• Emozioni negative – Mangiare può, temporaneamente, “mettere a tacere” emozioni come rabbia, tristezza, ansia, solitudine. Perché? L’ansia provoca delle contrazioni allo stomaco che possono essere scambiate per fame. La rabbia fa contrarre molti gruppi muscolari, tra i quali, quelli mascellari. Man-giare cibi “croccanti” aiuta a decontrarre quella parte di muscoli che riman-gono irrigiditi. E che dire della tristezza? Senza parlare necessariamente di depressione, questa si associa spesso ad abbassamenti di serotonina, un neurotrasmettitore cerebrale la cui presenza è fondamentale. Quando que-sta scende ci sentiamo depressi e abbiamo la necessità di ingerire cibi dolci i quali aumentano, in tempi rapidi, i livelli di serotonina nel nostro organismo.

• Sentimenti di noia e vuoto – Può accadere che la noia porti a cercare sti-moli nuovi e, in questo caso, ci serviamo del senso del gusto. Se, invece, si sperimentano sentimenti di vuoto, il modo più semplice e automatico per evitare questa sensazione è quello di “riempire” il nostro stomaco.

Queste e molte altre situazioni sono spesso difficili da affrontare e gestire, per-ché comportano sempre una fase di cambiamento, un passaggio da una situa-zione a un’altra, un adattamento. Nella gestione e soluzione di un evento stressante (stressor) risultano di fon-damentale importanza il modo in cui percepiamo e valutiamo l’evento, e le ri-sorse e le capacità con cui possiamo fronteggiarlo.

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Facciamo un esempio. Possiamo parlare di 3 diverse tipologie di valutazione cognitiva dello stressor:

1. valutazione primaria: il soggetto valuta la gravità dell’evento;

2. valutazione secondaria: il soggetto valuta le risorse che ha a disposizione e le strategie da mettere in atto per fronteggiare l’evento;

3. valutazione terziaria: il soggetto valuta l’efficacia della propria azione, e in base ai risultati può convergere su altre strategie.

Come è facile intuire a seconda del tipo di valutazione che si fa di un evento stressante la risposta sarà più o meno efficace.

Altro elemento importante, nel processo di risoluzione del problema, è quel-lo che riguarda la percezione di controllo sulla situazione. Se la situazione è ritenuta controllabile e modificabile, la persona può ricorrere a strategie d’a-zione centrate sul problema. Nel caso in cui, invece, la situazione venga perce-pita come incontrollabile, il soggetto può far ricorso a strategie centrate sulla gestione delle emozioni riferite all’evento stressante.

Un esempio potrà aiutare a comprendere meglio. Una persona può valutare la noia come un’emozione difficile da sopportare. Se la percezione della situa-zione è ritenuta controllabile, si tenderà ad applicare una strategia di azione centrata sul problema (mi sento solo - esco con gli amici - elimino il sentimento di solitudine). Se, diversamente, la persona avvertisse tale situazione come in-controllabile, metterà in atto una strategia centrata sull’emozione (ad esempio, mangiare).

Quanto detto ci introduce ad un altro concetto fondamentale: il coping.Il concetto di coping (dall’inglese  to cope  = far fronte) indica quel processo adattivo messo in atto dall’individuo per fronteggiare e gestire uno o più situa-zioni “difficili”. Il coping comprende, dunque, l’insieme delle risorse, delle stra-tegie e delle azioni a livello cognitivo-comportamentale con cui una persona cerca di affrontare e superare un evento stressante.

Obiettivo del lavoro psicologico, nel contesto del’alimentazione, è quello di aumentare le abilità e competenze delle persone nel riconoscere le proprie necessità alimentari, nel potenziamento dell’autocontrollo e nella capacità di trovare una risposta adattiva per la gestione delle emozioni che non sia ricor-rere al cibo.

4.2 Il Diario AlimentarePer gestire efficacemente gli eventi stressanti, quindi, è importante valuta-re correttamente l’evento stesso, perché da questa valutazione dipenderà la

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successiva scelta di tipologia e strategia di coping da utilizzare, in funzione anche delle risorse che abbiamo a disposizione. Una volta compreso l’evento stressante, saremo in grado di scegliere la strategia migliore e di adattarla alla situazione. Pur consapevoli del fatto che non esiste una strategia migliore in assoluto, è altrettanto vero che, di certo, per gestire e superare il problema è necessario affrontarlo (a livello operativo e/o emotivo), e non certo fuggire da esso.

Generalmente per risolvere un problema (e conseguentemente ridurre lo stress ad esso collegato) è utile riorganizzare e ristrutturare cognitivamente le parti che lo compongono o semplicemente minimizzarne gli effetti nocivi. Le tecniche usate sono: la raccolta d’informazioni, l’individuazione di alternative possibili, esercitarsi per incrementare le abilità necessarie, sforzi volti a cam-biare l’ambiente circostante, ecc. In una prospettiva cognitivo/comportamen-tale, la costruzione di comportamenti e pensieri alternativi a quelli solitamente messi in atto per fronteggiare un evento di vita negativo e lo stress che da esso deriva.

All’interno di questo contesto si colloca il “Diario Alimentare”, uno strumento che aiuta ad identificare la situazione “stressante”, l’emozione che a questa si associa e le conseguenze sul comportamento messo in atto. In questo caso, il mangiare “emotivo”.

Aiuta, inoltre, a trovare strategie di coping piu’ efficaci in alternativa al cibo.

Come utilizzare il Diario Alimentare.Si tratta di scrivere per mettere a fuoco la situazione, il pensiero, l’emozione, che portano a mangiare più di quanto si vorrebbe, più di quanto si dovrebbe. Come abbiamo detto il maggiore problema del mangiatore emotivo è mangia-re senza consapevolezza e in modo automatico. Non conosce i motivi che lo spingono a mangiare, non conosce le situazioni che non riesce a controllare, non conosce la differenza tra fame emotiva e fame fisica.

Il Diario Alimentare è uno strumento semplice e va compilato per almeno 3 settimane di fila. In pratica è un foglio di carta diviso in 5 colonne, ognuna delle quali ha differenti lettere. Ogni volta possiamo cambiare la “forma” del Diario e decidere di osservare altri elementi che consideriamo importanti nel determi-nare il comportamento che vogliamo eliminare o cambiare.

Viene chiesto alla persona di scrivere, ogni giorno, ciò che ha mangiato (che non avrebbe voluto/dovuto). Rileggendo la sequenza delle giornate si diviene consapevoli del proprio stile alimentare. In altre parole, diviene più facile com-prendere cosa spinge a mangiare, quali le situazioni più a rischio. E’ sorpren-dente scoprire quanto, ad esempio, la noia può essere responsabile di “eccessi” alimentari e quanto sia responsabile della alimentazione emotiva.

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Mettere “nero su bianco” quello che è il proprio stile di comportamento alimen-tare aiuterà a fare chiarezza e ad acquisire maggiore consapevolezza, soprat-tutto degli errori compiuti.

Se desiderate esercitarvi con la tecnica del Diario Alimentare ecco cosa scrive-re nelle Colonne:

S come Situation (Situazione)Nella prima Colonna, quella con la scritta (S), dovrete descrivere la situazione nella quale vi trovate, quella che sta facendo “crescere” l’emozione che vi por-terà a mangiare. Siete ad un compleanno? Oppure siete a casa davanti alla tele-visione? State lavorando al computer e dovete consegnare un lavoro urgente? Continuate a mangiare solo perché altri lo stanno facendo?

T come Thought (Pensiero)La seconda Colonna (T) serve a registrare il pensiero che state facendo in quel momento. Non sarà facile perché i nostri pensieri sono automatici per la mag-gior parte del giorno, ma con un po’ di attenzione e di esercizio imparerete a riconoscerli.Una volta capito il pensiero automatico sarà più facile capire il passaggio suc-cessivo, vale a dire, l’emozione che vi porta a mangiare.

A come Activation (Attivazione Emotiva)Nella terza colonna, quella con la lettera (A) descriverete con poche e semplici parole, l’emozione che state provando in quel momento, quella che vi sta gui-dando, inesorabilmente, a fare ciò che non vorreste: mangiare il pacco di bi-scotti. Siete nervosi, ansiosi, stanchi, preoccupati?

R come Reaction (Azione di risposta)Nella quarta Colonna, quella con la lettera (R) scriverete ciò che avete deciso di fare. Vi alzate dal divano per mangiare la cioccolata? Oppure avete capito che potete decidere di fare altro?

T come Transformation (Strategia alternativa) - Benefici a lungo termineNell’ultima colonna, (T) descrivete, in poche parole, le alternative e se siete stati capaci di comportarvi diversamente dal solito.  Questa colonna, come è evidente, vi aiuterà a chiarire se ciò che vi aveva spinto a prendere o desiderare del cibo nella situazione R (mangiare cioccolata), era veramente “fame fisica” oppure si trattava di altro. Una volta valutata correttamente l’emozione e la fame, con il tempo, sarà possibile aumentare le strategie alternative, diminuire le risposte di “cibo” con conseguenze positive sul peso corporeo e la salute.Il Diario Alimentare va compilato ogni volta che si introduce del cibo o delle bevande in bocca o immediatamente dopo aver resistito all’impulso (in questo caso sarà la colonna T ad essere più ricca di contenuti). Se riuscirete a fare quel-lo che vi abbiamo descritto, nell’arco di qualche settimana sarà possibile, per voi, capire le abitudini alimentari acquisite.

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Qui di seguito troverete un esempio.

(S)Situazione

(T)Pensiero

(A)Attivazione Emotiva

(R)Azione

(T)Strategia

AlternativaA casa da sola Cosa faccio? Noia Prendo i biscotti Posso uscire

In ufficio Il capo mi ha “trattato” male

Rabbia/tristezza Mangio i cioccalatini che ho

sul tavolo

Vado dal capo e chiarisco la situazione

Se volete approfondire, di seguito troverete brevi stralci di Diari Alimentari compilati da persone che si sono rivolte ad uno Psicologo per comprendere la propria alimentazione emotiva e iniziare il cambiamento richiesto per la per-dita di peso corporeo o per poter aderire meglio ad un regime alimentare di “dieta”.

1° SettimanaPamela, 30 anni. Una storia di problemi di peso corporeo sin dall’adolescenza. Pesa 76 kg (h. 1,63 cm).Ha effettuato molte diete restrittive sia con l’aiuto di professionisti, sia “fai da te”. Ogni volta ha “perso e ripreso” peso nel giro di qualche settimana.Viene con l’aspettativa di dimagrire. E’ sconfortata. Pensa che se non dovesse riuscire, non riuscirà neanche a risolvere i suoi problemi affettivi (vuole un ra-gazzo!).Nella prima settimana emerge la criticità di Pamela. Appena si sente sola inizia a mangiare senza controllo.

2° SettimanaPamela, a seguito dell’incontro, prova a cambiare il suo comportamento a parti-re dal pensiero che ha fatto circa la sua solitudine. E’ consapevole che mangiare non l’aiuterà, anzi, aumenterà il suo peso e rischierà di non trovare un ragazzo a cui possa piacere (anche perché a Pamela piacciono i ragazzi in “forma”).Appena sente arrivare “l’impulso” decide di riprogettarsi. Decide di non man-giare e di andare i palestra dove, forse, incontrerà qualche possibile futuro “amico”.

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Stefania 43 anni. Viene a studio per un problema relativo alla situazione lavo-rativa. Si sente sempre sotto “stress”, trattata male, non rispettata dai colleghi e dai datori di lavoro.

Questa situazione emotiva condiziona la sua vita, in particolare, la sua alimen-tazione. Ha provato a seguire una dieta ma le riesce difficile farlo per più di qualche giorno e si sente frustrata. Negli ultimi 10 mesi ha preso 4 kg. Peso attuale 72 (h. 1,62).

Nella situazione descritta Stefania è sotto stress al lavoro.

La prima volta decide di mangiare le patatine e si sente subito rilassata (ma in colpa per gli effetti sul peso corporeo).La seconda volta riesce a “procrastinare” la soddisfazione del bisogno e decide di rinviare tutto alla sera. Riferirà, poi, che la serata è stata bella e divertente e non ha avuto la necessità di mangiare il dolce, ma ha assaggiato quello di un’a-mica (solo un cucchiaino).

In questi due casi, con l’utilizzo del diario alimentare, è stato possibile: 1. Individuare le situazioni/emozioni che pilotano il comportamento alimen-

tare;2. Distinguere tra Fame Emotiva e Fame Fisica;3. Analizzare la vera natura del bisogno da soddisfare (emozioni);4. Trovare delle Strategie Alternative al cibo.Il risultato ottenuto è l’apprendimento di una strategia di coping più efficace e meno dannosa per la salute.

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Capitolo 5 “Verso il cambiamento” 5° passo - Cambiare è possibile

5.1. “Riscrivere” le abitudini alimentari

Gli esempi riportati, in forma semplificata, vogliono mostrare alcune modalità di intervento degli Psicologi. Non sono esaustivi di ciò che può e deve essere fatto nel campo della “modifica” del comportamento alimentare.

Facciamo un breve riepilogo.

1. LA DIETA DA SOLA NON BASTA, perché, spesso, seguire il regime diete-tico che ci è stato prescritto trova degli ostacoli: in particolare le emozioni che non riusciamo a controllare e che provengono da situazioni che ci forni-scono stress.

2. SI PUÒ MANGIARE ANCHE PER FAME EMOTIVA. E’ utile porsi una sem-plice domanda: “Perché sto scegliendo di mangiare questo cibo?”. In qualche caso la risposta potrà essere semplice: “Mi sento debole”, “Lo stomaco bor-botta”. In questi casi, generalmente, si tratta di fame fisica.

3. E’ BENE ASPETTARE QUALCHE MINUTO PRIMA DI MANGIARE. Que-sto aiuta a esercitare il controllo e a evitare di lasciarsi andare all’impulso. Quindi, qualche caloria risparmiata!

4. ATTENZIONE A QUELLE SITUAZIONI NELLE QUALI SI RISPONDE “MI SENTO TRISTE”, “STRESSATO” “MI SENTO SOLO” ETC.  Questi sono chiari indicatori che informano del fatto che il desiderio di mangiare molto pro-babilmente non è determinato da “fame fisica” bensì da un stato emotivo o mentale. Essere in grado di distinguere tra fame biologica e fame emotiva è importante per poter iniziare ad avere un atteggiamento diverso con il cibo. Essere in grado di capire qual e’ il proprio “pilota emotivo” è fondamentale per cambiare strada.

5. IL DIARIO ALIMENTARE, con il quale avete imparato a registrare quello che mangiate, quando lo mangiate e perché, ha aumentato la consapevo-lezza dello stile alimentare adottato, delle sue criticità e delle volte in cui questo si discosta da quello suggerito o prescritto dal medico.

6. Ogni volta in cui avete mangiato più di quanto avreste voluto fare, SEN-TIMENTI DI RABBIA OPPURE ANSIA O NOIA ERANO PRESENTI. Frase dopo frase è emerso lo “stile alimentare”. Sono i problemi sul posto di lavoro

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o con il coniuge ad aumentare la “fame nervosa”’?

7. Una volta emerso il “pilota emotivo” (prevalente) i tentativi di coping han-no consentito di IDENTIFICARE UN COMPORTAMENTO ALTERNATIVO PIÙ SALUTARE, CHE RIESCA A RISOLVERE IL PROBLEMA “A MONTE”.

Imparare a gestire l’alimentazione “emotiva”, significa trovare modi diversi per soddisfare le tue emozioni, oppure cambiare le situazioni che generano quel-le emozioni. Sarà importante, quindi, trovare delle alternative al cibo. Potrete riuscirci da soli oppure potrete decidere di farvi aiutare dallo psicologo, come facilitatore del cambiamento del comportamento alimentare.

5.2 Alternative al mangiare emotivo

Ricordate: non dobbiamo pensare in “grande” ma apportare piccoli, pratici, semplici cambiamenti. Il segreto è sommarli insieme.

Le indicazioni che sono state date non vogliono sostituirsi alle diete, ma ap-profondire ciò che ostacola l’adesione ad un regime alimentare adeguato. Il più delle volte, questi ostacoli, denotano insoddisfazione nelle relazioni affettive e sociali.

Sentirsi appagati nei rapporti familiari, d’affetto, d’amicizia aiuta a ridurre lo stress e la presenza di sentimenti negativi. Il boom dei “social network” al quale stiamo assistendo, è la risposta ad un bisogno di comunicazione, qualcuno con cui parlare, 24 ore su 24.

La nascita e l’aumento di blog, che hanno come tema i problemi emotivi e com-portamentali legati al cibo, evidenzia l’esigenza delle persone di “raccontarsi”.

Dall’altra parte, i professionisti della salute hanno compreso che esiste questa necessità, dalla quale non si può prescindere in un processo di cura e di com-prensione dei bisogni della persona.

Dietro alla malattia o al problema c’è l’individuo con le sue paure, preoccupa-zioni, pensieri e comportamenti ma soprattutto la sua unicità. Oramai il con-cetto è chiaro e questo messaggio deve arrivare anche a quelli che vivono la difficoltà della gestione, giorno dopo giorno e più volte al giorno, del rapporto con il cibo, con il peso, con le emozioni. Esiste un proverbio che suggerisce: “mangia che ti passa”. Le scienze della sa-lute sostengono il contrario. La psicologia, inoltre, incoraggia alla comprensio-ne di ciò che vogliamo “far passare” che si tratti di preoccupazioni, problemi o emozioni negative e questo attraverso la narrazione ed il dialogo.

Confrontarsi con gli altri, comunicare e, a seguito di questi scambi, ricevere

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conferme o al contrario disconferme su ciò che pensiamo o diciamo è un pro-cesso che consente la crescita e lo sviluppo. L’isolamento, la chiusura, il silenzio, in quanto strategie di evitamento, non sono risolutive e accrescono il problema.

Riscrivere le proprie abitudini alimentari significa riscrivere i modi con i quali affrontiamo i nostro problemi le nostre sofferenze le nostre difficoltà, Significa ridefinire le risorse personali o di richiesta di sostegno agli altri (parenti, amici, professionisti). Significa riconoscere la natura del problema e intervenire con modalità nuove forse mai sperimentate prima.

Significa concedersi la possibilità del cambiamento e ricordarsi che non è mai troppo tardi per cambiare le cose.

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Appendice

“Sembra sempre impossibile fino a quando non viene fatto”.Nelson Mandela

Lascia che nella tua casa entri “vero” cibo.  Eliminare i “comfort food”, che fan-no perdere il controllo, e rimpiazzarli con alternative più salutari è il modo più semplice per iniziare un nuovo stile alimentare con successo. Ciò non significa rinunciare a tutto, ma fare in modo che il consumo di certi cibi avvenga occasio-nalmente, a feste o a cene fuori con gli amici.

Utilizzare piatti piccoli aiuta a mangiare di meno. La psicologia della percezio-ne ha studiato a fondo la relazione esistente tra le informazioni che provengo-no dagli organi di senso e l’esperienza percepita, fino ad arrivare al fenomeno delle illusioni ottiche. I risultati provenienti da questi studi hanno evidenziato che mettere la stessa porzione di pasta in un piatto grande o in un piatto picco-lo crea degli effetti di percezione visiva estremamente diversi e molto più sod-disfacenti nel secondo caso. La stessa quantità di cibo sembra di più nel piatto piccolo. Si mangia meno e ci si sente più sazi!

Condire le pietanze con il cucchiaio per dosare l’olio o il dosatore spray. Un principio presente in ogni dieta è quello di “controllare” la quantità di olio con la quale condire le pietanze. Ciò che ti dicono è: “condisci con 3 o 4 cucchia-ini di olio al giorno”. Immediatamente avvertiamo il senso di rinuncia e questo, già sappiamo, è deleterio poiché ci fa sentire deprivati di qualche cosa. Prova, invece, a scegliere la quantità di olio che vuoi ma, sul principio della consapevo-lezza, dovrai conoscere la quantità di condimento che utilizzi per la tua insala-ta, pasta, verdure. Versare l’olio direttamente nel piatto non aiuta a regolarti, versare l’olio direttamente nel cucchiaio ti aiuta a capire e ti fa fermare e riflet-tere dandoti il modo di scegliere percorsi alternativi.

Una volta che avrai imparato a fare questo, passa all’utilizzo dello “spray”. Sco-prirai, gusto e risparmio (in calorie e in soldi spesi a fine mese).

Fai prima la tua porzione. Avere il cibo a disposizione fa venire voglia di man-giare. Avere il cibo a disposizione fa venire voglia di mangiare. Sono i nostri occhi che parlano non il nostro stomaco. Per evitare che questo possa accaderti e confondere il tuo senso di sazietà, prepara prima la tua porzione (non importa quanto grande purché nel piatto piccolo). Ti aiuterà a porre uno “stop” al tuo mangiare emotivo.

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Mangia lentamente. Come dimostra lo studio riportato, mangiare lentamente apporta grandi benefici: digestivi ma soprattutto, di riduzione della quantità di cibo ingerita. Se proprio non riesci a rallentare e hai bisogno di un ulteriore aiuto prova ad utilizzare i bastoncini cinesi. Ti costringeranno a farlo!

Non cambiare sapore all’interno del pasto: passare da un cibo all’altro azze-ra il senso di sazietà. Ogni volta che assaggi qualche cosa di diverso è come se il cervello ricevesse un invito a ricominciare. Siamo una specie onnivora e, in passato, raramente capitava di avere più alimenti insieme. Questo accade-va quando fare la “scorta” era funzionale per il mantenimento dell’individuo e della specie. Oggi non è più così e dobbiamo imparare a gestire questo mecca-nismo istintivo che ancora non si è adattato alle mutate abitudini alimentari. Se vuoi “controllare” la quantità di cibo ingerito fai pasti monosapore. Bevi acqua: l’acqua è un NUTRIENTE privo di calorie e che dà senso di pienez-za. Inoltre è indispensabile per il lavoro muscolare contribuendo ad attivare il tuo metabolismo.

  

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