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Documento realizzato da: Prof. Paolo Borgiotti docente di Tecnologia dei Materiali BUZZI LABORATORIO ANALISI – Analisi, prove e ricerche industriali Cod.Fisc.84004990481 P.Iva 00337080972 – www.buzzilab.it - e-mail: [email protected] PRATO: Viale della Repubblica, 9 – 59100 Prato – Italia Tel +39 0574 589887 – Fax +39 0574 589890 Pag. 1 / 11 NORMALE PRATICA INDUSTRIALE PER LA LAVORAZIONE DEGLI SCARTI TESSILI, DEGLI STRACCI E DELLE MATERIE PRIME SECONDE CONTESTO La produzione tessile storica di Prato, risalente al Medioevo, è quella dei tessuti lanieri. In particolare, Prato è conosciuta per i tessuti di lana ottenuti mediante l’intreccio di filati prodotti con il processo di lavorazione delle fibre corte di lana denominati “cardati”. Dal nome del processo di filatura “cardata” deriva quindi il nome di filati “cardati” e, conseguentemente, di tessuti “cardati”. E’ opportuno sottolineare il fatto che l’aggettivo “cardato” non deve essere necessariamente associato ad un prodotto con basso valore commerciale. Con filati cardati 100% cashmere possono infatti essere realizzati preziosi manufatti ma, anche utilizzando lane ordinarie, come lo Shetland, si possono produrre tessuti nello stile “tweed”, con una eccezionale coloritura melange, che sono stati resi famosi dall’aristocrazia del Regno Unito. Le fibre di lana utilizzate nel processo di filatura cardata possono essere: nuove (ottenute con la tosa della pecora ed il successivo lavaggio ed eventuale carbonizzatura); ottenute dagli scarti della lavorazione del ciclo pettinato; ottenute da vari materiali di scarto della filiera sia a monte che a valle della filatura fino alla confezione; ottenute da porzioni di tessuto ricavate da abiti usati denominati “stracci”. Nel distretto tessile pratese sono presenti tutte le fasi del ciclo produttivo che consentono la produzione dei tessuti cardati, dalla rigenerazione delle fibre fino alla nobilitazione e finitura dei tessuti cardati. CICLO DELLA FILATURA CARDATA LANIERA La caratteristica di questa lavorazione è l’utilizzo di fibre corte e disomogenee, in mischia tra loro nelle più svariate composizioni, tali da conferire al filato una particolare fisionomia che distingue la filatura cardata dall’altra tipologia rappresentata dalla “filatura pettinata”. Il ciclo di filatura cardata si può così schematizzare con le seguenti tre fasi: preparazione (crea la mischia intima di fibre tessili diverse tra loro per composizione o per colore); cardatura (lavora la mista, parallelizza le fibre e produce lo “stoppino” ovvero un sottile semilavorato che ha scarsa resistenza); filatura (trasforma lo stoppino in filato impartendo le torsioni che assicurano al filo la necessaria resistenza all’uso). Il processo di filatura cardata, che è in grado di utilizzare fibre corte, può quindi proficuamente approfittare della disponibilità di fibre “rigenerate” ottenute, mediante processi meccanici, da semilavorati o scarti di tessuti nuovi (pre-consumo) o addirittura da abiti usati (post-consumo). La lana “rigenerata” o “meccanica” ha rappresentato, per oltre un secolo, una fenomenale opportunità di sviluppo e di affermazione del distretto tessile pratese sui mercati del mondo. Le tecniche del “riciclo”, oltre ad affascinare per i risultati della loro esecuzione, raccolgono e sintetizzano una cultura di attenzione, di sensibilità verso l’ambiente, di tradizione e professionalità degli operatori. L’industria del rigenerato produce la “lana meccanica” e gli “sfilacciati di fibre miste“ applicando appropriate operazioni agli scarti della filiera tessile in generale, ai ritagli delle confezioni industriali e, principalmente, agli “stracci” che sono disponibili in quantità più rilevanti.

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NORMALE PRATICA INDUSTRIALE PER LA LAVORAZIONE DEGLI SCARTI TESSILI, DEGLI STRACCI E DELLE MATERIE PRIME SECONDE

CONTESTO

La produzione tessile storica di Prato, risalente al Medioevo, è quella dei tessuti lanieri. In particolare, Prato è conosciuta per i tessuti di lana ottenuti mediante l’intreccio di filati prodotti con il processo di lavorazione delle fibre corte di lana denominati “cardati”. Dal nome del processo di filatura “cardata” deriva quindi il nome di filati “cardati” e, conseguentemente, di tessuti “cardati”. E’ opportuno sottolineare il fatto che l’aggettivo “cardato” non deve essere necessariamente associato ad un prodotto con basso valore commerciale. Con filati cardati 100% cashmere possono infatti essere realizzati preziosi manufatti ma, anche utilizzando lane ordinarie, come lo Shetland, si possono produrre tessuti nello stile “tweed”, con una eccezionale coloritura melange, che sono stati resi famosi dall’aristocrazia del Regno Unito. Le fibre di lana utilizzate nel processo di filatura cardata possono essere:

• nuove (ottenute con la tosa della pecora ed il successivo lavaggio ed eventuale carbonizzatura);

• ottenute dagli scarti della lavorazione del ciclo pettinato;

• ottenute da vari materiali di scarto della filiera sia a monte che a valle della filatura fino alla confezione;

• ottenute da porzioni di tessuto ricavate da abiti usati denominati “stracci”. Nel distretto tessile pratese sono presenti tutte le fasi del ciclo produttivo che consentono la produzione dei tessuti cardati, dalla rigenerazione delle fibre fino alla nobilitazione e finitura dei tessuti cardati.

CICLO DELLA FILATURA CARDATA LANIERA

La caratteristica di questa lavorazione è l’utilizzo di fibre corte e disomogenee, in mischia tra loro nelle più svariate composizioni, tali da conferire al filato una particolare fisionomia che distingue la filatura cardata dall’altra tipologia rappresentata dalla “filatura pettinata”. Il ciclo di filatura cardata si può così schematizzare con le seguenti tre fasi:

• preparazione (crea la mischia intima di fibre tessili diverse tra loro per composizione o per colore);

• cardatura (lavora la mista, parallelizza le fibre e produce lo “stoppino” ovvero un sottile semilavorato che ha scarsa resistenza);

• filatura (trasforma lo stoppino in filato impartendo le torsioni che assicurano al filo la necessaria resistenza all’uso).

Il processo di filatura cardata, che è in grado di utilizzare fibre corte, può quindi proficuamente approfittare della disponibilità di fibre “rigenerate” ottenute, mediante processi meccanici, da semilavorati o scarti di tessuti nuovi (pre-consumo) o addirittura da abiti usati (post-consumo). La lana “rigenerata” o “meccanica” ha rappresentato, per oltre un secolo, una fenomenale opportunità di sviluppo e di affermazione del distretto tessile pratese sui mercati del mondo. Le tecniche del “riciclo”, oltre ad affascinare per i risultati della loro esecuzione, raccolgono e sintetizzano una cultura di attenzione, di sensibilità verso l’ambiente, di tradizione e professionalità degli operatori. L’industria del rigenerato produce la “lana meccanica” e gli “sfilacciati di fibre miste“ applicando appropriate operazioni agli scarti della filiera tessile in generale, ai ritagli delle confezioni industriali e, principalmente, agli “stracci” che sono disponibili in quantità più rilevanti.

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Normale pratica industriale per la lavorazione degli Scarti Tessili, degli Stracci e delle Materie Prime Seconde

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Nel contempo, le industrie della filiera tessile, raccogliendo, selezionando e vendendo i propri scarti, possono ottenere un recupero dei costi perché, altrimenti, questi materiali dovrebbero essere smaltiti come rifiuti industriali e, conseguentemente, esse dovrebbero sostenere un costo.

TIPOLOGIE DI SOTTOPRODOTTI DERIVANTI DAL NORMALE CICLO PRODUTTIVO (PRE-CONSUMO)

Sottoprodotti delle prime fasi di lavoro della lana nuova

Nelle prime fasi di lavoro della lana nuova si generano sottoprodotti che, a causa della scarsa lunghezza o di altre caratteristiche non adeguate, non possono essere usati nel ciclo della lana pettinata ma che, invece, rappresentano un materiale idoneo per quella cardata: Lane di pelle o di concia: fibre estratte dalla pelle degli animali scuoiati. Sono corte e danneggiate dal processo chimico di estrazione. Crutchings: fibre tagliate prima della tosa dalla testa ed in prossimità degli organi genitali. Sono corte e contengono peli neri e colorati. Cascami di lavaggio: fibre che sono estratte con la pulizia dalle macchine di lavaggio. Sono infeltrite ma contengono anche fibre lunghe.

Sottoprodotti della lavorazione del ciclo di produzione dei filati pettinati lanieri

Il ciclo di lavorazione del pettinato laniero è utilizzato per la produzione dei filati più fini e, comportando numerose operazioni da effettuare in sequenza, inevitabilmente, produce sottoprodotti di lavorazione. Le fibre troppo corte (generalmente sotto i 20-25 mm) vengono scartate durante la pettinatura, altre tendono a fuoriuscire dalle strutture tessili o dalle macchine e si depositano sui pavimenti o sono catturate dagli impianti di aspirazione e filtraggio (peluria), gli spezzoni di fili rotti o tagliati volontariamente scartati (fila) così come gli avanzi di tops e stoppini (laps) costituiscono una perdita rilevante del ciclo di filatura pettinata che, in alcuni casi, raggiunge diversi punti percentuali. Non è inusuale che tali perdite o “cali di lavorazione”, possano superare anche il 6% del peso iniziale, in relazione alla tipologia di materiale lavorato. Le perdite di materiale si concretizzano in grosse quantità di sottoprodotti che, a seconda della specie, possono essere riutilizzate, più o meno facilmente, nel ciclo produttivo cardato. I principali sottoprodotti derivanti dal ciclo di produzione del filato pettinato sono: Cascami di carda: fibre, anche lunghe, che scivolano dalle guarnizioni delle macchine e si depositano sul pavimento sottostante. Essendo la cardatura la prima lavorazione del ciclo pettinato, i cascami di carda contengono una notevole quantità di impurità vegetali. Blousses: fibre corte scartate durante l’operazione di pettinatura. Sono fibre cariche di impurità vegetali ma che hanno la caratteristica di essere particolarmente fini (nella lana più la fibra è corta e più è fine) e dunque pregiate. Blousses carbonizzate: blousses sopra descritte sottoposte a processo di carbonissaggio, finalizzato all’eliminazione delle impurità cellulosiche. Sin tratta di materiali di alto pregio che, come le blousses non carbonizzate, possono essere impiegati per la realizzazione di manufatti etichettabili con il qualificativo di “lana vergine”. Cascami di ripettinatura: sono sostanzialmente analoghe alle blousses poiché la ripettinatura si effettua quando si vuole ottenere un aumento della lunghezza media della lana scartando ulteriormente fibre corte

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oppure la si effettua dopo la tintura in top. Nel primo caso la lana è greggia mentre nel secondo caso è colorata ma, in entrambi i casi, non sono presenti residui vegetali nel sottoprodotto. Laps: porzioni di top o stoppini ovvero di semilavorati scartati normalmente a causa di arresti delle macchine e/o formazioni di avvolgimenti sui cilindri (rolle) oppure avanzi di fine partita. Sono costituiti da fibre lunghe e non contengono impurità vegetali e possono essere greggi, tinti o anche melangiati. Fila: sono costituite da porzioni di filo che sono state scartate nel corso delle varie lavorazioni del ciclo (filatura, roccatura, aspatura, garzatura, ritorcitura). Le “fila” provenienti dalla filatura sono anche dette “filandre”. Essendo costruite da filati che hanno le torsioni, le “fila” non possono essere utilizzate direttamente nel ciclo cardato e necessitano di un’operazione di apertura che le riporti allo stato fibroso.

Sottoprodotti della filiera da filo a capo finito

Il ciclo di produzione dei tessuti comporta, nel caso di tessuti a fili ortogonali, le fasi di orditura, tessitura e finissaggio e, nel caso di tessuti a maglia, solo quelle di tessitura e finissaggio. Dall’operazione di orditura si ricavano sottoprodotti che sono classificati come “fila”. Dall’operazione di tessitura si ricavano sia sottoprodotti che sono classificati come “fila” sia sottoprodotti denominati “cimosse” che possono raggiungere percentuali in peso anche superiori al 2%. Dal punto di vista delle possibilità di riutilizzazione le “cimosse” possono essere assimilate alle “fila” in quanto l’intreccio è debole ed esse non hanno subito il finissaggio ma, per la loro trasformazione in fibra, necessitano di un’operazione di apertura che le riporti allo stato fibroso. Per realizzare l’apertura delle “cimosse”, in considerazione della loro particolare struttura, le macchine per l’apertura possono avere una specifica configurazione diversa da quelle utilizzate per l’apertura delle “fila”. Dal finissaggio dei tessuti si ottengono sottoprodotti denominati “testate di rifinizione” che derivano da tagli di tessuto, operati ad inizio/fine pezza, per eliminare le eventuali cuciture testa-coda o da tagli della parte iniziale della pezza effettuati per conservare referenze rispetto al tessuto spedito alla confezione (referenze che, dopo un certo periodo, diventano superflue e quindi devono essere smaltite). Nella confezione industriale si generano sottoprodotti, denominati “ritagli di confezione”, derivanti dagli sfridi conseguenti al taglio che, pur utilizzando sistemi computerizzati, è impossibile che utilizzi completamente il tessuto. L’entità degli sfridi, nel caso di piazzamento ottimizzato di pezzi di grande dimensione (per esempio relative al capo spalla) può essere del 15% mentre, nel caso di piazzamento ottimizzato di pezzi piccoli (per esempio relativi all’intimo) può essere del 30%. Se il piazzamento non è ottimizzato mediante software sofisticati, o nel caso di piazzamenti “obbligati” per i tessuti a quadri o con disegno, gli sfridi possono anche essere ancora più rilevanti. Inoltre, nella confezione industriale della cosiddetta “maglia tagliata” ovvero di capi di maglia ottenuti tagliando le parti componenti da una pezza di tessuto a maglia, si ottengono ulteriori scarti anche durante l’operazione di “smacchinatura” che consiste nella la cucitura delle parti effettuata mediante macchine “taglia e cuci”.

TIPOLOGIE DI MATERIE PRIME SECONDARIE DERIVANTI DA PRODOTTI USATI (POST-CONSUMO)

Il ciclo di rigenerazione si applica anche al cosiddetto “post-consumo” ovvero alla rigenerazione di fibre “meccaniche” di lana o di fibre miste, che derivano da prodotti tessili “usati“ che, come già accennato, sono comunemente detti “stracci”.

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Le materie prime del ciclo di rigenerazione del “post-consumo” sono costituite da quei prodotti che non sono idonei al “riuso” ovvero alla commercializzazione come abiti usati e che, invece, sono ritenuti idonei per il processo di rigenerazione. In base alla loro macro-tipologia, esse sono suddivise in: Stracci: abiti usati costituiti da tessuti a fili ortogonali. Maglie: maglie usate provenienti da tessuti a maglia o maglia calata.

IL COMMERCIO DEI SOTTOPRODOTTI E DELLE MATERIE PRIME RIGENERATE

La filiera del materiale rigenerato è normalmente gestita da una figura imprenditoriale denominata “commerciante di materie prime” e tale figura riveste un ruolo fondamentale nella filiera tessile in quanto realizza e coordina tutta la gestione dei sottoprodotti e dei materiali derivanti sia dal pre-consumo che dal post-consumo che trasforma, con l’applicazione di specifici cicli produttivi, al fine di ottenere un materiale utilizzabile in successive lavorazioni tessili. Detta figura coordina lo svolgimento di cicli di lavoro tali da rendere la materia prima fruibile, sia dal punto di vista industriale che logistico, alle operazioni successive (ad esempio carbonizzo, lavastraccia, sfilacciatura, filatura, ecc.). L’operazione basilare dei cicli, sempre necessaria, è la cernita, ovvero il controllo sensoriale, principalmente visivo, finalizzato a determinare se il materiale sia idoneo, o meno, alla rigenerazione nonché alla sua selezione in base al colore, alla qualità delle fibre componenti, alla finezza e tipologia di tessuto. Nel ciclo di rigenerazione l’attività di cernita assume quindi un’importanza fondamentale poiché solo l’accurata selezione dei materiali consente di ottenere fibra rigenerata di qualità idonea al settore tessile di destinazione. Per quanto concerne il “post-consumo”, la cernita è un’operazione eseguita da soggetti autorizzati al trattamento dei “rifiuti”, perché gli abiti usati, prima della cernita, sono classificati come tali e, solo dopo che essi sono stati sanificati e cerniti, possono rientrare nei flussi produttivi tessili come materie prime seconde. La figura del commerciante ha la facoltà di avviare il materiale selezionato alle fasi successive dei cicli di trasformazione oppure di rivenderlo, “tal quale”, ad un intermediario che può essere un altro commerciante o un altro soggetto della filiera. Il commerciante si occupa altresì della lavorazione di cascami tessili, valorizzando i sottoprodotti provenienti da altre lavorazioni e rigenerando materie prime tessili da destinare alla produzione di filati per maglieria, abbigliamento, accessori, arredamento, tappezzeria o da destinare alla produzione di qualsiasi altro prodotto tessile che sia possibile produrre con quel tipo di materiale rigenerato. Il commerciante di materie prime tessili acquista partite di sottoprodotti, le seleziona opportunamente e gestisce le lavorazioni necessarie (avvalendosi anche di lavorazioni conto terzi) per creare lotti omogeni con caratteristiche di colore, lunghezza e finezza idonee alla produzione di manufatti tessili. In sintesi il commerciante non fa solo una mera transazione del materiale bensì coordina un ciclo produttivo che può comportare numerose fasi di lavorazione e dunque, egli stesso, può essere inteso come primo utilizzatore dei sottoprodotti. Il filatore, invece, utilizza semplicemente la fibra e, per lui, sia essa nuova o rigenerata, è solo un problema di caratteristiche di lunghezza, finezza, colore e, soprattutto, prezzo.

IL PROCESSO PRODUTTIVO DI RIGENERAZIONE

La produzione del tessuto cardato rigenerato si realizza con una filiera che coinvolge più aziende perché, raramente, essa è svolta con cicli industriali integrati:

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- commercianti di sottoprodotti tessili e stracci in lana o altre fibre;

- lavorazioni che trasformano la materia prima rigenerata in materie fibrose;

- produttori di filato cardato;

- produttori di tessuto;

- finissaggi. A prima vista si potrebbe pensare che, una volta prodotte le fibre rigenerate, le altre lavorazioni fossero generiche e non strettamente legate a questo particolare materiale. In realtà, invece, le fibre rigenerate sono molto corte e, solo con una grande esperienza in filatura, si possono realizzare complesse miste per riuscire ad ottenere titoli fini, regolarità e costo contenuto. Le materie prime rigenerate, sapientemente miscelate tra di loro e con l’aggiunta eventuale di fibre vergini o rigenerate sia di tipo naturale, sintetico e artificiale, sono filate con il ciclo cardato laniero per produrre filati di titolo generalmente inferiore ad Nm 28. In filatura, inoltre, si realizzano i colori uniti o melange e la capacità di ottenere vaste cartelle colori riducendo al minimo le tinture nonché l’abilità di riprodurre gli stessi colori uniti o melange partendo da fibre di colore diverso, costituiscono un fattore determinante per il successo del ciclo produttivo. Anche i produttori di tessuto devono essere specializzati per valorizzare i colori uniti o melange anche con fantasie che si rifanno alla tradizione del cardato Shetland e per saper sfruttare i filati cardati in strutture complesse anche insieme a fili pettinati e sintetici. I finissaggi, infine, devono essere in grado di migliorare l’aspetto dei tessuti con infeltrimento controllato e sapienti operazioni di garzatura e cimatura perché la lana meccanica è difficile da lavorare a causa della sua limitata lunghezza ed operazioni troppo drastiche possono pregiudicare la resistenza meccanica del tessuto. Bisogna altresì rammentare che il successo dell’attività deriva anche dalle innovazioni tecnologiche e dai miglioramenti che l’industria meccanotessile del distretto ha saputo apportare alle varie macchine utilizzate nel ciclo produttivo.

I CICLI DI LAVORAZIONE DELLA LANA RIGENERATA

I cicli di lavorazione presentano molti possibili passaggi poiché il sottoprodotto deve tornare come era all'origine, ovvero una massa fibrosa. Esistono più cicli di lavorazione della lana rigenerata che sono leggermente diversi tra loro in base al tipo di materiale trattato e che si moltiplicano poiché l’eventuale operazione di tintura può essere effettuata in più punti del ciclo. L’unica operazione che accomuna tutti i cicli e che li rende possibili è quella di “cernita” con la quale si trasforma il sottoprodotto in materia prima rigenerabile. È impossibile formulare un unico ciclo di lavorazione che unifichi tutti i prodotti e, solo a titolo di esempio, di seguito, sono riportati due cicli classici di lavorazione per materiali rigenerati:

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DESCRIZIONE SINTETICA DELLE PRINCIPALI ATTIVITÀ E MACCHINE UTILIZZATE NEL CICLO DEL RIGENERATO

La classificazione o cernita

Il primo passaggio è la cosiddetta cernita ovvero un controllo, principalmente visivo, per determinare se il materiale sia da considerare un rifiuto o un sottoprodotto. L’operazione di cernita avviene sia su:

• materiale “pre-consumo” che nasce come residuo delle lavorazioni dei cicli per la produzione di prodotti tessili (pettinature, filature in genere, confezioni, tessiture ecc.)

• indumenti usati “post-consumo” che, una volta raccolti, sono immagazzinati in appositi impianti, muniti delle autorizzazioni richieste, i quali effettuano l’operazione di cernita selezionandoli per:

o “riuso” ovvero commercializzazione come indumenti usati; o “riciclo” come sottoprodotto tessile; o “smaltimento” presso impianti di termovalorizzatori o discariche perché non idonei né al riuso, né

al riciclo. Dopo aver determinato, tramite la cernita, che il materiale è un sottoprodotto, su di esso può essere effettuata la fase successiva ovvero la selezione o classificazione che lo suddivide per tipologia, colore, qualità di fibra, finezza e qualità di tessuto. Non è infrequente che le fasi di cernita e di classificazione siano svolte in due diverse aziende.

Non sempre la classificazione è complessa; dipende infatti dalla qualità del sottoprodotto e quando si ha a che fare con un sottoprodotto omogeneo il passaggio risulta semplice ma, in generale, l’attività è onerosa e richiedere personale specializzato. L’operazione di classificazione, seguendo un’antica tradizione, è totalmente manuale: un selezionatore specializzato, una volta aperta la balla contenente i vari sottoprodotti, stracci o ritagli, divide le parti per colorazione omogenea, separa i prodotti in base alla composizione fibrosa e raggruppa tutto in “monti” di diverso colore (es.: bianchi, blu, marroni, rossi ecc.) ed alla fine, ciascun “monte”, è imballato e stoccato separatamente.

Cernita del materiale

Battitoio (detto anche “battitora”)

Le materie prime che sono costituite da fibre libere (senza intreccio né torsioni) non richiedono un’azione molto energica ed è sufficiente un passaggio al battitoio (o battitora). Il battitoio inizia l’apertura delle fibre e le depolverizza sbattendole con forza contro grate forate.

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Il battitoio è costituito da aspi battenti con punte in acciaio che progressivamente provocano la salita del materiale mentre esso viene sbattuto contro griglie forate e sistemi di ventilazione recuperano i cascami. Le griglie possono essere costituite da profilati triangolari registrabili per regolare la quantità di scarto.

Taglierina

Quando il materiale da sfilacciare ha una lunghezza eccessiva si utilizzano taglierine che ne riducono le dimensioni.

Carbonizzazione

La carbonizzazione è l’operazione mediante la quale, grazie all’azione di vapori di acido cloridrico, si “carbonizzano” ovvero si riducono a residui carboniosi, tutte le parti del tessuto di origine cellulosica (principalmente cotone e fibre artificiali di origine cellulosica come la viscosa). La carbonizzazione avviene mediante una macchina, che lavora “in continuo”, e che è costituita da un cilindro “essiccatore”, nel quale avviene l’essicazione completa del materiale seguito da un cilindro “carbonizzatore” nel quale avviene la fase di vera e propria carbonizzazione ovvero nel quale le porzioni di tessuto, precedentemente essiccate, sono investite da una corrente di vapori di acido cloridrico che riduce le parti di origine cellulosica in residui carboniosi. Ovviamente l’operazione di carbonizzazione è effettuata normalmente quando, nelle porzioni di tessuto, sono presenti materiali di origine cellulosica che devono essere eliminati per non pregiudicare colore e composizione del materiale rigenerato. Talvolta il carbonizzo viene effettuato anche per ottenere un incremento della solidità del colore del materiale rigenerato perché essa potrebbe non essere sufficiente.

Sfilacciatrice

La sfilacciatura è necessaria quando la materia prima presenta torsioni o intreccio e deve essere compiuto uno sforzo meccanico per disgregare la struttura tessile ed ottenere nuovamente la fibra libera. Ovviamente, nel corso della sfilacciatura, occorrono numerose rotture di fibre e la lunghezza del materiale rigenerato dipende dall’aggressività dell’operazione.

L’operazione avviene per effetto delle punte metalliche (guarnizioni) che ricoprono la superficie del tamburo sfilacciatore le quali agiscono sul materiale mentre quest’ultimo è trattenuto da una coppia di cilindri alimentatori. La velocità periferica del tamburo è molto più elevata di quella dei cilindri alimentatori cosicché, mentre il materiale avanza lentamente, numerose punte del tamburo lo sottopongono ad un’azione meccanica molto intensa che causa la sfilacciatura.

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Guarnizioni metalliche del tamburo sfilacciatore

Il principio di funzionamento delle macchine di sfilacciatura non è cambiato nel tempo e la principale innovazione nella macchina risiede nella possibilità di regolare a piacimento le velocità dei cilindri alimentatori e del tamburo. Per la lavorazione delle maglie di lana e di cashmere, volendo ottenere una fibra lunga, sono necessarie basse velocità di produzione ed un’azione di apertura più dolce possibile. La maglia, infatti, ha una struttura aperta ed è realizzata con filati a basso coefficiente di torsione che non necessitano di azioni molto energica.

Lavastraccia

La lavastraccia è la macchina che discende, direttamente dalla macchina “Olandese” (utilizzata nel ciclo di produzione della carta da stracci di cotone) ed è utilizzata per lavorare materiali con intreccio serrato ed infeltriti. La lavastraccia esegue, contemporaneamente, le operazioni di lavaggio e di sfilacciatura ed è costituita da un canale a ciclo chiuso dove circolano stracci immersi nell’acqua che li porta verso le teste di lavoro. Ogn i testa di lavoro è composta da tamburo di sfilacciatura e da un sottostante cilindro rivestito da guarnizioni a dente di sega. L’azione di sfilacciatura avviene per la differenza di velocità periferica dei due tamburi, che sono continuamente alimentati da forche. L’acqua facilita lo scorrimento delle fibre e rende possibile ottenere lunghezze di materiale rigenerato più elevate rispetto a quelle che si otterrebbero con la sfilacciatura a secco.

Aprifilandre

Per l’apertura delle filandre si possono utilizzare macchine specifiche caratterizzate, essenzialmente, da avere una ridotta altezza di lavoro di circa 0,5 metri.

Apricimosse

Per l’apertura delle cimosse, in relazione alla particolare conformazione, si possono utilizzare piccole macchine caratterizzate, essenzialmente, da avere uno specifico sistema di alimentazione.

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Normale pratica industriale per la lavorazione degli Scarti Tessili, degli Stracci e delle Materie Prime Seconde

Documento realizzato da: Prof. Paolo Borgiotti docente di Tecnologia dei Materiali

BUZZI LABORATORIO ANALISI – Analisi, prove e ricerche industriali Cod.Fisc.84004990481 P.Iva 00337080972 – www.buzzilab.it - e-mail: [email protected]

PRATO: Viale della Repubblica, 9 – 59100 Prato – Italia Tel +39 0574 589887 – Fax +39 0574

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Carda lupo

Per effettuare un’azione di strappo meno energica rispetto alla sfilacciatrice, può essere impiegata la “carda lupo”, macchina che è anche utilizzata nella preparazione delle lane lunghe da pettine.

La macchina, rappresentata nella figura precedente, è composta da una tavola di alimentazione, una coppia di cilindri di entrata, un tamburo con il quale interagiscono tre coppie di cilindri lavoratori e pulitori e, infine, un cilindro scaricatore che invia le fibre all’uscita.

Guarnizioni dei cilindri della carda lupo

Macchina Garnett

La macchina Garnett ha l’obiettivo di lavorare con dolcezza il materiale grazie a più cilindri che interagiscono con il tamburo principale. Per l’apertura di filandre e ritagli di maglieria di lana possono essere necessari uno o due cilindri mentre per ritagli più resistenti possono essere necessari tre o quattro cilindri (come nello schema della figura seguente). Produce fibre sfilacciate molto voluminose e di buon pregio denominate “garnettati”.

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Schema della macchina Garnett

Tintura

La tintura è l’operazione chiave che consente, quando evitata, di economizzare e di diminuire l’impatto ecologico del processo. L’obiettivo è dunque quello di evitare la tintura ed ottenere, in virtù di un accurato processo di selezione per colore, fibre rigenerate già colorate che possano essere impiegate direttamente per la produzione di filati cardati melangiati (“melange”). In molti casi, tuttavia, è necessario tingere e l’operazione può essere compiuta o su tessuto o su lana meccanica, in vari punti del ciclo produttivo.

Passatura

Dopo l’operazione di tintura il materiale può subire un altro controllo denominato passatura che è eseguita, manualmente, da personale specializzato, ed ha lo scopo di eliminare i pezzi di tessuto che non hanno assimilato la tinta a causa delle diverse composizioni e mischia delle fibre rispetto alla classe di colorante utilizzata.

Estrattore

L’estrattore è, in pratica una centrifuga che consente di eliminare, con basso consumo energetico, circa il 65% di umidità dal materiale bagnato.

Essiccatore

Esistono varie metodologie per completare l’essiccazione del materiale; principalmente sono basate sull’utilizzazione di aria calda (con elevato consumo energetico) ma esistono anche applicazioni della radiofrequenza.