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Informatore della Comunità Pastorale “Ascensione del Signore” di Monza Parrocchie S.Biagio, S.Pio X e S.Gemma

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SommarioEditorialeNOI, nel nome di Gesù

Il nuovo Consiglio PastoralePer crescerein comunione

Il saluto a don AlbertoUndici anni di grazie

Gruppo SiloeL’acqua per il nostro cammino di fede

Conferenza di San VincenzoMi dai una mano?

Ottobre missionarioSiamo tutti chiamatia evangelizzare

Gruppo interventoIn vacanzacon lo Spirito nel cuore

Con i preti di S.Pio XCredere ricordando

Pastorale GiovanilePortiamo Madrid a Monza!

Oratorio in movimentoFiaccolata Aosta-Monza

Adolescenti e PreadolescentiUna fede più matura

ScaffaleDon Luigi 25 anni dopo

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Informatore della Comunità Pastorale “Ascensione del Signore” di MonzaParrocchie S.Biagio, S.Pio X e S.Gemma

Direttore responsabiledon Marco [email protected]

Coordinamento redazionaleAlfredo Rossi

Progetto grafico e stampaePrint - Monzawww.stampamonza.com

Numero 1

Dicembre 2011

www.ascensionemonza.it

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NOI, nel nome di Gesù

inalmente ci siamo. Il desiderio era di parti-re prima e ci scusiamo per il ritardo… Fin da quando, nel gennaio 2009, abbiamo avviato la Comunità pastorale “Ascensione del Signo-

re” molti collaboratori hanno segnalato l’opportunità di creare un periodico che potesse raccogliere la memoria della vita delle nostre parrocchie. I notiziari settimana-li che ritiriamo all’uscita delle nostre chiese sono molto preziosi, anche perché consentono di snellire il più pos-sibile gli avvisi prima della benedizione… soprattutto ci aiutano a conoscere i momenti ordinari e straordinari della nostra comunità nei suoi diversi ambiti, ci aiuta-no conoscere alcuni messaggi importanti del magiste-ro o qualche riflessione dei sacerdoti, ma non offrono sufficiente spazio per conservare la memoria di quello che è realmente avvenuto nelle vita della comunità e per consentire anche una riflessione sull’esperienza vissuta. Nella parrocchia di San Pio X negli anni precedenti esi-steva già un periodico, il NOI, e così abbiamo pensato ad uno scambio di “testate”: da adesso NOI sarà il periodico della comunità (pensiamo a tre uscite annuali) mentre il foglio settimanale sarà denominato in tutte le parrocchie “Amico in Famiglia”. Un piccolo segno per capire come il cammino della Comunità Pastorale non intende cancellare la memoria delle singole parrocchie ma, al contrario, fare comunità significa mettere in co-mune il meglio della diverse tradizioni. NOI. Una parola piccola, ma molto densa. Ci ricorda che fin dall’inizio l’annuncio evangelico ha creato una comunità di persone intorno a Gesù e nel nome di Gesù: «Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in

mezzo a loro» (Mt 18,20). Commenta padre Ermes Ron-chi: “La costruzione del mondo nuovo inizia dai mattoni elementari io-tu, dalle relazioni quotidiane fondamentali. Quando un io e un tu si accolgono e diventano un «noi», il legame che si crea apre sul venire di Dio, è via di Dio. In principio, il legame. Anche in principio alla stessa Trinità. Il Vangelo pone una condizione: che il «noi» sia composto non per caso o per necessità, per violenza o per inganno, non nel nome di interessi o di paure, ma nel nome di Gesù”. NOI. Una parola piccola, che potrebbe essere fonte di equivoco: noi, solo noi…e gli altri? E quelli che non sono dei nostri? L’esperienza della comunità cristiana non porta a ripiegarsi in se stessi, non vuole escludere, anzi è esperienza di testimonianza per gli altri, è una comunione per la missione: “Quando diciamo: «Noi siamo Chiesa», sì, è vero: siamo noi, non qualunque persona. Ma il «noi» è più ampio del gruppo che lo sta dicendo. Il «noi» è l’intera comunità dei fedeli, di oggi e di tutti i luoghi e di tutti i tempi… Noi siamo Chiesa: siamolo! Siamolo proprio nell’aprirci e nell’andare al di là di noi stessi e nell’esserlo insieme con gli altri!” (Bene-detto XVI).

“Dio si è fatto come noi per farci come Lui”. In questi giorni contempliamo con sincera commozione come l’A-more di Dio si è fatto carne per creare una nuova e definitiva possibilità di comunione tra gli uomini e Dio.

Editoriale

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Per crescere in comunione

a parrocchia viene definita una comunità di fedeli: per essere comunità vera, deve poter avere degli strumenti di corresponsabilità, che permettano ai fedeli laici di partecipare effetti-

vamente alla sua missione. Per questo scopo è previsto il Consiglio pastorale parrocchiale, un organismo in cui sono presenti i sacerdoti, i religiosi e i laici, apposita-mente scelti con un’elezione, della parrocchia stessa. Il 16 ottobre scorso, una domenica, tutti i maggioren-ni della comunità pastorale “Ascensione del Signore” sono stati chiamati a votare i componenti laici del nuovo Consiglio pastorale della comunità pastorale (in breve Cpcp). Il luogo della votazione, le tre chiese parrocchia-li della comunità, oltre al Carmelo e a Mamma Rita, durante la celebrazione della Santa Messa. E questo la dice lunga sul significato della votazione e su che cosa debbano poi “deliberare” quelli che vengono eletti. Il significato: una scelta che è fatta da uomini ma che chiede al Signore, e questo è il motivo per cui la vota-zione si è tenuta in chiesa e proprio durante la Messa, di guidarli perché la loro scelta sia la migliore possibile. Il Cpcp, infatti, deve collaborare con il parroco e i sa-cerdoti, per la migliore conduzione possibile della comu-

nità stessa. Il suo scopo è offrire promozione e sostegno all’attività pastorale della comunità: ricercare, discutere e presentare proposte concrete per le sue attività, pro-grammarne le iniziative, favorire il coordinamento tra le varie realtà (dalla carità alle missioni, dalla famiglia agli oratori) presenti. Insomma, lo strumento diretto per favo-rire la comunione tra i sacerdoti e i parrocchiani, per stimolare la partecipazione dei fedeli, per coinvolgerli in modo responsabile. E se questo vale per ogni comunità parrocchiale, lo è ancora di più per la nostra comunità pastorale, che unisce tre realtà fino a poco tempo fa separateTra l’altro questo Cpcp è il primo che viene eletto dopo la costituzione della comunità dell’Ascensione: il prece-dente aveva raccolto e riunito i tre consigli pastorali esi-stenti in un unico organismo. Quindi i 26 membri del Cpcp hanno davanti a sé il compito di rendere ancora più reale, e viva, l’unione delle tre parrocchie in un’unica comunità viva, pulsante e in cammino per crescere nella comunione.

Di questo abbiamo parlato con i quattro componenti del-la giunta del Cpcp, che è un po’ il motore di raccordo

LInsieme Il nuovo Consiglio Pastorale Parrocchiale della Comunità durante il primo incontro del 17 novembre

Il nuovo Consiglio Pastorale

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tra i sacerdoti e il Cpcp stesso: Alessandra Masseroli, Gabriella Panerai, Sergio Cavasassi e Antonio Fedeli. Sono gli stessi che c’erano anche prima di quest’ultima votazione, tutti e quattro hanno fatto parte di consigli pastorali e don Marco li ha voluti accanto a sé perché, ognuno per la sua parte, profondi conoscitori delle tre realtà parrocchiali che hanno dato vita all’Ascensione.Sergio, a proposito di come sta andando il processo di unificazione delle tre realtà parrocchiali precedenti, dice. “Le cose tutto sommato stanno andando bene, an-che se c’era qualche preoccupazione quando è nata la comunità pastorale. Il fatto che ogni parrocchia abbia in un certo senso mantenuto vive le sue tradizioni e i suoi riferimenti ha aiutato a gestire il passaggio, che adesso, con l’elezione del nuovo Cpcp, com’è giusto deve esse-re accelerato e reso ancor più evidente”.Gabriella: “Vero, senza però dimenticare le radici e la memoria, perché questo è importante. E credo che aver riservato una quota di eletti del Cpcp a ognuna delle tre realtà parrocchiali esistenti sia stata una buona idea, perché così permetterà di costruire il nuovo confrontando subito, nella discussione, tre stili e tre modi di partecipa-zione magari diversi, ma ben radicati e per questo molto stimolanti e ricchi di spunti”.Alessandra: “L’opportunità è complessa, ma anche stra-ordinaria e credo che quello che è successo e succederà nella nostra comunità pastorale possa servire come aiuto a tutte quelle altre comunità che, è inevitabile, dovranno sorgere nelle nostra diocesi, e non solo, vista la penuria di sacerdoti. Questo richiede un maggior impegno ai laici”.

Antonio: “La giunta del Cpcp ha anche una funzione ‘burocratica’, visto che redige i verbali delle assemblee e cerca di esserne il moderatore, oltre ad aver prepara-to il progetto pastorale. Va anche detta una cosa. Nel Cpcp sono davvero importanti le varie commissioni per-ché sono loro a ‘inventare’ e a portare avanti i progetti. E in certi ambiti (tipo la carità, le missioni o la cultura) danno una mano realmente importante ai sacerdoti”.Cosa vi aspettate dal nuovo Cpcp?Gabriella: “Che metta sempre più l’accento sulla voca-zione missionaria della Chiesa. Non giudicare prima di ascoltare, ma ascoltare, ascoltare, ascoltare anche chi non la pensa come noi, perché questo ci può aprire pri-ma la mente e poi il cuore. E a questo proposito bisogna ricordare che il Cpcp non è un organismo chiuso: gli eletti devono partecipare alle riunioni, in quanto si sono presentati e in quanto scelti, ma tutti possono essere pre-senti alle riunioni e dare il proprio contributo per miglio-rare il funzionamento della comunità in ogni ambito”.Sergio: “La comunità dell’Ascensione oggi conta 23.000 persone, mentre solo pochi decenni fa nello stesso ambito risiedevano poco più di 8.000 cittadini: questo bacino oggi così vasto ci dà l’opportunità di pen-sare e realizzare cose di più grande respiro, soprattutto sul piano culturale e non solo. L’importante è che le noti-zie delle varie attività vengano diffuse fra i fedeli e che quindi tutti abbiano la possibilità di partecipare”.Alessandra: “Anche il NOI, così come è fatto adesso, è appunto una di queste opportunità. Di ogni realtà par-rocchiale la comunità deve prendere il meglio per rende-re più agevole e più facile il suo cammino di comunione: così un periodico che è nato a San Pio X, che ha già una sua tradizione, adesso diventa patrimonio di tutta la comunità pastorale e di quello che fa: un arricchimento che è positivo per tutti”.Antonio: “L’importante è non tirarsi indietro, ma dare la propria disponibilità. E a questo proposito ricordo una frase che spesso dice don Marco durante le nostre riu-nioni: ‘Vi piacerebbe farlo? E allora fatelo!’. Ha ragione lui. E allora, invece di dire ‘bisognerebbe fare così o cosà’, sarebbe bello, e cristianamente molto comunita-rio, che ci dessimo da fare tutti, perché ce n’è da fare per tutti”.Buon lavoro, quindi al nuovo Consiglio parrocchiale del-la comunità pastorale dell’Ascensione, alla giunta e a tutti noi (se abbiamo un po’ di buona volontà…).

La Giunta del nuovo CPCP: Antonio Fedeli, Sergio Cava-sassi, Alessandra Masseroli e Gabriella Panerai

Alfredo Rossi

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Bartesaghi FrancescoS.Biagio

Beretta MicolS.PioX

Borgonovo FaustoS.Biagio

Brioschi MatteoS.Biagio

Filipella MartinaS.Gemma

Fumagalli Francesca S.PioX

Arosio LauraS.Biagio

Beretta GaiaS.PioX

Brioschi DanieleS.Biagio

Cacciamani Roberto S.Gemma

Galbiati CarloS.Biagio

Gaviraghi Paola S.Gemma

Lofrano LucaS.Biagio

Micucci SilviaS.PioX

Tagliabue Luciana S.PioX

Valsecchi Chiara Maria S.Biagio

Bonfanti RenzoS.Biagio

Bovati GiulioS.PioX

Castiglioni Gianpiera S.Biagio

Manzini ClaudioS.PioX

Masiero LinoS.Biagio

Mauri GuidoS.Biagio

Moioli LuisaS.Gemma

Pessina RosyS.Gemma

Simoncini M. Grazia S.Biagio

Zacchetti AttilioS.PioX

Gli eletti del nuovoConsiglio Pastorale

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Il saluto a don Alberto

RAZIE è stata la parola che si è rincorsa sulle labbra di tutti nel salutare don Alberto lo scorso 25 settembre. Nei suoi 11 anni di presenza in mezzo a noi sono stati tanti i volti che ha incon-

trato, i cuori che ha ascoltato, le fatiche e i dolori che ha intuito, vissuto e condiviso: tanti sono stati soprattutto i bambini, i ragazzi, i giovani che con lui hanno percorso un tratto importante di cammino della loro vita.Centro della domenica di ringraziamento e di saluto è stata l’Eucaristia delle 10 che, come lo stesso don Al-berto ha sottolineato durante l’omelia, rimane il fulcro attorno al quale ritrovarci, proprio perché è il più vero rendimento di grazie al Signore e ci aiuta a tenere insie-me il messaggio della Croce e della Resurrezione. E non solo quando ci raccogliamo intorno all’altare, ma anche quando viviamo i nostri giorni.

E’ bello che una comunità cristiana sappia vivere il momento di saluto a un sacerdote chiamato ad altro ministero riuscendo a esprimergli il proprio affetto e la propria gratitudine con gioia, anche se la fatica di un distacco rimane nel cuore. L’accompagnamento recipro-co nella preghiera resta testimonianza di questo affetto e sostegno per noi e per lui, chiamato a ricoprire un ruolo importante come rettore del collegio arcivescovi-le “Rotondi” a Gorla Minore. Ci siamo ritrovati poi in oratorio per l’aperitivo e il pranzo insieme, momenti che hanno permesso a tutti di rivivere questi 11 anni con don Alberto, anche attraverso un video con tante foto che ripercorrevano “schegge” di quotidianità, di festa, di esperienze significative: l’oratorio feriale, le vacanze insieme, le Giornate Mondiali della Gioventù, i pellegri-naggi, i ritiri…

Sicuramente continueremo a ricordare la preghiera all’i-nizio pranzo, che don Alberto non ha mancato di recita-re: “O Signore, che hai fatto le corna a Mosè, benedici tutto quello che c’è. Tu, che hai donato la sapienza a Salomone, donaci anche una buona digestione. Dio dell’Alleanza, facci calar la panza”. Ciascuno, durante il pranzo, ha potuto scrivere un personale ringraziamen-to e saluto a don Alberto sui cartoncini segnaposto che

poi sono stati raccolti e consegnati a lui.Come ricordo di questa giornata, impegniamoci sempre a essere “frammenti del sogno di Dio” come don Alberto ci ha suggerito durante l’Eucaristia.G

Undici anni di grazie

L’immagine Lo striscione per il “Grazie” a don Alberto dopo undici anni trascorsi in San Biagio.

Fausto Borgonovo

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uando suor Antonietta, a nome della comunità cristiana, qualche anno fa, ci propose di par-tecipare attivamente al percorso delle famiglie che chiedono il Battesimo per i loro figli, il primo pensiero è stato “saremo in grado?”.

Poi sui nostri dubbi è prevalsa l’idea che sarebbe stata un’esperienza bella ed importante perché ci avrebbe coinvolto in un servizio per la comunità, formata non soltanto da persone “istituzionali”, ma da tutti coloro che credono in Gesù Cristo e si affidano a Lui nell’annuncia-re e vivere il suo Vangelo. Siamo consapevoli di essere famiglie come tante altre della nostra parrocchia, quasi tutte con bambini piccoli e con genitori entrambi impegnati in un lavoro che spes-so assorbe troppo, disposte però a confrontarsi con altre famiglie e a tessere con loro legami di fraternità, cercan-do di aiutarci a vivere la nostra fede in Gesù di Nazaret in modo autentico e quotidiano. Le famiglie giovani che chiedono il Battesimo per il pro-prio figlio nell’incontro con noi che, pur tra fatiche e

dubbi cerchiamo di vivere nel lavoro, nella comunità e in famiglia la nostra fede, hanno l’opportunità di confron-tarsi, di rivedere il proprio modo di considerare la chie-sa che, in occasione del Battesimo, desidera incontrarli anche se i cammini della vita talvolta li hanno portati un po’ lontani. Così, se vogliono, possono iniziare un cammino di scoperta (o riscoperta) di una fede che non è nemica della vita, che non carica fardelli ulteriori sulle spalle delle persone, ma indica semplicemente la strada per una vita bella, gioiosa e piena, per sé e per i figli. Non è un compito facile! Diremmo che è più un’avven-tura: ogni volta che andiamo a dare il benvenuto a una nuova famiglia della nostra comunità ci presentiamo con discrezione, in “punta di piedi”, ma con la gioia e la consapevolezza di chi sa di non annunciare se stesso, ma il Vangelo di Gesù!Ci sentiamo “inviati” in quanto prima “chiamati”. Il nome che a un certo punto del cammino ci siamo dati, “Siloe”, ricorda la qualità e il senso del servizio affidatoci: Siloe è infatti la piscina in cui Gesù indica al nato cieco di

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Gruppo Siloe

L’acqua per il nostro cammino di fede

A Bose Le famiglie Siloe durante una visita alla comunità di Bose

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andarsi a lavare per recuperare la capacità di vedere. E di vedere non solo le cose del mondo. Perché Gesù voleva dire: “Va’ a lavarti nella piscina del tuo battesimo e ne uscirai illuminato dalla mia grazia, riconciliato con Dio, partecipe ancora della vita divina”.Normalmente incontriamo le famiglie nelle loro case per non metterle in difficoltà viste le esigenze che ha pro-vocato il piccolo nuovo arrivato. Talvolta le invitiamo a casa nostra o le incontriamo in oratorio. Sempre portia-mo in dono un Vangelo come consegna dell’unico vero riferimento per la loro vita di figli di Dio.Ogni famiglia è una pagina bianca di un libro su cui Dio è sempre disponibile a narrare il suo amore. Si presenta unica, speciale, un arcobaleno variopinto di storie e di cammini verso la fede. In genere c’è la disponibilità al dialogo. La fatica maggiore si nasconde nella possibilità di impegnarsi in un cammino successivo che le aiuti a riscoprire la bellezza della fede in Gesù da trasmettere con la vita ai loro figli. Nel dialogo iniziale con le famiglie talvolta incontriamo resistenze legate a pregiudizi nei confronti della Chiesa, ad esperienze negative incontrate nel cammino, a con-dizionamenti della tradizione, più che a scelte di fede, nella richiesta del Battesimo. Per questo cerchiamo di graduare i contatti dopo il Battesimo e di “accontentarci” di un dialogo che sembra superficiale, ma di fatto, se autentico e aperto all’accoglienza, è capace prima o poi di dare frutti. Di questo siamo certi e non per le no-stre capacità, ma per quell’amore di Dio che realmente sa suscitare miracoli anche oggi!Ogni tanto ci interessiamo telefonicamente o per mail sulla crescita del bambino o su altre situazioni di cui veniamo a conoscenza. Riusciamo ad incontrare alcune famiglie la domenica all’Eucaristia o all’aperitivo in ora-torio ed è sempre bello fermarsi, salutare, parlare di tutto ciò che capita. Purtroppo il grande “nemico” di questo nostro servizio rimane il tempo. Talvolta è difficile trovare il momento più adatto a noi e a loro per incontrarci, il sabato o la domenica o in altre occasioni.In questo cammino ci rendiamo sempre più consapevoli che soprattutto noi abbiamo bisogno di rivedere il nostro modo di vivere l’Eucaristia domenicale, il nostro lavoro, i rapporti in famiglia. Il confronto con le giovani famiglie ci provoca a un cammino più autentico e più gioioso. Ci aiuta a ridimensionare anche le nostre preoccupazioni, le paure, le fatiche. Soprattutto ci rende più consapevoli dell’importanza di appartenere a una comunità che è disponibile ad aiutarci nei vari cammini di fede.E per crescere nella fede ci aiutano molto gli incontri periodici in cui apriamo il Vangelo insieme e ci lascia-mo interpellare e chiamare nella progressiva scoperta

di un Dio che ha cura di noi, ci accoglie nella nostra piccolezza, non ci abbandona nelle difficoltà e ci rivela continuamente il suo amore, paradossale e imbattibile, che dà senso alla nostra vita donandole gusto e gioia. Quella gioia che è vera e duratura!Nell’ultimo periodo il nostro servizio si sta organizzando meglio per riuscire ad offrire alle famiglie piccoli per-corsi dopo il Battesimo. Alcune famiglie del gruppo si sono rese disponibili sia nel percorso 0-3 anni (chiamato Nazaret, la prima domenica del mese) sia soprattutto nel percorso per genitori e bambini 3-6 anni (un sabato pomeriggio).Inoltre all’interno del gruppo Siloe alcune mamme hanno dato la disponibilità di incontrare le mamme con bam-bini entro il primo anno di vita per comunicare, in un cli-ma di accoglienza e di confronto sereno, fatiche, gioie, cambiamenti e… nuovi impegni.

Se qualche famiglia della Comunità Pastorale vuole en-trare nel nostro gruppo o vuole da noi un aiuto, siamo felicemente disponibili.

Battesimo Alcune famiglie durante la cerimonia

Le famiglie Siloe con suor Antonietta

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Conferenza di San Vincenzo

i pensa alla ricca Monza, ma anche qui la po-vertà, complice la crisi, ha messo le radici e proprio vicino a noi, a S. Biagio, San PioX e Santa Gemma. Ecco qualche racconto dei vo-

lontari della San Vincenzo che cercano di alleviare la condizione, non facile, di tanti fratelli, italiani e stranieri. Piergiovanni Bellomi, presidente della conferenza di S. Biagio, ed Elide Meani, presidente della conferenza di San Pio X, ci fanno scoprire chi sono i poveri che ci vivono accanto e come intervengono i vincenziani. Spesso comincia così. Si varca il portone della chiesa o della casa parrocchiale e si va dal sacerdote: è a lui che arriva la prima domanda di aiuto. Oppure è il passaparola a portarli ai confratelli della San Vincenzo, come è avvenuto tra famiglie delle case Aler dove sul-lo stesso pianerottolo abitano persone che non sanno come arrivare alla fine del mese. Racconta Elide Meani : “Il primo passo di solito è timido, arrivano da te con la bolletta scaduta, ma ci vuole un po’ perché si aprano e allora scopri che dietro quella bolletta il problema è più grande”.Ci sono storie complesse di persone, di famiglie che spesso hanno in comune la perdita del lavoro e l’inca-pacità o l’impossibilità di trovarne un altro. I motivi sono i più diversi, l’improvviso crollo, per scelte o valutazioni sbagliate, di un giro precario di lavori che fino a quel momento aveva retto, oppure la ditta che ha chiuso per colpa della crisi. Sì, la crisi che ha triplicato i poveri nelle nostre parrocchie nel giro di pochi anni. Dal 2007 a oggi, nei soli quartieri di San Biagio e San Pio X, si è passati dal seguire 25-30 famiglie, a curarne circa un centinaio. Quasi parimenti divise tra famiglie di italiani e di immigrati.Alla difficoltà economica e del lavoro spesso si aggiun-ge la malattia, un’altra delle cause che getta nel baratro del bisogno persone che sono meno attrezzate di altre ad affrontare il nostro mondo, con le sue complicazioni burocratiche e i suoi percorsi complessi. Compresi quelli per chiedere aiuto, come ad esempio fare le pratiche per ricevere un accompagnamento o una pensione d’in-validità. Quando poi il male colpisce l’unico soggetto che produce reddito all’interno del nucleo familiare, le

cose si complicano ancor di più.C. è giovane, ha trent’anni quando la malattia lo travol-ge. È italiano ed è solo. Quel grande paracadute che è la famiglia di appartenenza per lui non c’è. In poco tempo la sua vita crolla, si perdono il lavoro, la casa, compaiono i debiti. Tutto viene travolto in poco tempo e il futuro si fa buio, quasi senza speranza. Il riscatto per lui avviene attraverso l’incontro coi vincenziani. Bussa-no alla sua porta, sono in due, entrano nella sua casa e iniziano a parlare. Funziona così, in modo semplice e concreto, con i volontari che ti vengono a trovare e ascoltano la tua storia. Questo è il primo passo per usci-re dalla solitudine della propria condizione e cominciare a tessere quel dialogo che riallaccia i legami con la comunità. Da quel primo incontro i volontari iniziano il delicato percorso di costruzione di un rapporto di fidu-

SMi dai una mano?

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cia e di un dialogo schietto e veritiero, rispettoso della persona, ma che nel contempo vuole entrare dentro i problemi concreti che la riguardano. La prima premura è tamponare l’emergenza, si porta la spesa, se c’è il rischio di essere buttati fuori di casa si cerca il modo per-ché questo non avvenga e l’aiuto arrivi senza clamori. In un secondo tempo viene coinvolta tutta la conferenza (ossia il gruppo di volontari che si occupa di quella zona) e insieme si ragiona sulle problematiche della persona e si fa un progetto il cui obiettivo è l’uscita dal bisogno e il raggiungimento dell’autonomia. È così che è avvenuto per C.. I volontari hanno attivato la rete di assistenza e solidarietà presente sul territorio partendo dalle parroc-chie, dal comune, dalle ASL. Una rete che per chi è nel bisogno non è facile mettere in moto. Hanno contattato i servizi sociali, avviato le pratiche per ottenere la pensio-ne d’invalidità, aiutato a cercare casa con un affitto sop-portabile, chiesto se c’era qualcuno che voleva aiutare anche per imbiancare o per il trasloco. Azioni concrete, pensate dentro un progetto che viene messo in moto per rendere autonomi. Tuttavia non sempre ci sono situazioni che vanno a buon fine come quella di C.. Lo scoglio più grande è quello del lavoro. È difficile trovare delle soluzioni anche tem-poranee. Tante sono le difficoltà, alcune derivanti dal marchio che la società mette su quelli che sbagliano, basti pensare a chi ha alle spalle il carcere, ma le più grandi arrivano dalle realtà produttive stesse. La possi-bilità di creare o instaurare legami con piccole attività cooperative è ridotta per la crisi economica, per gli in-numerevoli adempimenti legali e fiscali. Infine il canale spesso utilizzato dell’assistenza domiciliare ha subito una battuta d’arresto. Le famiglie italiane non riescono a sopportare la spesa mensile per la badante, così an-che queste faticano a trovare un posto. È un momento particolarmente difficile e la San Vincenzo si sta interro-gando sul lavoro cercando idee nuove che creino im-piego, anche se provvisorio, perché in certe situazioni portare a casa 150 euro in una settimana, seppur poco, è una reale e benefica boccata d’ossigeno. Tuttavia non bisogna perdere la speranza, a volte in situazioni più piccole si può trovare un’idea risolutiva. Può capitare che due problemi messi insieme creino una soluzione, così è stato per una giovane mamma single che rischia-va di perdere il lavoro e una famiglia di due persone anziane, una pensionata e l’altra disoccupata. La prima non trovava a chi affidare i bambini per coprire il turno serale fisso e obbligatorio, la seconda aveva bisogno di trovare un’entrata economica per supportare la pensione insufficiente. La coincidenza di abitare nello stesso sta-bile e di aver interpellato entrambe la San Vincenzo ha

permesso di creare una sinergia risolutiva.In altri casi, molto più complicati, di famiglie d’immigrati dove manca il lavoro e magari vi sono anche la malattia e bimbi piccoli da crescere, è tutto più difficile. Tuttavia queste famiglie, che avrebbero una rete di parenti più ampia e pronta a dar loro sostegno nel Paese d’origine, restano in Italia, perché là non riceverebbero le cure che offre il nostro sistema sanitario. Quindi, pur in mezzo ad una situazione durissima, le cose vanno faticosamente avanti. L’alloggio è l’altra grande emergenza. La San Vincenzo, insieme alla Caritas, gestisce 25 appartamenti pensati per soggiorni temporanei (da 6 mesi a un anno) per fa-miglie che perdono casa. Oggi è una soluzione in crisi, perché le famiglie non riescono ad andarsene da questi alloggi temporanei e quindi a garantire ad altri quella sistemazione. Lavoro, casa, malattia, questi i problemi che accomunano i poveri italiani e stranieri che ci abita-no accanto e rispetto ai quali la San Vincenzo non resta indifferente. “Nei casi più complicati, spiega Bellomi, quello che possiamo fare è andare a trovarli portare un po’ di spesa e stare con loro un’ora ogni quindici giorni o ogni mese, per raccontarci le cose che viviamo. Quello diventa un modo per restare agganciati a quella realtà, poi magari non riesci a incidere. Dire che condi-vidi la loro situazione è una parola grossa, ma questo rapporto è quello che ci aiuta ad essere attenti alle esi-genze delle persone e quando ci capita, di proporre qualcosa che li possa aiutare. È il rapporto continuativo quello che ci dà una mano ad essergli vicino. Perché poi su certe cose è difficile proporre qualcosa che permetta un vero riscatto.”

Se hai bisogno di aiuto, o se vuoi dare un aiuto, questi sono numeri della San Vincen-zo nelle nostre parrocchieSan Biagio tel. 039 2329640San Pio X tel. 348 9047838

CHIAMACI

Paola Gaviraghi

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innovare l’impegno di portare a tutti l’annuncio del Vangelo, questo ha ribadito il Santo Padre nel suo messaggio per la Giornata Missiona-ria Mondiale dello scorso 23 ottobre, ispirato

alle parole del discorso di Gesù nel Vangelo di Giovan-ni: «Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi» (Gv 20,21). Il tema centrale della 16ª giornata missio-naria continua a ripetere l’esigente ed esaltante invito di Gesù che chiede ai suoi discepoli l’impegno forte e deciso nell’annuncio della buona Novella, del Vangelo. L’attenzione missionaria qualifica anche oggi l’identità di noi, cristiani in cammino sulle orme di Cristo Signore. Siamo tutti chiamati a dare una testimonianza coerente, ai vicini e ai più lontani, del messaggio di gioia e spe-ranza che ci sostiene, sorretti dall’incontro con Gesù che cambia la vita, nell’incontro comunitario e dei poveri, nella preghiera e nei Sacramenti, dono di Dio per noi, e per tutti. Come aiutarci concretamente, in parrocchia, a cresce-re in questa responsabilità? Come uscire da noi stessi, dalla mentalità corrente, con-vertirci, e coltivare rapporti di verità autenticamente cristiani? Un percorso di matu-razione personale, comunitaria e culturale può aiutare a dare risposte alle sfide di senso e di significato che viviamo quotidianamente. Anche quest’anno l’impegno del gruppo missionario è stato quello di selezionare proposte di partecipazione comunitaria a più livelli, nel tentativo di presentare iniziative adeguate a giovani e meno giovani. Oltre alle catechesi e al coro proposto dai giovani, con canti di tutto il mondo, oltre la com-memorazione nelle date liturgiche dell’ottobre missiona-rio, della giornata della Santa infanzia a gennaio, e di quella dei martiri missionari a marzo, sempre stimolanti e significativi risultano gli incontri con laici e religiosi di ritorno o in partenza per luoghi di missione.Missione e famiglia: una famiglia in missioneDopo aver invitato gli scorsi anni un religioso, padre Giancarlo Politi, del PIME (esperto di presenza missiona-

ria in Cina) e le giovani Valentina Caimi, Arianna Lucchi-ni e Valeria Panerai (per illustrare alcune problematiche dei cristiani in Medio Oriente), quest’anno abbiamo invi-tato in parrocchia una famiglia intera, per approfondire il tema della missionarietà. Alla Rotonda di San Biagio, il 20 ottobre sera, Eugenio Di Giovine, anche a nome della moglie Elisabetta, a casa con i piccoli, ha reso una testimonianza intensa e gioiosa della loro vita in missione dal 2006 al 2009: su mandato della Diocesi Ambrosiana in risposta alla richiesta del Vescovo vene-zuelano, si sono prestati generosamente a rispondere alle attese di cura pastorale della comunità locale, testi-moniando in mezzo alla gente la dimensione di chiesa domestica aperta alla vita e alla erigenda parrocchia.I coniugi Di Giovine sono francescani secolari originari di Milano; ora, di ritorno, vivono a Bollate. Partiti in at-tesa della secondogenita, sono stati inviati col mandato “Fidei donum” dall’Arcidiocesi di Milano, in Venezue-

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Ottobre missionario

Siamo tutti chiamatia evangelizzare

Col Vescovo Elisabetta di Giovine, Padre Pedro, il Vesco-vo di Guanare, le piccole Teresa e Sara ed Eugenio

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la, nello Stato di Portuguesa, esattamente nella Città di Guanare, nel barrio (simile al nostro quartiere) “La Impor-tancia”, nelle vicinanze della Chiesa San Antonio, per la cura pastorale, in mancanza di un sacerdote fisso.Situata nella zona centro occidentale del Venezuela, Guanare ha 180.000 abitanti; il barrio “La Importan-cia” dove hanno deciso di risiedere è uno dei quartieri popolari della città dove hanno avuto modo di scambia-re doni di fede, speranza e carità, a favore di giovani, inventando oratorio e carità operosa grazie anche al costante sostegno organizzativo (non economico, in ot-temperanza al voto di povertà francescana fatto dai Di Giovine) della chiesa ambrosiana. Di ritorno dal Venezuela, l’anno scorso, in compagnia di ben 3 figli e in attesa del quarto (che ora ha quattro mesi), la famiglia è aperta a rendere il dono della testi-monianza responsabile ed entusiasta dei miracoli della provvidenza. La loro visione di Chiesa Cattolica richia-ma alla partecipazione semplice ma attiva e responsabi-le delle famiglie cristiane, in comunione con i presbiteri, e per la miglior accoglienza e comprensione delle forme di religiosità delle famiglie di migranti.L’amore verso la missione ha dato loro forza entusia-smo, coraggio. Si avverte con chiarezza la gioia del “centuplo quaggiù” promesso a chi si mette a servizio del Vangelo. L’esperienza che Eugenio ed Elisabetta Di Giovine hanno vissuto in Venezuela rivela la dimensione missionaria della famiglia, forma di apostolato adatta alla confessione di fede nel contesto occidentale quanto in quello della Chiesa sorella che li ha accolti ed ospitati per tre anni. Interessanti i riferimenti culturali di studio e approfondimento su aspetti culturali e antropologici delle famiglie, e sul contesto delle comunità cristiane in sud America.Giornata Missionaria in tavolaSplendido il pranzo comunitario in oratorio a San Bia-gio: una novantina tra parrocchiani e persone straniere residenti a Monza hanno accettato l’invito e si sono rese disponibili ad essere coinvolte nella convivialità, per un

momento di festa e di reciproco apprezzamento e scam-bio.. di doni culinari! Tra la meraviglia del dono recipro-co, la gratitudine anche per la eccezionale presenza delle religiose Suor Fiorenza, Madre Superiora dell’Or-dine delle Missionarie di S.Gemma, e Suor Gemma, medico chirurgo dell’ospedale sostenuto in Tanzania, a Dodoma. Il contributo festoso dei giovani e del coro ha reso signi-ficativo ed esaltante anche il pomeriggio (con merenda e concorso fotografico) dove si è richiesto di continuare la raccolta fondi a favore della Scuola dell’Infanzia Aida di Betlemme, dove operano le Suore Missionarie France-scane del Cuore Immacolato di Maria.Adozioni, sostegno a distanzaQuale filiazione delle attività del gruppo di San Pio X, anche a San Biagio si è diffusa la raccolta di offerte per adozioni e sostegno, anche solo scolastico, a distanza, micro realizzazioni in India, Brasile, Bangla-desh, Guinea, Timor Est, in collaborazione con le Suore Missio-narie dell’Immacolata e Salesiane.L’iniziativa è atta a far crescere la solidarietà nello spirito missio-nario. Il sostegno a distanza è prezioso, nella consapevolez-za che, ad esempio, sostenere economica-mente uno solo di due gemellini, in Guinea Bissau, la mamma sia aiutata a crescerli entrambi in fa-miglia. I ragazzi in età scolare spediscono annualmente ringraziamenti ed auguri, per il tramite dell’Istituto delle Suore che se ne occupa. L’offerta, certificata, è detrai-bile.Quest’anno il sostegno a distanza ha raggiunto oltre 170 ragazzi.

Hai qualcosa da raccontarci? Qualche foto da mostra-re? Ti interessano notizie di iniziative e possibilità di sog-giorno in missione?Ti aspettiamo, contattaci!

Maria Grazia Simoncini

In concerto Il Coro Giovani di San Biagio

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l Gruppo intervento è un’esperienza di volonta-riato nata più di trent’anni fa nella Parrocchia S. Pio X. Fin da subito la nostra finalità è stata quella di condividere con le famiglie dei ragazzi con

handicap un po’ di tempo libero, quello che loro tra-scorrevano spesso in solitudine e isolamento, anche a causa della cultura dell’epoca, che relegava le persone con difficoltà nell’anonimato e ai margini. Col passare degli anni, la condizione sociale delle persone disabili è notevolmente migliorata, ma il sostegno e l’attenzione che una comunità cristiana viva e attenta è chiamata ad avere vanno continuamente sollecitati. Pur accogliendo al suo interno sensibilità religiose e ideologiche diver-se, ancora oggi il Gruppo intervento vuole essere una proposta cristiana e parrocchiale di condivisione vera, fraternità sincera e comunione totale: non chiediamo ri-tagli di tempo, non offriamo il tempo che avanza ma vorremmo aprirci come pane spezzato anche a chi sof-fre e vive situazioni difficili, nei momenti e coi tempi che abitualmente dedichiamo alle persone care, agli amici

e a coloro cui vogliamo bene. Ogni domenica, a turno, divisi in cinque gruppi diversi di volontari di tutte le età, animiamo il pomeriggio in compagnia di questi amici e delle loro famiglie. Quando è possibile si aderisce alle iniziative parrocchiali, favorendo un’integrazione ade-guata, altrimenti si effettuano brevi gite nei dintorni, si va al cinema, si partecipa a feste, spettacoli, fiere o inizia-tive del territorio. Inoltre si organizzano pranzi, cene, se-rate, veglie di preghiera e si girano film che partecipano a festival internazionali… Ogni tanto si vincono premi e si fanno viaggi!Il momento forte dell’attività del Gruppo intervento resta però da sempre la vacanza estiva, che attualmente si trascorre a Pinarella di Cervia, gli ultimi dieci giorni di agosto. La vacanza è sempre aperta a tutti i parrocchia-ni e anche quest’anno circa 170 persone, da uno a ottant’anni, hanno trascorso giornate serene in compa-gnia, come una grande famiglia; anche quest’anno si è compiuto il miracolo e inspiegabilmente, senza bisogno di etichette, formule, grandi organizzazioni, schemi, re-

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Gruppo intervento

In vacanzacon lo Spirito nel cuore

Cervia Don Silvano, come tutti, partecipa al momento di riflessione e preghiera di inizio giornata

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golamenti e servizi d’ordine, una comunità ha sperimen-tato la gioia, la bellezza e la santità dello stare insie-me, godendo della diversità, abbracciando la varietà e amando la gratuità. Ci fa bene scoprire ancora una volta che condividere personalmente l’esperienza della sofferenza con chi la vive ogni giorno ci fa crescere, ci unisce e ci rende fratelli: grazie dunque ai nostri amici, perché senza di loro non esisterebbe e non avrebbe sen-so il nostro stare insieme. Grazie ai nostri amici, perché senza di loro i nostri figli, bambini, adolescenti e giova-

ni, non sperimenterebbero la bellezza del servizio e del farsi prossimo. Grazie ai nostri amici, perché senza di loro non saremmo capaci di restare nella domanda e nell’assenza di risposte, senza accampare ragioni e giu-stificazioni retoriche e vuote. Grazie ai nostri amici, per-ché senza di loro non avremmo sentito sulla nostra pelle e nel nostro cuore il soffio dello Spirito Santo. Grazie ai nostri amici per il miracolo che tramite loro si compie in continuazione e che noi tutti sperimentiamo: la gioia condivisa si moltiplica, il dolore condiviso si dimezza.

Riflettere e “pucciare” i piedi Luciana Tagliabue

nche quest’anno ho accompagnato il Gruppo intervento, volontari e diversamente abili, alle vacanze di Cervia (Tagliata o Pinarella ancora non l’ho capito, dopo tre anni!).

Queste vacanze, come sempre, sono cominciate prima di arrivare al mare, nel senso che la preparazione è im-portante e serve per costruire il “clima” di collaborazione e di amicizia. Mi è piaciuto vedere un bel gruppo di adolescenti e giovani (compresi anche alcuni che, per diverse ragioni, a Cervia non sarebbero potuti venire) trovarsi alla sera in oratorio per preparare cartelloni e scenografie per l’animazione delle serate.Ma la preparazione serve anche per elaborare la pro-posta educativa. A Cervia infatti si arriva con un “libret-to” che contiene spunti e riflessioni da usare durante la vacanza, soprattutto come apertura e chiusura della giornata, condivise da tutti.Il libretto, nuovo ogni anno, è produzione propria del Gruppo intervento, opera di un gruppetto, di cui anch’io ho fatto parte, che quest’anno ha preso spunto dalla storia di Peter Pan per innestarvi proposte direttamen-te o indirettamente ispirate al Vangelo e all’esperienza cristiana. Ho ammirato la genialità dei miei amici (più esattamente delle mie amiche) e la loro intuizione nel sa-per raccordare le domande nascoste nella storia narrata da un testo letterario con le risposte offerte dalla Storia narrata dai Vangeli.Dei giorni passati a Cervia vi racconterò alcuni aspetti non dico negativi, ma problematici, nel senso che na-scono, come in tutte le cose vive, situazioni nuove: non è saggio lasciarle crescere a caso; bisogna osservarle, discuterne e indicare alcuni orientamenti per una soluzio-ne. E vi racconterò poi delle esperienze positive, così da lasciarvi alla fine il dolce in bocca.* Eravamo in tanti: più di 160, e rispetto agli anni scor-si è aumentato il numero delle presenze “temporanee”,

cioè soltanto per qualche giorno.Partecipanti numerosi e presenze temporanee possono essere anche segni belli e postivi di una esperienza aperta e accogliente. Il rischio è che la presenza dei di-versamente abili si riduca ad essere marginale nella pro-posta educativa della vacanza: faccio vacanza dove ci sono anche loro; e non: faccio vacanza “insieme” a loro o addirittura “per” loro.* Un numero discreto, crescente anche questo rispetto agli anni precedenti, di preadolescenti e adolescenti “soli” cioè non accompagnati dalle rispettive famiglie. Li ho ammirati per come sono stati capaci non solo di con-vivere, ma di dedicarsi ai disabili. Forse, però, hanno anche bisogno di un adulto che li raccolga, li accompa-gni e li segua.* Come capita quasi in tutti i gruppi e le associazioni, tra quelli della ”prima ora”, presenti fin dalla nascita del Gruppo intervento, e quelli dell’ “ultima o penultima ora” affiorano piccole diversità di stili, di comportamenti, di convinzioni e di attese che creano qualche disagio e qualche sofferenza. Non conviene nasconderle, ma af-frontarle in un confronto sereno e tollerante.Tra le esperienze positive invece metto ai primi posti* l’originalità e la valenza formativa di questa proposta di vacanza “insieme” e “per” i diversamente abili.* la dedizione anche dei giovani e degli adolescenti ai diversamente abili: ho visto gesti di attenzione e tenerez-za che mi hanno commosso e stupito* la presenza di giovani provenienti da altri paesi, invi-tati da amici, compagni di scuola o di università: allarga le conoscenze e le esperienze. Quest’anno avevamo un gruppo di diversamente abili di Lentate sul Seveso con i loro animatori: inserimento, presenza e collaborazione sono state spontanee, immediate e preziose.* la disinvoltura con la quale anche i bambini più piccoli imparano a stare con i diversamente abili

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* la presenza di un gruppo “transgenerazionale”: dai vecchi come il sottoscritto fino ai piccolissimi. Per me questo è un valore grandissimo e difficilmente rintraccia-bile altrove.Qualcuno potrebbe chiedersi: e il prete che ci sta a fare a Cervia? Che cosa debba fare il prete alla vacanza del Gruppo intervento non lo so. So quello che faccio io.* Intanto ci sono e godo di poter stare senza assilli con persone amiche che in parrocchia vedo sempre di cor-sa.* Celebro la messa nelle feste comandate e una volta durante la settimana e queste non sono le messe “mie”, proposte da me, ma volute e proposte dal Gruppo, an-zitutto per i componenti del Gruppo e per tutti i presenti. Gli altri giorni celebro la Messa per devozione mia e di coloro che desiderano essere presenti.

* Propongo ogni giorno una riflessione al momento dell’apertura della giornata, accompagnata (e anche questo è bello) dalla testimonianza di qualcuno del grup-po.* Non ho compiti di organizzazione di sorveglianza e non chiamo nessuno a “rapporto”: se qualcuno mi vuol parlare ci sono e ascolto* “Puccio” i piedi nel mare una volta arrivato e prima di partire!Un’ultima osservazione: una vacanza così non potrebbe riuscire così, cioè non così bella e arricchente, se non fosse il momento di un ritrovarsi che dura tutto l’anno, domenica per domenica; osservazione questa che è un invito per chi volesse conoscerci a farsi avanti.

don Silvano

Istantanee da Cervia

Che vacanza! La gioia condivisa si moltiplica...

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Con i preti di S.Pio X

er i fedeli di San Pio X è già una tradizione: riunire ogni anno, nella concelebrazione della messa, tutti i sacerdoti che abbiano operato all’interno della parrocchia. Un modo per ritro-

varsi, per parlare di quando si era bambini e dei figli che sono poi nati. Un modo di fare memoria del proprio cammino per andare avanti a camminare. E proprio alla memoria è stata dedicata l’omelia di don Giuseppe An-gelini durante la messa. Eccone un estratto.

Ogni Messa celebra la memoria della passione, morte e risurrezione di Gesù: ma anche di tutta la sua vita, perché tutto quel che ha detto e fatto istruisce sulla verità della sua morte e risurrezione. Celebriamo anche la me-moria della nostra vita, il nostro incontro nel suo nome, perché anche questa memoria concorre a rendere viva e operante la sua. La memoria è risorsa assolutamente qualificante della fede. Credere – così possiamo dire con formula schematica, e tuttavia ineccepibile – è pos-sibile soltanto ricordando. Il nesso stretto tra fede e me-moria trova l’espressione suprema nel comandamento di Gesù. Nel comandamento di fare questo – la fra-zione del pane durante la Messa – in memoria di lui; nel comandamento di amarci gli uni gli altri come ci ha amato lui. Il comandamento nuovo è formulato infat-ti così: non amerai il prossimo tuo come te stesso, ma amatevi gli uni gli altri come vi ho amato io. Per capire il comandamento occorre ricordare quel che lui ha fatto per noi. Dopo aver lavato i piedi ai discepoli, deposto l’asciugamano, disse loro: “Sapete ciò che vi ho fatto? Vi ho dato infatti l’esempio, perché come ho fatto io, facciate anche voi.” Occorre ricordare lui, per sapere dove porta la nostra strada. La memoria che più conta è quella di Gesù, certo. Ma quella memoria ha bisogno della memoria più recente, che oggi insieme celebria-mo. Ha bisogno della memoria dei pochi anni – qua-ranta pressappoco – di vita della parrocchia di san Pio X. Pochi davvero questi anni? Pochi nel senso che i più vecchi tra noi, possono ricordare il tempo in cui san Pio X non c’era. Sono pochi gli anni, e tuttavia la parrocchia pare già antica quanto il mondo. Appare così a noi, alla generazione dei padri e dei nonni. Ma appare così anche ai più giovani. Essi non possono personalmente

ricordare; e tuttavia anch’essi san-no in qualche modo che san Pio X è antica come il mondo. Come sanno? Attraverso l’aria che respirano, l’aria del per sempre comunicata dalla testimonianza dei padri. Anche per questo cele-briamo la memoria, appunto per rendere loro respirabile quest’aria. La respirano davvero? I sommovimenti rapidi, addirittura vorticosi conosciuti dalle parrocchie negli ul-timi anni – da questa come da molte altre – rendono meno facile respirare l’aria del per sempre. Rendono più difficile agli adolescenti intuire che hanno alle spalle una lunga tradizione, che ha dato addirittura figura al loro mondo. La memoria, assai prima che dal ricordo preciso di questo o di quello, è un’intuizione; è un’aria che si respira, appunto. E quei sommovimenti rendono tale respiro più arduo. E tuttavia… Anche l’apostolo Matteo, che oggi celebria-mo, entrò nel numero dei seguaci di Gesù in maniera improvvisa, gli chiese di unirsi a lui mentre stava facendo il suo lavoro di gabelliere, un lavoro allora considerato indecente, da peccatore. Pietro e Andrea, Giacomo e Giovanni, erano entrati preparati da Giovanni Battista ed erano entrati insieme, con una lunga storia religiosa comune precedente. Matteo lì per lì dovette sentirsi stra-niero e ospite. Poi vide che sopraggiunsero molti pub-blicani e peccatori e se ne stavano anch’essi a tavola con Gesù e con i discepoli. A quel punto la compa-gnia di Gesù apparve a Matteo meno nuova: in fretta si sentì di casa. Intorno a Gesù anche le sue precedenti conoscenze, con pubblicani e peccatori, assunsero un altro volto e un altro senso. Chiediamo al Signore che rinnovi per le nuove generazioni questo miracolo, del quale siamo stati insieme testimoni: bastano pochissimi anni per vivere una vicenda capace di dare forma alla vita per sempre. Bastano pochi anni per persuadere che siamo un solo corpo e un solo spirito, abbiamo una sola speranza, quella della nostra vocazione. Bastano pochi anni per scolpire nelle menti e nei cuori l’immagine di un solo Signore, di una sola fede, di un solo battesimo. Bastano pochi anni per sottrarci al timore d’essere in questo mondo come stranieri e orfani.

PCredere ricordando

don Giuseppe Angelini

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pprofitto di questa occasione di dialogo, sep-pur mediata dalle pagine di un giornale, per riportare qualche considerazione circa la pro-posta di cammini di fede che la comunità offre

ai giovani. Vorrei partire da un’esperienza che ha coin-volto i nostri giovani insieme a molti e molti altri da tutto il mondo: la Giornata Mondiale della Gioventù (GMG) dello scorso agosto a Madrid.Appena arrivato in questa comunità ho potuto raccoglie-re le eco di questo evento anche nei discorsi e nel deside-rio di riprendere questa esperienza da parte dei giovani della nostra Unità di Pastorale Giovanile (i giovani delle parrocchie S. Biagio, S. Pio X, Santa Gemma di Monza e S. Stefano di Vedano). Ciò significa che l’esperienza ha toccato la vita delle persone che l’hanno scelta. Mi domando: perché un giovane sceglie di partecipare e di investire in una proposta così? Ci sono motivazioni con-tingenti che non nego avere una certa forza: l’andare in una città bella da visitare, il gusto dell’avventura, l’incon-tro con moltissimi altri giovani da tutto il mondo, il sapore di una vacanza speciale, la creazione di un clima da “evento” anche da parte dei mass media. Tuttavia non ritengo che queste motivazioni siano sufficienti a spiega-re la scelta; in fondo i nostri ragazzi ormai viaggiano e

investono denaro nelle loro vacanze anche da soli, in piccoli gruppi; girano i paesi e le città con maggiore frequenza e possibilità; non hanno bisogno di aspetta-re l’occasione per scegliere una vacanza in Spagna. Per di più con i loro pochi amici sarebbero anche più liberi di fare ciò che vogliono. Credo che, seppur con questo contorno, ci sia dietro la scelta di partecipare alla GMG un reale desiderio di fare un’esperienza di Chiesa; anzi forse si parte proprio per cercare un volto della Chiesa che purtroppo nel quotidiano non è così evidente e splendente. La gioia di sentirsi mondiali nella fede, giovani con la propria fede in mezzo a molti altri giovani che la condividono, piccola comunità cristiana, gruppo di parrocchia, in una immensa famiglia.

In questo senso, davvero, l’incontro gioioso che abbiamo potuto vivere ha dato una carica ai nostri giovani. Ag-giungo ancora una piccola considerazione di cui sono meno convinto, nel senso che mi sembra di intuirla, non ho modo di verificarla oggettivamente. L’atteggiamento più freddo di Benedetto XVI rispetto a Giovanni Paolo II, meno immediatamente comunicativo, all’inizio è stato percepito con un po’ di nostalgia, ma in questi anni ha lasciato spazio ad un maggiore ascolto della Parola,

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Pastorale giovanile

Portiamo Madrid a Monza!

Madrid Migliaia di giovani durante la veglia della Giornata Mondiale della Gioventù

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ha favorito un atteggiamento più riflessivo. Mi spiego meglio: tutti siamo stati impressionati dal silenzio durante la veglia del sabato notte, nel momento dell’adorazione eucaristica, come l’attenzione a recepire un messaggio ricco da parte del Papa. Non che questo non ci fosse prima, non intendo dire così. Ma ho avuto l’impressio-ne che il clima fosse spostato un po’ meno sull’aspetto emotivo e un po’ di più su quello riflessivo. I giovani sapevano e hanno trovato conferma che il messaggio del Vangelo, riproposto con autorità dalla Chiesa, è un messaggio che vale la pena recepire.La riprova della forza di questa esperienza l’abbiamo avuta domenica 23 ottobre quando i giovani del deca-nato di Monza si sono ritrovati per riprenderne i contenu-ti. La cena condivisa insieme ha ricreato immediatamen-te il clima familiare di quei giorni; c’erano praticamente tutti quelli che avevano partecipato in agosto e qualcuno in più tirato dentro dall’amicizia; eravamo quasi un cen-tinaio.

Dopo cena alcuni interventi di diverso genere hanno permesso di ricordare e riproporre vicendevolmente le considerazioni di ciascun gruppo parrocchiale a parti-re dalle parole del Papa e dalle catechesi dei Vescovi ascoltate a Madrid. Devo dire che il momento è stato curato e accolto molto bene; i giovani sono riusciti a far emergere degli spunti significativi per la loro vita e la loro fede; si sentiva la memoria di un’emozione, ma anche il ricordo di provocazioni da cui sono nate delle riflessioni che sono continuate in questi mesi .Ora dobbiamo lavorare perché l’entusiasmo non si spen-ga e perché ciascuno possa trovare il modo di mettere in pratica quello che ha intuito. Nella nostra Unità di Pastorale Giovanile questo percorso prosegue con due cammini ordinari e collaudati in questi anni. Un primo è quello dei giovanissimi, cioè dei ragazzi e ragazze tra i 18 e i 21 anni; un secondo cammino è quello dei gio-vani tra i 21 e i 25 anni. Nel caso del primo percorso il ritmo di incontro è settimanale e alterna momenti in cui i giovani si trovano tutti insieme a momenti in cui ripren-dere la proposta in gruppi più piccoli, tendenzialmente parrocchiali, per favorire il confronto. Insieme ai ragazzi c’è una bella equipe di giovani adulti delle diverse co-munità parrocchiali e che credo sia una forza bella per la riuscita della proposta.

I giovani più grandi invece, accompagnati da me e da una coppia, si ritrovano una volta al mese, per un weekend o una sera a seconda delle volte. Qui il cammino è più concentrato per intensità di esperienza e proposta e così un po’ più diluito nel tempo. Certo io

conosco ancora poco queste due realtà, ma devo dire che quello che mi è stato raccontato e che vedo è dav-vero bello. Avrò modo di ritornare prossimamente sulla descrizione delle proposte, magari facendo il resocon-to dell’esperienza di una settimana di vita comune che

vivremo con tre gruppi diversi nel mese di novembre e dicembre. E’ una esperienza forte e che aspetto anch’io con grande curiosità.

Concludo con una domanda: perché facciamo così fa-tica a ritrovare la forza di un’esperienza come quella della GMG nei cammini ordinari del giorno per giorno? Certo, le proporzioni sono diverse, ma qualcosa in più si potrebbe vivere anche qui, durante l’anno. Credo che anche noi adulti dovremmo aiutare i giovani a percepire che nonostante le condizioni di vita, i mille impegni e problemi, i tanti che non credono o criticano la Chiesa, vivere e condividere la fede è possibile ed è bello. Aiu-tarci ad essere positivi nel leggere le attività delle nostre parrocchie, far circolare un po’ di più la stima, educare i piccoli a scegliere non solo ciò che piace ed entusia-sma, ma anche ciò che arricchisce, facendo la fatica di rileggere insieme il valore delle proposte.Sentiamoci tutti coinvolti nella sfida di trasmettere la fede ai giovani, agli adulti di domani; e porgiamo l’orecchio a cogliere anche la loro voce, apriamo gli occhi per vedere cosa di nuovo e di bello ci pongono.

Oltre la GMG L’incontro organizzato il 23 ottobre fra i giovani del Decanato che sono stati a Madrid

don Alessandro

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osta - Monza, gli estremi dell’ottava edizione della fiaccolata di S. Pio X, ormai una tradizio-ne consolidata. La scritta a ricordarlo appare sulle magliette dei partecipanti, quest’anno di

colore arancione. Biciclette, auto e pullmini, tanti ragaz-zi e ragazze, i grandi a dare un occhio. L’arrivo è tradi-zionale: in corteo alla Chiesa di S. Pio X, per la Messa delle 18.30 della domenica, l’ultima domenica prima dell’inizio della scuola. La partenza invece merita di es-sere precisata. La visita di Aosta ha occupato la prima giornata, lo scor-so venerdì 9 settembre. Ma l’avvio della staffetta in bi-cicletta, sabato mattina, non era dal capoluogo, ma in quota, al fresco (freddo?) del Gran S. Bernardo, appena qualche tornate più in basso del valico con la Svizzera che è a 2473 m. Tappe intermedie del tracciato tra Val d’Aosta, Piemonte e Lombardia: Pont Saint Martin (AO) per il pranzo di sabato, Chieri (TO) per il secondo per-nottamento, Borgo Vercelli per il pranzo di domenica.A distanza di più di un mese, chiedo ai molti adolescen-ti che vi hanno partecipato con entusiasmo, di scrivere cinque ricordi non banali che sono rimasti impressi nella mente e nel cuore. Ne ottengo risposte assai coincise, ma significative.

«La camminata sotto luna». Un’iniziativa improvvisata: visto che siamo poco distanti dal passo del Gran San Bernardo, una scarpinata di un’oretta, visto che c’è la A

Oratorio in movimento

Fiaccolata Aosta-Monza

In posa Il gruppo che ha partecipato alla fiaccolata

Pronti via! Il riposo prima della partenza

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luna piena, visto che la serata è già organizzata, perché non salire al passo dopo la serata, in piena notte, sotto il cielo stellato (“allunato”), con chi ci sta? Alla fine ci stanno quasi tutti, e insieme si raggiunge il laghetto che

c’è al passo, in posa per la foto di rito. Fantastico.«I bei paesaggi». Un po’ generico. Ma quando pedali, a una velocità umana e senza grandi distrazioni, ine-vitabilmente ti accorgi dell’ambiente: la valle del Gran San Bernardo con i boschi e i monti, i castelli della Val d’Aosta (superbo il forte di Bard che mi è apparso da-vanti mentre pedalavo!), il centro di Ivrea e quello di Chivasso, il Po, la collina di Superga, i luoghi di don Bosco (paesaggi spirituali!), la pianura padana con i suoi rettilinei... Quando si è in pullmino o in auto è un

po’ più difficile vedere e apprezzare.«La fatica nelle pedalate». In realtà di frazione faticose ce ne sono state poche, due o tre. Grandiose le più gio-vani della compagnia, Claudia e Virginia, impegnate nel tratto più impervio, sulle colline tra Chivasso e Chieri: avranno scritto loro questo ricordo? Penso di no. Per il resto una lunga discesa iniziale e tanta pianura, con il diversivo di qualche cavalcavia.«La gioia di portare a termine i nostri buoni propositi». Non mi è chiaro il senso: raggiungere il passo a piedi? Arrivare in fondo a ogni frazione in bici? Giungere pun-tuali a S. Pio X? Oppure sono propositi più personali: riconciliarsi con qualcuno? Rinunciare a qualcosa? Pro-porsi come animatori per le domeniche insieme? Sull’esi-to di questo proposito verificheremo al termine dell’anno pastorale! … Intanto rimane il mistero.«La responsabilità di rispettare i luoghi di vita comune (es. pullmini) e gli oratori a nostra disposizione». Una piccola indicazione di buona educazione, che non è rimasta inascoltata. Grazie.

Totem Durante il viaggio c’è tempo per divertirsi

don Roberto

In viaggio Tra monti e foto in posa

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a 84ª giornata missionaria mondiale, celebrata il 23 ottobre scorso, è stata anche l’occasione per la Professione di Fede degli adolescenti di prima superiore nelle parrocchie di S. Biagio

e S. Gemma, al termine del cammino di preparazione dello scorso anno che ha avuto come tappa più signifi-cativa il pellegrinaggio pasquale a Roma. Il rito della Professione di Fede consiste nella recita del “Credo”, che è il “Simbolo della fede”, sull’altare, da-vanti alla comunità riunita per l’Eucaristia domenicale. I veri riti non sono semplicemente gesti formali, ma hanno un significato esistenziale: professare la fede non vuol dire soltanto pronunciare alcune parole che sintetizzano

ciò in cui si crede (le verità, o meglio le persone in cui si crede!), ma dare visibilità e concretezza a questa fede con la vita, la solidarietà, la responsabilità. Agli adole-scenti sono stati proposti impegni di servizio alla propria comunità e il tema di quest’anno del percorso dei loro incontri di formazione è proprio la responsabilità.A coronamento della Professione di Fede, la giornata missionaria ci ricordava che la Chiesa non è una serie di regole da onorare, ma una comunità di persone che an-nunciano la gioia con la vita; e il brano di Vangelo della liturgia domenicale richiamava il duplice comandamen-to cristiano, amare Dio e amare il prossimo. Esattamente il senso della Professione di fede.

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Professione di fede adolescenti

Verso una fede più matura

partire dal racconto biblico del ragazzo Davi-de, futuro Re d’Israele, si vuole accompagnare la stagione della crescita dei ragazzi di se-conda e terza media aiutandoli a vivere con

intensità e gioia alcuni valori essenziali per il cristiano: la fede e l’ascolto di Dio, la ricerca del suo progetto, la coscienza delle proprie e altrui risorse, la bontà, il coraggio, l’amicizia, l’umiltà, il perdono, la generosità, la responsabilità, la resistenza agli idoli, la preghiera.

Questi e altri argomenti vengono proposti attraverso esperienze, giochi, laboratori e attività pratiche, durante gli incontri settimanali nelle parrocchie e nei “meeting” periodici tra i tre oratori della Comunità Pastorale e l’ora-torio di Vedano al Lambro. Il cammino comune è iniziato nel pomeriggio di sabato 8 ottobre a “Campo de’ Boi”, sulle colline sopra Lecco. Venerdì 28 ottobre, il secon-do appuntamento comune: pizzata a Vedano al Lambro con una cinquantina di preadolescenti e i loro educatori.

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Percorso preadolescenti

Un ragazzo,la sua fionda e Dio

d. R.

d. R.

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Scaffale

ono certamente mol-ti i lettori che, a 25 anni di distanza dalla morte, ricordano an-

cora don Luigi Serenthà che ci ha lasciato a soli 48 anni. I miei coetanei lo ricorderan-no anche ragazzo all’oratorio e alle scuole parrocchiali, i più giovani non possono aver dimenticato il sorriso dolce di questo prete gioviale, la sua parola calda e fluente, la sua intelligenza viva. Infatti don Luigi, sambiagino di nascita, divenuto prete, insegnò alla Facoltà Teologica di Milano e poi fu nominato dal Cardinal Martini, che di lui aveva grande stima, rettore maggiore dei Seminari milanesi, ma non mancava di tornare, appena poteva, prima a San Biagio poi, quando don Peppino Arosio divenne parroco a San Giuseppe, in quella parrocchia, dove passava le nottate a colloquio con i ragazzi.

Oltre all’insegnamento della teologia, don Serenthà si dedicò alla pastorale giovanile dell’Azione Cattolica e all’assistenza religiosa all’Istituto per ragazzi disabili La Nostra Famiglia di Ponte Lambro. Queste due istituzioni hanno voluto ricordare il venticinquennale delle morte con due pubblicazioni. Una, intitolata “ Monsignor Lu-igi Serenthà nel ricordo del Gruppo Amici de La No-stra Famiglia a 25 anni dalla morte”, raccoglie alcuni suoi scritti inerenti alla azione caritativa, l’altra è quella che presentiamo in questa pagina. Il libro, edito dalla Casa Editrice AVE, è a cura della monzese Valentina Soncini, presidente dell’Azione Cattolica Ambrosiana, e ha un’affettuosa prefazione del Cardinal Martini. Una prima parte del volume raccoglie gli interventi di alcuni esperti del pensiero di don Serenthà sul tema del laicato cattolico, la seconda riporta alcuni suoi scritti riferiti ai temi trattati dagli autori.Tullio Citrini e Antonietta Cargnel affrontano da diverse angolazioni il tema del laicato cattolico e in particolare il ruolo dell’Azione Cattolica: si illustra il pensiero di don Serenthà che aveva centrato la specificità del laicato, secondo l’insegnamento del Concilio, non sulla differen-

za con il clero ma sull’adesione a Cristo operante nella storia e sulla “scelta religiosa” e non politica dell’Azione Cattolica, come conseguenza di questa visione cristo-centrica. Severino Pagani si sofferma sul tema della vo-cazione, che Serenthà aveva approfondito come rettore del Seminario, sottolineando la concezione che tutta la vita del cristiano deve essere una risposta a una vocazio-ne personale che viene da Dio. Marco Vergottini ricorda l’insegnante di teologia, il suo stile volto all’essenziale, la ricchezza della sua umanità.

Vi sono nel libro anche delle splendide pagine di Franco Giulio Brambilla che illustrano pienamente la figura di don Luigi e che meriterebbero di essere lette da tutti. L’autore, ben noto ai monzesi, vescovo e attuale preside della Facoltà Teologica, definisce don Luigi “maestro di relazioni”, vedendo nella sua capacità di relazionarsi con gli altri la sua principale caratteristica e ne passa in rassegna i vari tratti. La “relazione amicale” è quella che ha fatto di don Luigi l’amico e il padre dei bambini cerebrolesi della Nostra Famiglia; la “relazione pastora-le” ricorda il dono straordinario di don Luigi che parlava come se “un filo d’oro uscisse dalla sua bocca”; la “rela-zione educante” richiama la sua “straordinaria passione educativa” (così si intitola il libro in sua memoria edito nel 1987), rivolta sia agli studenti della Facoltà di Teolo-gica e dell’Azione Cattolica che a quelli del Seminario; la “relazione magistrale” nella quale il suo insegnamento si sviluppava più oralmente che non attraverso gli scritti; infine la “relazione vulnerabile” quando coraggiosamen-te comunicò ai seminaristi e a tutti gli amici la sua ma-lattia mortale. Dei testi che accompagnano gli interventi citati il più significativo è quello famoso, intitolato “Dan-zare la vita”, una conferenza fatta ai giovani di Azione Cattolica nel 1985 e che si può anche considerare un suo testamento spirituale. “Danzare la vita” comporta “sciogliere le mani” ossia aprirsi al prossimo, “muovere i piedi” ossia camminare verso un ideale misterioso, “se-guire la musica” ossia essere seguaci di Cristo crocifis-so. Il testo si conclude con la frase:” Danziamo insieme la gioia della croce del Signore”. Quando ricordo la serenità di don Luigi negli ultimi suoi giorni di vita, pen-so che veramente abbia attuato in sé il programma di “danzare la vita”.

SDon Luigi 25 anni dopo

Beppe Colombo

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don Marco OnetaResponsabile della

Comunità pastorale

don Silvano Casiraghidon Andrea Meregalli

don Emilio Caprotti

don Alessandro Cesanadon Roberto Spreafico

Il Presbiterio dellaComunità PastoraleAscensione del Signore

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