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NEWSLETTER 43-2016 Iscriviti QUI alla Newsletter del Biologico…e non solo! ...ora siamo anche in Facebook!! NOTIZIE DALL’EUROPA, DAL MONDO E… DAL TAMISO Questa settimana parliamo di: Il latte in prima serata, o Petizione per ridurre l’acrilammide nei cibi, La sterlina e la furia, FederBio e Report RAI 3, o Macroanthropos, 50 sfumature di viola… del radicchio, o Di chi è la colpa?, L’accordo fallito, Lasciamoli sottoterra, o L’inglese, lingua strana, Energie rinnovabili: investimenti e costi, o Nuove merci per il capitalismo globale, L’altra verità su Aleppo, L’uomo che parla con le api, o Bambini e permacultura, Ottobre francescano: Via San Francesco rinasce, o Zona 30 per Padova a misura di bambino, Ancora cemento per un parcheggio al Sant’Antonio, Veneto e cemento: la proposta di legge sembra troppo timida, o La patata americana di Anguillara, Olio di palma: Slow Food precisa, o Olio di palma: Greenme informa, Il potere dei consumatori sull’olio di palma, Legame indissolubile fra cambiamenti climatici e agricoltura, o Riscaldamento globale: chi ne paga il conto, Vellutata di zucca. Buona lettura!!!

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Page 1: NEWSLETTER 43-2016 - El tamiso · alti e dannosi rispetto all’effettiva pericolosità per la salute dei cittadini e che verranno controllati dagli operatori della stessa industria

NEWSLETTER 43-2016

Iscriviti QUI alla Newsletter del Biologico…e non solo!

...ora siamo anche in Facebook!!

NOTIZIE DALL’EUROPA, DAL MONDO E… DAL TAMISO

Questa settimana parliamo di:

Il latte in prima serata,

o Petizione per ridurre l’acrilammide nei cibi, La sterlina e la furia,

FederBio e Report RAI 3, o Macroanthropos,

50 sfumature di viola… del radicchio,

o Di chi è la colpa?, L’accordo fallito,

Lasciamoli sottoterra, o L’inglese, lingua strana,

Energie rinnovabili: investimenti e costi,

o Nuove merci per il capitalismo globale, L’altra verità su Aleppo,

L’uomo che parla con le api, o Bambini e permacultura,

Ottobre francescano: Via San Francesco rinasce,

o Zona 30 per Padova a misura di bambino, Ancora cemento per un parcheggio al Sant’Antonio,

Veneto e cemento: la proposta di legge sembra troppo timida,

o La patata americana di Anguillara,

Olio di palma: Slow Food precisa, o Olio di palma: Greenme informa,

Il potere dei consumatori sull’olio di palma, Legame indissolubile fra cambiamenti climatici e

agricoltura, o Riscaldamento globale: chi ne paga il conto,

Vellutata di zucca.

Buona lettura!!!

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LE VERITÀ SUL LATTE IN PRIMA

SERATA Il 10 ottobre scorso, su Rai 3, è andata in

onda la prima puntata di “Indovina chi viene a cena”, il nuovo programma di Sabrina Giannini,

giornalista investigativa di Report. Il video è disponibile cliccando QUI.

In prima serata si è parlato della realtà che sta alla

base dell’industria casearia. E’ stato dato ampio

spazio alle condizioni di vita alle quali sono costretti miliardi di animali in tutto il mondo per

produrre molto più latte di quanto farebbero in natura.

Abbiamo parlato spesso di quanto sia crudele questo tipo di industria, ma il fatto che un

argomento del genere sia arrivato nelle case di così tanta persone è davvero una vittoria per

gli animali e segno che qualcosa si muove nel verso giusto.

Le cosiddette mucche da latte vivono per pochi anni in condizioni disumane e di assoluto

sfruttamento. Ingravidate poco dopo aver partorito il vitello, che verrà strappato loro subito,

produrranno fino a 50 litri di latte al giorno (negli Stati Uniti anche 100) fino a quando, sfinite

e a terra, verranno mandate al macello intorno ai 4/5 anni (in natura avrebbero potuto vivere

oltre i 20 anni).

Diversi studi confermano ormai da molto tempo quanto sia lontano dalla realtà il mito del latte

utile per la prevenzione dell’osteoporosi e di come, al contrario, la sua assunzione sia correlata

all’insorgenza di tale malattia. Nonostante tali studi confermino come sia possibile vivere in

salute senza bere latte e mangiarne i derivati, i media divulgano ancora campagne a favore del

consumo di tale alimento.

Fortunatamente le cose stanno cambiando e anche la televisione, piano piano, aiuta a far aprire

gli occhi alle persone, dando loro la possibilità di incuriosirsi ed informarsi per cambiare stile di

vita. **torna al sommario**

§§§

FIRMA LA PETIZIONE SAFE PER RIDURRE L’ACRILAMMIDE NEI CIBI A giugno dello scorso anno l’EFSA (l’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare) ha emanato un parere scientifico dopo aver condotto un’accurata valutazione dei rischi

per la salute pubblica connessi all’acrilammide presente negli alimenti arrivando alla conclusione che tale sostanza potenzialmente aumenta il rischio di sviluppare il

cancro nei consumatori di tutte le fasce d’età.

L’acrilammide è una sostanza chimica che si forma

naturalmente nei prodotti alimentari amidacei durante la

normale cottura ad alte temperature (frittura, cottura al

forno e alla griglia e anche lavorazioni industriali a più di

120° con scarsa umidità).

Si forma per lo più a partire da zuccheri e aminoacidi

(principalmente un aminoacido chiamato asparagina)

che sono naturalmente presenti in molti cibi. Il processo

chimico che causa ciò è noto come “reazione di Maillard”

e conferisce al cibo quel tipico aspetto di “abbrustolito” che

lo rende più gustoso.

A fine Novembre i vari paesi Membri dell’Unione Europea, fra cui l’Italia, voteranno per la

proposta legislativa sui livelli di acrilamide consentiti nei cibi; A tal proposito SAFE (Safe Food

Advocacy Europe), Associazione europea con sede a Bruxelles che intende tutelare e

rappresentare i consumatori della UE, accoglie la proposta da parte di DG SANTE per ridurre i

livelli di acrilammide presenti nei cibi ma, al contempo, lancia una campagna per informare i

consumatori della pessima proposta legislativa della Commissione Europea che è

possibile ancora modificare firmando la petizione collegandosi a questo link.

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La proposta di DG SANTE, infatti, non ridurrà il livello di acrilamide specificatamente per

i diversi cibi in commercio, né permetterà ai singoli stati membri dell’Unione Europea di

abbassarne ulteriormente i livelli, ma porrà dei Valori Indicativi, non obbligatori eccessivamente

alti e dannosi rispetto all’effettiva pericolosità per la salute dei cittadini e che verranno

controllati dagli operatori della stessa industria alimentare.

SAFE, tramite la sua campagna, chiede alla Commissione Europea di proporre un progetto di

regolamentazione che: riduca davvero i livelli di acrilamide nei cibi ponendo un livello

massimo vincolante per le diverse categorie di alimenti (inferiore ai valori indicativi proposti);

dare la libertà agli Stati membri di adottare misure più rigorose se preferiscono; sviluppare

un codice di buone pratiche basato sul lavoro di autorità per la sicurezza alimentare pubblica e

non su quello dell’industria alimentare, definendo un ruolo chiaro per le agenzie per la

sicurezza alimentare a livello nazionale.

Associazione Vegani Italiani Onlus e VEGANOK, in quanto membri di SAFE e in

collaborazione con SAFE invitano tutti a reagire firmando la petizione. Possiamo ancora

modificare una legislazione che in pochi mesi diventerebbe obbligatoria in Italia e non

tutelerebbe i consumatori.

(da Promiseland/VeganOKNews – ottobre 2016) **torna al sommario**

LA STERLINA E LA FURIA Brexit sta rendendo i britannici più poveri, e

più cattivi.

Questi sono tempi entusiasmanti per la valuta della

Gran Bretagna, e non in senso buono. Alla vigilia del

voto sull'opportunità di lasciare l'Unione europea, a

giugno, una sterlina comprava 1.48 $ USA.

La sterlina da allora è diminuita di oltre il 16% nei

confronti del dollaro, a $ 1.22. Quasi la metà del calo

si è verificato nell'ultima settimana, o giù di lì, quando il governo conservatore ha delineato i

piani per una Brexit "dura": quella che spinge la Gran Bretagna fuori del mercato unico, in

cambio della possibilità di fare più male a se stessa riducendo la migrazione.

In un pezzo per il Wall Street Journal, Greg Ip (un amico ed ex collega) fa un bel lavoro per

spiegare i legami tra Brexit e una sterlina in discesa. I mercati anticipano che diventerà più

costoso per le aziende britanniche vendere beni e servizi in Europa.

Gli europei di conseguenza acquisteranno meno beni dal Regno Unito, e quindi un minor

numero di sterline, portando ad una valuta più debole. Cioè, la sterlina a buon mercato è parte

dell’aggiustamento verso una perdita di competitività britannica: il meccanismo con cui i

britannici spenderanno meno per i prodotti stranieri (ora sempre più cari) come prezzo della

sua scelta di lasciare l'Unione europea.

Come osserva il signor Ip, ciò non è tutto quello che sta succedendo. La Gran Bretagna è anche

in una posizione fortunata, in grado di produrre “depositi” di valore della ricchezza: titoli di

stato britannici, proprietà a Londra, e la sterlina per sé stessa. La capacità di fare queste cose,

che gli stranieri amano tenere, è un po’ come possedere una miniera d'oro o ricchi giacimenti

di petrolio. Gli stranieri comprano un sacco di queste cose di valore, spingendo verso l'alto le

quotazioni della sterlina e rendendo i britannici più ricchi.

Il rovescio della medaglia è un tocco di malattia olandese; le esportazioni sono più costose

di quanto lo sarebbero altrimenti, e molte industrie lottano quindi per rimanere competitive.

Brexit minaccia il valore di tali “assets/beni” magici, tuttavia, e annulla l'effetto della “malattia

olandese”.

Brexit è un po’ come se l'Arabia Saudita si chiamasse fuori dal business del petrolio, dichiarando

che sarebbe piuttosto propensa a lavorare per un vivere in un certo qual modo più “onesto”,

anche se questo rende la sua gente più povera. Questo potrebbe sembrare nobile, anche se fa

riflettere sulla mancanza di immaginazione politica che ha portato gli elettori a farsi più poveri

in modo da poter lavorare di più per quello che ottengono.

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Mr Ip si chiude con una serie molto interessante di pensieri: Brexit si sta trasformando in tal

modo da essere un banco di prova utile per la de-globalizzazione. Alzare le barriere alla libera

circolazione di beni, servizi, capitali e persone non deve comportare recessione o panico.

Può anche controbattere alcune delle rimostranze dietro la reazione anti-globalizzazione. Se la

Gran Bretagna esporta meno servizi finanziari e più prodotti manifatturieri e turismo, il divario

di reddito tra Londra e il resto del paese dovrebbe ridursi. Alla fine, i britannici potrebbe essere

un po’ più poveri di come se fossero rimasti all’interno della UE, ma più autosufficienti e più in

controllo dei propri confini. Questo è il compromesso.

Due osservazioni su questo. In primo luogo, non è ovvio per me che le industrie manifatturiere

saranno sicuramente i grandi vincitori (così com'è) da Brexit. I servizi finanziari sono destinati

ad essere danneggiati, è vero. Eppure, l'industria britannica potrebbe trovare più difficile

rivolgersi a nuovi mercati esteri piuttosto che a quelli britannici. Nel commercio delle merci, la

distanza è importante; "modelli di gravità" del commercio, che ritengono che l'intensità degli

scambi è associata negativamente con la distanza, fanno un sorprendente buon lavoro

spiegando i flussi commerciali attuali.

Ironia della sorte, la rivoluzione digitale ha rafforzato l'importanza della distanza, consentendo

la crescita degli scambi nella catena commerciale delle forniture: il coordinamento della

produzione tra i fornitori in molti paesi diversi. Se lasciare la UE costa alle imprese britanniche

la loro posizione all'interno delle catene di fornitura di “Fabbrica Europa”, le imprese avranno

difficoltà a spostare le attività e incorporarsi nelle catene di produzione in Asia o in Nord

America; tali mercati sono semplicemente troppo lontani.

Questo è stata sempre una delle grandi stupidità di Brexit. Lasciare la UE non cambia il fatto

che la Gran Bretagna si trova proprio accanto a un gruppo di ricchi paesi europei, e non

particolarmente vicina a qualunque altro mercato alternativo.

E in secondo luogo, mi si permetta di richiamare la vostra attenzione su una parola molto

importante in quella frase finale: self-reliant/autosufficienti. Che cosa è questo "self/io"? Il

tipico britannico non diventerà più autosufficiente come risultato di Brexit. Il lavoratore dietro

il bancone del pub non si ritroverà improvvisamente a ripararsi le proprie scarpe e a macinare

la propria farina a causa della decisione di lasciare l'Unione Europea. Mr Ip sembra intendere

che il “self/io”, in questo caso, possa essere la Gran Bretagna.

Che potrebbe essere stato quello che gli elettori intendevano; l'affermazione della nazione

come il più importante corpo civico è uno sviluppo sconfortante, se è così. E che potrebbe

essere il risultato, in parte, di Brexit; i volumi degli scambi probabilmente scenderanno un po',

e, come osserva il signor Ip, i britannici passeranno meno tempo di vacanza in Provenza, e più

a Blackpool. Eppure anche questo non è del tutto giusto. Sia che la Gran Bretagna venda gilt

(titoli GB) a stranieri, o rape, fa ancora affidamento su di loro.

Il “self/io” in questione qui è in realtà qualcosa di diverso. Si tratta di una sorta di

“Englishness”/”Inglesità” conservatrice, che comporta il rifiuto di Londra così come di Bruxelles.

E ciò che viene acquistato, dovrebbe essere chiaro, è la capacità di chiudere particolari persone

fuori dalla Gran Bretagna: quelle che non sono abbastanza simili alla comunità di “self/io” su

cui gli Inglesi intendono sempre più fare affidamento.

Si tratta di un voto contro il cosmopolitismo e il multiculturalismo. Nulla nel declino della sterlina

potrà renderne l’aggiustamento meno doloroso per coloro che sono tagliati fuori dal cerchio

della vita britannica. Né dovrebbe renderci ottimisti sul fatto che la

deglobalizzazione possa avvenire senza una grande quantità di concomitanti

difficoltà.

(tradotto da The Economist – ottobre 2016) **torna al sommario**

… sulla trasmissione Report di RAI 3 dello scorso 10 ottobre, riportiamo una puntuale e doverosa “precisazione” da parte del

Presidente di FederBio, Paolo Carnemolla:

Cliccate QUI per leggere il documento

**torna al sommario**

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MACROANTHROPOS

Verona. Secondo anno di Università. Triennale di

Scienze della Comunicazione, più conosciuta come

“Scienze delle Merendine”.

Emmanuele Morandi, l’allora professore del corso di

Sociologia generale (purtroppo deceduto due anni fa a

causa di un malore improvviso), introduceva ai suoi

studenti il concetto di “macroanthropos”.

Io ero lì, in quell’aula, sconvolta e allo stesso tempo

affascinata dalla portata del messaggio. Lo confesso, non l’ho capito subito: all’inizio mi

sembrava un parolone che significava tutto e niente. Poi ci sono arrivata e, come si dice, mi si

è aperto un mondo: la società altro non è che “un uomo in grande”, un macroanthropos

appunto, e non semplicemente un microcosmo, come vorrebbero un attardato scientismo e un

metodologismo che continuano a rappresentarla in termini di sistema.

Come se, insomma, la società e più generalmente il mondo non fossero affar nostro, bensì

qualcosa di esterno, qualcosa di imposto, qualcosa che supera la nostra percezione soggettiva

e di conseguenza la nostra capacità di azione. Niente di più sbagliato.

Come sostengono gli autori del libro, l’attuale crisi (che poi tanto crisi non è) può davvero

salvarci, ma prima è necessario abbandonare la prospettiva di spettatorialità cui ci ha abituati

in primis la televisione. Se solo ci sforzassimo di capire che, pur rappresentando una

piccolissima parte di uno schema molto più grande di noi, siamo comunque parte di esso,

forse faremmo meno fatica ad impegnarci in prima persona. Ma con i se e con i solo non

si va da nessuna parte.

“L’uomo moderno – scrivono gli autori – ipnotizzato dalle seduzioni di un consumismo sempre

più abbordabile su larga scala, non rifiuta la banalissima legge di una crescita vincolata da un

limite fisico… perché non ci crede, ma molto più semplicemente… perché non gli conviene! È

infatti assai più comodo cullarsi nell’illusione di poter spendere in eterno ingenti quantità di

denaro per merci e servizi essenzialmente inutili, piuttosto che adottare comportamenti e stili

di vita virtuosi, rispettosi dell’ambiente e solidali verso il prossimo”.

Credetemi, vorrei tanto avere degli elementi per contrastare questa impietosa descrizione e

tentare di difendere non solo me stessa, ma l’intera razza umana alla quale appartengo, però

non li ho. Nada de nada. Ma allora… che dobbiamo fare? Abbandonarci a questa consapevolezza

senza sognarci neanche lontanamente di muovere un dito perché “tanto ormai è troppo tardi”?

Neanche per idea!

Grazie a questo libro scopriamo infatti che le alternative ci sono e sono tutte concrete e valide.

Sembrerà banale, ma il punto di partenza è in realtà un passaggio fondamentale: ognuno di

noi deve avere il coraggio di abbandonare gli ideali con i quali è abituato a riempirsi la bocca e

a gonfiarsi l’ego per dar più spazio a valori che possano indicarci i comportamenti più “giusti”

da adottare per ispirare positivamente la nostra comunità di riferimento.

Perseverare nell’errore di credere che niente di tutto ciò ci riguardi è umanamente diabolico.

Non ci sono scuse e “da noi non si può fare” che tengano. In sostanza il problema non è se

possiamo o non possiamo modificare la rotta, ma se vogliamo o non vogliamo farlo unendoci a

coloro che nel proprio piccolo stanno già percorrendo la via del Cambiamento. Parafrasando

Gandhi, concludo con un augurio che vale anche e soprattutto per me: sii il buon esempio

che vuoi mostrare al mondo.

(da Low Living High Thinking – ottobre 2016) **torna al sommario**

DOMENICA 23 OTTOBRE, GITA IN BICI "LE 50 SFUMATURE DI VIOLA DEL RADICCHIO"

Azienda Agricola Michele e Annalisa Borgato, Saonara (PD)

Ultimo appuntamento de El Tamiso Biotour 2016, ultima biciclettata alla scoperta delle aziende socie della nostra cooperativa.

(scarica QUI la locandina dell’evento)

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Ti sei mai chiesto quante sfumature di viola

possono generare le infinite varietà di radicchio? E quali le tecniche di coltura?

Scopriremo questo e molto altro durante la visita

all’azienda agricola di Michele e Annalisa Borgato, dedicando particolare attenzione alle varietà del radicchio, in compagnia di Andrea Giubilato che ci

illustrerà il Progetto del Tamiso "Ecotipi" per il recupero di specie orticole dimenticate.

Durante il percorso in bici, Marino Zamboni ci ragguaglierà sul mondo di acque e fiumi

che si snoda tra Padova, Vigonovo e il Brenta, passando anche alla Fattoria sociale “Coltiviamoci”.

Laboratorio di ricette sul radicchio a cura dell’Osteria di Fuori Porta Spazio bimbi -- Picnic sotto il portico.

Partenza: ore 10:00 c/o Bar Mekong, Via Giovanni Canestrini (chiuse di

Voltabarozzo), Padova Percorso: 30 km in bici, 3 ore di pedalata effettiva

Adatto ai bambini sopra gli 8 anni

Quota di partecipazione: 10 € per gli adulti e 5 € per i bambini (gratis per i

bambini sotto i 6 anni), che comprende accompagnatore, visita guidata, laboratori e pranzo a picnic.

Prenotazione obbligatoria entro venerdì 21 ottobre: al n. 049 616899, o via mail all’indirizzo: [email protected]

Osteria di Fuori Porta e Cooperativa El Tamiso

-ottobre 2016-

**torna al sommario**

DI CHI È LA COLPA? Di chi è la colpa se le cose non vanno in questo

mondo e ci troviamo ad affrontare problemi enormi

come i cambiamenti climatici, le disuguaglianze sociali ed economiche, le malattie, l’inquinamento? La colpa

è dei banchieri? Dei politici? Del vicino che fa fare i bisogni del cane sul marciapiede? È colpa nostra? È

colpa della “gente” che - come noi - permette al

sistema di comandarla a suo piacimento? Ma soprattutto, è utile cercare un colpevole?

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C’è un racconto molto interessante che è stato tramandato oralmente per generazioni

all’interno della tribù degli Xoulhata dell’America Centrale. Recita all’incirca così:

Un giorno un uomo scoprì che il suo vicino di casa gli aveva rubato la pecora e l’aveva arrostita.

L’uomo si arrabbiò molto, andò a casa del vicino con l’intenzione di fargliela pagare.

Ma il vicino, che di mestiere faceva il pescatore, gli disse: “Ho rubato la tua pecora per nutrire

i miei figli perché non ho più niente. La colpa non è mia ma del mio vicino che ha rubato l’acqua

del lago, facendo morire i pesci”.

Allora l’uomo andò a casa del vicino del vicino con l’intenzione di fargliela pagare, ma questo,

che di mestiere faceva l’agricoltore, gli disse: “la colpa non è mia ma del Dio della pioggia, che

non ha fatto piovere e quindi io ho dovuto prendere l’acqua dal lago per innaffiare i miei campi”.

Allora l’uomo andò da Dio della pioggia con l’intenzione di fargliela pagare ma il Dio disse: “la

colpa non è mia ma di tuo figlio che mi ha pregato a lungo perché non facessi piovere”

Allora l’uomo andò da suo figlio con l’intenzione di fargliela pagare, ma il figlio disse: “la colpa

non è mia ma tua, che non mi fai uscire quando piove. E visto che io voglio giocare fuori prego

perché non piova”.

Allora l’uomo non seppe più cosa fare.

Ora i lettori più attenti si saranno accorti da alcuni dettagli che il racconto non può essere

attribuito veramente alla tribù degli Xoulhata, in primo luogo perché la tribù degli Xoulhata non

aveva problemi a far uscire i bambini di casa quando pioveva e in secondo luogo perché essa

non aveva una tradizione narrativa orale vera e propria visto che non è mai esistita. Me la sono

appena inventata, così come il racconto in questione, perché attribuirlo a una tribù di nativi

americani faceva decisamente più effetto. Comunque non è questo il punto.

Il punto è: di chi era, secondo voi la colpa nel racconto? Del vicino? Del vicino del vicino? Del

Dio della pioggia? Del figlio? Dell’uomo stesso? Ci ostiniamo in ogni situazione a voler

individuare un colpevole a cui addossare tutta la responsabilità di qualcosa.

Ma ha senso? E se non lo ha, perché continuiamo a farlo? Come l’uomo del racconto, siamo

spesso ossessionati dalla ricerca del colpevole. È un gioco che ci appassiona molto: qualsiasi

cosa succeda di sbagliato la prima cosa che ci chiediamo è: di chi è la colpa?

Di chi è la colpa se le cose non vanno in questo mondo e ci troviamo ad affrontare problemi

enormi come i cambiamenti climatici, le disuguaglianze sociali ed economiche, le malattie,

l’inquinamento?

La colpa è dei banchieri? Dei politici corrotti? Del vicino che fa fare i bisogni del cane sul

marciapiede? E allora vai con le crociate purificatrici, con la caccia alle streghe.

È colpa nostra? È colpa della “gente” che – come noi – permette al sistema di comandarla a

suo piacimento? Perché non alziamo tutti la testa assieme e non ci ribelliamo uniti? Siamo tutti

pecore! E allora vai con la autofustigazioni e le reprimenda.

Insomma, in qualsiasi modo la si metta non quadra. Il punto è che cercare e punire il colpevole

di turno non serve a modificare di una virgola il sistema, perché una volta che lo avessimo

punito e tolto di mezzo ci accorgeremmo che il sistema ne ha già prodotto un altro uguale al

precedente, e che quel colpevole era nient’altro che il risultato inevitabile del sistema stesso.

Allora la colpa è del sistema? Bah, che io sappia i sistemi non sono particolarmente

interessati alle colpe o ai meriti, si limitano semplicemente a funzionare in determinati modi.

Peraltro dare la colpa “al sistema” spesso sottintende implicitamente l’identificare il sistema

con un gruppetto di persone ultrapotenti che sedute intorno a un tavolo in qualche stanza

segreta decidono le sorti del mondo schiacciando qualche tasto.

Che poi magari quel tavolo esiste anche, non lo metto in dubbio, ma pensare che sia “colpa

loro”, che siano loro il problema, ci fa mancare di nuovo il bersaglio. Se anche eliminassero le

persone potenti in questione, essere sarebbero rimpiazzate in un batter d’occhio da altre,

sedute ad un altro tavolo ma con le stesse identiche caratteristiche. Perché? Perché il sistema

che ha prodotto quel tavolo è rimasto immutato.

Ma quindi non si può fare niente? Fortunatamente non è così. Una volta appurato che il gioco

del “Di chi è la colpa?” non porta a niente e fa parte dei meccanismi di questo sistema possiamo

aprirci ad altri giochi.

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Ci sono tanti altri giochi interessanti a cui giocare, che vanno – questi sì – a cambiare il

funzionamento del sistema. Giochi basati sulla collaborazione, che ci aiutano a riconoscere i

meccanismi a cui tutti inconsapevolmente prendiamo parte e a non giudicare gli altri e noi

stessi.

Parlo di “giochi” come la sociocrazia, la facilitazione, la comunicazione non violenta, che

cambiano il nostro modo di rapportarci con gli altri e con noi stessi. Io non sarei in grado di

spiegarveli in maniera esaustiva, ma in Italia esistono persone preparatissime che tengono

corsi e incontri formativi, che possono spiegarci come introdurre questi piccoli tasselli di

cambiamento nelle nostre vite e nel rapporto con gli altri. Quindi se questo articolo vi è

sembrato interessante o vi ha incuriosito, magari andateveli a cercare e ad approfondire. Se

invece lo avete trovato inutile, noioso o poco interessante che dire… mi dispiace, colpa mia!

(da Italia che Cambia – ottobre 2016) **torna al sommario**

L’accordo fallito **torna al sommario**

§§§

Lasciamoli sottoterra **torna al sommario**

§§§

L’inglese é la lingua più strana del mondo **torna al sommario**

(da Internazionale – ottobre 2016)

Energie rinnovabili: aumentano gli investimenti e diminuiscono i

costi **torna al sommario**

(da Italia che Cambia – ottobre 2016)

Nuove merci per il capitalismo globale **torna al sommario**

§§§

L'altra verità su Aleppo e la

guerra in Siria **torna al sommario**

§§§

L'uomo che parla con le api **torna al sommario**

§§§

Bambini e permacultura: la via

del cambiamento **torna al sommario**

(da Il Cambiamento – ottobre 2016)

OTTOBRE FRANCESCANO: E VIA SAN FRANCESCO RINASCE Ritorna in via San Francesco l’Ottobre francescano: un ricchissimo programma di

iniziative culturali che, ancora una volta, fa di questa strada un centro

di aggregazione attivo e vivace, luogo di incontro nel segno della bellezza, dell’arte e della spiritualità.

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Numerosi eventi, organizzati dalla parrocchia di San Francesco,

rievocano la figura del poverello di Assisi, il suo messaggio

di pace e di amore per la natura, molto attuale anche oggi per

gli uomini e le donne di qualsiasi provenienza o credo.

Il ciclo di conferenze ospitato nella Scuola della Carità è

iniziato con un incontro sui trent’anni dell’iniziativa ecumenica di

Assisi. Il 24 ottobre ne è previsto un secondo che riproporrà la

questione ambientale, delineata nell’enciclica Laudato sii. A

conclusione, il 28 ottobre si svolgerà nella sala della Carità, un

concerto per archi e organo.

L’amore per la natura, un sentimento di ammirazione e di

affetto, si riflette anche nelle esposizioni allestite nel chiostro del

convento di San Francesco. In questi giorni le colonne del

porticato e gli alberi del giardino sono ricoperti da trame

variopinte di lana che riproducono fiori, funghi, tralci d’uva,

farfalle e animali.

È un bellissimo esempio di urban knitting, una forma di street art nata per valorizzare e

abbellire spazi di uso pubblico, talora un po’ anonimi o soggetti a degrado. Anche la mostra-

mercato di piante, fiori e frutti racconta la bellezza e la bontà della natura, attraverso colori e

profumi ed i più piccoli possono imparano a riconoscere la piante e a chiamarle per nome, in

una sorta di prima educazione ecologica. Il momento più indicato per visitare il chiostro nei fine

settimana è il sabato e domenica pomeriggio dalle 16.00 alle 18.00, nonché domenica mattina

dalle 9.00 alle 12.00, quando hanno luogo le esposizioni a tema.

In particolare nel weekend del 29-30 ottobre verrà proposto pane realizzato con antichi grani

e vino biologico, frutto di attività umane svolte in armonia con la natura, senza inquinamento

chimico o manipolazioni. Sono le volontarie della parrocchia, assieme ai frati del convento, ad

aver curato l’allestimento di queste mostre e, nel mese di ottobre, aprono al pubblico il chiostro

del convento, oasi silenziosa di verde, affascinante spazio architettonico quattrocentesco,

impreziosito da pitture murali raffiguranti la vita del Santo.

Oltre a queste iniziative, sono molti i segnali di fermento attorno alla chiesa di San Francesco:

è in corso la ripulitura del portico del convento e della chiesa: i restauratori cercano di

recuperare le pitture murali sulla vita di San Francesco, poste sulle lunette. La chiesa ritroverà

a breve il suo splendore grazie al ripristino dell’antico organo e al nuovo impianto di

illuminazione: i suoi tesori artistici sono descritti in una recente guida disponibile in parrocchia.

Di fatto i frati di san Francesco, attraverso tante iniziative culturali e visite guidate,

contribuiscono ad offrire alla pubblica fruizione un inestimabile gioiello culturale, un bellissimo

frammento in una via antica, ricca di storia e di voci, spesso affollata da studenti.

Ma non sono i soli: la via è costantemente animata da iniziative di associazioni e di privati. Si

pensi alla presenza del MUSME e del CUAMM-Medici con l’Africa, ai monumenti aperti dai

volontari di Salvalarte e del CTG, alle mostre della galleria d’arte gestita dall’associazione

“Città di Padova” in vicolo Santa Margherita e alla recente iniziativa Excinema che sta

riportando alla vita, per qualche sera, il cinema Excelsior.

Anche i più distratti possono comprendere quanto via San Francesco sia una strada di

fondamentale importanza in centro storico, ricca di tesori antichi ma anche di una comunità

che se fa carico, da rilanciare sul piano turistico e commerciale, nonché meritevole di

attenzione e di cura da parte delle istituzioni.

Silvia Rampazzo, redazione Ecopolis

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Zone 30, per una città a misura di bambino. Lanciata la petizione **torna al sommario**

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Cemento al posto di un’area verde: residenti contro il

parcheggio del Sant’Antonio **torna al sommario**

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Il Veneto affonda nel

cemento. Una proposta di legge sul suolo ancora troppo timida

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Dolce e di Anguillara: la

patata che non ti aspetti **torna al sommario**

(da Ecopolis Newsletter di Legambiente Padova – ottobre

2016)

OLIO DI PALMA, LA POSIZIONE DI SLOW FOOD A proposito di alcuni articoli comparsi di recente e relativi ai tentativi di assoluzione

dell’olio di palma, ci preme sottolineare che – al contrario di quanto è stato affermato – Slow Food non ha mai cambiato posizione in merito.

La nostra associazione è ferma sulla condanna dell’uso

eccessivo di olio di palma nelle filiere alimentari

industriali per via delle pesanti conseguenze

sull’ambiente (milioni di ettari di foreste in Indonesia e

Malesia sono state distrutte per far posto a monocolture

intensive di palma da olio) e sulla salute umana: l’olio

di palma che arriva sulle nostre tavole – ingrediente di

biscotti, merendine, cracker, creme spalmabili… – non

ha niente a vedere con il succo che si ottiene dalla

spremitura delle bacche delle palme.

L’industria alimentare lo trasforma sbiancandolo,

raffinandolo e frazionandolo (ce lo spiega bene qui

questo studio dell’Efsa). Nei supermercati e nelle cucine arriva un grasso saturo (dal 50

all’80%) e insapore che, dopo aver devastato il pianeta, è pronto a compromettere la nostra

salute (danneggiando le arterie coronarie e aumentando il colesterolo). La nostra critica non è

sull’olio di palma tout court, anzi, da qualche anno è nato un Presidio Slow Food sull’olio

prodotto nelle foreste dell’Africa occidentale.

Ma questa è tutta un’altra storia. L’olio di palma della Guinea Bissau è denso, profumato e ha

ottime caratteristiche nutrizionali, grazie alla presenza di carotenoidi e vitamina E. È un olio

prodotto artigianalmente dalle donne delle comunità con frutti di palme selvatiche, in perfetta

armonia con l’ambiente, la tutela della foresta e la cultura locale. Si consuma localmente e non

ha niente a che vedere con l’ingrediente delle filiere alimentari industriali di tutto il mondo.

La denuncia di Slow Food (che su questo tema condivide le campagne portate avanti da soggetti

come Greenpeace a livello internazionale) riguarda il consumo di olio di palma industriale

proveniente dalle piantagioni dell’est asiatico e, anzi, si spinge oltre, affermando che non basta

neppure sostituire l’olio di palma con altri grassi vegetali dalle caratteristiche simili (o con un

olio certificato), ma occorre cambiare completamente sistema alimentare, riducendo

drasticamente il consumo di numerosi prodotti industriali.

*** leggiamo anche:

OLIO DI PALMA: ECCO COSA SUCCEDE AL CORPO ASSUMENDOLO OGNI GIORNO – da Greenme.it***

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A proposito di merendine e creme spalmabili, ad esempio, Slow Food denuncia non solo l’olio

di palma come ingrediente principale ma anche l’eccessiva presenza di zucchero, additivi,

conservanti… E il packaging di plastica, quasi sempre doppio (nel caso delle merendine, ad

esempio, a quello della confezione si aggiunge quello di ogni singola merendina), che

contribuisce ad aumentare la quantità enorme dei rifiuti non riciclabili che si accumulano nelle

discariche e nei mari.

Ti può interessare anche:

Il potere dei consumatori: il caso dell’olio di palma **torna al sommario**

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Un legame indissolubile, ma

disturbato **torna al sommario**

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Riscaldamento globale: sono gli umili a pagare il conto dei ricchi **torna al sommario**

(da Slow Food – ottobre 2016)

…. Terminiamo il nostro notiziario settimanale con qualcosa di speciale:

VELLUTATA DI ZUCCA: 10 RICETTE PER TUTTI I GUSTI

(da Greenme.it) **torna al sommario**

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Buona lettura e buon fine settimana