mauro dorato - il software dell'universo

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Saggio sulle leggi di natura

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Biblioteca delle scienze

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La collana "Biblioteca delle scienze" e diretta da Eddy Carli

V olumi della collana:

Enrico Bellone I carpi e le case. Un modello naturalistico della conoscenza

Fernando De Felice Gli incerti con/ini del cosmo. Dai buchi neri alle macchine del tempo

Mauro Dorato It software dell'universo. Saggio sulle leggi di natura

Giulio Peruzzi (a c. di) Scienza e rea ltd. Riduzionismo e antiriduzionismo nelle scienze del Novecento

Mario Piazza In torn a ai numeri. Oggetti, proprietd, /inzioni utili

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Mauro Dorato

II software dell'universo Saggio sulle leggi di natura

Cll Bruno Mondadori

Page 6: Mauro Dorato - Il Software dell'Universo

Tutti i diritti riservati

© 2000, Paravia Bruno Mondadori Editori

E vietata la riproduzione, anche parziale o a uso interno didattico, con qualsiasi mezzo, non autorizzata. L' editore potra concedere a pagamento 1' autorizzazione a riprodurre una porzione non superiore a un decimo del presente volume. Le richieste di riproduzione vanno inoltrate all' Associazione Italiana per i Diritti di Riproduzione delle Opere dell'ingegno (AIDRO) , via delle Erbe 2, 20121 Milano, tel. e fax 02-809506.

L'editore ringrazia Claudio Piga per l'apporto alla realizzazione del volume.

Progetto grafico: Massa & Marti, Milano.

La scheda bibliografica e riportata nell' ultima pagina del libro.

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In dice

Introduzione

1 . L' origine dell' idea di legge di natura

14 1 .1 Naturalita e normativita: il ruolo della tecnica nella trasformazione delle metafore sulla natura

22 1 .2 Leggi di natura e ordine divino del mondo nel pensiero antico

33 1 .3 La controversa origine medievale dell'idea di legge di natura: la tesi di Jane Ruby

40 1.4 La nozione di legge di natura nel XVII

secolo: il ruolo dell'"altro" Bacone 62 1 .5 Il compimento della rivoluzione: Newton

e oltre

2. Perche le leggi di natura sono matematiche?

68 2 .1 L"'irragionevole efficacia della matematica" nel descrivere il mondo fisico

75 2.2 I tre ingredienti per "produrre" leggi fisiche 78 2.3 La visione algoritmica delle leggi

come primo tentativo di spiegare perche le leggi fisiche sono matematiche

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92 2 .4 Il problema della riducibilita delle leggi di coesistenza alle leggi di successione

103 2 .5 La misurazione come premessa necessaria per la matematizzazione delle leggi

1 18 2.6 Un'ipotesi esplicativa dell' applicabilita della matematica

3 . Il problema della riducibilita delle leggi di natura

130 3 . 1 L a geografia concettuale della nozione di legge di natura

134 3 .2 Leggi, previsioni e regolarita 141 3 .3 Leggi e universalita 153 3 .4 Leggi e verita 158 3 .5 Leggi e necessita 160 3 .6 Leggi e causalita 161 3 .7 Leggi e controfattuali 164 3 .8 Leggi e spiegazione scientifica 167 3 .9 Leggi e simmetrie 171 3 . 10 Il concetto di legge come irriducibile?

4. Che cos'e una legge di natura?

174 4 . 1 Il neoregolarismo di Mill-Ramsey-Lewis 180 4.2 Ulteriori difficolta del neoregolarismo MRL 187 4.3 Il necessitarismo di Armstrong, Dretske

e Tooley 201 4.4 Il necessitarismo fon dato sulle proprieta

essenziali dei corpi 213 4.5 Leggi di natura, disposizioni e generi

naturali 217 4.6 Il disposizionalismo come soluzione

al problema delle leggi di natura?

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5 . Le leggi nelle scienze speciali: biologia, psicologia, scienze sociali

228 5 . 1 La selezione naturale, i modelli e i fenomeni d'invarianza di scala dei viventi

240 5 .2 Leggi psicologiche, leggi psicofisiche e liberta umana

249 5 .3 La causalita men tale e Ia mente come insieme di disposizioni

255 5 .4 Leggi in economia e scienze sociali 261 5 .5 Conclusione

265 Bibliografia

283 Indice dei nomi

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Ringraziamen ti

Ringrazio Giovanni Boniolo, Paolo Casini, Antonio Clericuzio , Gilberta Corbellini, Germana Ernst, Vincenzo Fano, Francesco Ferretti, Jan Faye, Simone Gozzano, Luca Illetterati, Federico Laudisa, Giuseppe Longo, Mario Piazza, Claudio Pizzi, Paolo Rossi Monti, Silvana Tagliagambe, Maria Tartarini e Raffaello Tutinelli per gli incoraggiamenti, le critiche e i suggerimenti rice­vuti in varie fasi della stesura del testo. Mentre senza il loro aiuto il testo sarebbe certamente peggiore, senza i nonni "Dandro" e "Binda" esso proprio non sarebbe, visto il loro insostituibile e generoso prodigarsi con la pie­cola Emma. Il redattore Claudio Piga merita poi una menzione speciale per la sua straordinaria competenza e per i numerosi suggerimenti che hanno migliorato conte­nuto e forma. La responsabilita del prodotto finale e esclusivamente mia.

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Ai miei genitori e a Emma

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Introduzione

II fine piu alto del fisico e di pervenire a leggi universali che permettano la ricostruzione del­l'universo per via deduttiva. [ . . . ] Nessuno di coloro che hanno studiato il problema potra negare che il mondo empirico determina in qualche senso il sistema teorico, nonostante non esista alcun ponte logico tra i fenomeni e i loro principi teorici.

A. Einstein 1

La presenza di ordine e struttura nel mondo che ci circonda - dal moto periodico degli astri all' alter­narsi delle stagioni, dalle maree aile inondazioni cicliche dei fiumi, dalle fasi scandite dagli organismi biologici nel loro sviluppo all'uniformita delle loro risposte comportamentali agli stimoli ambientali -costituisce da sempre un elemento fondamentale dell' esperienza urn ana. Tale elemento non solo rende possibile la vita, rna e chiaramente alia base della nostra capacita di conoscere la natura, una capacita che, ancor pili di cia che ci mette in grado di scoprire, costituisce il mistero pili profondo del rapporto tra uomo e universo.

II concetto filosofico-scientifico che rappresenta e al tempo stesso presuppone I' esistenza di ordine e

1 A. Einstein, Motiv des Forschens, in Mein Weltbild, hrsg. von C. Seelig, Ullstein Sachbuch, Frankfurt 1991 [1918] , trad. it. Idee e opinioni, Swartz, Milano 1958, p. 2 15.

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Il software dell'universo

di regolarita e quello di legge di natura. Sebbene la ricerca di leggi sia considerata lo scopo pili impor­tante dell' attivita scientifica, e la loro conoscenza sia alla base delle rivoluzioni tecnologiche che conti­nuano a trasformare la nostra vita con ritmo sempre pili rapido, il significato della nozione di legge natu­rale non e stato ancora ben compreso, ed e tuttora al centro di vivaci discussioni sia da parte di scienziati che di filosofi. In particolare, rimane tuttora miste­rioso il motivo per il quale la capacita di prevedere e controllare gli eventi naturali, con cui viene in gene­re identificata la conoscenza scientifica, dipenda quasi esclusivamente dal fatto che le leggi naturali siano formulate in modo quantitativa, cio che fa assumere alla matematica il ruolo di strumento imprescindibile per la comprensione dell'universo.

Se, per orientarci in modo pili sicuro nella com­prensione del concetto di legge di natura, volessimo cercare un aiuto iniziale nella storia della scienza, resteremmo certamente sorpresi. Infatti, non solo scopriremmo che non esiste (a tutt'oggi) un solo libro interamente dedicato alla storia dell'idea di legge di natura, rna anche che le principali tappe culturali che hanno portato alla nascita di tale idea non sono ancora state delineate in modo universal­mente accettato.

Come il prima capitolo avra modo d'illustrare, tra gli studiosi non c'e ancora accordo sul fatto che la nozione di legge naturale abbia trovato esplicita cittadinanza nella storia delle idee solo a partire dalla rivoluzione scientifica che ebbe luogo in epoca moderna, malgrado molti storici concordino sulla tesi che tale nozione fosse pressoche sconosciuta al mondo antico. In particolare, il dissenso verte sia sulla possibile origine teologica dell'idea di legge di

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Introduzione

natura, sia sul ruolo storico che la fede in un Dio creatore ha avuto nella formazione del nostro stesso concetto di "natura", vista come regolata da leggi la cui universalita e immutabilita sono diretta espres­sione della volonta divina.

Mentre la breve ricognizione storica del prima capitola ha il compito d'introdurre il lettore alle proprieta essenziali in genere attribuite alle leggi di natura - universalita spazio-temporale e necessita - i tre problemi filoso/ici /ondamentali che costituiscono 1' oggetto del presente volume saranno discussi nei capitoli successivi. Tali tre problemi sono fra lora strettamente connessi, data che il prima solleva la questione di che cosa siano le leggi di natura, il secondo riguarda il lora ambito di validita e il terzo s'interroga, sulla scorta della citazione di Albert Einstein all'inizio dell'introduzione, su come arrivia­mo a conoscerle.

Il prima problema - che riguarda cia che vie, 0 in gergo filosofico, lo statuto "ontologico" delle leggi naturali - e un tentativo di comprendere in modo piu preciso che cosa siano 1' ordine, l'unifor­mita e talora persino l'armonia che sembrano regna­re nei fenomeni che ci circondano. Essenzialmente, si trattera di stabilire se sia la mente umana a sele­zionare o a costruire, nella sterminato caos dei feno­meni, delle uniformita idealizzate e astratte - che sarebbero dun que puri strumenti predittivi - oppure se le leggi naturali esistano in se, in modo indipen­dente dalla mente umana e dal linguaggio. Tale opposizione tra una posizione costruttivista e una posizione oggettivista sulla natura delle leggi non fa che riproporre, in un caso particolare, il conflitto filosofico piu generale tra il cosiddetto strumentali­smo e il realismo scientifico, un conflitto che riguar-

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Il software dell'universo

da la portata conoscitiva della scienza e che e nato con quest'ultima.2 Studiare tale conflitto in una sua manifestazione particolare offre il particolare vantaggio di "non disperdere le forze" , e di poter concentrare il fuoco delle armi filosofiche in una regione ben circoscritta, anche se esplorata solo in parte. Le tre concezioni filosofiche principali finora elaborate sulla natura delle leggi - il neo-regol arismo di derivazione humeana, la recente rivolta anti-empirista di marca universalista e necessitarista e il dissoluzionismo scettico - verranno pen) presentate e criticamente discusse nel quarto capitolo, e quindi solo dopo aver sollevato le due seguenti domande, che affrontere­mo rispettivamente nel secondo e terzo capitolo:

per quale motivo quella che sembra un'invenzio­ne o una pura costruzione della nostra mente, la matematica, riesce a descrivere e spesso a predire in maniera cosl precisa i fenomeni del mondo esterno - che certo non sono creati da noi -attraverso la formulazione di leggi quantitative? e possibile analizzare il concetto di legge di natu­ra in termini di altre nozioni, in modo tale da riuscire a rendere conto dell'uso che del concetto di legge fanno effettivamente gli scienziati?

2 Si pensi alla prefazione De Revolutionibus di Copernico scritta dal teologo protestante Andrea Osi­ander, o alla disputa tra Galilei e Roberto Bellarmino: i due teologi negavano il moto terrestre, e ammettevano l'i­potesi eliocentrica solo come strumento di calcolo. Lo strumentalismo in genere nega l'esistenza di entita non osservabili a occhio nudo e ritiene che lo scopo fonda­mentale della scienza sia, piit che scoprire teorie vere, pre­dire e controllare i /enomeni osservabili. Il realismo scien­tifico e essenzialmente la negazione di queste tesi.

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Introduzione

II secondo dei tre problemi sopra annunciati, che riguarda 1' ambito di validita delle leggi, ha invece a che fare con la questione dell'unitd metodologica di tutte le scienze empiriche. Per esempio, mentre solo un numero assai esiguo di filosofi sarebbe disposto a mettere in dubbio che esistano leggi nell' ambito delle scienze /isico-chimiche, il loro ruolo nelle scien­ze della vita e stato ritenuto assai meno rilevante. Ammesso che si debba sottoscrivere questa tesi, come differiscono le proprieta degli esseri viventi da quelle dei non-viventi, vista che solo i secondi risul­tano soggetti a leggi?

Nel muoverci verso le scienze cognitive e compor­tamentali, la questione dell' ambito di validita delle leggi empiriche tocca poi da vicino un altro difficile problema filosofico, quello dei rapporti tra la natura della mente e la libertd umana. In effetti, uno dei motivi per cui si incontrano tuttora molte resistenze alla tesi che ammette leggi che correlino eventi men­tali a eventi fisici (le cosiddette "leggi psicofisiche") , e che essa sembra minacciare un'intuizione a noi molto cara, secondo la quale non siamo solo passivi spettatori della storia del mondo, rna attorz· capaci di libere e autonome scelte. In che modo 1' esistenza di leggi psicofisiche o persino di leggi del comporta­mento umano puo essere compatibile con la nostra liberta?

Spostandoci infine dalla sfera della psicologia individuale a quella delle interazioni sociali, ricor­diamo come la presenza di uniformita "nomiche" (leggi, regolarita) nelle scienze economiche e stori­co- sociali sia stato un problema assai dibattuto almena dalla meta dell'Ottocento.3 In effetti, la que-

3 Per un punto di vista autorevole sulla natura delle

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If software dell' universo

stione di determinare se il metoda delle scienze eco­nomico-sociali debba essere in linea di principia diverso da quello invalso nelle scienze naturali e profondamente legata alle differenze che in genere si ritiene sussistano tra leggi che valgono universal­mente e senza eccezioni, quali quelle della fisica, e leggi che, come quelle dell' economia, sembrano invece valere solo con la cosiddetta clausola ceteris paribus, ossia tenendo conto di una serie di conside­razioni che infirmano l'universalita stessa della legge, introducendo eccezioni.

Naturalmente, se dovessimo concludere, come noi faremo nel quinto ed ultimo capitola, che il con­cetto di legge o di uniformita ha applicazioni in ogni ambito della scienza empirica, dalla fisica alla chimi­ca, dalla biologia alla neurofisiologia, dalle scienze comportamentali a quelle sociali, ci si porra il pro­blema dei rapporti concettuali tra tali discipline. Per esempio, le leggi valide al livello della sociologia sono riducibili a leggi operanti al livello "sottostan­te" della psicologia degli individui? E leggi operanti a quest'ultimo livello sono analizzabili nei termini della neurofisiologia ? Per rispondere a queste domande, ci concentreremo particolarmente sul problema della natura delle leggi psicofisiche, mostrando che la teoria che il regno del mentale sia anomalo, owero non rispondente a leggi, va respin­ta, essendo basata su un'interpretazione delle "leggi fisiche" che presenta molti punti discutibili . 4

scienze sociali, s i veda M. Weber, Gesammelte Aufsiitze zur Wissenschaftslehre, Mohr, Tiibingen 1922, trad. it. La metodologia delle scienze storico-sociali, Mondadori, Milano 1974. 4 Tale interpretazione e stata avanzata dall'influente fila­sofa americana contemporaneo Donald Davidson. Si

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Introduzione

Vedremo altres'i che l'efficacia causale in genere asso­ciata aile leggi economiche si fonda proprio su gene­ralizzazioni del comportamento umano razionale.

Da quanto sinora detto, dovrebbe risultare ovvio perche il terzo problema sopra annunciato, che riguarda come conosciamo le leggi, risenta della risposta che s'intende dare ai primi due problemi, in particolare al primo. Come in tutte le concezioni anti-realistiche o costruttivistiche della scienza, l'i­potesi che le leggi o le teorie scientifiche siano -come diceva !'Einstein maturo - una "libera creazio­ne" della mente umana, renderebbe il problema della loro conoscibilita pili facilmente risolvibile, se non banale. Nell'ipotesi in cui, al contrario, le leggi siano, come sostengono i realisti, esistenti indipen­dentemente da noi, il problema della loro conoscibi­lita, proprio come accade nelle concezioni platoniste in filosofia della matematica,5 si presenterebbe come pili arduo. E cio non tanto perche entrerebbe in gioco il vecchio problema della validita delle infe­renze ampliative della nostra conoscenza o induttive, rna soprattutto a causa della difficolta supplementa­re che le leggi hanna un' espressione matematica.

veda Mental Events, in Essays on Action and Events, Oxford University Press, Oxford 1980 [1970], pp. 207-225, trad. it. Azioni e eventi, il Mulino, Bologna 1992. 5 Come noto, le concezioni platoniste delle entita mate­matiche considerano queste ultime come indipendenti dal linguaggio e dalla mente umana. Se conoscere significa almeno in parte "interagire causalmente con", come pos­siamo interagire con entita inerti? Quest' argomento si deve a P. Benacerraf, Mathematical Truth, in P. Bena­cerraf, H. Putnam (eds) , Philosophy of Mathematics, Cambridge University Press, Cambridge, Mass. 1 983 [1973 ] , pp. 403-420.

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Il software dell' universo

In un senso diverso, la questione di come arrivia­mo a formulate leggi, o quale posto occupano nella nostra conoscenza della natura, e legata al problema di chiarire la natura della necessita che in genere viene a esse associata. Se un corpo obbedisce alla legge di gravita e se di fatto cade, noi diciamo che il corpo in questione non puo non cadere, laddove tale necessita non e di tipo logico, ovvero non riguarda la verita in tutti i mondi logicamente possibili (non contraddittorii), rna solo la verita in tutti i mondi /isicamente possibili .6 Questa differenza e riflessa anche nella fisica matematica contemporanea, lad­dove si distingue in genere tra le condizioni iniziali di un sistema fisico, che valgono in modo contingen­te e potrebbero essere diverse da come sono, e le leggi che lo governano/ che in qualche senso sem­brano essere "qualcosa di pili" che descrizioni vere, dato che si ritiene che servano anche a spiegare cia che accade.

In una parola, se le leggi riguardano non solo il come rna anche il perche qualcosa avviene, e se tale "qualcosa di pili" e una necessita di tipo metafisico e dunque indipendente dalla nostra conoscenza, si deve spiegare in che cosa consiste, e dunque quali so no i suoi rapporti con la causalita, l' altra misterio­sa nozione che viene a volte (rna in modo controver­so) associata all'idea di condizioni necessarie e suffi­cienti all' occorrere di fatti o eventi. Se invece, come sostengono altri filosofi, la necessita delle leggi di natura e puramente pragmatica, allora essa avra a

6 Per essere piu chiari, la negazione di una proposizione esprimente una legge fisica, diversamente dalla negazione di una proposizione che esprime una legge logica, e logi­camente possibile e dun que non contraddittoria. 7 Questa distinzione verra chiarita meglio in seguito.

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Introduzione

che fare o con l'invarianza delle leggi nella nostra rete di credenze, o con aspetti di natura linguistica.8 Una terza possibilita e che la necessita legata al con­cetto di legge sia puramente psicologica o soggettiva, come suggerito gia nel Settecento dal filosofo empi­rista David Burne. Per questo filosofo, la necessita del legame causa-effetto consisteva solo nell'antici­pazione avvertita dalla nostra mente e dovuta al fatto che, in presenza di un evento di tipo a - che nel pas­sato avevamo spesso osservato precedere un evento di tipo b - noi (e altri animali) siamo naturalmente portati a predire che avverra b.

L'ultimo avverbio di modo ci induce a provare a risolvere il nostro terzo problema seguendo le orme "naturalistiche" di Hume. Cio essenzialmente signi­fica studiare il problema della conoscenza delle leggi come parte di un programma di ricerca ben pili ampio dei limiti che ci siamo qui proposti, il cosid­detto «programma di naturalizzazione della mente e della conoscenza umana».9 Tale progetto implica uno studio di natura empirica, e non solo concet­tuale, su come l'uomo, inteso come essere biologi­co , costruisce mappe cognitive dell ' ambiente esterno e su come acquisisce, nel corso del suo svi­luppo ontogenetico, concetti fondamentali come quelli di spazio e tempo, indissolubilmente legati

8 Tali due posizioni sono difese, rispettivamente, da B. Skyrms e K. Lambert, The Middle Ground: Resiliency and Laws in the Web of Belief, in F. Weinert (a c. di), Laws of Nature. Essays on the Philosophical, Scient z/ic and Historical Dimension, Walter de Gruyter, Berlino-New York 1995 , pp. 139-156 e da B. van Fraassen, Laws and Symmetry, Oxford University Press, Oxford 1989. 9 Per una recente definizione di tale progetto di natura­lizzazione, si veda D. Parisi, Mente. I nuovi modelli della Vita Arti/iciale, il Mulino, Bologna 1999.

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nel modo che vedremo a quello di legge di natura. Naturalmente, non ci aspettiamo che da tale

" anteprima" degli argomenti che verranno trattati ogni questione risulti evidente. Se per conoscere terre ignote bastasse consultare una mappa, nessuno si avventurerebbe a viaggiare, e noi speriamo che il lettore sia a questo punto incuriosito a procedere nell' esplorazione del libro. Cio che pero desideria­mo sia chiaro e che il presente volume intende esse­re un'introduzione al problema delle leggi di natura che non richiede alcuna conoscenza scientifica o filosofica particolare. Al tempo stesso pero, esso ha anche 1' ambizione di offrire un pun to di vista per quanto e possibile originale sulle varie tesi che sono state avanzate su tale problema. Malgrado nella fila­sofia della scienza della seconda meta del Novecento il concetto di legge di natura non abbia goduto della stessa attenzione ricevuta dalla tematica delle rivolu­zioni scientifiche10 o, piu di recente, dal rapporto tra esperimenti e teorie, 11 esso rappresenta non solo un

10 Il libro che ha dato il primo impulso a quest'interesse e, notoriamente, il famoso saggio di T. Kuhn, The Structure of Scientz/ic Revolutions, The University of Chi­cago Press, Chicago 1962, trad. it. La struttura delle rivo­luzioni scientifiche, Einaudi, Torino 1969. Sulle rivoluzio­ni scientifiche, il miglior libro e quello di P. Hoiningen­Heune, Reconstructing Scientz/ic Revolutions, trad. ingl. dal ted. di A. Levine, The University of Chicago Press, Chicago 1993 . 11 Tre ottimi libri sul tema dell'esperimento nei suoi rap­porti con le teorie sono I. Hacking, Representing and Intervening, Cambridge University Press , Cambridge 1983 , trad. it. Conoscere e sperimentare, Laterza, Roma­Bari 1987, P. Galison, How Experiments end, Chicago University Press, Chicago 1987, e D. Majo, Error and the Growth of Experimental Knowledge, Chicago University Press, Chicago 1996.

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Introduzione

punto di vista privilegiato dal quale esaminare pro­prio tali questioni, rna ricopre anche un'importanza centrale in tutta l'impresa scientifica e tecnologica della modernita.

Si consideri, infatti, che la scienza e la tecnologia sono, malgrado frequenti tentativi di demonizzazio­ne provenienti da certi settori culturali, una presen­za irreversibile e sempre pili marcata della nostra vita. Il grande compito di autoconoscenza che gia i filosofi greci avevano assegnato alla filosofia -" conosci te stesso " e il primo imperativo di ogni umanesimo - a nostro parere non puo pili essere separato dal compito di conoscere il mondo esterno. Come affermo una volta Goethe, conoscere se stessi significa conoscere il mondo esterno e conoscere quest'ultimo significa, in un certo senso, conoscere se stessi. E forse solo in un rinnovato sentimento di appartenenza alia natura, mediato dal sapere scienti­fico e dalla conoscenza delle leggi naturali e della loro origine, che l'uomo puo riscoprire quel senso di " religiositii" legato alla ricerca scientifica del quale una volta scrisse Einstein, con il quale vogliamo chiudere l 'introduzione cosi come l ' avevamo aperta: 12

II ricercatore e imbevuto del senso della necessita di ogni accadere. Per lui il futuro e non meno necessaria e determinato del passato. La moralita per lui non e un qualcosa di divino, ma una faccenda puramente umana. La sua religiosita consiste nell' estatica meravi­glia che egli prova di fronte all' armonia delle leggi dell'Universo, nelle quali si rivela una ragione talmen­te superiore, che tutto cio che e stato prodotto dal pensiero e dagli ordinamenti umani ne e solo un palli­do riflesso. Questo sentimento di meraviglia e il filo

12 Op. cit. , p. 18.

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che tiene insieme tutta la vita e tutti gli sforzi del ricer­catore, nella misura in cui egli riesce a innalzarsi al di sopra della schiavitu dei desideri egois t ici . Indubitabilmente , tale sentimento e assai vicino a quello che ha ispirato la religiosita degli uomini piu creativi di tutti i tempi.

Se avremo contribuito a suscitare nel lettore almeno un po' della preziosa meraviglia di cui parla Einstein nei confronti dell' ordine nascosto rna comprensibile della natura - quella stessa meraviglia che, come affermo Platone, e la vera madre della filosofia - lo scopo che ci ha ispirato nella stesura del volume sara stato raggiunto.

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1. L' origine dell'idea di legge di natura

Le leggi di natura, come noi le interpretiamo, sono un prodotto del nostro bisogno psicolo­gico di orientarci nella natura, di non assumere una posizione di estraneita e di disordine di fronte ai suoi processi. [ . . . ] E assai naturale che in epoche in cui la penetrazione della criti­ca gnoseologica e minore, le motivazioni psico­logiche siano state proiettate sulla natura e poi attribuite a essa.

E. Mach1

Il concetto di "legge" applicato al mondo fisico , quanto e forse pili di altri che sono emersi a un certo momento della storia intellettuale umana, puo essere pienamente compreso solo tenendo conto delle sue origini. Se per le leggi di natura vale il detto vichia­no secondo cui «Natura di case altro non e, che nascimento di esse in certi tempi, e con certe guise . . . »/ una presentazione accurata del dibattito filosofico contemporaneo sulla "natura" delle leggi non puo prescindere da una ricostruzione - per quanto necessariamente schematica e incompleta -

1 E . Mach , Erkenn tnis und Irrtum . Skizzen zur Psychologie der Forschung, Barth, Leipzig 1905, trad. it. Conoscenza ed Errore, Einaudi, Torino 1982, pp. 447-448. 2 G. Vico, Principj di Scienza Nuova d'Intorno alla Comune Natura delle Nazioni, ristampa anastatica dell 'e­dizione Napoli 17 44, approvata secondo le norme del Lessico Intellettuale Europeo, a c. di M. Veneziani, Leo Olschki Editore, Firenze 1994, p. 77 (libra I, degnita XIV).

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Il software dell' universo

delle tappe principali che hanno portato al concetto di legge come oggi l'intendiamo nella sua formula­zione matematica. Dato che tale formulazione venne a compimento con l'opera di Isaac Newton, que­st'ultima sara anche il punto di arrivo della nostra narrazrone.

In sintesi, lo scopo di questa capitola e mettere in luce i due fattori storici essenziali che hanno secondo noi contribuito a costituire il moderno con­cetto di " legge naturale" : !'influenza dello sviluppo tecnologico sui nostri modi di rappresentare la natu­ra e la derivazione teologica del concetto di legge naturale. Accingendoci a esaminare queste due com­ponenti, facciamo presente che dedicheremo pili spazio alla seconda che non alla prima: l 'universalita e la necessita che ancor oggi associamo alla nozione di legge di natura trovano infatti la loro spiegazione storica nell'idea che la natura sia espressione del­l'immutabilita della volonta divina.

1 . 1 N aturalita e normativita: il ruolo della tecnica nella trasformazione delle metafore sulla natura

A chi abbia guardato anche in modo superficiale alla letteratura storica esistente, appare chiaro come l' e­voluzione del concetto di legge naturale abbia profondamente risentito dei mutamenti culturali nel nostro modo di concepire la natura in generale. Tra tali mutamenti, quelli dovuti alla tecnologia rivesto­no una particolare importanza, dato che non appena quest'ultima raggiunse un grado sufficientemente avanzato di sviluppo, il funzionamento di alcune parti della natura, e talora persino della natura tutta,

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·1. L'origine dell' idea di legge di natura

venne spesso metaforicamente assimilato a quello di un manufatto tecnologico. Una delle ipotesi fonda­mentali che vogliamo avanzare in questa capitola e che la possibilita di riprodurre il funzionamento di parti del mondo naturale attraverso la costruzione di macchine /u una componente essenziale del lungo pro­cesso che condusse alta /ormulazione di una nozione di legge di natura che /osse del tutto descrittiva, e dunque priva di elementi normativz; quale quella che oggi adottiamo.3

Tanto per esemplificare schematicamente rna in modo concreto questa tesi, nelle filosofie della natu­ra tendenti all' animismo o al panpsichismo, ovvero all' attribuzione antropomorfica di poteri tipici della mente anche al mondo "inerte" , l'universo viene in genere identificato con un gigantesco animale dotato di un' anima,4 i cui organi sono in stretta intercon­nessione reciproca, grazie a fluidi e flussi, " simpa­tie" e " antipatie" , che ne attraversano le parti in modo istantaneo. All'interno di un tale modo di concepire la natura - che, grosso modo, caratterizzo alcuni momenti della filosofia del Rinascimento, rna che e reperibile anche nel mondo antico e in altre epoche storiche, all'interno appunto di concezioni " animistiche" del mondo - qualunque separazione di quello che oggi chiamiamo "un sistema fisico" dal

3 T ra le leggi fisiche e il mondo delle entita riproducibili nei laboratori attraverso strumenti tecnologici c'e, come vedremo, un rapporto moho stretto. Sui rapporti tra i filosofi e le mac chine in eta moderna, si veda P. Rossi, I filoso/i e le macchine: 1400-1700, Feltrinelli, Milano 1984. 4 L'idea dell'universo come un organismo dotato di un'anima - anima mundi- e descritta originariamente nel Timeo platonico, opera che fa comunque riferimento anche a una soggiacente struttura matematica.

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resto dell'universo (e dall'osservatore) diviene ille­gittima. Se ogni parte viene infatti a dipendere "a distanza " , ovvero in modo istantaneo e , come si dice, "non-locale", da mutamenti che occorrono in tutte le altre parti, qualunque modifica nel sistema originario considerato non e controllabile sperimen­talmente in linea di principia, se non, del tutto illu­soriamente, attraverso rituali e formule magiche. Il punto fondamentale e che in un universo siffatto, in cui s'immagina che ogni entita sia in relazione fun­zionale con tutte le altre, la formulazione di semplici leggi di natura e impossibile. Almeno se, con "leggi" , intendiamo dei legami funzionali tra due o pili varia­hili che caratterizzano un sistema fisico, nel quale le interazioni con "il resto dell'universo" debbono essere "isolabili " e quindi controllabili in linea di principia.

Viceversa, raffigurare la natura come un'enorme macchina, come il "meccanicismo" fece in epoca moderna anche grazie agli apporti culturali non tra­scurabili di certe correnti della "magia naturale"/ significava evidentemente identi/icare le leggi di natu­ra con cio che presiede al /unzionamento della macchi­na stessa, ovvero con i rapporti sussistenti tra le sue parti. Queste ultime potevano essere considerate come "separate" e "separabili" proprio perche fun­zionanti in modo relativamente indipendente dal resto della macchina. In particolare, le leggi di natura potevano essere esemplificate dai meccanismi princi­pali che trasmettono il movimento (e dunque l'ener-

5 Per il ruolo ambiguo della magia, si veda P. Zambelli, L'ambigua natura della magia: /iloso/i, streghe, riti nel Rinascimento, Marsilio, Venezia 1996 [1991]. Sui rappor­to magia-scienza, si veda anche P. Rossi, Francesco Bacone: dalla magia alla scienza, Einaudi, Torino 1974.

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1. Vorigine dell' idea di legge di natura

gia) da una parte all' altra della macchina, attraverso leve, molle, ruote dentate, pistoni, cilindri ecc.

La macchina e dunque al tempo stesso sia una componente della natura, perche e un sistema fisico tra gli altri, sia uno schema di relazioni formali esi­stenti tra le sue parti, caratterizzate dal fatto che queste ultime svolgono certe funzioni, ovvero rico­prono precisi ruoli causali. Si noti che le "leggi" che presiedono al funzionamento di una macchina e che esprimono tali relazioni sono, e non possono non essere, che puramente descrittive, dato che, pur rispondendo a un progetto o a un disegno umano, vengono realizzate ed eseguite da un oggetto inanima­to, che non possiede ne piani ne scapi coscienti. Questo fatto, che nella letteratura storica sulle leggi e stato stranamente ignorato, contribui dunque in modo decisivo a far perdere alla nozione di legge naturale quella componente prescrittiva e normativa che aveva nelle epoche precedenti.

La tendenza all' assimilazione metaforica della natura tutta a un artefatto tecnologico non si e inter­rotta nemmeno ai nostri giorni. Oggi, se volessimo indicare la metafora pili diffusa e pili frequentemen­te invocata per spiegare che cosa sono le leggi natu­rali, ci s ' imporrebbe senz'altro l ' immagine della natura considerata come un gigantesco computer, il cui hardware (le componenti puramente fisiche) cor­risponde alla natura vista nel senso delle sue "parti materiali" ( "particelle" e campi) e il cui software (i programmi che "girano" sul computer) corrisponde alla struttura formale della natura, e dunque alle leggi propriamente dette. 6

6 J.D. Barrow, The World within the World, Oxford University Press, Oxford 1988, e P.C. Davies, Algorithmic

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Come vedremo meglio in seguito, da questa punta di vista le leggi di natura sarebbero insiemi di regale che scandiscono la successione temporale degli stati fisici che le esemplificano, "algoritmi" la cui minore complessita rispetto alle sequenze di eventi reali che essi descrivono "digitalizzandoli"

' e

una misura del fatto che la legge compendia in se, in modo economico , un gran numero di fenomeni . Quest'ultima idea ha dalla sua una tradizione insi­gne: come diceva lo storico e filosofo della scienza austriaco Ernst Mach

[ . . . ] la scienza e un a/fare. Essa si prop one, con il minima di lavoro, nel minima tempo, con il minima sforzo di pensiero, di appropriarsi della massima quantita possibile dell'infinita, eterna verita. 7

Sulla suggestione della metafora legge-programma tratta dalla tecnologia contemporanea - in cui tutta­via permane l'idea fuorviante che le leggi (il softwa­re) siano da intendersi come rispondenti a un pro get­to che si origina al di fuori del computer fisicamente inteso - e sull'importanza che il concetto di legge naturale gioca nell'economia del nostro pensiero torneremo nel prossimo capitola. Cio che ora voglia­mo sottolineare e che lo stretto legame tra il modo di concepire la natura e il modo d' intenderne le regolarita ha stabilito sin dall'inizio della storia intel-

Compressibility, Fundamental and Phenomenological Laws, in F. Weinert (ed. ) , op. cit., pp. 248-267. Per le leggi come "codici nascosti del mondo" , v. H. Pagels, The Cosmic Code, Bantham Books, New York 1982. 7 Questa citazione e tratta da E. Mach, Populiir-wissen­schaftliche Vorlesungen, Johann Ambrosius Barth, Leipzig 1896, trad. it. Letture Scientzfiche Popolari, Bocca, Torino 1900, p. 14. Per la natura economica delle leggi scientifi­che, si veda E. Mach, Conoscenza ed Errore, cit.

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lettuale umana un intreccio concettuale profondo tra una componente descrittiva e una prescrittiva del termine "legge" , come cio che necessariamente pre­supl?one una volonta che pianifica, ordina e governa.

E proprio su tale viluppo, e sul suo progressivo "scioglimento" storico, sfociato solo in epoca relati­vamente recente in una chiara separazione delle due componenti, che vogliamo concentrate la nostra attenzione nella parte restante di questo capitola. Il /ondamentale passaggio da una visione della natura e del suo ordine in cui l'aspetto descrittivo e quello nor­mativo erano inestricabzlmente connessz; a una visio­ne "disincantata" in cui "le leggi naturali'' sono consi­derate in modo puramente descrittivo, puo essere vista come la conseguenza filoso/ica piit importante della rivoluzione scientifica dell' eta moderna.

Tale conseguenza non e ancora stata compresa del tutto e, almeno sotto quest' aspetto, la rivoluzio­ne scientifica e rimasta in parte inattuata, malgrado essa sia cominciata pili di quattro secoli fa . L'intreccio tra fatti e norme si ritrova per esempio nel termine "natura" o "naturale" , che in tutte le lin­gue indoeuropee ha tuttora una componente valuta­tiva, evidenziata, per esempio, dal fatto che, allorche intendiamo esprimere disapprovazione o allontana­mento da un certo standard riconosciuto, diciamo che qualcosa "e innaturale" o "contro natura" , men­tre cio che e "naturale " rientra nella norma, ed e dunque tale da implicare un atteggiamento di approvazione.

La stessa idea, derivante dallo stoicismo antico, di un' origine naturale delle norme etiche e giuridi­che - i diritti naturali o "innati" cui si fa ancora rife­rimento nelle prime costituzioni democratiche del­l' epoca moderna - mostra una commistione persi-

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stente, per quanto fonte di confusione concettuale, tra cio che e naturale, nel senso che appartiene al mondo dei fatti, come le leggi fisiche propriamente intese, e cio che deve valere come norma, come le leggi scritte che entrano a far parte di una costitu­zione o di un codice penale di un dato paese in un certo momento storico.8

Si noti che questa distinzione tra un' accezione descrittiva e una normativa del concetto di legge naturale - che noi presupporremo in cio che segue proprio per far meglio comprendere la lontananza tra il nostro modo di rappresentare la natura e quel­lo tipico di certi periodi premoderni - non si basa pero, come ha affermato Karl Popper, sul fatto che le leggi naturali sono «indipendenti da noi», mentre le norme giuridiche sono «frutto di decisioni o con­venzioni umane».9 Tale criterio di demarcazione pre­suppone una concezione " realistica" e antistrumen­talista delle leggi naturali, che condanna quindi in partenza l'ipotesi - che dovremo invece vagliare cri­ticamente e confutare solo dopo approfondita discussione - che le leggi di natura siano, in un certo senso, anch' esse frutto di costruzioni sociali e con­venzioni umane.

A questo stadio preliminare dell'indagine, pos­siamo solo assumere che la distinzione tra leggi

8 Per una versione contemporanea del giusnaturalismo, v. J. Finnis, Natural Law and Natural Right, Clarendon Press, Oxford 1986. Per un punto di vista diverso sulla natura dei diritti, si veda R. Dworkin, Law's Empire, Harvard University Press, Harvard, Mass 1986. 9 K.R. Popper, The Open Society and its Enemies, Routledge-Kega�, London 1962, trad. it. La societd aperta e i suoi nemici, a c. di D. Antiseri, Armando, Roma 1986, p . 95 .

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naturali e/o economico -sociali da una parte, e norme o leggi etiche e civili dall' altra, stia nel fatto che le prime hanno a che fare solo con il " come qualcosa avviene" , ed eventualmente ci informano sulle cause del fenomeno, naturale o sociale che sia, 10 mentre le seconde non descrivono alcun fatto, ma prescrivono solo regale al comportamento umano. In una parola, le prime ci dicono, come ebbe a scrivere Galileo Galilei nella sua famosa let­tera alla granduchessa Cristina di Lorena, «come vadia il cielo» e non ordinano o governano alcunche. Le seconde hanno invece a che fare o con i codici di condotta morale dell'uomo (e quindi con il «come si vadia al cielo»), n o con i comportamenti suscettibili di sanzioni giudiziarie.

Seguendo il divenire storico del concetto di legge in alcune delle sue accezioni, ci accorgeremo pero che tale distinzione non era disponibile prima dell' e­poca moderna, dato che, secondo un'ipotesi storica­mente accreditata che ora verra discussa insieme a un'ipotesi alternativa, la locuzione "legge di natura" deriva essenzialmente da una concezione volontaristi­ca della divinita creatrice, che impone al mondo natu­rale i suoi decreti nella stesso modo in cui il legislato­re umano, un monarca o un imperatore, impone ai sudditi z' suoi voleri.

Prima di cominciare il nostro cammino, si noti l 'ironia storica che quest'ipotesi porta con se. La fede in un Dio creatore del cielo e della terra, gene-

1° Come esempio di legge economico-sociale in questa sensa, si consideri una regolarita del tipo "l'aumento del costa del denaro ten de a scoraggiare gli investimenti" . 1 1 Per la "Lettera a Madama Cristina di Lorena", scritta da Galilei nel 1615 , si veda Opere di Galilei, Barbera, Firenze 1968, vol. v, pp. 309-348.

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rando fiducia nella comprensibilita dell'universo, ha contribuito a diffondere uno spirito scientifico fan­data sulla ricerca di regolarita naturali, viste come diretta espressione dell'immutabilita divina. Tale spirito ha poi altresi contribuito, pili di altri movi­menti culturali, a dissolvere quella fede in Dio da cui pure si era originato: basti pensare al significato delle scoperte di Copernico e Darwin, viste come possibili confutazioni di una concezione antropo­centrica del mondo in cui tutto cio che esiste e stato creato per noi. 12

1.2 Leggi di natura e ordine divino del mondo nel pensiero antico

E abbastanza naturale ipotizzare che, proprio per­che colpite dal notevole ordine e dalla regolarita con cui si susseguivano i fenomeni naturali, le culture che ci hanna tramandato le prime forme di religio­sita naturale cercassero di spiegare tale ordine in modo antropomor/ico, ovvero postulando entita spi­rituali che lo rendessero possibile e spiegabile. Tali entita, pili o meno divinizzate, dovevano comunque essere capaci di volontd e di pensiero, in modo da pater imporre alla natura di seguire un certo corso

12 Si e recentemente sostenuto che alcune idee essenziali del monoteismo potrebber<'l essere legate alle condizioni climatiche in cui vivevano gli uomini che le adottarono: «nel deserto niente si trova gratuitamente o naturalmente e tutto cio che occorre al sostentamento deve essere imposto ed estorto alla natura, e continuamente mantenu­to disponibile. In un simile ambiente, niente di cio che serve all'uomo risulta avere un'origine indipendente e autonoma, e tutto appare invece essere il frutto di una

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piuttosto che un altro, proprio come i legislatori umani imponevano alla comunita norme di convi­venza sociale che non dovevano essere trasgredite.

Che le regolarita e le uniformita naturali fossero inspiegabili se non come frutto di una volonta ordi­natrice e evidente gia nel pensiero babilonese. Come fa notare Robert Eisler, le caratteristiche del mota dei pianeti, che gli astronomi babilonesi studiavano con grande attenzione e perizia, erano interpretate

[ . . . ] dagli scrittori di tavolette che crearono la biblio­teca di Assurbanipal [ . . . ] come dettate dalle "leggi" o "decisioni" governanti "cielo e terra", pronunciate dal dio creatore dall'inizio. 13

Pili avanti lo stesso autore aggiunge che il concetto di leggi universali deriva «da questa concetto [ . . . ] mitologico di "decreti del cielo e della terra"» e in un altro suo studio/4 sottolinea anche l'importanza della condizione sociale sul modo di rappresentare la natura, dato che l'idea di mondo come totalita ordinata di eventi ( cio che i greci chiamavano kosmos) risale, secondo lui, alla teoria politica babi-lonese.

Analoghe commistioni tra concetti che noi oggi

scelta consapevole, di un progetto preciso, di un atto di volonta determinato. L'idea di un creatore, che pone in essere e conserva la materia per propria scelta e per i pro­pri scopi, sembra essere la naturale generalizzazione all'intero universo di una tale visione del mondo. Non a caso, la prima frase della Bibbia e per l'appunto "In prin­cipia Dio creo il cielo e Ia terra"». II brano e in P. Odifreddi, Il Vangelo secondo la Scienza, Einaudi, Torino 1999, p. 10. 13 R. Eisler, The Royal Art of Astrology , H. Joseph, London 1 946, pp. 232 e 288. 14 R. Eisler, Iesous Basileus, Winter, Heidelberg 1 929, vol. II, p . 618.

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separiamo in modo abbastanza netto , quali leggi naturali, norme di comportamento e precetti divini, si possono rilevare nel pensiero presocratico. Nel VI secolo prima di Cristo, Anassimandro cere<) di spie­gare il nascere delle case attraverso il distacco da una sostanza indefinita e primigenia, che tutto abbraccia e da cui tutto proviene, da lui chiamata apeiron . L' aspetto per noi interessante e che tale distacco e, significativamente, una colpa che deve poi essere espiata con un pena:

da dove infatti gli esseri hanna origine, ivi hanna anche la distruzione secondo necessita: poiche essi pagano !'uno all'altro la pena e l'espiazione dell'ingiu­stizia secondo 1' ordine del tempo. 15

Lo stesso concetto di causalitii sembra, alle origini, indissolubilmente legato all'idea giuridica di retribu­zione, in modo che alla colpa (causa) seguisse inevi­tabilmente la pena (effetto) . 16 E dati gli stretti rap­porti concettuali che la nozione di legge intrattiene con quella di causa anche nel mondo antico, le tesi storiche che difendono l'origine etico-giuridica della nozione di causa forniscono argomenti supplementa­ri per difendere le medesime conclusioni anche rispetto al concetto di legge naturale.

15 Tale frammento e tratto dal commentario alla fisica di Aristotele scritto da Simplicia nel VI sec. dopo Cristo: v. I presocratici, Testimonianze e Frammenti a c. di G . Giannantoni, Laterza, Bari 1981, vol. I , D K fr. 1 2 A9. 16 H. Kelsen, Die J3ntstehung des Kausalgesetzes aus dem Vergeltungsprinzip, "Journal of Unified Science" (Erkenntnis), 1940, p. 69 . Si veda pure G. Lloyd, Ancient Greek Concepts of Causation in Comparativist Perspective, in D. Sperber, A. Premack, J. Premack (eds ) , Causal Understanding in Cognition and Culture, Oxford University Press, New York 1995 .

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Malgrado 1 ' origine teologica del concetto di legge di natura, sostenuta con forza da Edgar Zilsel, Joseph Needham , Francis Oakley e John R. Milton,17 sia stata pili recentemente messa in discus­sione da Jane Ruby, 18 ness uno storico mette oggi in dubbio che nel pensiero e nelle religioni antiche il concetto di legge di natura, inteso nel senso pura­mente descrittivo che ci e oggi familiare, sia del tutto assente.19 In tutti i casi storici in cui si fa riferimento a un' origine divina delle leggi morali e giuridiche (come avviene, per esempio, per il popolo ebreo, che tramite Mose ricevette le tavole della legge diret­tamente da Dio), si riscontra un'ineliminabile com­mistione tra regolarita naturale e norma di compor­tamento. Di qui, e malgrado le considerazioni della Ruby che vedremo in seguito, segue certamente un primo indizio a favore della derivazione teologica anche della nozione di legge di natura.

Tale legame tra leggi di natura e comandi divini e confermato da numerosi passi del Vecchio

17 E. Zilsel, The Genesis of the Concept of Physical Law, "The Philosophical Review" , u, 1 942, pp. 245 -27 9; J. Needham, Human Laws and the Laws of Nature in China and the West" , "Journal of the History of Ideas" , XII,

195 1 , pp. 3-32 e 194-23 1 ; F. Oakley, Christian Theology and Newtonian Science: the Rise of the Concept of the Laws of Nature" , "Church History", XXX, 1961 , pp. 433-457 e J. R. Milton, Laws of Nature, in D. Garber, M. Ayers (eds) , The Cambridge History of Seventeenth­Century Ph ilosophy , Cambridge University Press , Cambridge 1998, pp. 680-701 . 1 8 J. Ruby, The Origins of Scientz/ic Law, "The Journal of The History ofldeas" , XLVII, 1986, pp. 341-360. 19 In ogni caso, la stessa Ruby non mette in dubbio che «l'idea di legislazione tramite Dio o la natura renda canto di molti degli usi del termine legge nel mondo antico», J. Ruby, op. cit., p. 342.

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Testamento, la cui influenza sulla nascita della scien­za occidentale puo essere difficilmente sottovalutata. Basti ricordare che lo storico della civilta cinese Needham ha addirittura sostenuto, forse raccoglien­do uno spunto di Alfred Whitehead/0 che in epoca moderna la fede in un Dio legislatore e creatore del­l'universo, rafforzando la fiducia nella comprensibi­litii. di un universo visto come regolato da leggi immutabili, abbia garantito la supremazia scientifica dell'Occidente rispetto alla Cina.

Tanto per illustrate l'uso della nozione di "legge" nel Vecchio Testamento, ricordiamo un passo della Bibbia in cui si afferma che Dio «fece una legge per la pioggia» (Giobbe 28, 26) , dove il termine "legge ", come spiega Zilsel, o ha il significato di "iscrizione" , come per le leggi umane, o, in altri passi concernenti il rapporto tra mare e terra, ha il significato di "con­fine" o "limite" che non puo essere oltrepassato da parte delle acque (Proverbi 8, 9 e Geremia 5, 22).21 L' analogia con il comportamento umano e evidente: cosi come i limiti tra terra e mare sono fissati da Dio, malgrado il secondo a volte tenda a invadere la prima con rabbioso impeto, la sfera di comporta­menti entro la quale l'uomo deve rimanere e stabilita da Dio, e i suoi confini non sono oltrepassabili. L'idea di limite e, ovviamente, importantissima anche dal punto di vista etico, dato che una vita sag­gia ed equilibrata presuppone la capacita di domina­te l'insaziabilita dei desideri, i cui eccessi, come ben

20 A.N. Whitehead, Science and the Modern World, Cambridge University Press, Cambridge 1932, trad. it. La scienza e il mondo moderno, Boringhieri, Torino 1979. 21 E. Zilsel, op. cit. , pp. 247-248. La parola ebraica corri­spondente a "limite" 0 "confine" e chok.

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1. L'origine dell' idea di Iegge di natura

sapevano i greci, conducono all'infelicitii. individuale e alla rottura dell' equilibrio sociale.

In effetti, in molte manifestazioni culturali e reli­giose del mondo antico, appare legittimo postulare una sorta di proiezione bidirezionale, dalla natura alla societa e da quest'ultima alla natura. Il pensiero arcaico da una parte ritiene che le regolarita naturali siano sostenute da sanzioni e siano frutto di decisio­ni divine, come quando Eraclito afferma che

Elias (il Sole) non oltrepassera le sue misure: se no le Erinni, ministre di Dike [la giustizia], lo troveranno.22

D' altra parte, interpreta le proprie norme sociali convenzionali come se fossero "naturali" , ovvero valide per tutti e non suscettibili di mutazioni gene­razionali, di tipo diacronico, o geografiche, di tipo sincronico.

E proprio per questa motivo che il pensiero sofi­stico della Grecia del v secolo - all'interno del quale si distingue chiaramente, forse per la prima volta nel pensiero umano, tra cio che e "per natura" ed e costante (physis) e cio che e convenzionale perche varia da polis a polis (nomos) - ebbe una cosl profonda importanza storica. Nel pensiero sofistico cio che "e per natura" ha comunque sempre a che fare con regolaritii. piu o meno stabili del comporta­mento umano - "la legge del piu forte" di cui parla Callicle nel dialogo platonico Gorgia, da contrap­porsi alle convenzioni delle leggi umane, fatte dai deboli per proteggersi - e mai con processi fisici del mondo non umano. Nel Gorgia (482e) , Platone fa infatti dire a Callicle che: «in molti casi, natura e

22 DK B 29. Nelle citazioni dei presocratici, si fa riferi­mento, come d'uso, alla sigla DK, seguita dal numero del frammento.

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legge sono in pieno contrasto tra lo'ro» , e nel Protagora (3 3 7 d) Ippia afferma che «la legge, tiranna degli uomini, compie molte violenze contra natura». Non e quindi implausibile sostenere che la sofistica, proprio insistendo sull' opposizione tra il termine "legge" e il termine "natura", abbia contribuito a sepa­rare durevolmente il concetto di legge dai processi naturali, in modo tale che, per esempio, il prima non venisse praticamente quasi mai riferito ai secon­di ne da Platone ne da Aristotele.23 La parola nomos [legge] e da lora riservata alle leggi della citta e non puo quindi applicarsi ne alla perfezione circolare dei moti astrali - data che questi ultimi, a differenza delle prime, non possono ne essere "violati" ne alte­rati - ne ai moti non naturali o "violenti" dei carpi che incontriamo sulla Terra.

Nel successivo pensiero stoico, che caratterizzo in modo significativo l'eta ellenistico-romana, e che fu dominato dall'idea fatalisticamente intesa di una provvidenza universale (pronoia) , nell'identificazio­ne con i cui "piani" consiste la virtu del saggio, la nozione di "legge naturale" e invece implicitamente presente, per quanta ancora concepita in sensa pura­mente etico-antropomorfico e dunque non-descritti­vo. Tale legge s'identifica infatti con la razionalita del cosmo, e dunque con una nozione irriducibil­mente normativa: 1' opposizione sofistica tra mondo fisico-naturale (physis) e leggi morali e civili (nomos)

23 Per le eccezioni a questa generalizzazione, c' e un pas so del Timeo di Platone (83e) in cui il filosofo afferma che un corpo malato va contro le leggi di natura, e un passo del De Coelo di Aristotele in cui lo Stagirita afferma che abbiamo preso il numero tre dalla natura come se fosse una sua legge I, 1, 268, 13- 14. Si veda E. Zilsel, op.cz"t, p. 250 e]. Ruby, op. cit. , p. 346, nota 30.

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viene in parte superata proiettando la struttura delle seconde sul primo.

In modo analogo, l'epicureismo lucreziano assi­milava il mondo fisico alla societa umana, dato che entrambi si erano formati obbedendo a leggi natura­li (/oedera naturae).24 Per esempio, secondo lo stoico Crisippo, l 'universo e come uno stato ben ordinato, pervaso da una ragione divina (logos) che presiede al suo funzionamento e che e presente anche in ciascu­no di noi. Cosi come un buon cittadino deve accet­tare le leggi dello stato in cui si trova, il saggio, che e cittadino del mondo o cosmopolita, deve riconosce­re il suo supremo compito nel comprendere e accet­tare il corso naturale delle cose, perche esso e per­meato di razionalita: tutto avviene come deve avveni­re. In questa tradizione filosofica, il termine "legge di natura" e dunque applicabile solo alla natura tutta, e non a sue parti: in Seneca e, soprattutto, in Marco Aurelio, riflettere sulla catena infinita degli eventi fisici ha un significato eminentemente etico, dato che serve a comprendere che cio che accade nel presente e inevitabile perche "scritto " da tempo immemorabile. 25

In una parola, nel pensiero stoico - che diede origine all'influentissimo concetto di diritto naturale

24 Si ringrazia Antonio Clericuzio per averci rammentato il ruolo di Lucrezio nella storia del concetto di legge di natura. Su Lucrezio, si veda anche P. Casini, Le leggi e l'ordine della natura, in M. Cini (a c. di), Caso, necessitd e libertd, CUEN, Napoli 1998, p. 33 . 25 Si veda la magnifica ricostruzione del pensiero etico ellenistico data da P. Hadot, Exercises spirituels et philo­sophie antique, Etudes Augustiniennes, Paris 1 977, trad. it. Esercizi spirituali e /iloso/ia antica, Einaudi, Torino 1988.

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(ius naturale) tramandato poi all 'Occidente dal Corpus Juris giustinianeo - l'identificazione tra natu­ra e norma etico-giuridica non potrebbe essere piit esplicita. In questo contesto, non possiamo non ricordare la mediazione culturale esercitata da Cicerone nel De Legibus: 1' Arpinate riferiva il con­cetto di Iegge in modo esplicito solo all'uomo, dato che esso presupponeva la razionalita. Come si vedra, tale assunzione rimase valida in molta parte del pen­siero medievale e moderno, scoraggiando quindi qualunque applicazione non metaforica del termine "legge" ai fenomeni del mondo fisico.

L'unico pensatore che nel mondo antico si avvi­cino, pur senza formularlo esplicitamente, al concet­to di legge di natura come noi l ' intendiamo fu Archimede. Zilsel, pur attribuendo allo scienziato siracusano il merito di aver discusso tutte e tre le leggi note nell' antichita (la legge della leva, quella della riflessione ottica e la "legge-principio" dovuta allo stesso Archimede, riguardante i corpi galleg­gianti), afferma che il pregiudizio antico nei con­fronti dell' esperimento, della tecnica e del lavoro manuale, tipico delle societa a economia schiavile, non solo rese impossibile una " spiegazione empiri­ca" di tali leggi da parte di questo scienziato, rna blocco anche lo sviluppo della fisica antica.26

Per "spiegazione empirica" Zilsel evidentemente si riferisce a una fondazione delle leggi di tipo speri­mentale e non-deduttivo, visto che Archimede tratto tali tre leggi come se fossero teoremi di un sistema assiomatico di tipo euclideo, ovvero come se /acesse­ro parte della matematica pura. Si noti pero che il fondamento della tesi di Zilsel sta in quella mancan-

26 E. Zilsel, op. cit. , pp. 254-255.

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za di distinzione tra fisica e matematica che caratte­rizzo la scienza premoderna: com'e noto, l'astrono­mia,. che oggi e per noi una scienza empirica, era considerata fino a tutto il Medioevo parte della matematica (una delle discipline del quadrivio). Ma proprio per questa il ruolo di Archimede (e prima an cora, dell' attica di Euclide) nella storia dell'idea di legge di natura non puo essere sottovalutato, soprattutto se, seguendo la Ruby, vediamo proprio nell' attica e nelle sue leggi, cosi come vennero for­mulate da Ruggero Bacone nel XIII secolo, il prima uso moderno di tale idea. Se non fosse che, nel discutere i tre principi empirici suddetti, Zilsel fa correttamente notare che Archimede non uso mai il termine " legge di natura" , la sua ammissione esplici­ta che lo scienziato siciliano scopri sperimentalmente il principia che porta il suo nome rende almena in parte paradossale l' altra sua osservazione, secondo la quale Archimede «non spiego empiricamente le leggi» da lui discusse.27

A nostro parere, il motivo per il quale non e pos­sibile attribuire la piena paternita del concetto di legge di natura ad Archimede non sta nella (dubbia) ipotesi che quest'ultimo non abbia seguito un meto­da sperimentale, rna nel fatto che non abbia /atto alcun ri/erimento alla natura (physis) . A riprova di questa tesi si consideri che anche la fisica di Descartes seguiva un metoda ipotetico-deduttivo, rna non per questa noi ( o lo stesso Zilsel) esitiamo ad attribuire al filosofo francese la piena paternita della nozione di legge di natura.28 Inoltre, il fatto che

27 Ibid. 28 I vi, pp. 267 ss. Il problema se il possesso di un concet­to astratto sia legato in modo necessario all' esistenza di

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quelle che oggi chiamiamo "leggi della riflessione" , insieme alle altre due, fossero incluse da Archimede in una trattazione es clusivamente matematico­deduttiva, sta a significare che la nozione di legge aveva un suo connotato matematico sin dalla sua prima " anticipazione" , riconducibile al fatto che l'ottica si prestava, meglio di altre branche della fisi­ca, a una trattazione puramente geometrica in termi­ni di «linee, angoli e figure».29

Un commento a parte merita poi lo schema sto­riografico generale di Zilsel, in seguito ripreso anche da Needham. In base a tale schema, il terreno cultu­rale e sociale necessaria all' emergere della nozione di legge naturale si forma grazie all' azione congiunta di due fattori, che si realizzarono compiutamente solo in eta moderna. Il primo sarebbe dato dalla tra­sformazione delle leggi bibliche divine in prescrizio­ni geometriche, mentre il secondo consisterebbe nella creazione di regimi politici assolutistici, desti­nati a superare i precedenti particolarismi feudali. Come vedremo, mentre la prima componente fu sicuramente importante nella genesi del concetto di legge, il ruolo della seconda e assai pili controverso, e la pur documentata contaminazione reciproca tra politica e scienze esatte nell' epoca moderna non permette di affermare con certezza che 1' assolutismo fu condizione necessaria all' emergere di una nozione

un termine linguistico che a esso si riferisca e indubbiamente rilevante per la nostra ipotesi, rna e troppo complesso per poter essere discusso in questa sede. 29 Tale ruolo della geometria nell'ottica venne sottolinea­to anche dallo scienziato medievale Roberto Grossatesta (1 175-1253) nel De linezs angulis et figuris, seu de fractio­nibus et reflexionibus radiorum, da cui Ruggero Bacone fu influenzato. Di qui le virgolette nel testo.

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1. L'origine dell' idea di legge di natura .

di legge naturale vista come priva di eccezioni e uni­versale.30

1 .3 La controversa origine medievale dell'idea di legge di natura: la tesi di Jane Ruby

Indipendentemente dalla spiegazione teologica, e plausibile supporre che l'intento di connettere la nascita del concetto di lex naturae a fattori sociologi­ci abbia spinto Zilsel e Needham a posporre la data di nascita dell'idea di legge naturale. Ed e altresi immaginabile che sia stata proprio la ricostruzione che questi studiosi hanno fatto del periodo medieva­le ad aver sollevato numerose obiezioni tra gli storici contemporanei. La polemica lanciata da Jane Ruby contro i suoi pionieristici predecessori consiste pro­prio nell'ipotesi che la nascita del concetto di legge di natura non sia stata influenzata da fattori teologici o sociali tipici dell' eta moderna, rna che debba esse­re antidatata al XIII secolo, e in particolare all' opera del grande scienziato medievale Ruggero Bacone (12 10- 1292 ca. ) .

Mentre per il problema che ci concerne sia Zilsel che Needham avevano presentato 1' epoca medievale come caratterizzata essenzialmente dalla tesi tomisti­ca, pili tardi ripresa da L. Valla, P. Pomponazzi e F. Suarez, per cui 1' attribuzione del concetto di legge

30 Per tale commistione tra politica e leggi di natura, rimandiamo a P. Casini, La Loi naturelle: re/lexions politi­que et sciences exactes, in "Studies on Voltaire and the Eighteenth Century" , 1976, pp. 4 17 -432. Per questo testo, si cited dalla versione italiana dell' articolo, La "legge di natura": teoria politica e scienze esatte nei secoli XVII e XVII, in "De Homine" , 1977, pp. 165-185.

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Il software dell'universo

alla natura inanimata e puramente analogz'ca 0 meta/orica (per similitudinem), la Ruby, seguendo lo storiCo della scienza medievale Alistair Crombie, individua due filoni premoderni nei quali il concetto di legge e a suo parere utilizzato in modo fondamen­talmente analogo a quello contemporaneo: l' attica e l'astronomz'a matematica.

Nel XIII secolo assistiamo, in ogni caso, a un'im­portante divaricazione del pensiero occidentale, e la vicenda che stiamo ricostruendo ne e significativo esempio . Da una parte troviamo Tommaso d'Aquino ( 1225- 1274), che in epoca contemporanea a Ruggero Bacone, insiste sul fatto che 1' ordine impressa da Dio alla natura e essenzialmente non causale e finalistico ( teleologico) . Di conseguenza, per Tommaso la lex aeterna divina si puo riverbera­re, per quanta pallidamente, solo nella razz'onalz'td umana, destinata a seguire la lex naturalis, una nozione il cui dominio di validita e pen) ristretto all' etica e alla giurisprudenza. In questa tradizione, l' applicazione del termine "legge" a esserz· inanimati puo essere solo meta/orz'ca, un punto di vista che fu talmente influente da arrivare sino all' epoca moder­na e oltre. Come vedremo, per Robert Boyle e John Locke, il concetto di legge di natura puo essere applicato all'universo fisico solo in chiave analogica, e, in certo senso, anche certi filosofi contemporanei che difendono una posizione scettica sulle leggi di natura (Bas van Fraassen, Ronald Giere e, in parte, Nancy Cartwright ) possono considerarsi eredi di questa tradizione.

Dall' altra parte, e nello stesso periodo storico, troviamo Ruggero Bacone intento ad adoperare il termine lex per la prima volta per riferirsi alla pro­spettiva (nella Perspectiva, che e parte dell' Opus

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1. L'origine dell' idea di Iegge di natura

Maius) . In particolare, nel trattare argomenti che oggi noi diremmo appartenere all'ottica geometri­ca,31 Bacone invoco pili volte il termine legge seguito dal genitivo - come in "legge di riflessione" (lex re/lexionis) , "legge di rifrazione" ( lex /ractionis) e " legge della moltiplicazione delle immagini" (lex multiplicationis specierum, che e l'emissione di simu­lacri d'immagini dagli oggetti, ciascuno riproducen­tesi da punto a punto nello spazio e propagantesi in linea retta) . La Ruby sottolinea che sia negli originali greci, sia in quelli arabi, a cui si rifacevano le tradu­zioni latine di testi di ottica e matematica, la parola lex non compariva, e tantomeno accanto ai termini ottici "riflessione" o "rifrazione" usati nel genitivo. Cio implica che l'uso di questa parola da parte di Ruggero Bacone nell' ottica all a sua epoca fosse un' eccezione. Da dove poteva derivare?

In modo assai interessante, la studiosa mette in luce il legame originario tra il termine "legge" e il termine " regola" ( regula ) , precedentemente gia usato dal maestro di Bacone, Roberto Grossatesta, sempre a proposito dell'ottica. In latino, regula indi­cava originariamente quello che noi chiamiamo "righello" , ovvero un concreto strumento che serve a misurare lunghezze. Tale termine32 progressiva­mente acquisto il significato pili astratto di "regola"

31 Per i riferimenti testuali all'opera di Ruggero Bacone, si veda J. Ruby, op. cit., p. 343 , nota 10 . 32 Come si e visto, i l termine greco corrispondente a lex era nomos, che pen) nella parola economia (il cui suffisso "-nomia"· deriva da nomos) stava a indicare, appunto, le regole per la conduzione dell' economia domestica, cosi come in "astronomia" esso si riferiva al sapere pratico e teorico necessaria per lo studio e l'interpretazione degli astri. Cfr. J. Ruby, op. cit. , p. 347.

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come noi l'intendiamo, ovvero di tecnica o criteria di comportamento atto a raggiungere /ini praticz'. In una certa misura quindi, regula ha un significato norma­tivo indipendente da quello relativo alla condotta morale e alle leggi civili, avente a che /are con quelle conoscenze e tecniche standard che si debbono appren­dere in un'arte o in un mestiere per poterli svolgere in maniera corretta.

Un momento cruciale della nostra storia e quello in cui comparve l' avverbio regulariter: secondo la Ruby, ne esistono tracce gia nel v secolo dopo Cristo. Tale avverbio, in quanto sinonimo di " cio che accade frequentemente" , o di regola, o "ripetu­tamente", fece probabilmente sl che il termine regu­la , insieme a lex, cominciasse a perdere almeno parte del suo significato prescrittivo, per assumerne uno puramente descrittivo . L' avverbio in questione poteva allora essere usato per indicare un insieme di processi il cui ciclico ripetersi non dipendeva neces­sariamente dalla volonta di qualcuno, rna solo dalla natura dell' oggetto .33

Incidentalmente, vale la pena sottolineare una conseguenza assai interessante della parentela eti­mologica tra "legge" e " regola" che la Ruby ha omesso di sottolineare, data dal fatto che il termine "regolarita" (regularity) stia an cor oggi a indicare le leggi di natura, proprio in quanta rz/erentesi a /eno­meni che si susseguono ordinatamente e ripetutamen­te nel tempo. Nelle discussioni filosofiche contempo­ranee, che introdurremo nei prossimi capitoli, il ter­mine "regolaristi" serve appunto a indicare quei filosofi che, seguendo David Hume, ritengono che l' aspetto oggettivo e indipendente dalla mente a cui

33 Ivi, p. 348.

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1. L'origine dell' idea di legge di natura

il termine "legge" si riferisce coinvolga appunto il regolare e ordinato susseguirsi nel tempo di fenomeni simili.

Sulla scorta di quanta abbiamo visto a proposito della tradizione stoico-cristiana ripresa da Tommaso d' Aquino, e dunque chiaro che attribuire la pater­nita della nozione di legge di natura a Ruggero Bacone e possibile solo se si accerta che lo scienziato medievale la abbia concepita (i) in forma puramente descrittiva, e (ii) tale da vincolare non soltanto un ambito ristretto di fenomeni (quelli descrivibili dal-1' attica) , rna la natura tutta.

Per quanta riguarda il primo punto, si tenga pre­sente che gia nel XII secolo "lex" e " regula" designa­vano le regale grammaticali, ed avevano quindi un significato chiaramente normativo. Analogamente, il principia aristotelico di non -contraddizione veniva denominato lex contradictionis da vari autori (Pietro Ispano, Lamberto di Auxerre e Guglielmo di Shyreswood) . Secondo la Ruby, questa sarebbe un' altra possibile spiegazione del motivo per il quale Ruggero Bacone, per trattare i fenomeni ottici, uti­lizzo il sostantivo lex anche con il genitivo di reflexio e/ractio.

Tuttavia, questa e un argomento che prima facie rende sospetta la sua tesi generale, e proprio in con­siderazione del fatto che anche la logica e una disci­plina chiaramente normativa - essa, infatti, concerne le tecniche dell' inferenza corretta, il " come dovrem­mo ragionare" , e non s'interessa a " come di fatto ragioniamo" , che e oggetto della psicologia. La Ruby ritiene che 1 ' an alogia con 1' ottica34 potesse essere data dal fatto che il termine lex era associato,

34 Ivi, p. 349.

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in logica, a cio che e indubitabile, assolutamente certo, "universale e predicibile" . Mentre pero , come si e appena vista, lex contradictionis e normativo (non ci si deve contraddire, o non ci si puo contrad­dire impunemente), le leggi ottiche nel sensa moder­no del termine non lo sana affatto. E allora, quale puo essere la ragione del mutamento di prospettiva concettuale dal normativo al descrittivo presupposto dalla studiosa?

Delle due l'una: o Ruggero Bacone intendeva ancora le sue leggi in modo metaforico, come se due raggi luminosi prima e dopa una riflessione non potessero trasgredire un'ingiunzione della natura, cio che pero distruggerebbe la tesi della Ruby, oppu­re la connessione tra la legge logica e le leggi ottiche e data davvero, come lei sostiene, dalla comune pro­prieta dell'indubitabilita, che nel caso dell' attica sarebbe data dalla certezza empirica e dall'uso della matematica.

Si noti tuttavia che l'indubitabilita ha solo a che fare con la conoscenza umana, e come tale non riguarda necessariamente i fenomeni in se. Senza un esplicito riferimento a un contenuto empirico delle leggi ottiche, la tesi della descrittivita di queste ulti­me cadrebbe, in quanta l'indubitabilita di per se non e sufficiente a qualificare una legge come descrittiva o dotata di contenuto empirico. l]na qua­lunque "legge" matematica potrebbe essere indubi­tabilmente vera rna, in quanta tautologica, potrebbe essere priva di contenuto empirico, ovvero non · informativa sui mondo.

Chi voglia difendere il punto di vista della Ruby, dovrebbe piuttosto adottare la lettura di Crombie/5

35 A.C. Crombie, Medieval and Modern Science, Garden City, New York 1959, p. 24.

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1. L'origine dell' idea di legge di natura

che avanzo l' ipotesi che Ruggero Bacone usasse " legge" al posto del tradizionale termine aristotelico forma allo scopo precipuo di matematizzare la fisica. Elaborando quest'ipotesi, si puo aggiungere che la logica era stata profondamente influenzata fin dal sorgere dal metodo assiomatico euclideo, e dunque dalla matematica, e che e quindi plausibile supporre che Bacone usasse il termine "legge" anche per i fenomeni ottici proprio per sottolinearne il carattere rigorosamente deduttivo e quindi necessaria . Inoltre, e innegabile che la Perspectiva baconiana sia stat a molto lett a in epoca success iva , da John Pecham e Regiomontano nel Cinquecento, fino all'opera ottica di Johannes Kepler, Supplementz' a Vitellio, pubblicata nel l604 .

Tuttavia, rilevare !'influenza storica di Ruggero Bacone non equivale a concedergli la paternita della nozione di legge naturale nel senso puramente descrittivo e matematico del termine. Non dobbia­mo dimenticare che lo studio del comportamento dei raggi luminosi, per quanto importante, non era considerato come esaustivo di tutti i /enomeni natu­rali, nemmeno nel Medioevo. E malgrado Ruggero Bacone pensasse che la sua legge della moltiplicazio­ne delle immagini fosse in grado di render conto di tutti i fenomeni naturali, 1' applicazione del concetto di legge nelle sue opere era limitata dal fatto che lo scienziato medievale non rigetto mai del tutto la fisi­ca aristotelica, pur ritenendola incompleta.36 Il qua­dro generale del mondo fisico era dunque assai diverso da quello che si affermo dopo Copernico e Galilei, e in mancanza del contesto offerto da una nuova filoso/ia naturale, e difficile sostenere che il

36 Cfr. J. Ruby, op. czt. , p. 359.

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concetto di legge di natura fosse gia emerso nel XIII secolo .37 Di conseguenza, l'ipotesi in base alla quale Ruggero Bacone avesse concepito la natura, gia prima della rivoluzione scientifica del Seicento, come «un tutto la cui unita risiede appunto nelle sue leggi»/8 deve presumibilmente essere sottoposta a ulteriori verifiche. Quantomeno, e legittimo conclu­dere che essa debba essere giudicata come ancora controversa, soprattutto in vista del fatto che la nostra autrice ha deliberatamente omesso di consi­derare l'importante connessione tra teologia e leggi naturali nell' eta moderna, che ci accingiamo a illu­strare.

1.4 La nozione di legge di natura nel XVII secolo: il ruolo dell"'altro " Bacone

Quanto alla ricostruzione storica della nozione secentesca di legge di natura, Paolo Casini ha sugge­rito di distinguere tra una formulazione metafisico­realistica delle leggi di natura, in base alla quale Dio ha imposto alla natura i suoi dettami, e una conce­zione convenzionalistica e analogica, sulla scorta della quale le "leggi di natura" sono viste alla stre­gua di metafore tratte dal linguaggio giuridico.39

Di fatto, solo all'interno della prima posizione -in particolare nel platonismo galileiano, nel pitagori­smo di Keplero e nella metafisica dualistica cartesia-

37 Si veda anche ]. R. Milton, op. cit. , p. 683 . 38 Ivi, p. 346. 39 P. Casini, La Loi naturelle . . . , cit. , p. 17 6 , Si veda anche P. Rossi, Francis Bacon, Richard Hooker e le leggi di natura, "Rivista Critica di Storia della Filosofia" , 1977, I,

pp. 73-78.

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1. L'origine dell' idea di legge di natura

na - troviamo un uso esplicito della nozione di legge di natura, vista come un "ordine" dettato da Dio al mondo fisico. A difesa della seconda posizione, secondo Casini troviamo invece autori come Robert Boyle e, per un certo verso, Baruch Spinoza e John Locke, i quali sottoscrivono, seppure in modo diver­so, le seguenti parole del padre della chimica moderna:

Non mi faccio scrupolo talvolta di parlare delle leggi del moto o della quiete imposte da Dio alle cose cor­poree, definendole sovente (per amore di brevita o per abitudine) , " leggi di natura" . [ . . . ] Ma non riesco a concepire come un corpo privo d'intelletto e di sensi [ . . . ] possa controllare e determinate i propri moti in modo da renderli conformi a leggi.40

Prima di presentare brevemente i caratteri salienti di queste due correnti della filosofia naturale del Seicento, riteniamo pen) utile presentare la conce­zione delle leggi di natura difesa dal Bacone forse pili noto, Francesco, il cui ruolo nel processo di costruzione del termine in senso moderno e stato tanto spesso quanto ingiustamente trascurato. Il Lord Cancelliere infatti, pur condividendo una con­cezione che oggi chiameremmo "realistica" delle leggi, non ne difende 1' esistenza su basi teologiche, rna puramente metodologiche: come afferma Paolo Rossi, «la tesi della netta separazione fra scienza e teologia resta uno dei temi centrali della filosofia di Bacone».41 Poiche studiare la natura non era per lui

--40 R. Boyle, A Free Inquiry into the vulgarly received Notion a/Nature, in The Works of the Honourable Robert Boyle, a c. di T. Birch, ristampato da Hildesheim, Olms 1966 [ 1686], vol. v, pp. 170 ss. Qui si e seguita la tradu­zione di P. Casini, La loi naturelle . . . , cit. , p. 177. 41 Si veda P. Rossi, Francesco Bacone, cit., p. XIX.

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un modo per capire i decreti che Dio aveva impasto al mondo (leggi) , la schematizzazione sopra accen­nata di un Seicento diviso tra un realismo teologiz­zante e una posizione convenzionalista va quindi presa cum grana salis, ovvero tenendo canto del fatto che la posizione sulle leggi occupata da Francesco Bacone si adatta con fatica a entrambe le categorie. Presentare in qualche dettaglio la sua teo­ria e dunque particolarmente opportuno, anche per­che ci aiuta a introdurre alcune tematiche che riprenderemo in seguito.

Nel Novum Organum, pubblicato nel 1 620, Francesco Bacone considera, con tipico spirito clas­sificatorio, la conoscenza del mondo naturale come un processo lungo e graduale, consistente nell' asse­gnazione a ogni corpo di una o pili proprieta defini­te, o "forme" corrispondenti alla sua natura. Le forme vengono poi concepite come

[ . . . ] quelle leggi e determinazioni che governano e costituiscono una qualsivoglia natura, come il calore, la luce, il peso di ogni tipo di materia o sostrato cui esse possano inerire [ . . . ] In tal modo, la "forma" del calore 0 la "forma" della luce e lo stesso che la "legge" del calore o la " legge" della luce».42

Un po' pili sopra aveva scritto: [ . . . ] in natura nulla esiste oltre ai corpi individuali, che compiono azioni puramente individuali secondo

42 F. Bacon, Novum Organum, in The Works of Francis Bacon, a c. di ]. Spedding, R. Ellis e D. Heath, ristampato da Frommann-Holzboog, Stuttgart, 1961-63 [ 1857 -74] vol. I, trad. it. Nuovo Organa, in Opere Filoso/iche, a c. di E. De Mas, Laterza, Roma-Bari 1965, libro 11, 17. Le cita­zioni dal Novum Organum d'ora in poi saranno date spe­cificando la parte del libro seguita dall'aforisma corri­spondente.

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1. L'origine dell' idea di legge di natura

una legge. In filosofia, tuttavia, questa legge [ . . . ] e il fondamento sia della conoscenza, sia dell' azione. Ed e a questa legge con le sue clausole che io intendo rife­rirmi quando parlo di forme, un termine che adotto perche e diventato di uso comune.43

Sulla base di questi due passi, forme e leggi di un fenomeno possono essere chiaramente considerati come due termini perfettamente interscambiabili o aventi lo stesso significato, cio che ci induce a cerca­re di comprendere come egli vede le seconde a par­tire da cio che afferma riguardo aile prime.

II termine "forma" suggerisce un ovvio richiamo aile forme sostanziali o aile cause formali della fila­sofia aristotelico-scolastica. Sebbene Francesco Bacone insista sui fatto che la forma come lui l'in­tende sia la "struttura immanente" di una cosa o di un fenomeno, e coincida quindi, aristotelicamente, con la sua essenza, proprio l 'equiparazione della forma con il termine "legge" , tuttavia, marca la sua distanza dall ' aristotelismo scolastico. Francesco Bacone infatti, a differenza di Aristotele, non si rife­risce alla forma come al fine cui tende lo sviluppo temporale di un fenomeno, ma esclusivamente ai poteri causali dei singoli corpi, da cui le leggi deriva­no (vedi le parole in corsivo nell'ultima citazione).44

Da questo punto di vista, forse la migliore inter­pretazione del concetto baconiano di legge come forma dei fenomeni puo essere, anacronisticamente

43 F. Bacone, op. cit. , II, 2 (corsivo nostro) . 44 Incidentalmente, questa interpretazione delle forme come poteri causali rende conto anche del seguente passo del Novum Organum, segnalato come particolarmente oscuro da J. Milton (op. cit. , p. 685) : «poiche ogni corpo contiene in se molte forme o nature unite insieme in uno stato concreto, il risultato e che esse congiuntamente si scontrano, si indeboliscono reciprocamente, si infrangono

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rna assai efficacemente, data sulla base di una nozio­ne sviluppata dall' epistemologia contemporanea, e precisamente quella di genere naturale (natural kind) . Seguendo le tesi essenzialistiche sui generi naturali sviluppate da Saul Kripke e da Hilary Putnam ,45 un interprete moderno della dottrina baconiana delle forme o leggi dei fenomeni potreb­be dire che la forma dell' acqua, per esempio, e sem­plicemente la legge che ne dd la sua formula chimica, ovvero H20. Come afferma Putnam, qualunque cosa abbia la struttura interna (microscopical data da due atomi d'idrogeno e uno di ossigeno, e acqua in ogni mondo possibile, ovvero e necessariamente o essenzialmente acqua. Questa significa che una qua­lunque sostanza che ipoteticamente avesse proprieta macroscopiche identiche all' acqua (1' essere inodore, insapore ecc.) , rna possedesse una formula chimica diversa, semplicemente non sarebbe acqua.

Come nella filosofia della scienza contemporanea un genere naturale e identificato dalla sua struttura microscopica, cosi anche per Francesco Bacone «la forma e tale che se venisse tolta, svanirebbe anche la natura di cui essa e forma», e in quanta tale essa e essentia. In quanta tale, essa ha pen) a che fare con

e si assoggettano l'una con l'altra» (F. Bacone, op.cit., II,

24). Da questo fraintendimento, segue un'ingiusta svalu­tazione da parte di Milton del ruolo di Francesco Bacone nella storia del concetto di legge di natura. 45 S . Kripke, Naming and Necessity, Blackwel l , Oxford 1 980, trad. it . Nome e necessitd , Bollati Boringhieri, Torino 1999 . Si veda H. Putnam, The Meaning o/ Meaning, in Mind, Language and Reality, Cambridge University Press, Cambridge 1984, vol. II, pp. 2 15 -27 1 , trad. it. Il significato di signzficato, in Mente, linguaggio e realtd, Adelphi, Milano 1987 .

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1. L'origine dell' idea di Iegge di natura

le cause o azioni latenti di un fenomeno, ovvero con l' azione di particelle nascoste ai sensi perche esisten­ti a livello microscopico.46

In definitiva percio, quelle che Francesco Bacone chiama "leggi del moto " o «leggi d'azione» riguardano una "natura" o "struttura" dei fenomeni intesa in modo, essenzialmente causale e microscopi­co, in opposizione a cio che appare ai nostri sensi: «la cosa differisce dalla sua forma non diversamente da come cio che appare differisce da cio che e reale».47 Il calore, dal punto di vista della sua appa­renza, coincide con cio che noi avvertiamo quando per esempio ci avviciniamo al fuoco, rna dal punto di vista oggettivo, la forma del calore nei corpi e data dalle leggi del moto dei corpuscoli che li com­pongono o, piu precisamente, dall' azione che questi subiscono, dal puro movimento.48 La distinzione tra qualita primarie (che esistono nei c0rpi indipenden­temente da noi) e qualita secondarie (che risultano dall'interazione tra i corpi e gli organi di senso) -comune a Galilei, Boyle e Locke e retaggio dell' ato­mismo antico - e adombrata qui con chiarezza, mal­grado quei termini non vengano usati.

Semmai il grande limite della teoria baconiana delle leggi di natura viste come strutture causali microscopiche dei fenomeni sta nel suo ignorare totalmente la possibilitii di una loro descrizione matematica: da questo punto di vista, Francesco Bacone si situa indubbiamente lontano dalla tesi

---- ·-----46 Nuovo organa, II, 1 , 5 , 6, 17. Si veda anche F. Steinle, Laws of Nature in the new Sciences, in F. Weinert (ed.), ap. cit. , p. 332. 47 F. Bacone, Nuavo Organa, II, 13 . 48 Ivi, II, 20.

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moderna che identifica una legge fisica con un' equa­zione matematica.49

Da un punto di vista pili filosofico, e comunque opportuno sottolineare che l'interpretazione che Francesco Bacone assegna alle sue leggi e decisa­mente realistica, dato che le forme sono eterne e riflettono la struttura latente e microscopica dei corpi.5° Cio giustifica anche la sua tipica convinzione che la conoscenza e il potere umano siano la stessa cosa: il famoso aforisma «natura parendo vincitur» Oa natura si vince obbedendole) presuppone, infatti, ·che la legalita a cui e soggetta la natura non sia una convenzione costruita dall'uomo allo scopo di domi­nare e prevedere i fenomeni, rna rispecchi piuttosto un ordine del tutto indipendente dalla nostra mente e dal linguaggio, costituito da «una catena di cause che nessuna forza puo vincere o spezzare».51 Che senso avrebbe altrimenti il termine "obbedire" ?

In sintesi, nella divisione tra realisti e convenzio­nalisti nel Seicento che ci accingiamo a illustrare, Francesco Bacone si schiera dunque decisamente con i primi, senza pero accentuare il tema di una derivazione teologica della nozione di legge.

49 Per la posizione baconiana sulla matematica, si veda F. Bacone, Nuovo Organa, I, 96. Per !a trasformazione delle cause formali aristoteliche nello studio dei fenomeni fisici attraverso !a formulazione di equazioni formulate in modo quantitativa, si veda T. Kuhn, Les notions des cau­salite dans le developpement de la physique, "Etudes de epistemologie genetique", xxv, 1971 , pp. 7-18, trad. it. di A. Conte e G. Conte, La nozione di causalitd nella svilup­po della /isica" , in Le teorie della causalitd, Einaudi, Torino 1974, pp. 3 -17 . 5 0 F. Steinle, op. cit. , p. 334. 51 La citazione da Bacone e in P. Rossi, op. cit. , p. 75 .

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1. L'origine dell' idea di legge di natura

1 .4. 1 La concezione metafisico-realistica delle leggi nel Seicento

Cominciamo con il sottolineare che all'interno della tradizione teologico-metafisica, il termine "legge" e espressamente utilizzato solo da Rene Descartes. In effetti, per indicare cio che noi chiamiamo "legge" , nelle loro opere scientifiche sia Galilei sia Keplero tendono a continuare la tradizione dei calculatores medievali, parlando di ratio, proportio, de/initio ecc. Curiosamente, la legge galileiana della caduta dei gravi, cosl come le tre leggi di Keplero sul sistema solare, nel contesto delle opere in cui compaiono, non vengono mai chiamate "leggi" , anche se questo non equivale a sostenere che questi due autori non possedessero un concetto di legge naturale, inteso come espressione matematica della volonta divina. Il realismo filosofico che illustreremo dipende anzi dall'ipotesi fondamentale che Dio sia garante della comprensibilita dell'universo fisico, avendo egli stes­so creato le leggi. Diverso e invece il modo in cui i nostri tre autori interpretano questa soggiacente struttura geometrica.

Nell'Harmonices Mundi di Keplero, soprattutto con la ripresa della teoria dei solidi platonici iscritti e circoscritti a sfere concentriche allo scopo di spie­gare le distanze dei pianeti del sistema solare, Dio viene chiaramente assimilato a un matematico che ordina l'universo in base a un criterio di "bellezza geometrica" . Nelle opere astronomiche inoltre, Keplero talvolta usa "leggi" al posto del termine "misura" e "proporzione " , a chiara riprova del carattere matematico-divino di queste ultime, men­tre in una lettera a Fabricius che risale al maggio del 1605, abbiamo una chiara evidenza del fatto che l'a­stronomo tedesco possedesse il concetto di legge

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come noi l'intendiamo, dato che ricorda il terribile lavoro necessaria a sottomettere le irregolarita del moto dei pianeti, finche «non si adattarono final­mente alle leggi di natura».52

Per spiegare 1' origine di questa concezione in Keplero, e possibile rintracciare connessioni tra il concetto di legge e la volonta divina gia in Copernico e nell'astronomo danese Tycho Brahe, che, com'e nota, venne direttamente a contatto con Keplero fornendogli le sue (per il tempo) precisissi­me osservazioni sulle posizioni dei pianeti, il che permise a quest'ultimo di formulare le leggi del mota dei pianeti e scoprire, in particolare, che que­sti seguono orbite non circolari rna ellittiche.

Rimandando al gia citato lavoro della Ruby per l'uso di lex nell'astronomia premoderna, qui basted ricordare come Copernico nel suo capolavoro gia si riferisse a Dio come a un saggio e ordinatissimo arti­giano che aveva costruito «la macchina del mondo».53 Questa citazione fornisce un'importante evidenza a favore della tesi che gia Copernico difen­desse l'idea che il divino artigiano avesse impasto al suo "prodotto" delle regolarita precisissime e inda­gabili con la matematica. La stessa autrice, d' altra parte, riconosce che Tycho fu l'unico astronomo del Cinquecento a formulare chiaramente la tesi dell' o­rigine divina delle leggi naturali nel De Disciplinis Mathematicis ( 157 4), allorche scrive che

[ . . . ] le meravigliose ed eterne leggi dei movimenti celesti, cosi diverse eppure cosi armoniose, provano 1 ' esistenza di Dio.54

--�-52 Vedi E. Zilsel, op. cit. , p. 266. 53 De revolutionibus orbium caelestium, praefatio, 4, 1. 10, 2 1 , cit. in J. Ruby, op. cit. , p. 308. 54 Tradotto dal passo di Tycho cit. in J. Ruby, op. cit. , p. 356 (cors. nostri) .

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1. L'origine dell' idea di legge di natura

Questo passo anzi suggerisce un possibile intendi­mento apologetico. Non stiamo con cio sostenendo che gli scienziati che in epoca moderna difendevano un'interpretazione metafisico-teologica delle leggi di natura non fossero sinceri credenti: argomentare a favore di una tesi del genere sarebbe in ogni caso storiograficamente assai difficile. La tesi che voglia­mo difendere e piuttosto che il sottolineare la deriva­zione divina delle nuove leggi astronomiche poteva avere la funzione, anche non intenzionalmente conce­pita, di far accettare meglio alle gerarchie ecclesiasti­che il contenuto rivoluzionario del sistema del mondo che si andava via via costruendo.

Come si poteva infatti affermare che la matema­tizzata scienza moderna andava contro la religione, se sia la morale che la natura erano una creazione divina? L' attribuire le leggi naturali direttamente alia volonta di Dio poteva avere lo scopo, se non si era

· credenti, di mettersi al riparo da prevedibili censure o q..mdanne ecclesiastiche contro il nuovo sistema del mondo; se invece si era credenti, poteva suggeri­re nuovi argomenti per dimostrare I' esistenza di Dio a posteriori, un aspetto che diventera importante nella teologia naturale del Settecento, soprattutto dopo la grande sintesi operata da Newton.55

Questo legame potenzialmente "apologetico" tra legge naturale e teologia sembra essere presente soprattutto in Galilei, il quale, come si e gia antici­pato, nelle sue opere pili scientifiche non si riferisce mai a cio che noi chiamiamo "legge" di caduta dei

55 Gli studi astronomici avevano una funzione edificante gia nel mondo greco, dato che lo studio delle stelle veniva considerato, per esempio da Tolomeo, come tale da avvi­cinarci all' eternita e dun que a Dio.

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I! software dell'universo

gravi o "legge" del pendolo usando questo termine. Nei Discorsi e Dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze ( 163 8) , che e l'opera pili pura­mente scientifica dello scienziato pisano, egli usa piuttosto «proprietii del moto accelerato», «defini­zione del moto accelerato», o, seguendo i calculato­res, il termine «proporzione» o «regola del moto accelerato».56 Non a caso, e nelle lettere copernicane che insiste sulla derivazione teologica dell' or dine naturale da Dio, presumibilmente allo scopo di pre­venire attacchi da parte della censura cattolica.

Come evidenza di questa tesi, che nella letteratu­ra non e stata sufficientemente considerata, riportia­mo il seguente passo della lettera che Galilei scrisse a Castelli:

[ . . . ] procedendo di pari dal Verbo divino la Scrittura Sacra e la natura, quella come dettatura dello Spirito Santo, e questa come osservantissima esecutrice de li ordini di Dio; [ . . . ] essen do la natura inesorabile e immutabile [ . . . ] per lo che ella non trasgredisce mai i termini delle leggi imposti; pare che quello de gli effet­ti naturali che o la sensata esperienza ci pone innanzi a gli occhi o le necessarie dimostrazioni ci concludono, non debba in conto alcuno esser revocato in dubbio per luoghi della Scrittura ch' avesser nelle parole diver­so sembiante, poi che non ogni detto della Scrittura e legato a obblighi cosi severi com'ogni effetto di natu­ra.s7

56 L' opera Discorsi e Dimostrazioni e nel volume VII delle Opere, cit.; le citazioni in questione sono alle pp. 202, 205 , 212, 274. Per una recente interpretazione di Galilei sulle leggi, si veda F. Steinle, op. cit. , pp. 3 16-368. Anche Zilsel sottolinea come Galilei non usasse mai il termine "legge": op. cit. , p. 262. 57 G . Galilei, "Lettera a Castelli " , in Opere, vol. v, pp. 282-283 (cors. nostro) .

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1. L'origine dell' idea di legge di natura

A questo proposito, Friedrich Steinle ha sostenuto che Galilei non volesse usare il termine "legge" nella scienza per evitare che la teologia contaminasse l'in­vestigazione delle cose naturali: lo storico tedesco ritiene che lo scopo di Galilei fosse quello di mante­nere le due scienze separate per quanto era possibi­le.58 Quest'interpretazione sembra pen) smentita dal fatto che nella lettera sopra citata, Galilei scrive che cio che e sotto dettatura dello spirito santo (le Scritture) non puo contraddire il libro della natura, malgrado la lettera del testo biblico possa superfi­cialmente indurci a credere il contrario. Allo scopo di mantenere le due scienze separate, a Galilei basta far notare che cio che e generato dal Verbo divino non puo contenere alcuna contraddizione, il che implica che non siamo obbligati ad alcuna scelta tra filosofia naturale e teologia. La tesi che, prescinden­do dalla sua fede personale, la funzione principale dell' attribuire 1' origine delle leggi direttamente a Dio fosse auto-assolutoria e in certa misura propa­gandistica, puo essere argomentata in modo indi­pendente se si accetta l'ipotesi che Galilei sperava, in qualche senso, che la chiesa cattolica sostenesse i suoi nuovi studi sperimentali.59

La nostra breve ricostruzione della posizione di Galilei sulle leggi di natura non puo chiudersi senza menzionare la famosa citazione del Saggiatore ( 1623) , nella quale Galilei afferma che il grandissi­mo libro della Natura

[ . . . ] che continuamente ci sta aperto innanzi agli occhi (io dico l'universo) [ . . . ] e scritto in lingua mate-

58 Id., op. cit., p. 32 1 . 59 Si veda L. Geymonat, Galilei, Einaudi, Torino 1957.

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Il software dell' universo

matica, e i caratteri sono triangoli, cerchi e altre figure geometriche».60

L' aspetto per noi interessante di questa citazione e costituito dal fatto che egli e convinto che la cono­scenza umana delle verita matematiche sia intensiva­mente (dal punto di vista della certezza) uguale a quella divina: la differenza tra noi e Dio risiede solo nel fatto che estensivamente, o per numero, Dio le conosce tutte immediatamente.61 Appare chiaro che se le regole che esprimono proporzioni naturali hanno una formulazione matematica, la loro verita o certezza deve essere assoluta, essendo garantita dal-1' osservazione che noi arriviamo per passi deduttivi successivi allo stesso risultato al quale Dio perviene immediatamente.

Troviamo qui una formulazione sufficientemente esplicita del carattere necessaria delle leggi di natura formulate matematicamente ( «le necessarie dimo­strazioni» della lettera a Castelli), una caratteristica che, per motivi diversi, viene pen) att�ibuita aile leggi anche ai nostri giorni. Galilei ha dunque colto correttamente uno degli aspetti essenziali del con­cetto di legge e di scienza empirica come oggi noi li intendiamo: una Iegge di natura e una relazione quantitativa tra /enomeni espressa da una /unzione matematica, e lo scopo della scienza consiste nel ricer­care tali relazioni.62

60 Opere, vol. VI, p. 232. 61 Opere, vol. VII, p. 128-129. 62 Per il concetto di funzione nella scienza moderna, si veda E . Cassirer, Das Erkenntn isproblem in der Philosophie und Wissenschaft der neuren Zeit, B. Cassirer, Berlin 1 906, trad. it . , Storia della filosofia moderna, Einaudi, Torino 1978, 10 voll. II capitolo su Galilei e nel secondo tomo del primo libro, pp. 421 -462 dell'edizione italiana.

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1. L'origine dell' idea di legge di natura

In definitiva, se la nuova filosofia naturale non puo essere messa in dubbio dai teologi proprio per il suo carattere matematico, sembra implausibile sostenere che Galilei non usi il termine "legge" per­che teme che la teologia si possa intromettere negli studi fisici smentendo una proporzione matematica. Piuttosto, come ha sostenuto Zilsel, egli e profonda­mente influenzato dal mondo pratico degli artigiani e dei "proto-ingegneri " , laddove prevaleva l'uso delle locuzioni " regole" o "proporzioni" , e teneva quindi assai di piu agli esperimenti che agli scritti dei teologi . Mentre Bellarmino tratta la scienza come strumento e la teologia come fine, si puo ipo­tizzare che Galilei intendeva strumentalizzare la teo­logia per difendere il fine della verita della scienza.

Malgrado gli storici del concetto di legge natura­le siano divisi su molti punti importanti, sembra esservi tra loro una sostanziale unanimita nel consi­derate Cartesio il prima filosofo che formula in modo esplicito e compiuto la nozione di legge di natura. Nelle opere cartesiane, infatti, il termine "legge" puo essere riscontrato assai piu frequente­mente che in Galilei, e il fatto che nel suo pensiero le radici teologiche del termine siano sicuramente assai piu evidenti ed esplicite, rafforza la tesi dell' o­rigine teologica del termine stesso.

Nei Principia Philosophiae (§ 2 1 ) , per esempio, Cartesio attribuisce a Dio la «causa primaria e uni­versale» del mota presente nell'universo, e dunque spiega la costanza della sua quantita totale - il pro­datto della massa di tutti i corpi per la lora velocita -con l'immutabilitii divina:

[ . . . ] per quanta riguarda [Ia causa prima e piu univer­sale del movimento] mi sembra evidente che non ce n'e altra che Dio, che dalla sua onnipotenza ha creato

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la materia con il movimento e il riposo, e che conserva adesso nell'universo, con il suo concorso ordinaria, tanto movimento o riposo quanta ce ne ha messo crean­dolo. [ . . . ] Noi conosciamo anche che e una perfezione di Dio non solamente di essere immutabile nella sua natura, ma anche di agire in un modo che egli non cambia mai [ . . . ] donde segue che, poiche egli ha mosso in molte maniere dz/ferenti le parti della materia, quando le ha create, e le mantiene tutte nella stessa maniera e con le stesse leggi ch' egli ha fatto osservar lora nella creazione, conserva incessantemente in questa materia un'eguale quantita di movimento».63

Le leggi di natura, cui Cartesio fa riferimento in altri passi di questo testo, non sono dunque altro che "cause secondarie e particolari" , la causa primaria di ogni cosa essendo Dio, un punto di vista sulla causa­lid che viene in genere chiamato occasionalismo:

Da questo che Dio non e punto soggetto a cambiare, e che agisce sempre allo stesso modo, noi possiamo per­venire alla conoscenza di certe regole, che io chiamo le leggi di natura, e che sono le cause seconde dei diversi movimenti.64

Da questi due passi, e in particolare dalle parole in corsivo del primo, si evince anche che l'universalita delle leggi, ovvero la loro immutabilita nel tempo e la loro validita in ogni luogo dello spazio, deve esse­re attribuita per Cartesio unicamente all'immutabi­lita divina. Una seconda caratteristica tipicamente associata alle leggi naturali emerge quindi con chia­rezza e per la prima volta proprio nell' opera di

63 Per i Principia, v. R. Descartes, Ouvres, a c. di C . Adam e P. Tannery, Vrin, Paris 1988-1991 , vol. Vlll, 1 . La traduzione del testo dei Principia che abbiamo qui e nel seguito riportato e quella di E. Garin, I Principi della fila­sofia, Laterza, Bari 1967 (cors. nostro) . 64 Ibid.

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1. L'origine dell' idea di legge di natura

Descartes: le leggi sono immutabili e universali nel senso che valgono in ogni luogo e in ogni tempo, e la loro COStanza e un riflesSO della COStanza dell' azione divina nel mondo.

Da questo punto di vista, il pensiero di Cartesio sulla natura e caratterizzato da una profonda ambi­guita, in particolare rispetto all' autonomia che egli riconosce alla materia (o res extensa) . Da una parte, il suo meccanicismo, facendo a meno del termine "forza" , intende liberarsi di ogni influsso vitalistico, finalistico o animistico della filosofia a lui antece­dente. Tutto cia che avviene puo e deve essere spie­�ato in termini di masse in movimento che si urtano. E quest'intento che gli fa dichiarare, nel libro terzo dei Principia (§56), che attribuire ai corpi in movi­mento circolare una «tendenza a recedere dal cen­tro» non implica attribuire loro una mente, rna va spiegato con un movimento vorticoso di una materia SOttile.

D' altra pero, il termine stesso "legge" presuppo­ne il volere divino, e lo stesso perdurare o conservar­si del mondo nel tempo, richiede in qualche senso l'intervento continuo di Dio. Descartes puo dean­tropomorfizzare il mondo naturale sottraendogli qualita occulte, poteri causali e forze, solo al prezzo <li rafforzare in esso il ruolo di Dio:

[ . . . ] e chiaro a chiunque consideri attentamente la natura del tempo che il medesimo potere e azione necessari per conservare qualunque cosa in ogni momento della sua durata sarebbero richiesti per ricreare quella cosa se non fosse in esistenza. Quindi la distinzione tra conservazione e creazione e solo con­cettuale, e questa e una delle cose evidenti alia luce della ragione. 65

65 Ivi, p. 33 .

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Questa tesi mostra il permanere di una forte tradi­zione s colastica nel pensiero cartesiano: gia Tommaso ritiene che

[ . . . ] Ia conservazione delle cose da parte di Dio non avviene attraverso una qualche nuova azione, rna con una continuazione della creazione.66

Proprio a proposito della concezione della causalita, Steinle sottolinea come in Descartes fosse gia chiara­mente presente la distinzione tra cause, da lui identi­ficata con le condizioni iniziali , e leggi, che governa­no l 'evoluzione temporale dei fenomeni a partire dalle cause, sulla scorta della saggezza divina.67 Ma se il legame causale tra due istanti qualsiasi della storia dell'universo e in realta dato da un atto creativo, la distinzione tra causa e leggi in Cartesio non puo esse­re cosl chiara, visto che «le cause seconde dei movi­menti sono le leggi» (vedi citazione precedente).

Piuttosto, e interessante sottolineare come 1' a­spetto pratico e diremmo quasi operativo racchiuso nell' anti co termine medievale regula ( in greco kanon) sia stato mantenuto nell' accezione cartesiana di legge, che viene in una certa misura da lui resa pili astratta e identificata con regola in/erenziale, o tecnica deduttiva per calcolare le conseguenza d'i­potesi poste dalle cause (o condizioni iniziali) : nel­l 'edizione francese dei Principia, Cartesio scrive che egli «voleva dedurre tutti gli effetti apparenti in natura con il solo mezzo delle leggi sp iegate sopra».68

---66 «Conservatio rerum a Deo non est per aliquam novam actionem sed per continuationem actionis qua dat esse», in Summa theologiae, I q904 ad4. 67 F. Steinle, op. cit. , p. 327. II riferimento testuale di queste asserzioni nelle opere e R. Descartes, Ouvres, cit., Vm, m, § 47.

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Ciononostante, concordiamo con Steinle sui fatto che sia Descartes sia Galilei (malgrado le accu­se di "empirismo asistematico" rivolte dal primo al secondo) sono consapevoli che le osservazioni empi­riche possono non concordare perfettamente con la purezza delle leggi matematicamente formulate. Questo aspetto e per noi particolarmente importan­te, perche ci introduce al carattere inevitabilmente idealizzato delle leggi fondamentali, sui quale torne­remo ampiamente in seguito. Sia in Galilei che in Descartes e dunque reperibile una specie di duali­smo tra mondo matematico e osservazioni empiri­che, dato che per arrivare a formulare le proporzioni matematiche esemplificate dai fenomeni, secondo il primo si debbono «defalcare gli impedimenti dell'e­sperienza», e per il secondo la fisica ha un andamen­to aprioristico, al punto che egli non e disposto a chiamare leggi «quelle proposizioni che coinvolgono alcuni principi ipotetici, 1' esempio pili rilevante essendo dato dalle proporzioni che valgono tra i seni nella rifrazione ottica».69

Malgrado questo dualismo concettuale, possia­mo certamente concludere che il profondo legame tra le leggi matematicamente formulate e l'immuta­bilita e la perfezione di Dio marcava sia in Galilei che in Cartesio (forse pili nel primo che nel secon­do) una posizione nettamente realistica a proposito del problema della portata conoscitiva della leggi: come gia detto, queste ultime non sono solo stru­menti per la previsione e I' organizzazione dei feno­meni ma, derivando in qualche modo da Dio, hanno il carattere della verita, nel senso che si riferiscono in

68 Cit. in F. Steinle, op. cit. , p. 325, nota 18. 69 Ibid.

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modo letterale all'universo fisico come esso e in se.70

1 .4 .2 I.:interpretazione convenzzonalista e analogica delle leggi naturali

Secondo John McGuire, il rifiuto da parte di Boyle di attribuire il termine "legge" alla natura, eviden­ziato nella citazione riportata in § 1 .4 , era motivato da una visione teologica volontaristica:71 una conce­zione della natura vista come regolata da leggi rigide e immutabili era ritenuta incompatibile con l'infinita liberta di Dio di alterare a suo arbitrio il legame cau­sale tra gli eventi.

L' elemento di no vita della filosofia naturale di Boyle, particolarmente importante dal nostro punta di vista, e quindi la sua critica alla concezione aprio­ristica di legge naturale difesa da Descartes, una cri­tica poi fatta propria anche da Newton, e derivante dall'empirismo baconiano. Secondo Boyle, per arri­vare a conoscere le leggi di natura, dobbiamo deri­varle in qualche modo da osservazioni empiriche e non da speculazioni metafisiche: pur difendendo il volontarismo teologico, egli afferma che il potere e la liberta di Dio non sono accessibili alla nostra

70 L' osservazione tra parentesi vuole tener con to dei dubbi espressi da A. Funkenstein, Theology and the Scien­tz/ic Imagination from the Middle Ages to the Seventeenth Century, Princeton University Press, Princeton 1996, trad. it. Teologia e immaginazione sdenti/ica dal Medioevo a! Seicento, Einaudi, Torino 1997, pp. 88-89, che insiste su una formulazione ipotetica e controfattuale delle leggi di natura cartesiane. 7 1 J. McGuire, Boyle's Conception of Nature, in "Journal of the History of Ideas", XXXIII, 1972, pp. 523 -542 ; F. Oakley, Omnipotence, Covenant and Order, Cornell University Press, Ithaca 1984.

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mente. Se avesse voluto, Dio avrebbe potuto impor­re al mondo leggi diverse, e potrebbe cambiarle per­sino ora, cio che rende le leggi stesse non necessarie, rna solo contingenti e, a differenza della concezione difesa da Cartesio, in un certo senso non immutabili.

In definitiva, la posizione scettica sull' esistenza oggettiva delle leggi assunta da Boyle era plausibil­mente rivolta contro una metafisica realistica e aprioristica di provenienza scolastica, e dunque aveva una funzione deliberatamente " anticartesia­na" . Come scrive Casini, «le leggi di natura che si possono scoprire mediante l' esperienza sono per lui pure e semplici "descrizioni" di fenomeni»:72 questa posizione radicalmente empiristica precorre la con­cezione regolarista delle leggi esplicitamente difesa da Hume nel Settecento.

Altro elemento importante introdotto da Boyle e poi ripreso da Newton e !'idea di una gerarchia di leggi, dovuta a una distinzione tra leggi "locali" o valide solo per gli aspetti visibili della natura, e leggi pili universali e pili "potenti" , che regolano il com­portamento dei componenti ultimi della materia (corpuscoli) . La distinzione tra leggi fenomenologi­che e leggi fondamentali, un tema che ancor oggi impegna i filosofi della scienza contemporanei,73 viene da Boyle illustrata con l'esempio della pompa ad acqua: in base alia legge "locale" della gravita

72 P. Casini, La Loi naturelle . . . , cit., p. 177. 73 II tema della gerarchia delle leggi e assai vivo ancor oggi: v. M. Lange, Why are Laws of Nature so important in science? , "Philosophy and Phenomenological Re­search" , LIX, 1999, pp. 625 -652 . Per la distinzione tra leggi fenomenologiche e leggi fondamentali, si veda N. Cartwright, How the Laws of Physics lie, Oxford Uni­versity Press, Oxford 1983.

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(«municipal laW>>), 1' acqua scende verso il basso, rna in presenza di una pompa che risucchi il liquido, 1' acqua sale, grazie a una «catholic law of nature», da lui specificata come «legge dell' equilibria dei liquidi» .74 E chiaro dall'esempio che una legge fon­damentale prevale su una locale, come nel gioco della corda, dove prevale il pili forte. Inoltre, Boyle ritiene che la gerarchia tra le leggi ne implichi una anche tra le cause dei fenomeni: questa posizione sara fatta propria da Newton.75

Secondo Casini, una posizione antirealistica sul-1 ' esistenza delle leggi viene difesa anche dallo Spinoza del Trattato Teologico Politico (cap. rv) , che afferma esplicitamente che «soltanto per analogia il termine "legge" viene applicato alle cose naturali». Tuttavia, quest'affermazione di Casini deve essere qualificata. Non dobbiamo infatti dimenticare che la filosofia di Spinoza, com'e attestato nella sua opera maggiore, l'Ethica more geometrico demonstrata, non nega affatto 1' esistenza oggettiva, rna e anzi una cele­brazione della necessita naturale e della causalitil. deterministicamente intesa. La posizione antirealisti­ca sulle leggi da parte di Spinoza non implica quindi il rifiuto dell' oggettivita della nozione di necessita naturale.

74 Cit. in F. Steinle, art. cit., pp. 337-338. 75 Steinle rintraccia la distinzione tra leggi fenomenologi­che e leggi fondamentali in Ruggero Bacone, allorche quest'ultimo parla della differenza tra "leggi di nature particolari" e "leggi della natura universale" . La stessa distinzione passa nell' altro Bacoile, Francesco, che si rife­risce ad «abiti speciali della natura» da una parte, e a «leggi universali e fondamentali» dall' altra. Si veda F. Steinle, art. cit. , pp. 359-360.

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Tuttavia, poiche la necessita naturale o nomica di cui parla Spinoza e di tipo logico-geometrico, cosl come il legame tra causa ed effetto e di natura pura­mente deduttiva, l ' uso cartesiano del termine "legge" nell'Ethica viene respinto a favore della ter­minologia geometrica di assiomi, scolii ecc. Cosl facendo, Spinoza iritende probabilmente contrastare la tesi che le leggi naturali possano esprimere una certa dose di "arbitrio personale" divino, cosl come le leggi civili sono frutto di "decreti" e dunque di arbitrarie "scelte" umane. La concezione geometriz­zante e impersonale della divinita che Spinoza ela­boro escludeva, d' altra parte, che le leggi naturali si potessero interpretare come derivanti da una "scel­ta " di una divinita (come fu poi per Gottfried Leibniz), perche quest'ultima nozione presuppone­va necessariamente quella contingenza che Spinoza voleva invece escludere dall'universo fisico.

Casini fa poi notare come anche gli Essays on the Law of Nature del giovane Locke testimonino il suo rifiuto della nozione di lex naturalis applicata all'u­niverso fisico, data che egli la considera solo fonte dell' obbligatorieta morale/6 una posizione che si riflette anche nel giovane Newton. L' oscillazione e l 'e sitazione di quest 'ultimo a usare il termine "legge" (fino al 1683 esso non compare nelle sue opere) testimonia la sua condivisione delle posizioni empiristiche di Boyle e di Locke.

Plausibilmente, fu solo l'impostazione decisa­mente matematica che Newton diede alla sua filoso­fia naturale che lo condusse in seguito a usare per i principi della dinamica il termine "legge" senza timore di contaminazioni metafisiche. In effetti, la

76 Si veda ancora Casini, La Loi naturelle, cit. , p. 178.

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distinzione tra le spiegazioni naturali qualitative in valse nell' aristotelismo da una parte e le leggi for­mulate matematicamente dall 'altra si ritrova non a caso proprio all'inizio dei Principi matematici della filoso/ia naturale ( 1687 ) , allorche Newton afferma che i

[ . . . ] moderni, abbandonando le forme sostanziali e le qualita occulte, hanno cercato di riportare i fenomeni naturali a leggi matematiche. In questo trattato io ho coltivato la matematica nella misura in cui essa e legata alla filosofia.77

1 .5 Il compimento della rivoluzione: Newton e oltre

Il contributo forse piu importante venuto da Newton all'emergere definitivo dell'idea moderna di legge naturale sta quindi proprio nell' aver congiunto la tradizione deduttivistica e matematizzante degli scienziati dell' antichita, confluita in qualche sensa anche in Descartes, con l'attenzione alia dimensione empirica delle scienza e delle sue leggi, tipica del­l' ambiente culturale inglese da Bacone a Boyle, e da Christopher Wren a John Wallis fino a Robert Hooke, ed esemplificata anche da Christiaan Huygens. La " sintesi newtoniana" di cui parla lo storico della scienza Alexandre Koyre non e consi-

77 Tradotto dall ' edizione inglese dei Princip ia Mathematica, in I. Newton, Sir Isaac Newton's Mathe­matical Principles of Natural Phzlosophy and his System of the World, trad. di A. Motte , rivista da F . Cajori , University of California Press, Berkeley 1960, 2 voll. I1 testo latino dice «et recentiores, missis formis substantia­libus et qualitatibus occultis, Phaenomena Naturae ad leges Mathematicas revocare aggressi sunt».

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stita quindi solo nell'unificazione che Newton open) tra fisica celeste e fisica terrestre grazie alia sua legge di gravitazione universale. 78 L' altra sintesi, pili meto­dologica rna non meno importante, e quella per cui Newton presento le leggi naturali come da una parte esprimibili con rigore e precisione matematici, e dal-1' altra come "derivate dai fenomeni" . 79

La derivabilitii, letteralmente intesa, delle leggi dai fenomeni, come risulta anche dalle Regulae Philosophandi e dallo Scholium Generate del terzo libro dei Principia,80 costituisce certo un punto con­troverso della filosofia newtoniana della scienza: dai testi di Newton, tale "derivabilitii" non sembra ne di natura induttiva, ne puramente deduttiva. Ma cio che per noi e importante e 1' esigenza che tale regola esprime, che e quella di combinate in un unico ele­mento sia le "necessarie dimostrazioni" che le "sen­sate esperienze" di galileiana memoria (cfr. la lettera al Castelli, citata precedentemente).

Passando ora all'uso concreto che Newton fece del termine "legge" , Steinle ne individua tre princi­pali. Anzitutto, ci sono i suoi famosi assiomi o leggi del moto all'inizio dei Principia, ovvero il principia d'inerzia, la legge della proporzionalita tra forza e

78 A. Koyre, Newtonian Studies, Harvard University Press, Cambridge 1965 , trad. it . Studi n ewtoniani, Einaudi, Torino 1972. 79 Quest'aspetto e sottolineato anche da F. Steinle, op. cit. , p. 357. 80 Nella seconda edizione dei Philosophiae naturalis Principia Mathematica , in Isaaci Newtoni Opera quae extant omnia, a c. di S. Horsley, Nichols, London 1779-85, vol. III, pp. 2-4, Newton parla delle "regole del meto­da sperimentale". D passo rilevante dello Scholium e nel III libra dei Principia, p. 764.

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accelerazione, e il principia di azione e reazione. Il lora carattere estremamente generale di "generaliz­zazioni simboliche" (questa espressione e di Thomas Kuhn) le rende in grado di specificare qualsiasi tipo di mota in un qualsiasi sistema fisico, in congiunzio­ne con informazioni supplementari sul tipo di fun­zione che descrive le forze che agiscono su quel sistema. :E infatti chiaro che la seconda legge e essenzialmente una definizione del termine forza, come "cio che provoca un mutamento di velocita" , e che la prima non fa che attribuire a ogni corpo data­to di massa una tendenza o disposizione osservabile a resistere all'accelerazione, appunto l'inerzia. Il carat­tere fondamentale e non analizzabile di questa "nuova" proprieta attribuita a ogni corpo dotato di massa fa si che il mota rettilineo uniforme sia da considerarsi come "naturale " , nel sensa di non richiedere spiegazione alcuna. La terza legge costi­tuisce infine un importante criteria di interazione causale tra i carpi, nel sensa che solo grazie all' azione reciproca tra i carpi noi possiamo distinguere le forze genuine da quelle fittizie, alle quali non corri­sponde una vera scambio causale.

E dunque proprio per il loro carattere fonda­mentale e "primitivo" (nel sensa logico di "non ulte­riormente analizzabile" ) che Newton chiama le sue leggi del mota assiomi, ed e per questa che esse sono indisgiungibili dalle definizioni che da all'inizio del suo monumentale trattato. Ed e degno di nota che, nel dibattito filosofico contemporaneo che andremo a esaminare, quest'interpretazione della natura delle leggi in termini di assiomi sia stata ripresa autorevol­mente dal neo-regolarismo di Frank Ramsey e David Lewis, che, seguendo John Stuart Mill, affermano che le leggi sono quelle generalizzazioni universali

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1. L'origine dell' idea di legge di natura

che sarebbero parte di una sistematizzazione assio­matica ideale delle nostre teorie, una sistematizza­zione cioe che combini nel modo pili opportuno semplicita e in/ormativita.

Poi c'e il sensa pili locale di legge (il secondo), da Newton adoperato in espressioni come "legge del pendolo oscillatorio " o "legge della gravitazione" , formulate anch' esse in termini matematici, rna con una capacita applicativa assai meno generale delle tre leggi del mota. Tali leggi "locali" sono comun­que da intendersi, realisticamente, come vere, men­tre quando Newton usa il termine "legge" in espres­sioni come "legge di condensazione" (riferita a un fluido elastica) , egli indica, secondo una filosofia strumentalistica, solo ipotesi utili a calcolare le solu­zioni di certi problemi fisici (il che costituisce il terzo sensa di legge) .81 In Newton troviamo dunque sintetizzate quasi tutte le diverse posizioni filosofi­che sulla natura delle leggi che verranno illustrate in seguito.

Per quanta riguarda infine i rapporti tra il con­cetto newtoniano di legge e la teologia, Newton non avrebbe negato che le leggi fondamentali dell'uni­verso siano frutto della volonta divina, anche se non fece mai esplicito riferimento a essa nel parlare della lora origine, come invece fece Descartes. In modo originale, pero, Newton invoca esplicitamente il ruolo di Dio nella spiegare le condizioni iniziali piu che le leggi vere e proprie, nel sensa che solo l'azione di un essere intelligente puo spiegare la coincidenza delle direzionz del mota dei pianeti. Per Newton, la fisica deve esplicitamente occuparsi della sviluppo temporale del mondo dalla Genesi all' Apocalisse, e

81 F. Steinle, op. cit., pp. 340-342.

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Il software dell' universo

non deve cercare di risalire alle origini del tutto, visto che la Genesi pone limiti invalicabili.82 Sempre nello Scholium Generate, Newton afferma che i pia­neti stanno nelle loro orbite

[ . . . ] grazie alia legge di gravitii., ma essi non potrebbe­ro, inizialmente, ricevere la posizione regolare delle or bite da queste leggi. 83

Qui e appena il caso di rilevare !'influenza che que­st'argomento ha avuto per le successive discussioni sui rapporti tra teologia e scienza e sulla religione naturale o deismo. L'argomento a posteriori per l'e­sistenza di Dio riceveva un forte impeto dalla pili prestigiosa teoria scientifica mai avanzata dall'uomo. A causa dell'influenza del volontarismo teologico, Newton non negava nemmeno la possibilita d'inter­venti divini nel corso naturale, per spiegare, per esempio, la stabilitd del sistema solare, cioe il fatto che le distanze mutue tra i pianeti e tra questi e il Sole non mutassero mai. Strettamente connesso a questo tema e una famosa e importante disputa con Leibniz, per il tramite di Samuel Clarke, sulla natura dello spazio e del tempo. Mentre Leibniz negava che fosse consono all' onnipotenza divina un continuo intervento nel corso delle cose tramite miracoli, Newton, tramite Clarke, non negava la possibilita di questi ultimi, poiche ammettere 1' opposto avrebbe significato, in qualche misura, una riduzione del potere divino. II tema dei miracoli come interruzioni o "vacanze" delle leggi di natura, che aveva un

82 Questa limitazione temporale e esaminata in P. Rossi, I segni del tempo: storia della terra e storia delle nazioni da Hooke a Vico, Feltrinelli, Milano 1979. 83 I. Newton, op. cit. , III, p. 759-760.

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1. L'origine dell' idea di Iegge di natura

importante ruolo gia nel Seicento,84 divenne assai importante nel Settecento, e noi qui possiamo solo farvi cenno.

Per chiudere la nostra presentazione, ribadiamo che l'insistenza newtoniana sul carattere insieme matematico ed empirico delle leggi di natura, e il suo contrasto con la ricerca di qualita occulte e forme sostanziali, evidente anche nella gia citata prefazione ai Philosophz'ae Naturalis Principia Mathematica, rappresenta, in modo assai sintetico, il nucleo del metodo scientifico moderno nella sua opposizione alla metafisica qualitativa della scolasti­ca. L'enorme influenza dello scienziato inglese sulla ricerca scientifica successiva spiega anche perche, a partire dai grandi progressi della fisica matematica francese dell'Ottocento, nel linguaggio corrente dei fisici una legge di natura divenne null' altro che un' equazione "differenziale" , ovvero un' equazione che presenta tra i suoi termini una variazione (diffe­renza) infinitesima di una funzione rispetto al tempo o altre grandezze. E proprio l'indispensabile formulazione matematica delle leggi naturali che pone il grande interrogativo, che non ha ancora ricevuto risposta, e che affronteremo nel prossimo capitolo, del perche la nostra conoscibilita della natura sembra passare per un trattamento quantita­tiva dei dati fenomenici.

84 Nel Seicento, Marino Mersenne riteneva che una con­cezione meccanicistica della natura, assai pili che il pantei­smo o il panpsichismo, garantisse in modo pili certo la possibilita di miracoli. Si veda R. Lenoble, Mersenne, ou !a naissance du mecanisme, Vrin, Paris 1971 .

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2 . Perche le leggi di natura sono matematiche?

La fisica e matematica non perche sappiamo tanto dell'universo fisico, rna perche lo cono­sciamo poco: sono solo le sue proprieta mate­matiche che riusciamo a scoprire.

Bertrand Russell1

Trovo abbastanza sorprendente che cio che avverra possa essere predetto dalla matemati­ca, che consiste semplicemente nel seguire regale che non hanno niente a che fare con il problema originale.

Richard Feynman'

2 . 1 L' " irragionevole effie a cia della matematica" nel descrivere il mondo fisicd

Con un richiamo pili o meno implicito al pitagori­smo, Leibniz scrisse una volta che la matematica si differenzia dalla musica solo perche e una forma di calcolo cosciente, mentre la musica sarebbe un calco----------------

1 Cit. in J. Barrow, The World within the World, cit., p. 279. 2 R. Feynman, The Character of Physical Law, The MIT Press, Cambridge, Mass. 1967 , p. 171 , trad. it La legge fisica, Bollati Boringhieri, Torino 1996. 3 II titolo del paragrafo e un "prestito" dal frequente­mente citato rna poco letto saggio di E. Wigner, The Unreasonable Effectiveness of Mathematics in the Natural Sciences, in Symmetries and Reflections , Indiana University Press, Bloomington (Indiana) 1967 , pp. 222-237.

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2. Perche le leggi di natura sana matematiche?

lo inconscio. Noi possiamo aggiungere che la mate­matica ha, rispetto aile altre scienze, un rapporto analogo a quello che la musica intrattiene con le altre arti, essendo lo strumento piu astratto rna forse anche piu efficace per comprendere il mondo che ci circonda. Dalla fisica alia biologia, dalla psicologia all'economia, oggi non esiste una disciplina empirica che non sia in qualche modo matematizzata e gEt Immanuel Kant aveva notato che

[ . . . ] poiche in ogni dottrina della natura viene riscon­trato solo tanto di scienza propriamente detta quanto vi si trova di conoscenza a priori, ne segue che la dot­trina della natura conterra tanta scienza propriamente detta quanta e la matematica che in essa .puo essere applicata.4

Qualche semplice esempio tratto dalla storia della scienza servira a illustrate il singolare e tuttora misterioso fenomeno in base al quale intere parti della matematica, inizialmente inventate e costruite senza alcuno scopo applicativo, si sono poi dimo­strate utilissime per prevedere, descrivere e spiegare nuovi e inaspettati fenomeni naturali, e quindi per portare alia luce della conoscenza "regioni dell' esse­re" prima del tutto oscure.

Cio che rende il problema particolarmente spi­noso e che esso non sembra potersi facilmente risol­vere invocando l'una piuttosto che 1' altra tra le filo­sofie della matematica oggi discusse, dato che esso, prima facie, crea grattacapi a tutte. All'interno di una filosofia costruttivista, si tratta per esempio di spie­gare perchc la matematica - vista come una nostra

4 I . Kant, Metaphysische An/angsgriinde der Naturwissenscha/t, Akademie Textausgabe, Bd. IV, Berlin 1968, p. 470, trad. it. Primi principi meta/isici della scienza della natura, Piovan, Abano Terme 1989.

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Il software dell'universo

creazione - ci permetta di scoprire proprieta ed entita appartenenti a un mondo che, come quello fisico, non e certo stato creato da noi. Nell' ambito di una concezione platonista - in cui la matematica e considerata piuttosto come il frutto della scoperta di fatti astratti e indipendenti da noi che come una nostra invenzione - risulta invece difficile spiegare come si possa entrare in contatto conoscitivo con tale regno di entita astratte, che per definizione e causalmente inerte. E anche se evitassimo di presup- 1 porre che "conoscere" implichi necessariamente interagire causalmente (in modo pili o meno diretto) con 1' entita conosciuta, il platonismo matematico sembra in ogni caso duplicare i problemi da risolve­re. Rimarrebbe infatti da spiegare perche il mondo fisico che, in quanto spazio-temporalmente esteso, e certo altra cosa rispetto al mondo astratto della matematica, dovrebbe "rispecchiare" le strutture essenziali di quest'ultimo.5 Infine, anche invocando una spiegazione empirista o naturalistica dell' appli­cabilita di certe strutture matematiche, che potreb­bero essere il frutto evolutivo del lungo adattamento del cervello umano a oggetti di dimensioni compara­bili a quelle del nostro corpo, resterebbe in ogni caso da chiarire perche tali strutture si siano rivelate indispensabili anche nell'indagine di entita molto pili piccole e molto pili grandi di noi (dalle particel­le subatomiche fino all'intero universo osservabile) .

L' esempio forse piu n o t o di applicabilita di nozioni matematiche al mondo fisico e dato dalle coniche (cerchio, ellisse, iperbole e parabola) , cosi

5 Sul platonismo in filosofia della matematica, si veda il saggio di M. Piazza, Intorno ai numeri. Oggettz; proprietd, /inzioni utili, Bruno Mondadori, Milano 2000.

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2. Perche le leggi di natura sono matematiche?

denominate perche otte1;1ibili come sezioni di un cono circolare con un piano, come si vede nella figu­ra qui di seguito riportata. Chiamando con AN una delle due generatrice del cono, e immediato vedere che tagliando una delle due falde del cono con un piano perpendicolare all' asse HH' , otteniamo un cerchio (che puo eventualmente degenerate nel punto 0), mentre inclinando un po' il piano rispetto

I H i

� ' I "" :

C=l71 ----:-�__JL_�-

H' I R

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Il software dell'universo

all' orizzontale otteniamo un' ellisse, in figura indicata con FDE. Se la giacitura del piano secante e paralle­la alla direzione di una delle due generatrici, ottenia­mo invece una parabola: in figura, ljl parabola GIK e appunto l'intersezione tra il cono e un piano paralle­lo ad AN. Infine, i due rami dell' iperbole R'S'T' e RST si ottengono con un piano che tagli entrambe le falde del cono.

Lo studio delle proprieta di tali sezioni, che risa­le al terzo secolo a.C., fu completato dal matematico greco Apollonio di Perge, apparentemente senza alcun fine applicativo . Ebbene, quasi venti secoli dopo Apollonio, una di tali curve, in particolare 1' el­lisse, venne utilizzata da Keplero per descrivere 1' or­bita effettivamente descritta da tutti i pianeti intorno al Sole, che occupa uno dei due fuochi. Per inciso, quest' even to fu particolarmente rivoluzionario nella storia delle idee, dato che la perfezione e l'immuta­bilita che gli antichi attribuivano agli incorruttibili astri celesti avevano spinto gli astronomi premoder­ni a ipotizzare che le loro orbite dovessero essere necessariamente circolari.

Uguale destino "anticipatorio " tocco alle geome­trie che non rispettano il postulato euclideo delle parallele, le cosiddette geometrie non-euclidee, che ammettono 1' esistenza di pili parallele a una retta data o nessuna parallela.6 Inventate (scoperte?) dai matematici nel XIX secolo in modo del tutto indipen­dente da possibili applicazioni, vennero poi utilizza­te da Einstein agli inizi del xx secolo per descrivere lo spazio-tempo dell'universo a larga scala, la cui curvatura si presenta come variabile - e diversa da

6 Com'e nato, data una retta r e un punta P esterno a essa, secondo la geometria euclidea esista una sola retta parallela a r che passi per P.

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2. Perche le leggi di natura sana matematiche?

zero, proprio com'e previsto da tali geometrie - in presenza di materia. Lo straordinario grado di con­ferma sperimentale raggiunto durante il xx secolo dalla teoria fisica che fa uso di queste geometrie, la teoria della relativita generate, sembra corroborate in pieno 1 ' antica concezione pitagorica dell'universo, poi ripresa da Keplero e Galilei, in base alla quale il grande mondo che ci circonda e scritto in caratteri geometrici. 7

Per citare un esempio diverso, rna con il quale abbiamo molta pili familiarita, si consideri che quando Bertrand Russell pubblico le sue opere di logica, matematici a lui contemporanei le considera­rono completamente inutili, sia dal punto di vista applicativo, sia ai fini del progresso della matematica pura. Paradossalmente, fu anche grazie alla logica codificata nei Principia Mathematica di Russell e Whitehead ( 1910-13 ) che in seguito maturo la teo ria delle funzioni ricorsive e della calcolabilita, messa a punto dai logici Alan Turing e Alonzo Church negli anni '30, ovvero la teoria matematica che e alla base del funzionamento dei personal computer dei quali tutti i giorni ci serviamo. La differenza tra quest' e­sempio e quelli precedenti e che i computer, ovvia­mente, non sono oggetti esistenti in natura. Tuttavia, essi possono essere utilizzati per comprendere come funziona sia il mondo esterno sia la nostra stessa mente attraverso simulazioni: in particolare, le capa­cita cognitive della mente possono essere simulate da "reti neurali" , che rappresentano la struttura cau­sale delle reali connessioni esistenti tra le nostre cel­lule nervose.

7 Vedi la precedente citazione dal Saggiatare di Galilei nel capitola precedente.

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Un altro buon esempio e quello dei numeri immaginari o complessi i quali, introdotti per poter eseguire le radici quadrate di numeri negativi e risol­vere alcune equazioni algebriche, hanno importan­tissime applicazioni in tutti i campi dell'ingegneria e della fisica, e in particolare nella meccanica quanti­stica, che studia la materia alle dimensioni microsco­piche di atomi e particelle subatomiche. Proprio questa straordinaria potenza dei numeri immaginari " turbava" il giovane Torless, allorche lo scrittore tedesco Robert Musil gli faceva dire:8

Ma lo Strano e appunto che con questi valori immagi­nari o comunque impossibili si possono lo stesso fare dei calcoli perfettamente reali e che alia fine si ha in mano un risultato concreto.

Potremmo fare altri esempi, riguardanti scoperte di nuove famiglie di particelle elementari, effettuate solo grazie a considerazioni di simmetria basate sulla teoria algebrica dei gruppi,9 rna riteniamo che quan­ta detto basti a convincere il lettore dell'importanza della domanda che sara al centro di questo capitola: perche invenzioni o scoperte matematiche, spesso rea­lizzate senza essere orientate ad alcuno scopo applica­tivo, si rivelano altrettanto spes so strumenti /onda­mentali per comprendere e descrivere il mondo fisico? Una risposta a questa domanda sarebbe per noi di cruciale interesse, perche potrebbe essere interpre­tata anche come una spiegazione del perche le leggi

8 R. Musil, Die Verwirrungen des Zoglings Torless, trad. it. I turbamenti del giovane Torless, Garzanti, Milano 1981, p. 83 . 9 Per altri interessanti esempi tratti dalla fisica delle par­ticelle s i veda 1 ' ottimo libro di M . Steiner, The Applicability of Mathematics as a Philosophical Problem, Harvard University Press, Cambridge (Mass.) 1998, in particolare il cap. 4 .

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2. Perche le leggi di natura sono matematiche?

fisiche abbiano una formulazione matematica. A parte il loro intrinseco interesse, riteniamo

inoltre che questi interrogativi - che da Kant in poi sono stati stranamente trascurati, sia dai filosofi della matematica, sia dalla stragrande maggioranza dei filosofi della scienza �he si sono interessati delle leggi di natura - siano una chiave importante per rispondere a un interrogativo che ha accompagnato la letteratura filosofico-scientifica sulle leggi di natu­ra fin dalla sua nascita: 10 le leggi sono scoperte o sono da noi postulate in modo convenzionale allo scopo di strutturare e prevedere i fenomeni del mondo esterno?

2 .2 I tre ingredienti per "produrre" leggi fisiche

Se dovessimo spiegare che cos'e una legge di natura in modo da coniugare al meglio il rigore concettuale con la sinteticita, dovremmo utilizzare un termine tecnico, " equazione di/!erenziale", che porta pen) con se lo svantaggio di costringerci a introdurre i rudimenti del calcolo infinitesimale. Una strada cosl lunga puo per fortuna essere evitata, dato che ai nostri scopi basta definire una legge fisica come uno strumento di calcolo ( "un algoritmo" ) , che ci permet­te di passare da certe osservazioni sperimentali su un certo insieme di fenomeni ( condizioni iniziali) ad altre osservazioni, effettuabili in tempi diversi. Seguendo un'utile indicazione del filosofo William Whewell, in parte ripresa dell'astronomo e filosofo

10 Vedi il cap. 1 , sez. 1 .4, concernente Ia divisione secen­tesca tra "realisti" e "convenzionalisti" .

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Il software dell' universo

John Barrow, 11 possiamo all ora ridurre a tre gli ingredienti necessari per definire la nozione di legge di natura in senso matematico:

1. la struttura algoritmica, data dalla formula (o equazione differenziale) che rappresenta la legge vera e propria;

2. le condizioni iniziali, o i dati numerici iniziali a cui applicare la legge;

3 . le quantita costanti lasciate immutate dall' appli-cazione dell' algoritmo, dette costanti di natura.

A questo proposito, Whewell affermava che l'inda­gine di un fenomeno fisico consiste nell'individua­zione di una relazione tra fenomeni (colligation of facts) che avviene in tre stadi, da lui chiamati deter­minazione della variabile indipendente (la 2 di cui sopra) , individuazione della formula o funzione che collega la variabile indipendente a una variabile dipendente (la 1 ) , e la determinazione dei coefficien­ti (la 3 ) . 12

Noi riteniamo che una discussione filosofica sulle leggi di natura che non tenesse conto di questi tre ingredienti non sarebbe completa, e correrebbe in piu il rischio di allontanarsi da cio che i fisici e gli scienziati in genere normalmente intendono per "legge naturale" . Possiamo certo ammettere che non tutte le leggi di natura hanno una formulazione matematica: " tutti gli oggetti di metallo arruggini­scono" o "tutti i corvi sono neri" esprimono certo delle regolarita naturali che chiamiamo leggi rna non

11 Vedi J. Barrow, The World within the World, cit. , p. 279. 12 S i veda R. Butts , William Whewell's Theory of Scientz/ic Method, Pittsburgh University Press, Pittsburgh 1968, pp. 2 10-2 1 1 .

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2. Perche le leggi di natura sana matematiche?

sono formulabili in linguaggio quantitativa. Tut­tavia, il "peccato originale" di cui si sono macchiate molte analisi filosofiche sulla natura delle leggi e proprio consistito nel considerare enunciati "quali­tativi" di questo tipo come esempi paradigmatici di leggi naturali. Si noti che tali enunciati non fanno riferimento a nessuna delle tre componenti di cui sopra, ed e forse proprio a causa di questo che tali dibattiti talvolta danno al lettore l'impressione di degenerare in dispute un po' " accademiche" , perche incentrate su temi che sembrano lontani sia dalla pratica che dai problemi reali che interessano gli scienziati.

Noi qui esamineremo soprattutto le prime due componenti delle leggi di natura, dato che la terza ha minor attinenza con la domanda fondamentale di cui si occupa il capitolo. Ovviamente, a parziale integrazione di quanto si e affermato nel paragrafo precedente, e giusto osservare che, nella misura in cui troviamo leggi anche al di fuori della fisica ( un problema di cui ci occuperemo in seguito) , le tre componenti di cui sopra potrebbero non essere pre­senti. Tuttavia, il restringere la nostra attenzione al modo in cui le leggi di natura vengono codificate in fisica e giustificato non solo dal fatto che quest'ulti­ma e la scienza in cui la nozione di legge ha un ruolo pili rilevante, rna anche dall'innegabile constatazio­ne che la matematizzazione nella fisica e in fase assai pili avanzata che nelle altre scienze empiriche. Il problema del perche le leggi siano matematiche si pone dunque in modo particolare proprio rispetto alla fisica, e noi riteniamo che quanto abbiamo da dire di filosoficamente signzficativo riguardo alle leggi fisiche possa estendersi senza troppe difficolta anche alle leggi "qualitative" delle altre scienze.

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2.3 La visione algoritmica delle leggi come primo tentativo di spiegare perche le leggi fisiche sono matematiche

Consideriamo la prima corriponente della legge di natura, quella algoritmica: una legge formulata matematicamente e in effetti un vero e proprio "ponte" che collega due "sponde" , costituite da dati espressi in modo quantitativa come risultato di misurazioni. Da una parte " del fiume" troviamo i dati iniziali - le cosiddette condizioni al contorno (gli input) - e dall' altra le previsioni (gli output) , che sono il risultato del calcolo. Poiche i risultati previ­sionali sono ottenuti in modo puramente deduttivo, grazie cioe all' applicazione della legge ai dati di misura iniziali, la metafora delle leggi come pro­gramma o algoritmo di un computer appare inizial­mente giustificata. Se i dati iniziali soddisfano alcu­ne condizioni matematiche sulle quali in questa sede possiamo sorvolare, 13 una legge in effetti ci permette di trasformare, in un numero finito di passi, gli input iniziali in previsioni finali (gli output), in modo pura­mente "meccanico" .

Cio che a noi interessa, ovviamente, e s e tale metafora informatica possa aiutarci a capire meglio perche il mondo e descrivibile da leggi matematiche. A questo scopo, cominciamo con il supporre che un qualunque sistema fisico soggetto a leggi sia perfetta­mente assimilabile a una macchina, composta da certe parti descrivibili con il linguaggio della fisica, cosl come 1' hardware di un computer reale e un insie­me di circuiti elettrici e di microcircuiti realizzati su

13 Si tratta di assicurarsi che le funzioni che rappresenta­no i dati siano differenziabili almeno due volte.

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2. Perche le leggi di natura sana matematiche?

piastrine di silicio, collegati in modo opportuno. Affermare che le leggi di sviluppo temporale del sistema siano il software in base al quale il sistema fisico si evolve nel tempo significa sostanzialmente presupporre 1' analogia seguente. Come il fisico mate­matico, per passare da misure iniziali a previsioni, esegue delle operazioni di calcolo utilizzando le for­mule che esprimono le leggi naturali, cosl anche un sistema fisico ben individuato, passando da uno stato iniziale a un altro sulla base del modo in cui tali stati sono causa/mente legati tra loro, in un certo sensa "esegue delle operazioni di calcolo". Se l'universo osservabile nella sua interezza puo essere trattato come un tale sistema, esso passed da uno stadio a quello successivo " calcolandolo" in base aile sue leggi, che potremmo dunque chiamare il software dell' universo.

"Eseguire delle operazioni di calcolo " , o pili semplicemente, "calcolare" , va inteso in un' accezio­ne dell' espressione la pili am pia possibile: il fatto e che nessun sistema fisico, nemmeno un calcolatore, realmente "calcola" , se con questo termine s'intende un'attivita intenzionale orientata a uno scopo. Un computer che manipoli simboli in realta esegue alcune trasformazioni fisiche che noi interpretiamo come un calcolo, sulla base di un compito che noi facciamo svolgere al suo sistema operativo in rap­porto all'unita logica centrale. Anche fenomeni naturali come il battito del nostro polso o il moto della Terra attorno al Sole possono servire a misura­re il tempo e dunque in un certo senso a calcolare, rna questa loro funzione presuppone ovviamente una nostra intenzionale attribuzione di significato.

Affermare che un sistema naturale "calcola" un certo suo stato futuro non e percio pili metaforico

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dell'affermare che "un computer calcola" , dato che in entrambi i casi si presuppone 1' attribuzione di una funzione a un oggetto inanimato. Se per "stato fisico" s'intende una descrizione di un sistema a un certo tempo, ovvero, in linguaggio fotografico, una sua " istantanea" , tutto cio che si puo dire di un sistema fisico (incluso un computer) e che esso passa da uno stato a un altro, e nulla pili. In definitiva, quindi, non e possibile confutare l'identificazione tra leggi di un sistema fisico e algoritmi eseguiti da un computer sulla base dell' affermazione che un computer sareb­be in grado di svolgere dei calcoli, mentre quest' ope­razione sarebbe preclusa a un sistema fisico.

Avendo messo da parte questa prima obiezione all' assimilazione delle leggi di natura ad algoritmi, ne incontriamo pero un'altra, ben pili significativa: non tutte le leggi naturali stabiliscono un nesso tra stati del mondo ordinati temporalmente (leggi di successione), come la nozione di algoritmo sembre­rebbe invece presupporre. Alcune leggi naturali, chiamate leggi di coesistenza, vincolano piuttosto la compatibilita di stati fisici che coesistono a uno stes­so istante, senza intervento alcuno di connessioni portate da un segnale causale o luminoso. Ovvero, a differenza dei programmi di computer sequenziali, o perfino di quelli che governano il funzionamento di computer cooperanti in modalita "parallela"14 aura­verso " sincronizzazioni» realizzate da interazioni causali, le leggi di coesistenza escludono qualunque legame causale tra le grandezze o proprieta dei feno-

14 Per spiegare la differenza tra parallelo e sequenziale, pensiamo a un insieme di automobili che entrano in un casello simultaneamente attraverso piu porte (in paralle­lo), o alle stesse automobili che entrano una dopo l'altra attraverso un'unica porta (sequenzialmente).

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2. Perche le leggi di natura sana matematiche?

meni naturali che esse mettono in relazione. CQnsideriamo, per esempio, la legge di gravita­

zione universale, che mette in relazione la forza attrattiva F che si esercita tra due corpi con le loro masse M1 e M2, la loro distanza r, e la costante di gra­vitazione G:

[ 1 ]

Continuando ad adottare la metafora di cui sopra, quest'equazione e un ponte per passare da informa­zioni relative alle masse dei due corpi e alla distanza che ne separa i baricentri alla forza attrattiva che si esercita tra loro.15 Nell' ambito della meccanica new­toniana, si fa pero in genere l'ipotesi che la forza F si esplichi in modo istantaneo e a distanza: l' attrazione che il Sole esercita sulla Terra viene concepita come un segnale che viaggia a velocita infinita. Ne segue che la [1] non collega due stati del sistema Terra-Sole individuabili in istanti diversz: ma proprieta o gran­dezze che tali due carpi manzfestano simultaneamente e istantaneamente, senza possibilita alcuna di stabilire una linea di evoluzione temporale del /enomeno.

Un altro esempio di legge di coesistenza e la legge di Boyle, che lega pressione P e volume V di un gas perfetto16 in un rapporto di proporzionalita in versa:

15 Naturalmente, il ponte in questione non collega neces­sariamente le grandezze nel modo visto nel testo. Per esempio, nota la forza e le due masse dei corpi, se ne puo calcolare la loro distanza ecc. Il lettore esperto notera anche che questa e le equazioni che seguono non sono scritte in forma differenziale. '6 Un gas perfetto o ideale e un madella di un gas reale, al quale si puo utilmente far ricorso nell'ipotesi che siano trascurabili le forze di coesione, o altre forze agenti sulle sue molecole.

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P V = k [2]

La legge ci consente di affermare che, raddoppiando il volume di un gas contenuto in un cilindro, la sua pressione si dimezza o viceversa, in modo da rispet­tare la costanza del loro prodotto (purche durante la trasformazione la temperatura sia mantenuta inva­riata), rna non ci dice niente riguardo all'evoluzione temporale del sistema, dato che vincola proprieta che il gas in questione esemplifica al medesimo istante.

Per illustrate ulteriormente la differenza tra que­ste leggi di coesistenza e una legge di successione, consideriamo ora la legge galileiana della caduta dei gravi. Per semplicita , supponiamo di fare un esperi­mento su un grave che abbia velocita iniziale nulla, e che esso all'inizio del moto si trovi in un punto coin­cidente con l'origine delle coordinate s. Lo spazio finale S; petCOtSO dal grave e all ora ricavabile dalla formula:

s1 = 1 / 2 g t ' [3]

che esprime la proporzionalita tra gli spazi percorsi e i quadrati dei tempi impiegati a percorrerli. 17

Riassumendo, mentre nelle leggi di successione del tipo [3] la formula si riferisce a processi tempo­ralmente estesi, i cui singoli stadi si mani/estano in istanti successivi, leggi come quella di Newton o Boyle mettono in relazione stati di sistemi fisici che sono possibili simultaneamente e istantaneamente. Ne segue che l'identi/icazione tra leggi e algoritmi, per quanto suggestiva, non e sufficientemente gene­raZe, data che gli algoritmi riescono a dar canto solo

" II fattore di proporzionalita e dato dall' accelerazione di gravita g moltiplicata per 1/2.

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2. Perche le leggi di natura sono matematiche?

delle leggi di successione, e non anche di quelle di coe­sistenza.

Di conseguenza, sembrerebbe lecito concludere che tale identificazione debba essere vista al pili come un utile strumento euristico, e che comunque non possa essere utilizzata - come invece propongo­no i fisici e filosofi Paul Davies e John Barrow, ela­borando alcuni concetti che si debbono a Andrej Kolmogorov, Gregory Chaitin e Ray Solomonoff -per spiegare perche le leggi di natura sono matema­tiche. 18

Per elaborare ulteriormente questa critica e discutere eventuali modi per aggirarla, e opportuno presentare in maggiore dettaglio l'interpretazione delle legge naturali come algoritmi. L'idea consiste essenzialmente nell'assumere che l'evoluzione tem­porale di ogni sistema fisico che passa per un nume­ro finito di stati sia descrivibile da una lista (stringa) di numeri reali, che corrispondono a misurazioni dei valori di certe grandezze fisiche assunti dal sistema nel corso del tempo (temperatura, pressione, velo­cita ecc. ) E essenziale comprendere che tali stringhe possono essere sia ordinate sia anche, apparente­mente, del tutto "caotiche" .

N el primo caso, le sequenze numeriche possono

18 Oltre al saggio di Barrow gia citato, si consideri J. Barrow, Perche il mondo e matematico?, Laterza, Roma­Bari 1992. L'idea di considerate le leggi di natura come algoritmi e stata sviluppata anche Ja D. Deutsch, The Fabric of Reality, Allen Lane The Penguin Book, London 1997 , trad. it. La trama della realta, Einaudi, Torino 1997. Alla base di tali teorie c'e il lavoro di Kolmogorov e Chaitin negli anni '60, e il saggio di R. Solomonoff, A Formal Theory of Inference, Part I, in "Information and Control" , VII, 1964, p. 1 .

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essere costruite in base a un criterio preciso, come accade nei quiz di "intelligenza" che ci chiedono di trovare le leggi generatrici delle sequenze stesse. Nel secondo caso, esse appaiono come puramen­te casuali, cioe prive di criterio generatore, dove "appaiono" sta a indicare che mentre possiamo dimostrare che una stringa finita non e casuale semplicemente dandone la legge generatrice, non possiamo mai dimostrare che una stringa e casuale. 19

Una lista come { 1 , 4, 9, 16, 25, 36, . . . } [4]

per esempio, non e formata da numeri in successio­ne "casuale", dato che puo evidentemente ottenersi elevando al quadrato i numeri interi positivi:

{ 1 , 2 , 3 , 4 , 5 , 6, . . . } [5]

A questo punto, il collegamento tra algoritmo e legge dovrebbe risultare chiaro. Se i numeri della lista [5] vengono pensati come associati a certe gran­dezze fisiche, per esempio intervalli temporali in secondi (misure della variabile indipendente, o dati di input); e se si trova sperimentalmente - come accadde a Galilei facendo rotolare alcune sfere su un piano inclinato - che le distanze percorse corri­spondenti misurate in metri (misure della variabile dipendente, o dati di output) sono proporzionali al quadrato dei tempi, come nella lista [ 4] , allora il pro­gramma che applicato alia "lista dei tempi" genera

19 Questa fatto discende dall'insolubilira del problema della fermata per le macchine di Turing. Si veda, per esempio, H. Rogers, Theory of Recursive Functions and Effective Computability, McGraw-Hill, New York 1967.

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2. Perche le leggi di natura sono matematiche?

quella "delle distanze" facendone il quadrato e pro­prio la legge espressa dalla [3 ] , a meno del fattore costante 1/2·g.

Immaginiamo dunque che il risultato delle nostre misurazioni, !'input che costituisce i dati ini­ziali, sia rappresentato da una sequenza di numeri come quella data da [ 4 ] . Dopo aver convertito que­sta sequenza in un insieme di numeri binari (binary digits, o bits) , composti solo da 0 e 1 ,20 andare alla ricerca di leggi significa chiedersi, sulla scorta d'im­portanti risultati dovuti a Kolmogorov, quale sia la lunghezza del programma pili breve in grado di generate la sequenza. Tale lunghezza, denominata complessita, sara uguale a quella della lista se que­st'ultima e composta di numeri del tutto casuali, e sara invece uguale al numero dei bit del programma pili breve in grado di generarla, nel caso in cui la lista sia generabile da una legge numerica o da un programma.21

Poiche la list a [ 4 ] e generabile dall'istruzione "Stampa il quadrato dei primi n numeri naturali" , e quest'istruzione possiede, anche per n molto grande, la stessa informazione contenuta nell' elenco com pie­to dei quadrati dei primi n numeri,22 pur se conden­sata in un numero di bit molto inferiore, una lista

20 In numeri binari, la lista [4] e data da { 1 , 100, 1001 , 10000, . . . } . I simboli 0 e 1 corrispondono, rispettivamen­te, all' assenza e presenza di corrente. 21 Il bit e l'unita elementare d'informazione, che puo avere solo i valori 0 e 1 . 22 Se n e un milione o un miliardo, l'istruzione "stampa il quadrato del prima milione di numeri naturali" ha approssimativamente lo stesso numero di bit di "stampa il quadrato del prima miliardo di numeri naturali" , ma 1' e­lenco esaustivo delle due liste ha lunghezze assai diverse.

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come la [ 4 ] si dice algoritmicamente comprimibile. 23 In una sequenza di numeri puramente casuale inve­ce, non esiste alcuna regola o legge per generare la sequenza, e la sequenza si dice algoritmicamente incomprimibile: la complessita di tali liste e uguale alla loro lunghezza, perche sono definibili solo a partire da se stesse.

Muniti di queste definizioni, possiamo ora lascia­re la parola a Barrow e alla sua spiegazione del moti­vo per cui le leggi di natura sono matematiche: 24

La scienza esiste perche il mondo naturale sembra algoritmicamente comprimibile. Le formule matemati­che che noi chiamiamo leggi di Natura sono riduzioni economiche di enormi sequenze di dati sui cambia­menti di stato del mondo: ecco che cosa intendiamo per intelligibilitd del mondo. [ . . . ] Dato che il mondo fisico e algoritmicamente comprimibile, la matematica e utile per descriverlo: e infatti il linguaggio dell' ab­breviazione delle sequenze. La mente umana ci per­mette di entrare in contatto con que! mondo perche il cervello possiede 1' abilita di comprimere sequenze complesse di dati sensoriali in una forma piu breve. Queste abbreviazioni fanno si che esistano il pensiero e la memoria. I limiti naturali di sensibilita che la Natura impone ai nostri organi sensori ci impediscono di sovraccaricarci di informazioni sui mondo. Questi limiti funzionano come valvole di sicurezza per la mente.

Tornando ora alle difficolta sopra accennate, osser­viamo che 1' aspetto di comprimibilita e quindi di economia descrittiva sottolineato da Barrow e indubbiamente presente anche nelle leggi di coesi­stenza, il che le accomuna con le leggi di successio­ne. Da questo punto di vista, se la tesi algoritmica si

23 Si veda J. Barrow, Perche il man do e matematico?, cit., pp. 93-96. 24 Ibid.

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limitasse ad asserire, nel solco della tradizione inau­gurata da Mach, che le leggi di natura condensano sinteticamente nelle loro formule un numero assai elevato e potenzialmente infinito di possibili osser­vazioni e misurazioni, non potremmo che sottoscri­verla senza esitazione: per convincersene, bastereb­be leggere le memorie di qualunque scienziato speri­mentale.25 Possiamo allora concludere che le leggi di natura sono matematiche perche la matematica e un ottimo strumento di compressione dell'informazio­ne?

Mentre questa risposta coglie sicuramente parte della verita, e assai piu difficile cercare di spiegare perche cio avvenga: in che senso asserire che la natu­ra "e algoritmicamente comprimibile" spiega perche "il mondo e matematico " ? L' atteggiamento di Barrow riguardo a questa domanda sembra oscillare tra due posizioni:

a. Da una parte, egli attribuisce la comprimibilita al mondo fisico in se, qualunque cosa cio implichi;

b. D' altra parte sembr;1 chiaramente suggerire che e la mente a filtrare le informazioni sensoriali, comprimendole dapprima in modo "naturale" attraverso l'interazione cervello-mondo esterno, poi elaborandole ulteriormente attraverso la costruzione di concetti matematici, piu o meno liberamente inventati.

Partendo dalla seconda delle due ipotesi interpreta­tive, notiamo che essa sembra affidarsi a una visione costruttivista della matematica, in base alia quale la

25 Si vedano per esempio i dati relativi alla legge di Boyle, riportati in R. Harre, Laws of Nature, Duckworth, London 1993 , p. 14.

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matematica e una nostra creazione, da noi realizzata anche a scopo applicativo. In tal modo, il mistero dell' applicabilita della geometria, dell' algebra e del­l' analisi sarebbe spostato dalla filosofia della mate­matica alle scienze cognitive e, piu in generale, allo studio del cervello umano. Da questo punto di vista, 1' attivita matematica - nella misura in cui essa consi­ste nel sintetizzare i dati numerici e osservativi in formule prive di ridondanza - e il prodotto della mente umana proprio nello stesso senso in cui la percezione riduce la complessita dell' oggetto perce­pito attraverso complessi meccanismi di filtraggio dell' informazione.

Il difetto di questa seconda interpretazione, cosl come e formulata da Barrow, non risiede tanto nel fatto che la concezione costruttivista della matemati­ca non venga argomentata in modo indipendente, quanto nel fatto che gli accenni alle capacita di com­pressione dell'informazione da parte del nostro cer­vello sono, per quanto suggestivi e plausibili, non sufficientemente sviluppati. Affermare che la mate­matica e un efficace strumento di compressione del­l ' informazione non ci aiuta a capire perche cia avviene rispetto al mondo naturale, ne ci porta molto piu avanti affermare che il cervello comprime informazioni provenienti dal mondo esterno. Qual e, infatti, la relazione tra le capacita di compressione della matematica e quelle del cervello umano ? L'indicazione che ci spinge a guardare alle scienze cognitive e alle neuroscienze va probabilmente nella direzione giusta rna, in questa forma, e ancora trop­po vaga per esserci di aiuto.

Adottando invece la prima ipotesi, che "reifica" la comprimibilita realizzata dalla matematica rife­rendola a qualche proprieta del mondo in se, rimane

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invece da spiegare perche sia possibile rappresentare relazioni tra proprieta osservabili dei sistemi fisici con strutture o sequenze numeriche, un problema preliminare che 1' approccio computazionale alle leggi di natura ha, al pari di altri approcci tesi a spie­gare 1' applicabilita della matematica, quasi comple­tamente trascurato, e che verra da noi affrontato nel prosieguo del capitolo.

Allo scopo di dare comunque all'ipotesi (a) tutte le possibilita di successo, tralasciamo momentanea­mente questa difficolta, ricordando che un'ipotesi sulla " comprimibilita in se" del mondo naturale viene talvolta difesa sulla scorta di una tesi recente­mente avanzata da David Deutsch, secondo la quale 1' applicabilita della matematica si basa sul fatto, con­tingente e fortunato al tempo stesso, che le opera­zioni matematiche piu semplici, come 1' addizione, sono simulabili da processi naturali, come quelli che avvengono nei circuiti elettrici dei computer.26 In base a una versione fisica della cosiddetta ipotesi di Turing-Church, per la quale ogni funzione computa­bile sui numeri interi puo essere computata da una macchina di Turing, Deutsch ha sostenuto che ogni processo fisico che si compia in un numero finito di passi puo essere simulato, in linea di principia, da una macchina di Turing.27

Anche questa proposta ci sembra pero, per quanta suggestiva, assai poco fondata. Infatti, affer-

'6 D. Deutsch, Quantum Theory, the Church-Turing Principle, and the Universal Quantum Computer, in "Pro­ceedings of The Royal Society" , A 400, 1985, pp. 97- 1 17, e ]. Barrow, Perche il mondo e matematico?, cit., p. 78. 27 Una macchina di Turing e un nastro composto da un numero infinito di caselle, lette una alia volta da una testi­na che si muove sui nastro spostandosi a destra e a sini-

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mare che le leggi di natura rendono possibile 1' ese­cuzione di una somma e di una moltiplicazione gra­zie agli impulsi elettrici di un circuito puo solo signi­ficare affermare una delle due seguenti tesi:

1. un qualsiasi computer, in quanto sistema fisico, e sottoposto a limitazioni che gli vengono dalle leggi fisiche alle quali esso stesso deve obbedire;

2. noi possiamo interpretare certe operazioni che un sistema fisico compie in un tempo finito come un calcolo: per esempio , possiamo utilizzare 1' om bra di uno gnomone per determinare 1' ora del giorno o la caduta della sabbia in una clessi­dra per misurare la durata di un fenomeno.

Nel primo caso la tesi ha risvolti teorici indubbia­mente interessanti per i rapporti tra informatica e fisica, che coinvolgono in modo essenziale il rappor­to tra discreto e continuo, rna dal nostro punto di vista non spiega nulla, dato che costituisce solo una condizione necessaria dell' applicabilita della mate­matica. Ovviamente, se i processi fisici responsabili della simulazione di semplici operazioni matemati­che non fossero " computabili" (cioe, eseguibili in tempo finito dal microprocessore), non potremmo applicare la matematica al mondo naturale, nel

stra. Sulla base d'istruzioni dipendenti dal suo stato inter­no, la testina della macchina puo leggere, cancellare e scrivere un simbolo in ciascuna di queste caselle. L'ipotesi di Turing-Church afferma che una funzione e effettivamente computabile se e solo se e computabile da una macchina di Turing. In realta, il carattere ipotetico di quest'affermazione e dato dal "solo se": non si puo esclu­dere che un sistema meccanico assai differente da questa possa calcolare funzioni non computabili da una macchi­na di Turing.

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senso che non potremmo usare i computer ne per far di conto ne per simulare altre situazioni del mondo reale. Affermare che la natura possiede mec­canismi che noi possiamo utilizzare per effettuare addizioni, e quindi che esistono degli isomorfismi28 tra tali processi fisici e 1' operazione aritmetica di somma, e in de/initiva solo un altro modo per formu­lare il problema del perche le leggi fisiche so no mate­matiche, non una sua soluzione. Infatti, perche si danno questi isomorfismi?

Nel secondo caso, ci si riconduce a quell' attribu­zione soggettiva di proprieta intenzionali a oggetti inanimati che abbiamo gia discusso, e che non sem­bra gettare luce particolare sui nostro problema. E vero che dal punto di vista della formulazione astrat­ta e puramente matematica della teoria di Turing, il concetto pur antropocentrico di computabilita e privo di caratteristiche epistemiche, ovvero di carat­teristiche che facciano riferimento a poteri conosci­tivi umani.29 Tuttavia, nelle sue applicazioni a sistemi fisici, 1' affermazione che un sistema fisico computi effettivamente dei valori in modo strutturalmente e operazionalmente indistinguibile da una macchina di Turing sembra avere un valore di verita dipendente da una nostra interpretazione particolare del sistema in questione, cio che rende la versione fisica del

28 Un isomorfismo e una rdazione biunivoca tra due insiemi che preserva le rdazioni che esistono tra i loro dementi. Una funzione (relazione) biunivoca associa ogni elemento dell'insieme di partenza a un solo demento del­l'insieme di arrivo, in modo tale che non esistano elemen­ti di quest'ultimo insieme che non provengano da de­menti del primo. 29 Quest' osservazione viene ribadita da J. Earman, A Primer on Determinism, Reidel, Dordrecht 1986, p. 124.

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principia di Turing-Church esplicativamente debole rispetto ai nostri scopi.

Inoltre, la considerazione puramente comporta­mentistica di un sistema fisico (in base alla quale si considerano solo input e output del sistema e la natura degli stati intermedi si considera ininfluente) in fisica teorica appare inutilmente restrittiva. Se, nel caso dello studio intersoggettivo della mente, l'inter­pretazione di quest'ultima come una scatola nera e giustificata dalla necessita di una fondazione inter­soggettiva delle ipotesi esplicative del comporta­mento, nel caso dei sistemi fisici quest'esigenza non si pone, perche attribuire poteri causali a stati fisici intermedi tra l'input e 1' output non com porta, come nel caso dell'introspezione, affermazioni in "prima persona" non controllabili oggettivamente.

2.4 Il problema della riducibilita delle leggi di coesistenza alle leggi di successione

L'interessante posizione di Deutsch non puo essere ulteriormente discussa in questa sede, dato che ci porterebbe lontano dai nostri scopi.30 Si e detto che la visione algoritmica delle leggi naturali - che adot­ta la metafora del mondo come gigantesco computer che computa in ogni instante lo stato temporalmente successivo sulla base di un software cosmico - non

30 Per un primo approfondimento, ci permettiamo di riferire il lettore a M. Dora to, Chi ha bisogno di una H>ica non-computabile della mente?, in Prospettive della logica e della /iloso/ia della scienza, a c. di V.M. Abrusci, C . Cellucci, R. Cordeschi e V. Fano, ETs, Pisa 1998, pp. 245-254.

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2. Perche le leggi di natura sono matematiche?

riesce a dar conto di tutte quelle relazioni tra feno­meni che abbiamo chiamato di coesistenza, non assi­milabili a programmi sequenziali veri e propri. Non potremmo provare a superare tale difficolta soste­nendo che ogni legge di coesistenza e esprimibile attraverso una combinazione di leggi di successione a essa equivalenti? 0 altrimenti, non potrebbe darsi che queste ultime siano comunque piit /ondamentali delle prime, nel senso che correlazioni nomiche tra eventi coesistenti nello spazio dipendono in qualche modo da quelle che caratterizzano le leggi di succes­sione?

Per difendere questa ipotesi, si potrebbe comin­ciare con 1' osservare che la fisica post -einsteniana ha bandito 1' azione a distanza. La velocitii. della luce, infatti, costituisce il limite superiore della velocita di trasmissione di un segnale, in modo tale che il con­cetto di simultaneita assoluta, postulato dall' azione a distanza, viene a cadere. Di conseguenza,' nelle teo­rie fondamentali della fisica contemporanea, nelle quali e il concetto di campo a essere veramente fon­damentale, le interazioni si propagano tutte a velocita /inita. Volendo salvare l'ipotesi della riducibilita di tutte le leggi di natura ad algoritmi, si potrebbe allo­ra sostenere che nella misura in cui le leggi di coesi­stenza presuppongono proprio quel contatto causale istantaneo bandito dalla fisica contemporanea, avremmo buone ragioni per farne a meno!

Malgrado la correttezza ineccepibile di quest'ul­tima osservazione, il progetto di eliminare le leggi di coesistenza dalla fisica31 appare di difficile realizza-

31 Per una discussione aggiornata sul fatto che le leggi di coesistenza non implicano la non-localira, si rimanda a J. Earman, Bangs, Crunches, Whimpers and Shrieks, Oxford

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zione, dato che, almeno alcune di esse, a un' analisi pili attenta, non presuppongono affatto l' azione istantanea, o "a distanza, " . Di conseguenza, una legge che stabilisca delle relazioni tra proprieta che un sistema fisico esemplifica a uno stesso instante non comporta necessariamente l'esistenza di un'in­terazione causale tra queste ultime. Consideriamo per esempio la legge di Gauss per il flusso <P di un campo elettrico E0, generato da una carica q posta al centro di una superficie chiusa, attraverso la superfi­cie stessa:

[6]

In questa formula, l'indice "0" indica che la carica si trova nel vuoto, percio 80 e la costante dielettrica del vuoto. Tale legge vincola due grandezze fisiche, <P ( E 0 ) e q, che appartenendo a uno stesso piano di simultaneita, sono coesistenti. Come tali, non posso­no essere causalmente connesse, dato che, se lo fos­sero, le regioni spaziotemporali in cui esse si trovano dovrebbero scambiare in/ormazione a velocita supe­riori a quelle della luce, in contrasto con lo spirito della teo ria della relativita speciale. 32

University Press, Oxford 1995 , cap. 5 . Si veda anche M. Dorato, Barman on "Bangs, Crunches, Whimpers, and Shrieks)), in "British Journal for the Philosophy of Science" , IL, 2, 1998, pp. 338-347. 32 Anche nella formulazione differenziale equivalente,

d i v E o = P o che e 1' equazione di Maxwell che mette in relazione la divergenza di un campo elettrico con la densita di carica, il flusso e calcolato attraverso la superficie di un volume infinitesimo che contiene al suo interno una carica elettri­ca infinitesima dq. Quest'ultima, pur generando il flusso, coesiste con esso in un piano di simultaneita di area infini­tesima.

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2. Perche le leggi di natura sono matematiche?

Possiamo percio concludere la nostra discussio­ne dei rapporti tra leggi di coesistenza e leggi causali o di successione nel modo seguente: finche la fisica non ci costringera a riammettere la vituperata "azio­ne a distanza", ovvero 1' esistenza di segnali che si propaghino a velocitil superluminale, la relazione nomica tra fenomeni fisici (o tipi di eventi fisici) dev' essere considerata come "altrettanto fondamen­tale" di quella causale. "Altrettanto fondamentale" in questo caso significa che: i) il fatto che un singolo evento fisico a sia causa di

un singolo evento b non presuppone necessaria­mente una relazione nomica tra A e B (la maiu­scola indica che ci riferiamo a tipi di eventi) ;

ii) a causa dell' esistenza di un segnale limite quale quello luminoso, una Iegge di coesistenza tra a e b non presuppone necessariamente un legame causale.

Contra la tesi appena espressa in i), si tenga conto che, sulla base di interessanti teorie (riduzioniste e fisicaliste) della causalitii, un processo causale viene caratterizzato dall' esistenza di leggi di conservazione di grandezze fisiche (quali quantita di moto, momento angolare, carica elettrica ecc. ) esemplifica­te da coppie di eventi in interazione.33 Per esempio, se immaginiamo che l'interazione causale tra un

33 Per questa teoria dei processi causali, si veda P. Dowe, Wesley Salmon's Process Theory o/ Causality and the Conserved Quantity Theory, in "Philosophy of Science", LIX, 1992 , pp. 195-216; W. Salmon, Causality Without Counter/actuals, in "Philosophy of Science", LXI, 1994 , 297-3 12; P. Dowe, Causality and Conserved Quantities: A Reply to Salmon, in "Philosophy of Science", LXII, 1995 , pp. 321-333.

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sasso scagliato contro una finestra e la finestra stessa sia caratterizzata dalla conservazione della quantita di mota, il prodotto della velocita del sasso per la sua mass a deve corrispondere, se tale quantita dev' esse­re invariante, alla somma dei prodotti delle velocita dei singoli frammenti di vetro per le rispettive masse.

All'interno di una concezione fisicalista della cau­salita o di un processo causale, l'interazione causale di due eventi fisici sembrerebbe quindi richiedere l' e­szstenza di una legge di conservazione come sua condi­zione necessaria. Tuttavia, per motivi che diverranno chiari solo in seguito, noi sosteniamo invece che, in particolare al di fuori della fisica, rna anche in que­st'ultima scienza, molte relazioni causali tra eventi singoli non presuppongono affatto una legge. Ne segue che, come affermato in i), una relazione causa­le esistente tra singoli eventi non puo essere ridotta a una relazione nomica (singolarismo causale) .

Analogamente, la ii) di cui sopra afferma che le leggi di coesistenza non presuppongono leggi o pro­cessi causali, proprio perche le prime sono riferibili a coppie di eventi simultanei, ovvero a eventi apparte­nenti, come si dice in gergo, a ipersuperfici spaziali.34

Tuttavia, anche in questo caso dobbiamo discu­tere una possibile obiezione. Si potrebbe ipotizzare che 1' esistenza di un qualsiasi legame nomico tra eventi appartenenti a tali superfici sia evidenza del fatto che gli eventi in questione si siano originati da

34 Tali ipersuperfici corrispondono a sezioni istantanee della spazio-tempo, istanti di " tempo cosmico " , che in certi modelli della relativita generale ci permettono di suddividere tutti gli eventi in passati e futuri (rispetto a quegli istanti).

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2. Perche le leggi di natura sana matematiche?

un unico comune "antenato" , una causa comune, che spieghi 1' esistenza stessa della correlazione nomica. Tale ipotesi sembra suggerita dallo stesso esempio sopra riportato, quello della legge di Gauss [6] , visto che, a dispetto delle tesi di John Earman, che sembra ignorare questa fatto/5 il flusso attraverso la superficie chiusa e generato dal fatto che si e posta al suo interno una carica, attraverso un processo che e causale e non istantaneo.

Potremmo poi ricordare che, in presenza di una correlazione puramente statistica - e quindi non nomica - tra eventi spazialmente separati (per esem­pio, un certo numero di casi d'indigestione in perso­ne diverse che hanno cenato insieme), esiste spesso un evento nel loro comune passato , la cosiddetta "causa comune" (latte avariato utilizzato per la pre­parazione di un dolce che tutti hanno mangiato) , che spiega le coincidenze altrimenti assai improbabi­li date dal malore collettivo. Analogamente, su un piano molto pili teorico, la presenza, per esempio, di radiazione cosmica di fondo omogenea e isotropa, ha suggerito modelli del primo universo che preve­dono un' espansione rapidissima (modelli cosiddetti "inflattivi" ) . In tal modo si spiegherebbe perche regioni dello spazio che altrimenti sarebbero causal­mente sconnesse presentino invece "correlazioni" cosi significative tra le grandezze fisiche associate alia radiazione in questione.

Si potrebbe percio argomentare che ogni legge di coesistenza e stata generata, e quindi presuppone e dipende, da leggi di successione, ovvero da proces­si causali che corrono tra loro quasi "paralleli" e che

35 J. Earman, Bangs, Crunches, Whimpers and Shrieks, cit., cap. 5 .

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provengono dal passato. Si veda a questo proposito la figura qui di seguito riportata. .. ... .....

I ...,.._ Processi causali sequenziali

c==::::>

Legge di coesistenza

Malgrado non sia cosl implausibile sostenere che legami nomici tra eventi simultanei possano essere geneticamente spiegati da processi causali comuni che hanno generato e "conservano" le relazioni fra gli eventi in questione, 1' ostacolo che permane sulla strada di attuazione di questo programma e dato dalle cosiddette correlazioni quantistiche, che legano in modo nomico i risultati di misura ottenuti da due particelle identiche sparate in direzioni opposte da una sorgente comune, e rivelate da apparati posti in regioni causalmente sconnesse. Tali correlazioni non possono essere spiegate da cause comuni che li rendano probabilisticamente indipendenti I' uno dal-1' altro, ne possono essere spiegate, senza incorrere in

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2. Perche le leggi di natura sono matematiche?

difficili e controverse questioni concettuali, postu­lando dipendenze causali simmetriche tra i risultati di misura, dato che queste non sono invarianti per osservatori inerziali diversi.36

Non potendo entrare nel dettaglio di tali difficili problemi, vogliamo soltanto ribadire che il program­ma di " sostituire" ogni legge di coesistenza utiliz­zando leggi causali che invochino una causa comune delle correlazioni nomiche tra eventi simultanei non ha per ora un supporto empirico sufficiente. Cio che e ancora pili importante, anche se si potesse sostene­re che per ogni correlazione nomica tra eventi simul­tanei esistono leggi di successione che implicano un processo causale comune passato, questo non sareb­be equivalente a sostenere che tali correlazioni ora non esistono. Spiegare una legge di coesistenza affer­mando che essa deriva (ovvero e determinata) da leggi di successione non equivale a. negare che leggi di coesistenza esistano. In una parola, le leggi di coe­sistenza sembrano difficilmente riducibili e dunque elz'minabili a /avore di leggi di successione temporale.

Se, vista tale irriducibilitii, si volesse provare a salvare la concezione algoritmica delle leggi di natu­ra restringendo 1' applicabilitii di quest' ultima aile sole leggi di successione, s'indebolirebbe di molto la teoria filosofica che stiamo discutendo, perche le leggi di coesistenza dovrebbero essere escluse. Queste osservazioni sembrano confutare in modo definitivo l'interpretazione delle leggi naturali come algoritmi.

Dovrebbe anche risultare chiara la ragione in

36 Per una prima introduzione al problema della non­localita quantistica, si veda J. Cushing, E. McMullin (eds) , Philosophical Consequences of Quantum Theory, The University of Notre Dame, Notre Dame, Indiana 1989.

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base alla quale la concezione algoritmica delle leggi tende implicitamente a sottovalutare o a trascurare completamente il ruolo delle leggi di coesistenza rispetto a quelle di successione: la previsione in sensa proprio e permessa solo dalle prime, e non anche dalle seconde, e l' efficacia predittiva viene considerata il frutto conoscitivo pili importante della scienza.

Si noti infatti che leggi come la [ 1 ] o la [2] di cui sopra non dipendono esplicitamente dal tempo: dal punto di vista conoscitivo e applicativo, possiedono proprietil ben diverse dalla [3 ] . Nella [2] , mante­nendo costante la temperatura del gas e raddoppian­do il volume, posso "prevedere" che la pressione esercitata dal gas sul recipiente si dimezzera solo nel senso che posso dedurlo dalla forma della legge. Ma la "previsione" in questione non implica, come nelle previsioni genuine, che la modifica della pressione sia temporalmente successiva alla modifica del volu­me. I mutamenti di pressione e volume sono infatti simultanei, perche l' equazione [2] descrive lo stato di un sistema in equilibrio.37 Il fatto e che la diminu­zione di densita del gas dovuta, per esempio all'au­mento di volume, provoca simultaneamente una minore velocita molecolare media e dunque una pressione complessiva inferiore: gli urti delle mole­cole tra loro e con le pareti del recipiente sono meno violenti e meno frequemi. Alternativamente, possia­mo dire che se agissimo sul sistema diminuendo la pressione, a parita di temperatura determineremmo simuftaneamente un aumento del volume. Per esem-

37 Questa rimane vero malgrado sia piu facile intervenire sui sistema dall' esterno, modificando il volume piuttosto che la pressione.

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pio, trasportando 50 g d'aria sulla cima di un monte alto 1000 metri, a parita di temperatura essi occupe­rebbero un volume maggiore che a livello del mare, perche a mille metri la pressione e inferiore.

In una parola, la struttura algoritmica coinvolta nelle leggi di coesistenza ci permette di calcolare il valore di certe grandezze - F o Mi nella [ 1 ] , P o T nella [2] - a partire dagli altri valori, supposti noti. Pen), mentre le leggi di successione ci consentono di interpretare la determinazione degli stati finali a par­tire da quelli stati iniziali in senso causale, le leggi di coesistenza implicano una determinazione che e solo "logica" , o deduttiva (la causa, se pur di essa si puo parlare, e simultanea all' effetto) . Possiamo all ora riassumere quanto detto dicendo che ogni previsione scientz/ica e il risultato di un calcolo e//ettuato in base all' algoritmo /ornito dalla legge di natura, ma non ogni calcolo utile a determinare una grandezza attra­verso una legge e una previsione.

Prima di proseguire la nostra discussione, e infi­ne utile cercare di comprendere perche la prevedibi­litii dell' evoluzione temporale di un sistema fisico sia res a possibile proprio dall' aspetto matematico che diamo alle leggi di natura, cio che dii ragione dei numerosi sforzi fatti dagli scienziati per trovare una formulazione quantitativa delle leggi. L' applicazione di una legge di successione ci permetterii di calcola­re quale sad lo stato di un sistema fisico (relativa­mente alle grandezze cui siamo interessati) in qua­lunque altro istante di tempo, a partire dalle condi­zioni iniziali, se la soluzione all' equazione differen­ziale che 1' esprime:

1 . esiste 2. e unica

e se:

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3 . lievi inesattezze nella misurazione delle condizio­ni iniziali non si amplificano con il trascorrere del tempo negli stati successivi.

Tale ultima condizione, detta stabilita delle soluzioni, e in particolare responsabile della prevedi­bzlita (anche a lunga scadenza) , che e il punto di forza della descrizione scientifica del mondo. Le altre due condizioni, di esistenza e unzcita delle solu­zioni, rendono invece possibile quella che si chiama descrizione deterministica del mondo: lo stato del sistema nel presente, pili 1 ' algoritmo dato dalla legge, fissa univocamente lo stato del sistema in qua­lunque altro suo tempo. Se la capacita di prevedere costituisce la caratteristica essenziale della scienza empirica, possiamo tranquillamente concludere che se fosse vero affermare che senza previsioni non vi sarebbe scienza, allora una disciplina priva di leggi non sarebbe una scienza.38

38 La prevedibilita, malgrado frequenti asserzioni contra­rie, non dev'essere vista come una condizione necessaria affinche si abbia determinismo. Da una parte, l'abbando­no della condizione di stabilita limita di molto le possibi­lita predittive di un sistema di equazioni, rna non le can­cella necessariamente, come mostra la meteorologia. Dall' altra, i fenomeni che dipendono sensibilmente dalle condizioni iniziali mostrano come un' evoluzione impreve­dibile possa essere compatibile con 1' esistenza di un unico output deterministico, in corrispondenza di un input (dati iniziali) che, essendo specificabile solo entro certi intervalli di errore sperimentale, da origine a evoluzioni future tra loro largamente divergenti, che nel corso del tempo amplificano le piccole differenze esistenti tra due misure prese successivamente. L'indeterminismo, infine, e dato da una corrispondenza uno-molti tra i dati iniziali e quelli finali: a un unico presente corrispondono molti

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2. Perche le leggi di natura sono matematiche?

2 .5 La misurazione come premessa· necessaria per la matematizzazione delle leggi

Possiamo ora passare al problema del trattamento quantitativa dei dati fenomenici, che a nostro parere e essenziale non solo per farci comprendere perche la matematica riesca a descrivere la natura, rna anche per aiutarci a scoprire che cosa siano le leggi di natura e come proceda la scienza. Dato che una legge fisica e null' altro che una formula per pass are da alcune osservazioni o proprieta di un sistema ad altre osservazioni e proprieta, e ovvio che se i dati non fossero espressi quantitativamente, le espressio­ni che li manipolano non potrebbero nemmeno essere applicate, e nessuna operazione aritmetica, da quelle elementari a quelle pili complesse, potrebbe essere eseguita. E dunque abbastanza strano che, finora, questa aspetto non sia stato considerato come prioritario per chiarire la questione del perche le leggi abbiano un carattere matematico, anche in considerazione del fatto che la misurazione e sicura­mente una delle piit importanti se non la principale attivita scienti/ica.

Come si accennava all'inizio del capitola, la stra­da che e stata sinora privilegiata per rispondere a questa domanda e stata invece quella di chiarire la natura della conoscenza matematica in se, ovvero di provare ad accertare se le verita matematiche sco­prano letteralmente le proprieta di entita astratte e

eventi futuri possibili. Il determinismo richiede il princi­pia "stessa causa-stesso effetto" , i fenomeni non-lineari rispettano questo principia rna violano quello per cui "a cause simili seguono effetti simili", e infine l'indetermini­smo viola il primo principia, dato che a cause identiche possono seguire effetti diversi.

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causalmente inerti quali funzioni, insiemi, classi ecc. (platonismo) , oppure se la matematica sia essenzial­mente una nostra creazione (costruttivismo), o sia invece, galileianamente, il linguaggio in cui la natura e oggettivamente scritta.

Noi aggireremo almeno in parte tali spinose que­stioni, avventurandoci su un sentiero assai meno battuto, che ci conduce a cercare di stabilire che tipo di relazione esista tra il tessuto qualitativo dei fenomeni come appaiono alle nostre percezioni e il loro trattamento quantitativa, che costituisce il pre­supposto della loro misurazione. La nozione chiave cui faremo appello e quella di isomor/ismo tra ogget­ti reali e modelli matematici/9 una nozione che ai nostri scopi puo essere considerata equivalente al postulare l' esistenza oggettiva di somiglianze strut­turali e formali tra certi aspetti del mondo fenome­nico e le strutture matematiche che utilizziamo per descriverli.

Spiegheremo l' esistenza di tali isomorfismi, da una parte, con la tesi che sostiene l'origine empirica di tutti i concetti matematici, e, dall' altra, con l' ipo­tesi del matematico Saunders Mac Lane, qui ripresa e ampliata, in base alla quale la matematica e essen­zialmente conoscenza delle forme degli oggetti nel senso aristotelico del termine, una tesi che sembra confortata da alcuni risultati ottenuti nell' ambito delle scienze cognitive, e che ora ci accingiamo a illustrare.

Come abbiamo visto nel capitola precedente, la differenza pili caratteristica tra la fisica antica e quella post-newtoniana e data dall'uso diffuso che la seconda fa della matematica. Mentre la fisica di

39 Vedi nota 28.

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2. Perche le leggi di natura sono matematiche?

Aristotele era puramente qualitativa - si e visto che tutta la matematica greca, persino neUe opere di Archimede, non faceva riferimento alla physis - i Principi Matematici della Filoso/ia Naturale di Newton sono zeppi di formule e dimostrazioni. E malgrado l' astronomia antica - una disciplina insie­me empirica e matematizzata - costituisca una rile­vante eccezione a quella transizione dal "mondo del pressappoco all'universo di precisione" di cui parla lo storico della scienza moderna Alexandre Koyre per caratterizzare la rivoluzione scientifica,40 e indubbio che il progresso nella nostra conoscenza della natura sia scandito dal passaggio da classzfica­zioni puramente qualitative dei fenomeni naturali (caldo e freddo, luminoso e buio, grande e piccolo, ecc .) alia loro descrizione quantitativa, realizzata tra­mite l 'applicazione del linguaggio matematico a risultati di misura effettuati con strumenti capaci di fornirci dati sempre pili precisi.

A questo proposito, uno dei maggiori logici e filosofi della scienza del nostro secolo, Rudolf Carnap, ha sostenuto che il progresso scientifico nella nostra comprensione della natura passa per tre tappe essenziali:

1 . classi/icazione dei fenomeni, in base alla presenza o assenza di certe proprieta;

2. analisi comparativa in termini di piu o meno; 3 . costruzione di concetti quantitativi, che rappre­

sentano il punto di arrivo.4 1

Possiamo esemplificare la " legge dei tre stadi" di cui

40 Vedi A. Koyre, Dal mondo del pressappoco all'unzverso della precisione, Einaudi, Torino 1992 [1961] . 41 Questa tripartizione, presente in R. Carnap, Logical Foundations of Probability, The University of Chicago

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parla Carnap usando proprio il caso di "possibile­probabile" ' il cui aspetto quantitativa e oggetto della sua analisi. Si tenga pen) presente che le consi­derazioni che seguono valgono anche per grandezze fisiche fondamentali quali la lunghezza di un ogget­to, il suo peso, la sua temperatura, o l'intervallo tem­porale tra eventi, anche se, per ragioni di spazio, noi ci limiteremo a estendere al solo concetto metrico di lunghezza le osservazioni che faremo a proposito della nozione di probabilitii. 1 . CLASSIFICAZIONE - Supponiamo che un giudice debba prendere delle decisioni tenendo conto delle deposizioni di alcuni testimoni della cui attendibilita ha motivo di dubitare. Volendo separare cio che e degno di fede da cio che appare implausibile, come prima approssimazione, il giudice tendera, ovvia­mente, a classi/icare tutti gli eventi raccontati utiliz­zando il concetto di possibile, in opposizione netta a cio che e impossibile. Questa dicotomia e normal­mente usata per suddividere in modo qualitativo fenomeni rispettivamente compatibili o incompati­bili con delle regolarita che noi generalmente diamo per scontate: logiche, naturali o sociali. Per esempio, se la versione raccontata da un testimone contiene contraddizioni, automaticamente i fatti riferiti sono classificati come "impossibili" .

Analogamente, se abbiamo a che fare con gran­dezze spaziali, inizieremo con il classificare gli oggetti che vogliamo misurare in lunghi e corti,

Press, Chicago 1 950 , e stata poi ripresa anche da C . Hempel, Fundamentals of concept /ormation in empirical science, The University of Chicago Press, Chicago 1952, trad. it. La /ormazione dei Concetti e delle T eorie nella scienza empirica, Feltrinelli, Milano 1976\ § 10.

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2. Perche le leggi di natura sono matematiche?

rispetto a un oggetto standard arbitrariamente assunto come campione di riferimento: tendenzial­mente tale standard ha a che fare con parti del nostro corpo, quali piedi, pollici, e braccia, com'e tuttora nel sistema di misura anglosassone. Questa e il prima stadia di formazione dei concetti, quello che Carnap chiama classificatorio.

2. CoMPARAZIONE - Ascoltando poi pili versioni della stessa vicenda da testimoni diversi, il giudice proce­dera plausibilmente a una lora comparazione, ordi­nando tutte le ricostruzioni disponibili in base al cri­teria di maggiore, minore o eguale probabilitii, asse­gnando dunque implicitamente "gradi" diversi al con­cetto di possibile (plausibile), prima usato in modo puramente classificatorio. Analogamente, la possibi­lita di confrontare la lunghezza di oggetti diversi tra lora ci permettera di ordinarii in modo che uno sara percepito come pili o meno lungo di un altro: que­sta costituisce il secondo stadia, che Carnap chiama comparativo, particolarmente importante perche porta con se una struttura logica ben precisa e abba­stanza ricca.

Una volta riconosciuto che un concetto ammette gradi diversi, e possibile ordinare tutti i casi in cui esso e esemplificato tramite relazioni di comparazio­ne (di maggioranza o di minoranza) e di equivalenza. La comp arazione , per esempio di minoran­z a , e caratterizzata da due proprietii:

a. Transitivita. Nei nostri due esempi, le relazioni di comparazionc "essere meno plausibile" (indichia­mo tale relazione con "</' ) , o "essere meno lungo" ( "</') go dono della pro prieta transitiva, nel sensa che se la versione dei fatti a e meno plausibile della versione b e se quest'ultima e meno plausibile di c, allora varra anche che a e meno plausibile di c; ana-

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logamente, se 1' oggetto a e meno lungo di b e que­st' ultimo appare come meno lungo di c, varra anche a <1 c.

b. Asimmetria . Le relazioni di comparazione sono anche asimmetriche, nel senso che i due mem­bri non possono scambiarsi di posto: se a <P b o se a <1 b, segue, in virtu del significato stesso delle rela­zioni in questione, che non puo essere anche b <P a o b <1 a. Le stesse proprieta valgono ovviamente per le comparazioni di maggioranza ("maggiore di" )

Poiche non e detto che tutte le versioni siano tali da essere o piu plausibili o meno plausibili di un' al­tra, dobbiamo introdurre un' altra relazione, la rela­zione di equivalenza, per denotare la possibilita di " essere ugualmente plausibile" : chiamiamola "==/'. Analogamente, possiamo introdurre per il concetto di lunghezza la relazione "essere della stessa lun­ghezza" ( "==1" ) .

La relazione di equivalenza e caratterizzata da tre proprieta: a. Rz/lessivita. Ogni versione dei fatti vale, rif!essi-

vamente, in rapporto a se stessa: a ==Pa; b. Transitivita: se a ==P b e b ==P c, allora a ==P c; c. Simmetria: se a ==p b, allora anche b ==Pa. La relazione di equivalenza ci permette di suddivi­dere tutte le nostre versioni in classi che hanno la caratteristica di essere egualmente p lausibili. Ovviamente, tali proprieta valgono per tutte le rela­zioni di equivalenza: non solo riguardo alla plausibi­lita, rna anche riguardo alla lunghezza: "essere della stessa lunghezza" e anch' essa di equivalenza, ecc.

3 . QUANTIFICAZIONE - Ammettiamo adesso che il giu­dice sia disposto a scommettere sulla veridicita delle testimonianze. Per far emergere la /orza del suo con­vincimento e decidere razionalmente intorno all'una

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o 1' altra delle versioni disponibili,42 occorre passare dal piano qualitativo a quello quantitativa: cioe approdare a una misura numerica di cio che prima era stato valutato in termini di probabilita approssi­mativamente minore o uguale. Cio avviene semplice­mente tramite una /unzione P, che assegna all' even to o agli eventi in questione un numero reale compreso tra zero e uno, estremi inclusi. Ovviamente, la scelta degli estremi dell'intervallo numerico e in parte arbitraria, dato che potevano ugualmente scegliere una scala da 0 a 100, come quella usata per le per­centuali. Un evento impossibile e sul quale non scommetteremmo una lira diverra percio un evento dalla probabilita nulla, ovvero uguale a zero, mentre un evento certo sara un evento la cui probabilita e il massimo consentito, cioe uno. In mezzo a questi due estremi, c' e il piu 0 meno probabile, dato da frazioni che vanno da numeri molto vicini allo zero (che denotano le testimonianze quasi impossibili) a numeri molto vicini a uno (che designano le testimo­nianze quasi certe) , dove la vaga caratterizzazione "piu o meno" puo essere stimata con tanta piu pre­cisione quanto piu e attendibile il metodo per calco­lare la probabilita in questione.43

· Certamente, non i tutti i casi sara possibile asse­gnare un preciso numero reale alla plausibilita di una versione, rna se, per esempio, il giudice dovesse

42 Per lo studio di come una scommessa possa condurre a un valore nnmerico compreso tra 0 e 1, si veda R. Festa, Cambiare opinione: temi e problemi di epistemologia baye­siana, CLUEB, Bologna 1996. 43 In questo senso percio, la probabilita, intesa come misurazione e gradazione del possibile rappresenta, come affermo il matematico e filosofo Hermann W eyl, la nuova modalitd della scienza, dove i giudizi modali o le modalita

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valutare, tra le uniche due versioni disponibili, la prima (V1) come doppiamente probabile rispetto alla seconda (VJ, si avra che:

P (V1) = 2P (V2)

Se fosse possibile stabilire che o e avvenuto V1 o e avvenuto V2, la somma delle loro probabilita, come si vedra anche in seguito, deve dare l'evento certo:

P(V1) + P(V2) = 1

In questo caso e gia possibile assegnare a P(VJ il valore 1/3 , poiche 3P(V2) = 1 ; a P(V1) , tocchera il doppio, e dun que 2/3 .

Analogamente, per quantificare il concetto di lunghezza s 'introduce una funzione L con opportu­ne proprieta, che associ oggetti rigidi a numeri reali che ne danno la lunghezza: cio che presuppone anche 1' attribuzione convenzionale di "grandezza unitaria" (unit a di misura) all' oggetto-campione scelto (un pollice, un piede ecc . ) , in modo da utiliz­zare la congruenza con quest'ultimo per misurare tutti gli altri.

La rappresentabilita in termini numerici dell'or­dine di plausibilita che abbiamo costruito attraverso le due relazioni "</' e "=P" puo poi essere ottenuta imponendo alla funzione P (ovvero a L) di soddisfa­re certe relazioni. Per esempio,

e

se a =P b, all ora P (a) = P(b) [7 . 1 ]

in gcnerale rappresentano appunto i modi diversi con cui una proposizione P puo essere vera (necessariamente vera o possibilmente vera). Se P e "ho una moneta da cento lire nella mia tasca" , la verita di P e contingente nel senso che la negazione di P non e contraddiitoria. Mentre se P e "2 + 2 = 4", P e all ora necessariamente vera, perche la sua negazione e contraddittoria.

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2. Perche le leggi di natura sono matematiche?

se a =1 b all ora L (a) = L(b) [7 .2]

Nella [7 .1] e nella [7 .2] il segno di uguaglianza " = " dopo i due "allora" ha lo stesso significato, dato che indica l'uguaglianza tra numeri, rna ha un significato diverso sia da " =/' , che sta per "equiprobabile" , sia da "=1" , che sta per "avente stessa lunghezza" . Si ha poi:

se a <r b, allora P (a) < P(b)

se a <1 b allora L (a) < L(b)

[8. 1]

[8.2]

dove solo "<" indica la consueta relazione di "essere minore di" che vige tra numeri, e ha quindi un signi­ficato diverso sia da "<P" che da "</' .

Malgrado questa differenza di significato, le espressioni [7 . 1 e 7 .2] e [8. 1 e 8.2] ci permettono di rappresentare tutte le relazioni significative che sussi­stono, rispettivamente, tra insiemi di versioni dei fatti (il loro essere pili o meno plausibili) o classi di oggetti (il loro essere pili o meno lunghi) , attraverso le relazioni " analoghe" che sussistono tra n umeri reali. I valori della funzione di probabilita P sono, infatti, espressi da numeri compresi tra zero e uno, e sono dunque ammissibili tra essi le normali opera­zioni aritmetiche, quali somma e prodotto.

In questa caso, possiamo parlare d'isomorfismo tra l'insieme di eventi E e quello dei numeri compresi tra zero e uno, chiamiamolo R, perche la funzione

P: E -;. R

tra i due insiemi, considerati con le loro rispettive relazioni, e biunivoca,44 e tale che tutte le relazioni e le operazioni tra i due insiemi sono conservate. Lo

44 Cfr. n. 28.

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stesso ragionamento si applica alla funzione L e alle relazioni " aver uguale lunghezza" , o "esser meno lungo" .

Il significato del termine "conservare" puo qui essere spiegato con l'esempio seguente. Se vogliamo, come in precedenza,. valutare la plausibilita di due versioni che non possono essere entrambe vere, nel senso che si escludono a vicenda, introduciamo clap­prima un' opportuna operazione di somma + r defini­ta su insiemi di E, e poi applichiamo la P al risultato della somma "a +r b" , comunque sia definita. La conservazione dell'operazione in questione implica che si abbia

P (a +rb) = P(a) + P(b) [9. 1 ]

dove, di nuovo, le due operazioni "+/ e "+" non hanno lo stesso significato, dato che la seconda e l'u­suale somma tra numeri e la prima e l'unione tra gli insiemi che rappresentano gli eventi.

Ovviamente, se in particolare le due versioni si escludono a vicenda, e sono esaustive, nel senso che e possibile escluderne qualsiasi altra, la probabilita della loro unione dev' essere uguale al massimo, cioe 1, perche e certo che 0 e avvenuto a 0 e avvenuto b, e le due versioni non possono essere simultaneamen­te vere.

Nel caso di " lungo/corto " , la " somma" tra oggetti "+/' consiste ovviamente nell' allinearli l'uno con 1' altro, e nel richiedere che

L (a +1 b) = L(a) + L(b) [9.2]

mentre nel caso di "pesante/leggero", la somma del loro peso consiste semplicemente nel porli entrambi sul piatto di una bilancia, come se fossero un unico oggetto. Malgrado sia un po' piu complicato operare somme con grandezza non additive come la tempe-

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2. Perche le leggi di natura sono matematiche?

ratura, le procedure introdotte sono sostanzialmente le stesse,45 cosicche il metodo qui illustrato puo esse­re applicato a qualunque grandezza misurabile.

Schematizzando e riassumendo, la nostra com­prensione della natura attraverso un metodo quanti­tativa passa per quattro fasi. Dapprima introducia­mo un ordine comparativo attraverso relazioni asim­metriche e transitive ( "essere pili lungo" , "essere pili caldo" , "essere pili pesante" , "essere prima" ecc.) , in genere accertabili attraverso osservazioni dirette. Poi determiniamo classi di equivalenza, formate da oggetti che godono di relazioni riflessive, simmetri­che e transitive, quali "avere uguale lunghezza " , "uguale temperatura, "uguale peso", "essere simul­taneo" , ecc. Per misurare quantitativamente que­st' ordine puramente qualitativo , introduciamo quin­di opportune unita di misura, e costruiamo una fun­zione biunivoca che assegni all'insieme di corpi o eventi le cui proprietil vogliamo misurare un sistema di numeri, come sopra per la probabilitil e la lun­ghezza, sulla base di procedure di misura di tipo operativo, Infine, tenendo conto delle proprietil

45 Le grandezze non additive sono quelle per le quali la somma non corrisponde naturalmente alla congiunzione dei corpi corrispondenti: per la temperatura, mescolando due gas a temperatura diversa non ottengo in genere la somma dei numeri corrispondenti alla temperatura dei singoli gas. E all ora necessaria associare la grandezza in questione al volume occupato da una sostanza che si dila­ta in un cilindro, oppure alla trasformazione ac.liabatica del volume di un gas. Analogamente per la durezza dei corpi: si veda R. Carnap, Philosophical Foundations of Physics: an Introduction to the Philosophy of Science, M. Gardner (ed.) , Basic Books, New York 1966, trad. it. I fondamenti filosofici della fisica, il Saggiatore, Milano 1971 , p. 98.

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esemplificate da [7 . 1 e 7 .2] , [8. 1 e 8.2 ] , e [9. 1 e 9.2] , ordiniamo le classi di oggetti su base numerica.

Naturalmente, non e sempre possibile introdurre delle scale che permettano di ordinare i fenomeni in modo quantitativa, rna laddove cio sia realizzabile i vantaggi che se ne traggono sono innegabili, e non e difficile chiarire perche. Nel Rinascimento, Telesio riteneva per esempio che i principi esplicativi fonda­mentali della natura fossero, oltre che la materia, il caldo e il /reddo. Ma questa classificazione qualitati­va, oltre a essere priva di capacita predittive, presen­ta, a differenza dell' assegnazione di grandezze o di concetti quantitativi, lo svantaggio della soggettivita: com'e noto, se s'immerge una mano in una bacinella d' acqua a temperatura ambiente proven en do da una sauna, 1' acqua sembrera fredda, meritre se si viene da una cella frigorifera, la stessa acqua al tatto sembrera calda. Come possiamo trovare un accordo sulla base di concetti qualitativi e soggettivi come caldo e fred­do? Solo dopa aver creato una scala convenzionale da 0 a 100 gradi centigradi, e grazie all'utilizzazione di uno strumento graduato (un termometro) , si puo trovare un' espressione oggettiva corrispondente alla nostra sensazione di caldo e di freddo. Come abbia­mo visto, cio avviene attraverso 1' assegnazione di un numero che misuri la temperatura di un corpo, che permette anche di comparare in modo preciso le nostre impressioni di "pili o meno caldo" .

Difendendo i vantaggi di una descrizione quanti­tativa del mondo dai numerosi attacchi che tuttora le provengono da certi versanti della nostra cultura, non stiamo con cio svalutando l'importanza dei con­cetti classificatori o puramente qualitativi. In fondo, 1' apprendimento del linguaggio naturale e dunque dei primi concetti', quali cane, gatto, finestra, uccello

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ecc. , coincide con il suddividere tutto cio che esiste in insiemi o classi diverse che non hanno individui in comune fra loro. Nelle scienze naturali quali la zoologia e la botanica, in cui le classificazioni opera­te si sforzano d'individuare un insieme di generi naturali, i concetti classificatori ci aiutano a trovare il modo migliore di sistematizzare la nostra cono­scenza degli animali e delle piante. E nello studio della materia inorganica, non solo la tavola periodica degli dementi di Mendeleev illustra l'importanza dei concerti classificatori per la chimica, rna persino la fisica delle particelle elementari ha attraversato varie fasi in cui si cercava un criterio classificatorio genera­le delle numerose particelle che venivano scoperte.

Sarebbe quindi illegittimo affermare che le scien­ze passino tutte necessariamente p'rima per una clas­sificazione qualitativa della natura - le opposizioni caldo-freddo, giorno-notte, maschio-femmina, pari­dispari caratterizzano molte cosmogonie primitive, basate sull"' o" esclusivo - per poi procedere alia comparazione per gradi (piu o meno) , e approdare infine, nella loro maturita, ai concetti quantitativi o grandezze. E pero indubbio che, come sottolinea Hempel, l'uso di concetti quantitativi non ci aiuta solo a di/ferenziare tra casi che in una data classifica­zione risulterebbero indiscriminati - per noi " fa caldo" sia a 3 1 che a 35 gradi centigradi, rna con la seconda temperatura potrebbe per esempio essere molto piu rischioso esporsi ai raggi solari. II vantag­gio principale della formulazione delle leggi naturali in termini quantitativi consiste nel fatto che diventa, come vedremo, possibile l'applicazione dell'aritmeti­ca e delle teorie matematiche superiori.46 In sintesi,

46 Vedi C. Hempel, op. cit., pp. 72-73 .

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un'importante differenza tra il linguaggio naturale e il linguaggio scientifico sta nell'uso sistematico che il secondo fa di concerti quantitativi e non solo classi­ficatori e comparativi.47

Il problema ulteriore se poi, come afferma Carnap, la differenza tra qualita e quantita sia da porsi solo in termini linguistico-concettuali, e non ci sia nulla in natura che a essa oggettivamente corri­sponda, 48 verra ripreso nei prossimi capitoli. Cio che qui possiamo anticipare, e che ci fa propendere per la soluzione di Carnap al problema suddetto, e che in fisica le scale e le unita di misura sono, almeno in parte, convenzionali, anche quando sono introdotte sulla base di leggi di natura note.49 Di conseguenza, 1' attribuire, per esempio, alla temperatura dell' acqua che congela certi numeri piuttosto che altri (32° Fahrenheit piuttosto che 0° Celsius o 273 , 1 5 ° Kelvin) sembra il frutto di una scelta dettata anche da ragioni di convenienza.

Tuttavia, e di fondamentale importanza sottoli­neare il fatto che le relazioni di maggior lunghezza, maggior temperatura o maggior peso da noi attribui­te ai sistemi fisici sana oggettive, ovvero valide indi-

47 Naturalmente i linguaggi naturali contengono numera­li per contare e sono dunque in parte quantitativi, cosl come i linguaggi scientifici, da un certo punto di vista, si possono considerare come parte di quelli naturali. 48 «La differenza tra qualitativo e quantitativa non e una differenza nella natura, bensl una differenza nel nostro sistema concettuale, cioe nel nostro linguaggio, come si usa dire, se per linguaggio s'intende un sistema di concct­ti» (R. Carnap, op. cit. , pp. 81 -82) . 49 La scala termometrica introdotta da Lord Kelvin uti­lizza la legge di Boyle e parte dal concetto di zero assolu­to, cioe dalla temperatura piu bassa ipotizzabile sulla base delle leggi della termodinamica. Tale temperatura e equi­valente a -273 ,15 gradi Celsius.

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pendentemente dalla nostra mente o dal linguaggio che adottiamo. Di qui segue che anche le relazioni comparative tra misure omogenee di grandezze fisi­che sono indipendenti dalla scelta delle scale. Ha dunque sensa istituire un insieme di rapporti compa­rativi tra le proprieta dei sistemi/isici e le lora relative grandezze, i quali costituiscono !' ossatura della mate­matizzazione del mondo, e quindi della possibilita di /ormulare le leggi natur'ali in modo quantitativa, dove il termine "leggi" indica "relazioni tra grandezze defi­nite sulla base di certe unit a /ondamentali".

Queste osservazioni ci aiutano, almena in parte, a comprendere perche il metoda di elaborare e tra­sformare matematicamen:te i dati empirici - "ripor­tando" poi al mondo reale le conseguenze dedutti­vamente estrapolate a livello astratto - abbia succes­so. Rimane pero aperto il seguente interrogativo: in che misura la corrispondenza isomorfa tra grandez­ze e relazio;ni numeriche ci consente di spiegare per­che la matematica permette di prevedere nuovi aspetti della realtii? L'ipotesi che qui avanziamo essenzialmente allo scopo di stimolare ulteriori ricerche e che il RAPPORTO di ISOMORFISMO che associa le relazioni tra le grandezze /isiche oggettivamente esi­stenti (massa, lunghezza, temperatura, carica ecc.) con le strutture numeriche con cui le rappresentiamo valga anche, seppur in modo parziale, tra le leggifisi­che espresse in modo quantitativa e i rapporti tra le grandezze delle entita fisiche che le esemplificano. Rimane da spiegare se e perche tale rapporto di somiglianza parziale o strutturale esista anche a livello di leggi fondamentali della natura: non e un ridicolo antropocentrismo supporre che una nostra creazione (la matematica) descriva e preveda il mondo esterno in modo assai accurato?

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2.6 Un'ipotesi esplicativa dell' applicabilita della matematica

Per rispondere alla domanda di cui sopra, si noti anzitutto che anche il linguaggz'o naturale descrive in modo soddisfacente il mondo esterno, e la matema­tica puo essere vista come una particolare " specializ­zazione" di tale linguaggio. Da questo punto di vista, l'efficacia "rappresentazionale" della matema­tica non dovrebbe risultare pili misteriosa di quella delle lingue naturali.

Non essendo completamente soddisfatti da que­sta tesi - che oltretutto non fa che demandare il pro­blema alla filosofia del linguaggio - riteniamo che per completare il quadro esplicativo sia necessaria prendere in considerazione una concezione radical­mente non-formale e costruttiva della matematica. Quest'ultima dovrebbe quindi concepirsi come un' elaborazione astratta che si origin a comunque dalla nostra esperienza fondamentale di esseri biolo­gici dotati di un corpo che si muove nello spazio cir­costante, e che tiene conto dei vincoli che vengono dalla nostra storia evolutiva. Come ebbe a scrivere Henri Poincart§:5°

Un essere immobile non avrebbe mai potuto acquisire !a nozione di spazio dato che, non potendo correggere attraverso i suoi movimenti gli effetti dei mutamenti degli oggetti esterni, non avrebbe avuto alcuna ragio­ne di distinguerli dai !oro cambiamenti di stato.

Il fatto che la giustificazione di teoremi matematici possa essere a priori, e quindi indipendente dal�' e-

50 H. Poincare, La Science et !'Hypothese, Flammarion, Paris 1902, p. 78, trad. it. La scienza e l'ipotesi, Dedalo, Bari 1989.

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sperienza, non implica che i concetti matematici fondamentali non abbiano una derivazione empirica e non mantengano un significato intuitivo. Se cosl non fosse, 1' applicabilita della matematica al mondo dei fenomeni costituirebbe un mistero irrisolvibile.

Ci affrettiamo subito a precisare che una conce­zione platonista della matematica, intesa come un' attivita rivolta alia scoperta di un universo astrat­to esistente in modo non spazio-temporale, e in certo sen so quindi "preesistente" all a comparsa dell' homo sapiens, non e incompatibile con la teo ria darwiniana dell' origine dell'uomo. A nostro parere, tuttavia, il platonismo rende il problema dell' appli­cabilita della matematica di ancor pili difficile solu­zione.

Indipendentemente dalla difficolta sollevata da Benacerraf, concernente la possibilita da parte nostra di scoprire qualcosa di questo mondo astratto (e quindi causalmente inerte) senza poter interagire in alcun modo con esso , perche il mondo fisico dovrebbe assomigliare alle strutture dell'universo platonico? Come accennavamo all'inizio del capitolo riprendendo le critiche che gia Aristotele aveva mosso al dualismo platonico tra mondo delle idee e mondo fenomenico, la duplicazione delle proprieta del mondo fisico in un universo matematico "preesi­stente" alla comparsa della mente sulla terra non fa che duplicare i problemi da risolvere. Il problema di spiegare perche il mondo fisico riproduca le caratte­ristiche strutturali di un mondo astratto da esso sconnesso e indipendente ci appare insolubile.

Sembra dunque assai plausibile ipotizzare che la matematica si applichi all'esperienza solo perche nasce e deriva da quest'ultima e in particolare, come Kant aveva anticipato, dalla nostra intuizione dello

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spazio (geometria) e del tempo (aritmetica) . La stessa distinzione che ha percorso tutto questo capito1o, quella tra 1eggi di coesistenza e 1eggi di successione, rimanda in effetti a1 diverso modo di intuire gli oggetti e i fenomeni nello spazio (secondo 1' ordine di cio che coesiste simultaneamente) e nel tempo (secondo 1'ordine di successione) . Anche nei suoi sviluppi pili astratti, 1a matematica non perde dun­que 1' elemento intuitivo costituito dalla percezione dello spazio visivo, e dall'attivitii del contare in suc­cessione tempora1e oggetti fisicamente distinguibili presenti davanti a noi.

Tanto per fare un esempio, si noti che ma1grado 1e sue complicazioni matematiche, una struttura come 1o spazio di Hilbert, indispensabi1e per 1a for­mu1azione della meccanica quantistica, che e 1a teo-

z

X

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ria fisica fondamentale del nostro tempo, al fonda fa riferimento a un concetto dal significato intuitivo innegabile, quale quello di spazio vettoriale, uno spa­zio i cui enti, i vettori, vengono nel caso piu sempli­ce (data da uno spazio a tre dimensioni) identificati da triple di numeri reali (x, y, z) : si veda la figura nella pagina a fronte.

Considerando 1' origine intuitiva della matemati­ca, che ha le sue sorgenti nell' aritmetica e nella geo­metria, possiamo percio seguire Mac Lane nel defi­nire la matematica come la scienza della /orma:51

Il mondo esterno esibisce strutture che si ripetono e che in quanto tali possono essere catturate come forme. La stessa forma puo apparire in differenti modi concreti, e puo cosi essere effettivamente descritta in modo astratto, senza far riferimento ad alcuna realiz­zazione concreta. Una tale considerazione astratta e cio che rende possibile dedurne le varie proprieta, indipendentemente dai modi diversi in cui appare. La matematica consta di tali deduzioni. [ . . . ] Poi la com­binazione di differenti forme porta a nuovi oggetti matematici, che in alcuni casi possono essere usati per comprendere fatti del mondo fisico e sociale. Questo e il motivo per cui la matematica e efficace: il mondo esibisce delle regolarita che possono essere descritte, indipendentemente dal mondo, da forme che possono essere studiate e poi riapplicate.

Il punta fondamentale e che queste forme esistono negli oggetti che ci circondano o nella nostra riela­borazione percettiva di essi, e non esistono indipen­dentemente da essi, come vuole il platonista. In un modo che qui non possiamo discutere, le forme sono da noi percepite e "astratte" dagli oggetti, e

51 S. Mac Lane, The Reasonable Effectiveness of Mathe­matical Reasoning, in R. Mickens (ed.), Mathematics and Science, World Scientific, Singapore 1990, pp. 1 15- 122.

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solo in seguito elaborate concettualmente in modo deduttivo e aprioristico: solo in questo senso posso­no essere studiate indipendentemente dal mondo fisico. II fatto che tali sviluppi deduttivi si rendano "utili" addirittura per prevedere l'esistenza di nuove proprieta o entita in seguito effettivamente riscon­trate nel mondo fenomenico non puo che essere spiegato con le origine intuitive dei concetti fonda­mentali della matematica.

L'ipotesi che vogliamo avanzare e che il concetto di forma, e la conseguente capacita astrattiva della mente umana cui fa implicito riferimento Mac Lane, abbia a che fare con i processi di percezione visiva e tattile degli oggetti rigidi e delle loro forme, e con il nostro susseguente immaginarli, attraverso la riatti­vazione dei circuiti neurali indispensabili alia loro percezione. Da questo punto di vista, le forme di cui parla Mac Lane, se interpretabili, come crediamo, in modo oggettivistico,52 rimandano in modo deciso alia teoria aristotelica della percezione e della cono­scenza, cosl com'e stata ripresa dal filosofo e psico­logo di fine Ottocento Franz Brentano.

Ricordiamo che nel De Anima di Aristotele, su cui Brentano scrisse la sua dissertazione, la sensazio­ne e paragonata all'imprimersi del sigillo in una cera attraverso il passaggio dalla potenza all ' atto . Percependo un oggetto noi "assorbiamo" solo la sua forma, nello stesso senso per cui la materia di cui e fatto il sigillo, oro 0 ferro, e del tutto irrilevante rispetto all'impronta che lascia nella cera. Lo svilup-

52 Un punta di vista diverso e sostenuto con energia da S. T agliagambe, In/ormazione e signzficato, in corso di pub­blicazione in un volume in onore di M. Mondadori. Ringraziamo T agliagambe per averci inviato il testa.

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po delle proprieta deduttive delle forme e indipen­dente dal mondo fisico, afferma Mac Lane, analoga­rri.ente al fatto che dal punta di vista della forma eli un oggetto geometrico, e del tutto irrilevante quale oggetto concreto 1' esemplifichi. La forma del sigillo della cera e in potenza anche nella nostra mente (in rappresentazioni disposizionali gia attivate da espe­rienze passate)53 e si attualizza attraverso un'astrazio­ne che e anche una rappresentazione della forma dell' oggetto percepito che ne preserva le pro prieta spaziali.

Tale concezione oggettivistica della forma non si sposa necessariamente a una teoria ingenua della percezione, vista come una copia fotografica del mondo esterno che non presuppone alcuna rielabo­razione da parte del cervello umano, ne richiede una distinzione tra proprieta oggettive o primarie (forma, numero) e proprieta soggettive o secondarie (sapori, odori) . A noi basta sottolineare che, proprio come per Mac Lane la capacita astrattiva della mate­matica dipende da forme ricorrenti esemplificate dal mondo naturale, anche il processo percettivo riguar­da delle forme che esistono negli oggetti in atto. Se cosi non fosse, la matematica si applicherebbe solo a rielaborazioni del nostro cervello, che darebbero significato a uno stimolo fisico di per se del tutto destrutturato: 1' applicabilitii della matematica al mondo fisico risulterebbe ancora pili misteriosa.

Per chiarire il nostro pensiero su questa punta controverso, ci sia concesso riportare una citazionc di Barry Smith su Brentano che richiama in modo

53 Per il concetto di rappresentazione disposizionale, rimandiamo a A. Damasio, Descartes' Errror, Papermac, London 1994, trad. it. L' errore di Cartesio, Adelphi, Milano 1997 .

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sorprendente le parole della citazione di Mac Lane di cui sopra:54

II concetto matematico di curva e gia nella mia rap­presentazione sensoriale di un oggetto a forma di nasa all' insu ed e in tal sen so gia nella cos a stessa. [ . . . ] Quindi nel momenta in cui l'intelletto afferra concetti matematici, non conosce qualcosa che e separato dalla materia sensibile, rna [come dice Brentano] " conosce soltanto in maniera separata qualcosa che non e separato da essa".

Se e vero che la matematica ha la sua origine nell' e­sperienza primitiva dello spazio e del tempo, e in particolare il concetto di spazio esperienziale e del moto in esso di carpi rigidi a risultare fondamenta­le, come aveva ben compreso Poincan�,55 in tutte le applicazioni geometriche di teorie matematiche superiori, che spesso e non a caso presuppongono la visualizzazione di certe strutture matematiche che le caratterizzano.

Per venire a dati pili recenti sul modo in cui per­cepiamo visivamente il mondo, lo spazio e le forme spaziali degli oggetti vengono da noi rappresentate in modo preminente nell'emisfero destro, grazie a immagini mentali in grado di preservare i rapporti spaziali fondamentali (la forma di cui parlano Aristotele, Brentano e Mac Lane) riscontrabili negli oggetti esterni. Considerando che tutta la geometria elementare e null'altro che lo studio delle forme degli oggetti, a prescindere dal loro peso, colore, sapore ecc. , non e affatto implausibile ritenere che il

54 B. Smith, Austrian philosophy. The Legacy of Franz Brentano. Open Court, La Salle, Ill., 1994, p. 40. 55 Si veda per esempio H. Poincare, La valeur de la Science, Flammarion, Paris, 1905, p . 67, trad. it. Il valore della scienza, Dedalo, Bari 1992.

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/ormato quasi-percettivo delle immagini mentali visi­ve e tattili sia il materiale di base con il quale e stata costruita la geometria elementare euclidea. Non a caso, tale formato viene di nuovo invocato allorche tale geometria viene spiegata ai bambini di ogni generazione. E non c'e motivo di ritenere che anche la geometria superiore non ritenga contenuti intuiti­vi basati su immagini mentali visive.

Oggi c' e sufficiente evidenza sperimentale sul fatto che 1' attivita di percepire un oggetto circolare e d'immaginarlo coinvolgano in parte gli stessi mecca­nismi cerebrali/6 e che la rappresentazione mentale dell'oggetto circolare in un'immagine preserva alcu­ne proprieta topologiche e spaziali di esso. Alcuni studi sul cervello dei macachi57 hanno per esempio mostrato in modo inequivocabile che la stessa orga­nizzazione spaziale del cervello durante la percezio­ne (il modo con cui si dispongono i neuroni) rende plausibile ipotizzare che il medium rappresentativo (la disposizione topografica dei neuroni della cortec­cia occipitale) influenzi la natura della rappresenta­zione mentale, e dunque dell'immagine mentale che noi usualmente associamo a un cerchio, a un trian­golo o a un quadrato.

In modo analogo alla geometria intesa come stu­dio delle forme degli oggetti, anche 1' attivita del contare, e dunque le condizioni epistemiche dell'a­ritmetica, presuppongono il saper identificare certe configurazioni spazialmente separate da forme deli­neate in modo abbastanza netto. Ovvero, anche per l'aritmetica dobbiamo presupporre la capacita di

56 Si veda F. Ferretti, Pensare vedendo, Nrs, Roma 1998. 57 I vi, p. 86-87.

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separare forme nello spazio. Cosl afferma Mario Piazza:58 ·

Per contare occorre assegnare agli oggetti un contorno, o un confine, proprio come in alcuni quadri di Cezanne gli oggetti sono contornati da tratti turchini: per questa ragione e cosi difficile contare le onde, le amebe, le nuvole e anche i nostri pensieri.

Possiamo affermare percio che 1' aritmetica non pre­sup pone solo il tempo quale intuizione kantiana­mente intesa del senso interno o, come vuole Hermann von Helmholtz:59

La capacita di conservare nella memoria la successione in cui si sono susseguiti nel tempo atti coscienziali.

La percezione dello spazio, e in esso delle forme separate e identi/icabili degli oggetti, e cio che per­mette di creare una corrispondenza tra tali forme e i numerali, che sono i segni spazio-temporalmente estesi che utilizziamo per designare i numeri, intesi quali enti astratti. Dalla nostra esperienza di elenca­re oggetti concreti aggregandoli, sappiamo che non dobbiamo mettere insieme 5 pecore e 7 pecore per provare che 5 + 7 = 12, dato che quest'addizione vale per qualunque oggetto discreto e separabile dagli altri, per quanta la definizione di cio che conta come "oggetto " dipende dal contesto e dai nostri scopi cognitivi.

Riassumendo le nostre osservazioni, il problema di spiegare 1' applicabilita della matematica al mondo naturale puo essere affrontato pili facilmente all'in­terno di una filosofia della matematica costruttivista,

58 M. Piazza, op. cit. 59 H. von Helmholtz, Contare e misurare considerati dal punta di vista della teorz'a del conoscere, in Opere, a c. di V. Cappelletti, UTET, Torino 1967 [1867] , p. 7 12.

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che veda quest'ultima come un'invenzione umana non arbitraria, in quanto radicata e originatasi nella nostra esperienza spazio-temporale del mondo ester­no. In particolare, tutte le complesse applicazioni della geometria alla fisica, dallo studio degli spazi a curvatura variabile agli spazi fibrati, dagli spazi vet­toriali dell' algebra lineare, alia teo ria dei gruppi, presuppongono il richiamo a dati intuitivi originatisi a partire dalla nostra esperienza di oggetti concreti, e dunque forniti dalla nostra percezione delle forme, codificate nelle percezioni degli apparati visivo e tat­tile, degli oggetti esterni.

Le immagini mentali che formano il tessuto del nostro pensiero e che risultano cosl importanti nei processi di risoluzione di problemi matematici e fisi­ci60 conservano un loro contenuto intuitivo perche sono in qualche senso isomorfe agli oggetti da cui derivano. Si e detto che la corrispondenza tra le grandezze che caratterizzano i fenomeni e le struttu­re numeriche che a esse associamo tramite opportu­ne funzioni sui numeri reali e alia base del processo di quantificazione del mondo, che costituisce il segreto del successo della scienza moderna. La nostra ipotesi e che la corrispondenza isomorfica in questione dipenda dalle origini empiriche e intuitive dei due pilastri fondamentali della matematica, ovvero la geometria e 1' aritmetica.

Tale riferimento al carattere intuitivo, e non puramente formale della matematica6\ e anche in

60 Si veda ]. Hadamard, An Essay on the Psychology of Invention in the Mathematical Field, Princeton University Press, Princeton 1949, trad. it La psicologia dell'invenzio­ne in campo matematico, a c. di B . Sassoli, Raffaello Cortina, Milano 1993 . 61 Su questi temi, siamo stati influenzati da due stimolan-

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grado di dar conto di un'importante caratterizzazio­ne delle leggi fisiche contemporanee in termini di simmetria o invarianza,62 nozioni che discuteremo in seguito in riferimento a una teoria sulle leggi natura­li di orientamento scettico. In effetti, la stessa nozio­ne di simmetria di un oggetto puo essere descritta in modo intuitivo come la congruenza 0 l'invarianza di una forma a seguito di suoi movimenti nello spazio (traslazioni, rotazioni, riflessioni ecc.) . Per esempio, un esagono che ruoti di un angolo opportuno (mul­tipli di 60 gradi) attorno al suo centro rimane inva­riato, nel senso che si sovrappone a se stesso. Stabiliamo ora che: 1. se la combinazione di due rotazioni da ancora

una rotazione; ii. se a ogni rotazione e possibile associare la sua

in versa; iii. se esiste una rotazione " identita" che lascia inva­

riato l'oggetto; iv. se le operazioni di rotazione sono associative; v. allora l'insieme di rotazioni forma una struttura

astratta detta gruppo.

Considerate le numerose applicazione della teoria algebrica dei gruppi non solo nello studio della simc metria dei cristalli/3 rna nella geometria fisica e nella

ti saggi di G. Longo, The Constructed Objectivity of Mathematics and the Cognitive Subject, e The Reasonable Effectiveness of Mathematics and its cognitive roots, dispo­nibili all'Indirizzo web: http:/ /www.dmi.ens.fr/users/longo. 62 Per quest'interpretazione, si veda van Fraassen B., op. cit. , ed E. Castellani, Simmetria e natura, Laterza, Roma­Bari 2000. 63 ]. Burkhardt, Die Symmetrie der Kristalle, Birkhauser Verlag, Basel 1988.

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2. Perche le leggi di natura sono matematiche?

fisica delle particelle, la versatilita applicativa di questa concetto puo essere compresa solo se tenia­rna canto delle sue origini intuitive, aventi a che fare con l'insieme di movimenti che un corpo rigido (la sua forma) puo fare nella spazio mantenendo invariata la sua identita.

Per quanta riguarda infine la questione centrale che affronteremo nel prossimo capitola, che riguar­da il "contenuto" delle leggi di natura e dunque il lora status ontologico, ci avviamo ora a mostrare come l 'aver messo in luce che il rapporto fonda­mentale tra una legge matematica e i fenomeni che essa rappresenta ha a che fare con la lora struttura relazionale ci possa essere d' aiuto per valutare le varie posizioni filosofiche dibattute nella letteratura contemporanea.

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3 . Il problema della riducibilita delle leggi di natura

La nozione di Iegge di natura � concettualmen­te intrecciata con molte altre nozioni modali, che s'infiltrano nei nostri modi abituali di pen­sare e parlare. [ . . . ] C'e ragione di credere che se non ci fossero leggz; non cz' sarebbe molto altro.

J. Carroll1

3 . 1 La geografia concettuale della nozione di legge di natura

Le discussioni filosofiche sulla nozione di legge di natura partono spesso dal tentativo d 'individuare · alcune condizioni necessarie cui tale nozione dovrebbe soddisfare a priori: l'universalita, la neces­sita, la verita, il reggere condizionali controfattuali' ecc. Questa modo d'impostare la questione, tutta­via, conduce spesso a elaborate teorie delle leggi di natura nelle quali un fisico, un biologo o un econo­mista non possono riconoscersi, semplicemente per­che non riflettono in modo sufficientemente fedele la lora pratica. Nel presentare e valutare criticamen­te le tre posizioni filosofiche pili importanti sulle

1 J. Carroll, Laws of Nature, Cambridge University Press, Cambridge 1994, p. 3 . ' Un condizionale controfattuale e un enunciato condi­zionale del tipo se p fosse vero, allora sarebbe vero q, in cui 1' antecedente descrive una situazione contraria ai fatti.

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3. Riducibilita delle leggi di natura

leggi di natura - il regolarismo, il necessitarismo e lo scetticismo strumentalista - si terra dunque presente in modo essenziale un requisito che si potrebbe chiamare di "aderenza" alla pratica, ai contenuti e ai fini complessivi della scienza, l'unico che dovrebbe essere presupposto da una qualunque analisi episte­mologica del concetto di legge.

N aturalmente, la decisione di seguire tale meta­do come la stella polare della nostra indagine non implica non riconoscere 1' esistenza di controversie su quale sia il fine della ricerca scientifica, su quale sia l 'uso concreto che gli scienziati fanno della nozione di legge, o su che cosa sia una teoria scienti­fica. Ne implica adottare un atteggiamento filosofico passivo e conservatore rispetto alle opinioni implici­tamente difese dagli scienziati sulle leggi di natura: com'e ovvio, la filosofia della scienza tacitamente adoperata da questi ultimi non e affatto qualcosa di omogeneo, univoco e coerente. Nel selezionare le concezioni delle leggi di natura implicite nella prati­ca degli scienziati, e che rispondono meglio a una visione complessiva degli scapi della scienza e delle sue possibilitii conoscitive, si terra ovviamente conto anche delle esplicite riflessioni filosofiche oggi disponibili, cercando di evitare sia un'eccessiva timi­dezza filosofica, e quindi ingiustificati complessi d'inferioritii nei confronti degli scienziati, sia specu­lazioni metafisiche lontane dallo spirito scientifico.

Se, anche solo per applicate il requisito di "ade­renza alla pratica della scienza ", e inevitabile pren­dere posizione sulla natura della conoscenza scienti­fica in generale, e allora opportuno rendere esplicita la concezione che qui sara difesa. Cio facendo, non solo si rispondera all' esigenza ben espressa da van Fraassen, secondo la quale «in un resoconto sulle

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leggi di natura, dobbiamo cercare di discernere simultaneamente sia un punto di vista su cosa sia la scienza e cosa sia una legge, sia come le due questio­ni siano collegate»/ rna si recuperera anche la lezio­ne fondamentale del capitolo precedente. Poiche avevamo mostrato che il carattere matematico delle leggi /isiche presuppone una concezione della cono­scenza scientifica di natura relazionale e strutturale, si partira proprio da questo fatto anche per valutare il problema della portata conoscitiva delle leggi di natura in generale. Se la matematica riproduce par­zialmente le relazioni tra le proprieta o le grandezze dei fenomeni traducendole in modo simbolico aura­verso funzioni pili o meno complesse che ne stabili­scono le dipendenze, allora qualunque analisi delle leggi in generale non potra che tener conto di que­sto fatto, e sara conseguentemente relazionale e strutturale.

La questione se le leggi siano una nostra costru­zione convenzionale (strumentalismo) o abbiano invece contenuto empirico indipendente dalla nostra mente (realismo) dovra quindi necessaria­mente vertere sulla natura delle relazioni che legano tra loro i fenomeni. In particolare, pili che porci la questione se le relazioni di ordine viste nel capitolo precedente siano esemplificate da particolari oggetti concreti (nominalismo), o da proprietd quantitative o grandezze appartenenti a questi ultimi sulle quali dobbiamo quantificare (realismo "platonico" sugli universali) ,4 in questo capitolo ci si domandera se la nozione di legge presupponga tali relazioni, o se sia

3 B. van Fraassen, Laws and Symmetry, cit., p. 37 . 4 S u questa problema si vedano B . Mundy, The Metaphysics of Quantity, in "Philosophical Studies" , LI,

1 987 , pp . 29 -54 e C . Swoyer, The Metaphysics of

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3. Riducibilitd delle leggi di natura

invece da considerarsi come concettualmente "pri­mitiva" , e quindi non ulteriormente analizzabile o riducibile. Tale questione e infatti preliminare a quella di chiarire cosa sia una legge di natura, che verra affrontata nel prossimo capitola.

Nell' attica pragmatista che si e adottata, un modo efficace per scoprire le caratteristiche essen­ziali di una nozione e data dal considerare il ruolo che essa svolge nel nostro sistema concettuale. Tuttavia, anche volendo tracciare solo schematica­mente la geografia della nozione di legge di natura, ci si rende rapidamente canto che il compito e assai difficile se non impossibile, perche tale nozione coinvolge quasi l'intero universo concettuale.5

Per valutare le posizioni filosofiche sulla natura delle leggi, risulta quindi indispensabile esaminare almena i rapporti tra la nozione di legge di natura e altre nozioni a essa pili intimamente legate, come quella di previsione, universalitd, veritd, necessitd, causalitd, contro/attualitd, spiegazione e simmetria . Anticipando il risultato dell'indagine, vedremo che nessuna di queste nozioni, se interpretate come cri­teria necessaria affinche un enunciato sia una legge, appare risolutiva sia (r) per un' analisi del concetto di legge di natura in se, sia (n) per chiarire le differenze tra enunciati nomici genuini e genera­lizzazioni vere di natura accidentale del tipo " tutti i quadri della mia stanza sono riproduzioni" . Al con­trario, per ogni filosofo che afferma che un enun­ciato nomico genuino (ovvero una legge di natura

Measurement, in J. Forge (ed. ) , Measurement, Realism and Objectivity, Dordrecht, Reidel 1987 , pp. 235-290. 5 W. S ellars, Con cepts as Involving Laws and Inconceivable without them, in "Philosophy of Science", XV, 1948, pp. 230-249 e ]. Carroll, op. cit.

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vera e propria) non puo essere considerato tale se non soddisfa almeno a uno dei criteri di cui sopra, se ne puo trovare un altro che sostiene la tesi esat­tamente opposta!

3 .2 Leggi, previsioni e regolarita

In tale sconsolante quadro iniziale, un segnale d'in­coraggiamento ci viene proprio dal primo criterio sopra elencato: la funzione pili evidente ricoperta dalla nozione di legge di natura nella prassi scientifi­ca e sicuramente legata alla previsione, al punto che Nelson Goodman ha affermato che

[ . . . ] un enunciato e considerato una legge perche e usato per fare predizioni e non e usato per fare predi­zioni perche e una legge.6

Il poter essere utilizzato a scopi predittivi e, forse, l 'unico criteria cui un enunciato deve necessaria­mente soddisfare affinche possa essere considerato una legge di natura. Supponiamo, infatti, che esista un enunciato nomico (un'equazione differenziale) che descrive un sistema fisico talmente complesso da rendere impossibile il suo uso a scopo predittivo, nel sensa che nemmeno migliaia di potentissimi cal­colatori cooperanti in parallelo potrebbero calcolar­ne la soluzione in un tempo finito. Potremmo certo continuare a chiamare tale enunciato una legge, rna rimarrebbe poi da spiegare non solo come siamo giunti a scoprirlo, rna soprattutto quale semplifica­zione e vantaggio esso introdurrebbe rispetto alla

6 N. Goodman, Fact, Fiction and Forecast, The Athlon Press, London 1954, p. 7 , trad. it. Fattz; ipotesi e previsio­ni, Laterza, Roma-Bari 1985 .

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3. Riducibilitd delle leggi di natura

regola metodologica, assai pili semplice, data dallo wait and see (aspetta e vedi che cosa succede). Se i computer impiegassero tempi di calcolo superiori all'eta dell'universo, quest'ultima pedestre procedu­ra sarebbe molto pili efficiente rispetto a qualsivo­glia evento futuro.

Malgrado qu,esta ragionevole osservazione, una posizione contraria alla tesi che le leggi di natura siano essenzialmente strumenti predittivi e stata implicitamente difesa da Norman Swartz e Friedel Weinert, i quali distinguono tra due diversi tipi di leggi: le leggi di natura propriamente dette e le leggi scientifiche. Questi autori affermano che mentre le prime sono costruite da noi, e risultano dunque essenzialmente "non-accurate"

' ovvero ne vere ne

false o addirittura false, le seconde, molto pili com­plesse, sarebbero invece letteralmente vere, essendo le leggi reali dell'universo, indipendenti dalla nostra conoscenza. 7 Sulla base di questa distinzione, potrebbero esistere leggi di natura che in linea di principia non conosceremo mai, e che quindi non potrebbero mai essere utilizzate per fare previsioni. Ne seguirebbe che nemmeno il criterio della predi­cibilita sarebbe necessaria affinche un enunciato possa essere considerato una legge.

Tuttavia, per quanto da un punto di visto logico non possiamo escludere che esistano leggi talmente complesse da sfuggire per sempre alla nostra cono­scenza, scommettere sulla loro esistenza sembra semplicemente un atto di fede, giustificabile quanto

7 N. Swartz, The Concept of a Physical Law, Cambridge University Press, Cambridge 1985 e N. Swartz, A Neo­Humean Perspective: Laws as Regularities, in F. Weinert (ed.), op. cit. , pp. 67-91 ; di Weinert, si veda F. Weinert, Introduction, in F. Weinert (ed.), op. cit. , pp. 3 -64.

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l' atto di fede opposto, in base al quale il mondo sarebbe talmente complesso da non poter esemplifi­care alcuna regolarita esatta . In un tale mondo caoti­co, e secondo quanto da noi visto nel capitolo prece­dente, non esisterebbe alcuna legge in grado di "comprimere" in modo esatto la serie numeric a cor­rispondente alle misurazioni, rna esisterebbero solo approssimazioni che noi imponiamo a fenomeni altrimenti infinitamente complessi. In filosofia come nella scienza, tuttavia, tali affermazioni non argo­mentate vanno tuttavia considerate per quello che sono, ovvero come espressione di una visione del mondo caratterizzata piu da bisogni affettivi che dal pensiero razionale. Pur non avendo obiezioni di principio a una distinzione tra cio che esiste indi­pendentemente da noi e cio che possiamo accertare · con i nostri mezzi conoscitivi, riteniamo che il vero problema sia cercare di stabilire se le leggi gia note (quelle che Swartz e Weinert chiamano "scientifi­che") siano da considerarsi vere o false.

Ben piu seria e, invece, l'obiezione in base alla quale il determinismo caotico di sistemi fisici insta­bili implica 1' esistenza di leggi naturali che descrivo­no un sistema fisico la cui evoluzione temporale e imprevedibile, perche dipendente in modo sensibile dalle condizioni iniziali.8 Anche in questo caso pero - si pensi al tempo atmosferico come a un esempio particolarmente perspicuo di sistema instabile e dinamicamente imprevedibile - la prevedibilitd e essenzialmente una questione di grado, dato che, come noto, quanto piu e a lunga scadenza la previ­sione, tanto piu quest'ultima e inattendibile. A "breve" scadenza le previsioni del tempo sono "suf-

8 Cfr. cap. 2, § 2.4, alia fine.

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3. Riducibilitd delle leggi di natura

ficientemente" attendibili, dove la "brevita" e il "sufficientemente" in questione variano con il con­testa. Cio che conta ai nostri fini e comunque la considerazione che un' equazione differenziale che non permettesse alcuna forma di predizione sarebbe completamente inutile a fini pratici, e avrebbe - se pure si puo parlare d'interesse in casi come questo ­un interesse puramente teorico.

In una parola, malgrado si possa continuare a sostenere che il potere predittivo sia una caratteristi­ca, essenziale degli enunciati " legiformi" o nomici, dobbiamo purtroppo aggiungere che esso da solo non basta ne a comprendere che cosa sia una legge di natura, ne a risolvere i numerosi problemi che quest'ultima nozione solleva. Come esempio, basti ricordare che la filosofia della scienza neopositivista9 ha tanto tenacemente quanto disperatamente cerca­to d'individuare un criterio sintattico e/o semantico che fosse sufficiente a distinguere un enunciato che

·--- · ·-- ----9 Per la letteratura neopositivistica, si vedano M. Schlick, Die Kausalitcit in der gegenwcirtigen Physik, in "Erkenntnis" , XIX, 193 1 pp. 145 -162, trad. it. La Causalitd nella fisica contemporanea, in M. Schlick, Tra Realismo e Neopositivismo, il Mulino, Bologna pp. 37 -78; C . G. Hempel, Aspects of Scientzfic Explanation and Other Essay in the Philosophy of Science, The Free Press, New York 1 965 , trad. it. Aspetti della spiegazione scientz/ica, il Saggiatore, Milano 1986.; H. Reichenbach, Nomological Statements and Admissible Operations, North Holland, Amsterdam 1954; E. Nagel, op. cit. Un resocdnto compat­to dei punti di vista di questi autori e in G. Boniolo, Il problema delle leggi di natura nel neopositivismo e nel post-positivismo, in G. Boniolo, M. Dorato (a c. di), Storia del concetto di legge di natura, McGraw Hill, Milano 2001 , cap. 8, e in G. Boniolo, P. Vidali, Filosofia della scienza, Bruno Mondadori, Milano 1999, cap. 7 .

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I! software dell'universo

esprime una legge - un enunciato nomico genuino, del tipo "Tutti i pianeti del sistema solare descrivo­no un' ellisse attorno al sole, che occupa uno dei due fuochi" - da generalizzazioni empiriche accidentali del tipo:

1 . Tutti i frigoriferi italiani contengono meno di 1000 bottiglie.

2. Tutti i miei vestiti estivi sono consumati. 3 . Ogni corpo terrestre composto esclusivamente di

argenta ha un diametro inferiore a 2 km. Com'e evidente, se per esprimere un enunciato nomico genuino bastasse utilizzare il quantificatore universale "\;/" (per ogni) e il condizionale materiale __,. ( " se . . . allora . . . " ) , sia una legge genuina del tipo "tutti i corpi soggetti a una forza (F) sono accelerati (A) " , sia le tre proposizioni di cui sopra, si rende­rebbero tutti con enunciati simbolici del tipo: tutti gli F sono A, ovvero:

(\;/ x) (Fx __,. Ax)

Quale sarebbe allora la differenza tra questi enun­ciati e quelli genuinamente nomici, visto che sintatti­camente entrambi hanno la forma tipica delle gene­ralizzazioni universali?

Se provassimo a sostenere che solo gli enunciati nomici ci permettono previsioni ( il pianeta pili recentemente scoperto, Plutone, segue anch'esso un'orbita ellittica come enunciato dalla prima legge di Keplero, e se ne scoprissimo un altro, potremmo fare la stessa prediziune) , ci imbatteremmo imme­diatamente in controesempi: anche generalizzazioni accidentali possuno essere usati a scopo predittivo. Per esempiu, la 1 . di cui supra, se vera, ci permette­rebbe di prevedere che il prossimo frigurifero osser­vatu in Italia conterra menu di 1000 bottiglie, e per

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3. Riducibilitd delle leggi di natura

quanto poco interessante possa essere la predizione in questione a scopi scientifici, non si vede alcun motivo per il quale essa non debba meritare tale titolo onorifico.

Il fallimento della predicibilita come criterio di demarcazione tra enunciati genuinamente nomici e generalizzazioni accidentali puo essere spia del fatto che essa, a sua volta, dipende da qualche nozione ancor piu fondamentale. In effetti, la nostra innega­bile capacita di prevedere alcuni aspetti del mondo naturale e un qualcosa che, piu che spiegare, sembra presupporre l' esistenza di regolarita: per poter pre­vedere che al singolo evento a seguira b, devo far affidamento sul fatto che eventi del tipo A, cui a appartiene, sono sempre e ovunque seguiti da eventi del tipo B, cui appartiene b . 10 In effetti, le seguenti assunzioni:

il futuro e uguale al passato (negli aspetti rilevan­ti); localita del mondo spazialmente remote da quel­la in cui viviamo e facciamo esperimenti presen­tano le stesse caratteristiche di quelle osservate sulla Terra;

sembrano essere alla base sia delle nostre capacita predittive che dello stesso concetto di legge di natu­ra. A parte il fatto che tali assunzioni chiamano in causa la validita dell'inferenza induttiva - un proble-

10 Quest' analisi regolarista e stata sostanzialmente propo­sta da Hume anche per esplicare il contenuto oggettivo della nozione di causalitd: si veda F. Laudisa, Le leggi di natura in Hume, in G. Boniolo, M. Dorato (a c. di), op. cit, cap. 6. Per Hume e la causalita, si veda, sempre di F. Laudisa, Causa/ita, Caracci, Roma 1998 e le relative indi­cazioni bibliografiche primarie e secondarie.

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rna sul quale non possiamo soffermarci, malgrado la sua stretta parentela con il concetto di leggi di natu­ra - e opportuno ricordare che l'universalitd delle leggi di natura (il loro valere sempre e davunque) , che ora passeremo a discutere, e in fondo un altro modo di esprimere il Principia dell'Unzfarmitd della Natura, attraverso il quale John S. Mill riformulo il problema humeano dell'induzione: perche e razio­nale credere che il futuro sara uguale al passato?

A tal proposito, qui basted notare che la rispo­sta a questa famosa domanda puo semplicemente consistere nell' affermare che e razionale credere che il mondo possieda regolarita perche credere nell'in­duziane e parte del concetto stesso di avere credenze razianali. 11 Per un regolarista - che ritiene che le leggi altro non siano che quel sottoinsieme di tutte le proposizioni vere che si riferiscono a caratteristi­che fattuali (non-nomiche) spazio-temporalmente universali - il contenuto oggettivo delle leggi di natura coincide dunque con nient' altro che con regalaritd, il ripetersi di certi eventi nello spazio e nel tempo.

Con la possibile eccezione data dalla posizione scettica di van F raassen, che neg a 1' esistenza stessa delle leggi, e quindi importante sottolineare che la tesi che le leggi siana regalaritd datate di un qualche grada e tipa di universalitd e il minima camun dena­minatare di tutte le tearie filasafiche sulle leggi, nel senso che tali teorie si distinguono poi le une dalle altre per cio che aggiungana a questa nozione di base: mentre i regolaristi in genere ritengono che la

1 1 In quest'ipotesi, la domanda "Perche e razionale cre­dere nell'induzione o che il futuro sia uguale al passato? " s i traduce nella domanda "Perche e razionale essere razionali? " ' che e una dissoluzione del problema.

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3. Riducibilita delle leggi di natura

necessita sia una caratteristica presente solo nel modello o nel linguaggio , i necessitaristi la interpre­tano de re, ovvero come se fosse una proprieta del mondo indipendente dalla nostra conoscenza.

3 .3 Leggi e universalita

Dal requisito essenziale della prevedibilita siamo giunti alla nozione di regolarita, e di qui a quella di universalita, che e il Secondo criteria di nomicita sopra elencato. Per quanta riguarda quest'ultimo, e pen) necessaria far presente che, nel nostro conte­sto, ci sono almena tre sensi diversi del termine "uni­versalita" che devono essere tenuti attentamente separati. Il primo e sostanzialmente equivalente a "enunciato vero ovunque e sempre" ; il secondo e dato da "enunciato che vale senza eccezioni" , men­tre il terzo e equivalente a "enunciato privo di clau­sole restrittive, o clausole cosiddette ceteris paribus". Discuteremo ora questi tre distinti criteri nell' ordine, mostrando che le leggi di fatto utilizzate dagli scienziati li violano, o possono violarli, tutti.

3.3. 1 L' universalita spazio-temporale delle leggi

Si e spesso provato a sostenere che gli enunciati nomici genuini si distinguono da generalizzazioni vere solo accidentalmente perche il requisito dell'u­niversalita spazio-temporale e soddisfatto solo dai primi. Le seconde, facendo riferimento a oggetti particolari (i miei vestiti, i frigoriferi sulla Terra ecc.) , lo violano, e sono quindi vere solo in luoghi e tempi "ristretti " . Per esempio, si presume che la legge della gravitazionale universale di Newton sia vera per ogni coppia di corpi in ogni istante di

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tempo e in ogni luogo della spazio, rna questa pro­prieta non e evidentemente soddisfatta da nessuna generalizzazione che faccia riferimento a oggetti par­ticolari. Tale soluzione fu difesa sotto altro nome anche dal grande fisico dell 'Ottocento James Maxwell allorche, affermo un principia che potrem­mo chiamare di "inerzia causale della spazio e del tempo" : le leggi di natura non possono contenere riferimento esplicito a coordinate spazio-temporali. 12 Se cosl non fosse, le differenze nel comportamento di un evento fisico potrebbero dipendere solo dal tempo in cui accade e dal luogo in cui si trova, e questa vanificherebbe la ripetibilita degli esperi­menti.

Nel corso delle discussioni sui criteri di nomi­cita, ci si e tuttavia ben presto accorti che, per esem­pio, anche le leggi di Keplero contengono costanti individuali e nominano quindi entita singole. I vari pianeti e il Sole sono certamente entita singole spa­zialmente localizzate, nel sensa che rispetto all'uni­verso osservabile, esse occupano regioni assai picco­le. Nondimeno, consideriamo le regolarita scoperte da Keplero leggi a tutti gli effetti, e in tutti i manuali di fisica esse vengono, non a caso, citate come tali. Inoltre, leggi fenomenologiche come quelle di Keplero si mostrano assai pili stabili nel tempo delle leggi pili fondamentali da cui possono essere deriva­te, 13 come la legge di gravitazione universale di

12 J. Maxwell, Treatise on Electricity and Magnetism, Dover, New York 1984 [1873] , trad. it. Trattato sull'elet­tricita e il magnetismo, UTET, Torino 1973 , II, p. 306. 13 Tale derivabilita non e universalmente ammessa, dato che lo storico Pierre Duhem, e Karl Popper dopo di lui, la negano.

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Newton, dato che quest'ultima e stata "rimpiazzata" dalla teoria della relativita generale di Einstein, nel sensa che quest'ultima ha un ambito d'applicazione piii generale della prima.

Pili radicalmente, il criteria dell'universalita spa­ziotemporale di una legge, inteso come sua condi­zione necessaria, e stato messo in discussione soprat­tutto con 1' avvento della cosmologia evoluzionistica della seconda meta del Novecento. L'estensione di una dimensione storico-evolutiva anche all'universo ha conseguenze per noi molto importanti: per esem­pio, tutte le leggi chimiche devono essere letteral­mente emerse solo quando l'universo e diventato sufficientemente freddo da permettere la formazio­ne di nuclei atomici. 14

Ragionamento analogo vale ovviamente per tutte le leggi delle cosiddette "scienze speciali" , dalla bio­logia alia geologia, dalla psicologia all' economia. Per esempio, anche se la vita come noi la conosciamo esistesse solo sulla Terra, non sarebbe plausibile affermare a priori che certe regolarita biologiche non posseggono lo statuto di leggi solo perche esse sono valide solo in una ristretta regione spazio-temporale dell'universo (in uno dei pianeti del sistema solare) . In effetti, poiche relazioni tra fenomeni biologici o economici non potevano esistere concretamente

14 Si veda J. Balashov, On the Evolution of Natural Laws, in "The British Journal for the Philosophy of Science", XLIII, 1992, pp. 343-370. Un fisico teorico che accetta l'i­dea (originariamente dovuta al filosofo americana C.S. Peirce rna elaborata anche dal fisico P.A. Dirac) che le stesse regolarita naturali e alcuni parametri che interven­gono nelle leggi fondamentali della fisica siano venuti in essere e L. Smolin, The Life of the Cosmos, Oxford University Press, Oxford 1997, trad. it. La vita del cosmo, Einaudi, Torino 1998.

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prima, rispettivamente, della comparsa della vita sulla Terra e della formazione di societa economiche fondate sullo scambio, il fatto che anche in queste discipline siano comunque individuabili alcune leggi - si pensi alle leggi di Mendel o alia semplice legge economica di Gresham, per la quale "la moneta cat­tiva scaccia quella buona" - rende il criteria dell'u­niversalita spazio-temporale troppo forte, e dunque non necessaria. In una parola, l'universalitd spazio­temporale non puo essere considerata un principia di demarcazione tra leggi e generalizzazioni empiriche accidentali.

Tuttavia, tale conclusione non ci autorizza a fare un bilancio solo negativo: al contrario, possiamo dire di essere in presenza di un esempio di genuino prbgresso filosofico. In effetti, il fallimento del ten­tativo, avviato da Hans Reichenbach e portato avan­ti da Carl Hempel, Nelson Goodman, Ernst Nagel e altri, di fissare condizioni necessarie e sufficienti per la nomicita che fossero esprimibili esclusivamente in termini sintattici e semantici, ci ha insegnato qualco­sa d'importante. Oggi si puo infatti affermare senza troppa temerarieta che proprio tale fallimento ci ha condotti alla conclusione che non possono esistere criteri che definiscano la nomicita nel senso vis to:

[ . . . ] un' altra morale che ora e moho chiara e che le leggi non possono essere semplicemente gli enunciati veri in una certa classe caratterizzata in termini sin tat­tici o semantici.15

E invece assai piu difficile stabilire, sulla base di cio che abbiamo affermato sopra, se si possa accettare l'ipotesi empirica che le leggi si siano semplicemente evolute o modificate nel tempo, oppure, ancora piu

15 B. van Fraassen, op. cit. , p. 28.

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radicalmente, che siano venute in essere a un certo momento della storia dell' evoluzione dell'universo, grazie a principi di autorganizzazione della materia. Per non correre il rischio di essere fraintesi, deve essere chiaro che non ci si sta riferendo all' evoluzio­ne della nostra conoscenza sulla natura, realizzata grazie alla scoperta di leggi progressivamente pili corrette da un punto di vista descrittivo, rna proprio all'evoluzione o addirittura al venire in essere delle leggi in se.

Quest'ultima eventualitii, se fosse comprovata, metterebbe in dubbio in modo definitivo l'universa­lita delle leggi intesa come loro validita in ogni regione dello spazio-tempo, a meno che altre leggi di livello superiore non controllino sia come le leggi evolvono, sia come vengono in essere. Per esempio, se tutta la materia dell'universo finisse risucchiata nei buchi neri, il fatto che per tali singolarita, come per 1' even to iniziale del "Big Bang" , le leggi ordina­rie della relativita generale non valgano, impliche­rebbe 1' esistenza di un senso ben preciso in base al quale le leggi a noi note cessano di esistere. Da que­sto punto di vista, per dirla con un fortunato slogan del fisico teo rico americana John Wheeler, 1' unica legge possibile dell'universo e che non ci sono leggi («the only law is that there is no law») . 16

Contro quest'ipotesi, Poincare - il quale, come con altre questioni scientifiche e filosofiche, aveva gia preconizzato e diagnosticato il problema - rite-

16 J.A. Wheeler, On Recognizing "Law without Law", in "American Journal of Physics", LI, 1983 , pp. 398-404. Per un' analisi delle difficolta della nozione di universalita spa­zio-temporale nello spazio-tempo curvo della relativita generale, si veda J. Earman, The Universality of Laws, in "Philosophy of Science", XLV, 1978, pp. 173 -181 .

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neva che l'immutabilita delle leggi fosse una sorta di condizione necessaria della possibilita della nostra conoscenza scientifica del mondo. Infatti, per poter affermare che in un certo momenta passato della storia dell'universo, chiamiamolo t, una legge (o un insieme di leggi) L si sia evoluta da altre leggi, o addirittura che sia venuta in essere a partire da feno­meni contingenti di autorganizzazione, dobbiamo fare delle inferenze dal presente fino all' epoca o al momenta t, ovvero delle retrodizioni. Ma tali infe­renze sono a loro volta rese possibili solo da leggi che dobbiamo presupporre stabili nel tempo, ovvero valide almeno fino al momenta t in cui L e venuta in essere. Poincare conclude:

[. . . ] se all ora l'immutabilita delle leggi gioca un ruolo nelle premesse di tutti i nostri ragionamenti, deve ritrovarsi necessariamente nelle nostre conclusioni.17

Si noti tuttavia che tale argomento, per quanta acuto, non serve a dimostrare l'impossibilita logica dell' evoluzione di leggi di natura dato che, al massi­mo, prova solo che non tutte le leggi si sono evolute. E, infatti, logicamente possibile ipotizzare che alcu­ne leggi si siano evolute, mentre altre, temporalmen­te pili stabili, possano essere da noi utilizzate pro­prio per descrivere e dar conto della mutabilita delle prime: questo basta a provare la possibilita concet­tuale di leggi non universali. Da un punto di vista conoscitivo, inoltre, le leggi che usiamo per fare retrodizioni a rigore debbono essere presupposte come " immutabili" solo fino a un' epoca che sia " sufficientemente" precedente a t, ovvero tale da poter spiegare il venire in essere o 1' evoluzione della

17 R. Poincare, L'Evolution des lois, in "Scientia" , rx, 191 1 , pp. 275-292.

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legge L. Cio, naturalmente, non esclude che queste leggi relativamente pili stabili possano a loro volta essersi evolute, un'inferenza che possiamo tuttavia compiere - su questa Poincare ha indubitabilmente ragione - solo grazie a leggi ancora pili "durature" nel tempo. Tali leggi sarebbero da considerarsi, in un senso abbastanza chiaro, epistemicamente pili fondamentali di quelle che invece mutano nel tempo, anche se non possiamo escludere di dover un giorno accettare la conclusione che tutte le leggi di natura siano venute in essere, anche queUe pili fondamentali.

Secondo alcuni studiosi, certe evidenze cosmolo-giche ci permettono di affermare che

[. . . ] le pro prieta glob ali dell'Universo so no soggette a una radicale riorganizzazione, specialmente durante i primi millesimi di secondo dell' evoluzione cosmica. In tali circostanze nulla puo garantire la stabilita persino delle pili intrinseche relazioni appartenenti natural­mente al "mondo dei fenomeni" . In virtu di questo fatto, qualunque proprieta nomica dell'Universo puo essere funzione di processi evolutivi.18

Secondo altri, al contrario, e proprio allo scopo di spiegare la nascita dell'universo, non solo abbiamo bisogno, come suggeriva Poincare, di leggi immuta­bili, rna dobbiamo altresi presupporre che queste ultime esistano persino in senso astratto, ovvero senza il supporto della materia e della spazio-tempo: altrimenti, come potrebbero dar con to dell' origine di questi ultimi? 19

Comunque stiano le cose in cosmologia teorica -

18 J. Balashov, op. cit. , p. 356. 19 P.C. Davies, Algorithmic Compressibility, Fundamental and Phenomenological Laws, in F. Weinert (ed.), op. cit. , pp. 248-267.

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una disciplina che da qualche anno a questa parte tende a sconfinare nel romanzesco, per il semplice fatto che le teorie proposte non possono trovare un supporto sperimentale - ci sembra che la nostra discussione del primo senso di universalita di una legge si possa concludere nel modo seguente: non possiamo richiedere a priori che un enunciato sia una Iegge solo se e universalmente valido dal punta di vista spazio-temporale, perche e solo l'indagine empi­rica che puo stabilire se !a materia e in grado di autor­ganizzarsi dando letteralmente origine a nuove regola­ritd. lnoltre, a priori non c'e alcun motivo per esclu­dere che la biologia, la psicologia o le scienze sociali in genere, che non hanno a che fare con entita spa­zio-temporalmente universali, possano ammettere regolarita empiriche di tipo genuinamente nomico.

3.3 .2 L'universalitd come determinismo

La nostra discussione del secondo senso di universa­lita, dato da "privo di eccezioni" ' sara decisamente pili breve, visto che e immediato notare che leggi prive di eccezioni, del tipo " tutti gli A sono B " , escludono a priori leggi statistiche, che valgono solo "per lo pili" o in una certa percentuale di casi nume­ricamente precisabile: si pensi a generalizzazioni del tipo "Il 65 % dei fumatori contrae un cancro ", che ovviamente non valgono universalmente per tutti i fumatori. Dopo la svolta probabilistica della fisica contemporanea, sembra particolarmente opportuno far cadere questo requisito di natura deterministica, in quanto troppo "esigente" e non fedele alla pratica scientifica: le leggi che regolano il decadimento di sostanze radioattive sono, per esempio, considerate come irriducibilmente indeterministiche, dato che specificano solo la probabilita che un certo campio-

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ne di sostanza si dimezzi in un periodo di tempo dipendente dalla sostanza stessa. In generale poi, a meno di recuperate interpretazioni cosiddette a variabili deterministiche "nascoste" , le misurazioni di grandezze osservabili in meccanica quantistica coinvolgono probabilita irriducibili.

Come l'impossibilita di distinguere in modo pre­ciso enunciati nomici genuini da generalizzazioni accidentali solo sulla base della presunta universalita spazio-temporale dei primi causa difficolta insor­montabili al regolarismo ingenuo, analogamente la " svolta probabilistica" della fisica del Novecento crea notevoli problemi all' approccio necessitarista alla natura delle leggi. In effetti, poiche i necessitari­sti ritengono che le leggi siano relazioni necessarie tra proprieta, considerate alla stregua di universali oggettivamente esistenti ed esemplificati da oggetti fisici,20 rimane assai difficile conciliate tale interpre­tazione con 1' esistenza di leggi irriducibilmente pro­babilistiche.

Secondo David Armstrong per esempio, una legge del tipo "tutti i corvi sono neri" implica che la pro prieta dell' essere corvo necessiti quella dell' esse­re nero, e che tali proprieta siano interamente pre­senti in ognuna delle loro esemplificazioni, dovun­que nell'universo ci siano corvi neri.21 Ma poiche per questa filosofo non esistono universali non esempli­ficati, come spiegare 1' esistenza di leggi probabilisti­che che ci dicono, per esempio, che solo il 65 % di

20 Un universale e logicamente «cio che puo essere predi­cato di piu case» (Aristotele, De Interpretatione 7, 17 a 3 9) e ontologicamente cio che e responsabile dei lora caratte­ri comuni. 21 D. Armstrong, What is a Law of Nature?, Cambridge University Press. Cambridge 1983 .

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tutti fumatori si ammalano di cancro, mentre la restante parte non e soggetta a questa malattia? Poiche una legge probabilistica come quella citata e una relazione tra universali esemplificata solo per quei fumatori (F) per i quali si verifica il legame con il cancro (C) , cosa dire del restante 35% che e F senza essere C? A questi individui la legge probabili­stica non puo applicarsi, perche essa e una relazione tra le proprieta F e C, ma in questi individui la seconda proprieta e assente. Ovviamente, questa limitazione genera una contraddizione perche, intui­tivamente, una legge probabilistica si riferisce anche a quegli individui che, nel nostro esempio, non hanno contratto il cancro, ma hanno aumentano la loro probabilita di contrarlo fumando.

L'unica possibilita per Armstrong sembra essere quella di affermare che una legge probabilistica non ci dia la probabilita che un universale F sia anche parte dell'universale C, ma solo !a probabilitd che !a Iegge stessa sia esemplificata. Ma qual e l'insieme di riferimento in questo caso, se non una classe di mondi possibili, ognuno caratterizzato da una certa probabilita di esemplificazione della legge probabili­stica? A questo punto, considerato che il tentativo d'introdurre misure di probabilita su insiemi di mondi possibili porta a difficolta tuttora irrisolte, invocate 1' esistenza di disposizioni oggettive irridu­cibilmente probabilistiche ed esemplificate da ogni individuo (da ogni fumatore, nel nostro esempio) , sembra la strategia pili opportuna. 2 2 Poiche la nozio­ne di disposizione anticipa una discussione che

22 Per ulteriori difficolta sollevate dall' esistenza di leggi probabilistiche all'approccio necessitarista, si veda van Fraassen, op. cit. , pp. 109-125 . Per la tesi che la probabi­litii e una disposizione oggettiva riferita a singole entita, si

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affronteremo in seguito, possiamo passare a discute­re il terzo sensa di universalita, che a nostro parere viene in realta violato da tutte le leggi sinora note, il senso dato da "legge priva di clausole restrittive" .

3.3 .3 I:universalita come assenza di clausole "ceteris paribus"

La tesi che ogni legge di natura, fenomenologica o fondamentale che sia, vale sempre con clausole cosiddette ceteris paribus, ovvero a parita di condi­zioni, non ha ricevuto molta attenzione. Nancy Cartwright, per esempio, ha sostenuto che mentre le leggi fondamentali "mentono" rispetto a una descri­zione dettagliata dei sistemi ai quali si applicano, quelle fenomenologiche, meno astratte e piu aderen­ti alla realta, sono appunto vere solo a parita di con­dizioni. Le leggi fondamentali sono piu astratte di quelle fenomenologiche, anche nel sensa che queste ultime possono talora essere derivate dalle prime, aggiungendo opportune condizioni iniziali. Tra le leggi fondamentali della fisica possiamo considerare la legge della gravitazione universale di Newton, le tre leggi del mota della meccanica classica, 1' equa­zione di Schri:idinger e le equazioni di campo della relativita generale, mentre tra quelle fenomenologi­che possiamo ricordare la gia citata legge di Snellius o quella di Boyle.

Per difendere la tesi che anche le leggi fonda­mentali valgono solo in circostanze appropriate , e non so no percio davvero "universali" , basted Jiscu­tere l'esempio della legge di gravitazionale universa­le, che abbiamo gia incontrato nel capitola prece-

veda I. Hacking, Logic of the Statistical Inference, Cambridge University Press, Cambridge 1965, cap. 2 .

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dente. Ebbene, tale legge non solo si applica in sensa proprio solo a due carpi (gia con tre carpi Poincare ha mostrato che i problemi matematici si complicano parecchio) . In pili, la sua applicazione esclude la pre­senza di altre forze, per esempio di natura elettroma­gnetica, che verrebbe a modificare l'interazione cau­sale determinata dalla forza di attrazione gravitazio­nale. Tuttavia, in tutte le situazioni reali nelle quali si applica la legge, non esistono mai solo due corpi, ne si puo escludere che essi siano elettricamente carichi. E importante che questa tesi non sia fraintesa: in certe circostanze, ovvero quando per mandare in orbita un satellite si trascurano gli effetti gravitazio­nali del sole e degli altri pianeti, la legge di gravita­zione puo essere applicata con notevole successo. Il punta fondamentale e che senza menzionare tali cir­costanze (le clausole ceteris paribus, appunto) , la legge di Newton non puo essere applicata.

Poiche il caso delle leggi fenomenologiche e stato studiato con maggiore attenzione, possiamo limitarci a menzionare un paio di esempi gia incon­trati nel capitola scorso. Si ricordera allora che la legge di Boyle (PV = k) vale solo per gas cosiddetti ide ali, che non subiscono cioe 1' effetto di forze di coesione intermolecolare. D' altra parte la legge di Snellius, che regola la rifrazione di un raggio lumi­noso che attraversa due mezzi di densita diversa, vale solo per mezzi otticamente isotropi, in cui la velocita della luce non dipende dalla direzione di propagazione. Il punta e che la stragrande maggio­ranza dei gas ha molecole caratterizzate da forze di coesione, cost' come la maggioranza dei mezzi attica­mente trasparenti e anisotropa.23

23 Per questo e altri esempi, si veda N. Cartwright, How the Laws of Physics Lie, cit.

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Naturalmente, come s ' illustrera in seguito, e spes so possibile "complicare" le equazioni in que­stione, rendendole pili aderenti alla realta e dunque meno idealizzate, aggiungendo, nell' esempio della legge dei gasi perfetti, alcuni termini che tengano conto delle forze intermolecolari. Dovrebbe pero essere chiaro che, nella misura in cui i modelli utiliz­zati nella scienza presentano comunque elementi d'i­dealizzazione e d' astrazione - ovvero di semplifica­zione rispetto una realta fenomenica che a causa della sua complessita sarebbe altrimenti intrattabile - le leggi che concorrono a definire tali modelli saranno applicabili solo esplicitando clausole ceteris paribus, pili o meno "lunghe" o " complicate" che siano.24

Riassumendo, possiamo concludere la nostra discussione del requisito di universalitd affermando che esso si presenta quantomeno come controverso in tutti e tre i suoi sensz� e non puo essere considerato una condizione necessaria affinche un enunciato sia genuinamente nomico.

3 .4 Leggi e verita

Il terzo dei requisiti sopra elencati, quello della veritd delle leggi, ci mette di fronte al problema forse pili spinoso. Da una parte, abbiamo filosofi neoregolaristi che, come Swartz, ritengono che la verita sia la prima di cinque proprieta che gli enun­ciati che esprimono leggi di natura necessariamente possiedono, e che formano il nucleo comune su cui

24 Sul rapporto astratto-concreto, si veda !'ultimo libro di N . Cartwright , The Dappled World, Cambridge University Press, Cambridge 1999.

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tutti i filosofi sono d'accordo!25 Dall'altra, soprattut­to i primi filosofi neopositivisti hanno visto, pur sempre da un' ottica empirista, gli enunciati di leggi come puramente strumentali e utili a scopi preditti­vi. Le leggi in questa tradizione sono schemi di enunciato o «forme possibili di proposizioni scienti­fiche», perche non verificabili in modo completo: come osservare, infatti, un numero infinito di casi? E come considerate "generalizzazione simboliche" o "esempi" (i termini sono di Thomas Kuhn)/6 come quelli delle leggi di Newton, alla stregua di enunciati sul mondo, prima dell'intervento di funzioni di forza specifiche che permettano di applicarle a siste­mi fisici specifici, come pendoli, oscillatori armonici ecc . ? Forse per questi motivi, gia il Tractatus di Wittgenstein affermava che

[ . . . ] tutta la moderna concezione del mondo si basa sull'illusione che le cosiddette leggi naturali siano la spiegazione dei fenomeni naturali.'7

Inoltre, anche se per motivi diversi da quelli fatti propri dai primi neopositivisti, filosofi contempora­nei che, come Giere e Cartwright, hanno considera­to gli enunciati nomici come veri solo in modo idea­lizzato - ovvero veri solo nel modello - non possono accettare il requisito della verita delle leggi tout court. In effetti, se di verita delle leggi si vuole parla­re, alla luce di quanto visto sinora a proposito della

25 N . Swartz, A N eo-Humean Persp ective: raws as Regularities, cit. , p. 7 1 . 26 T. Kuhn, Poscritto 1969, op. cit. , p. 22 1 . 27 L . Wittgenstein, Tractatus Logico-philosophicus, Routledge and Kegan Paul, London 1961 [1921 ] , trad. it. Tractatus logico-philosophicus, Einaudi, Torino 19803, p. 78, prop. 6.37 1 (vedi anche p. 76, prop. 6.342).

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loro universalita, se ne deve comunque parlare in termini di veritd relativa al loro ambito di applicazio­ne, e nei limiti di approssimazione consentiti dal modello.

Tuttavia, a//ermare che una legge e valida nei limi­ti del suo ambito di applicazione e nei limiti di appli­cazione del modello - per esempio, la legge dell'iso­cronismo del pendolo semplice vale solo per piccoli angoli di oscillazione, per cui il seno di un angolo x puo essere approssimato con x - a nostro parere equivale ad affermare che le leggz; a rigore, sono vere solo nel modello matematico.

La meccanica di Newton e, per esempio, "vera" nel suo ambito di applicazione, nel senso che "fun­ziona molto bene" per velocita basse rispetto a quel­le della luce (laddove non intervengono effetti descritti dalla relativita speciale) , e per corpi di dimensioni superiori di varie unita di grandezza agli atomi (laddove non intervengono tipici effetti quan­tistici) . Da questo pun to di vista, e contra il /alsi/z·ca­zionismo popperiano, non si deve quindi guardare alla scienza come a una successione di "abbandoni definitivi" di teorie e leggi scientifiche, come se que­ste ultime, a un certo momenta storico, divenissero inutili zavorre di cui liberarsi. Come gia detto, la meccanica newtoniana e tuttora indispensabile per mandare un satellite in orbita. Una volta che si sia compreso che un enunciato nomico non e universa­le, nel senso che non si applica mai per tutti i valori dei parametri che intervengono nelle leggi,28 la ere-

28 Questa caratteristica delle leggi e messa bene in eviden­za sia da R. Harre, Laws o/ Nature, cit., sia da M. Dalla Chiara, G. Toraldo di Francia, Introduzione alla /ilosofia della scienza, Laterza, Roma-Bari 1999, pp. 93 -96, che

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scita della conoscenza scienti/ica, o il progresso scien­ti/ico tout court, possono e debbono essere visti come una progressiva scoperta dei limiti di applicazione delle leggi scientifiche. Analogamente al processo di maturazione di una persona, una maggiore cono­scenza di se implica, in un certo senso, la consapevo­lezza dei propri limiti. Un 'altra importante conse­guenza filosofica di questa concezione delle leggi va sottolineata: se una legge fisica e essenzialmente vali­da solo per alcuni valori dei parametri e non per tutti, e difficile immaginare che si possa un giorno scoprire un'unica legge universale che ricapitoli - e da cui sia deducibile - tutta la nostra conoscenza della natura. Da questo punto di vista, e allora legit­timo recuperare un'importante componente della visione popperiana della scienza, quella in base alla quale «la ricerca non ha fine».29

Il problema della verita degli enunciati nomici si presenta in ogni caso come particolarmente difficile, perche la nozione di verita, come quella di /atto, ha una valenza fortemente ontologica. Negare che gli enunciati nomici siano veri o falsi conduce allora immediatamente a posizioni scettiche o strumentali­ste sulle leggi scientifiche, come avviene per esempio nella posizione di van Fraassen, che, infatti, nega del tutto che possano esistere fatti cui le leggi corrispon­dano. D' altra parte, affermare che le leggi so no, o possono essere, espresse da enunciati veri, e tipico di

sono un sano antidoto contra il popperismo falsificazioni­sta, an cora largamente dominante nel comune sen tire filo­sofico intorno alia scienza. 29 K. Popper, Autobiography of Karl Popper, in P. Schilpp (ed. ) , The Philosophy of Karl Popper, Open Court, La Salle, Il . 197 4 , trad. it. La ricerca non ha fine . Auto­bzogra/ia intellettuale, Armando, Roma 1978' .

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un filosofo che crede al realismo scientifico, ovvero alla tesi che la scienza descriva il mondo cosl. com' e, e che le teorie scientifiche vadano intese in modo letterale.

Per amore di precisione, posizioni antirealistiche sulle leggi non portano necessariamente a un anti­realismo scientifico tout court. Filosofi come Giere, che difendono lo strumentalismo a proposito delle leggi (gli enunciati che esprimono leggi non sono ne veri ne falsi) si autoproclamano difensori di un reali­smo costruttivista.30 Il fatto di credere all' esistenza delle entita teoriche della fisica (ovvero, le entita non direttamente osservabili, o osservabili a occhio nudo) per Giere e sufficiente per dirsi realisti, men­tre la componente costruttivistica della sua filosofia della scienza deriva dalla tesi che le teorie scientifi­che, e i modelli che le costituiscono attraverso le definizioni di leggi, sono un costrutto sociale, che con la realta fenomenica intrattiene tuttavia relazioni di somiglianza sotto un certo rispetto e per certi gradi.

In una posizione come questa, rimane natural­mente da discutere il problema se si possa essere rea­listi sulle entita teoriche negando da una parte alle leggi di natura lo statuto di descrizioni, o il carattere di enunciati, e dall' altra continuando ad asserire, come fa Giere, che i modelli con cui le teorie scienti­fiche vengono identificate, "somigliano" alla struttu­ra del mondo dei fenomeni. Come possono le leggi essere vere solo nel modello, se quest'ultimo ripro­duce alcune relazioni esemplificate dal mondo reale? Come credere all' esistenza di entita teoriche senza

30 Si veda R. Giere, Explaining Science, The University of Chicago Press, Chicago 1988, trad. it. Spiegare la Scienza, il Mulino, Bologna 1996.

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credere al contempo alia verita delle leggi fenomeno­logiche che ci permettono di rivelarle?

Quel che e certo, e che non si puo assumere come criteria necessaria o come punta di partenza incontrovertibile che le leggi di natura siano enun­ciati veri, come fa Swartz, data che proprio questa rappresenta una svolta cruciale che separa le conce­zioni realiste - per cui le leggi sono relazioni tra pro­prieta intese come universali - da quelle strumenta­listico-scettiche. Sui problema della verita delle leggi potremo quindi tornare solo dopa aver chiarito il problema della lora riducibilita.

3 .5 Leggi e necessita

Anche per il presunto carattere di necessita delle leggi, si riproduce la disputa sui realismo che abbia­mo appena presentato. I filosofi empiristi influenzati da Burne (i regolaristi e i neoregolaristi) sostengono in genere che le leggi sono prive di qualunque necessita oggettiva: si osservano solo fatti o eventi che si susseguono con regolarita , senza alcuna "forza" che li "obblighi" o li "governi" . A questa proposito Burne parlava di felt determination (necessitii sentita) , intendendo con cio spiegare il legame apparentemente necessaria tra carpi o eventi associati da leggi causali. Tale legame per Burne e in realta fornito da una spontanea credenza soggettiva, una "forza gentile" (a gentle force) , che fa sl che la nostra idea del prima evento sia sempre accompa­gnata dal secondo, come risultato della mera abitu­dine a percepirli insieme. Come anticipato sopra, non potendo rifarsi alia psicologia associazionistica del Settecento, oggi superata, i seguaci contempora-

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nei di Hume, come van Fraassen, trattano la neces­sita come una proprieta presente solo nel modello o nel linguaggio (necessita de dicta) .31

Al contrario, sia i realisti contemporanei sulla necessita, come Fred Dretske, Michael Tooley e David Armstrong, sia coloro che analizzano que­st'ultima nozione facendo riferimento al concetto modale di mondi possibili (con relativa relazione di accessibilita ) , come John Bigelow, Brian Ellis, Caroline Lierse, Martin Leckey e Peter Vallentyne,32 sostengono che la necessita delle leggi e un aspetto del tutto indipendente dalla nostra conoscenza. Discutendo del determinismo, abbiamo gia visto come i cosiddetti necessitaristi ritengano che il lega­me tra due universali nomicamente correlati sia oggettivamente necessaria, ovvero la relazione di necessita nomica e a sua volta un universale (diadi­co) del secondo ordine, esistente quindi in re.

Tuttavia, si consideri che il realismo nomico non e legato necessariamente al realismo modale sulla necessita. Infatti, si puo essere antirealisti sulla

31 B. van Fraassen, The Only Necessity is Verbal Necess­ity, in "Journal of Philosophy" , LXXIV, 1977, pp. 71 -85 . 32 Per il necessitarismo, si vedano: F. Dretske, Laws of Nature, in "Philosophy of Science", XLIV, 1977, pp. 248-268; M. Tooley, The Nature of Laws, "Canadian Journal of Philosophy" , VII, 1977, pp. 667-698. Per alcune versio­ni dell' approccio modale, si vedano: J. Bigelow, B. Ellis, C:. Lierse, The World as One of a Kind: Natural Necessity and Laws of Nature, in "B ritish Journal for the Philosophy of Science" , XLIII, 1 992, pp. 3 7 1 -3 88; M. Leckey, J. Bigelow, The Necessitarian Perspective: Laws as Natural Entailments, in F. Weinert (ed.) , op. cit. , pp. 92-1 19; P. Vallentyne, Explicating Lawhood, in "Philosophy of Science" , LV, 1988, pp. 598-613 .

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necessitd e al tempo stesso credere, con alcuni filoso­fi regolaristi, che le leggi esistano in modo oggettivo come regolaritd. Per converso, si puo persino negare che le leggi esistano ed essere, come Cartwright e Giere, dei realisti modali, che credono nell' esistenza oggettiva della causalita. Anche in questo caso per­cia, la necessita fisica, almeno a una prima conside­razione, appare come un requisito troppo controver­so per poter essere invocato come criterio di demar­cazione tra gli enunciati nomici genuini e le genera­lizzazioni accidentali.

3 .6 Leggi e causalita

Data la natura fondamentale e tendenzialmente irri­ducibile dei due concetti, i rapporti tra causalita e nomicita sono assai complessi e controversi. Ai nostri scopi bastera ricordare le conclusioni del capitolo precedente, che ha stabilito che il legame nomico tra eventi o stati di un sistema fisico che coe­sistono nello spazio (leggi di coesistenza) non pre­suppone la causalitd. Dal nostro punto di vista, segue immediatamente che la causalita non puo essere ritenuta ne condizione necessaria per la nomi­cita, ne criterio di demarcazione tra leggi e genera­lizzazioni accidentali. Poiche non tutte le leggi di natura coinvolgono il tempo, non tutte le leggi sono causali.

Per quanta riguarda l ' implicazione inversa, abbiamo gia accennato al fatto che molti teorici della causalita, i cosiddetti regolaristi, sono invece convinti che la relazione causale presupponga quella nomica.33 Supponiamo pero che un legame causale tra eventi singoli sia direttamente percepibile, e non

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presupponga 1' esistenza di leggi o regolarita che associno il tipo di evento causa al tipo di evento effetto. Questa ipotesi, sulla quale torneremo in seguito, non puo essere scartata a priori: un bambi­no che si e scottato una volta toccando il forno, non ha bisogno di ripetere l'esperimento per stare lanta­na dalla percepita causa del suo dolore. Se questa teoria " singolarista" della causalita fosse confermata, e se tutte le leggi di successione potessero considerar­si come leggi causali, allora le prime potrebbero ori­ginarsi dalla generalizzazione e dalla quantz/icazione universale su relazioni causali esemplificate da singo­li eventi, considerate insieme aile circostanze causali appropriate.

In ogni caso, il fatto che le leggi di coesistenza o leggi funzionali non possano costruirsi utilizzando lo stesso metoda rende il concetto di legge irriducibile alla relazione causale.

3 .7 Leggi e controfattuali

Passando ora a esaminare il contributo che i condi­zionali controfattuali possono dare all' analisi del concetto di legge, ricordiamo che tali enunciati sono condizionali (se . . . allora . . . ) il cui antecedente descrive stati irreali o solo possibili. Questa fatto rende difficile valutare la lora verita o falsita indi­pendentemente dalla nostra conoscenza dei nessi

33 A parte i gia citati teorici della causalita come processo riducibile a leggi fisiche di conservazione (Dowe e Salmon) , tra i cosiddetti "regolaristi" spicca D. Davidson, op. cit. Piu recentemente, dello stesso autore si veda Laws and Causes, in "Dialectica" , XLIX, 1995, pp. 263-279.

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causali e delle loro circostanze di applicazione. Per esempio un controfattuale come " se l ' arciduca Francesco Ferdinanda non fosse stato ucciso da Gavrilo Prinzip a Sarajevo, la prima guerra mondia­le non sarebbe scoppiata" e vero o falso a seconda che si consideri 1' omicidio come causa o casus belli. Se e causa, allora dobbiamo essere disposti ad asseri­re che senza di esso la guerra non sarebbe scoppiata, nel senso che la causa e condicio sine qua non (o condizione necessaria) per il suo effetto. Se il riusci­to attentato e invece casus belli, all ora 1' even to "guerra" , descritto nel conseguente del condiziona­le, sarebbe comunque accaduto anche in assenza dell' attentato, il che significa che quest'ultimo non e causalmente necessaria alla scoppio della prima guerra mondiale.

La valutazione di tali ragionamenti ipotetici pre­suppone, come dovrebbe essere ovvio, la conoscen­za di leggi causali su certi tipi di eventi, per cui, generalmente, in certe circostanze, atti terroristici di notevole gravita di un certo tipo hanno certe conse­guenze belliche di un certo tipo ecc. Analogamente, condizionali controfattuali piu semplici, come "se sfregassimo quel fiammifero, allora esso si accende­rebbe", risultano veri solo in presenza di circostanze causali appropriate, ovvero se c ' e ossigeno, se il fiammifero non e bagnato, se e sfregato con la forza opportuna, ecc.

Malgrado tali difficolta, i condizionali controfat­tuali sono stati spesso invocati da autori classici della tradizione neopositivista (Hempel e Nagel) proprio per discriminate in modo fondamentale tra enunciati nomici genuini e generalizzazioni acciden­talmente vere. Mentre il condizionale controfattuale "Se il corpo x fosse lasciato privo di qualunque sup-

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porto cadrebbe a terra" risulta vero perche e retto da una legge di natura (la legge di caduta dei gravi galileiana), "Se x fosse un mio vestito estivo sarebbe consunto" e falso, perche, per fortuna, posso com­prate in qualsiasi momenta un vestito estivo nuovo. Il secondo controfattuale non solo e vero in modo accidentale, rna non esprime alcuna forma di neces­sita, mentre il primo e vero proprio perche l'antece­dente esprime una possibilita che, se si realizzasse (se il corpo perdesse il suo sostegno) , renderebbe il conseguente del condizionale "necessaria" .34

Malgrado il riferimento ai controfattuali fornisca una risposta chiara al problema della distinzione tra enunciati nomici e generalizzazione accidentali, rispetto alla possibilita di costituire un' analisi delle leggi di natura esso presenta, com'e stato ampiamen­te sostenuto, una circolarita viziosa/5 dovuta alla dif­ficolta di analizzare enunciati che, come quelli con­trofattuali, non sono.verofunzionali. Essenzialmente, questo significa che il val ore di verita dell' enunciato complesso non e funzione dei valori di verita dei due enunciati componenti: mentre un condizionale materiale del tipo se . . . allora . . . e sempre vero se l' antecedente e falso, owiamente non tutti i contro­fattuali sono veri. E poiche il modo pili diretto per valutare la verita di un condizionale controfattuale e

34 Per un' analisi controfattuale della causalita e delle leggi non possiamo far di meglio che rimandare il lettore ai due saggi seguenti: C. Pizzi (a c. di), Leggi di natura, modalitd, ipotesi: la logica del ragionamento contro/attuale, Feltrinellt Milano 1978; C. Pizzi, Eventi e cause: una pro­spettiva condizionalista, Giuffre, Milano 1997 . 35 Si veda N . Goodman, Fact, Fiction and Forecast, Harvard University Press, Harvard Mass 1954, trad. it. Patti ipotesi e previsioni, Laterza, Roma-Bari 1985.

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proprio quello di far riferimento alle leggi e alle cir­costanze causali vere nel mondo attuale, a nostro parere risulta difficile provare a ridurre le leggi ai condizionali controfattuali, perche lo stabilire la verita dei secondi presuppone 1' aver gia stabilito la verita delle prime.

Pili in generale, il problema dei condizionali controfattuali e che, dal punto di vista semantico, non esistono soluzioni chiare e universalmente con­divise della questione di come valutare la loro verita: l ' insigne filosofo contemporaneo David Lewis ha, per esempio, proposto di considerate un controfat­tuale vero se, nei mondi possibili pili prossimi a quello attuale in cui l 'antecedente e vero, e vero anche il conseguente. Ma come giudicare in modo preciso (quantitativa e non solo comparativo) la prossimita di un mondo possibile a quello attuale senza considerare le leggi valide in quest'ultimo?

Non potendo entrare in ulteriori dettagli sul pro" blema di stabilire la verita di controfattuali indipen­dentemente dalla nostra conoscenza di leggi causali, affermiamo soltanto, senza dare ulteriori argomenti, che il ricorso a condizionali controfattuali puo esse­re un modo utile per scoprire 1' esistenza di leggi cau­sali, rna non puo affatto costituire una riduzione di queste ultime, almeno fino a quando non sara dispo­nibile una soluzione al problema semantico che sia universalmente condivisa.

3 .8 Leggi e spiegazione scientifica

Questi problemi ci inducono a passare a discutere i rapporti tra leggi e spiegazione scientifica, una nozione che puo esser vista come una delle caratteri"

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stiche che possono dar conto della differenza tra generalizzazioni accidentali ed enunciati nomici. Assumiamo cio che e oramai universalmente ammesso, owero che la scienza riesca a conseguire lo scopo di spiegare i fenomeni. Nell'ipotesi che le leggi siano un ingrediente fondamentale della spie­gazione scientifica, e che ci sia una qualche differen­za tra leggi e generalizzazioni vere, un criterio di demarcazione potrebbe essere costituito proprio dal potere esplicativo degli enunciati nomici, del quale le generalizzazioni sarebbero prive.

In effetti, mentre le leggi, soprattutto a opera di Hempel,36 sono state viste come la chiave per com­prendere la nozione di spiegazione scienti/ica - p�r cui spiegare significa sussumere eventi singoli (expla­nanda) sotto leggi di natura (explanantia) - le gene­ralizzazioni del tipo "tutti i vestiti indossati da Rossi sono consunti" non possono certo spiegare perche un particolare vestito indossato da Rossi e consunto.

In base al modello nomologico-deduttivo della spiegazione scientifica, spiegare significa quindi dedurre gli explananda dalla congiunzione logica di leggi genuine e di opportune condizioni iniziali. Tale modello in seguito e pero stato sottoposto a critiche serrate, e tra le numerose difficolta che hanno con­dotto al suo progressivo abbandono, c'e sicuramen­te anche il fatto che nemmeno la sussunzione sotto leggi genuine, di per se, ha veto potere esplicativo, perche in molti casi e una condizione ne sufficiente ne necessaria a spiegare. Non a caso, molti filosofi

36 C. Hempel, Aspects of Scientz/ic Explanation and Other Essay in the Philosophy of Science, The Free Press, New York 1965, trad. it. Aspetti della spiegazione scienti/ica, il Saggiatore, Milano 1986.

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della spiegazione, tra cui Wesley Salmon, si sono orientati verso modelli causali della spiegazione,37 mentre altri, come lo stesso van Fraassen, hanno abbracciato teorie pragmatiste e contestuali.38

Per convincersi che la deducibilita da enunciati nomici non e sufficiente a spiegare, ci si domandi che cosa aggiunge alia nostra comprensione del per­che questo particolare corvo e nero, o questo corpo cade al suolo, I' affermazione che tutti i corvi sono neri o tutti i gravi cadono al suolo. In quest'ultimo caso poi, e persino in quello della legge della gravita­zionale di Newton, il fatto che si abbia una descri­zione quantitativa del fenomeno non aggiunge molto alia nostra comprensione del perche avviene, anche se la descrizione matematica ci fornisce infor­mazioni di fondamentale importanza sui come avvie­ne. Proprio quest'ultimo esempio mostra in modo inequivocabile che le leggi di natura, anche quelle di maggiore generalitii, in assenza di concreti processi causali che producano 1' effetto da spiegare, non hanno alcun potere esplicativo, come d' altra parte avevano capito i seguaci continentali di Cartesio, che attaccavano il ricorso a forze a distanza, tipico della fisica newtoniana, come misterioso.

Ciononostante, il tentativo di utilizzare la nozio­ne di spiegazione come essenziale per comprendere quella di legge e rimasta una tipica componente

37 Per una storia del concetto di spiegazione scientifica, s i veda W. Salmon, Four Decades of Scientz/ic Explanation, The University of Minnesota Press, Minnea­polis 1990, trad. it. Quarant'anni di spiegazione scientz/ica, Muzzi, Padova 1992. 38 B . van Fraassen, The Scientz/ic Image , Oxford University Press, Oxford 1980, trad. it. L'immagine scien­ti/ica, CLUEB, Bologna 1985 .

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delle posizioni necessitariste, che infatti affermano, nelle parole di un loro autorevole sostenitore:

Si supponga [ . . . ] che !a legge, se esiste, sia 1' esistere di un'irriducibile relazione di necessitazione tra gli uni­versali F e G. Postulare tale relazione unifica i dati fenomeni (cio che e un tratto tipico della spiegazione) e conduce a ulteriori previsioni che vanno al di la di cio che e osservato.39

Ci puo domandare in virtu di quale sua proprieta la relazione di necessitazione ci aiuti a capire perche, per esempio, un singolo corvo e nero, oltre quello che puo dirci la biologia evoluzionistica sul perche i corvi hanna acquisito un piumaggio di que! colore. Confessiamo tutta la nostra perplessita riguardo al neces sitarismo cosl inteso : chiamare qualcosa "necessaria" non mostra che lo sia. D' altra parte, affermare che la postulazione di una relazione di "necessitazione" (un universale) possa spiegare le regolarita spazio-temporali, o i singoli casi in cui la relazione e esemplificata da proprieta codificate nelle leggi di natura, assomiglia troppo a quelle spie­gazioni delle capacitii soporifere dell' oppio che invo cavano la virtus dormitiva di cui parlava Moliere.

3 . 9 Leggi e simmetrie

L'importanza che i concetti d'invarianza e simmetria hanno acquisito nella fisica del Novecento ha sugge­rito ad alcuni autorevoli filosofi della scienza una strategia eliminazionista sulle leggi di natura: secon­do van Fraassen, la nozione di legge e un retaggio

39 D. Armstrong, op. cit. , p. 106.

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della scienza moderna, legato a quelle suggestioni teologiche da noi illustrate nel primo capitola, e che oggi non hanno pili ragion d'essere. Come la causa­lira per Russell, anche la nozione di legge per van Fraassen «e un relitto di un'eta tramontata, e sopravvive, come la monarchia, perche si suppone erroneamente che non rechi danno». 40 Per van Fraassen, il ruolo epistemologico del concetto di legge di natura puo infatti essere completamente e pili produttivamente assorbito da una parte dal con­cetto di simmetria, e dall' altra da quello di probabi­lita.41

I due problemi ai quali qualsiasi analisi del con­cetto di legge di natura dovrebbe rispondere, il pro­blema dell'in/erenza e il problema dell'identi/i­cazione, sono a parere di van Fraassen fatali per tutte le teorie filosofiche sulle leggi oggi disponibili, dato che queste, se riescono · a dare una soluzione soddisfacente al primo, falliscono nell' affrontare il secondo problema, e viceversa. Il problema dell'in­ferenza e quello di giustificare 1' inferenza dall' asser­zione che "A e una legge" all'enunciato "A " , ovvero di chiarire quale informazione ci dia su quello che accade l'enunciato che una proprieta necessita un'al­tra, mentre quello dell'identificazione consiste nell 'i­dentificare tale relazione di necessitazione, nel chia­rire che cosa sia.

Dopo aver mostrato che nessuna delle analisi della necessita oggi disponibili soddisfa a entrambi i

·---·-------·--40 B. Russell, On the Notion of Cause, in "Proceedings of the Aristotelian Society", XIII, 1912, pp. 1-26, trad. it. Sul concetto di causa, in Misticismo e logica, Longanesi, Milano 1980, p. 170. 41 B. van Fraassen, Laws and Symmetry, cit. Sulla simme­tria in fisica, si veda anche E. Castellani, op. cit.

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requisiti, van Fraassen passa a discutere il ruolo della simmetria nella fisica contemporanea, elabo­rando in chiave filosofica l'importante teorema di Emmy Noether, in base al quale ogni legge di con­servazione di quantita fisiche corrisponde a una par­ticolare simmetria. Per esempio, la conservazio­ne del prodotto della massa per la velocita, detta quantita di moto, e legata all'omogeneita della spazio, ovvero all'invarianza delle proprieta di un sistema fisico per traslazioni spaziali, e quindi a una certa struttura dello spazio-tempo, cosi come la con­servazione del momento angolare,42 che e inve­ce legata alia sua isotropia, o invarianza per rotazio­ni. Come ultimo esempio, la conservazione dell' e­nergia e legata all' omogeneitii del tempo, ovvero all'invarianza per traslazioni lungo 1' asse temp orale di una certa funzione della posizione e della velocita delle particelle che compongono il sistema, detta hamiltoniana.

Da queste brevi osservazioni, possiamo inferire che !a natura delle leggi pone vincoli alla struttura della spazio-tempo, un principia la cui validita si riscontra anche al metalivello, che riguarda come le leggi debbono essere scritte. Per esempio, l'invarian­za delle leggi che descrivono un sistema fisico rispet­to a diversi sistemi inerziali (principia di relativita), insieme al postulato della costanza della velocitii della luce, porta alia struttura geometrica dello spa-

42 La conservazione del momento angolare e ben nota alla ballerine, allorche per aumentare la velocita di rota­zione, stringono le braccia al corpo: nel caso del moto cir­colare, il momenta angolare (la sua intensita) e uguale al prodotto della quantita di moto del corpo in rotazione per il raggio. Diminuendo il secondo, per la conservazio­ne del prodotto, deve aumentare la velocita angolare.

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zio-tempo di Minkowski, che soddisfa a certe sim­metrie ben precise, date da tutte le trasformazioni dello spazio-tempo in se stesso (automorfismi) che preservano la sua struttura causale.

Il fatto che le leggi di conservazione piu generali siano strettamente legate a simmetrie spazio-tempo­rali non implica tuttavia un atteggiamento elimina­zionista rispetto alle leggi stesse. Elaborando un rilievo critico che Earman ha recentemente sollevato in una sua recensione al saggio di van Fraassen, tra gli dementi della triade costituita ( 1 ) dalle leggi di natura piii generali (leggi di conservazione) , (2) dalle simmetrie spazio-temporale, e (3 ) dalla nozione d'in­varianza, c' e un rapporto talmente stretto che se si volesse eliminate il primo elemento, come suggerito da van Fraassen, sparirebbero anche gli altri due.43 Eliminate le leggi in favore della nozione di simme­tria e petcio implausibile, anche perche van Fraassen sembra arrivare a questa conclusione par­tendo dall'ipotesi che manca un'analisi filosofica soddisfacente del concetto di legge di natura. Anche se tale ipotesi fosse concessa - magari in seguito a quanto visto sinora - la conclusione che le leggi non hanno alcun ruolo nemmeno nella scienza sarebbe in ogni caso un non sequitur.

Si consideri inoltre che (r) 1' esistenza di fenomeni che si succedono regolarmente nel tempo e un fatto innegabile della nostra esperienza. Interpretando tali regolarita come il substrata ontologico delle leggi, riteniamo che anche van Fraassen debba convenire che esse, almeno in questo senso minimale, esistono.

43 Si veda J. Earman, In Defence of Laws: Reflections on Bas van Fraassen's Laws and Symmetry, in "Philosophy and Phenomenological Research", LIII, 1993, pp. 413-4 19.

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3. Riducibilita delle leggi di natura

In pili, (n) l'eliminativismo delle leggi in favore delle nozioni matematiche di simmetria e di invarianza, significa non riconoscere il carattere di legge a tutte quelle regolarita delle scienze speciali (dalla biologia fino alia sociologia) che non ammettono alcuna espressione matematica. Come spiegare allora, all'in­terno di una posizione eliminativista, la pratica di quei biologi e scienziati sociali che trascorrono la lora intera vita alia caccia di leggi che o non hanna veste matematica o, se la posseggono, non sono rife­ribili a invarianze esprimibili in termini di teoria dei gruppi?44 Tale prat ica , nella posizione di van Fraassen diverrebbe del tutto irrazionale, a meno di non difendere la posizione aprioristica da noi gia respinta, in base alia quale esistono leggi solo nella fisica.

Riteniamo che queste pur brevi considerazioni siano sufficienti a eliminare dal contesto della nostra discussione la posizione eliminazionista di van Fraassen!

3 . 10 II concetto di legge come irriducibile?

Poiche nessuno dei criteri fin qui esaminati puo fun­zionare come condizione necessaria cui un enuncia­to conforme a legge debba soddisfare, a questa punto sorge spontanea l'ipotesi che il concetto di legge sia irriducibile ad altre nozioni, modali o non­modali che siano. La nostra discussione ha infatti mostrato che tale concetto non sembra presupporre nessun altro concetto pili fondamentale. Se concetto

44 La nozione di simmetria e quella di gruppo e stata bre­vemente accennata alia fine del primo capitola.

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esistesse, esso dovrebbe necessariamente intervenire in un' analisi del tipo "1' enunciato P e una legge se e solo se . . . " , rna nessuno dei criteri visti, in quanta condizione necessaria cui P dovrebbe soddisfare, puo riempire la parte occupata dai puntini di sospensione. Possiamo considerare l'ipotesi d'irridu­cibilita delle leggi come definitiva?

In un interessante saggio, John Carroll ha difeso energicamente la tesi dell'irriducibilita di tutti i con­cetti nomici ( "legge" , " causalita", " disposizione " , "produzione" e "caso" ) a fatti non nomici. Per valu­tare in modo ancor pili approfondito tale opinione, ci possiamo avvalere della cosiddetta tesi di soprav­venienza delle leggi su fatti privi di caratteristiche nomiche. Diciamo allora che le leggi sopravvengono su fatti non nomici se due mondi identici da un punto di vista fattuale (ovvero, con identica descri­zione di fatti spazio- temporalmente localizzati) , hanno o devono avere le stesse leggi; l a tesi di non sopravvenienza nomica implica invece che mondi fattualmente identici nel senso visto possano avere leggi distinte. Si potrebbe obiettare che tale modo di porre la questione (riduzionismo empirista di contra all' antiriduzionismo realista) presuppone una chiara distinzione tra fatti e leggi, rna in effetti tale distin­zione viene ammessa universalmente da tutti i prota­gonisti del dibattito filosofico, ovvero anche da colo­ra che, come i regolaristi, hanno maggiori difficolta a motivarla.

La tesi di sopravvenienza e stata considerata il " test di fedelta" di una posizione empirista sulle leggi, dato che essa afferma che le leggi di natura sono completamente "parassitarie" sui fatti occor­renti, cioe su fatti del tipo "il sistema fisico S nella regione spazio-temporale R ha la proprieta manife-

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3. Riducibilitd delle leggi di natura

sta (non-disposizionale) P" .45 In effetti, colora che difendono la tesi di sopravvenienza sono in genere antirealisti sulle proprieta e dunque nominalisti, antirealisti sulla modalita, sui mondi possibili, o sulla necessita e dunque attualisti, e rifiutano l'esi­stenza di entita astratte non esemplificate, e sono dunque naturalisti, nel sensa che tutto cia che esiste e nella spazio-tempo. Quale tra queste opposte opzioni e plausibile assumere riguardo alle leggi di natura? Ovvero, che cos'e una legge di natura?

Forti di alcuni argomenti anti-riduzionisti, in base ai quali ne la causalita ne i controfattuali pos­sono essere invocati per analizzare le leggi di natu­ra, possiamo ora provare a rispondere a tali doman­de analizzando il problema della sopravvenienza delle leggi sui fatti non nomici. In particolare, nel prossimo capitola discuteremo sia le riformulazioni sofisticate del regolarismo, nella f�rma del cosiddet­to neoregolarismo di Mill-Ramsey-Lewis, sia le ver­sioni pili agguerrite del necessitarismo, dovute all'approccio modale di Bigelow-Leckey e Pargetter e alla teoria dei poteri causali di Rom Harre e Edward Madden, ripresa da Cartwight.46

45 Si veda J. Earman, A Primer on Determinism, cit . , p. 85 . 46 Si vedano: ]. Bigelow, R. Pargetter, Science and Neces­sity, Cambridge University Press, Cambridge 1 990; R. Harre, H. Madden, Causal Powers: a Theory of Natural Necessity, Blackwell, Oxford 1 975 ; N . Cartwright, Nature's Capacities and their Measurement, Oxford University Press, Oxford 1989.

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4 . Che cos'e una legge di natura?

4 . 1 Il neoregolarismo di Mill-Ramsey-Lewis

Il neoregolarismo di Mill-Ramsey-Lewis e essenzial­mente un tentativo di salvare la tesi empirista della sopravvenienza delle leggi sui /atti senza incorrere nei problemi tipici del regolarismo ingenuo, dovuti, come si ricordera dal capitola precedente, alla diffi­colta di fornire criteri di demarcazione tra leggi genuine e generalizzazioni accidentali. L'idea fonda­mentale che ispira tale posizione risale a un passo del Sistema di Logica diJohn Stuart Mill:

Secondo uno dei modi di esprimersi, la domanda "Quali sono le leggi di natura?" puo essere formulata in questo modo: "Quali sono le assunzioni piu sempli­ci, e minori in numero, date le quali risulterebbe la totalita dell'ordine esistente della natura? " . Un altro modo di formularla puo essere il seguente: "Quali sono le proposizioni generali, e minori in numero, da cui si possono inferire deduttivamente tutte le unifor­mita esistenti nell'universo? ". 1

Tale concezione, ulteriormente elaborata da Ramsey in chiave epistemica - «le leggi sono conseguenze di quelle proposizioni che dovremmo prendere come assiomi se sapessimo tutto e lo organizzassimo nel

1 J.S. Mill, A System of Logic, Ratiocinative and Induc­tive, Harper and Brothers, New York 187 4 , trad. it. Sistema di Logica Deduttiva e Induttiva, UTET, Torino 1988, p. 447.

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4. Che cos?: una legge di natura?

modo piu semplice possibile in un sistema dedutti­vo» 2 - e stata recentemente ripresa da David Lewis, da cui 1' acronimo MRL coniato da Earman, di cui ci serviremo in seguito.

L'immediato vantaggio della concezione MRL rispetto al regolarismo ingenuo e quello di eliminate dal novero delle leggi le generalizzazioni accidentali del tipo "tutti i miei vestiti estivi sono consumati" . Se, come afferma Lewis, «una generalizzazione con­tingente e una legge di natura se e solo se appare come un teorema (o assioma) in ciascuno dei sistemi deduttivi veri che combina nel modo migliore sem­plicitd e in/ormativitd (strength)»/ nel corpus assio­matizzato in cui tutte le nostre conoscenze scientifi­che siano idealmente riorganizzate, non troveremmo certo affermazioni riguardanti i miei vestiti. Esse, infatti, non ci porterebbero oltre le osservazioni che abbiamo gia compiuto e, come tali, non sarebbero per nulla informative.

E questa l'unico motivo per il quale le generaliz­zazioni accidentali sarebbero escluse dai sistemi assiomatici? Riteniamo di no, perche il concetto d'informativita e irrimediabilmente dipendente dai nostri scopi cognitivi. La selettivita che stiamo cer­cando di chiarire, infatti, non e solo legata alia gia discussa "comprimibilita dell'informazione" consen­tita da una legge di natura, rna anche alia fondamen­tale rna troppo volte trascurata constatazione che le veritd alle quali aspiriamo, sia nella scienza che nella vita quotidiana, devono essere interessanti. Poiche tra

2 F. Ramsey, General Propositions and Causality, in The Foundations of Mathematics, Humanities Press, Atlantic Highlands, N.J. 1978 [1928], p. 138. 3 D. Lewis, Counter/actuals, Harvard University Press, Cambridge, Mass. 1973 , p. 73 (cors. nostro).

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le nostre curiosita non rientra in genere la determi­nazione del numero dei granelli o del peso comples­sivo della sabbia reperibile lungo la costa adriatica, informazioni riguardanti fatti come questi, se pure fossero disponibili, sarebbero automaticamente espunte dall'insieme degli assiomi che ci permettono di ricostruire la nostra conoscenza del mondo, sem­plicemente perche irrilevanti a fini scientifici.4

Da quanta detto, pen), risulta che la differenza tra enunciati nomici genuini e generalizzazioni acci­dentali dipende dai nostri scopi cognitivi, ed e per­cia soggettiva e antropocentrica. Questa, per filosofi neoregolaristi inclini al realismo nomico e sicura­mente una difficolta non facilmente risolvibile, visto che in questa stessa direzione punta anche 1' altro requisito invocato da Lewis per la sua analisi delle leggi, ovvero la semplzdtii. Sia la semplzdtii che l' in/orrnativitii possono caratterizzare dei sistemi assiomatz'ci solo in relazione a interessi cognitivi di esserz· umanl. In breve, poiche tali due nozioni sono da considerarsi epistemiche, ovvero relative piu alla nostra conoscenza che alla realta in se, esse rendono 1' approccio alle leggi di natura proposto da Lewis inevitabilmente soggettivo, in quanta dipendente dagli standard della scienza attuale. Cio che e consi­derato semplice o informativo oggi, non necessaria­mente lo sara domani, e questa e una difficolta che recentemente e stata riconosciuta molto onestamen­te dallo stesso Lewis.5 In mancanza di criteri che

4 Quest' osservazione, naturalmente, non esclude che, in certe circostanze, I' avere questo genere d' informazioni possa essere importante, persino per scopi puramente conoscitivi. 5 Si veda D. Lewis, Postscripts to: A Subjectivist Guide to

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4. Che cos' e una legge di natura?

individuino le leggi di natura indipendentemente dalla nostra conoscenza attuale, l'unica via d'uscita sembra quella di abbracciare una qualche forma di antirealismo nomico: le leggi di natura, anche se intese solo come regolaritii, sono da noi inventate, non scoperte. Ma abbiamo ragioni per difendere una concezione del genere che siano indipendenti dal tentativo di salvare l'empirismo regolarista, e che provengano quindi dalla pratica scientifica?

Concedendo per ora il beneficio di una risposta positiva a questa domanda, passiamo a discutere un'ulteriore difficolta di quest'interpretazione della natura delle leggi, ampiamente segnalata dai suoi stessi difensori: non solo semplicita e informativitii sono criteri vaghi, rna sono anche in con/litto tra !oro. Infatti, un eccesso di semplicitii, ottenuta dimi­nuendo il numero di assiomi, tende ad abbassare il contenuto informativo del sistema deduttivo in cui consiste la teoria, mentre, viceversa, un alto conte­nuto informativo puo essere associato a un numero di assiomi talmente elevato da rendere il sistema deduttivo corrispondente assai poco semplice. Questo fatto spiega perche Lewis parli di equilibria tra semplicita e in/ormativita, un equilibria legato alla constatazione che la spiegazione scientifica, alla quale il concetto di legge e strettamente associato, spesso consiste nella sussunzione di molti casi parti­colari sotto un unico principio generale.

In particolare, cia suggerisce la tesi filosofica, peraltro assai condivisibile, in base alia quale la bond di una spiegazione scientifica permessa da una legge di natura dipenda da quanto essa riesce a

Objective Chance, in "Philosophical Papers" , Oxford University Press, Oxford 1986, 2 voll . , p. 123 .

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unificare fenomeni prima considerati indipendenti e irrelati: una legge, nella misura in cui e esplicativa, deve quindi fornire molta informazione utilizzando il minimo numero di simboli . Come afferma Michael Friedman in un importante articolo che difende la concezione della spiegazione scientifica come unificazione di fenomeni prima considerati indipendenti,

[ . . . ] la scienza aumenta la nostra comprensione del mondo riducendo il numero di fenomeni indipendenti che dobbiamo accettare come fatti bruti. A parita di altre condizioni, tra due mondi che hanno un numero diverso di eventi indipendenti, risultera piu compren­sibile il mondo il cui numero di fenomeni indipenden­ti e minore.6

In breve, se a seguito di un incendio che distrugges­se tutte le nostre biblioteche e i nostri computer, dovessimo tramandare ai posteri il massimo d'infor­mazione sulla nostra conoscenza avendo pochissime parole a disposizione, dovremmo lasciar lora le leggi di natura che abbiamo scoperto !

Considerando l'importanza del requisito di unifi­cazione nella spiegazione scientifica, la questione di trovare 1' equilibria migliore tra semplicita e infor­mativita nella vita reale e risolta di volta in volta in modo pragmatico e contestuale. Questa fatto di per se non rende la posizione MRL filosoficamente pili debole, dato che non dovremmo dimenticare che spesso le questioni scientifiche sana risolte con con­siderazioni pragmatiche. Naturalmente, il limite di

6 M. Friedman, Explanation and Scien tz/ic Under­standing, in "Journal of Philosophy" , LXXI, 1974 , pp. 14-1 5 . Sullo stesso tema, P. Kitcher, Explanation, Conj­unction and Unification, in "Journal of Philosophy" , LXXIII, 1 976, pp. 207 -212.

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4. Che cos' e una Iegge di natura?

queste ultime risiede nella loro stessa natura "flessi­bile" , a causa della quale esse non possono essere formalizzate ne rese troppo precise. In una parola, sarebbe ingiusto concentrare il fuoco della critica solo su questa difficolta dell' "equilibrio tra sempli­cita e informativita", malgrado il fatto che - al con­trario di cio che afferma qualche studioso7 - noi non riteniamo che l'imprecisione della nozione di legge di natura sia una buona giustificazione per spiegare il vago (le leggi) con cio che e ancora pili vago (sem­plicita e informativita).

Ben pili seria e semmai la difficolta - notata sia da Earman, che difende la concezione di Mill­Ramsey-Lewis, sia da van Fraassen, che la respinge ­che i requisiti di semplicita, informativita ed equili­bria finiscono per dipendere dal linguaggio dedutti­vo scelto per assiomatizzare la nostra conoscenza della natura. Sappiamo per esempio da svariati esempi storici che una stessa teoria fisica puo essere assiomatizzata in modo diverso, e i differenti candi­dati a diventare le " leggi di natura" (i diversi sistemi assiomatici) possono essere tra loro non comparabi­li, senza possibilita alcuna di "intersezione" .

Questa difficolta puo essere aggirata, ma solo pagando un prezzo che a un empirista dovrebbe apparire assai oneroso, visto che consiste nel lacera­re la purezza del velo fenomenico di Maya per abbracciare coraggiosamente qualche forma di reali­smo. Per esempio, la soluzione indicata da Lewis consiste nel restringere il numero dei possibili lin­guaggi assiomatici in virtu di una qualche distinzio­ne tra class ificazioni convenzion ali e generi

7 J. Earman, A Primer on Determinism, Reidel, Dordrecht 1986, p. 90.

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naturali. 8 (Come esempio delle prime, si pensi a clas­si individuate da predicati del tipo "le persone di tutto il mondo il cui numero telefonico comincia per 8", e, per le seconde, a limoni, stelle e galassie, che appaiono "ritagliare il mondo" in articolazioni ogget­tive e indipendenti dal linguaggio o dalla mente).

Questa soluzione, tuttavia, equivale a introdurre una distinzione oggettiva tra i denotata dei predicati, e dunque una forma di realzsmo (modale o platonico che sia) delle proprieta, che pero costituisce un tradi­mento vero e proprio dell'originario intento empiri­sta di salvaguardare la sopravvenienza delle leggi sui fatti occorrenti. Infatti, benche ricorrere a generi naturali (natural kinds) fornisca automaticamente un criteria di demarcazione tra enunciati nomici e generalizzazioni accidentali, rimane il problema di spiegare che cosa fa si che i gatti o i limoni apparten­gano a generi naturali distinti rimanendo empiristi, e quindi senza ricorrere, per esempio, a proprieta essenziali tipiche di ogni genere naturale.9

4 .2 Ulteriori difficolta del neoregolarismo MRL

A parte questo tradimento degli intenti empiristi originari - che potrebbe forse essere accettato come inevitabile allo scopo di salvare gli aspetti caratteriz­zanti la concezione neoregolarista - ci sono almeno altre tre difficolta serie, che riteniamo dovrebbero

8 D. Lewis, New Work /or a Theory of Universals, in " Australasian Journal of Philosophy" , LXIII, 19 83 , pp. 343-377. 9 Il concetto di genere naturale e stato gia introdotto nel primo capitolo, a proposito del concetto di forma in Francesco Bacone.

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4. Che cos?: una legge di natura?

indurre un difensore del neoregolarismo MRL ad apostasie ben piu radicali. Le prime due difficoltii, tra lora collegate e, per quanta sappiamo, tuttora ignorate dalla letteratura, riguardano quello che potremmo chiamare lo sciovinismo fisicalista da una parte, e una concezione iperriduzionista e sintattici­sta della scienza e della fisica, dall' altra. La terza dif­ficolta e conseguenza della tesi che ci accingiamo a illustrare, secondo la quale la sopravvenienza delle leggi su fatti (o eventi) spazio-temporalmente loca­lizzati, difesa dai neo-regolaristi, implica anche la sopravvenienza delle proprieta relazionali correlate da leggi ed esemplificate da fatti o eventi sulle lora proprieta intrinseche, una sopravvenienza, questa, resa assai dubbia da fatti empirici collegati alla non­separabilita quantistica. Discutiamo ora queste diffi­colta nell' ordine.

La prima, lo sciovinismo fisicalista, e un "effetto collaterale" della tesi di Mill-Ramsey-Lewis: se le leggi devono essere assiomi o teoremi di sistemi deduttivamente chiusi, e ovvio che possiamo aspet­tarci di trovarle solo in certe parti della fisica, in qualche modello matematizzato della genetica o del­l' organizzazione biologica, 10 e nella teo ria dei giochi in economia. Adottare la concezione assiomatica o inferenziale delle leggi di natura implica quindi !'in­naturale esclusione aprioristica dal titolo di "leggi" di molte regolarita appartenenti alle scienze speciali,

10 Concezioni assiomatiche della genetica sono state dife­se, con risultati non particolarmente esaltanti, da J. H. Woodger, The Axiomatic Method in Biology, Routledge and Kegan Paul, London 1937. Per una descrizione mate­matizzata dell 'organizzazione biologica, si veda G. Sommerhoff, Analytical Biology, Oxford University Press, Oxford 1950.

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dalla biologia qualitativa, alla psicofisiologia e alla sociologia. Infatti tali scienze non posseggono, e forse non possederanno mai, una struttura assioma­tizzata, il che rende inservibile l' approccio MRL. Persino in scienze riccamente matematizzate, come l' economia, e quantomeno dubbio che l' assiomatiz­zazione di alcune teorie possa essere desiderabile.

Lewis potrebbe naturalmente ribattere che la sua definizione di legge e un ulteriore argomento a favo­re dell'idea che solo nella fisica (e in poche altre branche della biologia e dell' economia) ci so no leggi, mentre nelle scienze speciali si trovano, se va bene, generalizzazioni empiriche tendenziali o leggi ceteris paribus. Tuttavia, considerando che anche le leggi fisiche si applicano, come visto, solo grazie alla clausola ceteris paribus, l' ostracismo alle scienze spe­ciali, che sarebbe conseguenza di tale possibile con­tromossa di Lewis, sembra un retaggio di una conce­zione fisicalista della scienza, basata sullo sciovini­smo culturale nei confronti di tutto cio che non e matematizzabile, che sarebbe forse ingiusto attri­buirgli.

La seconda difficolta rende ancora piu implausi­bile l'idea che le leggi siano assiomi o teoremi di teo­rie fisiche, dato che un tale ideale assiomatico a rigo­re non si applica nemmeno alla fisica. A parte il fatto che la concezione " sintatticista" e " iper-assiomatica" delle teorie scientifiche - intese come calcoli formali non interpretati - sembra essere retaggio di una cat­tiva interpretazione del formalismo hilbertiano, 11

dobbiamo notare che persino la fisica non e tutta

11 Si veda R. Torretti , The Philosophy o/ Physics, Cambridge University Press, Cambridge 1999, pp. 409-4 1 1 .

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4. Che cos?; una legge di natura?

assiomatizzabile. A parte assiomatizzazioni di singo­le teorie, come quella della relativita speciale, della meccanica classica o della termodinamica, o assio­matizzazioni intese in senso meno formale, come quella della meccanica quantistica non relativistica, dovuta a John von Neumann, o della teoria algebri­ca dei campi, dovuta a Rudolf Haag,12 non possiamo certo ritenere che la fisica attuale sia assiomatizzabi­le nella sua interezza. Di conseguenza non si potreb­be parlare di leggi che in singole teorie fisiche, men­tre in quelle teorie ancora non assiomatizzate - e sono la maggioranza - si dovrebbe sperare in un' as­siomatizzazione futura.

Ma perche ritenere che la fisica ideale dovrebbe essere assiomatizzata? Intanto osserviamo che una tale esigenza sembra lasciare i fisici praticanti piutto­sto indifferenti. In pili, la difficolta di un' assiomatiz­zazione completa della fisica, che utilizzi un unico insieme di termini primitivi e indefinibili, risiede nel fatto che la fisica non e affatto un blocco monolitico, come a volte certi filosofi presuppongono, dato che ospita al suo interno teorie e linguaggi variegati, tra loro non riducibili: basti pensare alia fisica delle alte energie (particelle) , comparata a quella dello stato solido o alia biofisica.

La contro-risposta possibile - che non ci sono difficolta di principia a un' assiomatizzazione locale e non esportabile effettuata per ciascuna teoria fisica - ha pero il difetto di far poggiare una definizione delle leggi di natura su una fisica che non e quella

12 J. von Neumann, Mathematische Grundlagen der Quantenmechanik, Springer, Berlin 1932, trad. it. a c. di G. Boniolo, I Fondamenti Matematici della Meccanica Quantistica, il Poligrafo, Padova 1992; R. Haag, Local Quantum Physics, Springer, Berlin 1992.

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"in carne e ossa" attualmente praticata dagli scien­ziati, rna su una disciplina idealizzata, in quanto completamente assiomatizzata, che non e mai esisti­ta e forse mai esistera. A meno che il termine "siste­mi deduttivamente chiusi" non vada inteso in modo non letterale - cio che annacquerebbe la teoria in modo considerevole - la concezione di Mill-Ramsey­Lewis soffre del difetto d'indicare una soluzione al problema di che cos'e una legge di natura che viola il requisito di aderenza alla pratica degli scienziati. Di conseguenza, la lasceremo al suo destino, anche in considerazione del fatto che la terza difficolta, alla quale accenneremo brevemente, implica una confu­tazione empirica della tesi di sopravvenienza pre­supposta dalla teoria MRL !

Questo terzo argomento si basa in realta su tre semplici premesse, una delle quali empirica. La prima presuppone la possibilitii di distinguere in modo sufficientemente chiaro proprietii intrinseche di una qualunque entita dalle sue proprieta relazio­nali. Se, osservando una certa pagina, affermiamo che "la figura 1 e sopra la figura 2 , ' attribuiamo alla prima figura una proprieta relazionale, nel senso che tale attribuzione dipende dall' esistenza di almeno un' altra entitii rispetto alla quale la relazione " . . . essere sopra di . . . " puo essere predicata. Ma affer­mare che la prima figura ha la proprieta di essere una s/era e la seconda di essere un cubo significa attribuire alle entita in questione una proprieta intrinseca, dato che le forme degli oggetti possono essere in genere predicate senza alcun riferimento ad altre entita, anche se la nostra capacita di distin­guerle presuppone l 'aver osservato molte forme diverse.

Dando per scontato che esiste una distinzione

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4. Che cos?: una legge di natura?

tra proprieta intrinseche come "la mia altezza" e proprieta relazionali come "essere padre di una bambina", la seconda premessa e meno controversa della prima, dato che corrisponde all'ipotesi che le leggi di natura coinvolgano relazioni /unzionali o causali tra proprieta di fenomeni, eventi, stati o fatti, naturali o sociali che siano. Qualunque sia la versio­ne filosofica che s 'intende adottare riguardo ai relata di una relazione nomica (proprieta 0 individui) , e indubbio che i sistemi che esemplificano tali relazio­ni siano spazio-temporalmente localizzati: se la rela­zione tra pressione e volume della legge di Boyle e in qualche senso esemplificata, lo sad approssimativa­mente da certi gas particolari (i gas perfetti) . Ora, se le leggi sono sopravvenienti su tali sistemi o fatti fisi­ci occorrenti e spaziotemporalmente localizzati, ne segue che le proprieta relazionali di questi ultimi devono sopravvenire su quelle intrinseche, nel senso che, una volta fissate queste ultime, le relazioni sus­sistenti tra esse, in cui le leggi di natura consistono, devono essere univocamente specificate. In breve, se le leggi intese come relazioni tra proprietii esemplifi­cate da certe entitii sopravvengono su fatti concer­nenti quelle entita, coppie di entitd con identiche pro­prieta intrinseche devono avere identiche relazioni. Se non c'e sopravvenienza delle leggi, e invece possibile che coppie con identiche proprieta intrinseche esemplifichino relazioni diverse.

Tuttavia - e siamo cosl giunti alia terza premessa di natura empirica - la tesi di sopravvenienza cosl riformulata, se applicata aile proprieta relazionali di certi sistemi quantistici rispetto aile loro proprieta intrinseche, e violata da particelle quantistiche emes­se in uno stato fisico, detto di singoletto, e caratte­rizzato dalla non-separabilitd dei risultati di misura. Se gli esperimenti sulla violazione delle disugua-

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glianze di Bell che hanno messo in luce tale non­separabilita dovessero provare, come per esempio sostiene Paul Teller, 13 che non esistono proprieta intrinseche, definite e localizzate su cui lo stato rela­zionale tra le due particelle sopravviene, allora anche la concezione delle leggi di natura in base alla quale queste ultime sopravvengono su fatti o sistemi localizzati spaziotemporalmente sarebbe sperimen­talmente confutata.

E certamente vero che, a tutt' oggi, nessuno puo vantare il privilegio di comprendere la non-separabi­lita quantistica - ovvero comprendere perche due particelle lontane, che hanno interagito in modo opportuno nel passato, sembrano tener conto l'una dei risultati di misura ottenuti sull' altra, malgrado non possano tra loro comunicare (se non a velocita superluminali) . Possiamo tuttavia affermare che il mondo quantistico respinge con forza un' ontologia "particolarista" . Se per "particolarismo" intendiamo una concezione della realta vista come composta di entita localizzate e dotate di proprieta intrinseche o spazio-temporalmente separabili, le cui relazioni, codificate dalle leggi, siano riducibili a tali proprieta, aflora possiamo concludere che la concezione di Mill-Ramsey-Lewis, nella misura in cui sostiene la tesi della sopravvenienza delle leggi su tali fatti "par­ticolari " , e confutata da una teoria empirica alta­mente confermata come la meccanica quantistica.

13 Si veda P. Teller, Relational Holism and Quantum Mechanics, in "British Journal for the Philosophy of Science", XXXVII, 1986, pp. 7 1-81 e, della stesso autore, Relational Holism and Bell Inequalities, in J. Cushing, E. McMullin (eds), Philosophical Consequences of Quantum Mechanics, Notre Dame University Press, Notre Dame 1989, pp. 208-222.

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4. Che cos'e una legge di natura?

4 .3 Il necessitarismo di Armstrong, Dretske e Tooley

Le difficol6i del neoregolarismo MRL sembrano dare maggiore plausibilita all'idea che le leggi di natura non siano sopravvenienti o riducibili a regolarita, o fatti occorrenti descrivibili sulla base della geografia e della storia dell'intero universo osservabile. Le altre posizioni che ora discuteremo, che per como­dita abbiamo riassunto con il nome di "necessitari­smo " , in realta al loro interno sono abbastanza variegate, dato che condividono in modo essenziale solo un certo rifiuto dell'empirismo, cosi com'e espresso in quello che abbiamo chiamato il suo "test di fedelta " , la sopravvenienza delle leggi su fatti occorrenti, non modali, e non relazionali.

In effetti, inizialmente alcune forme di necessita­rismo sembrano proprio direttamente suggerite dalle considerazioni che abbiamo appena terminato di esporre a proposito del relazionismo implicito nella meccanica quantistica. Come gia parzialmente anticipato, per necessitaristi come Dretske, Tooley e Armstrong, le leggi di natura sono irriducibili e necessarie relazioni, che valgono tra proprieta intese, anti-nominalisticamente, come universali.

Prima di valutare criticamente questa concezione delle leggi di natura, e opportuno dare qualche ulte­riore delucidazione sulla nozione di universale la quale, sebbene oggi suoni bizzarra e poco plausibile, ha in ogni caso un nobile pedigree, essendo platoni­ca di nascita e medievale di adozione. Prima di tutto, ricordiamo che gli individui sono distinti dalle loro proprieta in quanta solo le seconde possono essere esemplificate, mentre i primi, essenzialmente, hanno il ruolo di esemplificare e non sono mai

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esemplificati. Nelle parole di Armstrong, le pro­prieta intese come universali sono semplicemente «le caratteristiche ripetibili del mondo spazio-tem­porale».14 Credere all' esistenza di universali monadi­ci quali "e rosso" , "ha carica positiva" o "trasporta la radiazione elettromagnetica" , significa dun que essenzialmente credere che la stessa proprietii sia esemplificata, rispettivamente, da ogni oggetto rosso numericamente distinto, da ogni distinta entita cari­ca positivamente, e da ogni fotone. Lo stesso dicasi per gli universali poliadici o relazioni, come le rela­zioni binarie "ha pili mass a di" , o "ha una mas sa di 4 kg" , esemplificate da cop pie di sistemi fisici o corpi, uno dei quali, nel secondo esempio, e il chilo­grammo standard conservato nell' ufficio Pesi e Misure di Parigi.

La concezione filosofica a questa tradizional­mente opposta, quella nominalistica, difende invece l'idea che ogni singolo rosso esemplificato, poniamo, da due lattine di Coca Cola, sia un individuo distinto e particolare, proprio come le due lattine. Per quan­ta due proprieta possano essere qualitativamente identiche tra loro , per i nominalisti esiste solo il rosso di questa lattina e il rosso di quella, che sono comunque distinti per quanto molto somiglianti, e non esiste alcuna proprieta unica, il rosso, che i due oggetti esemplificano, o, per dirla con Platone, un'u­nica "forma" cui "partecipino" . La concezione in base alla quale qualunque coppia di proprieta e composta d'individui distinti e spesso chiamata " teo ria dei tropi" o dei "particolari astratti" : gli indi­vidui vengono visti come "fasci di proprieta singole" (bundles of tropes) .

14 D. Armstrong, op. cit. , p. 82 .

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4. Che cos' e una legge di natura?

Viene naturale chiedersi dove siano gli universali. Ebbene, ci sono due risposte a questa domanda: o essi si trovano dovunque siano collocati gli oggetti che li esemplificano (e quindi non esistono non­esemplifi cati) , oppure esistono anche in modo astratto, come numeri, classi, funzioni e altri oggetti matematici platonisticamente intesi. A causa del suo naturalismo, Armstrong preferisce la prima tesi: gli universali sono gli unici enti che hanno letteralmen­te il dono dell'ubiquira, dato che coesistono comple­tamente in luoghi e tempi distinti, 15 ammesso che passato, presente e futuro "coesistano" in qualche senso atemporalizzato. In breve, il rosso in quanta universale esiste ovunque e per tutto l'intervallo di tempo in cui esistono oggetti rossi. Naturalmente, poiche non e plausibile sostenere che a ogni predi­cato del nostro linguaggio ordinaria corrisponda un universale oggettivamente esistente, per Tooley, Armstrong, Dretske e seguaci, gli universali possono essere scoperti solo a posteriori, grazie allo sviluppo della nostra conoscenza scientifica.

Qual e il vantaggio di ammettere tra gli enti esi­stenti anche gli universali, oltre agli individui che li esemplificano, come stati di cose o eventi? Non stia­mo "moltiplicando gli enti oltre il necessaria" , via­lando cosl la nota prescrizione occamista? 16 Si noti subito che ritenere con i nominalisti che esistano tanti rossi individuali quanti sono gli oggetti rossi distinti, o tante relazioni causali distinte quanti sono gli eventi individuali che entrano in nessi causali,

15 Anche un lago coesiste in luoghi distinti, rna solo gra­zie a sue parti. 16 Com'e noto, essa e formulata in questi termini: entia non sunt multiplicanda praeter necessitatem.

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non offre particolari forme di "risparmio ontologi­co "; anzi, ha il risultato opposto di moltiplicare il numero di individui e proprietii per sbarazzarsi del carico ontologico costituito dall' esistenza degli uni­versali.

A parte la possibilitii di parare obiezioni come queste, che possono essere sollevate da un punto di vista generale e astratto, a ben vedere la disputa tra realisti e nominalisti dev' essere giocata nella soluzio­ne di problemi filosofici e scientifici particolari. A livello astratto, un osservatore non particolarmente simpatetico giudicherebbe le dispute tra nominalisti e realisti sulla natura delle proprietii collegate da leggi di natura come riguardanti differenze che non /anna alcuna differenza o, al pili, come un dibattito puramente pragmatico su quali modi di esprimersi siano da pre/erire. 17 Se per costruire una teo ria delle proprietii con quantificatori sia pili conveniente affi­darsi a una logica del primo o piuttosto del secondo ordine, come sostengono Chris Swoyer e Brent Mundy, e anch'essa una questione che Carnap avrebbe dichiarato squisitamente pragmatica: dipen­dendo essa dai nostri mutevoli scopi, noi qui non la tratteremo. Poiche uno dei vantaggi concreti della postulazione di universali secondo i suoi sostenitori verrebbe proprio dalle soluzioni da essa offerte al problema di definire che cosa sono le leggi di natu­ra, e opportuno piuttosto valutare il dibattito sulla natura delle proprietii sottoponendolo al test parti­colare costituito da tale problema.

17 Per un' accurata esposizione dei vantaggi di una postu­lazione delle proprieta come universali, si veda C . Swoyer, Property , i n " Stanford Encyclopedia of Philosophy", consultabile al sito web: http:/setis.libra­ry. usyd.edu.au/ stanford! entries/ properties.

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4. ·Che cos'e una Iegge di natura?

I cardini della posizione necessitarista di Arm­strong, Dretske e Tooley sulle leggi sono due: (r) !'i­dea che le leggi siano relazioni tra universali (pro­prieta) e che, in quanta tali, (n) siano esse stesse un universale, dato da una relazione di necessitazione. In particolare, se e una legge che tutti gli F sana G, allora F necessita G. La necessita in questione e generalmente intesa come una necessita fisica o naturale e non come una necessita logica.18 Tale rela­zione primitiva del secondo ordine, N , che vale in modo logicamente contingente rna fisicamente neces­saria tra proprieta del prima ordine F e G, e tale da implicate logicamente la regolarita che tutti gli F sono G, ovvero la generalizzazione universale \:fx(F(x) -<> G(x)) ,: nella quale i regolaristi vedono la forma privilegiata per esprimere le leggi di natura:

N (F, G) � 'Vx(F(x) _.,. G(x))19

L'implicazione logica inversa, naturalmente, non vale.

Nel capitola scorso abbiamo gia visto la diffi­colta che tale tesi necessitarista genera a proposito delle leggi probabilistiche . In particolare, la possibi­lita di specificate una qualche misura di probabilita su classi di mondi possibili, o il ricorso a definizioni della probabilita come rapporto logico tra proposi­zioni, sono infestate da difficolta tecniche sulle quali si e soffermato in modo magistrale gia van Fraassen.20

18 Un'eccezione e C. Swoyer, The Nature of Natural Laws, in "Australasian Journal of Philosophy" , LX, 1982, pp. 203-223 . 19 II simbolo "=" denota l'implicazione logica. 20 Si veda B. van Fraassen, Laws and Symmetry, cit . , capp. 4 e 5 .

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I due problemi principali che vogliamo sollevare in questo contesto sono diversi e sono stati maggior­mente trascurati dai critici. Il primo riguarda la diffi­colta che leggi non esemplificate sollevano in parti­colare per il necessitarismo naturalistico di Armstrong, in cui gli universali esistono solo se esemplificati. Il secondo coinvolge invece la natura idealizzata delle leggi le quali, se fossero vere solo nel modello, come sostiene Giere, sarebbero difficilmen­te interpretabili nel modo realistico tipico dei neces­sitaristi. Discuteremo tali due difficolta nell' ordine.

Il tipico esempio di legge non esemplificata e la prima legge della dinamica, o principia d' inerzia , in base alla quale ogni corpo persevera nel suo stato di quiete o di moto1 rettilineo uniforme, a meno che una forza non intervenga a modificare tale stato. Poiche ogni corpo di cui abbiamo esperienza e sog­getto a forze di qualche tipo (la gravita agisce uni­versalmente), e la velocita di qualsiasi sistema fisico, a causa dell' onnipresenza dell' attrito, ten de prima o poi a diminuire fino ad annullarsi, sorge spontanea la domanda: quale proprieta dei corpi, quale univer­sale, corrisponde alla prima legge d'inerzia?

0 esistono universali non esemplificati, come affermano Tooley, John Bigelow e Robert Pargetter,2 1 oppure il necessitarista deve postulare che da qualche parte dell'universo esistano sistemi perfettamente inerziali. La prima ipotesi - antinatu­ralistica, e quindi rifiutata da Armstrong - cade nelle tipiche difficolta del platonismo matematico,

21 M. Tooley, op. cit. e Causation: a Realist Approach, Oxford University Press, Oxford 1987. J. Bigelow, R. Pargetter, Science and Necessity, Cambridge University Press, Cambridge 1990.

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4. Che cos' e una legge di natura?

con in piu il problema che, a differenza dei teoremi matematici, le leggi di natura non sono conoscibili a priori. L'obiezione che si puo muovere aile teorie causali della conoscenza matematica a la Benacerraf e che quest 'ultima procede puramente a priori.22 Tuttavia, tale risposta non e ovviamente disponibile per le leggi di natura, la cui conoscenza e a posteriori. Come riusciamo allora a conoscere tali universali astratti, che esistono non esemplificati e indipendentemente dalla mente umana, se non pos­siamo interagire con essi in modo causale?23

La seconda ipotesi, che afferma che da qualche parte esistono sistemi perfettamente inerziali ( come lo spazio assoluto di newtoniana memoria, «immo­bile e privo di riferimento a qualunque cosa ester­na»), appare una ricetta per un disastro epistemolo­gico, dato che e svuotata di qualunque supporto empirico, ed e stata infatti abbandonata da Einstein in poi: come afferma il padre della relativita, 1' etere, se anche esistesse, «sarebbe privo di proprieta mec­caniche come la quiete».24

II fatto che la legge d'inerzia crei ulteriori diffi­colta aile teorie necessitariste e una curiosa ironia filosofica: 1' esistenza di leggi non esemplificate e

22 Per uno sviluppo coerente di tale argomento, si veda M. Piazza, op. cit. 23 Ovviamente, gli universali non possono essere una costruzione umana, un prodotto della mente, perche altri­menti la teoria oggettivistica delle leggi cadrebbe mesta­mente nel costruttivismo, cia che non riflette certo le intenzioni dei suoi difensori. 24 Per la posizione di Einstein sull' esistenza dell' etere, si veda A. Einstein, in Ether and the Theory of Relativity, in G. Jeffery, W. Perrett (eds) , Sidelights on Relativity, Dover, New York 1983 [1922] , p. 1 1 .

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stata spesso rinfacciata ai nemici giurati dei necessi­taristi, i regolaristi, dato che per questi ultimi le leggi non sono altro che fatti empiricamente accertabili e spaziotemporalmente ricorrenti: se le leggi non sono esemplificate, a qualifatti possiamo far appello?25 La questione per i necessitaristi tuttavia non e affatto pili semplice da risolvere: infatti esistono corpi che, come la Terra, nel loro moto traslatorio approssima­no, in modo sufficientemente accurato, un moto di tipo inerziale: com'e noto, noi non ci accorgiamo che la Terra si muove. Il fatto che, data la grandezza dell' orb ita terrestre, noi non avvertiamo accelerazio­ni o decelerazioni, e che la traiettoria percorsa dalla Terra lungo la sua orbita sia, in un intervallo di tempo sufficientemente piccolo, quasi -rettilinea e tracciata a velocitii quasi-costante, non puo che esse­re spiegato con l'ipotesi seguente: la Terra possiede la proprieta (l' universale) dell' inerzialita solo con il (buon) grado di approssimazione permesso dal suo mota rotatorio lungo una curva chiusa attorno al Sole.

Questa peculiaritii non si riscontra solo nella prima legge del moto, e veniamo cosi alla seconda obiezione sopra annunciata: un pendolo reale, un grave in caduta libera in un mezzo denso, un gas le cui molecole esercitino forze non trascurabili e un liquido reale caratterizzato da viscositii, non obbedi­scono letteralmente alle leggi che specificano i modelli corrispondenti in cui non si tiene conto di quegli effetti. Il loro reale comportamento al massi­mo approssima quello idealizzato descritto dai modelli stessi. Naturalmente, e possibile costruire modelli pili complessi, nei quali s'introducono forze d' attrito proporzionali alla velocitii del grave in un

25 Si veda D. Armstrong, op. cit. , p. 21 .

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4. Che cos?; una legge di natura?

mezzo denso (come il modello per il mota di un paracadute), o forze di attrazione tra molecole di un gas insieme al volume occupato da queste ultime, come nella legge di van der Waals, la [ 1 1] qui sotto, che estende ai gas reali il dominio di applicabilita della legge caratteristica dei gas perfetti, espressa nella forma:

PV = KNT [10]

rendendone pili generali e accurate le predizioni:

[P + a(N/V)2] (V- Nb) = KNT [11 ]

A parte la sostituzione della costante k con il pro­datto tra K Oa cosiddetta costante di Boltzmann), N (il numero di molecole complessivo del gas) e T (temperatura), la [ 10] e in buona sostanza la legge di Boyle, a noi gia nota dal prima capitola. Nella [ 1 1 ] , p e la pressione del gas, v il suo volume, a e b sana due costanti determinabili sperimentalmente, carat­teristiche di ogni singolo gas.

Il punta fondamentale e che rispetto al compor­tamento di un gas reale, anche la legge di van der Waals risulta da un'astrazione e un'idealizzazione: 1' effetto delle forze molecolari per N molecole in realta e dell'ordine di N(N - 1)/6 che solo per N malta grandi puo approssimarsi con N2 come e nel­l' equazione di cui sopra. Per quanta N in un gas sia effettivamente grande, l'idealizzazione implicita nella legge e evidente, dato che, oltretutto, non tutte le molecole di un dato gas hanna volume esattamen­te proporzionale a b.

26 Per ricavare questo numero, si pensi al numero di "incontri tra bicchieri" in un brindisi a cui partecipano n persone: ogni persona brinda con tutti gli altri tranne che con se stessa, e dunque con n - 1 persone.

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Una teo ria delle leggi di natura che non colga l' a­spetto di modellizzazione implicito nella scienza, trascura a nostro parere tre aspetti fondamentali della conoscenza scientifica: !' approssimazione ( e quindi gli errori nelle misure), l'astrazione e l'idealiz­zazione. Non solo una qualunque teoria fisica puo essere opportunamente identificata con una classe di modelli astratti nel senso della teoria dei modelli -ovvero con una struttura astratta (una tripla) costi­tuita da una componente matematica, una parte spe­rimentale e una funzione di traduzione che connette la prima con la seconda componente - rna in ogni teoria scientifica e implicito il concetto di modello in un altro, distinto senso, dato da " rappresentazione semplificata e schematizzata dei fenomeni " . Sebbene in certi casi i due concetti di modello coin­cidano, e opportuno tenerli distinti. 27

Per rimanere fedeli a un'interpretazione delle teorie scientifiche che tenga conto di questi tre aspetti, i necessitaristi dovrebbero dunque sostenere che gli universali possono essere esemplzficati in parte, ovvero che esistono per gradi, "partecipando parzialmente aile forme eterne" . Tuttavia, una tale revisione dottrinale sembra loro preclusa: come puo un universale (o una qualunque entita) esistere "per gradi " ? Malgrado le leggi probabilistiche vengano interpretate dai necessitaristi come una tendenza di

27 Per una chiara presentazione dell' approccio semantico aile teorie fisiche, difeso tra gli altri da van F raassen, Fred Suppe, Giere e M.L. Dalla Chiara, si veda M.L. Dalla Chiara, G. Toraldo di Francia, op. cit. , cap. 5, dai quali abbiamo tratto Ia tripartizione del modello presentato nel testa. Per Ia nozione di modello come rappresentazione, si veda S . Tagliagambe, L'epistemologia del confine, il Saggiatore, Milano 1997 .

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4. Che cos?: una legge di natura?

un universale F a produrne (necessitarne? ! ) un altro G, tendenza misurabile con un numero reale r com­preso tra 0 e 1 , sembra pili plausibile as sum ere che una proprieta intesa come un universale o e esempli­ficata in modo completo o non esiste, dato che, visto quanto detto sopra, universali non esemplificati non sono ammissibili.

In una parola, allo scopo di salvare la loro teoria, i necessitaristi devono scegliere tra due opzioni: o (r) assumono che da qualche parte dell'universo esista­no corpi che si muovono di moto inerziale, pendoli che oscillano per 1' eternita grazie a fili inestensibili e privi di peso, fluidi incompressibili ecc., oppure (rr) ipotizzano che gli universali "esemplificati per gradi" di cui sopra, corrispondano a entita come tendenze, disposizioni e poterz· causali, suscettibili di esser misu­rati e dunque di avere un grado,28 e appartenenti a individui singoli. Tuttavia, la prima assunzione e del tutto priva di significato empirico, mentre la secon­da, con la sua postulazione di proprieta che, come le disposizioni e le tendenze, sono presenti per gradi, equivale in realta ad abbandonare il necessitarismo nella versione di Drestke, Armstrong e Tooley.

Allo scopo d'introdurre e giustificare ulterior­mente la teoria disposizionale delle leggi, difesa in modo diverso da Nancy Cartwright, e da Rom Harre e Edward Madden, e opportuno concludere la nostra valutazione critica del necessitarismo stan­dard spendendo qualche osservazione supplementa­re sulla natura della relazione di necessitazione nomica N. Sia Tooley che Armstrong insistono sui

28 II ruolo della misurazione di capacita nella scienza e stato rivendicato specialmente in N. Cartwright, Nature's Capacities and their Measurement, cit.

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fatto che postulare N equivale a fare un'ipotesi teori­ca, rna mentre il secondo recentemente e passato a sostenere che N e riducibile alla relazione causale,29 il primo ritiene che essa sia una relazione primitiva e, come tale, non ulteriormente analizzabile. Come lo stesso Armstrong assai onestamente riconosce, tuttavia, e possibile che non tutte le leggi siano cau­sali/0 e noi abbiamo gia argomentato non solo che in effetti le cose stanno proprio cosi, rna anche che le leggi di coesistenza non possono essere derivate da quelle di successione. Cio rende la "spiegazione" di N tentata da Armstrong (la sua riduzione alla rela­zione causale) insoddisfacente.

D'altra parte, la posizione di Tooley e Dretske su N e decisamente non riduzionista ( "N non e analiz­zabile" ) , rna il fatto che tale relazione non sia - come gia segnalato da Hume - direttamente osservabile, rende la sua postulazione assai dubbia. Se, seguendo van Fraassen, immaginassimo di vivere in un mondo in cui esistano solo regolarita che si succedono sta­bilmente nel tempo (un "mondo humeano" ) , e lo comparassimo a un mondo in cui invece esistano relazioni necessarie rna non direttamente osservabili, non saremmo in grado di distinguerli: come faccia­mo allora a escludere di vivere nel primo tipo di mondo, e quale evidenza potremmo portare contro quest'ipotesi?31

29 Si veda D. Armstrong, The Identification Problem and the Inference Problem, in "Philosophy and Phenomenolo­gical Research " , LIII, 1993 , pp. 42 1-422 . Notiamo che Armstrong al riguardo ha cambiato opinione, dato che nel 1983 ancora sosteneva che «alia fine della spiegazione, il fattore di necessitazione deve rimanere non spiegato», in Laws of nature, cit . , p. 92 . 30 Ivi, p. 422.

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4. Che cos?: una legge di natura?

Si badi pero che mentre tale obiezione si applica alla relazione di necessitazione nomica vista come entita teorica e irriducibile alla causalita, essa non vale per quest'ultima, che invece e direttamente per­cepibile in casi singoli. Questo fatto secondo noi basta a difendere una concezione singolarista della causalita, secondo la quale i poteri causali di entita particolari sono direttamente osservabili anche in un caso singolo, o in una sola manifestazione. Poiche non abbiamo bisogno di una ripetizione costante di una successione di eventi per poter accertare 1' esi­stenza di un legame causale, quest'ultimo non pre­suppone una legge. Si pensi a tutti i verbi di azione, espressi da enunciati come "il tetto della casa e stato spazzato via da quell'uragano" e " il pane e stato tagliato da quel coltello"

' "il bicchiere e stato /rantu­

mato da quell'urlo" ecc.32 Rispondendo alla sfida di Hume di «produrre qualche esempio in cui l'effica­cia causale si possa manifestare chiaramente allo spi­rito o le sue operazioni siano evidenti [ . . . ] ai sensi», la Anscombe afferma: «niente di pili facile: tagliare, bere e fare le /usa non sono un esempio di effica­cia?»33

AI contrario, la relazione N, come quella causale, viene postulata da Tooley solo per le sue virtu espli­cative rna - come gia segnalato nel capitola prece-

31 B. van Fraassen, op. cit. , p. 91 . 3 2 Tale concezione singolarista della causalita e stata ori­ginariamente difesa da C. Ducasse, On the Nature and Observability of the Causal Relation, in "Journal of Philo­sophy", XXIII, 1926, pp. 57-68, ristampato in E. Sosa, M. Tooley (eds), Causation, Oxford University Press, Oxford 1990 [1926], pp. 125- 136. 33 E. Anscombe, Causality and Determination , Cambridge University Press, Cambridge 1971 , p. 69.

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dente - spiegare perche tutti i corvi sono neri addu­cendo il fatto non ulteriormente analizzabile che l'essere corvo ( "la corvita") necessita l'esser nero ( "la nerezza " ) , non sembra far avanzare granche la nostra comprensione del motivo per il quale la rego­larita in questione si da. L'inferenza a una possibile spiegazione teorica di una serie di fatti, anche se la migliore tra quelle disponibili in un certo momento storico, senza indipendente supporto induttivo da sola non basta, in quanto non fornisce alcuna garan­zia sulla verita della spiegazione avanzata.34

Si pensi al fatto che la storia della scienza ha for­nita abbondanti esempi che attestano che una spie­gazione puo assolvere il suo compito senza dover essere necessariamente vera. Gli epicicli dell' astro­nomia pre-copernicana spiegavano i moti retrogradi e stazionari dei pianeti, e il moto vorticoso di picco­lissime particelle nella fisica di Cartesio spiegava 1' at­trazione dei pianeti: entrambe le ipotesi sono pero false e 1' astrologia non e certo avara di spiegazioni del nostro comportamento che sono tuttavia del tutto prive di qualunque riscontro empirico.

In definitiva dunque, un puro vantaggio esplica­tivo, ammesso che sia presente, non puo costituire un buon argo men to per credere all' esistenza di una necessita fisica de re.

34 Per ulteriori osservazioni critiche sull'uso abbondante che i necessitaristi fanno dell'inferenza alia miglior spiega­zione, si veda B. van Fraassen, op. cit. , cap. 4.

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4.4 Il necessitarismo fondato sulle proprieta essenziali dei corpi

Malgrado le difficolta su cui ci siamo soffermati c'in­ducano a respingere il necessitarismo nella versione Armstrong-Dretske-Tooley, alcune intuizioni carat­terizzanti la loro posizione finora hanno tuttavia ricevuto solo giustizia sommaria, e devono quindi essere riconsiderate. Tanto per sgombrare il campo da critiche fuorvianti, non e corretto accusare il necessitarismo d'incoraggiare assurde metafore del tipo "i fenomeni sono costretti o governati da leggi naturali" , come pure alcuni hanno suggerito . 3 5 Abbiamo visto che tali metafore dipendono dal fatto che il nostro linguaggio porta ancora con se evidenti tracce dell' origine teologica della nozione di legge di natura, come un alcunche che presuppone la volonta onnipotente del legislatore divino. Tuttavia, ne tali metafore, ne il necessitarismo di per se, implicano che abbia senso affermare che le leggi letteralmente "governino " o " regolino" i sistemi fisici da esse descritti, o che questi ultimi letteralmente "obbedi­scano" o "siano costretti" a seguire delle leggi.

Queste osservazioni - che sono particolarmente significative nell' ambito delle discussioni intorno alia compatibilita tra un universo ipoteticamente regolato da leggi deterministiche e la liberta umana - sono comunque compatibili con la constatazione che numerose leggi o principi fisici sono tipicamente enunciati esprimibili sotto forma di "proibizioni" o impossibilita fisiche. Si pensi, per esempio, a "nes­sun corpo puo essere accelerato a velocita uguali o superiori a quelle della luce"

' "il moto perpetuo e

35 N. Swartz, A Neo-humean Perspective, cit. , p. 77.

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impossibile" , "nessun corpo fisico puo essere raf­freddato sotto lo zero assoluto" ecc. Tali enunciati, pur riferendosi a qualche tipo d'impossibilitii e, indirettamente, a qualche senso di necessitii, non comportano alcuna antropomorfizzazione della natura, invitandoci piuttosto a considerate qualche altra interpretazione della relazione N, che non veda quest'ultima ne come primitiva, come sostengono alcuni necessitaristi, ne come esclusivamente relatz'va ai nostri modelli o al linguaggio, come invece affer­mano gli empiristi a la van Fraassen.

Una prima ragione per questa tesi viene dalla considerazione che le leggi di natura non sono sol­tanto descrizioni di regolarita accidentali, rna posso­no, per esempio , riferirsi a meccanismi causali nascosti che, nei casi deterministici, congiuntamente a un insieme di circostanze causali appropriate, "necessitano" in qualche senso il loro effetto, "pro­ducendolo" . Inoltre, la possibile obiezione talvolta sollevata che la pratica della scienza non ci autorizza a introdurre nozioni di necessita che siano interme­die tra la necessita logica e la pura contingenza, e smentita dall 'osservazione che nella teo ria delle equazioni differenziali, che costituisce il cuore della fisica matematica, la gia nota distinzione tra leggi (equazioni) e condizioni iniziali e comunque fonda­mentale. Tale distinzione e un ulteriore motivo per intraprendere un' analisi filosofica che rifletta tale differenza tra enunciati puramente contingenti, quali quelli che esprimono le condizioni iniziali (che infat­ti specificano valori di un sistema fisico che potreb­bero essere diversi da quelli di fatto misurati), e gli enunciati di Iegge, che invece si presumono validi anche per sistemi con valori iniziali diversi da quelli attuali, e dunque anche per sistemi fisici solo possibi-

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li (possibilismo) .36 Dove reperire pero analisi della necessita nomica alternative a quelle di Armstrong­Dretske-Tooley?

Una possibile soluzione e suggerita da Bigelow, Ellis e Lierse,37 che vedono la necessita di una legge, implicita nei principi sopra menzionart, come dipen­dente dalla natura essenziale delle proprieta messe in relazione dalla legge stessa. La direzione esplicativa della necessita in questo caso va "dal basso verso I' alto " , ovvero dalle proprieta essenziali dei sistemi fisici, che vengono viste come fisicamente necessa­rie, alla necessita delle relazioni tra tali proprieta, le leggi appunto. AI contrario, con il necessitarismo di Armstrong, Tooley e Dretske, la necessita e fatta calare "dall'alto" , appartenendo essa solo alle rela­zioni nomiche, ed essendo poi "ereditata" dai singo­li sistemi che esemplificano tali relazioni.

Come il lettore puo immaginare, la difficolta della soluzione Bigelow-Ellis-Lierse risiede nella specificazione delle propriet·a essenziali: che cosa sono, e come le distinguiamo in modo non arbitrario da quelle accidentali? In genere, le proprieta essen­ziali hanno a che fare con la natura microscopica delle entita o generi naturali che consideriamo: 1' ac­qua e essenzialmente H20, le specie biologiche sono essenzialmente identificabili grazie al l oro DNA; 1' oro e essenzialmente quella sostanza il cui numero ato­mico e 79. Introdurre proprieta essenziali significa accettare la tesi che qualunque sostanza la cui com­posizione chimica non sia costituita da molecole di H20, non sarebbe acqua, cosl come una sostanza il

36 II possibilismo e la posizione metafisica che nega 1' at­tualismo, ovvero la tesi che "essere e essere attuale" . 37 J . Bigelow, B . Ellis, C. Lierse, op. cit.

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cui numero atomico non sia 79 non sarebbe oro. Una proprietd essenziale e dunque una proprietd che, aristotelicamente, de/inisce l'identitd dell' entitd che la possiede.

Tali proprieta essenziali possono caratterizzare individui, specie, generi e persino l'intero universo: un caso speciale di attribuzione di proprieta essen­ziali sul quale i nostri tre autori si soffermano parti­colarmente e quello che contempla tale attribuzione proprio a tutto l'universo osservabile. Le leggi che specificherebbero il tipo di universo in cui viviamo per Bigelow, Ellis e Lierse sarebbero le leggi genera­lissime di conservazione dell'energia, della quantita di moto, della carica ecc . , o principi di simmetria come quello di relativita, in base al quale le leggi sono le stesse indipendentemente dal sistema di rife­rimento inerziale adottato per la descrizione dei pro­cessi fisici. Tali leggi sarebbero essenziali per il tipo di universo in cui viviamo, e necessarie relativamen­te a tale tipo: un universo senza le leggi di conserva­zione non sarebbe quello attuale, rna apparterrebbe a un tipo distinto.

Una proposta che intende reintrodurre in filoso­fia della scienza alcune categoric filosofiche "supera­te" quali essenze e accidenti, appartenenti per di pili alla metafisica aristotelica, e destinata a generare quantomeno delle perplessita. Per esempio, (I) e ragionevole ammettere che ogni entita singola, spe­cie o genere che sia, e addirittura l'universo, posseg­gano una proprieta essenziale o una "natura" indi­pendentemente dalle nostre convenziohi esplicative? E ancora, (n) se non e possibile arrivare a descrivere, scoprire o definire tali essenze indipendentemente dalle leggi, l 'analisi della necessita proposta da Bigelow, Ellis e Lierse soffrirebbe di patente circola-

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rita: le essenze degli oggetti fisici dovrebbero fornire il carattere di necessita aile leggi, rna queste ultime sono indispensabili per definire le p rime. Discutiamo ora queste due difficolta nell' ordine, la seconda delle quali si riallaccia al tema della soprav­venienza delle leggi su concetti o fatti non modali, introdotto nel capitola precedente.

4.4. 1 Essenze, generi naturali e leggi biologiche specie-specifiche

Prima di tutto, quanta e chiara e indipendente dai nostri scapi cognitivi la distinzione tra le proprieta essenziali di Socrate, il suo essere animale razionale, e le sue proprieta accidentali, come quella di essere marito di Santippe, o quella di essere barbuto? Gli essenzialisti affermano che mentre Clinton non sarebbe cio che e (non esisterebbe) senza i geni che ha (se i suoi genitori non si fossero mai incontrati), la sua proprieta di "essere marito di Hillary" e acci­dentale, nel sensa che l'identita di Clinton non ne dipende nella stesso modo. Clinton sarebbe lo stes­so uomo anche se fosse rimasto scapolo, o avesse sposato qualche altra donna. Naturalmente, si puo obiettare che qualsiasi attributo che caratterizza Clinton e parte della sua identita , cosicche un Clinton che vive in un mondo possibile in cui rima­ne scapolo non sarebbe Clinton, rna una sua contra­parte: come afferma Lewis, ogni individuo puo esi­stere solo in un mondo possibile.38

Nonostante queste ragionevoli perplessita, l'ipo-

38 D. Lewis, Counterpart Theory and Quantz/ied Modal Logic, in "Philosophical Papers " , I, Oxford University Press, Oxford 1983 , pp. 26-46.

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Il software dell' universo

tesi che a noi importa stabilire e se il concetto di essenza, o come noi preferiamo, di genere naturale, giochi o meno un ruolo importante nella conoscenza scientifica. E la risposta puo essere affermativa: se al posto del termine sospetto "proprieta essenziale" utilizziamo la metafisicamente meno impegnativa locuzione di "proprieta che individua un genere o una classificazione naturale" , ci accorgiamo imme­diatamente che larga parte delle classificazioni tasso­nomiche della biologia, da Linnea in poi, della chi­mica, dalla tavola degli elementi di Mendelejev in poi, della mineralogia, o della fisica delle particelle, non si basano su distinzioni puramente arbitrarie o convenzionali. Inoltre, tali sistemi tassonomici, come afferma Harre,

[ . . . ] sono gerarchici: ovvero, gli individui sono raccol­ti sotto specie, le specie nei generi, i generi sotto fami­glie, e cosi via. Ciascuna scienza ha il suo peculiare sistema di gerarchie di tipi interrelati.39

Il ruolo delle leggi di natura, secondo il necessitari­smo cosl reinterpretato, e proprio quello di studiare le relazioni esistenti tra tali tipi ovvero, la lora struttu­ra. Da questa punto di vista, la nozione di "proprieta che classifica in modo naturale" - alternativamente, di "proprieta essenziale" , o, nel linguaggio di Locke, che e un filosofo assai importante in questa tradizio­ne, di "essenza reale" - diventa utile per caratterizza­re e distinguere i tipi naturali che sono oggetto del­l'indagine scientifica. Un genere naturale, o tipo, e, infatti, definito dalle proprieta che lo identificano -causali o meno che siano, occorrenti o disposizionali che siano - cosicche le leggi di natura sono relazioni

39 R. Harre, Laws o/ nature, cit., p. 1 1 .

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4. Che cos?: una legge di natura?

tra tipi, «ritagli o pezzi di gerarchie di tipi».40 La nostra segnalazione dell'importanza di con­

cetti classificatori basati su leggi che individuano caratteristiche distintive dei generi naturali puo lasciare ancora tiepido il lettore, anche indipenden­temente da controverse teorie del progresso scienti­fico presentate nel primo capitola, e in base aile quali i concetti classificatori sono prima o poi desti­nati a essere rimpiazzati da quelli quantitativi. In effetti, un altro argomento a volte adoperato contro la nozione di genere naturale, e che essa appare par­ticolarmente sospetta nell' ambito della biologia, che al massimo ci consente d'individuare delle specie sulla base del grado di somiglianza del loro genotipo. Inoltre, la variazione genetica non e in genere vista come la deviazione da un' essenza o da una proprieta condivisa da tutti i membri di una specie, ma come una ricombinazione casuale del patrimonio genetico di ogni singolo animale e dei suoi discendenti.41 Tuttavia, malgrado la somiglianza sia un concetto vago - cio che comporta la vaghezza della distinzio­ne tra specie biologiche - il DNA di un'ape e suffi­cientemente distinto da quello di una rosa per per­metterci di distinguere nettamente due generi natu­rali, ovvero di trattare due specie come se fossero due individui. II punto e: le proprieta sulla base delle quali li distinguiamo sono convenzionali?

Considerato che sui concetto di legge nelle scien­ze cosiddette "speciali" (biologia, psicologia, socio­logia ecc.) torneremo nel prossimo capitola, in que­sta sara sufficiente sottolineare che 1' ostracism a nei

40 Ivi, pp. 48-49. 4 1 A. Rosenberg, Why Does the Nature of Species Matter?, in "Biology and Philosophy", II, 1987, pp. 195 ss.

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Il software dell'universo

confronti di leggi biologiche valide solo specie-spe­cificamente e per noi ingiustificato. Se - come abbiamo sostenuto nel capitola scorso - l'universa­lita (nei suoi vari sensi) non e un criteria necessaria per la nomicita, non rimane alcuna obiezione al con­siderare leggi di basso livello di universalita come genuine. Ci riferiamo a generalizzazioni del tipo "tutte le uova dei pettirossi sono di colore verde­azzurro" , o "tutti i gabbiani vivono in prossimita del mare ", che potendo essere considerate leggi a tutti gli effetti,42 ci permettono di trovare criteri distintivi non convenzionali tra specie diverse. Tali criteri ven­gono poi, a loro volta, spiegati radicandoli nella struttura genetica condivisa dalle varie specie. Fattori come la fertilita con un membra della stessa specie puntano nella stessa direzione: poiche esisto­no spiegazioni causali non ccinvenzionali che fanno riferimenti a meccanismi nascosti che generano le differenze tra le specie, le proprieta che specificano tali differenze non possono essere ridotte, nominali­sticamente, a pure classificazioni verbali. La biolo­gia, in altre parole, sembra confortare l'idea che i generi naturali esistano e che siano tra loro distinti in virtu di una storia evolutiva sintetizzata nella microstruttura molecolare del DNA, una struttura che e comunque oggettiva, nel senso che e caratte­rizzata da proprieta chimico-fisiche indipendenti da classificazioni antropomorfiche.

L'obiezione a questa tesi e prevedibile: la variabi­lita individuale all'interno di una specie (i pettirossi potrebbero cominciare a deporre uova rosa per una

42 Si veda M. Lange, Are there Natural Laws Concerning Particular Biological Species?, in "Journal of Philosophy", LXLII, 1995, pp. 430-45 1 , che difende un'opinione simile.

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4. Che cos?: una legge di natura?

mutazione genetica e i corvi potrebbero cambiare il loro piumaggio) rende instabili leggi del tipo "tutti i corvi sono neri" : queste ultime sono un mero pro­datto storico e accidentale, che percio non puo esse­re chiamato legge.

Indubbiamente, 1' alta variabilitd individuate che caratterizza i viventi fa si che 1' essenza di ogni essere umano sia data, per esempio, dal suo irripetibile patrimonio genetico, diverso da quello di un altro membro della specie. L' essenza di ogni persona e ovviamente diversa anche da quella che avrebbe potuto essere se un altro spermatozoa e lo stesso ovulo si fossero incontrati (a meno che, naturalmen­te, non si diano doni perfetti, che condividerebbero la stessa essenza di ogni individuo) . Tuttavia, tale constatazione non implica che non esista un insieme di proprieta microstrutturali caratterizzanti ogni specie (un"'essenza" pili o meno temporanea) e addirittura ogni individuo. Per esempio, ogni essere vivente e contraddistinto in modo unico e irripetibi­le dal suo corredo genetico e questa constatazione e sufficiente ai nostri scopi: esistono proprieta non convenzionali che caratterizzano in modo essenziale (owero, individuano) le specie biologiche e ogni sin­golo individuo.

Persino in economia o in sociologia, certi tipi ideali,43 come "l'economia di mercato" o "l'economia socialista " , o la " societa di massa" , sono descritti sulla base delle caratteristiche essenziali che ne fanno cio che sono, in modo che anche nelle scienze umane il concetto di "essenza", visto in questa forma classi­ficatoria, non appare affatto illegittimo. Per esempio,

43 Per la nozione di tipo ideale, si rimanda a M. Weber, op. cit.

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II software dell'universo

un' economia di mercato che non possegga alcuna forma di concorrenza o che vieti ai singoli individui d'intraprendere attivita commerciali o industriali, non sarebbe considerata tale, cia che implica che queste caratteristiche individuano in modo essenziale il tipo ideale " economia di mercato" . Da questo punto di vista, e tuttavia opportuno segnalare una differenza rilevante tra scienze sociali e scienze natu­rali, dato che nelle prime, ovviamente, l'intervento di fattori convenzionali nel disegnare le caratteristiche dei tipi ideali e decisivo, essendo tutti i concetti sociali un prodotto umano e dunque, in qualche senso da chiarire ulteriormente, "non naturale" .44

Fatta questa concessione, le difficolta sollevate dalla prima obiezione non sembrano affatto insor­montabili, e suggeriscono anzi qualche considerazio­ne storico-filosofica pili generale. L' abbandono nel­l' epoca modern a delle considerazioni mod ali di tra­dizione aristotelica come una zavorra filosofica di cui liberarsi, ha coinciso con 1' avvento della scienza galileiana, che in parte dovette affermarsi contro la filosofia naturale e la metafisica di Aristotele. Tuttavia, invocando una tipica espressione inglese, i progressi della logica modale nella seconda meta del Novecento rendono l'atteggiamento antimodale di alcuni filosofi dell' epoca moderna simile a quello di coloro che gettano via il bambino con l'acqua sporca.

4.4.2 Ancora sul problema della sopravvenienza delle leggi

La seconda obiezione, concernente la sopravvenien­za delle leggi sulle proprieta, sembra invece pili

44 Affermare questo non comporta negare i condiziona­menti biologico-evolutivi sulle strutture sociali.

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4. Che cos?: una Iegge di natura?

seria, rna tocca soltanto le concezioni antiriduzioni­ste sulle leggi, e non la plausibilita di una concezio­ne delle leggi di natura fondata sulla nozione di potere causale o di capacita come primitiva . Tanto per illustrate il problema con un esempio, e difficile pens are che il campo elettromagnetico abbia un' es­senza indipendente dalle equazioni di Maxwell, ovvero dalle leggi che ne caratterizzano le proprietii. Tuttavia, se si accetta questo punto di vista, come fanno Bigelow e altri, si arriva al seguente dilemma. 0 si accetta la tesi che le leggi abbiano una pura fun­zione epistemica, ovvero che servano a scoprire le essenze delle entita o dei sistemi fisici, comunque esi­stenti indipendentemente da esse, oppure si abban­dona la tesi della sopravvenienza delle leggi di natura sulle pro prieta essenziali dei fenomeni. Se "1' essenza" del campo elettromagnetico classico, inteso come entita fisica, non e specificabile indipendentemente dalle equazioni di Maxwell, in che senso si puo soste­nere che le leggi traggono la loro necessita dalle pro­prieta degli oggetti e non viceversa?

Sembrerebbe allora sensato sostenere che in certi casi le leggi, piu che permetterne la scoperta, de/ini­scano le proprieta essenziali di un'entita fisica, cio che, tuttavia, non esclude che le leggi stesse dipen­dano da quelle proprieta. Le interazioni chimiche, come quelle tra particelle elementari, chiaramente dipendono dalla natura degli dementi chimici e delle particelle che intervengono in esse . Analogamente, le equazioni di Maxwell dipendono dalle proprieta del campo elettromagnetico, e non viceversa.

Questa tesi sembrerebbe mettere in difficolta la teoria che sostiene la non riducibilita delle leggi illu­strata nel capitola precedente, rna si noti che le

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Il software dell' universo

entita che le leggi intervengono a legare e strutturare non sono descrivibili da concetti non modali, come quello di evento o fatto locale, che coincide con "proprieta esemplificata in una certa regione spazio­temporale da una sostanza o direttamente da una regione spaziotemporale" . Il concetto di "proprieta causale" o di disposizione sono ovviamente modali essi stessi, cio che conferma, da un altro punta di vista, la tesi dell' irriducibilita dell' aspetto nomico e modale del nostro universo concettuale.

Il ruolo dialettico tra leggi e proprieta Oe leggi dipendono dalle pro prieta dei carpi ma queste ulti­me, spesso, non possono essere individuate senza trovare le prime) sembra ben illustrato da un punta molto importante dell'articolo di Bigelow, Ellis e Lierse, in cui il debito della lora concezione con la tesi "disposizionaliste" di Harre e Madden appare particolarmente chiaro,45 ed e infatti esplicitamente riconosciuto:

Noi sosteniamo che tra le proprieta essenziali di una proprietd vi sia la propensione o disposizione di qua­lunque cosa la possieda a mostrare un certo tipo di comportamento in un particolare contesto. Cio che la scienza osserva e codifica sono le manifestazioni di queste disposizioni.46

45 Si veda R. Harre, E. Madden, op. cit. Per una valuta­zione critica del disposizionalismo nella forma di Harre e Madden, si veda C. Pizzi, Un attacco neolockeano al rego­larismo causale: "Causal Powers" di R. Harre e E. Madden, in "Bollettino del Dip artimento di Filosofia dell'Universita della Calabria" , III, 1981 -82 , pp. 63-72. Ringraziamo Pizzi per averci fatto pervenire questa testa. 46 ]. Bigelow, B. Ellis, C. Lierse, op. cit. , p. 378.

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4. Che cos?: una legge di natura?

4.5 Leggi di natura, disposizioni e generi naturali

Nel brano citato, le disposizioni - probabilistiche o meno che siano - sono definite come proprieta del secondo ordine o proprietii di proprieta, e sono il vero e proprio "oggetto" di cui parlano le leggi di natura. Questa tesi puo apparire poco plausibile: quando attribuiamo all'aspirina la proprieta disposi­zionale di scacciare o lenire il mal di testa, sembria­mo attribuire tale capacita direttamente all' aspirina intesa come individuo, e non aile sue proprietii. I teorici dei poteri causali preferiscono invece attri­buirla all'aspirina "in quanto aspirina" : come affer­ma la Cartwright «la pro prieta di essere un' aspirina porta con se la capacita di curare il mal di testa»47 e, in questo caso, le disposizioni verrebbero a caratte­rizzare tipi e non entitii singole. In realta, I' opposi­zione che stiamo illustrando e solo apparente: noi partiamo dalla constatazione dei poteri causali di entitii singole, per 1 ' attribuzione dei quali non abbia­mo bisogno di far alcun riferimento a leggi. Queste ultime pero, si riferiscono necessariamente a classi di entita o tipi, che sono ottenute generalizzando e quantificando universalmente, sia sulle singole pro­prieta causali, sia sulle circostanze che permettono la loro manifestazione.48

Per comprendere un concetto poco familiare, e spesso opportuno individuate il suo contrario: nel nostro caso, il contrario di "proprieta disposiziona­le " e proprieta occorrente o mani/esta . Conviene

47 N. Cartwright, Nature's capacities . . . , cit. , p. 141. 48 Questa tesi e emersa durante una conversazione con Jan Faye.

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chiarire subito che la distinzione tra proprieta occorrenti e disposizionali e controversa: alcuni (come Karl Popper), sostengono che «[ . . . ] tutte le proprieta fisiche [ . . . ] so no disposizionali», 49 altri (Sidney Shoemaker) che le disposizioni sono effetti collaterali del modo in cui funziona una lingua natu­rale rna che nel mondo esse non esistono,50 e altri ancora (Rudolf Carnap) che disposizioni come "fra­gile" sono «termini intermedi tra i termini osservati­vi e i termini teorici».51 Tale incertezza riflette la nostra ignoranza parziale su che cosa siano, effettivamente, le proprieta dispo­sizionali di un' entita, e su come si distinguano da quelle occorrenti.

Per fortuna, ai nostri scopi non e necessaria chiarire preliminarmente queste difficolta, rna basta qualche esempio di proprietii disposizionale: un telefono funzionante ha la proprieta disposizionale di squillare, rna la manifestazione di tale capacitd (la proprieta occorrente che le corrisponde) dipende da una chiamata in arrivo. Tipicamente quindi, le disposizioni sono quelle proprieta degli oggetti che si manifestano in seguito a un'interazione con un'al­tra entitii o processo, che le fa diventare occorrenti.

49 K .R. Popper, The Prop en sity Interpretation o/ Probability and the Quantum Theory, in S . Korner (ed.), Observation and Interpretation in the Philosophy o/ Physics, Dover, New York 1962, p. 70. 50 S . Shoemaker, Identity, Cause, and Mind: Philosophical Essays, Cambridge University Press, Cambridge 1984, pp. 210 ss. 51 R. Carnap, Th e Methodological Character o/ Theoretical Concepts, in H. Feigl (ed.) , Minnesota Studies in the Philosophy o/ Science, I, University of Minnesota Press, Minneapolis 1964, p. 62.

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E percio essenziale tenere notare che le disposizioni codi/icano in modo sintetico in/ormazioni sul tessuto relazionale del mondo dell' esperienza e della scienza. Per esempio, quando diciamo che un oggetto e ela­stica o rigido, fragile o resistente1 pesante o leggero, permeabile o impermeabile, ignzfugo o in/iammabile, gli attribuiamo sempre proprieta disposizionali, dato che l'oggetto le possiede anche quando non e in grado di manz/estarle, o perche nessuno lo sta mani­polando, 0 perche e lontano dall' acqua, dal fuoco, ecc. Analogamente, proprieta disposizionali tipiche nella scienza, come la solubilitii di una sostanza o la conduttivita di un filo metallico, sono possedute dallo zucchero o da un conduttore anche quando, rispettivamente, lo zucchero non e ancora sciolto e il filo non e attraversato da Corrente elettrica.

In genere, le disposizioni sono considerate tutte dipendenti o riducibili alia struttura microscopica ( "natura" ) degli enti che le manifestano. La solubi­lita dello zucchero e la conduttivita dei metalli, rispettivamente, dipendono da proprieta occorrenti di queste entita, che sono definite essenziali perche coinvolte nella definizione dei tipi corrispondenti. Analogamente, la fragilita del vetro, sua disposizione macroscopica, dipende dal legame molecolare che caratterizza in modo essenziale il vetro a livello microscopico. Malgrado l 'abbondanza di termini disposizionali nel linguaggio naturale e scientifico, tali considerazioni incidentalmente inostrano che la proposta di Popper sopra menzionata non e accetta­bile: non tutte le proprieta fisiche sana disposizionali.

II legame concettuale tra disposizioni, proprieta causali caratterizzanti dovute a meccanismi nascosti o non osservabili, e leggi di natura, dovrebbe essere a questo punto chiaro. Tuttavia, dobbiamo far pre-

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sente che, in alcuni casi, dati dalle propensioni irri­ducibilmente probabilistiche manifestate da singole entita quantistiche, le disposizioni potrebbero essere irriducibili a proprieta occorrenti. La tesi recentemen­te difesa da Earman sulla riducibilita delle disposi­zioni a proprieta occorrenti va dunque accolta cum grana salis,52 e valutata sia alla luce della meccanica quantistica sia dell'interpretazione propensionale del calcolo della probabilita, nella discussione delle quali in questa sede non possiamo entrare.

A parte il problema della riducibilita delle dispo­sizioni a proprieta occorrenti - che e indubbiamente importante - e altresl opportuno sottolineare che ridurre non implica necessariamente eliminare. La fragilita di un pezzo di vetro, considerata a livello macroscopico, non dev' essere quindi considerata una proprieta irreale solo perche coincide con, o e identica a, una certa struttura molecolare a livello microscopico. Analogamente, la temperatura di un gas perfetto, considerata come una sua proprieta macroscopica, non e stata eliminata o dichiarata una pseudo-proprieta solo perche si e scoperto che essa e identica 0 riducibile alla velocita molecolare media del gas. Dicendo che la fragilita e identica a una certa struttura molecolare, implichiamo che essa esi­ste, al modo delle altre proprieta, cosicche se esisto­no le proprieta, problema sul quale non vogliamo entrare, allora esistono anche le disposizioni.

52 Si veda ]. Earman, op. cit. , p. 95 .

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4. Che cos'e una legge di natura?

4.6 II disposizionalismo come soluzione al problema delle leggi di natura?

A questo punto possiamo riassumere la nostra ver­sione della tesi necessitarista - che considera le disposizioni e le proprieta causali che contraddistin­guono i generi naturali come fondamentali per la costruzione delle leggi che li descrivono - afferman­do che, con le precisazioni viste, essa e una plausibi­le ricostruzione di tutte le varie esigenze concettuali che abbiamo rilevato sinora, e che ora assai breve­mente ricapitoliamo allo scopo di mettere ulterior­mente alia prova l'ipotesi qui avanzata.

Le disposizioni, per definizione, non si manife­stano sempre, ma solo in circostanze appropriate (specificate nella clausola ceteris paribus) , nel senso che, per esempio, il raggio rifratto segue la traietto­ria indicata dalla legge di Snellius solo se il mezzo di rifrazione e isotropo. Owero, il potere causale che permette la verifica della legge in questione e mani­festato solo da mezzi otticamente isotropi, cio che da conto della clausola in questione. Analogamente, due corpi si attraggono esattamente secondo la legge di Newton, owero manifestano la loro disposizione a subire interazioni gravitazionali del tipo descritto dalla legge in questione, solo se non sono elettrica­mente carichi, se non sono sotto !'influenza gravita­zionale di altri corpi ecc.; in caso contrario, cloven­done descrivere le modalita di attrazione di quei due corpi, occorrera tener conto di altre disposizioni, che forniscono, appunto, le circostanze ceteris pari­bus.

Le disposizioni sono presenti anche quando non si manifestano, e questo spiega perche le leggi si rife­riscono anche a situazioni possibili, reggendo, come

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le leggi che le riguardano, contro/attuali. Poiche un fiammifero preserva la sua capacita di accendersi anche quando e temporaneamente umido, cio impli­ca il controfattuale che, a parita di condizioni, se non /osse umido si accenderebbe. Analogamente, un corpo e dotato d'inerzia anche quando non resiste ad alcuna accelerazione: cio implica che se fosse accelerato, resisterebbe alia forza in modo propor­zionale alia sua massa. II carattere di controfattualita delle leggi e dunque assicurato.

Anche il carattere idealizzato delle leggi - per il quale queste ultime sono vere solo nel modello e nella realta si applicano solo in modo approssima­to - viene salvato dall'introduzione di disposizioni nella nostra ontologia. Per esempio, la Terra possie­de la proprieta di essere un sistema quasi inerziale perche, nelle particolari circostanze del suo mota attorno al sole, in brevi tratti della sua orbita, ha la tendenza oggettiva a resistere aile accelerazioni in misura assai maggiore di un sasso lanciato in aria dal braccio umano. Le disposizioni, infatti, ammettono gradi, dato che, se sono presenti altre disposizioni, esse possono o manifestarsi non completamente, o non manifestarsi affatto: se due corpi si respingono perche entrambi carichi positivamente, rna si attrag­gono anche in base alia legge di Newton, la forza risultante sara effetto delle due disposizioni opposte dei corpi. Inoltre, come ampiamente argomentato dalla Cartwright, i gradi delle disposizioni in certe circostanze possono essere precisamente misurati da correlazioni statistiche, che valgono in modo tempo­ralmente stabile perche si riferiscono proprio a quel­le capacita che esse permettono di scoprire.

Malgrado il loro carattere idealizzato e valido solo ceteris paribus, le leggi non sono mere conven-

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4. Che cos?: una Iegge di natura?

zioni prive di contenuto empirico, dato che si riferi­scono al mondo dei fenomeni per approssimazione, ovvero riproducendo le strutture dell'esperienza attraverso isomorfismi parziali dettati dal modello matematico. Tali isomorfismi provengono sia dalla misurazione dei dati nel senso visto nel secondo capitolo, sia dalle proprieta reali dei corpi (che includono le loro capacita) , idealizzate in modo opportuno dai modelli. Un pendolo reale "assomi­glia" a quello di Galileo, malgrado il modello mate­matico che soddisfa la legge dell'isocronismo astrag­ga dall' attrito e dal peso del filo, idealizzando la sua inestensibilita. In altre parole, il modello attribuisce al pen dolo ideale ( che e "I' oggetto" che soddisfa a pieno la legge di Galileo) alcune caratteristiche che i pendoli reali possiedono, rna non nel modo idealiz­zato che e proprio del modello. Lo stesso dicasi per la legge dei gas perfetti, che idealizza le proprieta dei gas reali rna astrae dalle forze intermolecolari, mentre quella di van der Waals non astrae da que­st'ultime rna le idealizza.

Quando aile relazioni nomiche aggiungiamo le particolari circostanze di applicazione, identifichia­mo le proprieta dei corpi sulla base delle loro rela­zioni causali, e attribuiamo poteri causali ai singoli eventi: la relazione causale e percepita nei singoli casi ( "il forno scotta" ) ed e epistemicamente e onto­logicamente prioritaria rispetto alle leggi causali, poiche queste vengono ottenute quantificando sia sulle proprieta singole sia sulle circostanze causali. Le leggi non-causali (o di coesistenza) sono invece ottenute considerando la co-variazione funzionale di proprieta o disposizioni non causali dei corpi.

Per quanto riguarda poi il carattere di necessita delle leggi, abbiamo visto come esso sia ereditato o

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dalle proprieta caratterizzanti un genere naturale o un tipo, o dai suoi poteri causali. Poiche, nell' ambi­to della causalita deterministica, e possibile concepi­re le cause come necessarie e sufficienti per 1' effetto, la legge causale corrispondente eredita tale neces­sita. Nelle leggi statistiche, le proprieta sono pro­pensioni esemplificate da singoli corpi, pili o meno irriducibili: un singolo dado non truccato, se lancia­to, ha una propensione a cadere su una delle facce con una probabilita di 1/6.

Pili complesso e invece il rapporto tra la conce­zione disposizionale delle leggi e la nozione di verita. E chiaro che, nella misura in cui le leggi sono vere solo in certi contesti sperimentali, e anche in questi si applicano in modo approssimato, la nozio­ne di verita dovrebbe anch' essa val ere in modo approssimato. Ma attribuire un grado alla verita, parlando di verosimilitudine, ci sembra tradire il significato della nozione stessa di verita, che, almeno intuitivamente, non ammette gradi. In questi casi, preferiamo esprimerci dicendo che leggi di questo tipo, essendo definizioni del modello in cui inter­vengono, sono, come quest'ultimo, pili o meno ade­guate allo scopo descrittivo, ovvero pili o meno e//i­caci nel compito predittivo ecc . : una mappa non e pili o meno vera di un' altra.53

Diverso e invece il caso di enunciati che espri­mono i poteri causali dei singoli oggetti o quello dei loro tipi: "1' aspirina lenisce il mal di testa" e sicura­mente un enunciato che si caratterizza come vero o falso, essenzialmente perche leggi "fenomenologi­che" che, come questa, abbiano un livello di genera-

53 Dobbiamo quest'efficace metafora a Jan Faye.

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lita sufficientemente "basso", non comportano idea­lizzazioni o astrazioni.

Per quanto riguarda invece le leggi "fondamen­tali" , che intervengono a definire modelli matemati­ci dei fenomeni, e stato fatto notare che esse non possono "mentire" , perche non si puo specificate il modello fisico esatto e completo della realta rispetto al quale mentirebbero.54 Pur condividendo questa osservazione, riteniamo che esista un senso in cui le leggi "mentono" , dato dalla discrepanza descrittiva tra il modello che le comprende e la realtil fenome­nica alia quale sono applicate nel loro dominio di validitil. Anche in quest'ultimo caso, pero, non ha senso provare a precisare quanta mentono, ovvero in quale misura sono approssimazioni della realtd feno­menica, malgrado varie leggi possano utilizzare spe­cificazioni di condizioni iniziali che sono ordinabili come "piu o meno accurate " .

S e proprio si vuol parlare di verita approssimata delle leggi, il problema centrale da risolvere e il seguente: o si puo definire un qualche senso preciso che ci permetta di dire quanta le leggi mentono, introducendo una metrica che specifichi quanto le leggi sono approssimate rispetto ai dati in nostro possesso, oppure parlare di gradi di approssimazio­ne misurabili non ha alcun senso. Nella misura in cui i dati in nostro possesso sono comunque frutto di misurazioni, e dunque corrispondono in pratica a intervalli di numeri reali piu o meno ampi a causa degli errori, il tentativo di misurare attraverso le pre­dizioni la distanza precisa tra modelli esatti dei dati e assunzioni delle leggi, e condannato al fallimento.

----�- ---------- ·------54 Si veda la posizione di M.L. Dalla Chiara e G. Toraldo di Francia, op. cit. , p. 92.

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In sintesi, poiche le teorie scientifiche coincidono con modelli nel duplice senso visto sopra, riteniamo piu corretto affermare che le leggifondamentali non sana ne vere ne false, ma piit 0 meno adeguate a descrivere i fenomeni: mentre l' adeguatezza ammette gradz; anche se non misurabili precisamente, la verita no.

Un' obiezione che spesso si muove all'introduzio­ne di disposizioni nel linguaggio scientifico ha a che fare con la nozione di spiegazione scientifica. L'idea che la fragilita spieghi perche un vetro si e rotto 0 che la gelosia - che e la disposizione a interpretare il comportamento di altre persone come una minaccia per la nostra sicurezza affettiva - spieghi certi com­portamenti, sembra implicate che le disposizioni siano, in quanto poteri causali particolari, dotate anche di capacita esplicativa. Sulla scorta di quanto detto sopra a proposito della riducibilita delle disposizioni a proprieta occorrenti, si deve ovvia­mente riconoscere che spiegare perche un vetro si e rotto dicendo che ha la tendenza a rompersi (ovve­ro, e fragile) non e particolarmente illuminante, a meno che, naturalmente, non si citino le propriera causali nascoste, alle quali la fragilita si puo ridurre, e che caratterizzano le forze molecolari del vetro.

Passiamo infine al requisito piu importante che una teoria filosofica delle leggi di natura deve soddi­sfare, 1' adeguatezza alla pratica e ai fini generali della scienza. Da questo punto di vista, ci limiteremo a tre considerazioni, ognuna delle quali sembra segnare un punto a favore dell'analisi qui proposta.55 La prima e che le disposizioni sono essenzialmente rela-

55 E stato fatto notare che le disposizioni richiedono un' ontologia di individui concepiti come sostanze, che dopo la relativita non sarebbe piu sostenibile, visto che quest'ultima favorirebbe un'ontologia di eventi. In realta,

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4. Che cos'e una legge di natura?

zioni tra proprieta, in accordo con il fatto che la conoscenza delle entita naturali permessa dalla scienza e essenzialmente relazionale e strutturale. Tale affer­mazione si giustifica non solo in quanto il significato dei termini teorici e definito implicitamente dal con­testa della teoria in cui compaiono/6 rna anche per­che, come sappiamo dal secondo capitolo, il linguag­gio matematico che usiamo per parlare delle entita teoriche fornisce essenzialmente informazioni sul tes­suto di relazioni che tali entita esemplificano. C'e poi da tener presente che il contesto sperimentale ci per­mette sempre e solo di misurare le proprietii delle entita grazie alla loro interazione con 1' apparato di misura, un'interazione che - nel caso della meccanica quantistica - si presenta addirittura come essenziale per caratterizzare le proprieta misurate, nel senso che la loro identificazione ne dipende.

Questo ci porta al secondo argomento a favore dell'importanza delle disposizioni nel discorso scien­tifico attuale, che coinvolge alcune caratteristiche non particolarmente controverse dell' ontologia della teoria fondamentale della struttura della materia a livello atomico e subatomico, che e la meccanica quantistica. Il fatto che l'ontologia di quest'ultima teoria si presenti come essenzialmente disposizionale

il concetto fondamentale della fisica contemporanea e quello di campo, e quest' ultimo ammette un'interpretazio­ne in termini di "sostanza dotata di disposizioni " . Casomai, e il concetto di evento localizzato che e entrato in crisi profonda, a seguito della scoperta della non-sepa­rabilita quantistica. 56 Ricordiamo che i termini teorici tradizionalmente si riferiscono a pezzi del mondo non osservabili direttamen­te, come "buchi neri", "galassie esterne", "atomi", "proto­ni ", "geni, "batteri" e "massa totale di denaro circolante".

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conferma la scelta di una teoria delle leggi che si fondi sulla nozione di potere causale o di capacitiL La concezione per la quale le proprieta delle microentita dipendono dal contesto di misura ci sembra il risultato convergente di una serie d'inter­pretazioni della meccanica quantistica tra loro assai lontane, come possono esserlo letture strumentalisti­che e realistiche di una stessa teoria scientifica.

Il contestualismo e infatti una conseguenza necessaria di un'interpretazione realistica della mec­canica quantistica, a causa di un importante teorema matematico dovuto a S. Kochen ed E. Specker, in base al quale un sistema fisico quantistico puo avere proprieta (grandezze) simultaneamente definite solo se esse dipendono l'una dall'altra e dal contesto di misura.57 A parte la debolezza o quantomeno la peculiarita di questo "realismo contestuale" , 1' am­mettere che le proprieta delle microentita possano essere definite solo in modo relazionale implica affermare che tali propriet a , se definite, sono comunque solo disposizionali. Non a caso, lo stesso Werner Heisenberg interpret(\ il mondo quantistico in termini di potentiae aristoteliche.58

Sorprendentemente, anche nel caso di un antirea­lismo sulle proprieta microscopiche a la Bohr - il quale grosso modo sosteneva che nulla si puo affer­mare di un sistema fisico quantistico indipendente-

57 Per una presentazione accessibile di questo teorema e del suo significato, si veda M. Redhead, Incompleteness Nonlocality and Realism, Clarendon Press, Oxford 1989, cap. 5 . 58 W. Heisenberg, Physics and Philosophy: the Revolution in Modern Science, George Allen & Unwin, London 1959, trad. it. Fisica e Filoso/ia, il Saggiatore, Milano 197 4, pp. 53 e 67 .

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4. Che cos?: una legge di natura?

mente dai risultati di misura, senza tuttavia negate un' esistenza indipendente al sistema stesso59 - l'iden­tita di una sistema quantistico dipende in modo essen­ziale dal contesto sperimentale e dagli apparati classi­camente descritti con i quali le vogliamo misurare.

Che piaccia o meno, la meccanica quantistica come la conosciamo oggi si riferisce a un insieme di disposizioni irriducibilmente probabilistiche - pro­pensioni intese in senso non antropomorfo o episte­mico - che legano il mondo microscopico agli stru­menti macroscopici. E anche l'interpretazione alter­nativa della teoria fornita da David Bohm, che riaf­ferma il determinismo rna che per il momento non ha ricevuto supporto sperimentale diretto, non sfug­ge al realismo contestuale di cui sopra.

Per arrivare infine alla terza considerazione, una teoria delle leggi basata su proprieta disposizionali intese come relazioni descritte in modo isomorfico da modelli matematici, funziona anche come tesi generale sulla conoscenza scientifica, nella misura in cui essa si puo appropriate di un realismo di tipo strutturale. Tale forma di realismo scientifico, da distinguersi in prima approssimazione sia da quello sulle entita, sia da quello sulle teorie e sulle leggi, che scommette sulla loro verita, afferma che da A.-J. Fresnel a Einstein, nelle mutazioni teoriche successi­ve, cio che si mantiene invariata e la struttura mate­matica della teoria ondulatoria della luce, con le relative equazioni che stabiliscono relazioni tra fe­nomeni, mentre si abbandona la natura sostanziale dell' etere (in un certo senso, visto che il campo elet-

59 Si veda J. Faye, Niels Bohr: his Heritage and Legacy, Kluwer, Dordrecht 1991.

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tromagnetico in qualche senso svolge le sue funzio­ni) ! 6o

Ecco un' eloquente difesa di questo pun to di vista "strutturalista" sulla conoscenza scientifica:

[ . . . ] ispirandosi alla tradizione filosofica antic a, credo che la storia della scienza abbia mostrato che su una certa profonda questione, Aristotele aveva torto e Platone ragione - almena in una lettura che io preferi­sco - e cioe: la scienza si avvicina di piu alla compren­sione del reale, non nel suo parlare di "sostanze" e tipi affini, ma nel suo parlare di "forme" che i fenomeni imitano (per "forme" leggi "strutture teoriche" ; per "imitare" leggi " sono rappresentate da") .61

A parte il fatto che con il linguaggio delle disposizio­ni si riporterebbe in auge anche una componente della tradizione aristotelica, crediamo che non si potrebbe sintetizzare in modo migliore 1' approccio alla scienza e alle sue leggi che intendiamo difendere.

60 Per i1 realismo strutturale, s i vedano J. Worrall, Structural realism, in "Dialectica" , XLIII, 1989, pp. 99- 124; S. Psillos, Is Structural Realism the best of both Worlds? " , in "Dialectica", 1995, XLIX, pp. 15-47 ; J Ladyman, What is Structural Realism, in " Studies in History and Philosophy of Science" , XXIX, 1 998, pp. 409-424; S . French, Models and Mathematics in Physics: the Role of Group Theory, in J . Butterfield, C. Pagonis (eds), From Physics to Philosophy, Cambridge University Press, Cambridge 1999. 61 H. S tein, Yes, but . . . Some Skeptical Remarks on Realism and Antirealism, in "Dialectica" , 1989, XLIII,

p. 52.

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5 . Le leggi nelle scienze speciali: biologia, psicologia, scienze sociali

Per lungo tempo la fisica e stata ritenuta l'unica scienza caratterizzata dalla presenza di leggi rigoro­se, universali ed esprimibili in forma matematica. In quest' attica, tutte le altre scienze empiriche -soprattutto la biologia e psicologia - in tanto pote­vano contenere leggi in quanta erano descrivibili con il linguaggio della fisica: la bio/isica e la psico/isi­ca erano considerate le uniche isole di "nomicita" in un oceano di generalizzazioni accidentali.-

Lo scopo fondamentale di questa capitola e mostrare che, sulla base della teoria delle leggi sopra illustrata, molte delle barriere tradizionalmente eret­te tra la struttura metodologica della fisica e quella delle scienze speciali non hanna alcuna ragione d' e­sistere, e dovrebbero quindi essere abbattute. In effetti, dopa aver modificato l'interpretazione usual­mente associata alle leggi fisiche, e aver chiarito che anche queste ultime valgono solo ceteris paribus, che non sono necessariamente spazio-temporalmente universali, e che contengono inevitabili idealizzazio­ni e approssimazioni, molte delle tradizionali obie­zioni contra 1' esistenza di leggi nell' ambito delle scienze speciali vengono a cadere.

Cominceremo discutendo della natura delle leggi biologiche, mostrando che la gia nota distinzione tra

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leggi di successione e leggi di coesistenza trovi una sorprendente e interessante applicazione anche in biologia. Passeremo poi a criticare l'influente argo­menta contro l 'esistenza di leggi psico/isiche, dovuto a Donald Davidson, che presuppone proprio quella distinzione netta tra leggi fisiche " rigorose" e gene­ralizzazioni ceteris paribus sulla cui insostenibilita ci siamo gia soffermati. Concluderemo infine con alcu­ne brevi considerazioni dedicate alle leggi economi­co-sociali, che hanno soprattutto lo scopo di servire da stimolo a future e piu approfondite ricerche sui loro rapporti con le leggi fisiche. Dando per sconta­to che siano infondate le tradizionali preoccupazioni metodologiche dovute alla dipendenza delle leggi economiche e sociali dal contesto storico e da siste­mi di valori soggettivi, ci limiteremo a mostrare che l'interpretazione disposizionalista sopra introdotta puo dar conto anche della natura delle leggi econo­mico-sociali.

5 . 1 La selezione naturale, i modelli e i fenomeni d'invarianza di scala dei viventi

Nella ricerca di leggi biologiche, si e tradizionalmen­te guardato alla chimica come a un ambito privile­giato. La chimica, infatti, e in genere considerata -nella sua interezza e non solo per quanto riguarda Ja chimica fisica - una scienza nomotetica, ovvero . caratterizzata dalla ricerca di leggi. Orbene, la ridu­cibilita delle leggi della genetica classica (le leggi di Mendel apprese a scuola) a quelle della biologia molecolare (il meccanismo di replicazione del DNA) , e poi di queste ultime a quelle chimiche, s'inserisce nel dibattito generale sulla possibilita di ridurre le

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5. Le leggi nelle scienze speciali

scienze della vita a quelle chimico-fisiche. In un' otti­ca riduzionisica, la possibilitd di leggi biologiche sarebbe in ultima analisi dipendente da una lora ridu­cibilitd a leggi che regolano le interazioni elettriche e chimiche tra sistemi /isici. Non volendo affrontare le complesse discussioni sulle prospettive di successo del riduzionismo fisicalista rispetto aile scienze della vita,' in questa sede riteniamo piu opportuno esami­nare alcune questioni metodologiche assai meno esplorate, sollevate sia dal paradigma evoluzionistico darwiniano, sia da recentissimi sviluppi delle scienze della complessita.

Da Charles Darwin in poi, la biologia e stata spesso considerata una scienza storica a tutti gli effetti, e dunque contraddistinta da una struttura esplicativa in cui gli eventi "narrati" sono, proprio come quelli della storia umana, unici e irripetibili, in quanto evolutisi in modo del tutto imprevedibile e contingente. A parte il fatto non trascurabile che nella storia umana non esiste un meccanismo gene­ratore analogo alla replicazione del DNA, la conside­razione che le trasformazioni delle specie biologiche sono frutto della modificazione casuale dei geni e della successiva selezione naturale, costituisce spesso una ragione sufficiente per ritenere che tali trasfor­mazioni non possano essere viste come suscettibili di riduzione a regolaritd nomiche. Come ridurre a legge, infatti, 1' enorme complessita dell'interazione degli organismi con un ambiente sempre mutevole?

1 Per la questione del riduzionismo in biologia, si veda l 'utile rassegna di G. Corbellini, Le grammatiche del vivente, Laterza, Roma-Bari 1999, 1 a ed. riv., cap. 8, non­che il saggio di D. Hull, Philosophy of Biological Science, Prentice Hall, Englewood Cliffs, NJ 1974 .

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D' altra parte, la variabilita individuale - partico­larmente tra i membri di specie "evolute" - e tal­mente elevata da non consentire la formulazione di leggi rigorose e spaziotemporalmente universali. Poiche la variabilita tra due organismi unicellulari, ovviamente superiore a quella tra due elettroni, e comunque assai inferiore a quella di due membri della stessa specie di mammiferi, leggi che valgano solo relativamente a tali specie non avrebbero sensa. Pili si sale nella scala della complessita, pili i singoli membri di classi di generi naturali si differenziano tra lora, e pili il loro comportamento non rientra in leggi. Infine,

[ . . . ] le specie biologiche so no individui, e rispetto a questi ultimi non possono esistere leggi in nessuna scienza.2

Se queste sono alcune delle obiezioni pili comuni contra la presenza di leggi in biologia3 - all'interno di un dibattito cominciato negli anni '50 e non anco­ra conclusosi - partendo dall'ultima basted ricorda­re che una volta fatto cadere il requisito di universa­lita spaziotemporale e di universalita intesa come assenza di clausole ceteris paribus, non ci sono ragio­ni di principia contra 1' ammissibilita di leggi "spe­cie-specifiche" . E ovvio che tali leggi saranno signifi­cativamente meno "immutabili" e meno "universali" delle leggi fisiche, nel sensa che un mondo che

2 M. Ghiselin, Individuality, History and Laws of Nature in Biology, in M. Ruse (ed.) , What the Philosophy o/ Bio­logy is: Essays dedicated to David Hull, Kluwer, Dor­drecht 1989, p. 53 . 3 Si veda J. Beatty, The Evolutionary Contingency Thesis, in Concepts, Theories, and Rationality in the Biological Science, University of Pittsburgh Press, Pittsburgh 1993 .

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5. Le leggi nelle scienze speciali

segua le stesse leggi fisico-chimiche potrebbe esem­plificare regolarita biologiche assai diverse dalle attuali. Tuttavia, non dobbiamo dimenticare che anche le leggi chimiche si sono evolute (a partire dalla nucleosintesi cosmica degli dementi) , e non possiamo escludere che alcune leggi fisiche abbiano subito vicende analoghe. Il carattere di contingenza delle leggi biologiche e dunque condiviso anche da quelle fisiche, ed e presente nelle prime solo in misu­ra maggzore.

Per quanto riguarda poi il carattere "storico" della biologia, di per se esso non la distingue certo dalla cosmologia o dalla geologia, anch' esse alle prese con il difficile problema di accertare possibili sequenze temporali di eventi irripetibili partendo da leggi di evoluzione dinamica e dalle tracce del passa­to disponibili nel presente. Il fatto che, a differenza delle altre due scienze, in biologia il mutamento sto­rico sia regolato da meccanismi legati alla struttura del DNA, introduce considerazioni irriducibilmente statistiche, legate a modifiche casuali nella trasmis­sione di "informazione", come quando si copia un testo e si compiono "errori" . Questo aspetto statisti­co, di per se, non impedisce che si possa considerate la biologia come una scienza nomotetica, visto che i meccanismi di replicazione del DNA sono ben cono­sciuti. Il punto e semmai che la loro interazione con 1' ambiente e troppo complessa per poter essere rico­struita in "laboratorio" . Ovviamente, il fatto che la ricostruzione di " sequenze storiche" in cosmologia e in geologia sia resa possibile dalla disponibilita di leggi dinamiche, fa sorgere la domanda: " al di sotto" delle modifiche casuali del patrimonio genetico, esi­stono leggi che abbiano analogamente "guidato" la complessa evoluzione delle specie biologiche?

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Il software dell' universo

Si consideri la formulazione darwiniana del prin-cipia di selezione naturale:

Chiamo Selezione Naturale la conservazione di varia­zioni favorevoli e I' eliminazione di variazioni dannose.4

Le due colonne portanti dell'evoluzionismo darwi­niano qui menzionate, la variazione casuale del patrimonio genetico e la selezione naturale, sembra­no, pili che leggi, /attori o schemi esplicativi assai generali dei complessi eventi storici che hanno con­datto dall' ameba a Einstein. Non essen do predittivi, nemmeno in senso statistico, tali due principi non possono essere chiamati " leggi" in nessun caso : secondo tre noti studiosi, Ernst Mayr, Stephen Gould e Michael Ghiselin, l'impossibilitii di preve­dere il corso dell' evoluzione sarebbe sufficiente a conferire alla biologia uno statuto metodologico diverso dalla fisica.5 Analogamente, Francisco Ayala, in un recente saggio, mette in luce come

[ . . . ] non ci fosse nulla nella costituzione fisica dei remoti antenati degli uccelli che necessitasse la com­parsa delle ali nei loro discendenti. 6

Persino partendo dallo stesso stadio iniziale, un' evo­luzione casuale e contingente come quella biologica puo condurre a soluzioni tra loro assai diverse e tutte adattative.

In realtii, queste tesi sul fatto che la biologia evo-

4 C . Darwin, On th e Origin of Sp ecies, Harvard University Press, Harvard, Mass 1984, p. 81, trad. it. L' origine della specie e i fondamenti dell' evoluzione, Newton Compton, Roma 1984. 5 Si veda E. Gagliasso, B. Continenza, Giochi aperti in biologia, Franco Angeli, Milano 1 996, p. 22, n . 3 . 6 F . Ayala, The Distinctness of Biology, in F . Weinert (ed.) , op. cz't. , p. 278.

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5. Le leggi nelle scienze speciali

luzionistica sia caratterizzata dall'imprevedibilita devono essere qualificate. E assai istruttivo paragona­re il ruolo dei due principi /ondamentali della biologia evoluzionistica, la variazione casuale e la selezione naturale, ai principi della dinamica, ovvero a quelle che Kuhn chiamava "generalizzazioni simboliche". La seconda legge del moto, F = ma, in quanto schema generale per costruire leggi piu dettagliate, ha valore predittivo solo se applicata a casi particolari, cioe dopo opportune assunzioni nomologiche supple­mentari su funzioni di forza specifiche. Per esempio, considerando forze proporzionali allo spostamento, come nella legge di Hooke del moto di una molla, si ha la relazione predittiva ma = - kx. Ovviamente, con forze proporzionali alla velocita avremmo predi­zioni diverse: e solo quando e applicata a casi speci­fici che la seconda legge del moto diventa "operati­va" , e dunque predittiva.

Analogamente, i due principi evoluzionistici divengono predittivi solo se sono applicati a casi specifici, attraverso assunzioni supplementari riguar­danti, per esempio, la frequenza di un certo gene in una popolazione specifica. Per illustrate l 'uso dei modelli in biologia evoluzionistica, si consideri l'i­dealizzazione di un gene altruistico, caratterizzato da una probabilita di esemplificazione data da p, ugua­le alla frequenza del gene in una popolazione di n individui, ognuno dei quali ha anche la probabilita di portare un gene egoistico uguale a ( 1 - p), e un'a­dattivita !fitness) W, data dal numero X di discen­denti calcolato in assenza del gene altruistico . Supponiamo che W vari con la presenza di p, cioe che ogni altruista, a causa del suo comportamento, diminuisca il numero di suoi discendenti (la sua adattivita) di una certa quantita c, facendo aumenta-

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re invece quello di un altro membro qualsiasi della specie di una certa quantita b. Si ha allora che l'adat­tivita di un altruista (WA) e sempre minore di quella di un egoista (WE) di una quantitii data da c + b!(n -1) , ottenibile facendo la differenza tra i due termini qui sotto riportati:

WA = X - c + [b(np - 1)/(n - 1)] [12]

WE= X + [bnpl(n - 1)] [13]

Queste due semplici "leggi" definiscono un modello utilizzato dai biologi evoluzionisti per spiegare 1' evo­luzione del comportamento altruistico, e presup­pongono, non diversamente dalle leggi fisiche, molte idealizzazioni e astrazioni. 7

Per spiegare come si arriva a tali formule, si tenga infatti presente che si assume che gli np8 altruisti dispensino i loro benefici indiscriminata­mente al resto della popolazione ma non a se stessi, dato che il loro comportamento ha un costo adatta­tivo pari a c. Il bene che ogni altruista riceve dal comportamento degli altri (np - 1) altruisti sad allo­ra uguale alla quantitii totale di "bene" prodotto, b(np - 1) , divisa per il numero d'individui, (n - 1 ) , che ne usufruiscono in modo supposto uguale, come appare nella formula [12] . La formula [13] mostra invece chiaramente che ogni egoista non solo non

7 Abbiamo tratto notazione e modello da E. Sober, D. Williams, Onto Others , Harvard University Press, Harvard Mass. 1 998 , pp. 1 9 -2 1 , con una piccola modifica. 8 Tale numero e dato dal prodotto della probabilita del possesso del gene per il numero totale n d'individui, men­tre il numero di egoisti sara ovviamente n(1 - p) .

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5. Le leggi nelle scienze speciali

subisce il decremento di adattivita dato da c, rna beneficia anche del comportamento di tutti gli np altruisti. Questa spiega perche (WA) e sempre mino­re di (WE) .

Ma nel caso di societa umane, e legittimo assu­mere che gli altruisti aiutino anche gli egoisti e che 1' altruismo sia controllato da un solo gene? 0 che le aspettative di vita siano identiche nel caso di egoisti e altruisti? E possibile misurare l'adattivita solo in termini del numero di figli? Infine, come definiamo un comportamento altruistico? Se accettiamo le ipo­tesi idealizzate del modello qui presentato, che hanno il grande vantaggio di poter essere controllate in modo preciso, si puo prevedere non solo che il numero di altruisti Oa loro frequenza nella popola­zione) diminuira in ogni generazione, rna che conse­guentemente, dopo un certo lasso di tempo, gli altruisti sana candannati all' estinziane dalla seleziane naturale. Ricordando che l' adattivitii W rappresenta il numero di discendenti, la popolazione complessi­va della generazione successiva, data da n', conterra meno altruisti, dato che ogni altruista ha un numero di discendenti inferiore a quella degli egoisti:

n' ,;-npWA+ n(l - p) WB [14]

L'interesse di questi modelli, che ora sono applicati anche all'evoluzione del contratto sociale/ sta pro­prio nella possibilitii di fare ipotesi e previsioni pre­cise e di controllarle alla luce di cio che sappiamo sull' evoluzione reale e sulla biologia molecolare

9 B. Skyrms, Evolution of the Social Contract, Cambridge University Press, Cambridge 1996. Per la teo­ria dei giochi applicata all' evoluzionismo, si veda J. Maynard Smith, Evolution and the Theory of Games, Cambridge University Press, Cambridge 1982.

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reale. II fatto che le ipotesi dei modelli siano troppo semplificatrici e certamente un'obiezione da non considerare, perche ess a, a sua volta, non tiene conto del modo di procedere della scienza. Senza l'i­dealizzazione e la semplificazione operata da Boyle, Galileo e Newton, lo sviluppo della fisica moderna non sarebbe nemmeno pensabile, e un modello che riproduca fedelmente la complessita dei fenomeni reali in ogni loro aspetto sarebbe del tutto inutile.

Ridimensionata 1' obiezione al carattere non pre­dittivo della biologia evoluzionistica, seppure con i limiti visti, si esaminera ora un' altra possibile "fonte" di leggi biologiche, riguardante possibili leggi della "forma" o della strutturazione dello spa­zio, nella tradizione che va da Goethe a Georges Cuvier, e da Wentworth D'Arcy Thomson fino a Richard Lewontin e Rene Thorn. In tale tradizione, la permanenza delle strutture da una generazione all' altra

[ . . . J e interpretata in relazione al puro gioco dello spazio tridimensionale entro cui si articolano i para­metri costruttivi dell' organismo. 10

In biologia, la distinzione tra evoluzionismo e "strut­turismo ", almeno se vista dal pun to di vista delle leggi, non dev' essere considerata una contrapposi­zione, dato che corrisponde in maniera assai natura­le a quella, gia vista, tra leggi di successione, che hanno a che fare con il tempo, e leggi di coesistenza, che strutturano le relazioni spaziali tra fenomeni.

II recente ricorso a potenti elaboratori ha per­messo di trovare regolarita anche nello studio di fenomeni complessi come quelli biologici, e questo

10 B. Continenza, E. Gagliasso, op. cit., p. 67.

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5. Le leggi nelle scienze speciali

approccio e oggi particolarmente sfruttato per sco­prire leggi biologiche strutturali. A questa proposi­to, ci limiteremo a illustrare un solo esempio, data dalla legge dell'invarianza delle dimensioni di un organismo rispetto al suo metabolismo. Secondo il fisico James Brown e i biologi Geoffrey West ed Bernard Enquist,

[ . . . ] i sistemi cardiovascolari e respiratori dei verte­brati, i sistemi vascolari delle piante, i tubi della tra­chea degli insetti, mostrano tutti la stessa struttura ramificata, che aumenta o diminuisce secondo la legge della quarta potenza della dimensione corporea. 1 1

Tale legge, nota come legge di Kleiber, correla il tasso metabolico di un organismo, che e la quantitil di energia consumata in un secondo, aile sue dimen­sioni, secondo un preciso rapporto di proporziona­lita, data dal cuba della radice quarta del peso del­l'organismo, che e come dire la sua massa elevata alla potenza di 3/4 . Piu semplicemente, si tratta di fare la radice quadrata della radice quadrata del peso dell' organism a, e poi elevare il risultato al cuba. Per esempio, sebbene un gatto pesi cento volte piu di un topo, il suo tasso di metabolismo non e cento volte maggiore, rna, in base a questa formu­la, solo trenta volte maggiore.

Questa legge e particolarmente interessante anche perche spiega le diverse aspettative di vita degli organismi: piu un animale e pesante, piu il suo metabolismo rallenta, e piu a lungo vive l' animale stesso. Molti biologi nel secolo scorso si chiedevano

1 1 J. Brown, G. West, B. Enquist, Nature, CCLXXXIV,

1 999, pp . 1 6 07 - 1 609. La citazione e tratta dal sito http://www. santafe. edu/ sfi/ publications/Bulletins/bulle­tin -summer97 /feature.html.

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perche gli animali piccoli (gli insetti, per esempio) vivessero cos! poco, consumando le loro risorse ener­getiche in modo assai rapido, mentre gli organismi di dimensioni maggiori riuscissero a economizzare le loro risorse vivendo moho a lungo (gli elefanti) .

Si consideri ora che il numero di battiti cardiaci complessivi nella vita di un animale e indipendente dalla durata di quest'ultima, e varia dai mille ai due­mila miliardi. Il fatto che, in funzione del suo piu rapido metabolismo, il cuore di un polio abbia molte piu pulsazioni al minuto di quello di un ele­fante, spiega allora la longevita maggiore del secon­do animale: infatti, per quanto la frequenza del bat­tito cardiaco non sia diretta espressione del tasso di metabolismo di un animale, e chiaramente correlata a quest'ultimo. Lo stesso legame tra longevita e dimensioni vale anche per le piante.

Ebbene, la legge fenomenologica della quarta potenza, che dal punto di vista formale ricorda la terza legge di Keplero,12 ha in effetti subito la stessa sorte, nel sensa che e stata derivata, o spiegata da una legge piu profonda. L'ipotesi geniale fatta dai tre ricercatori e che uno stesso modello ramz/icato, destin a to a rifornire 1' organismo vegetale e animale di fluidi vitali (linfa o sangue che sia), riempia lo spazio del vivente come un /rattale, una struttura che ripete se stessa su scale diverse come un insieme di bamboline russe. Una tale struttura ramificata sarebbe in grado di spiegare 1' esistenza dell' altri­menti misteriosa proporzionalita tra dimensioni e tasso metabolico che abbiamo appena illustrato.

12 Ricordiamo che tale legge afferma che il quadrato del periodo di rivoluzione dei pianeti attorno al Sole e pro­porzione al cubo dei semiassi delle orbite.

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5. Le leggi nelle scienze speciali

L'onnipresenza di forme ramificate ad "albero" , che si ripetono identiche a varie scale di grandezza proprio come i frattali, si spiega con il fatto che tali strutture permettono di ottimizzare il trasporto di energia in tutte le specie viventi: come si esprime uno degli autori della teoria, West,

quando si tratta di trasportare energia, la struttura ad albero e la piu funzionale.13

Lo stesso principia, aggiungiamo noi, sembra valere anche per il trasferimento ottimale di una sostanza ben pili impalpabile dell'energia, l 'informazione: su scala cellulare, anche un neurone, con i suoi dendriti (i rami)--e 1' assone (il tronco) , segue la stessa struttu­ra ad albero, e tutto il sistema nervoso nella sua inte­rezza, in fondo, ha la forma enormemente complessa di una rete ramificata operante in parallelo.

Concludiamo la nostra discussione sulle leggi in biologia con due osservazioni: la prima e che l'idea diffusa che le leggi in biologia siano del tutto assen­ti14 dev' essere sottoposta a revisione, dato che esisto­no equazioni che definiscono in modo rigoroso pre­cisi modelli biologici e che consentono predizioni, seppure nei limiti sopra accennati. Se il modello di Brown, Enquist e West non sembra ancora convin­cente, si consideri che esso e in grado di predire la lunghezza e la sezione trasversale di un' aorta di un adulto di sesso mas chile! 15

La seconda osservazione e che la tradizione di uno studio delle forme o dei modelli dei fenomeni,

13 Ibid. 14 Questa idea, implicita in Hempel, e esplicitamente difesa da J. Smart, Philosophy and Scientz/ic Realism, Routledge and Kegan Paul, London 1963, p. 52. 15 Ibid.

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che nel suo implicito platonismo abbiamo vista all' opera anche nelle leggi fisiche, ha un significato profondissimo anche in biologia: dalle radici di un albero al sistema circolatorio di un mammifero, la legge di Kleiber e la sua spiegazione in termini di frattali ramificati rappresenta, insieme con la strut­tura del DNA, 1' aspetto unificante forse pili significa­tivo della grande diversita del mondo vivente. C'e dunque da aspettarsi che lo sviluppo di una futura "matematica del vivente" possa rendere grandi ser­vigi alla biologia.

5.2 Leggi psicologiche, leggi psicofisiche e liberta umana

La psicologia, anche a causa del fatto che la presen­za di leggi rigorosamente universali viene avvertita come una minaccia per la nostra liberta, e spesso considerata una disciplina che non puo fondarsi su leggi, o che comunque ha "leggi" non universali e non rigorose, di forma assai diversa rispetto a quelle fisiche. Altrettanto spesso, questa tesi funziona da premessa generale per negare la possibilita di una scienza "rigorosa" del comportamento umano.

Per illustrate questo punto di vista, ci serviremo dell'influente formulazione dovuta a Davidson, in base alla quale la psicofisica (e la psicologia) non possono essere vere scienze perche le lora leggi (se pure esistessero) sarebbero vere, a differenza di quelle fisiche, solo ceteris paribus. '6 L' argomento di Davidson, che pure ritiene infondate le diffuse preoccupazioni generate dalle possibili conseguenze

16 Si veda D. Davidson, Mental Events, cit.

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di leggi deterministiche sul comportamento umano, si basa su tre semplici premesse, che hanna come conclusione una versione monistica del rapporto corpo-mente, il cosiddetto "monism a anomalo", che esclude in particolare qualunque tipo di leggi psico­fisiche.

La prima premessa afferma che «ci sono relazio­ni causali tra eventi descritti come fisici ed eventi descritti come mentali». La seconda, sempre nelle parole di Davidson, e «che non ci sono leggi prive di eccezioni che mettano in relazione descrizioni di eventi che facciano usa del linguaggio della fisica con descrizioni di eventi che facciano usa del lin­guaggio della psicologia». La terza premessa e data dalla concezione nomologica della causalita, che Davidson fa propria: «se due eventi sono in relazio­ne causale, c' e una legge riga rosa che e all a base della relazione». 17

La conclusione dell' argomento e il gia citato monismo anomalo, detto anche teoria delle identitd delle occorrenze, che impllca che ogni particolare evento mentale sia identico a un particolare evento fisico. In altre parole, esiste una sola sostanza nell'u­niverso, descrivibile dalla fisica (di qui il monismo) , rna l' an amalia del men tale e appunto data dall' as­senza di leggi che lo colleghino al fisico: mentre tutti gli eventi sono fisici, alcuni tra tali eventi (quelli mentali) ammettono anche una descrizione psicolo­gica, che per<\ in mancanza di "leggi ponte" ' e irri­ducibile al linguaggio della fisica.

Data che la conclusione di qualsiasi argomento non puo essere mai pili convincente delle sue pre­messe, cominciamo a discutere queste ultime. La

17 D. Davidson, Law and Causes, cit. , p. 266.

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prima, afferma Davidson, e evidente e, da un punto di vista intuitivo, e difficile dare torto al filosofo americana. Per esempio, quando osserviamo mera­vigliati una cometa muoversi nel cielo notturno, spieghiamo la percezione con un'interazione causale tra un oggetto suscettibile di essere descritto nel lin­guaggio della fisica (la cometa) , e un evento descrit­to nel linguaggio della psicologia (lo stato di meravi­glia accompagnato dalla consapevolezza della perce­zione) . Viceversa, quando ci alziamo per prendere un bicchiere d' acqua, uno stato men tale (il desiderio di bere) sembra causare uno stato /isico, nel senso che il movimento dei nostri piedi appare conseguen­za della nostra intenzione di bere. Esistono quindi relazioni causali tra eventi mentali (descritti con il linguaggio della psicologia, che implicano credere, desiderare, o sperare qualcosa ecc.) ed eventi descrit­ti con il linguaggio della neurofisiologia o della fisica (qui e nel seguito, si dovra tener conto che, nelle discussioni sul problema mente-corpo, il termine "fisica" si riferisce in realta a "neurofisiologia" ) .

La seconda premessa e quella che ci interessa piu da vicino: le relazioni causali tra mente e corpo per Davidson non possono presupporre leggi psicofisi­che. Infatti, l'universo mentale e caratterizzato dal cosiddetto "olismo delle credenze e dei significati" , nonche da ideali di razionalita normativa che utiliz­ziamo per interpretare il comportamento altrui: due fattori che non si ritrovano nel mondo fisico . 18

18 L' olismo delle credenze significa che una qualunque proposizione del tipo "il gatto e sui tappeto" non puo essere creduta senza credere al contempo a molte altre cose su felini, coperture di pavimento, altri animali, case, capanne ecc. Lo stesso dicasi per i significati dei termini

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Caratterizzando in modo essenziale la nostra vita mentale, e non essendo reperibili nel mondo fisico, tali fattori inducono Davidson a concludere che non possono esistere leggi rigorose e prive di eccezioni che facciano da ponte tra il mentale e il fisico. In forza della terza premessa, che afferma che ogni relazione casuale presuppone comunque l 'esistenza di una legge, 1' assenza di leggi psicofisiche implica che ciascun evento mentale deve intervenire a costi­tuire una legge fisica rigorosamente universale, e deve quindi ammettere una descrizione fisica. Ovvero , ogni evento mentale e anche un evento /isico, come volevasi dimostrare.

Non abbiamo bisogno di discutere in dettaglio la terza premessa, sia perche si e gia argomentato con­tro le teorie nomologiche della causalita, difendendo una teoria singolarista della causa, sia perche, allo scopo d'infirmare la conclusione dell'argomento, e sufficiente mostrare che la seconda premessa e falsa. Tale premessa, in effetti, dipende da un'interpreta­zione erronea delle leggi della fisica, basata sulla loro presunta universalita priva di eccezioni: 1' esi­stenza di leggi con queste caratteristiche puo essere solo parte della "fisica romanzata" di cui alcuni filo­sofi si rendono coautori, e non e un caso che Davidson non riesca a citare nemmeno un esempio di legge fisica priva di eccezioni. In mancanza di una distinzione netta tra leggi rigorose e generalizzazioni ceteris paribus, non esiste tuttavia alcun argomento

dei linguaggi naturali. Per la normativita del mentale, si consideri che quando interpretiamo frasi pronunciate da altri o cerchiamo d'interpretare le loro credenze e deside­ri, tendiamo a massimizzare la loro razionalita, che e un ideale normativo.

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contra l ' esistenza di leggi psicofisiche: lo stesso Davidson ha recentemente ammesso che tale distin­zione, da lui tuttora difesa, «e essenziale al suo argo­mento».19

Semmai, crollata la seconda premessa dell' argo­men to di Davidson, il problema diventa quello di stabilire ( 1 ) se esistono leggi psicofisiche non banali e, in caso di risposta affermativa, (2) se generalizza­zioni psicofisiche del tipo: "la fase di produzione d'immagini oniriche negli esseri umani e accompa­gnata da rapido movimento oculare (REM) e da un aumento del metabolismo corporeo" , o "stati emoti­vi del corpo umano sono correlati a un aumento di conduzione elettrica nella pelle" , siano leggi di tipo causale - per cui certi stati men tali causano i pattern neurologici sottostanti o viceversa - oppure siano esempi di leggi di coesistenza tra tipi mentali e tipi neurofisiologici ( o fisici, come in modo un po ' impreciso s i dice in genere) .

Sebbene gli esempi appena fatti sembrino depor­re a favore di una risposta positiva al problema solle­vato in (1 ) , e chiaro che un verdetto definito spetta solo agli addetti ai lavori , i neurofisiologi. Ipotizzando a fini argomentativi che la scienza futu­ra confermi la congettura qui avanzata a proposito del primo problema, e dunque opportuno soffer­marci maggiormente sul secondo, che invece possie­de un'importante componente filosofica.

Anzitutto, se esistessero leggi psicofisiologiche non banali, esse dovrebbero essere considerate vali­de solo relativamente a specie determinate. Malgrado prevedibili elementi di similarita tra specie genetica­mente vicine, non e plausibile immaginare che, per

19 D. Davidson, Law and Cause, cit., p. 266.

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esempio, il tipo di stato mentale "dolore" sia realiz­zato nello stesso identico modo in ogni specie dotata di sistema nervoso. Una relativizzazione delle leggi psicofisiche a specie diverse, che si e gia considerata come ammissibile discutendo di leggi biologiche, basta tuttavia a rispondere ad argomenti antiriduzio­nisti, spesso sollevati sulla base proprio del principia della realizzabilita multipla degli stati mentali.20

Aggirato quest' ostacolo, rimane da stabilire se le leggi psicofisiche, supposte non banali, siano da concepire come leggi di coesistenza o di successione. Tale questione coinvolge difficili problemi legati alla cosiddetta "causalita men tale" : e possibile considera­re desideri e credenze (stati mentali) come /attori esplicativi delle nostre azioni senza introdurre viola­zioni al principia della chiusura causale del mondo /isico? Quest'ultimo principia sembra vincolare qua­lunque teoria filosofica sul rapporto corpo-mente: se non si desidera introdurre violazioni a una legge cosi abbondantemente confermata dalla fisica come quella di conservazione dell'energia, qualunque even­to fisico (che avvenga in un sistema isolato) deve avere cause o effetti fisici.

Sembra chiaro che la difficolta di supporre che uno stato mentale possa, in quanto mentale, produr­re modifiche nel mondo fisico, porta a supporre che le leggi psico/isiche (psico/isiologiche) debbano essere concepite come leggi di coesistenza, o di co-variazione. Oltretutto, quest' eventualita lascerebbe aperta I a

20 Per i riferimenti bibliografici e l'illustrazione di questa tesi, nonche per una presentazione chiara del problema della causalita men tale, si veda J. Kim, Mind in a Physical World, The MIT Press, Harvard, Mass. 1998, trad. it. La mente e il mondo /isico, McGraw-Hill, Milano 2000.

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possibilira (che potrebbe essere realizzata dallo svi­luppo scientifico) di ridurre in modo generalizzato tipi di stati mentali a stati neurologici (teoria dell'i­dentita dei tipi) , mentre un loro eventuale legame causale renderebbe impossibile una loro identifica­zione. Affinche uno stato mentale causi uno stato fisico o viceversa, dobbiamo infatti presupporre che gli stati in questione siano ontologicamente distinti: come potrebbe x causare y se x e solo una descrizio­ne alternativa della stessa entita y?

Come anticipato sopra, un altro argomento con­tra 1' esistenza di leggi psicofisiche tout court provie­ne da un'esigenza solo intuitivamente fondata rna per noi molto importante: quella di poterci conside­rare agenti responsabili in quanta liberi. Se le azioni umane fossero soggette a leggi psicofisiologiche, queste ultime sarebbero o deterministiche o indeter­ministiche:21 tertium non datur. Nel primo caso, esse dipenderebbero causalmente da eventi che si sono verificati prima ancora della nostra nascita, all'istan­te del Big Bang, e noi non potremmo letteralmente dare origine alle nostre azioni. In questa ipotesi, la liberta consisterebbe solo nel potere di fare cia che vogliamo, rna non nel poter fare altrimenti da cia che di fatto scegliamo di fare o facciamo. Come afferma un autorevole sostenitore di questa conce­zione della liberta:

[. . . ] un'azione e libera se i motivi 0 le pulsioni dell'a­gente rappresentano un anello nella catena causale di

21 Il determinismo universale prevede che uno stato 5 che occorre al tempo t sia compatibile solo con un unico altro stato del mondo, a ogni altro tempo futuro o passa­to, mentre l'indeterminismo ammette piu stati possibili compatibili con 5.

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quell' azione. Quei motivi e quelle pulsioni possono poi essere rigidamente determinati quanta vogliamo.22

Se invece le leggi che legano mente a corpo fossero irriducibilmente probabilistiche, il cieco caso pre­varrebbe sul nostro tentativo di rimanere fedeli al nostro carattere: l'indeterminismo introdurrebbe sl un'indipendenza piu o meno forte delle nostre azio­ni da cia che e gia accaduto, rna solo al prezzo di una separazione delle nostre azioni presenti dai nostri valori passati. Puo la decisione di non mentire nel corso di una deposizione resa in tribunale dipendere da un meccanismo stocastico, del tipo di quello esemplificato da un decadimento radioattivo? Se il meccanismo che conduce a tali decisioni fosse privo di cause, come nel caso dell'emissione di particelle radioattive, e chiaro che non potremmo dirci liberi. E se la causa in questione fosse invece probabilisti­camente definita, quanta indipendenza dal passato e necessaria per rimanere fedeli a cio che si e o aHa nostra identitii, vista che quest' ultima ha natura essenzialmente storica? Anche una parziale, minima indipendenza "probabilistica" dal passato ci separe­rebbe, in misura proporzionale, dai nostri valori piu profondi. D'altra parte, se l 'indipendenza in que­stione fosse completa, e ovvio che non potremmo originate una catena causale ex novo - come pure pretendeva Kant affinche potessimo dirci liberi -senza violare il suddetto principia della chiusura causale del mondo fisico.23

22 W. Quine, Theories and Things, Cambridge University Press, Cambridge 1981, p. 1 1 . 23 Per una possibile risposta a queste domande, qui sol­tanto poste, ci permettiamo di rimandare a M. Dorato, Futuro aperto e libertd. Un'introduzione alla filoso/ia del

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In sintesi, sembrerebbe percio che se esistessero leggi psicofisiche, deterministiche o indeterministi­che che siano, non saremmo liberi. Nella misura in cui riteniamo che la nostra intuizione ci assicuri in modo irrefutabile del fatto che siamo responsabili delle nostre azioni, e dunque liberi, dalla premessa espressa in forma condizionale all'inizio di questa paragrafo dovremmo concludere che non esistono leggi psico/isiche.

Tuttavia, un modo per sfuggire alla conclusione di quest' argomento consiste nel confutare una sua premessa tacita: non e vero che tutte le leggi sono deterministiche o indeterministiche, dato che queste due caratterizzazioni si applicano solo a relazioni nomologiche tra stati di un sistema che siano in rap­porto di successione temporale. In una parola, senza leggi di successione, non si ha determinismo ne inde­terminismo. Tornando a una distinzione a noi cara, se le leggi psicofisiche fossero puramente leggi di coesistenza - come d' altra parte dovrebbero essere, affinche non sia violato il principia della chiusura causale - non avremmo motivo di preoccuparci per la nostra libertii, perche usciremmo dal dilemma dis­solvendo il problema.

Dato che in questa sede ci sta a cuore salvare la possibilitii logica di leggi psicofisiche, questa contro­obiezione puo essere considerata appropriata. Tuttavia, il problema di giustificare la libertii umana in una concezione monistica dei rapporti tra mente e corpo in realtii permane, perche accettando l'esi­stenza di interazioni causali tra corpo e mente (la

temp o , Laterza , Roma-B ari 1 9 97 e a M. Dorato, Determinismo, caso, libertd: in dz/esa del compatibilismo, in "Paradigmi" , LI, 1999, pp. 547-569.

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prima premessa dell'argomento di Davidson) , resta da giustificare 1' efficacia causale della mente in quanta mente. Chi ci assicura che la mente in realta . non sia che una sorta di "mosca cocchiera" , che s'il­lude di poter dire al Cavallo sul quale si e posata (il corpo) dove deve andare, ed e in realta da lui tra­sportata? Non potrebbe darsi che i meccanismi che controllano 1' azione e quelli responsabili dei nostri pensieri coscienti siano tra loro sconnessi e indipen­denti?

5 .3 La causalita men tale e la mente come insieme di disposizioni

Sebbene queste ipotesi debbano essere valutate anche su basi empiriche/4 molti filosofi hanno espresso vero e proprio raccapriccio alia possibilita che la mente sia un mero epz/enomeno, o del tutto · priva di poteri causali. Tra le tante, scegliamo questa citazione tratta da un saggio di Jerry Fodor:

Se non e letteralmente vero che il mio volere e causal­mente responsabile del mio allungare il braccio e il mio prurito e causalmente responsabile del mio grat­tarmi, e le mie credenze sono causalmente responsabi­li di cio che dico, allora praticamente tutto cio in cui credo e falso, ed e la fine del mondo.25

In effetti, negare efficacia causale alia mente presen­ta almeno due problemi. Il primo e di tipo evoluzio-

24 Quest' esigenza e stata fortemente espressa da c . Glymour, A Mind is a Terrible Thing to Waste, in "Philosophy of Science", 1999, LXVI, pp. 455-47 1. 25 ] . Fodor, Making Mind Matter more, in A Theory of Content and Other Essays, The MIT Press, Cambridge Mass 1989, p. 156.

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nistico: come mai alcuni organismi hanno sviluppato capacita d'intrattenere credenze e desideri coscienti se questi ultimi, essendo causalmente inerti, non fanno alcuna differenza per 1' organismo e per il suo ambiente fisico? Il secondo problema riguarda l'epi­fenomenismo in se, che deve introdurre "entita" ontologicamente assai dubbie, come sono quelle che possono essere solo effetti e mai cause. L' esempio tipico di epifenomeni, quali ombre o immagini allo specchio, ci fa escludere che mutamenti in queste ultime siano considerabili eventi reali, visto che un evento dev'essere un nodo di cause ed effetti. E allo­ra pili semplice o negare completamente l'esistenza delle proprieta mentali (eliminazionismo) o abbrac­ciare una forma di armonia prestabilita di leibnizia­na memoria. Ma in assenza di spiegazioni teologi­che, l'intendere la mente e il corpo come due realta che non interagiscono mai rende ancora pili miraco­loso il fatto che il mio desiderio cosciente di muove­re il braccio sia sempre accompagnato dal movimen­to, senza che il primo causi il secondo.

Per dare una risposta a questi problemi, e oppor­tuno valutare la possibilita che singoli eventi mentali possano causare eventi fisici senza far intervenire leggi. Anche in tale ipotesi singolarista, tuttavia, il principia della chiusura causale del mondo fisico spinge comunque verso forme di riduzionismo, in base alle quali singoli eventi mentali (o loro tipi) sono identici a singoli eventi fisici o neurali ( o loro tipi) . In versioni non eliminative del riduzionismo, gli eventi mentali sarebbero causa di altri eventi neu­rali, in virtu del fatto che sono particolari eventi neu­rali e quindi, in senso lato, "fisici" . A conferma di questa tesi, e opportuno introdurre e sviluppare alcune tesi della psicologia di James Gibson, che si

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coniugano bene con la teoria delle disposizioni cau­sali fin qui articolata.26

Cominciamo con il problema delle qualita cosid­dette secondarie (colori, sapori, odori di galileiana, cartesiana e lockeana memoria) , spesso interpretate o come esistenti solo "nella mente del soggetto" - la fisica ci dice che "l 'erba non e davvero verde", come se fosse nera, o di un grigio stinto ! - oppure come oggettivamente esistenti indipendentemente da noi, perche altrimenti, "come possiamo spiegare la sen­sazione qualitativa o il quale del verde senza attribui­re all' oggetto la qualita in questione?"

Alia luce di una concezione disposizionale delle proprietit secondarie, e chiaro perche entrambe le posizioni fanno acqua. La prima non tiene conto del fatto che la superficie dell' erba ha una tendenza oggettiva a rifletttlre lunghezze d'onda corrispon­denti al verde anche quand'e buio, in modo tale che, in circostanze causali appropriate, un essere umano dotato di normali capacita ha una certa sensazione. La seconda da una pseudo-spiegazione al motivo per cui percepiamo i colori, perche l' explanandum e sconnesso dall' explanans, che deve invece includere un riferimento ai "fattori intermedi" della percezio­ne, che sappiamo essere presenti (tipo "scambio di energia" e "processi neurali" ) .

II termine "risorsa" (a/fordance) , che e una gene­ralizzazione di questa concezione delle proprieta secondarie, fu coniato da Gibson proprio per descrivere i l rapporto reciproco tra un animale e 1' ambiente, ed e poi divenuto il concetto essenziale nella psicologia ecologica: «le risorse disponibili nel-

26 II riferimento alia psicologia di Gibson viene utilizzato anche da R. Harre, E. Madden, op. cit.

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1' ambiente so no cio che esso offre all' animale».27 Esempi di " risorse" sono superfici di appoggio, oggetti che, come un tronco d' albero, possono esse­re usati da un gatto per arrotarsi le unghie e da un uomo per sedersi, sostanze commestibili, o eventi climatici. Una volta scoperta, una risorsa ha valore e sigm/icato per 1' animale - negativo o positivo che sia - in quanta e legata alla sua sopravvivenza, potendo­la favorire o mettere in pericolo.

La capacita di riconoscere risorse nell' ambiente e presumibilmente diffusa in tutto il mondo animale, indipendentemente dal grado di sviluppo del siste­ma nervoso. Gibson insiste sull' oggettivita della nozione di risorsa disponibile, sostenendo che essa si riferisce

[ . . . ] sia a proprieta fisiche della nicchia ecologica del­l' animale ( costrizioni ambientali) sia alle sue dimensio­ni corporee e capacita. Una risorsa disponibile dunque esiste, sia che venga percepita o no, e puo essere colta anche da un'animale privo di consapevolezza.28

Questa teoria della percezione, al di la delle sue pur criticabili impostazioni teoriche - che a volte sem­brano dimenticare la natura relazionale della risorsa, che ha un certo significato solo in funzione di un certo organismo - fornisce comunque ulteriore evi­denza alla tesi che attribuisce poteri causali agli oggetti e agli eventi singoli, in /unzione delle, e grazie alle, capacitd discriminatorie degli animali rispetto alle lora nicchie ecologiche: riteniamo infatti che non ci sia contraddizione nel sostenere sia che i poteri

----27 J. Gibson, The Ecological Approach to Visual Perception, Houghton Mifflin, Boston 1979. 28 Si veda la voce "affordance" nel sito della MIT Press, http:/ I cognet.mit.edu/MITECS/ entries/ gibsonl_r.html.

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causali degli oggetti nell' ambiente so no oggettivi, sia che essi assumono certi " significati" solo grazie all' apparato percettivo dell' animale.

Estendendo questa teoria della percezione "dal basso verso 1' alto" (bottom up) , ovvero dalle creden­ze di ordine inferiore (percezioni) agli stati intenzio­nali superiori (credenze di ordine superiore e desi­deri di or dine superiore) , e interpretando questi ultimi come essenzialmente funzionali al movimento del nostro corpo nello spazio e quindi all'azione, possiamo avanzare le seguenti tesi schematiche.

1 . Poiche le cap acid percettive dell' organismo sono inseparabili dall' ambiente, anche i significati "non so no nella testa " : 1' ambiente ha un ruolo decisivo nello strutturare i contenuti delle credenze. Gli stati mentali sono particolari stati disposizionali causati da "risorse" ambientali e sociali, e prima facie dotati a loro volta di poteri causali che strutturano la nostra azione. E solo attraverso meccanismi neurali, tuttavia, che tali stati si traducono in movimenti e comportamenti. Per dirla con Aristotele, cio che indichiamo con "mente" rientra piu nella categoria dell' agire che in quella dell' essere.29

2 . Credere, sperare, desiderare, temere, e tutti gli altri cosiddetti atteggiamenti proposizionali, differi­scono dalle disposizioni fisiche solo per grado e comples sitii. Come le altre disposizioni fisiche, anche quelle mentali (irritabilita, gelosia, remissivita, impazienza, aggressivita ecc .) si manifestano nelle

29 Tale concezione della mente come insieme di disposi­zioni e parzialmente anticipata da G. Ryle, The Ghost in the Machine, Hutchinson's University Library, London 1949, trad. it. Lo Spirito come Comportamento, (a c. di F. Rossi-Landi), Einaudi, Torino 1955 .

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circostanze appropriate, per mezzo di certe pro­prieta occorrenti. Nel caso delle disposizioni menta­li, tali proprietii sono atteggiamenti, posture, com­portamenti verbali o, per le emozioni, stati corporei e fisiologici complessi (per la tendenza all' arrabbiar­si, le proprieta occorrenti sono la pressione sangui­gna aumentata, il battito cardiaco accelerato, pallore o rossore del viso, tono della voce elevato, narici e pupille che si dilatano ecc. ) .

3 . In prima approssimazione, le disposizioni mentali sono dotate di efficacia causale, come la tra­sparenza, la solubilita e l'inerzia, ed esistono proprio come queste ultime. La conducibilita di un filo elet­trico, anche se identica o riducibile alla struttura microscopica del metallo che costituisce il filo, e una sua proprieta oggettiva, dotata di efficacia causale. Analogamente, la proprieta macroscopica "tempera­tura" , identica alla proprietii "velocita molecolare media di un gas "

' non e eliminata dalla riduzione

statistica.

4. Come le disposizioni fisiche, anche quelle mentali possono svolgere un iniziale ruolo esplicativo e pre­dittivo, anche in mancanza di conoscenze micro­strutturali o neurali . Per esempio: "- Perche Michele si e com porta to cosl? - Perche e geloso" . Tuttavia, e ovvio che, come la fragilita del vetro puo essere genuinamente spiegata in solo a partire dalla sua struttura molecolare, una sp iegazione pili approfondita del motivo per il quale la gelosia fa compiere certi atti puo essere ottenuta soltanto invocando il livello "molecolare" sottostante, quello della descrizione neurale. Solo la possibilita d'identi­ficare disposizioni mentali con stati neurali occor­renti, a esse "sottostanti", puo risolvere e spiegare il problema della causalita men tale.

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5 .4 Leggi in economia e scienze sociali

Per lungo tempo, lo statuto metodologico delle scienze sociali e stato visto come del tutto diverso da quello delle scienze naturali. Basti pensare alla distinzione tra scienze nomotetiche, tese ad accertare la legalita universale dei fenomeni naturali, e scienze ideogra/iche, volte allo studio di eventi particolari. Tale distinzione, proposta dal filosofo storicista Heinrich Rickert nell' ambito della cosiddetta dispu­ta sul metodo (Methodenstreit) a cavallo tra Ottocento e Novecento, doveva servire proprio a separare il metodo delle scienze naturali da quello delle scienze sociali. Spesso denominate anche "scienze dello spirito" ( Geisteswissenscha/ten), la sociologia, 1' economia, ed eventualmente 1' antropo­logia si dovevano distinguere dalle scienze naturali non solo perche avevano come fine la conoscenza di eventi importanti proprio per la loro unicita e irripe­tibilita, rna anche perche erano discipline eminente­mente storiche. Il sociale non poteva essere soggetto a leggi come il naturale, dato che fenomeni come la relativita culturale, la dipendenza dai valori delle conoscenze sociali, e il loro carattere di evoluzione contingente, rendevano impossibile la formulazione di regolarita universali.

Di conseguenza, anche 1' accertamento della verita doveva procedere con metodi diversi: le scien­ze naturali - sosteneva Wilhelm Dilthey - spiegano cio che e esterno all'uomo, cio che e altro da noi, attraverso la ricerca di nessi e spiegazioni causali, mentre quelle sociali hanno il compito di compren­dere l'uomo dall'interno, e dunque si basano sull'i­dentz/icazione simpatetica dello studioso di cose sociali con il suo oggetto: chi voglia conoscere 1' azio-

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ne artistica, culturale o storica dell'uomo deve dun­que essenzialmente riviverla (erleben) . D' altra parte, come potrebbe il metodo delle scienze sociali iden­tificarsi con quello delle scienze naturali, se queste ultime non coinvolgono valori estetici, etici o politici, mentre il mondo sociale ne e letteralmente intriso?

Tenendo a mente le cose gia dette sulla "natura" delle leggi di natura, apparira chiaro perche, a nostro parere, non vi siano difficolta di principia all' esistenza di leggi anche nell' ambito delle scienze sociali. L' esempio di alcune leggi economiche baste­reb be da solo a convincerci di questa tesi: leggi come quella della domanda e dell' offerta, della cor­relazione tra l'aumento del tasso di sconto con la minore propensione a investimenti, o della dipen­denza dell'inflazione dalla quantita di massa circo­lante e dalla velocita di scambio della moneta, si applicano solo ceteris paribus, esattamente come le leggi della fisica. Inoltre, esse sono valide, proprio come queste ultime, indipendentemente dai valori etico-politici nei quali lo studioso si riconosce e rispetto alle leggi fisiche esse si distinguono, proprio come le leggi biologiche, solo per un grado minore di universalita.

Dopo Max Weber, ci sembra in ogni caso super­fluo insistere sull ' avalutativita delle scienze sociali come fine perseguibile (e assai spesso effettivamente raggiunto) da molte ricerche, teorie e studi nell' am­bito delle teorie economiche e sociali. Il fatto che la scelta di un campo d'indagine dipenda dagli interes­si del ricercatore non distingue le scienze naturali da quelle sociali, e non e certo un ostacolo alla presenza di leggi, almeno nell' ambito dell' economia.

Dal nostro punto di vista, riteniamo pili interes-

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sante domandarci quale ruolo possano avere le "capacita" e i "poteri causali" introdotti nel capitolo precedente nell' ambito delle leggi economico-socia­li. Proprio a questo proposito, Claudio Pizzi ha criti­cato la teoria disposizionale delle leggi causali, dato che regolarita come «l'aumento della massa moneta­ria e stato causa dell' aumento dei prezzi» difficil­mente possono essere parafrasate «in termini dei poteri attivi di singoli individui».30

Cominciando con un argomento "ex auctorita­te" , ricordiamo che uno dei grandi teorici dell' eco­nomia politica dell'Ottocento, John Stuart Mill, rite­neva che le leggi dell' economia politica, come le leggi della meccanica, non riguardassero quel che le cose fanno, rna quali tendenze abbiano.3 1 Scrive Mill:

[ . . . ] tutte le leggi causali, a causa del fatto che posso­no essere contrastate, devono essere formulate aura­verso parole che esprimano tendenze e non risultati attuali.32

Senza preoccuparci di rimanere fedeli al pensiero di Mill, ne difenderemo ora una particolare interpreta­zione, rispondendo al tempo stesso all'obiezione di Pizzi. Quest'ultima, in effetti, mette giustamente in luce che il riferimento a eventuali poteri causali ope­rato dal termine "massa di denaro in circolazione" (o addirittura dal "suo aumento") non puo che essere indiretto. Almeno nell' ambito dell'economia, il pote­re causale del denaro dipende dagli esseri umani che gli con/eriscono un certo valore, in seguito a comples-

30 C. Pizzi, Un attacco neolockeano al regolarismo causale, cit. , p. 7 1 . 3 1 N. Cartwright, Nature's Capacities . . . , cit., p. 170. 32 J. S. Mill, op. cit. , p. 445 .

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se rna tacite convenzioni sociali. Indipendentemente da certi atti intenzionali dovuti a esseri umani, il potere causale del denaro, infatti, puo essere solo quello di un foglio di cart a (banconota) , o di un pezzo circolare di metallo, piu o meno pregiato. Ma queste osservazioni, naturalmente, si applicano a qualunque interpretazione del legame causale che interviene in una legge economica, regolarista, con­trofattuale o disposizionale che sia: ogniqualvolta una legge economica menziona entita astratte come 1' aumento di mass a monetaria circolante,33 e chiaro che la causalita in questione sopravviene su, o dipende da, entita diverse, dato che un ente astratto e causalmente inerte per definizione.

Pizzi ha pero ragione nel sottolineare che i teori­ci disposizionalisti delle leggi hanno la particolare responsabilita di chiarire a quali poteri causali fac­ciano riferimento leggi economiche del tipo da lui discusso. Ma proprio questa obiezione ci permette di cogliere un punto molto importante, che a nostro parere accomuna tutte le leggi economico-sociali di natura causale: ogni regolaritd di questa tipo si basa su generalizzazioni psicologiche concernenti il com­portamento umano in un certo gruppo sociale. I poterz· causali espressi dalle leggi economiche sana quelli di un essere umano idealizzato per/ettamente razionale che interagisce con gli altri perseguendo il suo utile e cercando di minimizzare le sue perdite.

Per esempio, il fatto che con una massa totale uguale a 1000 lire di denaro circolante - che per semplicita supponiamo concentrate neUe mani di una sola persona - si possano comprare dieci sacchi

33 La quantita eli denaro di per se non e un' entita astrat­ta, rna il suo aumento, definite come una derivata, lo e.

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di grano (che supponiamo sia l'unico bene acquista­bile in una certa citta), fa si che ogni sacco valga 100 lire. Ma se la massa complessiva del denaro a dispo­sizione di questa persona raddoppiasse, a parita di utilita per il compratore, sarebbe normale per que­st'ultimo tendere a offrire di piu per un sacco, visto 1 ' aumento di disponibilita monetaria . Analogamente, se il venditore fosse a conoscenza delle raddoppiate disponibilita del compratore, sarebbe razionale per lui chiedere di piu per la stes­sa merce. Questo tipo di tendenze psicologiche spie­gano l'aumento di alcuni prezzi come effetto dell'au­mento della massa circolante, a parita di condizioni.

Analogamente, il fatto che una maggiore dispo­nibilita di moneta (salari piu elevati) tenda, a paritd di condizioni, a far aumentare il consumo e dunque la produzione, e, al pari di altre, una generalizzazio­ne basata su tendenze psicologiche a perseguire razionalmente il proprio interesse, del tutto analo­ghe a quelle che si verificano in borsa quando 1' allar­me, infondato o ragionevole che sia, sui possibile crollo di un titolo, induce masse di azionisti a vende­re, per limitare il danno economico che da quel crol­lo conseguirebbe.

In definitiva, i poteri causali cui fanno riferimen­to indirettamente le leggi economiche sono quelle degli attori economici, idealizzati o reali che siano, e non potrebbe essere altrimenti, considerato che il valore del denaro e un risultato di un processo sociale e di una serie di atti intenzionali. La tesi in base alia quale le leggi economiche e sociali dipen­dono da generalizzazione psicologiche riguardanti singoli individui e spesso chiamata individualismo metodologico. Tale posizione nega qualunque status ontologico a entita collettive quali societa, stato ecc. ,

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che vengono, al massimo, postulate solo per motivi strumentalz': i poteri causali di natura sociale sono incorporati nei vincoli e nelle opportunita che le isti­tuzioni offrono a singoli esseri umani.34

Proprio quest'ultima osservazione c'induce a considerare un'ultima obiezione all'esistenza di leggi sociali: l'inevitabile relativita di regolarita socioeco­nomiche a certi gruppi sociali, caratterizzati da certi valori, rende le regolarita stesse altamente variabili, non universali, e ricche delle solite clausole ceteris paribus. Come chiamarle allora "leggi " ? 35 A una prima riflessione, il problema della relativita delle leggi a certe societa in certi momenti storici non e diverso, in linea di principia , dalla relativitii delle leggi biologiche a specie particolari. Ammettere le seconde, come abbiamo fatto sopra, implica l'am­mettere le prime, e per gli stessi motivi, malgrado generalizzazioni di natura sociale abbiano caratteri­stiche diverse da queUe di natura biologica, essendo dipendenti dalla mediazione causale di agenti dotati d'intenzionalita. Anzi, proprio quest' analogia con le leggi biologiche non ci deve far dimenticare che

34 Per una difesa di questa concezione, si veda anche D. Little, On the Scope and Limits of Generalizations in the Social Sciences, in "Synthese", LXLIII, 1993 , pp. 183-207. 35 Per la questione della natura delle leggi sociali, si veda il classico testo di E. Nagel, The Structure of Science, cit. Pili recenti, il testo di A. Bruschi, Metodologia delle scien­ze sociali, Bruno Mondadori, Milano 1999 e quello di D. Antiseri, Trattato sulla metodologia delle scienze sociali, Un:T, Torino 1996. Un articolo che difende le leggi socia­li contro alcune obiezioni di John Searle e H. Kinkaid, Defending Laws in the Social Sciences, in "Philosophy of the Social Sciences", xx, 1990, pp. 56-83 . Si veda anche R. D'Amico, Impossible Laws, in "Philosophy of the Social Sciences", XXVII, 1997 , pp. 309-327.

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alcune costanti strutturali reperibili in societa con culture assai diverse potrebbero rimandare a una nozione transculturale di "natura umana" , e dunque alia possibilitii di fondare regolarita strutturali riguardanti gerarchie sociali, rituali, reti di parente­la, tabu ecc. , sopra una comune base biologica.

In ogni caso , indipendentemente dall' an cora controversa possibilita di una sociobiologia umana/6 vorremmo concludere notanda che, almeno espres­so in una certa forma, il relativismo culturale si auto­distrugge: affermare che " tutte le regolarita sociali sono relative a gruppi umani particolari" (chiamia­mo R questa generalizzazione) e dopo tutto asserire un enunciato che aspira a essere una verita transcul­turale: se R e vero, esso confuta il relativismo, dato che esisterebbe almeno una generalizzazione (R, appunto) che vale in tutte le societa. Se R e falso, a fortiori deve esistere una regolarita sociale di valore transculturale.

5 .5 Conclusione

II concetto di legge, se correttamente interpretato, si presenta in definitiva come una chiave di compren­sione di tutta la nostra conoscenza empirica . L'importanza del ruolo svolto dalla matematica in tale conoscenza rende il concetto di modello assolu­tamente centrale per comprendere come i nostri processi conoscitivi strutturino il mondo, · compreso

36 Per un' equilibrata valutazione della sociobiologia, si veda P. Kitcher, The Vaulting Ambition: Sociobiology and the Quest /or Human Nature, Harvard University Press, Cambridge, Mass. 1994.

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quello "interno" che e all' origine di tali processi. Molto lavoro resta comunque da fare per cercare di capire sia perche le leggi matematicamente formula­te riescano a cogliere relazioni esemplificate dal mondo reale, sia come quest 'aspetto "rappresentati­vo " sia collegato al modo in cui percepiamo il mondo esterno, nella misura in cui la percezione e una "mappa semplificata" di quest'ultimo.

Da questo punto di vista, il concetto di legge inteso come algoritmo non e purtroppo in grado di spiegare completamente la capacita della matemati­ca di " comprimere" l'informazione contenuta nelle misure sperimentali. Infatti, la distinzione fonda­mentale che ha attraversato come un filo rosso tutti i capitoli precedenti, quella tra leggi di successione e leggi di coesistenza, non solo rende impossibile assi­milate tutte le leggi di natura al software dell'univer­so, rna sembra indirizzare future ricerche verso dire­zioni diverse, che hanno a che fare con la nostra intuizione, rispettivamente, del tempo (leggi di suc­cessione) e dello spazio (leggi di coesistenza) , con le connesse differenze fenomenologiche associate a tali nozioni. E probabile che futuri progressi nelle neu­roscienze possano gettare molta luce sulle capacitii del cervello - alcune delle quali gia note - di selezio­nare regolarita presenti nel mondo esterno, in modo da rendere perfettamente compatibili forme di costruttivismo epistemologico e una concezione rea­listica delle leggi di natura, sulla base di un ulteriore sviluppo della nozione di "risorsa" com'e introdotta nella psicologia ecologica.

In fine, il carattere "nomologico" di tutte le scienze empiriche sui quale si e qui insistito, insieme alla centralita, all'irriducibilita e all'ubiquita della nozione di potere causale, dovrebbero aver convinto

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il lettore della profonda unita metodologica di tutte le scienze empiriche. Tale risultato ci riporta per vie diverse - meno rigidamente empiriste e piu attente al ruolo guida della matematica in tutte le scienze -a un'importante, e a nostro parere duratura, con­quista del neopositivismo logico, dovuta soprattutto all'opera di Nagel, Hempel e Carnap. Tramontate, si spera per sempre, le mode filosofiche tendenti a svalutare il neopositivismo, e giunto il momento di tracciare analisi piu equilibrate di questa complessa scuola di pensiero, soprattutto nei confronti dei suoi debiti storici verso la filosofia di Kant.37

37 In questa direzione si e gia mosso M. Friedman, Reconsidering Logical Positivism, Cambridge University Press, Cambridge 1999.

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Indice dei nomi

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Page 297: Mauro Dorato - Il Software dell'Universo

Abrusci, V.M. 92n Adam, C. 54n Anassimandro 24 Anscombe, E. 199 Antiseri, D. 20n, 260n Apollonio di Perge 72 Archimede 3 0-3 1 , 105 Aristotele 24n, 28, 43 ,

104, 1 19, 122, 124, 149n, 226, 253

Armstrong, D. 201, 203, 149-150, 159, 167, 187-189, 191- 192, 194, 197-198

Ayala, F. 232 Ayers, M. 25n

Bacone, F. 4 1 -46, 60n, 62, 180n

Bacone, R. 3 1 , 33-35 , 37-39, 40, 60n

Balashov, J. 143n, 147n Barrow, J. 17n, 68n, 76,

83 , 86-89 Beatty, J. 230n

285

Bellarmino, R. 4n, 53 Benacerraf, P. 7n, 1 19,

193 Bigelow, J. 159, 173 , 192,

203 , 2 1 1 -2 12 Birch, T. 41n Bohm, D. 225 Bohr, N. 224 Boniolo, G. 137n, 139n,

1 83n Boyle, R. 34, 41, 45, 58-

62, 8 1 , 236 Brahe, T. 48 Brentano, F. 122- 124 Brown, J. 237, 239 Bruschi, A. 260n Burkhardt, ]. 129n Butterfield, J. 226n Butts, R. 76n

Cajori, F. 62n Callicle 27 Cappelletti, V. 126n Carnap, R. 105, 107, 1 13n,

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Il software dell' universo

1 16, 190, 2 14 , 263 Carroll, ]. 130, 133n, 172 Cartesio (Descartes R.)

3 1 , 47, 53 -59, 62, 65, 166, 200

Cartwright, N. 34, 151-152, 154, 160, 173, 197, 213 , 218 , 257n

Casini, P. 29n, 33n, 40-41 , 59-61

Cassirer, E. 52n Castellani, E. 128n, 168 Cellucci, C. 92n Chaitin, G. 83 Church, A. 73 Cicerone, M.T. 30 Cini, M. 29n Clarke, S. 66 Clericuzio, A. 29n Continenza, B. 232n,

236n Copernico, N. 4n, 22, 39,

48 Corbellini, G. 229n Cordeschi, R. 92n Crisippo 29 Crombie, A. 34, 38 Cushing, ]. 99n Cuvier, G. 236

D'Amico, R. 260n D' Arcy Thomson, W. 236 Dalla Chiara, M.L. 155n,

196n, 221n Damasio, A. 123n

286

Darwin, C. 22, 229 Davidson, D. 6n, 161n,

228, 240-244, 249 Davies, P.C. 17n, 47n, 83 De Mas, E. 42n Descartes, R. (v. Cartesio) Deutsch, D. 83n, 89, 92 Dilthey, W. 255 Dirac, P.A. 143n Dorato, M. 92n, 94n,

137n, 139n, 247 -248n, Dowe, P. 96n, 161n Dretske, F. 159, 187, 189,

191 , 197- 198, 201 , 203 Ducasse, C. 1 99n Duhem, P. 142n Dworkin, R. 20n

Earman, J. 91n, 93n, 97 , 145n, 170, 175 , 179, 216

Einstein, A. 1 , 3 , 7, 1 1-12, 72, 143 , 193 , 225 , 232

Eisler, R. 23 Ellis, B. 159, 203 , 2 12 Ellis, R. 42n Enquist, B. 237, 239 Eraclito di Efeso 27 Euclide di Megara 3 1

Fabricius, D . 47 F�no, V. 92n Faye, ]. 2 13n, 220n, 225n Feigl, H. 2 14n

Page 299: Mauro Dorato - Il Software dell'Universo

Ferretti, F. 125n Festa, R. 109n Feynman, R. 68 Finnis, ]. 20n Fodor, ]. 249n Forge, ]. 133n French, S. 226n Fresnel, A. 225 Friedman, M. 178, 263n Funkestein, A. 58n

Gagliasso, E. 232n, 236n Galilei, G. 4n, 21 , 39, 45,

47, 49-53 , 57, 73 , 236 Galison, P. 10n Garber, D. 25n Garin, E. 54n Geymonat, L. 5 1n Ghiselin, M. 230n, 232 Giannantoni, G. 24n Gibson, ]. 250-252 Giere, R. 34, 154, 157,

160, 192, 196n Glymour, C. 249n Goethe, W. 1 1 , 236 Goodman, N. 134, 144,

163n Gould, S. 232 Gresham, T. 144 Grossatesta, R. 32n, 35 Guglielmo di Shyreswood

37

Haag, R. 183

287

Indice dei nomi

Hacking, I. 10n, 151n Hadamard, ]. 127n Hadot, P. 29n Harre, R. 87n, 155n, 173 ,

1 97 , 206, 2 12 , 251n Heath, D. 42n Heisenberg, W. 224 Hempel, C. 106n Hempel, C.G. 1 15 , 137n,

144, 162, 165 , 239n, 263

Hoiningen-Heune, P. 10n Hooke, R. 62 Horsley, S. 63n Hull, D. 229n Hume, D. 9, 36, 59, 158-

159, 198- 199 Huygens, C. 62

Ippia di Elide 28

Jeffery, G. 193n

Kant, I. 69, 75, 1 19, 247, 263

Kelsen, H. 24n Kelvin, Lord 1 16n Kepler, ]. 39-40, 47-48,

72-73 , 142 Kim, J. 245 Kinkaid, H. 260n Kitcher, P. 261n Kochen, S. 224 Koire, A. 62, 63n, 105

Page 300: Mauro Dorato - Il Software dell'Universo

Il software dell'universo

Kolmogorov, A. 83 , 85 Korner, S . 2 14n Kripke, S. 44 Kuhn, T. 10n, 46n, 64,

154, 233

Ladyman, J. 226n Lambert, K. 9n Lambert a di Auxerre 3 7 Lange, 11. 59n, 208n Laudisa, F. 13 9n Leckey, 11. 159, 173 Leibniz, G. 61, 66, 68 Lenoble, R 67n Lewis, D. 64, 164, 173-

176, 179- 182, 205 Lewontin, R. 236 Lierse, C. 159, 203, 2 12 Linnea, C. (von Linne,

C.) 206 Little, D. 260n Lloyd, G. 24n Locke, J. 34, 4 1 , 45 , 61 ,

206 Longo, G. 128n Lucrezio Caro 29n

11ac Lane, S. 104, 121-124

11ach, E. 13, 18, 87 11adden, E. 173, 197,

2 12, 25 1n 11ajo, D. 1 On Marco Aurelio 29

288

Maxwell, J.C. 142 Maynard Smith, J. 235n 11ayr, E. 232 McGuire, }. 58 Mc11ullin, E. 99n Mendel, J.G. 144 Mendelejev, D.J. 206 Mersenne, M. 67n Mickens, R. 121n Mill, J.S 64, 140, 173- 174,

179, 181 , 257 11ilton, J. 43n Milton, J .R. 25, 40n Mondadori, M. 123n Motte, A. 62n Mundy, B. 132n, 190 Musil, R. 74

Nagel, E. 137n, 144, 162, 260n, 263

Needham, ]. 25-26, 32-33 Newton, I. 14, 49, 58-66,

105 , 143 , 236 Noether, E. 169

Oakley, F. 58n, 25 Odifreddi, P. 23n Oslander, A. 4n

Pagels, H. 18n Pagonis, C. 226n Pargetter, R. 173 , 192 Parisi, D. 9n

Page 301: Mauro Dorato - Il Software dell'Universo

Pecham, J. 39 Peirce, C.S. 143n Perrett, W. 193n Piazza, M. 70, 126, 193n Pietro Ispano 37 Pizzi, C. 163n, 2 12n, 257-

258 Platone 12, 27-28, 226 Poincare, J.-H. 1 18, 124,

145- 147, 152 Pomponazzi, P. 33 Popper, K.R. 20, 142n,

156n, 2 14-215 Premack, A. 24n, 24n Psillos, S. 226n Putnam, H. 7n, 44

Quine, W. 247n

Ramsey, F. 64, 173-174, 179, 181

Redhead, M. 224n Regiomontano, G.

(Muller, J.) 39 Reichenbach, H. 137n,

144 Rickert, H. 255 Rogers, H. 84n Rosenberg, A. 207n Rossi, P. 15, 16n, 40n, 4 1 ,

46n, 66n Rossi-Landi, F. 253 Ruby, J. 25 , 3 1 , 33-39, 48 Ruse, M. 230n

289

Indice dei nomi

Russell, B. 68, 73 , 168 Salmon, W. 96n, 161n,

166

Sassoli, B. 127n Schilpp, P. 156n Schlick, M. 137n Searle, J. 260n Seeling, C.W. 1 Sellars, W. 133n Seneca, L.A. 29 Shoemaker, S . 2 14 Simplicio 24n Skyrms, B. 9n, 235n Smart, J. 239n Smith, B. 123, 124n Smolin, L. 143n Sober, E. 234n Solomonoff, R. 83 Sommerhoff, G. 181n Sosa, E. 199n Specker, E. 224 Spedding, J. 42n Sperber, D. 24n Spinoza, B. 41 , 60, 61 Stein, H. 226n Steiner, M. 74n Steinle, F. 45-46n, 50-5 1 ,

56-57, 60n, 63 , 65n Suarez, F. 33 Suppe, F. 196n Swartz, N. 135, 153,

154n, 158, 201n

Page 302: Mauro Dorato - Il Software dell'Universo

Il software dell'universo

Swoyer, C. 132n, 190, 191n

Tagliagambe, S . 123n, 196n

Tannery, P. 54n, 186 Thorn, R. 236 Tolomeo C. 49n Tommaso d'Aquino 34,

37 , 56 Tooley, M. 159, 187 189,

191 , 192, 197-199, 201, 203

Toraldo di Francia, G. 155n, 196n, 22 1n

Torretti, R. 182n Turing, A. 73 , 91

Valla, L. 33 Vallentyne, P. 159 van Fraassen, B. 34, 13 1,

140, 150, 156, 159, 166-171 , 179, 191, 196n, 198-200, 202

Veneziani, M. 13n

290

Vico, G. 13n Vidali, P. 137n von Helmholtz, H. 126,

183

Wallis, J. 62 Weber, M. 6n, 209n, 256 Weinert, F. 9n, 18n, 135,

147n 232n West, G. 237, 239 Weyl, H. 109n Wheeler, J. 145 Whewell, W. 75-76 Whitehead, A. 26, 73 Wigner, E. 68n Williams, D. 234n Wittgenstein, L. 154 Woodger, J.H. 181n Worrall, ]. 226n Wren, C. 62

Zambelli, P. 16n Zilsel, E. 25-26, 30-33,

48n, 50n, 53

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Dorato, Mauro. Il software dell'universo: saggio sulle leggi di natura. I Mauro Dorato. - [Milano] : Bruno Mondadori, [2000] . 3 04 p. ; 17 em - (Biblioteca delle scienze) . ISBN 88-424-9708-8 : 1. 25.000 1 . Epistemologia. 5 1 1 .3

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