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Simone Conti - L’Occhio del Fotografo

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L’OcchioFotografo

delL’OcchioFotografo

del

DIFFERENZE E SIMILITUDINI TRA VISTA E FOTOGRAFIA

Simone Conti

L’OcchioFotografo

del

DIFFERENZE E SIMILITUDINI TRA

VISTA E FOTOGRAFIA

Simone Conti

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Ciao, mi chiamo Simone Conti e da oltre 20 anni mi occupo di tecnologia e programmazione in campo informatico. Parallelamente ho sviluppato la mia

passione personale per la fotografia, prima da semplice amatore, poi in modo sempre più professionale e approfondito.

Dal 2000 lavoro a tempo pieno nel mondo della comunicazione spalla a spalla con creativi e grandi professionisti dell’immagine. Da alcuni anni le mie grandi passioni per la fotografia e per l’informatica hanno trovato il giusto equilibrio nell’era del digitale e all’interno del mondo della comunicazione creativa

CHI SONO

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diventando anche un’attività concreta in continua evoluzione e sviluppo.

Il mio approccio alle cose è sempre molto “scientifico”: mi piace indagare come le cose funzionino, mi piace conoscere le regole che governano le meccaniche dei miei interessi in modo da poterle infrangere, con consapevolezza, per creare qualcosa di nuovo.

Il mio approccio alla fotografia non fa eccezione.

se vuoi puoi scrivermi all’indirizzo [email protected]

oppure seguimi su Twitter: ITnok

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Spesso mi sono chiesto cosa ci fosse, scientificamente, dietro alla mia capacità di vedere il mondo circostante. Mi sono chiesto come funzionassero i miei occhi e perché, a volte, fosse così difficile riprodurre la mia visione fermandola in un fotogramma. Altre volte mi sono chiesto perché una fotografia fosse in grado, nella sua sintesi, di restituire così tanti dettagli e riuscisse a catturare la mia attenzione.

Dopo approfondite ricerche e dopo essermi documentato, penso che parte delle risposte a queste domande possano essere individuate se si analizza e si capisce come i nostri occhi funzionino e come percepiscano la realtà che ci circonda.

Se vorrai seguirmi nella lettura di questo ebook di FotografiaProfessionale.it, vorrei condividere con te quanto ho potuto scoprire riguardo alle differenze e

INTRODUZIONE

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similitudini tra la vista umana e la fotocamera. Sia tu fotografo amatore, professionista o semplicemente un curioso, spero che troverai piacevole capire meglio come percepisci la realtà che ti circonda e perché.

Buona lettura.

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L’occhio umano, coadiuvato dalla straordinaria capacità del cervello di elaborare dati è l’organo sensoriale che ci permette di ricostruire per immagini tutto ciò che ci circonda.Prima ancora di capire e analizzare le differenze e le similitudini tra l’occhio umano e gli strumenti fotografici, penso sia interessante imparare a conoscere come questo organo funzioni e come riesca a interpretare la realtà che ci circonda.

Nonostante per tutti noi il concetto di “vista” sia chiaro ed evidente è difficile rendersi conto che ciò che l’occhio vede in realtà, e la conseguente elaborazione che ne fa il nostro cervello (elaborazione che noi percepiamo come la “realtà”), siano due cose nettamente differenti. È come se il nostro occhio in ogni istante registrasse una moltitudine di dati fotometrici del mondo esterno e li passasse al cervello per essere elaborati. Il cervello

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allo stesso tempo esamina tutti questi dati, li rielabora e li ricompone per restituirci un’unica immagine dettagliata, piena di colore, istante per istante.

Ciò che permette al nostro occhio di percepire luce, colore e quindi forma, sono i coni e i bastoncelli. Coni e bastoncelli sono cellule fotosensibili presenti nella parte interna del bulbo oculare in quantità molto diverse tra loro. Normalmente il rapporto tra coni e bastoncelli è di quasi 1:20. Ciascuno dei nostri occhi contiene approssimativamente 7 milioni di coni e 120 milioni di bastoncelli.

L’occhio umano, per restituirci tutti i dettagli di una scena, deve necessariamente scandagliarla

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incessantemente e andarsi a posare su tutti i dettagli che la compongono. Questo costante moto cui è costretto il nostro occhio è dovuto alla sua scarsa capacità di messa fuoco che è limitata a solamente 0,5° rispetto al totale campo visivo umano che normalmente si attesta sui 130°. Oltre quei miseri 0,5° ciò che il nostro occhio percepisce è confuso e fuori fuoco.

Ciò che il nostro occhio percepisce è molto simile a ciò che un obiettivo fotografico di scarsa qualità resituisce sulla pellicola o sul sensore della nostra macchina digitale. Il nostro occhio è “affetto” da vignettatura perenne. Questo ci permette di capire, inoltre, come mai quello che dai puristi viene considerato un difetto dell’obiettivo, la vignettatura, in realtà sia un effetto così apprezzato nelle fotografie e aiuti l’osservatore a concentrare il proprio focus. Troviamo piacevole la vignettatura perché mima quello che il nostro occhio è abituato a percepire, rendendoci la fotografia più familiare e intima.

Capacità di messa a fuoco e percezione del colore sono due fattori direttamente collegati, infatti la maggior parte dei coni presenti nell’occhio si trova proprio in corrispondenza della parte centrale del nostro campo visivo. Sono proprio i coni i principali responsabili della nostra capacità di visione diurna e

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sono i responsabili anche della nostra accuratezza nel percepire il colore. Esistono infatti tre diversi tipi di coni e ciascun tipo è in grado di recepire solo una determinata lunghezza d’onda dell’intero spettro luminoso. I coni dei nostri occhi sono rispettivamente sensibili al rosso, al verde e al blu. Esistono casi di persone con fino a quattro o cinque tipi diversi di coni che sono pertanto dotate di un’eccezionale capacità di distinguere i colori e le più insignificanti sfumature che li separano. Esistono inoltre persone dotate di un numero inferiore di coni (come per coloro affetti da daltonismo) che non riescono a distinguere tutte le sfumature di colore e dei passaggi tonali.

Maggiore è la quantità di luce che colpisce i nostri occhi, maggiore è la nostra capacità di percepire i colori e le sfumature. Quando la luce inizia a diminuire l’attività dei coni diventa sempre meno influente e viene gradualmente soppiantata dalla capacità dei bastoncelli di percepire pura luminanza. I bastoncelli non sono infatti in grado di percepire il colore, ma solo di captare quanta luce (indipendentemente dalla lunghezza d’onda) li colpisce. I bastoncelli restituiscono pertanto una visione totalmente monocromatica e permettono di definire tutti i toni di grigio che separano il bianco dal nero.

A causa del posizionamento dei coni solo sulla parte

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centrale della retina, anche in condizioni di piena luce gli estremi del nostro campo visivo rimangono capaci di percepire solamente tonalità di grigio.

I bastoncelli sono molto più sensibili dei coni alla luce e la loro sensibilità è così elevata che permette loro di percepire il passaggio anche di un singolo fotone. Per capire quanto questo dato sia incredibile è sufficiente pensare che in normali condizioni di luce il nostro occhio viene mediamente raggiunto da circa 3000 fotoni ogni secondo. Mano a mano che la luce cala durante la giornata l’influenza dei coni diminuisce e la nostra capacità di percepire il dettaglio, grazie ai bastoncelli aumenta di conseguenza. Essendo inoltre l’area della retina coperta dai coni, molto piccola rispetto al totale, è facile capire come nelle condizioni di luce soffusa dove anche i bastoncelli entrano nell’equazione, la nostra capacità percettiva aumenti

CuriositàAnche in pieno giorno, se stessimo guardando fisso di fronte a noi, e un oggetto sconosciuto entrasse da lato nel nostro campo visivo, non saremmo in alcun modo in grado di distinguerne il colore fino a quando l’oggetto non arrivasse al centro del campo visivo o girassimo lo sguardo nella sua direzione.

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a dismisura.

Forse dopo questi chiarimenti sul funzionamento dell’occhio umano ti sarà più chiaro perché siamo tutti sempre affascinati dalle immagini in bianco e nero. Penso che ora ti sia più chiaro perché proprio dove c’è assenza di colore, la nostra capacità di distinguere i particolari diventi più acuta e appagante.

Ora che abbiamo un’idea un po’ più approfondita di come il nostro occhio funzioni, vediamo quali sono le similitudini con il nostro strumento di lavoro: la macchina fotografica sia essa analogica o digitale. Iniziamo ad analizzare l’elemento tecnico fondamentale per la definizione delle nostre immagini, l’unico che rimane costante, con le sue caratteristiche, sia in digitale che in analogico: l’obiettivo.

L’occhio umano è infatti il nostro obiettivo, ma che tipo di obiettivo è? Sicuramente è facile capire che non si tratta di uno zoom, è ovviamente una lente fissa, ma qual è la sua lunghezza focale e che apertura

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(diaframma) lo caratterizza?

Innanzitutto è necessario considerare il fatto che la visione umana avviene attraverso due occhi. Come già anticipato in precedenza le immagini catturate dai nostri occhi vengono poi ricomposte dal cervello, fino a formare un unico panorama che copre un campo di circa 120°/140°. La capacità di coprire un così vasto campo visivo significa che l’azione combinata dei nostri occhi può essere paragonata al comportamento di una lente grandangolare su una macchina fotografica panoramica 6x12 al netto delle ovvie distorsioni e aberrazioni. Nonostante il nostro campo visivo possa essere paragonato ad una lente ultra-grandangolare, i nostri occhi ci restituiscono una prospettiva e una relazione tra linee e oggetti molto più simile a quella che normalmente viene definita “lente normale”.

CuriositàCon “lente normale” si intende una lente che restituisce i rapporti spaziali tra oggetti e linee in modo simile al nostro occhio.

Contrariamente a quanto stabilito dagli standard industriali di 50/55mm per la definizione di “lente normale” nel formato 24x36mm, una “lente normale” equivale a circa 43mm.

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Questo comportamento è impossibile da riprodurre, con totale fedeltà, con qualsiasi lente o macchina esistente. La ragione per cui è impossibile mimarlo in modo perfetto è ovviamente la duplicità caratteristica della visione umana: i nostri occhi grazie all’azione combinata del nostro cervello ci permettono di avere un campo visivo da lente ultra-grandangolare, ma senza le distorsioni e le aberrazioni che ne sono caratteristica peculiare.

Per gli amanti della pellicola e del mondo Leica la “lente normale” è naturalmente il 35mm… magari nella sua incarnazione Summilux f/1.4!

CuriositàSe vogliamo parlare di medio-formato l’obiettivo che meglio mima la visione umana sia per definizione che per accuratezza è lo ZEISS Biogon 38mm montato su una Hasselblad serie SW.

Per oltre 50 anni questo obiettivo caratterizzato da totale assenza di distorsione, di un campo di 90° senza alcuna caduta di luce ai bordi è rimasto lo standard insuperato per qualità e perfezione.

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Possiamo pertanto dire che quando guardiamo attraverso il mirino della nostra macchina fotografica, usando un solo occhio, la nostra visione è simile, per quanto riguarda la prospettiva e il rapporto tra gli oggetti, a una “lente normale”. Per quanto riguarda il campo visivo invece, la visione che ci viene restituita

Il Biogon 38mm venne più volte scelto e utilizzato anche dalla NASA come strumento ottico di precisione.

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da un singolo occhio equivale approssimativamente a quello restituito da una lente 22/24mm per il classico formato pellicola 24x36mm (il “Full-frame” per il digitale)

Forse ora ti sarà più chiaro, razionalmente parlando, perché i fotoreporter scelgano quasi sempre di scattare con lenti ultragrandangolari. Tralasciamo gli aspetti tecnici come la facilità di mettere a fuoco una maggior porzione dell’immagine utilizzando l’iperfocale. Il “vero” motivo è che un’immagine di reportage scattata con una lente grandangolare “trascina dentro” l’osservatore perché lo proietta in una dimensione spaziale che è molto simile a quella della propria visione. Il fotografo che fa reportage scatta con lenti grandangolari perché sono le sole in grado di restituire un’immagine in grado di farci percepire la “dimensione del ricordo” che l’accompagna.

Cerchiamo di definire ora altri due aspetti fondamentali delle capacità del nostro occhio: tempi e diaframmi. Per quanto riguarda i tempi, da varie misurazioni scientifiche effettuate sembra che la velocità dell’otturatore dell’occhio umano sia normalmente di circa 1/100 di secondo. In condizioni di particolare attenzione, in relazione alla luce ambiente e ovviamente all’età dell’osservatore la velocità dell’otturatore dell’occhio umano può arrivare a distinguere come separati flash

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luminosi con una frequenza anche fino a 1/200 di secondo.

A dispetto dei tecnicismi e delle ragioni meccanico/costruttive questo ci riconduce immediatamente alla velocità di sincronizzazione tra otturatore delle macchine fotografiche e flash. Tale velocità per moltissimi anni è stata fissata in 1/125 di secondo. Ora la velocità di sincro arriva normalmente a 1/200 di sencodo e molto spesso a 1/250 di secondo. Quasi sempre il mezzo tecnico che abbiamo tra le mani, la nostra macchina fotografica, tende a mimare la fisicità dei nostri occhi.

Per quanto riguarda l’apertura di cui è capace il nostro occhio possiamo dire di avere una cosiddetta “lente veloce”, una lente capace di lasciare passare una grande quantità di luce. Il diaframma del nostro occhio è la pupilla che dilatandosi e restringendosi provoca il passaggio di più o meno luce all’interno del bulbo

CuriositàLa luce artificiale prodotta dai tubi neon non è continua. Il nostro occhio la percepisce come tale solo perché non è in grado di percepire variazioni di luce tanto rapide.

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oculare.

Da misure effettuate sembra che l’apertura massima del nostro occhio equivalga mediamente a circa f/2.4. Sempre in relazione ai vari soggetti sembra che tale valore possa variare considerevolmente e sembra poter spaziare tra f/2.1 e f/3.8. Come già accennato in precedenza in relazione alle caratteristiche dell’occhio umano questi valori sono soggetti a variazioni, oltre che tra soggetto e soggetto, anche in relazione all’età e allo stato di salute dei soggetti. Ad esempio è dimostrato che la massima apertura del nostro occhio decresca progressivamente con l’avanzare dell’età.

Se consideriamo invece la minima apertura, il nostro occhio è sicuramente molto inferiore a qualsiasi lente fotografica. Possiamo dimenticare tranquillamente aperture come f/32 e anche f/22. Se pensiamo ad esempio a condizione di luce particolarmente intense come una giornata in spiaggia o sulla neve, i nostri occhi non riusciranno a scendere sotto f/8 o nel migliore dei casi f/11.

Sono sicuro che se mi hai seguito fino a questo punto, una domanda possa sorgere spontanea. Fino ad ora, infatti, è stata tralasciata una variabile dell’equazione che permette di creare una fotografia. Abbiamo visto come l’occhio raccoglie e interpreta la luce, abbiamo

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analizzato le caratteristiche dell’occhio come lente fotografica: quali siano le sue peculiarità ottiche, quale sia il suo intervallo di f/stop. Abbiamo considerato anche quale sia la velocità del nostro otturatore. Abbiamo anche parlato della sensibilità del nostro occhio ai fotoni, ma non l’abbiamo quantificata. Ora, qual è l’effettiva sensibilità ISO dell’occhio umano?

In questo campo l’occhio umano rimane ancora uno strumento unico e ineguagliabile da qualunque apparecchiatura tecnica sia per prestazioni che per versatilità.

Per ciò che concerne la sensibilità ISO la pellicola è forse il materiale meno versatile: ad ogni pellicola corrisponde una sola sensibilità ISO. Per cambiare sensibilità è strettamente necessario cambiare pellicola. All’aumentare della sensibilità ISO diminuisce la definizione della pellicola a causa dell’aumentare della grana della gelatina fotosensibile che la costituisce.

Il digitale in questo campo ha portato un’innegabile vantaggio. Nonostante ciascun sensore abbia una sua definita e predeterminata sensibilità ISO, tale sensibilità può essere artificialmente amplificata elettronicamente. Questo ci consente, anche ad ogni scatto, di variare la sensibilità ISO come meglio

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crediamo. Svantaggio di questo stratagemma tecnico è che l’amplificazione del segnale elettrico trasmesso dal sensore della macchina digitale comporta, all’aumentare degli ISO un progressivo aumentare del “rumore di fondo” presente nello scatto. Maggiore è la sensibilità ISO, maggiore è il “rumore” (non chiamatela grana… quella c’è solo nella pellicola) presente nell’immagine.

L’occhio umano è virtualmente immune da questi difetti e ha la capacità di variare senza soluzione di continuità la propria sensibilità ISO in relazione alle condizioni di luce ambiente nelle quali viene a trovarsi. L’occhio umano ha la capacità di abbassare la propria sensibilità fino all’equivalente di 1 ISO in condizioni di estrema luminosità della scena e può aumentarla fino a quasi 1000 ISO in condizioni di scarsa illuminazione continuando a performare al massimo delle sue capacità di percezione del colore e senza alcun aumento di grana, rumore o qualsiasi altro difetto.

Ma c’è forse un’altra cosa che rende l’occhio umano ancora più incredibile. È qualcosa con cui chiunque abbia mai fatto fotografia, a qualunque livello si è dovuto scontrare: il contrasto.

La migliore pellicola che si possa trovare può vantare un contrasto di circa 35:1. Questo significa che questa

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pellicola può rappresentare tutte le gamme tonali di una scena in cui la differenza tra il punto più scuro e il punto più chiaro sia al massimo di 35 volte. Se il punto più chiaro della scena sarà più chiaro di 35 volte rispetto al punto più scuro non sarà possibile restituire fotograficamente tale dettaglio.

Il miglior sensore digitale può arrivare a rappresentare una scena con un contrasto di circa 50:1. La tecnologia sta progredendo rapidamente e questa barriera viene infrante con sempre maggior frequenza, portando alla costruzione di sensori capaci di definire in modo appropriato scene con contrasti sempre maggiori, ma siamo ancora molto lontani dalle capacità dell’occhio umano. La capacità del nostro occhio di percepire differenze di contrasto in una scena sono in fatti di oltre 10.000:1. Nessuna combinazione di lente e macchina fotografica, analogica o digitale al mondo è ancora in grado di avvicinarsi anche lontanamente a tali valori.

Penso ci sia un’ultima curiosità cui bisognerebbe cercare di fornire una risposta. Quando esisteva solo la pellicola e le macchine fotografiche erano solo analogiche forse non era una domanda così pressante, ma ora nell’era del digitale e dei messaggi di marketing basati solo ed esclusivamente sul Megapixel… quanti Megapixel è il nostro occhio?

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A questa domanda è discretamente difficile trovare una risposta. Come già detto in precedenza l’occhio umano non “scatta fotografie”, ma scandisce incessantemente la realtà circostante percependone definita sono una piccolissima porzione. Il nostro cervello ha il compito, istante per istante, di mettere assieme tali immagini per costituire ciò che noi vediamo come un fotogramma perfettamente a fuoco e definito da bordo a bordo (anche se sappiamo non essere in realtà così)

Diciamo quindi che se volessimo definire la risoluzione di un singolo occhio umano, con la sua capacità di coprire un angolo di circa 90° e la sua lunghezza focale di circa 24mm su una macchina full-frame 35mm otterremmo l’impressionante valore di 576Megapixel. Ancora una volta la tecnologia dovrà fare ancora molta strada per eguagliare la natura.

Perciò a quale risoluzione sarebbe necessario stampare un’immagine in modo che riesca ad appagare in maniera completa la capacità di risoluzione ottica dell’occhio umano? Anche in questo caso è stata fatta solo una stima. Sembra che partendo da un file di circa 80Megapixel stampato in formato 35 x 50 cm alla massima risoluzione possibile, si ottenga una stampa che, se osservata da circa 50 cm di distanza, riesca ad appagare in modo completo la risoluzione

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ottica dell’occhio umano.

Vorrei aggiungere solo un’ultima curiosità. Esiste un piccolo “fallo” negli occhi di ciascuno di noi. Esite un punto cieco dovuto al modo in cui il nostro occhio è connesso con il cervello. All’interno del bulbo oculare, la parte posteriore dell’occhio (la retina) è coperta dai fotoricettori responsabili della trasformazione della luce in impulsi elettrici. Tali impulsi elettrici vengono trasmessi al cervello attraverso il nervo ottico. Il punto in cui il nervo ottico è collegato al nostro occhio è l’unico punto della retina in cui non sono presenti fotoricettori e rappresenta pertanto un punto cieco.

Non ci credi? Vuoi provare un piccolo esperimento?

Prova a chiudere l’occhio sinistro e osserva attentamente e direttamente il simbolo “+” riportato sotto utilizzando il tuo occhio destro. Allontanati o avvicinati al foglio fino ad una distanza di circa 25/30

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cm e vedrai l’asterisco sparire dal tuo campo visivo!

+ *

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Spero che ora qualche dettaglio sia più chiaro. Spero di averti chiarito quanto eccezionale sia l’accoppiata occhio/cervello e quanto certe nostre percezioni legate alla fotografia siano legate proprio al funzionamento dei nostri occhi.

Adesso penso tu abbia un’idea più chiara del perché le fotografie caratterizzate da vignettatura piacciano, del perché il bianco e nero affascini e continui ad affascinare e soprattutto del perché certe condizioni di luce siano difficilmente riproducibili con la tua fotocamera.

Adesso dovresti avere anche maggior chiarezza sul perché la scelta di una certa lente sia importante per restituire una determinata sensazione, perchésolo con certe focali si ricreare con buona approssimazione il “sapore” dello sguardo.

CONCLUSIONI

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La tecnica e la tecnologia legate al mondo della fotografia sono in continuaevoluzione e cercano di mimare in modo sempre più corretto la nostra percezione. Già oggi esistono le possibilità per avvicinarci a quel limite e il nostro intento su FotografiaProfessionale.it è quello di fornire risposte e metodologie pratiche per oltrepassare alcuni dei limiti tecnici che ci vengono imposti.

Al di là dei limiti tecnici, che sono destinati col tempo a cadere, rimane però la straordinaria unicità della macchina occhio/cervello, unico strumento al mondo in grado di percepire il bello!Nessun obiettivo e nessun sensore potrà infatti sostituire la percezione umana della bellezza, l’occhio e la sensibilità del fotografo che vede qualcosa di interessante, unico e meraviglioso in particolari all’apparenza insignificanti.La capacità di elaborare le immagini che raggiungono l’occhio e tradurle in sensazioni ed emozioni, il talento di trasformare un’inquadratura in un’opera d’arte, provengono da quella parte della “macchina uomo” che difficilmente riusciremo a replicare in una macchina.

Se questo ebook è riuscito a chiarirti dei lati oscuri, a risvegliare il tuo interesse e la tua curiosità, penso che

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potrai trovare molto altro materiale interessante suFotografiaProfessionale.it.

Se hai domande… sono a tua disposizione!