la siringa giugno 2016

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La nozia pungente! Giugno 2016 Giornalino degli studenti del Liceo scientifico Galeazzo AlessiPG

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Settimo numero de La Siringa per l'anno scolastico 2015-2016

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Page 1: La Siringa giugno 2016

La notizia pungente! Giugno 2016

Giornalino degli studenti del Liceo scientifico “Galeazzo Alessi” PG

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E ccoci qua, siamo agli sgoccioli, si vede quasi quel bel traguardo

chiamato estate, a poco me-no di 20 giorni, beh, forse per qualcuno se ne aggiungeran-no pochi altri (in bocca al lupo maturandi!), ma non è ancora il momento di fare il count-down, piuttosto mi sembra più saggio sfruttare appieno ogni singolo istante per recu-perare e, chi non ne ha biso-gno, per aggiustare le temute medie. Ormai è per me con-suetudine cominciare l’edito-riale con un aforisma che sia in grado di racchiudere tutto il senso del mese trascorso, questa volta vorrei mettere una citazione in grado di spiegare tutto quello che que-st’anno è stato per noi de “La Siringa”. Credo che le parole più adatte siano quelle di Goethe: “le cose migliori si ot-tengono solo con il massimo della passione”, non può che essere la NOSTRA frase, quella che più ci caratterizza. Voglio dirlo a gran voce e con orgoglio: quest’anno TUTTI ci abbiamo messo il cuore, in ogni parola che abbiamo digi-tato sulla tastiera dei pc, ogni volta che dovevamo piegare

quelle interminabili 300 copie. Non mi sembra quasi vero di essere qui a scrivere l’ultimo editoriale dell’anno da capo-redattrice, tre anni fa, quando per la prima volta ho parteci-pato ad una riunione di reda-zione, mai mi sarei aspettata di vedere ragazzi che danno anima e corpo pur di fare uscire il giornale, proprio per questo non posso che dedi-care questo mio pensiero a tutti quelli che hanno lavorato e collaborato tutto l’anno per fare uscire sette numeri, un altro motto? “come raggiun-gere un traguardo? Senza fretta, ma senza sosta”! In-nanzitutto ringrazio Chiara Brozzi la miglior caporedattri-ce che, nonostante qualche discussione, si fa veramente in quattro pur di dare il massi-mo: grazie Chiara per aver sopportato i miei capricci e i miei sbalzi d’umore, grazie per aver dedicato ore ed ore ad impaginare pur di far usci-re il giornale in tempo. Poi non posso non ringraziare Sonia Forlimbergi che, duran-te i miei (frequenti) momenti di crisi, mi ha sostituita e, spesso, anche superata per bravura ed efficienza. Rin-

grazio, ovviamente, tutti i re-dattori che, tra verifiche e le interrogazioni, sono stati par-tecipi tutto l’anno e con pas-sione hanno reso possibile pubblicare sette numeri, “La Siringa” ormai funziona tutta insieme, come un solo indivi-duo con tante braccia, pc e teste. Grazie ragazzi! Grazie alle prof. Sse Belcastro, Flori-di e Marini che ci hanno se-guito con pazienza e dedizio-ne e ultima, ma non ultima, la Prof. Persichetti che con pas-sione, costanza, non dimenti-ca di tutte le altre attività e impegni scolastici, ci ha rega-lato il suo tempo facendoci crescere come persone e gio-vani giornalisti, per lei un anti-co proverbio turco: “un buon insegnate è come una cande-la, si consuma per illuminare la strada agli altri”, grazie Prof. per la luce e per la gui-da incessante. Saluto e rin-grazio voi, cari lettori, vi la-scio con un sorriso e Erri De Luca: “la cima è il mio punto e a capo. Bello per me che coincide con il cielo”. Buon fi-ne anno e buona estate, ci vediamo (leggiamo) l’anno prossimo! . Benedetta Tedeschi 3F

“ERRATA C’HORRIGE” Con ironia intitolo il mio “errata corrige”, perché vorrei farmi una risata con voi e fare ammenda per il mio pindarico salto,

non logico, bensì consonantico. “Amor ch’al cor gentile” è uno dei versi più noti della storia della letteratura e, nel battere il ti-

tolo, per troppa sicurezza (o forse tanta stanchezza, perdonami Dante: sono a fine scuola), un’ “h” è stata accidentalmente cas-sata e traslata… perciò, cari lettori, scusate e, mi raccomando,

sempre occhio alle H !!!v Benedetta

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VOTA PANNELLA

C aro Marco, Grazie. Hai lasciato un'impronta in questo Paese. Tanti

giovani non sanno neanche chi Tu sia; ma è grazie a Te che l'Italia è così moderna, umana, così come tutti la co-nosciamo. Ogni Tua Battaglia è stata fondamentale per re-galare a tutti noi Diritti e Li-bertà che oggi ci sembrano scontati. Diciamocelo, non hai mai preso più del 4%, ma hai portato a casa un numero incredibile di Grandi Vittorie; molte più di quanto siano riu-sciti a fare tanti Tuoi colleghi,

quelli che sbarcavano in poli-tica con i "grandi numeri" del 30%. Non voglio entrare nel merito dei Tuoi pensieri politi-ci; mi limito a dire che, per molte delle Tue Lotte, sarei stato con Te. La Tua sempli-cità, Ti ha permesso di rag-giungere le Stelle: non quelle dei politici influenti, chiusi e manipolatori, esperti di sot-terfugi e trucchetti; ma quelle Stelle che nascono tra la Gente, la parte migliore del Popolo Italiano. Non sei mai andato con le molotov per le strade, o a scontrarti con i militanti di qualche movimen-to estremista, non hai mai fatto ostruzionismo, bagar-re... E perché? Perché, come

ci hai insegnato, non ti ha mai interessato il potere. Hai sempre pensato a noi: tra gli innumerevoli sacrifici fisici, uno sciopero della fame e della sete dietro l'altro, men-tre Papi, Capi di Stato e altre istituzioni ti supplicavano di tornare a mangiare qualcosa, Tu, in compagnia delle Celtic o dei toscanelli alla grappa, continuavi a batterTi, perden-do 30Kg a campagna. Ma hai anche passato tutte le festivi-tà in carcere, tra i detenuti. Mi torna in mente, giusto per citarne uno tra tantissimi, an-

che quell'e-pisodio del '97, quando, per la legaliz-zazione delle droghe leggere, regala-sti in diretta Rai 200 grammi di ha-

shish alla presentatrice, la D'Eusanio. Così commenta-sti:-"Ti ho regalato il mio arre-sto! Facendo questo, o met-tono in galera anche me, o tirano fuori gli altri!". Eccola, quindi, un'altra delle Tue le-zioni che resterà eterna:-"Faccio politica sui marcia-piedi!", ed è per questo che sei stato tra i pochi politici non scortati, a girare tra ma-nifestanti, incassandoti senza problemi, con due tumori e la vecchiaia, anche sputi e spin-te della folla. Ma non Ti im-portava un granché, infatti, con quel bel sorriso stampato in volto, Ti sei sempre ferma-to a dialogare con calma con chiunque, anche il più anima-

to, ti conte-stasse. Immagi-ni qual-che al-tro Tuo collega, in mez-zo agli indignatos romani? Avrebbe sfoderato scorte, auto blu, identificazioni e querele. Ma Pannella, anche per questo sei un Grande Leone! E non lo dico solo io. Lo diciamo tutti in coro! Tutte le Istituzio-ni, in Sala Aldo Moro a Pa-lazzo Montecitorio, sono ac-corse per porgerTi un ultimo, rispettoso, Omaggio. E non è per niente facile guadagnarsi il rispetto degli avversari in politica, lo sai bene. E invece hanno pensato tutti a Te, condividendo i ricordi e le im-pressioni migliori di un Gran-de Combattente. L'Italia inte-ra, che hai lasciato migliore di come l'hai trovata, l'ha fat-to. E per questo, Ti siamo tutti grati. Ciao Marco, non avremmo saputo fare di me-glio. Giovanni. Giovanni Costantini 3F

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L ’Aja è una grande città che sembra aperta campagna. Arriviamo

dopo un breve volo e una lunga corsa in autostrada, che costeggia Bruxelles e città dai nomi che abbiamo soltanto immaginato dai ban-chi di scuola: Liegi, Anversa, Rotterdam…Waterloo! En-trando in città la ressa dei mezzi pesanti scompare. Ovunque, lungo le larghe strade, parchi e boschi attra-versati da piste ciclabili per muoversi sotto alberi secolari, nei suoni della natura. Aree pedonali, aria frizzante di ma-re, grida di gabbiani, legioni di biciclette e passeggini con neonati rosei e biondi. A cena andiamo in famiglia: tipical Duch Food! Sono mol-to accoglienti, come le loro case: colorate, essenziali, funzionali. L’atmosfera è ami-chevole e rilassata, il cibo buonissimo! Non tramonta mai il sole e la temperatura è più gradevole di quella italiana. Tra casette di mattoncini rossi e severe imponenti chiese medievali la strada per il mare ….è in sali-ta….

L a scuola che vorrei…. Il Maris College è molto

accogliente: tanto verde intor-no, campi da calcio e da ten-nis, e grandi vetrate lumino-se. L’ingresso è coloratissimo con tavoli, divani e una gran-de caffetteria, dove gli stu-denti attendono tranquilla-mente di entrare nelle classi per le lezioni. Il Preside pren-de un caffè con loro ai tavoli. Tutto è molto colorato, mo-derno, semplice e funzionale. Comincia la giornata: i ragaz-zi olandesi prendono i libri nei loro armadietti e vanno nelle aule: tappezzate di posters, piene di oggetti, modelli, co-

stumi perfino: molto colore, cultura materiale oltre che teorica. E poi c’è un’aula di teatro che è un vero teatro: costumi, palco, sipario….. Un’ aula di musica con strumenti musicali per tutti, palco, luci amplificatori…….. Siamo nell`aula tecnica di disegno dove abbiamo a di-

sposizione moltissimi stru-menti, dai computer a cartel-loni e colori, perfino trapani, frese seghe e martelli!!!!! (Ma quelli non li sappiamo usa-re..) Comincia il lavoro del progetto Climate Change e gli insegnati olandesi entrano in azione: c’è un “lancio creati-vo" del tema: “Ladies and gentlemen. We have a pro-blem. The sea is dead!” an-nuncia il Prof. Noel Sies, creative manager della scuo-la, salendo su uno sgabello. Poi una Short Story: due pae-si, uno agricolo e uno indu-striale, si accusano a vicenda di aver avvelenato il mare e prodotto cambiamenti climati-ci. I ragazzi vengono divisi in gruppi misti: dovranno creare l’uno e l’altro paese, descri-verlo, disegnarne la mappa, la bandiera, i costumi: Draw the map with details- draw flags- make clothes- describe people and their occupations. Venerdì` ci sarà lo Europe

Day, gli studenti presenteran-no in vari stands i loro paesi e due stands saranno per que-sti nuovi utopici paesi creati dagli studenti, con nomi strani e ibridazioni culturali, con problemi comuni, con soluzio-ni per l’ambiente di domani. I docenti olandesi distribui-scono materiali di lavoro e

un dossier di processo: le consegne sono dettagliate e precise, sia negli Steps che negli Output. Poi i ragazzi vengono lasciati a sviluppare il lavoro. I docenti si trasfor-mano in facilitatori, girano per i banchi dando consigli e scandiscono i tempi di lavoro. Gli italiani sono perplessi: niente contenuti? Spiegazio-ni? Dov’è la lezione? Si lavo-ra molto spesso in gruppo nella scuola olandese: nelle classi i banchi sono uniti a formare tavole rotonde con le sedie intorno. La cattedra invece è spesso in un angolo ed assomiglia piuttosto ad una scrivania da ufficio, con tutto quello che serve, com-preso telefono e stampante. Nella didattica dei miei colle-ghi colgo queste linee guida: i ragazzi devono essere auto-nomi e dotati di spirito di ini-ziativa: per questo lo stile del problem solving e del lavoro di gruppo. E` molto importan-

CRONACHE DALLE TERRE BASSE

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te per loro che facciano qual-cosa di creativo e materiale: non fanno continuamente lezioni frontali, o sono molto brevi. Meglio ricerche dibattiti, progetti creativi. I ragazzi im-parano l’inglese, e non solo, soprattutto facendo, speri-mentando, progettando insie-me e discutendo. E` un fatto che loro sanno l’inglese me-glio di noi. Sia studenti quin-dicenni che docenti ( sono a proprio agio soltanto le Prof. Marini e Ricotta, beate loro!!!) La professoressa Karin Krens, insegnante di arte, ci spiega che nel lavoro didatti-co è fondamentale per gli insegnanti la fase prepara-toria; sapere con esattezza dove si vuole arrivare con una certa esperienza e attivi-tà`, condividerlo con i colleghi e comunicarlo in modo molto chiaro ai ragazzi. La scuola inoltre fornisce tutto il mate-riale, compresi i libri di testo, che vengono dalle famiglie presi in affitto a basso co-sto e riconsegnati integri a fine anno. I nostri studenti dicono che in Italia si studia di più`, ma questa organizza-zione in certi aspetti è real-mente interessante e potreb-be migliorare la scuola italia-na. Alla fine del lavoro intanto tutti gli studenti riordinano e riconsegnano strumenti e materiale. Nella Hall a turno fanno le pulizie!

Z uppa a colazione Per colazione…zuppa di

piselli liofilizzata! Poi arriva Karen con la busta della spe-sa: ci offrono un gustosissimo pranzo di sandwich, insalata, ortaggi freschi, frutta, affettati salmone, formaggio: in sala professori c’è una vera cuci-na, con frigo, microonde, la-vastoviglie, e una vera caffet-teria, con una modernissima macchina bar e vasto assor-timento. Gratis. La sala pro-

fessori ha una pare-te di vetro affacciata sul verde, grandi tavoli di legno chiaro dove i colleghi lavorano, o chiac-chierano davanti a tazzoni di the fumante o ad una insalata che si possono preparare al momento. Ci sono piante, postazioni com-puter modernissime, pannelli di lavoro ed un’atmosfera molto rilassata ed efficiente allo stesso tempo. Che ap-proccio diverso! Alla scuola, alla vita….Più liberi, più rispettosi delle esigenze e della personalità propria e altrui. Non c’è traccia della nostra tipica ansia, impazien-za, noia, competitività.

D elft Vermeer ha dipinto un

celebre quadro dedicato a questo borgo antichissimo, che ospita le tombe dei reali d’Olanda e sembra davvero Amsterdam in miniatura. Cu-riosiamo nelle piccole botte-ghe, mentre osserviamo un po’ stupiti i soldati in tuta mi-metica che fanno giocare bambini e adulti in pericolosi passaggi su cavo, sopra i canali o giù dal vertiginoso campanile gotico della piaz-za: è la festa dell’esercito! Ricordfo da portare a casa: il delizioso sapore dei poffa-gies, una specie di mini pan-cakes con burro e vaniglia.

C ominciare a lavorare a quindici anni

Che tu sia povero o ricco, che tu voglia o no continuare gli studi dopo il college, a quindi-ci anni cominci a lavorare: magari un pomeriggio a setti-

mana, però impari a trovarti un’occupazione, ad essere autonomo. La prof. Patty Fis-ser mi racconta che i suoi studenti lavorano tutti, e che questo è importante soprat-tutto per le ragazze, perché imparino a badare a se stes-se. Interessante. -Come si trova lavoro a quin-dici anni? -Facile- mi risponde- chiedi. Nei negozi o ristoranti, nei supermercati e nelle aziende, vai e lasci il curriculum, o compili il modulo che loro hanno già pronto. Poi ti chia-mano. -Così semplice? -Ma certo! -Si stupisce lei.- Chiedo: -Ma che tipo di lavo-ro? -Qualunque lavoro. Si comin-cia da cose facili, ad esempio fare le pulizie…. -Una madre italiana non per-metterebbe mai al figlio o alla figlia di fare le pulizie dome-stiche o nei ristoranti…. Di nuovo mi guarda stupita. Poi commenta: -Io a quindici anni facevo le pulizie alla mia anziana vicina di casa. Perché dovrebbe vergo-gnarsene? Forse ha ragione lei. Le spiego che in Italia è illegale sfruttare il lavoro dei minorenni, e che anche per i maggiorenni cerchiamo, noi genitori, di mantenerli finché non trovano il lavoro giusto.

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-Li proteggete troppo. Alcuni arrivano alla prima esperien-za di lavoro quasi a trent’an-ni! -Intanto però gli facciamo fare le simulazioni di lavoro a scuola…gli stage…l’alternanza scuola lavoro…. Stavolta la Prof Fisser non commenta. Si limita a guar-darmi con divertita ironia.

C riticità Oggi gli studenti sono

nervosi: la stanchezza si fa sentire e soprattutto l’impa-zienza rispetto ad un sistema di lavoro della scuola molto diverso dal nostro. Regole rigidissime, ad esempio ri-spetto alla possibilita` di usci-re all’aperto durante la ricrea-zione, si affiancano a vuoti di autogestione durante il lavoro didattico: mentre i maggioren-ni non possono andare in cortile alcuni tredicenni esco-no tranquillamente da soli dalla scuola alle dieci del mattino e si allontanano in bicicletta. I nostri ragazzi inol-tre considerano una perdita di tempo lavorare con cartelloni e simulazioni : non si rendono conto che in questo modo stanno confrontandosi e pro-gettando insieme ai loro ospiti usando l’inglese. Intanto lavo-rano con le mani e la creativi-tà`. Stanno conoscendo e parlando. Volevano assistere alle lezioni, o andare a vede-re il paese, invece al mattino sono a scuola. Tra qualche tempo si renderanno conto che hanno sperimentato in prima persona una didattica diversa, hanno capito che gli insegnanti si rapportano in modo diverso con gli studenti e si aspettano feed back che noi non immaginavamo. Io da insegnante sono molto soddi-sfatta e anche l’impazienza di stamattina fa parte della fati-ca educativa di un adatta-mento che consente di entra-re nella cultura diversa dalla

nostra. Mi aspet-tavo che avrebbero avuto qualche problema con il ci-bo, invece a sorpre-sa i ra-gazzi hanno avuto qualche problema con i letti a castello! Conosciamo la tendenza dei ragazzi a voler stare tutti insieme, e ne con-cludevamo, noi della genera-zione delle vacanze in tenda canadese autofinanziate, che l’ostello fosse per loro un’oc-casione per imparare uno stile di viaggio low cost, es-senziale, divertente. Anche qui invece qualche difficoltà di adattamento, salutare ed educativa anche questa: ca-mere piccole, letti a castello a tre piani…. Troppo caldo! ( Ovvio, se in una camera da sei nani pretendete di starci in venti…!) Poco spazio, dun-que, docce e bagni comuni che, pur essendo pulitissimi, impongono tempi rapidi per lavarsi e fare il resto…Anche in questo modo si apprende il rispetto degli altri, dei tempi, degli spazi comuni. I nostri ragazzi sono spesso più vi-ziati dei loro coetanei euro-pei: abituati a spazi e tempi che si ritagliano su misura, abituati a viaggi di istruzione con alberghi ( che puntual-mente vengono criticati, se non danneggiati..) e uno stile più da vacanza turistica, an-che se di un turismo cultura-le. Qui ci dobbiamo adegua-re, e alla fine ci piace aver cambiato qualcosa delle soli-te abitudini, provare qualcosa di realmente nuovo. Ci siamo molto affezionati allo stile freak dello Jorplace Hostel! E poi la gente che lo frequenta

è proprio simpatica.

N el cuore ”Ti amo ti

……..amooo……” Ebbene sì, il fascino degli Italiani qui funziona. Non solo le bellissime ragazze bionde seguono la scia dei nostri mori liceali, ma tutti gli olan-desi sono accoglienti, pieni di curiosità e simpatia verso di noi! I ragazzi, i docenti, ci portano a casa loro, si trat-tengono a lungo con noi alla sera, ci raggiungono in giro per la città. Piacere di stare insieme, solo questo. Ed è prezioso, insolito, ci prende tutti nel profondo perché non era previsto. L’ultimo giorno gli studenti cantano insieme, sono un unico gruppo. E alla sera un ragazzo olandese con gli occhi gonfi di lacrime ci legge un messaggio in ita-liano che ha tradotto con Google e che si sforza di pro-nunciare correttamente: “Amici miei pensate a me, perché io penserò sempre a voi”. Ci abbracciano e pian-gono ancora a lungo: non riusciamo a separarci. Que-sto è l’inatteso degli scambi, i rapporti con le persone, il sapore delle ore condivise, gli occhi, i sorrisi, le lacrime. Ma già un nuovo gruppo si pre-para per lo scambio al Maris College e mentre ci spiano un piccolino non si trattiene e sussurra all’insegnante Italians…what a big nose!!!! La Sirilla

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E ccoci di nuovo, per la terza e ulti-ma volta in que-

st'anno, a ringraziare e a congratularci con le numerose eccellenze del nostro liceo. In que-sto numero abbiamo de-ciso di non annoiarvi, quindi troverete solo i successi più recenti. Ringraziamo Andrea Bianchi che l’anno scor-so si era classificato se-condo e quest’anno è arrivato primo alle finali regionali della Chimica. Un ringraziamento va anche a Roberto Frittella che si è classificato quinto e a Gabriele Cipriani che si è classificato settimo, compli-menti anche agli altri classifi-cati, Marco Battistoni, Luca Andreoli, Pietro Bovini, e a tutti quelli che hanno parteci-pato. Ancora grazie agli studenti della classe IV H, a Martina Tassino, a Lucia Covarelli e a

Nicolò Ragni per il loro primo posto nella graduatoria delle Scuole secondarie di secon-do grado che hanno parteci-pato al progetto “Cittadinanza e Costituzione”. Ma non è finita qui ….… otti-mo il risultato nelle olimpiadi della Filosofia! Luca Andreoli ha partecipato insieme ad altri 87 studenti alla prova nazionale, posizio-

nandosi al sesto posto della graduatoria con il suo saggio in lingua in-glese, dedicato a questio-ni gnoseologiche. Congratulazioni a Leo-nardo Pierotti della classe 4E che ha vinto il premio Panorama-Mondadori "Cento libri per una scuo-la" bandito per le scuole superiori perugine. Ri-spondendo nella maniera più originale e convincen-te alla domanda "Qual è il tuo libro preferito e per-ché vorresti lasciarlo in eredità alla tua scuola?"

ha permesso alla biblioteca del nostro liceo di ricevere ben 100 libri. L'anno scolastico è ormai fini-to, ora non vi resta che ripo-sarvi durante le vacanze per poi tornare a settembre più carichi che mai, per continua-re la lunga ascesa dell'Alessi, già nella gloria. Sonia Forlimbergi 3D Chiara Brozzi 3F

QUAL È IL TUO SUCCESSO PREFERITO, LICEO ALESSI?

S i riapre la collaborazio-ne con Regione Umbria e Europe Direct! Dopo

l’inchiesta sulla Torre degli Sciri l’anno scorso, quest’an-no la Siringa decide di rispol-verare le sue conoscenze sulla torre medievale più im-portante di Perugia. Sabato 21 maggio alcuni dei nostri ragazzi si sono recati a far da guide turistiche alla Torre degli Sciri. È stata un’oppor-tunità per rispolverare l’in-chiesta ASOC alla quale ab-biamo partecipato l’anno scorso. Arricchire i visitatori con notizie raccolte in un an-no di ricerche e approfondi-menti anche a cura del pro-fessor Sandro Tiberini, è una gratificazione immensa. Tra

l'altro, il nostro profes-sor Sandro Tiberini ha scritto un saggio ri-guardante questa tor-re, intitolato: “Dalla Torre degli Oddi alla Torre degli Sciri: un possibile percorso sto-riografico sulle torri pri-vate perugine.” L’anno scorso ci eravamo occupati di questa inchiesta da tutti i punti di vista: ci sia-mo occupati di modificare la pagina di wikipedia con l’aiu-to di esperti; ci siamo occu-pati di indagare sull’uso dei fondi europei; ci siamo occu-pati di controllare sul posto cosa succedeva giorno per giorno e ci siamo occupati di essere presenti sempre: ai

lavori di restauro, all’inaugu-razione, all’apertura al pub-blico. Se volete visitare pure voi l'unica torre rimasta in piedi a Perugia, preparatevi a salire 270 scalini; tranquilli: arrivati in cima alla torre vi scordere-te la fatica fatta per arrivarci, grazie al panorama mozza-fiato! Margherita Esposito 2F

TORRE DEGLI SCIRI APERTA IL 21 MAGGIO

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I prossimi testi sono flussi di coscienza e giochi con la lingua e il dialetto scritti dai vostri colleghi durante le ore di sostituzione

della professoressa Fardella … buona lettura!

M ia madre mi ha svegliato. La mia colazione era sul tavolo. I miei piedi volavano sopra la strada per paura di perdere il pullman. Il pullman era in ritardo. Ho acceso una sigaretta,

bruciava, fumava. La stazione era piena di gente diversa, interessante. La mia migliore amica mi ha abbracciato, profumava di lavanda. Il secondo pullman è arrivato in orario. Oltrepasso l'entrata di scuola. Gioele Papa 2C

S vegliam suonam, alsatus copertus est, freddio et buio, lucies accendabo, vestitis in arma-dis cercabo, escit , portabagnis apertus est, freddam acqua escis ab rubinettis, hec denti-

fricio nec asciugamanio presente est. Irene Mezzasoma 2C

N ata a Perugia, cresciuta a Perugia, residente a Perugia. Da subito mostrò la sua abilità in campo: attaccante, campionessa mondiale di "lancio del coniglio ". Aveva appena due

anni, infatti, quando decise di prendere il suo adorato animale domestico, posizionarlo in cima alle scale a chiocciola e.... " GOAL", prende la rincorsa, accumula energia che si sprigiona in quel calcio che fa rotolare giù per le scale la povera Ginni. Ma in fondo, la sua formazione da atleta professionista è avvenuta dai 5 anni in poi: le partite al parco dietro casa sua, sempre a Perugia , ovviamente, si facevano sempre più avvincenti, assist, colpi di testa, dribbling, tunnel all'avversario e....."GOAL", potente, come quel calcio all'età di due anni all'adorabile conigliet-to. In realtà ancora adesso, al diciottesimo anno di carriera, ogni volta che entra in campo , Eli-sa, sprigiona tutta la forza e la determinazione che ha in sé e, come una scienziata del calcio attraversa tutto il campo, prende velocità , sfida, anche semplicemente con lo sguardo, le av-versarie e, con la cura con cui si bilancia una reazione , guarda il portiere e.... "GOAL!!!!" Caterina Catalpi 4D

D oppo na sereta 'n po' cussì, sta matina me sto sveglieto doppo che 'l mi babo già eva ataccheto la tiolla da 'n tantino, nun ne stevo tanto bene perché ho arsentito tutto ier not-

te la torta col capcolo che forse era 'n po' passeto. 'N ton cinque minuti prima che passasse 'l postale ciò avuto 'l tempo de magnè 'n bocone, lavamme e cambiamme, de parti da chesa giusto a d'ora per pjá 'l postale, che è passeto doppo do minuti che stevo tli fora a 'spettallo. Umberto Pelliccia 3D

I l liceo Alessi continua la

scalata della classifica

tra i licei migliori d’Italia .

Oltre alle varie vittorie nei gio-

chi di fisica, matematica e

chimica, “La Siringa”, il gior-

nale del liceo, è arrivato an-

che quest’anno in finale nel

concorso di “Giornalisti

nell’erba” sia come redazio-

ne, sia grazie ai singoli com-

ponenti di quella che può es-

sere definita una vera e pro-

pria squadra. Il giorno 27

maggio la redazione si è re-

cata a Frascati per l’assegna-

zione del premio. Molti e va-

riegati gli appuntamenti

dell’evento: science lab per i

giovanissimi, esperimenti sui

superconduttori, giochi a quiz

e incontri per l’intera giornata

con autori, ricercatori e gior-

nalisti. Molte anche le propo-

ste dei laboratori, da quello

legato al recupero dei rifiuti

plastici che diventeranno un

sostegno economico per

GnE, ai laboratori riguardanti

le nuovi tecnologie; interes-

sante infine il concorso social

dal titolo “RiCicloStory”. A

conclusione della giornata,

serata in allegria con i fonda-

tori e i redattori di Lercio.it.

Tra i vari invitati speciali pre-

senti all’iniziativa Chef Rubio,

il direttore del banco alimen-

tare, il noto volto della meteo-

rologia televisiva Flavio Gal-

biati ed esperti di questioni

climatiche e di didattica digi-

tale pronti a rispondere alle

nostre domande e ad illustra-

re interessanti workshop per

apprendere l’uso di nuovi

strumenti. Una giornata quin-

di ricca e variegata all’inse-

gna dell’informazione, della

scrittura e del divertimento.

Raffaele Bianco 2F

DI NUOVO FINALISTI...

Page 9: La Siringa giugno 2016

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D alle frasi di quest'ultimo Ipse Dixit si vede che le nostre menti sono già in vacanza! Con-cludiamo con un sorriso quest'anno scolastico. Ovviamente potete continuare a mandar-ci frasi all'email: [email protected] verranno pubblicate nel primo numero

del prossimo anno, Buona lettura!

"Avete finito di distraiarve?"

"C'avemo il cervello per fà contappeso al culo!"

"Based on the griglia di valutazione"

"Il basalto è simile al basalto"

"Non mangiate la foglia...ma nemmeno la fumate"

"Ogni giorno la sua pena, per oggi basta!"

"Aprite la Limme!"

"Se non ci fossero le api noi non esistiamo"

"Le scalette ancintendio"

Prof: "La fisica si occupa principalmente di mo..?". Alunno: "Morata!"

"Da quando sono a Perugia mi sembra sempre di avere il video dei Sette Cervelli acceso"

Prof: "Tu sei multitasking!". Alunno1:"Come i dizionari quelli piccoli!".Alunno2"Quelli so i tascabili!"

"O. io ho preparato una croce per crocifiggerti, bello nudo con un panno davanti, appeso"

"La peste fece abbastanza bordello"

"Under the PALCO"

"Perché la memoria a breve termine dura poco"

"Co la fisica non ce se prova, ce se prova solo co le donne"

"Leggi il terzo pallino quadrato rosso.."

"Se dici al ragazzetto che gli vuoi bene co sta faccia stai sola tutta la vita"

"State zitti braccia rubate alla forza lavoro!"

Durante la spiegazione alunno appoggia inavvertitamente il gomito sul telefono, e Siri: "Non capisco cosa stai dicendo"

"Un trigliceride è un acido grasso senza una gambina"

IPSE DIXIT

P.S. Rivendichiamo il diritto di usare e pubblicare termini coloriti in quanto presenti anche nella Divina Commedia di Dante (sempre sia lodato!).

P.P.S. Ci scusiamo con la Diva dell ’Alessi per non averla messa al primo posto nello scorso Ipse Dixit.

M e svejo. è buio, n' vedo gnente. C'ho d'apiccè 'l'lume. Me mett' addosso i panni ch'evo lasseto iersera. Pu scappo. Vò a pijè 'l postele. C'è 'n freddo c'aporta via, c'è la brina

'nco mentre vò a la fermeta. Ariva 'l postele. L'pijo. Sale 'n billo che n'passa il bijetto e 'l pulma-neo se 'nguastisce come na serpe e je scappa na bastigna nco. Pu ariva a Sammarco. C'ho da cambiè. che diosilla n'c'ho voglia! se bubbla e c'è la brina tu qui. A la fine scendo. Pu salgo ta l'altro postele. Nn'artrovo l'posto per gì a sede. Pu ariva a Porta Conca e ce tocca armanè fermi na mulica. Alla fine arparte, scendo e arivo a scola, sò già bel che rotto primad'entrè 'n classe. 'N vedo l'ora d'argì a chesa

A.A.A. cercasi prof di latino per l'A.S.2016/2017 gentile, disponibile, simpatica, eugubina.

Firmato 3F

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QUAL È L’ESERCITO PIÙ PICCOLO DEL MONDO?

S apete qual è "l'esercito più piccolo del mondo"? Strano ma vero, è la

Guardia svizzera pontificia ad aggiudicarsi il primato. Il cor-po armato al servizio del pa-pato dal 22 gennaio 1506, conta infatti solo 110 componenti e ha il compito di protezione del papa e del col-legio cardinalizi oltre a occu-parsi del controllo degli

accessi in Vaticano. Possono entrare tutti i cittadini svizzeri, purché non siano donne, e che rispettino precisi requisiti: fedina penale pulita, altezza superio-re a 1,74 m, celibi, obblighi militari rispettati, ottima salute fisica e psichica, tutto ciò per 1300 euro al mese. L'uni-forme ufficiale delle guardie è di colore blu, rosso e giallo

scuro, con dei distinti tratti ri-nascimentali e la loro bandiera è composta da una croce bianca in quat-tro campi, dei quali il secondo e il terzo recano i colori del corpo. Se voi poteste, entrereste nel-la guardia svizzera pontificia? Giuseppe La Capra 2D

VIAGGIO DIETRO AD UNO SCARABOCCHIO

Q uante volte durante una spiegazione

noiosa avete inizia-to a disegnare delle figure geometriche senza senso o dei fiorellini, insomma quelli che più comu-nemente chiamia-mo scarabocchi? Sembra una cosa paradossale ma gli scarabocchi hanno un significato, chi l’avrebbe mai detto che quelle linee ap-parentemente insignificanti, disegnate tutte d’un tratto, ri-velassero importanti informa-zioni sul nostro stato d’ani-mo? Secondo la psicopedagogista Evi Crotti, autrice del libro “I disegni dell’inconscio”, la pa-rola è posta sotto il controllo dell’educazione mentre per gli scarabocchi è esattamente l’opposto, inoltre possiedono un potenziale di comunicazio-ne non verbale da non sotto-valutare. L’università di Cambridge si unisce a questa sorta di apo-logia dello scarabocchio af-fermando che se si disegna liberamente mentre si sta ascoltando qualcuno, ricorde-remo con più precisione i det-tagli del discorso, scaraboc-

chiare quindi migliora anche la concentrazione. Evi Crotti nel suo libro divide gli scarabocchi in cinque ca-tegorie: figurativi, complessi, decorativi, geometrici e riem-pitivi. Per figurativi si intendono og-getti identificabili come: fiori, case, farfalle etc. , disegni di questo tipo denotano una ri-cerca della propria identità e un tentativo di immedesima-zione con la realtà, insomma un profondo bisogno di medi-tare. Un insieme di disegni che vengono collegati per formare un’opera più articolata rien-trano negli scarabocchi com-plessi, che indicano una vo-glia di crescita e di interazio-ne con ciò che ci circonda, ma anche una fuga da dei problemi che ci affliggono da

tempo e che sembra-no non avere vie d’u-scita. Gli scarabocchi deco-rativi invece com-prendono cornicette o motivetti ornamentali che solitamente dise-gniamo a bordo pagi-na. Ci indicano un bi-sogno di voler tenere tutto sotto controllo e di voler chiarire situa-zioni contraddistinte

dalla confusione. Le figure geometriche rientra-no negli scarabocchi geome-trici, stanno ad indicare l’esi-genza di agire usando la ra-zionalità. Nello specifico le linee indicano calma e ottimi-smo, mentre le curve il biso-gno di esprimersi. In conclusione quando colo-riamo all’interno delle lettere stiamo facendo uno scara-bocchio riempitivo, che tipica-mente indica il bisogno di col-mare dei vuoti, ma attenzione talvolta sono vuoti emotivi, capita spesso che questi sca-rabocchi viaggino insieme all’ansia cercando di ridurla. Chi l’avrebbe mai detto che dei semplici disegni fatti per caso nascondessero tutti questi segreti? È proprio ve-ro: l’apparenza inganna. Alessandro Cascianelli 4A

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D a soli, in famiglia o in compagnia di amici, che sia di sera o la

mattina presto, sia che siamo adulti o che siamo bambini la tv è entrata nel nostro quoti-diano. Certamente dal 1925,anno della fabbricazio-ne del primo prototipo ad og-gi, di passi in avanti e miglio-rie la televisione ne ha avuti parecchi, ma la questione sulla quale tutti si interrogano è se porti effetti positivi o ne-gativi culturalmente alle per-sone. Come afferma la dotto-ressa Ganci “il problema vero non è la presenza della tv o di Internet, poiché tali stru-menti di per sé non sono no-civi ma è il loro uso sproposi-tato e senza controllo da par-te degli adulti che ne fa stru-menti potenti in grado di so-stituirsi alle figure educative”. Pensiamoci bene, quante vol-te nelle nostre conversazioni ci troviamo a criticare o sem-plicemente commentare quel-lo che avviene nei programmi trash? Se la risposta è alme-no una volta al giorno siete nella norma e non c'è niente di cui allarmarsi, purché ac-cettiate questo sistema pove-ro di cultura che la tv ci sta imponendo. Ok, non bisogna generalizzare : ci sono anche i documentari di gente colta come Alberto e Piero Angela e altri programmi che accre-scono la cultura degli spetta-tori, ma se si fa un rapido conto i “programmi spazzatu-ra” sono molti di più di quelli di informazione. E anche quest'ultimi diventano proble-matici se si va per esempio ad esaminare i talk show ita-liani incentrati sulla politica. Trasmissioni che diventano gare a chi sa urlare di più per affermare le proprie tesi inve-ce di discuterne in modo civi-le e finiscono spesso in di-

scussioni pesanti che sposta-no l'interesse dall'area politi-ca. In questo aspetto, rientra-no tra i colpevoli anche i con-duttori che svolgono i ruoli di burattinai usando i loro ospiti per aumentare le audience. Infatti, spesso si può notare come si cerca di avere in contemporanea una coppia oppure un gruppo di personaggi che non vanno molto d'accordo e pro-prio con loro in studio ci si sofferma su argomenti che creano un dibattito maggior-mente acceso. Anche i molti appassionati di sport che magari hanno un televisore solo per guardare il calcio non possono ritenersi esclusi da queste critiche, in-fatti sin dalle lotte per l'esclu-siva delle partite da trasmet-tere arrivando ai notiziari sportivi tutto subisce un con-trollo dai capi alti del sistema televisivo. Le informazioni che ti vogliono far arrivare co-me notizie vengono filtrate e riportate in modo da farvi in-clinare più da una parte che dall'altra. Vi siete mai chiesti perché durante la settimana che porta ad una partita im-portante spesso vengono mo-strati tutti i problemi di una squadra ed evidenziati i punti di forza dell'altra? Se la rispo-sta è negativa, potrebbe es-sere il momento di iniziare a chiederselo per capire in qua-le modo la televisione eserci-ta il potere di orientare e ma-nipolare il giudizio degli ascoltatori. E questo riguarda anche i telegiornali che sono diventati più che altro una carrellata di morti, tragedie e violenza che ,come sostiene Ganci ,“stimolano i nostri istinti primordiali e finché la legge regina del mezzo tele-visivo sarà lo share è dura la

possibilità di anteporre notizie più sobrie ed educative”. Errorre fatale sarebbe però demonizzare la televisione dato che anche senza di essa i problemi di informazione viaggerebbero su altre piatta-forme come quella dei social network, tra i quali Facebook, che è in prima posizione per condivisione di notizie. D’altra parte la tv come affer-ma RIOBLOG anche se “mostra la realtà che vuole lei”, ci porta le notizie in tem-po reale e “azzera le distanze” così da vedere im-mediatamente le cose che si stanno svolgendo e soprattutto attraverso docu-mentari ci fa “vedere, sentire e capire” cose stupende. Noi, tutto sommato non pos-siamo fare quasi niente di-pendendo dalle scelte dei grandi che stanno dietro que-sto potente mezzo di informa-zione e comunicazione chia-mato televisore ma possiamo ridurre la quantità di tempo che passiamo a guardarla. Per fare cosa? Leggere un libro o un quotidiano cartaceo dei quali al giorno d'oggi si sta perdendo il significato. Leggere online è magari più comodo perché accessibile ovunque e meno costoso, ma l'odore di libro nuovo e la sensazione di sfogliare le pa-gine di carta tra le dita difficil-mente possono essere sosti-tuite. I libri non si perdono e non vengono rubati, i libri an-che se danneggiati non dan-no problemi di lettura, i libri non necessitano di essere eli-minati perché “memoria insuf-ficiente”, i libri possono esse-re scambiati, i libri possono salvare la tv. Come? Magari vedendo un calo di ore pas-sate davanti alla tv e un calo di spettatori il sistema piano piano passerà dalle cose

IL TEATRINO DELL'AUDIENCE

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U n finale di stagione

amaro per la Sir Sa-

fety Conad Perugia,

che sfiora lo scudetto in una

finale agguerritissima contro

la DHL Modena. Hanno gio-

cato da veri guerrieri i Block

Devils ma nonostante ciò non

sono riusciti a battere la

squadra della presidentessa

Catia Pedrini che, dopo aver

vinto al Pala Evangelisti per 3

-2 ed essersi portata avanti 2-

0 nella serie, ha dovuto fati-

care non poco per aggiudi-

carsi il tanto agognato trofeo

vincendo 15-13 l’ ultimo par-

ziale. Adesso, a stagione fini-

ta, ai tifosi ed alle circa 6000

persone (tra perugini e

“colonna del nord”) non rima-

ne che ricordare questo cam-

pionato e questi playoff come

un miracolo sportivo, o quasi.

Come mai definisco questa

stagione quasi un miracolo

sportivo? Ho solamente guar-

dato quello che questa squa-

dra è riuscita a costruire da

metà regular season fino alla

finale playoff. Tutto cominciò

da un evento che ha fatto

molto scalpore tra i tifosi: Il

cambio di allenatore avvenu-

to a metà dicembre. Con l’ad-

dio di Castellani la squadra si

ritrovava sfilacciata e poco

coesa, ma soprattutto si ritro-

vava sotto la guida di un

coach molto esigente, che

richiedeva ai giocatori un tipo

di gioco diverso da quello

adottato dal tecnico prece-

dente: Slobodan Kovac

(chiamato da tutti Boban Ko-

vac). Ovviamente i giocatori

hanno sentito molto questo

cambio, un po’ perché si tro-

vavano bene sotto la guida di

Castellani, un po’ perché non

gli sembrava giusto mandare

via senza alcun preavviso un

allenatore, che comunque

stava facendo del suo meglio,

un po’ per il carattere difficile

di alcuni di loro. Questo si ve-

deva molto nel loro modo di

affrontare le partite. Come se

non bastasse, oltre al malu-

more che regnava tra gli at-

leti, si aggiunsero una lunga

serie di infortuni causati pro-

babilmente dalle numerose

partite disputate in poco tem-

po. Tutto ciò ha portato ad un

deludente quinto posto in

classifica (complice la sconfit-

ta al Pala Banca contro, l’ulti-

ma classificata, l’ Lpr Piacen-

za). Cominciati i playoff sem-

brava che la squadra si fosse

ripresa dalla batosta rimedia-

ta in regular season, portan-

dosi avanti 2-0 nella serie

contro Verona (rivale storica

nei quarti di finale). Nono-

stante il vantaggio, Verona

non si dà per vinta e riporta la

serie sul 2-2. Dopo questa

rimonta ormai le persone che

credevano nella vittoria di ga-

ra 5 al Pala Olimpia erano

veramente poche (Sirmaniaci

esclusi, loro non hanno mai

smesso di credere nei loro

giocatori), ma è proprio a Ve-

rona che si vede il vero volto

della Sir Safety Conad Peru-

gia. Infatti, dopo una partita

estenuante vinta al tie-breack

(17-15 l’ultimo parziale), con

lo stupore di tutti, Buti e com-

pagni guadagnarono l’acces-

so alla semifinale, questa vol-

ta contro la prima classificata

in campionato e terza classifi-

cata in champions league:

Cucine Lube Banca Marche

Civitanova. In questa parte

dei playoff la Sir ha espresso

il suo miglior gioco vincendo

nettamente la serie per 3-1

vincendo nettamente le parti-

te in casa (grazie anche alla

grande atmosfera che il po-

polo perugino sa regalare in

questi eventi) entrambe per 3

-0. In finale poi sappiamo tutti

come è andata, ma non è

questo l’ importante. L’ impor-

tante è che questa squadra è

riuscita a riportare la pallavo-

lo di alto livello a Perugia

conquistando, oltre che il tito-

lo di vice campioni d’Italia, un

pass per la Champions Lea-

gue 2016-2017. Tutto ciò non

sarebbe stato possibile a mio

parere senza l’ aiuto dei Sir-

maniaci, loro, non hanno mai

abbandonato la squadra,

nemmeno nei momenti più

bui, e hanno macinato chilo-

metri e chilometri anche se

sapevano che la squadra per

la quale tifavano aveva poche

chance di vittoria, mettendoci

sempre la voce e il cuore. Po-

trebbero sembrare poco im-

portanti (alla fine non scendo-

no loro in campo, mi hanno

spesso detto) ma sono fonda-

mentali.

Elisa Massettini 2F

trash ai programmi culturali che arricchirebbero il sistema e ci lascerebbero qualcosa

dentro quando si spegne la televisione per andare a dor-mire.

Gabriele Ripandelli 3D

È LA SIR LA SQUADRA CHE AMIAMO

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STARCUP: DOVE LA SQUADRA DIVENTA LA TUA FAMIGLIA

C ara Starcup, un altro anno è già passato, ti si aspettava

con ansia e sei riuscita anche quest'anno a dare grandi soddisfazioni. Purtroppo, già te ne sei andata ma ti ringra-zio a nome di tutti gli atleti per quello che hai lasciato. Quattro giorni pieni di sfide in cui ci siamo messi in gioco lottando su ogni pallone, lot-tando per ogni centimetro di campo. Squadre formate ma-gari da giocatori che non ave-vano mai giocato a calcio ma messi in comune da un gran senso d'appartenenza, gioca-tori che dopo la favola Leice-ster sognavano di alzare la coppa per dimostrare al mon-do che esistevano anche loro e che anche loro valevano qualcosa. Magari molti hanno reso meno di quello che si sarebbero aspettati o non so-no riusciti a raggiungere que-gli obiettivi prefissati, però proprio per questo sei un tor-neo diverso dagli altri, un tor-neo in cui l'amicizia è il primo concetto, in cui si vince o si perde insieme e il gruppo co-stituisce una sorta di famiglia, una sorta di tutt'uno e anche una sconfitta si affronta con il sorriso. Il tutto viene regolato dalla parrocchia con l'impor-tante funzione di punto di ri-trovo per ragazzi essendo anche un torneo che si colle-ga, durante tutto l'anno, ad un percorso di crescita reli-gioso in gruppo di ragazzi, gestito da animatori che cer-cano di avvicinarli a Gesù e alla Chiesa. La mia esperien-za è stata favolosa: partita in una notte mezza estate quan-do già si fantasticava sul per-corso che si sarebbe svolto e con le solite chiacchiere da bar si abbinavano i pezzi che avrebbero costituito quel bel-

lissimo puzzle rossoblù chia-mato Dinamo. Si è dovuto salutare qualche componente che per quest'anno ha deciso di non partecipare e pensare subito a come poterlo sosti-tuire come se fossimo dei veri dirigenti sportivi sotto l'om-brellone in pieno agosto. Il passo successivo è stato quello di creare il gruppo sia dal punto di vista di squadra in campo che di quello di ami-ci fuori. Si è iniziati a uscire il pomeriggio tutti insieme e a fare attività che avrebbero potenziato l'intesa. A dire il vero, ci conoscevamo già da qualche anno e si andava ab-bastanza d'accordo anche se per qualche componente era-vamo un gruppo un po' inu-suale. Con l'arrivo dell'inver-no sono diminuite le uscite dato l'accrescersi degli impe-gni scolastici e il tempo che non sempre ci assisteva, ma una parte della squadra conti-nuava a giocare insieme ogni domenica in una palestra di Perugia per quel torneo chia-mato Oratorio League. Ci si allenava due volte a settima-na chi poteva e posso affer-mare che l'unica persona che c'era sempre e dava tutto an-che in allenamento era un mio amico che giocava ester-no. Gli allenamenti non erano molto duri ma sono stati parte fondamentale di un'esperien-za che ,ripeto, per me è stata straordinaria e ogni partita con la fascia da capitano al braccio mi ha fatto crescere. Bisogna dire che però due problemi di percorso ci sono stati ovvero le costanti di-scussioni se prendere un'al-tra persona in squadra oppu-re no e chi sarebbe potuto essere costui e soprattutto le amichevoli. Da quello che si diceva durante la settimana

ne avremmo dovute giocare una decina, mentre alla fin fine se ne sono giocate solo due: erano problemi organiz-zativi, molte volte per le altre squadre, che dicevano di non potere all'ultimo momento ed altre perché a noi mancava il portiere o perché alcuni era-no impegnati. Tra l'altro per il portiere per il centrale di dife-sa sarebbe stato l'ultimo an-no che avrebbero giocato a questo torneo e quindi ci te-nevano molto. Il rapporto con quest'ultimo per me è stato un'esperienza di crescita: lui con un anno in più, non fortis-simo tecnicamente ma che in campo sapeva sempre dire la sua e farsi valere dato la grin-ta che metteva su ogni con-trasto e la non paura di fare fallo se serviva per impedire il gol. Certo magari non chia-mava le marcature, ma ti da-va sempre quella sicurezza che ti faceva rischiare la gio-cata come per dire “tranquillo, ci sono io che ti dò la coper-tura”. Per non parlare di quanto riusciva a tirarti su di morale fuori dal campo, con la sua eterna voglia di scher-zare e ridere. Beh, devo dire che il prossimo anno mi man-cherà! Poi, Starcup, non ti si può de-scrivere in poche parole: ba-sta pensare alle diverse emo-zioni che fai provare ad ogni partita: noi personalmente siamo passati in continuazio-ne da uno stato di rabbia per partite che potevamo vincere ed invece sono finite a favore degli avversari e momenti di pura allegria perché abbiamo ottenuto risultati positivi e che magari da un certo punto di vista non ci aspettavamo né noi né gli altri. E' stato il pri-mo anno che invece di anda-re all'Argiocup si finisce alla

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C oncludiamo questo ciclo scolastico con una ricetta tipica delle regioni meridionali del Mediterraneo dove è diffuso l’uso del pesce Mondate gli asparagi, eliminate la parte bianca del gambo più dura e fibrosa e tuffateli

in una casseruola piena di acqua bollente salata. Quando saranno diventati teneri, ma senza essere troppo morbidi, scolateli e passateli immediatamente sotto il getto di acqua fredda per bloccarne la cottura. Frullate nel mixer uno spicchio d’aglio, i pistacchi e la maggiorana. Mescolate questo composto con il pangrattato, l’olio di oliva e la scorza di limone. Aggiustate di sale iodato e pepe. Private la rana pescatrice dell’osso centrale e farcitela con gli asparagi e il trito precedentemente preparato. Arrotolatela stretta e avvolgetela con le fette di pancetta. Legate il tutto con lo spago da cucina e trasferite in una pirofila in cui avrete versato 3-4 cucchiai di olio, 1 bicchiere di vino bianco, uno spicchio d’aglio e altra maggiorana. Cuocete nel forno già caldo a 180° per circa 25-30 minuti, irrorando di tanto in tanto l’arrosto con il fondo di cottura. Sfornate, eliminate lo spago da cucina e servite. Alessandro Leone 2F

ARROSTO DI RANA PESCATRICE CON ASPARAGI E

PISTACCHI

Starcup, quindi grandi sfide e grande ansia per come dove-va andare il torneo: alla fin fine due pareggi ed una scon-fitta e la mentalità del prossi-mo anno che punterà a fare ancora meglio e magari ap-prodare ai quarti o chissà in semifinale. Ma le cose belle non sono solo i momenti di gara: i discorsi del mister pri-ma delle partite che ti gasano tantissimo perché sai che è lui che decide se giochi o me-no e perché parte del livello a cui sei arrivato ora lo devi an-che a lui, i momenti di pre-ghiera e testimonianze che anche se magari a molti ado-

lescenti non piacciono lo staff è riuscito a renderli bene. Questo è il cal-cio che piace: le sfide al di là dell'agonismo. I tre valori fonda-mentali che questo torneo insegna: il gruppo ,di per-sone che han-no uno stesso obiettivo ed ognuno si mette a disposizio-ne dell'altro, i sogni e il met-tersi in gioco, che ti danno la voglia di cercare di renderli

realtà e da-re tutto per raggiungere l'obiettivo. Poi il bello non è solo per chi gio-ca ma an-che per chi viene a ve-dere perché lì ci sta un micro mon-do diviso in varie squa-

dre e

nella maggior parte delle qua-li si ha un amico che si andrà a vedere, contro il quale si giocherà o che quando lo si incontrerà fuori dal campo ci si scambierà due parole e qualche battuta. Per questo invito chi ancora non ha gio-cato a provare il prossimo an-no a partecipare perché è un'esperienza da cogliere al volo e che dopo la maggiore età non si può più sfruttare. E se è vero che l'attesa del pia-cere è essa stessa il piacere, iniziamo a prepararci per il prossimo torneo perché sicu-ramente, come dice l'hashtag di quest'anno, #weneedit! Gabriele Ripandelli 3D

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N ove mesi… Nove me-si dentro di te, senti il suo battito, lo senti

attaccato al tuo cordone, lo senti aggomitolato, senti ogni movimento, senti il suo scal-ciare quasi come a volersi far sentire, a dimostrare che an-che lui c’è ed è parte di que-sto mondo. Lo senti legato a te, il suo sangue è il tuo. È parte di te. Sei troppo legata a lui, a quella piccola creaturina, a quella vita a cui tu hai dato la possibilità di sbocciare. Già. Tu. Tu e nessun altro. Quel bambino è frutto di te, del tuo corpo. Perché l’hai fatto? Perché hai scambiato i soldi con la vita? Quei soldi non valgono il suo battito, il suo essere parte di te, quei soldi non valgono i suoi pianti, i suoi occhi così innocenti, il suo filo di voce che dice “mamma”, i suoi so-gni. Quei soldi non valgono il suo primo giorno di scuola, i suoi abbracci in una giornata di pioggia.

So come ti senti, vorresti dire a tuo figlio che non l’ hai ab-bandonato, che in ogni singo-lo istante senti dentro di te il suo battito veloce. Vorresti dirgli che quel giorno, quando hai sentito per la prima volta il suo pianto, saresti voluta cor-rere via, con lui, lontano da tutto e da tutti. Vorresti dirgli che non è colpa tua, è colpa del mondo, di un mondo che costringe donne a vendere se stesse per so-pravvivere. Un mondo al con-trario. Madri rubate, vite rubate. Ti è stata strappata di dosso una parte di te, non il cuore o un polmone, ma una parte essenziale… la tua stessa Vita. E magari avrai pensato che in fondo non stavi facendo del male a nessuno. Tu avresti potuto sfamare la tua famiglia per qualche altro mese, loro avrebbero potuto realizzare il sogno di sempre. Il tuo bambino sarebbe stato coccolato, avrebbe avuto una vita migliore della tua…tante

possibilità…tanto amore. Ma quello non è amore. Una Vita non può essere compra-ta. È la vita che facciamo par-lare. Perché è la vita che ine-vitabilmente ci sbatte in fac-cia la verità, anche quelle ve-rità che non si vogliono guar-dare. Perché è la Vita, quella fatta di lacrime e sangue, che ci dimostra che c’è un limite oltre il quale l’uomo non si dovrebbe spingere. Perché è la vita che grida, senza com-promessi, che la legge deve proteggere l’uomo e non spingerlo verso la distruzione e condannarlo al peggiore degli incubi. Amore non è sfruttare l’utero di una donna. Amore non è strappare un bambino alla propria madre. La maternità surrogata è mer-cificazione delle donne, di quelle donne più deboli che per ragioni meramente eco-nomiche sono costrette ad affittare il proprio utero come si trattasse di un appartamen-to o un garage. Benedetta Tedeschi 3F

FOR SALE

“C ome possiamo vin-cere se i pazzi pos-sono essere re?”

Muse – Knights of Cydonia. 1940,Kaufbeuren. Il dottor Hoffmann cammina-va nel corridoio bianco e fred-do del reparto numero 5: bambini dai 4 anni in su. Il suo turno era terminato, ma il dottore sarebbe rimasto altri dieci minuti, come d’abitudi-ne. A fine giornata osservava compiaciuto i pazienti e il loro spegnersi lento, l’apatia con la quale molti affrontavano

rassegnati gli ultimi giorni del-la loro vita, quando finalmen-te capivano che i pianti erano inutili e le preghiere ancora meno. L’unico Dio a cui pote-vano rivolgersi quei deformi disgraziati era lui, lui stesso! Era suo il compito di decidere delle loro vite, lui che era or-goglioso di poter aiutare lo Stato in una così nobile e ne-cessaria missione. Garantire un futuro libero da parassiti. Ripulire la razza. Un flebile lamento provenien-te dalla stanza direttamente alla sua destra si sovrappose al rumore dei suoi passi. Hof-

fmann aprì la porta quanto bastava per intravedere la fi-gura pallida e smunta di un bambino steso su un piccolo letto. Poteva sembrare matri-moniale in contrasto con i suoi arti rachitici. “Ho… fame…” ripeteva il pic-colo come un mantra. I suoi occhi vitrei fissavano il vuoto e mosse il capo in tutte le di-rezioni quando Hoffman dis-se: “Quando hai mangiato l’ulti-ma volta?” “Stamattina..” sussurrò il bambino cieco. “Oh, anche troppo.” Il dottore

AUSMERZEN

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chiuse la porta della camera. Eliminare i mangiatori inutili. Quando Hoffmann tornò a ca-sa sua moglie non lo abbrac-ciò. Aveva esordito con il soli-to “Amore, sono a casa!” e si era anche trattenuto dal cal-ciare quell’odioso gatto che sua figlia continuava a porta-re in casa, nonostante il chia-ro divieto del papà. Solo lei, la piccola Stephanie, sembrò accorgersi della sua presen-za. Gli saltò addosso e il pa-dre, ridendo, le scompigliò i riccioli biondi. Christine inve-ce non si era scomposta. Era ai fornelli e mescolava quel che dall’odore sembrava un minestrone. Hoffmann si avvi-cinò e le mise una mano sulla spalla. “A tavola, è pronto” disse lei, sfuggendo ai suoi occhi. Il marito le accarezzò una guancia costringendola a voltarsi verso di lui, poi mor-morò: “E’ successo qualcosa?” Si scambiarono un lungo sguardo. “Te lo dirò dopo,” rispose lei, “Ora mangiamo.” Cenare insieme alla famiglia senza scambiare una parola era irritante. Una donna che sta zitta è sintomo di brutte notizie, aveva imparato. E lui aveva due donne in silenzio di fronte a sé. Si schiarì la voce. “Buono questo pane! E’ ancora caldo, lo hai fatto oggi tesoro?” “Lo ha portato la signora Sch-midt. Mi ha pregato di chie-derti come sta suo figlio,” ri-spose Christine. “Chi? Il cieco con i capelli ne-ri?” La moglie lo fulminò. “Hans.” “Scusa,” disse lui cercando di trattenere un sorriso. “Sta be-ne.” “Bene in che senso?” “Bene.” Il tono di Hans non ammetteva repliche e Christi-ne cambiò discorso:

“Stephanie, dì a tuo padre co-sa devi dirgli.” La bambina annuì, posò il cucchiaio nel piatto e senten-ziò: “Voglio una sorellina.” Hans sbuffò. “O un fratellino, è lo stesso” riprese la bambina, meno si-cura di se stessa. Il padre si pulì la bocca con un fazzoletto. “Stephanie, ne abbiamo già parlato. Un altro figlio è una cosa seria e..” “Lascerò andare il gatto,” lo interruppe la piccola. “Te lo prometto papà…” Christine sbatté la mano sul tavolo. “Stephanie! Smettila di piagnucolare!” Lo scatto improvviso della madre lasciò interdetti gli altri due. Hans la guardò stupito mentre lei si passava una mano sul viso e poi, riacqui-stata la calma, disse: “Digli l’altra cosa a papà. Quello che mi hai chiesto oggi.” La bambina tirò su col naso. “Che vuol dire ‘gassati’?” Hans rimase col cucchiaio a mezz’aria. “Come hai detto?” “Cosa vuol dire che degli uo-mini vengono gassati? La maestra ha detto di chiederlo ai genitori.” Hans si alzò di scatto e la se-dia si ribaltò. “Niente. Non esiste, non- è una parola che non esiste!” bofonchiò. Christine vide lo spavento negli occhi della figlia e la prese per mano accompa-gnandola fino alle scale. Le bisbigliò qualcosa e subito dopo Stephanie salì in came-ra sua. Il dottor Hoffmann misurava la stanza con passi frenetici. Christine si mise a sparec-chiare. “La sua maestra. Non mi è mai andata a genio quella donna… Devo- Devo fare qualcosa..” “Cosa? Ucciderla?” sbottò la moglie. Hans si fermò. Christine gli

passò davanti con la tovaglia in mano, senza degnarlo di uno sguardo. Lui seguiva ogni suo movimento mentre lei sbatteva il panno fuori dal balcone. “Ah, è per questo che sei arrabbiata,” disse Hans. “Ancora questa storia, sempre la stessa storia, ma è possibile che tu sia così te-starda, donna?” Silenzio. “Ho finalmente un lavoro de-cente, perché non riesci ad essere contenta per me?” in-calzò lui. Christine strinse la mano in un pugno. “Contenta che mio marito sia un assassino?” Quelle parole sprezzanti non sembrarono ferire Hans. Al contrario. “Gli assassini vanno in gale-ra, io non faccio niente contro la legge, sto eseguendo gli ordini del nostro capo, da bravo cittadino! Sono un dot-tore, ho forse il lavoro più ri-spettabile che si può trovare. Lo capisci?” Christine deglutì. “I dottori cu-rano. Tu…” Lo schiaffo risuonò secco e bruciante. La guancia della donna stava diventando ros-sa e lei se la coprì con la ma-no, un po’ per il dolore, un po’ per nascondere la lacrima che non era riuscita a tratte-nere. Hans le prese le spalle e, come se niente fosse suc-cesso, continuò: “Tutti in quel manicomio cura-no, curano il nostro Stato, che è l’unica cosa importante, lo capisci? Grazie al nostro lavoro tua figlia avrà meno possibilità di mettere al mon-do uno storpio parassita! Stiamo curando la razza, Christine, stiamo curando il futuro.” La mano della moglie ora co-priva quasi tutto il viso. Pian-geva. “E vuoi sapere come sta il fi-glio della signora Müller? Sta

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morendo! Sta bene! Le sue sofferenze termineranno solo se cesserà di esistere, capi-to?” Hans sentiva le spalle della moglie sussultare ad ogni sin-ghiozzo. Sospirò. Non riusci-va a vederla così. “Vieni qui,” mormorò, abbrac-ciandola. Lei non si oppose. Rimasero così per qualche secondo, poi Hans, stavolta con tono basso e misurato, ricominciò: “Ci pensi mai a tuo fratello? Lo mantiene lo stato. Lui combatte per lo Stato, rischia la vita per Hitler, quindi lui gli procura cibo volentieri. Ac-qua, medicazioni, armi. Inve-ce cosa fanno i disabili per lo Stato? Niente, ma dobbiamo sfamarli lo stesso. Ti sembra giusto?” Christine farfugliò qualcosa nella camicia del marito ba-gnata dalle sue lacrime. “Cosa?” chiese lui. “Parli come i manifesti”, ripeté lei alzando la voce. “Certo. I manifesti hanno ra-gione. E’ questo quello in cui dobbiamo credere”, ribatté Hans senza neanche pensar-ci. “Che diciamo a Stephanie,” disse lei tra sé e sé. “Ci penserò io. Parlerò con la maestra. Stupida gente. Se iniziano a mettere in giro que-ste voci crollerà tutto.” Erano seduti a tavola con due tazze di tè davanti. Hans sta-va soffiando sulla superficie del liquido quando lei disse: “Perché non vuoi un altro fi-glio?” Hans socchiuse la bocca e aggrottò le sopracciglia. “Dì la verità.” Il marito bevve un sorso di tè. Si bruciò le labbra. Fece una smorfia. Prima che potesse

rispondere, Christine prese di nuovo parola: “Non tirare fuori il problema dei soldi. Il tuo lavoro è il mi-gliore in giro, no? E io sono giovane. Hans, per favore.” Gli prese la mano. “Voglio un bambino.” Lui guardava fuori dalla fine-stra. “Io so perché fai così. Hai paura. Tutti i giorni hai a che fare con bambini malati e… hai paura perché non sei con-vinto di quel che ti fanno cre-dere, che non è solamente legato alla genetica e – “ Hans le stava stringendo il polso tanto forte da lasciarla interdetta. Intrecciò la mano tra i suoi lunghi capelli e la baciò. Tutta la notte. Nei mesi successivi Hans non ricevette altro che con-gratulazioni. In ospedale, alla stazione, al mercato. “Congratulazioni! Padre per la seconda volta?” e “Auguri e figli maschi!” e ancora “La ringrazio per il suo contributo, dottor Hoffmann. Quest’anno abbiamo incrementato il nu-mero di ben 400 morti rispet-to all’anno scorso.” Ma la sua gioia durò ben po-co. Il bambino nacque dopo 7 mesi. Hans non lasciò per un secondo la mano di Christine nella sala da parto. Videro il piccolo e piansero; le infer-miere sapevano che non era-no lacrime di felicità. Il medi-co diagnosticò il neonato af-fetto dalla sindrome di Down. Quando lo disse ad Hans, quest’ultimo strinse i pugni e serrò la mascella. “Ma non si preoccupi signo-re, abbiamo centri specializ-zati dove il suo bambino può..” Hans sfogò tutta la sua rab-

bia prendendo a botte quel povero dottore. Due uomini in camice bianco vennero in soccorso poco dopo. Trasci-narono di peso Hoffmann fuo-ri dall’ospedale. Si dimenava dalla stretta degli infermieri e urlava parole incoerenti insie-me al nome di sua moglie. Provò a rientrare ma non c’e-ra verso, allora prese a corre-re in direzione del manico-mio. Fece appena cento metri prima di accorgersi che non ce l’avrebbe mai fatta ad arri-vare a piedi, quindi prese il primo autobus. Entrò nel ma-nicomio e si diresse subito all’ufficio del direttore. Spa-lancò la porta. Il direttore rimase a bocca aperta nel vedere il distinto dottor Hoffman tutto sudato, col fiato corto e le mani spor-che di sangue. “Hoffmann, santo cielo…“ sussurrò. “E’ nato… mio… figlio.” farfu-gliò Hans tra un respiro pen-sante e l’altro. “E?” “E… Ed è…” Hans fissava una crepa sul muro di fronte. Deglutiva ripe-tutamente, ma il nodo alla go-la non dava segno di svanire. Il direttore capì. “La vita fa brutti scherzi”, disse dopo un lungo silenzio. “Portamelo il prima possibile.” Hans scoppiò a piangere. Ci rendiamo conto della gra-vità delle situazioni solo quando capitano a noi. Mi chiedo come sia possibile ri-tenere una “soluzione” giusta quando oltrepassa nettamen-te i principi morali di base dell’uomo. Margherita Rossi 3A

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18 luglio 1939 E' una bellissima giornata di luglio, un po' nuvolosa, i raggi del sole illuminano delicata-mente ogni cosa facendo sembrare la città come im-mersa in una nuvola. Sono proprio così le giornate che mi piacciono di più. Il mio passatempo preferito è met-termi dietro alla persiana ed ascoltare i rumori della città e poi ritirarmi nella mia scriva-nia per scrivere storie estra-polandole dai suoni che ho sentito un attimo prima. Quanto amo scrivere raccon-ti: è l'unico modo che ho per fuggire dalla realtà, per sen-tirmi qualcun altro. Non sono più Johanna, la ragazzina storpia di tredici anni,ma chiudo gli occhi e divento Hanna, la novella sposa nel giorno più gratificante di tutta la sua vita, oppure Bruno, il panettiere, che dopo una stressante giornata di lavoro torna nella sua beata dimora e riabbraccia dolcemente i suoi bambini. Senza che me ne sono accorta, guarda un po', si è già fatta sera, tra po-co mi vengono a prendere per la cena... Come mi piacerebbe un gior-no riuscire ad alzarmi da que-sta stramaledetta sedia cor-rere giù per le scale, prende-re la mia sorellina Rosa per mano e andare a fare una passeggiatina in paese e ma-gari, giocherellare a campana come fanno i miei amici sem-pre. Guardo con odio questa specie di moncone rigirato che io impropriamente chia-mo gamba, è inutile ed in-gombrante, sarebbe quasi meglio se non ci fosse per niente. Con la mente torno indietro a quando ero ancora piccolina prima ancora di an-dare a scuola, quando ancora

non mi rendevo conto del mio essere 'speciale' e pensavo che sarebbe stata solo que-stione di tempo e che anche io, come i miei genitori e mio fratello, avrei potuto cammi-nare e correre per le vaste praterie della Baviera. Ogni giorno è più difficile sta-re con loro, mi rendo conto di essere un peso sempre mag-giore per la mia famiglia. Ve-do gli occhi ormai stanchi di mia mamma, guardarmi sì con la stessa dolcezza di sempre, ma mi chiedo se mai un giorno quella stanchezza possa prevalere del tutto sul-la tenerezza che prova nei miei confronti. Mio padre è un uomo buono, dall'aspetto au-stero, non si scompone mai più di tanto, ma sembra che ultimamente cerchi di incro-ciare il mio sguardo il meno possibile. Se però c'è la pos-sibilità che questa sia solo una mia impressione, non si può dire lo stesso di Hans, che esprime il suo risenti-mento verso di me in maniera non molto sommessa. E' cambiato così tanto cre-scendo e nonostante i suoi diciassette anni è una delle personalità più politicamente attive che abbia mai incontra-to; nel sentirlo parlare ti sem-bra di leggere uno di quei vo-lantini di propaganda. Fa continui riferimenti a quan-to io costi alla famiglia del mio essere un peso inutile, e poi le sue battutine cattive, come quando mi chiede di al-zarmi a prendergli una cosa e la risata clamorosa nel vede-re la tristezza nei miei occhi. Non è sempre stato così, anzi una volta era iperprotettivo nei miei confronti, quando eravamo piccolini l'ho visto sferrare pugni a persone per avermi detto cose molto me-

no pesanti di quanto faccia lui ora. Non è cattivo, non può esserlo, le persone non cam-biano la propria indole, ma sembra proprio che gli abbia-no fatto il lavaggio del cervel-lo. Ha dentro di sé una sete innata di vendetta ed è con-vinto che nel giro di poco la Germania sarà la più grande potenza del mondo, già si è montato la testa. Spero sia solo una fase, ma ho i miei dubbi. Nonostante ciò non posso fare a meno di volergli bene, resta sempre mio fratello. A volte mi sento pure un po' in colpa quando i suoi amici lo prendono in giro per causa mia, ma allo stesso tempo mi sento ribollire di rabbia quando mi rendo con-to che quegli scherni si tratta-no di compassione. Compas-sione per cosa? Come se a me piacesse essere così! Co-me se non volessi che le co-se cambiassero! Quando mi prendono questi pensieri, decido di ritirarmi in salotto per un poco a giocare con Rosa. Con la sua tenera età di quattro anni mi consi-dera la sorella migliore del mondo e stando con lei mi è possibile essere me stessa e per qualche istante mi sento utile, perché lei mi vede come un modello. E' così bella con quei boccoli castani che le incorniciano le guancette paffute perenne-mente rosate. La guardo stringere quella sua bambolina e vorrei che non crescesse mai! Ma mi sento egoista a pensare que-sto, lei crescerà, diventerà una ragazza bellissima, un uomo si innamorerà di lei e se la vorrà sposare e vivrà una vita serena con la sua nuova famiglia. Immediata-mente mi prende la paura

VITE INDEGNE DI ESSERE VISSUTE

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che anche lei possa pensare di me ciò che dice Hans, ma poi guardo i suoi occhietti te-neri di bambina e mi ripeto che non succederà mai! Lei è la mia unica sicurezza non se ne può andare. O almeno è quello che spero. 11 ottobre 1939 La mia vita procede come sempre, nessuna novità, va-do ancora a scuola, i miei ge-nitori sono benestanti e rie-scono ancora a garantire gli studi a tutti noi, anche se so-no consapevole che in caso di mancanze, sarò io la rima a dover rinunciare agli studi. Non che la cosa mi faccia soffrire più di tanto. E' vero che la scuola è l'unica possi-bilità che ho di frequentare i miei coetanei, ma allo stesso tempo mi fa male stare lì. Di-ciamo che non ho mai trovato veri amici durante il mio per-corso scolastico; i primi anni ho conosciuto qualche bam-bina, giocavamo bene insie-me, ma con il passare degli anni si sono allontanate e sono rimasta progressiva-mente sola. In più mi sembra che 0gni co-sa sia contro di me, persino i testi dei problemi di aritmeti-ca parlano di quanto 'quelli come me' siano un peso, in quanto non potremo mai la-vorare ed essere fonte di pro-fitto per lo Stato. Detesto quei momenti, sento tutti gli sguardi dei miei compagno rivolti verso di me, con quell'aria che è di un misto micidiale tra ironia e cattive-ria, riescono ad entrarmi den-tro nonostante io continui a fissare il foglio senza incro-ciare le loro frecciatine. Mi dico 'Johanna, non piangere, non devi piangere, nessuno ti vedrà mai piangere.' In compenso oggi ho una vi-sita di routine dal medico il signor Schwarz, un ometto

sulla cinquantina, con gli oc-chialetti tondi e i modi delica-ti. Mi è sempre andato a ge-nio il mio medico, mi conosce da sempre si può dire e mi tratta sempre con estrema cura e gentilezza. Benché non possa fare niente per cu-rarmi, con lui mi sento al si-curo. 20 ottobre 1939 H0 passato una notte estre-mamente inquieta. Mi ero ad-dormentata quando delle urla provenienti dal piano di sotto mi hanno svegliata. I muri della mia casa non so-no spessi e lasciano trapela-re qualsiasi conversazione che non sia sussurrata. Essendomi appena svegliata non sono riuscita a capire be-ne l'argomento della vigorosa conversazione: << Finalmente abbiamo la possibilità di fare ciò che è meglio per noi e per la nostra Patria e voi non la cogliete al volo>> sbraitava Hans. << E' pur sempre mia figlia, diami-ne, non posso lasciarla anda-re così, senza avere alcuna certezza>> piangeva la mamma. <<Cara, riflettiamo bene, potrebbe essere un'ot-tima occasione per rendere la sua vita migliore, carpisci-lo. Se c'è anche la più picco-la possibilità che lei possa guarire, per me vale la pena rischiare>> ribatteva papà, calmo come al solito. <<Fate come volete! Se volete conti-nuare a stare dietro una stor-pia che non sarà in grado in tutta la sua vita di fruttare un solo marco, non contate su di me>> ringhiava mio fratello, poi è corso in camera sua e ha chiuso la porta dietro di sé sbattendola con tutta la forza che aveva in corpo. La mam-ma piangeva, ma io non sono riuscita a seguire di più la faccenda ricadendo in un sonno leggero, quasi in uno

stato di dormiveglia, se si può dire. Probabilmente c'entrava qualcosa quella lettera che è arrivata ieri, del cui contenuto ero completamente all’oscu-ro. Ma ho l'impressione che ne verrò presto a conoscen-za, la mamma sta venendo da me, riconosco bene il suo-no dei suoi passi stanchi sul-le scale. Gentilissimi signori Friedrich, Sono lieto di informarvi che lo Stato Tedesco ha program-mato di ampliare il program-ma di cure sperimentali per persone con malattie mentali, comportamentali e con gravi malformazioni a ragazzi di età anche superiore ai tre an-ni. Vostra figlia, Johanna Friedrich, rientra nell'ultima categoria precedentemente citata ed è stata giudicata idonea, al trattamento. C'è una piccola possibilità che vostra figlia possa guari-re, grazie al forte progresso che la medicina ha compiuto negli ultimi tempi. I rischi so-no molti, non lo voglionega-re , ma vi assicuriamo che verrà fatto tutto ciò che sarà possibile per rendere vostra figlia una ragazza normale. Con il vostro consenso pas-seremo a prenderla tra una settimana, verrà trasferita presso la struttura di Kaufbeuren-Irsee, dove avrà inizio il trattamen-to. Vi porgo distinti saluti, dr. Friedrich Schwarz Non so cosa pensare. Ho paura. Non voglio lasciare la mia casa, il mio Paese, la mia famiglia, nemmeno la mia tanta odiata scuola. Amo la routine, non mi piacciono le sorprese, qui la mia vita è già tutta scritta, se me ne va-do tutolo potrebbe cambiare. Magari c'è una piccola proba-

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bilità che io torni, ma non è sufficiente. Non sono curiosa di sapere quello che mi aspetta, ma so che dovrò partire. Per quanto tempo mamma riuscirà ad opporre resistenza? É sem-pre stata di indole debole. In più quel briciolo di speranza che io possa guarire la spin-gerà a farmi partire. Ma la mia speranza è morta da un pezzo. Questi due arti rigirati non as-somigliano lontanamente a gambe, come è possibile che possano avere la forza di sor-reggermi? Non vorrei perdermi nemme-no un secondo della crescita di Rosa, che è la cosa più bella che ho. Ora vogliono portarmi via da lei, non pos-sono farlo! Ho esaurito ormai le lacrime, mi rassegno al mio dolore. Mi chiedo: e se hanno ragio-ne loro? Io non sono come tutti gli altri, sono un inutile peso, forse è meglio per tutti che ne vada! E' caratteristica dell'uomo sa-per camminare, e se io non cammino significa che non faccio parte del genere uma-no? Forse è così. In molti la pensano così. Ma così dicen-do di contraddicono da soli. Un cane senza coda resta pur sempre un cane, un pas-sero che non vola resta sem-pre un passero, allora perché mai un uomo che non cam-mina non può essere uomo? Perché loro debbono essere migliori di me? Esisterà un qualcosa che io so fare e loro no! Ma questi pensieri sono inuti-li, l'unica cosa che posso fare è arrendermi e accettare ogni cosa. Sono come un'insulsa gocciolina d'acqua in oceano, la cui presenza o assenza non comporta alcuna diffe-renza.

25 ottobre 1939 Come previsto mamma non ha opposto resistenza per molto, papà e Hans l'hanno convinta a rischiare. Ora ca-pisco come ci sente prima di un’esecuzione: il tempo non passa mai, i secondi sembra-no minuti, i minuti ore, e nella tua testa non fai altro che chiederti quando verranno a prenderti. Come siamo bizzarri noi es-sere umani, sempre proiettati sul futuro, troviamo la nostra completezza nel successo e nel guadagno. Gli animali vi-vono così bene concentrati sul presente, noi siamo trop-po riflessivi e ogni nostra azione ha un doppio fine. Forse è questa la pena che Dio ci ha dato per compensa-re la nostra razionalità netta-mente superiore agli altri es-seri viventi. L'uomo è tenden-zialmente egoista e meschi-no, un misto di orgoglio e presunzione. Sono pochi quelli che non si sentono su-periori agli altri e questi ven-gono letteralmente divorati dalla società. Viviamo in un contesto socia-le in cui ci sono alcuni sono considerati superiori ad altri. Questi altri sono deboli e fa-stidiosi, quindi vanno tolti di mezzo perché diversi. Il di-verso non ha diritti pari a quelli degli altri cittadini. C'è chi ha una visione eguali-taria del genere umano, ma questa cosa è positiva fino ad un certo punto, quando si ar-riva all'estremismo, pure in questo caso la situazione può degenerare nell'omologazio-ne. L'omologazione non è un concetto positivo, a mio pare-re, perché andrebbe a soffo-care l'individualità e le carat-teristiche dell'individuo. Sogno un mondo in cui siamo tutti uguali, con pari diritti, do-ve nessuno è considerato mi-gliore dell'altro, ma allo stes-

so tempo in cui ognuno pos-sa mettere in risalto le proprie caratteristiche personali ed essere apprezzato e non di-sprezzato per la sua diversi-tà. Mi rendo conto di quanto questo mondo che sogno sia anacronistico e utopico, ma non posso fare a meno di so-gnarlo. Quando l'umanità smetterà di temere il diverso e comincerà a vederlo come una ricchez-za, allora i tre quarti dei pro-blemi che abbiamo scompari-rebbero. 28 ottobre 1939 Oggi sono venuti a portarmi via. Sono riuscita ad infilare a malapena due cambi e il dia-rio nella borsa. Mi mancherà ogni cosa della casa in cui ho vissuto ben tredici anni, dalle travi di legno scricchiolanti, al caldo focolare che ci teneva caldi d'inverno. Mi mancherà il canto di mam-ma mentre fa le pulizie, il pro-fumo del tabacco del sigaro di papà, persino le battute cattive di mio fratello Hans. Non mi ha nemmeno salutato quando me ne sono andata. Si è limitato ad un sorrisetto, ma non un sorrisetto compia-ciuto, era ghigno triste, che mi resterà nel cuore per sem-pre; il suo valore per me è maggiore di mille scuse. E Rosa, la mia piccola Rosa, l'ho stretta forte al petto e una lacrima mi ha rigato il viso. Se mai la rivedrò la ricono-scerò a stento per quanto sa-rà cresciuta. Prima di salire sul furgone che mi avrebbe portato Kau-fbeuren-Irsee, ho respirato forte per sentire l'aria di casa scendere giù nei miei polmo-ni. Ho guardato i vasti campi e, una volta salita nel furgone ho visto il mio paesino scom-parire pian piano. Non mi ero

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mai allontanata così tanto da lì. Un brivido mi ha percorso velocemente la schiena e ho lasciato che la tristezza pren-desse il sopravvento su me. Con me nel furgoncino c'era-no un'altra decina di bambini, avevamo diversi problemi, ma in comune lo stesso sguardo sconsolato. Ho parlato con due di loro un ragazzo di quattordici anni, Emmanuel e una bambina di sette di nome Helga. Emmanuel può sembrare un ragazzo come tanti, non ha nulla di diverso dai suoi coe-tanei . Il suo rendimento sco-lastico però non è considera-to sufficiente e il suo compor-tamento inadeguato. Gli è stata diagnosticata una carenza di attenzione e ipe-rattività, che lo rendono ina-datto ad ogni tipo di attività lavorativa, deve quindi essere sottoposto a questo tratta-mento. Helga, invece è nata senza una gamba ed era priva di entrambe le manine, e ha lie-vi problemi di udito. Insomma i nostri casi sono piuttosto si-mili. É una bambina molto dolce, i suoi occhietti vivaci e teneri mi ricordano quelli del-la mia sorellina. Una volta arrivati a destina-zione ci hanno sistemato in due stanze dividendo maschi e femmine. La stanza è orribile, non ci sono letti solo dei cuscini e delle coperte sporche. Oltre a noi ci sono una dozzina di bambine arrivate delle regioni confinanti con la Baviera. Helga dorme sulle mie gam-be, mi sono già affezionata a lei parecchio, sento un senso innato di protezione verso lei. Le passo le dita fra i capelli color paglia districandole qualche nodo qua e là. Domani è il giorno delle visi-te, così ci hanno detto, ma non voglio pensarci, altrimenti

mi sale il panico. 29 ottobre 1939 Come ci avevano preannun-ciato oggi era il giorno delle visite: una trentina di ragazzi-ni con il batticuore davanti ad un porta in attesa che il pro-prio nome venisse pronuncia-to. Eravamo tutti così diversi ma così uguali allo stesso tempo: chi con qualche ritar-do cognitivo; chi, come me, con malformazioni e chi giudi-cato psicologicamente insta-bile. Quando è toccato a me sono stata portata nella stanza da un'operatrice, che mi ha la-sciato poi nelle mani di due medici in camice bianco. Erano molto diversi dal mio dottore di famiglia, erano gio-vani e aitanti, molto profes-sionali, ma io coglievo nei lo-ro occhi una luce molto diver-sa da quella che aveva il dr. Schwarz nei suoi. Per il mio amato medico ero Johanna, la ragazzina che aveva visto crescere, per questi due uo-mini ero solo una tra tanti, un semplice numero, se è corret-to dirlo. Sentivo il menefreghi-smo nel loro tocco e nei loro freddi commenti riguardanti la mia situazione. In quel momento avrei voluto svegliarmi nella mia piccola stanza con le voci calde dei miei familiari e capire che era soltanto un brutto sogno. Ma purtroppo ero sveglissima, in balia di due sconosciuti che mi esaminavano con lo stes-so atteggiamento di quando si visitano gli agnellini prima di Pasqua. Dopo la visita ci hanno diviso nelle nostre stanze, non sono certo di lusso ma più che de-centi paragonate a quella do-ve abbiamo passato la notte precedente. Sono in camera con Helga e una ragazza di nome Margot, che non ha aperto bocca per

tutta la sera. Da domani comincia la nostra nuova vita, anche se sincera-mente vorrei tanto addormen-tarmi e non svegliarmi più. 5 novembre 1939 E' ormai quasi una settimana che sto qui, i giorni non sem-brano passare mai, sono tutti uguali: tante lunghe giornate grige. Ci svegliano la mattina all'al-ba e restiamo chiusi qui in ca-mera, senza dormire, ci con-trollano. Poi ci chiamano a volte per ulteriori accertamenti medici. La cosa peggiore dello stare qui è che non sempre ci fan-no mangiare, ci sono dei gior-ni in cui proprio non ci fanno toccare cibo e quando arriva il tanto atteso pasto, è così disgustoso che alcuni preferi-scono non mangiare. Ma se non mangi ti puniscono, Hel-ga deve averlo capito bene. Le giornate passano così, tra lezioni, preghiere e visite me-diche. Negli ultimi giorni ho legato di più con Margot, è molto timi-da, ma sa come farti sentire meglio nei momenti in cui hai bisogno. Non sono riuscita però a ca-pire la sua storia, ogni volta che le chiedo qualcosa ri-guardo alla sua famiglia, il suo paese, vedo i suoi occhi farsi lucidi, si ritira nel suo let-to e non dice più nulla; mi piacerebbe sapere di più, ma non voglio essere troppo in-vadente. Ogni giorno ci danno una mezz'oretta per ricrearci e stare tutti insieme, ovviamen-te sotto loro osservazione. Ho parlato molto con Emma-nuel, mi sento molto legata a lui ora. E' un ragazzo così vi-vace, simpatico e sveglio! Poi è molto gentile con me. Non ho mai avuto amici ma-schi nella mia vita, questo

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credo sia perché quando so-no piccoli,i maschietti fanno mondino per conto loro e poi quando si interessano alle ra-gazze, lo fanno perché vo-gliono starci insieme. Ovvia-mente non li biasimo per non avermi parlato; chi vorrebbe mai fidanzarsi con una come me... A volte ci sto male, vor-rei essere considerata carina come tutte le mie compagne, ma ogni sforzo sarebbe vano; anche se impiegassi il mio tempo a sistemarmi i capelli, a cercare di vestirmi carina, chi mai vorrebbe una ragazza senza gambe? Emmanuel è diverso, non mi tratta come uno scherzo della natura, è così disponibile e parliamo così bene. Ho paura che mi sia presa una mezza cotta per lui. Ma è troppo pre-sto per dirlo, poi lo vedo così poco. Helga invece, non fa altro che lamentarsi, piange, cerca la mamma, non mangia nulla di quello che le danno. Gli operatori la puniscono sem-pre. Torna in cella piena di lividi, io la coccolo e la calmo un po', ma i suoi sonni sono inquieti, la sento singhiozza-re, il cuoricino le batte forte e il respiro le si fa affannoso. E' così difficile stare qui, ma ho la sensazione che dovrò abituarmici. 15 novembre 1939 Non ho molto tempo di scri-vere qui nella struttura, ma ho paura! Helga questa mattina è stata chiamata per una visita, ma non è più rientrata nella stan-za. Temo le sia successo qualcosa di grave. Può darsi anche l'abbiano solo spostata in un'altra stanza, ma ho un brutto presentimento … 16 novembre 1939 Helga non c'è più. Dava trop-pi problemi. La loro scusa?

Quel giorno non si sentiva bene, ha avuto poi un attacco di epilessia. Io l'ho vista, stava bene, nes-sun segno di anomalie. Ora che mi guardo intorno ,mi rendo conto che siamo sem-pre in meno. Sono spariti in tanti, non me ne sono resa conto, perché ogni giorno arrivano furgonci-ni stracolmi di bambini che ripopolano la struttura. Poi il viaggio. Io sono stata fortunata che il viaggio per arrivare qui fosse corto. Gli altri vengono trasportati per mezza giornata in condizioni disumane, senza mangiare né bere né andare in bagno. Chi è fastidioso viene elimi-nato. Helga era una bambina scomoda che piangeva sem-pre, priva di alcuna utilità se-condo questi esseri. Io mi chiedo come siano riu-sciti a farlo, chi potrebbe mai compiere un gesto simile guardandola dritta negli oc-chietti colmi di lacrime. Pro-babilmente sapevano a mala-pena quale fosse il suo no-me. Come si può essere così freddi e crudeli! Non riesco a concepirlo. Mi terrorizza il fatto che una persona, una stupida perso-na, possa avere il potere di privarti della tua esistenza. Chi è quella persona, cosa rappresenta per me ? E' forse Dio? No, Dio è ben diverso. Dio non sarebbe mai capace di simili ingiustizie, ma allora perché permette che possa-no avvenire? Sto delirando, me ne rendo conto. L'unica cosa che pos-so fare è pregare; per l'anima di Helga, e per questi indivi-dui. Sì loro hanno bisogno delle mie preghiere, perché un giorno possano rendersi conto degli abomini che han-no commesso, ma sarà trop-po tardi: la loro coscienza è sporca di sangue. Per quanto

potranno cercare di tenerlo nascosto durante il tempo che gli resterà da vivere, non potranno mai farlo al cospetto di Dio. 1 dicembre 1939 Mi sbagliavo. Non se ne van-no solo questi fastidiosi. Pri-ma o poi ce ne andremo tutti. Margot, Emmanuel e tutti gli altri, non ci sono più, al loro posto ci sono altri bambini, ma anche questi se ne an-dranno, tra poco non ci sarà più nessuno. Nessun bambi-no considerato non adatto sopravviverà, la prossima ge-nerazione sarà perfetta gene-ticamente e pure quelle suc-cessive lo saranno, se oggi eliminiamo le mele marce. Esatto, mele marce, ecco co-me ci considerano in quella che impropriamente chiamia-mo “civile Germania”. Non siamo persone. Siamo vite indegne di essere vissute. Non ho altro da dire. Non so quanto tempo di mi resti da vivere, ma non mi vo-glio illudere, potrebbero veni-re a prendermi per la “visita” in qualsiasi momento, ora, tra due mesi chi lo sa. Non ho ricevuto nemmeno una lettera dalla mia famiglia eppure cosa non darei per risentire la voce dei miei fa-miliari. Li vedo ogni notte nei miei sogni, ma non è sufficiente. Vorrei stringerli uno ad uno e dirgli, urlargli quanto li amo tutti. Chiudo gli occhi e mi vedo con Rosa mentre gioca con il suo orsetto, poi la guardo ne-gli occhi e non è più Rosa; diventa Helga, mi chiede aiu-to, io l'afferro, ormai è fredda, non si muove, è pallida e io non posso fare niente per salvarla. Non dormo da giorni, sono tormentata da incubi. Ci dan-no così poco da mangiare

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che ormai sono pelle e ossa. Sento le costole sempre più in fuori, se mi metto di profilo sembro un foglio di carta. Vorrei che tutto questo finis-se, in bene o in male. Ho sempre quella speranza di vedere mia mamma tramite lo spiraglio della porta e la sua dolce voce che dice << Johanna, tesoro, andiamo a casa>>. Ma la speranza è sempre più flebile. 16 dicembre 1939 Mancano quattro giorni al mio quattordicesimo compleanno, ma non ci sarà nessuna can-delina da spegnere questa volta. Non so nemmeno se arriverò a compierli. Eccoli. Stanno arrivando, sento i loro passi pesanti per-correre il corridoio. Maledetti bastardi! Vi odio con tutto il cuore, non verrò mai fare questa stupida vis… 17 dicembre 939,Kaufbeuren-Irsee , Gentilissimi signori Friedrich, siamo desolati nell'informarvi, che vostra figlia Johanna Friedrich è deceduta la matti-na precedente, dopo una not-te di lunghe sofferenze. Come vi abbiamo anticipato nelle precedenti lettere era gravemente malata di una forma di broncopolmonite acuta. Nonostante le vostre insistenze non abbiamo potu-to acconsentire a farvela in-contrare, in quanto sarebbe stato rischioso per la salute dei signori stessi. Vi assicuriamo che la ragaz-za ha letto tutte le vostre let-tere, ma non ha potuto ri-spondere poiché priva di for-za alcuna. Abbiamo dovuto cremare il corpo, perché l'epidemia non potesse diffondersi. Vi invia-mo le ceneri, affinché possia-

te darle degna memoria. Vite indegne di essere vissu-te, quanta malvagità in sole cinque parole. Esiste forse un qualcuno di così superiore da potersi per-mettere di dire una simile atrocità? Apparentemente siamo forti, vogliamo apparire perfetti, non ci soffermiamo mai su quali sono i nostri difetti, ma siamo tutti bravissimi a sotto-lineare quelli altrui. Non è una predica, ma un dato di fatto. La verità è che dentro ognu-no di noi è insicuro. Ci vedia-mo come un insieme di difetti e per sentirci più forti, cer-chiamo di demolire le sicurez-ze di quelli che sono più de-boli, che di problemi ne han-no più di noi. Questo è nella nostra natura. Ma se portato all'estremo, questa ricerca della perfezio-ne, può diventare immorale e quando le cose sfuggono di mano accadono catastrofi. Noi ricordiamo la Germania nazista per l'olocausto, cosa più che giusta, ma non ci sof-fermiamo mai sulle altre vitti-me mietute dal regime nazi-sta. Gli psicopatici, le prostitute, gli omosessuali, i disabili, gli zingari e i prigionieri politici che ebbero le stesse sorti de-gli Ebrei. Non ci ricordiamo quasi mai di loro. Tutte queste persone, non erano più considerate come esseri umani, ma per quale motivo? Molti attribuiscono la colpa di ciò ad un pazzo. Ma un paz-zo da solo non può avere tut-to questo peso. Senza l'ap-poggio delle genti non avreb-be mai potuto. Aveva l'appog-gio di molti, e molti altri non hanno fatto nulla per limitarlo. Pensare che per fermare il progetto di eutanasia sarebbe

bastato un giudice, un solo giudice per fermare ogni co-sa, dato che non c'era una legge scritta. E le persone comuni che sa-pevano tutto, come è possibi-le che ci abbiano fatto l'abitu-dine. Abituarsi al fatto che a pochi metri di distanza da ca-sa si uccidono persone oggi sembrerebbe un abominio, ma il nostro spirito di adatta-mento è maggiore di quanto riusciamo a figurarci. Siamo tendenzialmente esse-ri egoisti, se una questione non ci tocca, non ce ne inte-ressiamo più di tanto. Biso-gnerebbe creare un maggiore spirito comunitario. Ora la nostra forza sta nella memoria. Nel ricordare affin-ché non possa avvenire più nulla di simile. E' questa l'im-portanza che ha la storia, l'imparare dai nostri errori precedenti. Definiamo spesso barbare le popolazioni del passato, ma è o no una barbarie anche que-sta? Ed è successa meno di un secolo fa. Ho scritto quindi questo rac-conto in cui mi metto nei pan-ni di una ragazza disabile du-rante il regime nazista. Mi sono immedesimata molto nella situazione e ho pensato che la miglior cosa che potes-si fare per esprimere i miei pensieri fosse scrivere questa storia. Quindi, niente, buona lettura. Sara Tortoioli 3A

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C on l’ intenzione di di-ventare paleontologo, dieci anni fa Alessan-

dro Urciuoli Ha intrapreso un percorso di studi lungo e ar-duo. Dopo aver lasciato i banchi dell’ Alessi, Alessan-dro ha iniziato il suo percorso di studi a Perugia con Scien-ze Naturali, ha poi preso una specializzazione a Firenze da dove ha raggiunto Barcello-na, la sua ultima tappa di stu-dio. E’ proprio da Barcellona, che abbiamo avuto l’opportunità di intervistarlo. Alessandro dopo aver iniziato lo studio da paleontologo si è specializzato sugli ominidi

vissuti circa 10000anni fa: so-no proprio questi studi che lo portano nei luoghi più ambiti dai paleontologi, gli scavi. Alessandro ha infatti parteci-pato agli scavi in Buya, regio-ne dell’Eritrea .I luoghi degli scavi non sono stati scelti a caso: infatti, come ci ha spie-gato Alessandro, i luoghi de-gli scavi possono essere scelti in due modi molto diffe-renti. Il primo è quello di stu-diare gli strati del terreno: questo studio permette di ap-prossimare la presenza di re-perti e la loro profondità. Il secondo è un metodo molto più empirico infatti consiste nell’andare a scavare in zone

dove gli abitanti hanno ca-sualmente trovato reperti. Secondo Alessandro il lavoro degli scavi è molto faticoso infatti non consiste solo nel cercare i reperti ma anche nel catalogarli per età e tipologia. Nonostante la fatica di queste attività Alessandro è inten-zionato a concludere i suoi studi per poter scoprire qual-cosa di grandioso e chissà se i suoi sforzi saranno ripagati con un “anello mancante”. In bocca allo Smilodonte! Mario Bucaneve 2F

UNO STUDENTE PREISTORICO

D a circa un anno è fini-ta la mia lunga avven-tura scolastica. Dopo

anni di scuola, ho deciso di conti-nuare il mio percorso con l'u-niversità e, da ex scolara, vi racconto al-cuni degli importanti cambia-menti che ho trovato in questo nuovo mon-do. Ora sei “Lei” Il primo giorno che sono en-trata in aula, sono rimasta sorpresa da una piccola parola di tre lettere con il quale il professore si è rivolto a me: “Lei”. Con questo “lei” mi sono sentita trasformare: dalla fase adolescenziale a quella matu-ra. Si crea un rapporto alla pari che dà una sensazione di sicurezza. Il passato è passato. Non im-porta se uscirete dalla maturi-tà con un voto altissimo o con un voto

bassissimo, se nel vostro per-corso avete avuto piccole défaillance che vi hanno un po' rallentato o se siete stati sempre dei geni. Si rico-mincia tutto daccapo. Potrete farvi conoscere per la persona che siete veramente e finalmente essere compresi o, semplicemente, confermare quello che siete sempre stati. Siete liberi dalle catene del passato e dai brutti pregiudizi che la gente ha creato (o avete creato) di voi stessi. La libertà è una cosa nuova. Essere maturi comporta sa-pere fare delle scelte ed es-serne consapevoli. Mentre nella vita scolastica c'è sempre stato chi ha scelto per voi quando studia-re, quando verificare, quando svagarsi, ora avete in mano tutto il

mazzo di chiavi per poter de-cidere quando e dove entrare. Finalmente vi specializzerete nella materia che più vi piace, e lascerete indietro quelle che vi sono interessate di meno. Avete la libertà di scegliere quando studiare ed essere totalmente liberi di spendere il vostro tempo anche in altre attività. I primi tempi capita di giocarsi que-sta libertà come non ci fosse un domani (o costantemente in ansia e at-taccati alle pagine, o “fra 2 giorni ho l'esame e non ho ancora comprato i libri”). Ma niente panico, l'autonomia è una cosa nuo-va per noi vecchi liceali e dobbiamo capire come gestirla al meglio, an-che sbagliando. Fidatevi di voi stessi. Un ultimo consiglio, anche se

PRIMI PASSI NELLA VITA UNIVERSITARIA

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scontato: scegliete la facoltà che vi piace. Non la meno peggio, ma quella per la quale sentite un forte desiderio di appartenenza. Altrimenti si rischia di vivere l'università con scarso inte-resse e quindi ottenendo scarsi risultati che vi faranno demoralizzare e forse abbandonare la stra-da degli studi; oppure vi accorgerete

troppo tardi di aver scelto una strada non vostra e di aver perso tempo. Seguite la vostra pas-sione, anche se negli ultimi tempi ci sono tanti ragazzi che hanno scelto la strada dell'università, non è detto che sia la scelta giusta anche per voi. Non vi fate ingannare da chi vi dice che con la laurea in “x” non ci

farete un bel niente. Porterete con voi la soddisfazione di aver fatto quello che amavate piuttosto che rimpiangere di non aver avuto quel coraggio in più per realizzar-vi. Buona (e tanta) fortuna! Ex studentessa dell'Alessi.

PRIMA PROVA

Ricordati di portare

Un documen-to d’identità

L’orologio Il vocabolario! Cibo e acqua E Attenzione:

Non dimen-ticare TITO-LO e DESTI-NAZIONE

E ricorda che una buona calligrafia può fare mi-racoli!

SECONDA PROVA

Ricordati di portare Un documen-

to d’identità L’orologio Cibo e acqua

...ah, forse una

calcolatrice

(non program-

mabile!) po-

trebbe esserti

utile

TERZA PROVA

Ti serviranno: Vocabolari Calcolatrice

non program-mabile

Orologio Generi di con-

forto

SCRIVI

BENE E

PIANIFICA IL

LAVORO

COLLO-QUIO

Porta tutto quello che ti serve per la te-sina

Cerca di avere un cavallo di battaglia per ogni materia

Sii pronto a giustificare eventuali sva-rioni degli scrit-ti

Preparati delle

risposte alle se-

guenti domande:

Perché hai

scelto questo

argomento?

Cosa vorresti

fare da gran-

de?

COME AFFRONTARE AL MEGLIO GLI ESAMI

COSA FARE DAVANTI AI COMMISARI ESTERNI

1. Non masticare la gomma 2. Vestirsi bene

3. Non guardare con occhi di sfida

4. Non arrivare in ritardo 5.Evitare frasi imbarazzanti

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Ecco alcune vignette ed aforismi per colo-ro che quest’anno dovranno affrontare gli esami di Maturità. Speriamo di farvi ridere un po’

Una frase benaugurante: Nella vita le

cose passano sempre, come in un

fiume. Anche le più difficili che ti

sembra impossibile superare le su-

peri, e in un attimo te le trovi dietro

alle spalle e devi andare avanti. Ti

aspettano cose nuove. (Niccolò Am-

maniti, Ti prendo e ti porto via)

Ricordati: noi non invecchiamo; maturiamo! Snoopy, I Peanuts

Gli allievi mangiano ciò

che i professori hanno

digerito (Karl Kraus)

Maturare non è altro che il proces-so attraverso il quale si scopre che tutto ciò in cui credevi da giovane è falso mentre tutto quello a cui ti ri-fiutavi di credere in gioventù risulta vero. (Carlos Ruiz Zafón)

Adulto. dal lat. [adúltus] crescere. I latini non vede-vano la maturità come un traguardo, ma come un percorso. Lungo una vita. #parolecheamo (Guidofruscoloni, Twitter)

Gli esami sono vicini e tu sei troppo lontana dalla mia stanza, tuo padre sembra Dante e tuo fratello Ariosto, stasera al solito posto, la luna sembra strana sarà che non ti vedo da una set-timana (Notte prima degli esami, Anto-nelli Venditti)

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Dato il successo delle precedenti edizioni proponiamo ormai come appuntamento fisso il nostro test linguistico. Ormai sapete come funziona

quindi…. Misuratevi con i nuovi 25 vocaboli e controllate il livello raggiunto!

Ce l’avevo...sulla punta della lingua!

ABBRIVIO ACCLARARE

ANELARE AVVEZZO BASITO

CLAMIDE DADAISMO

DOVIZIA EDONISTICO

EPISTEMICO FILAUTIA GIBBOSO

INCIPIENTE ISTRIONE

PERVICACIA PLETORICO

PRASSI PROSOPOPEA

RUGLIO SALMASTRO SCONCERTO SEDICENTE SERLIANA STOLIDO

STOLTILOQUIO

0-5 Sai che nel mondo esiste una lingua chiamata “Italiano”? Forse te ne dimentichi troppo spesso...Un consiglio…vai a ripetizione da Tarzan …o da Cita 6-10 La tua modesta conoscenza della lingua ti permette di decifrare una lista della spesa! Tua madre sarà contenta, ma il prof potrebbe pretendere qualcosina in più! 11-15 Niente male davvero! Il tuo lessico ti permette di svolgere con tranquillità le interrogazioni più articolate, ma puoi fare di meglio! 16-20 Complimenti! Il tuo uso del lessico italiano non ha nulla da invidiare a nessuno! Ma tu la sera che fai…leggi???????? Continua così! :D 21-25 BRAVISSIMUS STUDENTUS INTELLIGENTES ET FURBUS PUREM!!!!!!!!!! TRADOTTO: INTANTO CONOSCI L’ITALIANO, PER IL LATINO C’E’ SEMPRE TEMPO…..

Se Hugo avesse acceso la luce sarebbe ancora vi-vo! Informazioni addizio-nali: * era in casa da solo e un ladro gli aveva spa-rato; * non era di giorno; * dopo che gli avevano spa-rato aveva fatto una tele-fonata. Come si spiega?

E' notte fonda. Un signore è seduto su un letto di una camera d'alber-go. E' disperato perché non riesce a prendere sonno. Ad un certo punto fa una telefonata, aspetta che l'altro risponda, non gli dice niente, e dopo, finalmente, si ad-dormenta. Informazioni addizionali: * dopo un'ora circa quel signore si sveglia di nuovo e fa un'altra telefo-nata. Come si spiega?

Un cavallo senza cavalie-re vola sopra una torre e at-terra su un uomo il quale sparisce. Come si spie-ga?

Un turista giunge in un paesino di montagna che non aveva mai visto prima. Non sa nulla del luogo e non conosce nessun abitante. Dopo alcuni giorni decide di farsi tagliarei capelli. Passeggiando vede che ci sono soltanto due barbieri in tutta la città. Entrambi sono in attesa di clienti sulla porta. Il turista, essendo pignolo sul proprio aspetto, scruta dentro il primo negozio: grande pulizia e lindore, nessun capello per terra e specchi splendenti. I capelli del proprietario sono ben ta-gliati con una piega sulla sinistra. All’incrocio dopo c’è il secondo negozio… I capelli del secondo barbiere sono tagliati tutti storti e dentro il negozio anche la pulizia non è il massimo. Entrambi chiedono la stessa cifra per il taglio… il turista ci pensa un attimo e va dal secondo barbiere. come mai?

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Lanciando esatta-mente 3 freccette valide raggiungere il totale indicato. In pratica si tratta solo di sommare 3 dei numeri scritti nel bersaglio, tenendo conto che si può colpire più volte lo stesso valore.