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In copertina La legge delle m La Vattenfall contro la Germania, la Philip Morris contro l’Australia, la Deutsche Bank contro lo Sri Lanka: quando pensano che una legge li danneggi, i grandi gruppi industriali fanno causa agli stati. E vincono sempre Q uando il sistema finan- ziario argentino è crol- lato, per Selvyn Seidel è stata una bella giornata. Anche quando è esplosa la centrale nucleare di Fukushima non è anda- ta male. E quando nella provincia canade- se del Québec si sono verificate delle per- dite di gas tossici da alcuni impianti di fra- cking, gli affari di Selvyn Seidel sono anda- ti a gonfie vele. Quando nel mondo succe- de qualcosa che terrorizza la gente, per Seidel è sempre una buona notizia. Perché in genere in queste occasioni i governi adottano nuove leggi e regolamenti. Dopo il crollo finanziario, l’Argentina ha annunciato che non avrebbe saldato i suoi debiti: un danno consistente per le banche estere che le avevano prestato grandi somme di denaro. Dopo la catastro- fe di Fukushima, la cancelliera tedesca Angela Merkel ha annunciato che la Ger- mania avrebbe rinunciato all’energia nu- cleare, con gravi contraccolpi per le azien- de che gestiscono le centrali nucleari nel paese. La provincia del Québec ha imposto un divieto temporaneo sul fracking: una perdita grave per le compagnie minerarie internazionali. Selvyn Seidel si guadagna da vivere recuperando una parte di tutti questi soldi persi. Dalla sua scrivania al ventisettesimo piano di un grattacielo non lontano da Ti- mes square, a New York, Seidel può ammi- rare il paesaggio innevato del New Jersey al di là del fiume Hudson. Indossa un com- pleto blu e una cravatta a farfalla rossa, e ha davanti a sé un bicchiere di carta pieno di caffè. Seidel, 71 anni e una corona di ca- pelli bianchi, nella vita ha già lavorato ab- bastanza, ma non ha ancora voglia di smet- tere. Gli affari vanno bene: i grandi gruppi industriali di tutto il mondo non hanno mai affrontato così tante battaglie legali contro i governi. Per Seidel sono anni d’oro. Lun- go la parete alle sue spalle sono impilati gli scatoloni che contengono gli incartamenti dei suoi clienti. Tra poco squillerà il telefono. Seidel sta aspettando di essere contattato da un for- nitore di servizi finanziari olandese. Prefe- risce non scendere nei dettagli, è una que- stione molto riservata. Si limita a dire che recentemente un paese sudamericano ha vietato le transazioni finanziarie rischiose. L’obiettivo del governo locale è proteggere i risparmi degli investitori privati, ma il provvedimento è stato una rovina per le aziende che forniscono servizi finanziari. Ora l’azienda olandese vuole recuperare il denaro perso. Seidel copre le spese legali e processua- li delle aziende che fanno causa agli stati per ottenere un risarcimento dei danni e che devono affrontare processi molto co- stosi. Se l’azienda vince, Seidel incassa buona parte della somma richiesta, spesso centinaia di milioni di dollari. È il suo mo- dello d’impresa. Sulla scrivania campeggia un trofeo che Seidel ha conquistato sostenendo le multi- nazionali nella loro battaglia contro gli sta- ti: il Lawyers award del 2013. È un oggetto CORBIS Kerstin Kohlenberg, Petra Pinzler e Wolfgang Uchatius, Die Zeit, Germania Foto di C.J. Burton 38 Internazionale 1048 | 24 aprile 2014

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Da brividi.... Cosa possono gli Stati contro le Multinazionali? Una cippa!!!

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La legge delle multin

La Vattenfall contro la Germania, la Philip Morris contro l’Australia, la Deutsche Bank controlo Sri Lanka: quando pensano che una legge li danneggi, i grandi gruppi industriali fanno causa agli stati. E vincono sempre

Quando il sistema �nan-ziario argentino è crol-lato, per Selvyn Seidel è stata una bella giornata. Anche quando è esplosa la centrale nucleare di Fukushima non è anda-

ta male. E quando nella provincia canade-se del Québec si sono veri�cate delle per-dite di gas tossici da alcuni impianti di fra-cking, gli a�ari di Selvyn Seidel sono anda-ti a gon�e vele. Quando nel mondo succe-de qualcosa che terrorizza la gente, per Seidel è sempre una buona notizia. Perché in genere in queste occasioni i governi adottano nuove leggi e regolamenti.

Dopo il crollo �nanziario, l’Argentina ha annunciato che non avrebbe saldato i suoi debiti: un danno consistente per le banche estere che le avevano prestato grandi somme di denaro. Dopo la catastro-fe di Fukushima, la cancelliera tedesca Angela Merkel ha annunciato che la Ger-mania avrebbe rinunciato all’energia nu-cleare, con gravi contraccolpi per le azien-de che gestiscono le centrali nucleari nel paese. La provincia del Québec ha imposto un divieto temporaneo sul fracking: una perdita grave per le compagnie minerarie internazionali. Selvyn Seidel si guadagna da vivere recuperando una parte di tutti questi soldi persi.

Dalla sua scrivania al ventisettesimo piano di un grattacielo non lontano da Ti-mes square, a New York, Seidel può ammi-rare il paesaggio innevato del New Jersey al di là del �ume Hudson. Indossa un com-

pleto blu e una cravatta a farfalla rossa, e ha davanti a sé un bicchiere di carta pieno di ca�è. Seidel, 71 anni e una corona di ca-pelli bianchi, nella vita ha già lavorato ab-bastanza, ma non ha ancora voglia di smet-tere. Gli a�ari vanno bene: i grandi gruppi industriali di tutto il mondo non hanno mai a�rontato così tante battaglie legali contro i governi. Per Seidel sono anni d’oro. Lun-go la parete alle sue spalle sono impilati gli scatoloni che contengono gli incartamenti dei suoi clienti.

Tra poco squillerà il telefono. Seidel sta aspettando di essere contattato da un for-nitore di servizi �nanziari olandese. Prefe-risce non scendere nei dettagli, è una que-stione molto riservata. Si limita a dire che recentemente un paese sudamericano ha vietato le transazioni �nanziarie rischiose. L’obiettivo del governo locale è proteggere i risparmi degli investitori privati, ma il provvedimento è stato una rovina per le aziende che forniscono servizi �nanziari. Ora l’azienda olandese vuole recuperare il denaro perso.

Seidel copre le spese legali e processua-li delle aziende che fanno causa agli stati per ottenere un risarcimento dei danni e che devono a�rontare processi molto co-stosi. Se l’azienda vince, Seidel incassa buona parte della somma richiesta, spesso centinaia di milioni di dollari. È il suo mo-dello d’impresa.

Sulla scrivania campeggia un trofeo che Seidel ha conquistato sostenendo le multi-nazionali nella loro battaglia contro gli sta-ti: il Lawyers award del 2013. È un oggetto C

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Kerstin Kohlenberg, Petra Pinzler e Wolfgang Uchatius, Die Zeit, GermaniaFoto di C.J. Burton

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lle multinazionalidi cristallo che è stato assegnato alla Fullbrook Capital Management di Seidel per i suoi successi come legale di cause ci-vili negli Stati Uniti. Seidel in genere inve-ste in sei o otto cause contemporaneamen-te, e intanto ne esamina altre venti o trenta in cui sono coinvolti paesi dell’America La-tina, dell’Europa, dell’Asia centrale, di tut-to il mondo.

Seidel potrebbe sembrare una specie di genio, un esperto che conosce a memoria le leggi e i sistemi giuridici di decine di sta-ti. In realtà il suo lavoro è più semplice, perché la maggior parte delle cause che �-nanzia si svolge secondo un unico princi-pio e sempre nello stesso luogo: in un edi�-cio di marmo e granito nel centro di Wa-shington, non lontano dalla Casa Bianca. L’edi�cio appartiene alla Banca mondiale, l’istituzione internazionale che si occupa di prestare denaro ai paesi poveri. E ospita uno strano tribunale: il Centro internazio-nale per il regolamento delle controversie relative agli investimenti (Icsid).

A questa corte si possono rivolgere le imprese che vogliono citare in giudizio de-gli stati stranieri per aver fatto diminuire il valore dei loro investimenti.

Lontano dagli occhi dell’opinione pub-blica, intorno a questo tribunale si è creata una macchina giudiziaria potente ed estre-mamente redditizia, manovrata da avvo-cati esperti di diritto commerciale che la-vorano per studi legali attivi a livello inter-nazionale. Osservando il funzionamento di questa macchina si trovano nuove rispo-ste all’antica domanda su quanto potere detengano gli stati nel mondo e quanto ne detengano invece le grandi aziende.

In questo momento all’Icsid ci sono 185 processi in corso. Uno di questi è classi�ca-to come Icsid-Case Arb/12/12: Vattenfall contro Federal Republic of Germany. Il motivo del contendere è la rinuncia della Germania al nucleare, che ha costretto il gruppo svedese produttore di energia elet-trica a chiudere le centrali nucleari che ge-stiva a Brunsbüttel e a Krümmel.

Oltre all’Icsid, anche altri tribunali mi-nori si occupano di regolare le controversie sugli investimenti. Non si tratta di corti giudiziarie come quelle che tutti conosco-

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no, ma di tribunali arbitrali. A prima vista la di�erenza non è enorme: anche nei pro-cedimenti arbitrali ci sono una parte lesa, un imputato, gli avvocati, le deposizioni dei testimoni e dei periti. Naturalmente ci sono anche i giudici, sempre tre. Ma già qui emergono le prime di�erenze.

I giudici non lavorano per il tribunale arbitrale, non sono funzionari e neanche dipendenti. Sono esperti di giurisprudenza provenienti da paesi diversi che vengono nominati per ciascun processo dalle parti in causa e tengono udienza insieme in una delle aule del tribunale arbitrale. In queste aule non ci sono i banchi del pubblico per-ché i processi si svolgono a porte chiuse, e questa è la seconda di�erenza.

La Vattenfall ha citato in giudizio la Germania, e di conseguenza tutti i tede-schi, chiedendo un risarcimento di più di quattro miliardi di euro: una somma corri-spondente a poco meno della metà degli aiuti allo sviluppo che la Germania invia all’estero. Nessuno sa ancora quale sarà la decisione dei giudici, ma una cosa è certa: il verdetto, che non sarà emesso prima di due anni, sarà irrevocabile. Contro le sen-tenze dell’Icsid non è possibile ricorrere presso un’istanza superiore, non si può fa-re appello e non si possono chiedere revi-sioni. E questa è la terza di�erenza.

Un’idea allettanteAlla base di questi procedimenti giudiziari ci sono i cosiddetti accordi internazionali per la promozione e la protezione degli in-vestimenti. In tutto il mondo esistono circa tremila trattati di questo tipo, con cui i go-verni s’impegnano a riconoscere i verdetti di un tribunale arbitrale. Di fronte a queste corti lo stato è l’imputato, non la parte lesa: può solo perdere denaro, mai guadagnar-ne. Tutti i cancellieri, i primi ministri e i presidenti devono inchinarsi di fronte alle decisioni dell’Icsid: lo dicono gli accordi.

Viene da chiedersi come mai ai governi della Germania e di quasi tutti gli altri pae-si del mondo sia venuto in mente di sotto-scrivere questi trattati. La risposta è che credevano di poterne appro�ttare. Questi patti tra paesi esistono da molto tempo. Il primo accordo per la promozione e la pro-tezione degli investimenti è stato concluso tra la Germania e il Pakistan nel 1959. All’epoca l’obiettivo di Berlino era proteg-gere gli investitori tedeschi da possibili espropriazioni. Grazie a quel trattato, se per esempio una fabbrica di tessuti tedesca fosse stata sequestrata da un funzionario pachistano corrotto, il titolare dell’azienda non avrebbe più dovuto a�darsi alla giu-

stizia del Pakistan. Non avrebbe dovuto prendere parte a un’udienza pubblica e non avrebbe rischiato che il suo avversario ritardasse il processo all’in�nito. Invece si sarebbe potuto rivolgere al tribunale arbi-trale internazionale, e se i giudici avessero preso le sue parti, lo stato pachistano avrebbe dovuto risarcirlo. Il Pakistan avrebbe ceduto un po’ di potere ma in com-penso sarebbe diventato più invitante per le imprese tedesche: questa era l’idea. An-che Berlino avrebbe ceduto un po’ di pote-re agli investitori pachistani, che a loro volta avrebbero potuto citare in giudizio la Germania. Almeno in teoria: in realtà all’epoca gli investitori pachistani non esi-stevano.

Nei decenni successivi molti paesi han-no �rmato accordi per la promozione e la protezione degli investimenti. La sola Ger-mania ha concluso più di cento patti di questo tipo. Eppure l’Icsid non ha attirato quasi mai l’attenzione della pubblica opi-nione. Un ricco cittadino tedesco ha de-nunciato il Camerun, una grande azienda statunitense ha citato in giudizio la Gia-maica, ma i casi erano pochi: nel 1989, per esempio, all’Icsid fu istruito solo un pro-cesso. All’epoca le imprese che investivano somme ingenti all’estero erano poche e i casi di espropriazione illegittima molto rari.

Poi a metà degli anni novanta il numero dei procedimenti arbitrali si è impennato improvvisamente, passando prima a trenta, cinquanta, ottanta, e poi a centinaia di casi. Il motivo è che dopo la caduta del muro di Berlino i grandi gruppi europei e statunitensi si sono avventurati sempre più spesso nei mercati dell’Asia, dell’Africa e dell’America Latina. Ma un’al-tra spiegazione si trova in un articolo uscito nel 1995 sul Foreign Investment Law Journal, una pubblicazione dell’Icsid. Que-sto testo ha contribuito a diffondere un’idea molto allettante tra gli avvocati che si occupavano di diritto commerciale: gli accordi per la promozione e la protezio-ne degli investimenti e i tribunali arbitrali potevano aiutare le imprese a farsi risarci-re anche nei casi in cui non c’era un’espro-priazione palese. Bastava estendere il con-

cetto di espropriazione.Nell’articolo si legge: “Gli esploratori

sono in cerca di terre sconosciute da sfrut-tare nel campo della giurisdizione arbitrale internazionale”. L’autore era un avvocato della Fresh�elds, uno studio legale britan-nico attivo a livello internazionale. Il terri-torio inesplorato era un mercato immenso che proprio in quegli anni si stava aprendo a migliaia di avvocati in tutto il pianeta.

Al momento giustoSeduto nella penombra in un ristorante di pesce di un esclusivo albergo newyorche-se, Selvyn Seidel ordina gamberetti alla griglia. Ha appena �nito di parlare al tele-fono: un’azienda gli ha o�erto un posto nel suo consiglio di vigilanza. Domani andrà a Barcellona per tre giorni con la moglie, la prima vacanza da anni. Poi incontrerà al-cuni soci a Londra. Seidel è cresciuto in una fattoria del New Jersey. Da ragazzo la-vorava durante le ferie estive come rappre-sentante di una casa editrice vendendo enciclopedie porta a porta. Era bravo a smerciare quei pesanti volumi. “Ero uno dei migliori rappresentanti della costa est”, dice. In seguito ha studiato giurispruden-za, ma il �uto per gli a�ari non lo ha mai abbandonato.

Seidel ha lavorato per venticinque anni per la Latham & Watkins, uno studio legale californiano specializzato in diritto com-merciale. Forniva consulenze a clienti im-portanti come la compagnia aerea israelia-na El Al e rappresentava banche d’investi-

mento e assicurazioni di fronte all’Icsid. Ha lasciato lo studio nel 2006, a 65 anni. Non voleva più fare l’avvocato e si è messo in proprio. Aveva scoperto un altro territorio inesplorato nel campo

della giurisdizione arbitrale: la soluzione del problema dei costi.

I processi dell’Icsid sono costosi. La maggior parte degli avvocati si fa pagare settecento dollari all’ora o anche di più. Dal momento che anche solo per stilare e presentare la citazione in giudizio possono servire diversi mesi, in poco tempo si accu-mulano spese per decine, centinaia di mi-lioni. Per alcune aziende sono costi inso-stenibili. Seidel si accolla le spese proces-suali: se la causa viene respinta perde, ma se l’azienda vince l’avvocato può prendersi anche l’80 per cento del risarcimento. Sta-sera è di ottimo umore, e continua a ripete-re che basta una vittoria presso un tribuna-le arbitrale per guadagnare big bucks, bei soldi. Dopo quello di Seidel, sono nati altri studi che �nanziano i processi dell’Icsid

Lo stato è l’imputato, non la parte lesa: può solo perdere denaro, mai guadagnarne

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per conto di grandi aziende, e tutti si sono messi in cerca di clienti e di nuove oppor-tunità. Con il boom economico in Asia le grandi aziende della regione hanno comin-ciato a investire in Europa e negli Stati Uni-ti. E niente vieta a un’azienda asiatica di fare causa a un governo occidentale. L’ina-sprimento della legislazione contro il fumo non è forse un buon motivo per farlo? E chissà, forse si può reinterpretare anche il concetto di investitore estero. Selvyn Sei-del e gli altri �nanziatori di processi sono arrivati al momento giusto.

La società cinese di assicurazioni sulla vita Ping An ha citato in giudizio il Belgio

chiedendo un risarcimento di 1,8 miliardi di euro. Il motivo? Durante la crisi �nan-ziaria il governo belga ha salvato dalla ban-carotta e nazionalizzato una banca usando miliardi di euro delle casse dello stato. E la Ping An aveva una quota di partecipazione nell’istituto. Il gruppo Philip Morris, pro-duttore di tabacco, ha chiesto all’Australia un indennizzo di alcuni miliardi di dollari – la cifra non è stata ancora de�nita – per-ché il governo australiano ha stabilito che le sigarette possono essere vendute solo in pacchetti senza logo. La compagnia mine-raria Lone Pine ha denunciato il Canada per la moratoria sul fracking imposta dal

Québec chiedendo un risarcimento di 250 milioni di dollari. La Lone Pine è un’azien-da canadese e il tribunale arbitrale dovreb-be accogliere solo le cause di investitori stranieri, ma la Lone Pine ha sporto de-nuncia attraverso la sua a�liata statuni-tense.

“Ci sono persone che guadagnano un bel po’ di soldi da processi contro paesi che vorrebbero proteggere l’ambiente o i citta-dini”, ammette Nicolas Ulmer, un avvoca-to svizzero specializzato in procedimenti arbitrali. Anche gli studi legali tedeschi hanno scoperto il redditizio settore della giurisdizione arbitrale. Nell’estate del

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2011, sulla scia della crisi dell’euro, lo stu-dio Luther di Colonia ha inviato ai clienti un nuovo numero della sua newsletter in cui spiegava che il rischio di bancarotta di uno stato si poteva convertire in denaro sonante. In quel periodo i governi europei stavano discutendo un programma di con-solidamento del debito quale ultima possi-bilità di salvare la Grecia dall’insolvenza. In base a quel piano, le banche e le assicu-razioni estere che detenevano titoli di stato greci avrebbero dovuto rinunciare a una parte dei loro crediti per concedere ai greci un margine d’azione più ampio a livello �-nanziario. Lo studio Luther ha scritto ai suoi clienti che gli investitori non erano te-nuti a tollerare quella decisione e potevano chiedere un risarcimento: “Il nostro studio può a�ancarvi nella teoria e nella pratica in queste questioni complesse con una squadra di avvocati quali�cati nel campo delle procedure giudiziarie internazionali e nel diritto relativo ai titoli di credito”. Uno degli autori del testo era l’avvocato Richard Happ. Neanche un anno dopo, all’inizio di giugno del 2012, il nome di Happ è comparso su un sito d’informazio-ne giuridica in tutt’altro contesto: Happ era stato scelto per rappresentare la Vattenfall nel processo istituito presso l’Icsid contro la Germania.

Un’alternativa e�caceHapp sarebbe la persona ideale con cui parlare di questa disputa tra un governo che vuole fare leggi e un’azienda che vuole fare a�ari. Nato nel 1971, è un esperto di controversie legali sugli investimenti e ha rappresentato aziende private in processi contro l’Albania e l’Ucraina. Ha scritto il testo di un opuscolo della Gesel-lschaft für Aussenwirtschaft und Standortmarketing, l’ente tede-sco per l’economia estera e la promozione del territorio nazio-nale, intitolato “Hilfe, ich werde enteignet!” (Aiuto, mi stanno esproprian-do!), in cui illustra diverse situazioni in cui le imprese hanno buone prospettive di suc-cesso se fanno causa a uno stato. Un gover-no straniero può per esempio “vani�care il finanziamento di un progetto aziendale orientato a un �usso di cassa costante ridu-cendo certe tari�e regolamentate a livello statale, per esempio nel settore dell’ener-gia elettrica, del gas, delle telecomunica-zioni o del trasporto”. Happ ha in mente anche altri motivi per cui un’azienda po-trebbe fare causa a un governo: “Per esem-pio se uno stato impone nuove tasse che rendono economicamente vano il prose-

nazionali di un paese democratico, e altre no.

Anche la Rwe e la E.on, due gruppi te-deschi produttori di energia elettrica, han-no fatto causa alla Germania dopo l’uscita dal nucleare. Ma, a di�erenza della Vatten-fall, dovranno a�rontare le udienze aperte al pubblico della corte costituzionale tede-sca. La Vattenfall invece, in quanto investi-tore straniero, può rivolgersi al tribunale arbitrale che si riunisce a porte chiuse. Mentre i giudici costituzionali devono emettere la loro sentenza in base alle leggi della Germania, i giudici arbitrali decide-ranno secondo criteri approssimativi se il governo tedesco si è comportato in manie-ra illegittima. Insomma, le aziende tede-sche devono a�darsi alla propria giurisdi-zione nazionale, quelle straniere invece rispondono a una sorta di giustizia privata. La corte costituzionale tedesca decide “in nome del popolo”, ma in nome di chi giudi-cano i tribunali arbitrali? Perché gli investi-tori possono sottoporsi a una giurisdizione separata e chi si batte per la difesa dell’am-biente o per i diritti umani no?

Secondo l’avvocato Happ, gli investito-ri hanno dei privilegi particolari perché portano nel paese capitali necessari e ge-nerano ricchezza. Ma secondo Peter Fuchs il motivo è un altro: il mondo si è ridotto a un mercato e i governi sono troppo deboli per opporsi al grande capitale. Oggi Fuchs indossa la giacca e una cravatta annodata male. Non ha dimestichezza con questo tipo di abbigliamento, in genere porta je-ans e maglione, ma oggi l’eleganza è im-portante. “Altrimenti qui non mi prendono sul serio”, spiega.

In questa mattina di febbraio Fuchs ar-riva in bicicletta all’Europäisches Haus di Berlino, in Unter den Linden 78, non lonta-no dalla porta di Brandeburgo. Qui c’è l’uf-�cio di rappresentanza della Commissione europea in Germania, una specie di amba-sciata dell’Unione europea. Tra poco, nella sala conferenze, comincerà un evento in-formativo con la partecipazione di rappre-sentanti dell’Unione e del ministero dell’economia tedesco. Il tema del giorno è il Trattato transatlantico sul commercio e gli investimenti (Ttip), che l’Unione eu-ropea e gli Stati Uniti stanno discutendo proprio in questi mesi. Il patto prevede an-che un accordo per la promozione e la pro-tezione degli investimenti, che tra l’Europa e gli Stati Uniti non è mai stato siglato.

Una volta �rmato il trattato, le imprese europee potranno citare in giudizio gli Sta-ti Uniti presso un tribunale arbitrale e le aziende statunitensi potranno fare la stes-

guimento delle attività o fa leggi per la tu-tela dell’ambiente che mettono al bando prodotti fabbricati �no a quel momento”.

Che un avvocato eviti di esprimersi ri-guardo ai processi in corso è normale. Ma Happ si è anche ri�utato di descrivere più nel dettaglio le caratteristiche dei procedi-menti arbitrali.

Francoforte sul Meno, Feldbergstrasse 35. Tra i grattacieli delle banche e le palme dei giardini c’è l’u�cio della controparte di Happ nel caso Vattenfall. Sabine Konrad ci riceve in una sala con pareti e tavoli bian-chi, davanti a una bottiglia d’acqua con la scritta: McDermott Will & Emery. È il no-me di un altro importante studio legale che si muove come un grande gruppo azienda-le. La McDermott Will & Emery ha alle sue dipendenze un migliaio di avvocati in tutto

il mondo, e Sabine Konrad è una di loro.Quando si è capito che la Vattenfall si

sarebbe rivolta all’Icsid, il governo tedesco ha creato all’interno del ministero dell’eco-nomia l’“u�cio di cancelleria per il proce-dimento arbitrale sul 13° emendamento della legge sul nucleare”. Da allora quattro impiegati si occupano del caso e hanno scelto come legale Konrad, 40 anni, uno degli astri nascenti della giurisprudenza arbitrale.

Nel suo bilancio per il 2014 la Germania ha stanziato 2,2 milioni di euro per il pro-

cesso contro la Vattenfall all’Ic-sid. La maggior parte dei soldi servono a coprire le spese per l’avvocato. Konrad ha già rappre-sentato delle aziende in processi arbitrali. A volte difende la parte

lesa, altre volte l’imputato. Ma della nostra conversazione anna�ata con acqua natu-rale non si può scrivere nulla. Quando si tratta di controversie sugli investimenti, a volte il pubblico non resta escluso solo dal-le aule del tribunale. Nell’ottobre del 2011 Konrad ha inviato una lettera ai clienti del-lo studio per cui lavorava all’epoca: “I pro-cedimenti arbitrali sono un’alternativa unica ed e�cace per ottenere un risarci-mento dei danni”, ha scritto.

Non c’è nulla di strano nel fatto che un’impresa possa portare uno stato in tri-bunale. Ma viene da chiedersi perché alcu-ne aziende possono scavalcare i tribunali

Cosa può permettersi di fare uno stato se non vuole essere citato in giudizio?

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sa cosa con gli stati europei. La Commis-sione europea spera in questo modo di fa-vorire gli affari delle banche spagnole, dell’industria meccanica tedesca e delle compagnie farmaceutiche francesi negli Stati Uniti, e di rendere l’Europa più inte-ressante per gli investitori statunitensi. Questo è il piano che la commissione sta promuovendo a Berlino stamattina.

All’appuntamento si sono presentate circa centocinquanta persone. Deputati del Bundestag ed esponenti dell’industria, ma anche lobbisti specializzati in temi am-bientali e sindacalisti. Tutti devono passa-re accanto a Peter Fuchs, che se ne sta sul

marciapiede all’ingresso dell’Europäi-sches Haus e piazza in mano a chiunque passi un volantino che accusa i grandi gruppi industriali di voler aggirare i tribu-nali nazionali. Quasi tutti i passanti pren-dono il volantino senza guardarlo in faccia e proseguono. Solo ogni tanto qualcuno si ferma e fa un paio di domande.

“Lei chi è?”.“Sono Peter Fuchs, di PowerShift”.“PowerShift?”.“È un’associazione che si occupa di po-

litiche commerciali ed economiche”.Non è detto che ne abbiate sentito par-

lare: PowerShift è stata fondata solo tre

anni fa. Ha ventisette associati e tre dipen-denti �ssi. Fuchs, 49 anni, è il direttore re-sponsabile.

Da ragazzo Fuchs non vendeva enciclo-pedie come Selvyn Seidel, ma si è diploma-to con voti eccellenti e sarebbe potuto di-ventare un avvocato specializzato in diritto commerciale. Solo che quella prospettiva non gli interessava: per lui era più impor-tante l’interesse collettivo che il saldo del suo conto in banca. Così ha studiato scien-ze politiche ed economia politica, ha lavo-rato all’università e per diverse organizza-zioni che criticano la globalizzazione e alla �ne ha fondato PowerShift.

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Fuchs organizza manifestazioni, scrive saggi sulla politica dell’Unione europea, cerca di farsi ricevere dai deputati del Bun-destag. Descrive le sue attività come un tentativo di “in�uenzare il dibattito”. In certe occasioni distribuisce anche volanti-ni, come stamattina.

Quando all’ingresso dell’Europäisches Haus non arriva più nessuno, Fuchs sale al primo piano. L’evento è cominciato e, quando Fuchs entra nella sala, la direttrice dell’u�cio di rappresentanza dell’Unione europea a Berlino sta parlando dei 120 mi-liardi di euro per il welfare che l’accordo commerciale con gli Stati Uniti porterà ai paesi europei in questi tempi di crisi eco-nomica. Il direttore dei negoziati dell’Unio-ne, uno spagnolo, sottolinea che si tratta dell’accordo commerciale più importante della storia d’Europa. Un sottosegretario del ministero tedesco dell’economia a�er-ma che i timori relativi all’accordo per la promozione e la protezione degli investi-menti sono assolutamente infondati.

Fuchs ridacchia. Se dipendesse da lui, l’Unione europea farebbe saltare i nego-ziati con gli Stati Uniti. Fuchs è contrario al trattato, e ha criticato quasi tutte le deci-sioni di politica economica europea negli ultimi anni. Prima di fondare PowerShift ha lavorato come consulente del partito di sinistra Die Linke al Bundestag.

Sulle sponde dell’ElbaFuchs è stato sempre all’estremo dello spettro politico e non ha cambiato idea, ma ora, nella controversia sulla protezione de-gli investimenti, si è ritrovato a pensarla come il centro. Con l’eccezione della Cdu e della Csu, infatti, i partiti eletti al Bunde-stag sono sempre più scettici sul Trattato per la promozione e la protezione degli in-vestimenti.Per capire cosa pensano gli elettori basta dare un’occhiata al sito di Campact, dove i cittadini possono sotto-scrivere petizioni online sui temi più diver-si, dalla svolta energetica alle speculazioni sul cibo all’asilo politico per Edward Snowden. La petizione contro l’accordo di libero scambio ha già raccolto 400mila �r-me: è stata la campagna più e�cace nei dieci anni di esistenza di Campact.

Stamattina, nella sala dell’Europäi-sches Haus, i presenti fanno domande che in realtà sono a�ermazioni. Un uomo che si definisce un esponente berlinese dei Freie Wähler, il movimento dei liberi elet-tori, riscuote un sonoro applauso quando dice che non capisce quale sia il vantaggio di questi trattati per i comuni cittadini.

Christian Maass si chiede la stessa cosa

di dollari. La sentenza ha incoraggiato il mondo della �nanza, che da allora si rivol-ge sempre più spesso all’Icsid.

Sempre in favore della parte lesa si è concluso nell’autunno del 2012 il caso Icsid Arb 06/11, che vedeva la multinazionale petrolifera Oxy schierata contro l’Ecuador. Il governo ecuadoriano aveva revocato le licenze di trivellazione dell’Oxy, perché l’azienda le aveva rivendute violando i ter-mini del contratto. In base alla norma che garantisce un “trattamento giusto ed equo” alle imprese straniere, la corte ha riconosciuto all’azienda un risarcimento di 1,77 miliardi di dollari: il verdetto più co-stoso che sia mai stato formulato da un tri-bunale arbitrale.

Tre anni e mezzo fa è terminato invece con un compromesso il caso Icsid Arb 07/1: per superare l’apartheid, il governo suda-fricano aveva stabilito che aziende come le compagnie minerarie dovevano vendere una parte delle loro azioni a investitori ne-ri. Alcune imprese italiane e lussembur-ghesi hanno fatto causa al Sudafrica. Il ri-sultato è stato che Pretoria non ha dovuto risarcire le aziende, ma è stata costretta a rendere la legge meno severa.

Cosa può permettersi di fare uno stato se non vuole rischiare di essere citato in giudizio? Ben poco, rispondono i governi dell’Australia, dell’Argentina, della Boli-via, del Brasile, dell’Ecuador, dell’India, del Sudafrica e del Venezuela. Questi paesi

hanno rescisso accordi per la promozione e la protezione degli investimenti, si sono ri�utati di sottoscriverli o hanno annuncia-to che non ne avrebbero �rmati di nuovi. Ormai anche la Com-

missione europea ha riconosciuto che la presenza di una giustizia separata e segre-ta per le aziende straniere è difficile da spiegare ai cittadini. Di fronte alle crescen-ti critiche, Bruxelles ha sospeso per tre me-si i negoziati con gli Stati Uniti sulla prote-zione degli investimenti.

Durante l’evento all’Europäisches Haus il direttore dei negoziati dell’Unione europea a�erma che �n dall’inizio si è te-nuto conto dei dubbi dei cittadini: l’obietti-vo è sempre stato quello di concludere un nuovo tipo di accordo per la promozione e la protezione degli investimenti.

Ma questa a�ermazione non corrispon-de alla realtà. La Commissione europea si rifiuta di rendere pubbliche le bozze dell’accordo, ma la Zeit è in possesso della versione del testo con cui la commissione si è presentata al tavolo dei negoziati, quel-lo cioè in cui sono contenute le sue richie-

da cinque anni, da quando la Germania è stata citata in giudizio presso l’Icsid per la prima volta. Maass, 41 anni, all’epoca era un esponente dei Verdi di Amburgo. Dopo le elezioni comunali il suo partito si è coa-lizzato con la Cdu e lui è diventato consi-gliere per l’ambiente. Proprio in quel pe-riodo sulla sponda meridionale dell’Elba stava prendendo il via un progetto immen-so: la centrale a carbone di Amburgo Mo-orburg, gestita dal gruppo Vattenfall.

L’impianto avrebbe bruciato e trasfor-mato in corrente elettrica �no a 12mila ton-nellate di carbon fossile al giorno. La Vat-tenfall voleva ra�reddare la centrale con l’acqua dell’Elba, ma la città di Amburgo, temendo che il ra�reddamento stravolges-

se l’ecosistema del �ume, ha posto condi-zioni molto severe per l’apertura dell’im-pianto. La Vattenfall ha risposto sporgendo denuncia all’Icsid. La richiesta di risarci-mento presentata allo stato tedesco, e quindi ai contribuenti, era di 1,4 miliardi di euro. La tesi dell’azienda svedese era che le norme per la tutela dell’ambiente aveva-no causato una riduzione della redditività della centrale elettrica, e che quindi l’investimento aveva per-so valore.

Quando Maass ha saputo la notizia non ha potuto fare altro che scuotere la testa incredulo. Anche lui è un giurista, specializzato in di-ritto ambientale, ma non aveva mai sentito parlare del tribunale arbitrale di Washing-ton. Il processo si è concluso con una con-ciliazione: la Vattenfall ha rinunciato all’indennizzo e in cambio l’autorità per la tutela dell’ambiente ha adottato norme meno rigide.

Invece il caso Icsid Arb/09/2, Deutsche Bank contro Sri Lanka, si è concluso non con un pareggio ma con una vittoria della parte lesa. È successo un anno e mezzo fa. La banca tedesca aveva concluso con un’azienda di proprietà dello stato srilan-chese una complessa transazione �nanzia-ria che aveva a che fare con le tari�e petro-lifere. Quando l’azienda non ha onorato i suoi debiti, l’istituto di credito ha fatto cau-sa al governo dello Sri Lanka e il tribunale arbitrale ha stabilito che gli fosse ricono-sciuto un risarcimento di sessanta milioni

Il Sudafrica non ha pagato risarcimenti, ma ha dovuto cambiare la legge

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ste iniziali. L’articolo 12, comma 1, prescri-ve un “trattamento giusto ed equo” delle imprese estere. Non sembrerà nulla di drammatico, ma in altri accordi simili è stata proprio questa norma a permettere di istruire molti processi dell’Icsid, per esem-pio quello contro le leggi per la tutela dell’ambiente.

Lo stesso si può dire di un altro patto che l’Unione europea potrebbe siglare con il Canada. Le trattative stanno per conclu-dersi e anche in questo caso la Zeit dispone delle bozze. Di nuovo, non si vedono gran-di cambiamenti: se un’impresa citerà in giudizio l’Unione europea o la Germania, si potrà tenere l’opinione pubblica all’oscu-ro di tutto. Di un’eventuale istanza supe-riore a cui fare appello si parlerà solo in un secondo momento.

Appro�ttare dell’ingiustiziaTutte le mattine, quando va in ufficio, Klaus Sachs passa davanti a un enorme blocco di cemento che trent’anni fa era considerato un esempio di architettura moderna. È il palazzo di giustizia di Mona-co, dove si svolgono il processo all’organiz-zazione neonazista Nsu e decine di altri procedimenti giudiziari. Salvo poche ecce-zioni, le udienze sono tutte pubbliche.

Anche Klaus Sachs, 62 anni, è un avvo-cato. A di�erenza di quasi tutti i colleghi, però, il suo nome compare in una lista pub-blicata lo scorso autunno dal ministero dell’economia tedesco: l’elenco dei giudici arbitrali tedeschi dell’Icsid, che contiene appena otto nomi.

Sachs ha esercitato il potere giurisdi-zionale in nove processi arbitrali. Una volta si è trattato di una causa intentata contro la Polonia da un grande gruppo francese atti-vo nel settore dell’informazione, un’altra di una controversia tra un produttore di energia elettrica statunitense e il Kazaki-stan. Prima che fossero istituiti i tribunali arbitrali, osserva Sachs, capitava spesso che un’espropriazione o una controversia sugli investimenti provocassero una crisi internazionale: non bisogna dimenticarlo. Nell’ottocento e nel novecento le navi da guerra europee hanno bombardato più volte i porti dell’Africa e dell’America Lati-na per ottenere il dovuto dai mercanti lo-cali. Rispetto ad allora, è un grande pro-gresso che le dispute tra imprese e governi si risolvano di fronte a un tribunale arbitra-le. E non c’è dubbio che in tutto il mondo esistano ancora decine di paesi il cui appa-rato giudiziario non si può certo de�nire indipendente.

Anche se lavora all’Icsid, Sachs non è tipo da difenderlo a spada tratta. Ha una cattedra all’università di Monaco e ha di-stribuito ai suoi studenti uno studio sui tribunali arbitrali pubblicato dal Corporate Europe observatory, un’organizzazione non governativa che si batte contro i poteri economici e politici delle grandi aziende. Il documento s’intitola “Pro�ting from in-justice”, appro�ttare dell’ingiustizia. Sachs ha chiesto ai suoi allievi di scrivere una te-sina sul tema: “Per quale motivo la giuri-sprudenza arbitrale viene criticata?”.

Sachs osserva che da un certo punto di vista è già stupefacente che gli stati sovrani abbiano accettato di farsi giudicare da pri-vati cittadini – i giudici arbitrali – riguardo alle proprie leggi e alle proprie decisioni. D’altra parte la grande maggioranza di questi privati cittadini è estremamente consapevole delle proprie responsabilità. Sachs si ferma a ri�ettere, cerca di formu-lare un giudizio più equo possibile sul suo mestiere. Su un punto è molto deciso: “In e�etti sarebbe davvero opportuno miglio-rare la trasparenza”. Un verdetto che spun-ta dal nulla non è più adeguato ai tempi. Sachs non è più l’unico a sostenere questa posizione. Anche il giurista francese Em-manuel Gaillard, uno dei giudici arbitrali più impegnati del mondo, sostiene che le udienze dovrebbero essere pubbliche.

Procedure trasparenti, un’istanza su-periore a cui fare appello e possibilmente anche una serie di clausole per la tutela dell’ambiente e della salute pubblica. Per-�no Selvyn Seidel, il newyorchese che �-nanzia le cause delle imprese, recente-mente si è espresso a favore di una riforma dei tribunali arbitrali. Ma gli a�ari devono pur proseguire.

“Lei sa cosa sono i junk bond?”, mi do-manda di punto in bianco durante la cena al ristorante di pesce. La traduzione dell’espressione inglese è “titoli tossici”. “Si tratta di un nome fuorviante per riferir-si a titoli di credito che espongono a un ri-schio notevole ma o�rono anche la possi-bilità di ottenere grandi guadagni”.

Seidel ha avuto un’idea per �nanziare un numero ancora maggiore di processi: vuole trasformare le cause per risarcimen-to danni in titoli da mettere in vendita sui mercati �nanziari. Banche, assicurazioni, fondi d’investimento e singoli individui potrebbero comprarli come se fossero azioni e fare ricche speculazioni su questi casi giudiziari. Così anche il processo con-tro l’uscita della Germania dal nucleare potrebbe trasformarsi in un investimento interessante. fp

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