i giochi del familiare dipendente

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI FIRENZE FACOLTÀ DI PSICOLOGIA CORSO DI LAUREA IN SCIENZE E TECNICHE DI PSICOLOGIA GENERALE E SPERIMENTALE “I giochi del familiare dipendente” Dinamiche di dipendenza patologica tra analisi sistemica e analisi transazionale Relatore: prof. Sandro Candreva Correlatore: dott.sa Cristina Innocenti Candidato: Giovanni Bertoni (n. matricola: 4024434) A.A. 2006/2007

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tesi di laurea triennale in psicologia clinica

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Page 1: I Giochi Del Familiare Dipendente

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI FIRENZE

FACOLTÀ DI PSICOLOGIA

CORSO DI LAUREA IN SCIENZE E TECNICHE DI PSICOLOGIA

GENERALE E SPERIMENTALE

“I giochi del familiare dipendente”

Dinamiche di dipendenza patologica tra analisi sistemica e analisi

transazionale

Relatore: prof. Sandro Candreva

Correlatore: dott.sa Cristina Innocenti

Candidato: Giovanni Bertoni (n. matricola: 4024434)

A.A. 2006/2007

Page 2: I Giochi Del Familiare Dipendente

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I GIOCHI DEL FAMILIARE DIPENDENTE

DINAMICHE DI DIPENDENZA PATOLOGICA TRA ANALISI

SISTEMICA E ANALISI TRANSAZIONALE

Page 3: I Giochi Del Familiare Dipendente

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Sommario

INTRODUZIONE ............................................................................................................................................ 3

IL PARADIGMA FAMILIARE ..................................................................................................................... 5

IL PAZIENTE DESIGNATO ................................................................................................................................ 6 La designazione ........................................................................................................................................ 6

LE DIPENDENZE PATOLOGICHE .......................................................................................................... 16

La famiglia nella società ........................................................................................................................ 19

FAMIGLIA E TOSSICODIPENDENZA .................................................................................................... 21

I “RIFUGI DELLA MENTE”: LA TOSSICOMANIA COME AUTOTERAPIA ............................................................. 23 LA TIPOLOGIA .............................................................................................................................................. 24

CONTRIBUTI DELL’ANALISI TRANSAZIONALE .............................................................................. 29

ANALISI TRANSAZIONALE: INTRODUZIONE .................................................................................................. 29 IL COPIONE PSICOLOGICO: L’IO TRANSFERENZIALE ...................................................................................... 30 IL GIOCO PSICOLOGICO ................................................................................................................................ 36

La genesi dei giochi ............................................................................................................................... 36 La funzione dei giochi ......................................................................................................................... 37 L'importanza dei giochi .......................................................................................................................... 37

SAPER USCIRE DALLE CONSUETUDINI FAMILIARI ....................................................................... 39

VERSO LA DIFFERENZIAZIONE: TRA APPARTENENZA E SEPARAZIONE ................................................ 39 I miti ....................................................................................................................................................... 40 Il taglio emotivo ..................................................................................................................................... 41

PROGRAMMA TERAPEUTICO ......................................................................................................................... 41 Contributo Analitico-Transazionale ....................................................................................................... 42 Contributo sistemico .............................................................................................................................. 43

RIFLESSIONI ................................................................................................................................................ 46

PARELLELI TRA I MODELLI .................................................................................................................. 46 CONCLUSIONI ......................................................................................................................................... 47

BIBLIOGRAFIA ........................................................................................................................................... 49

Page 4: I Giochi Del Familiare Dipendente

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INTRODUZIONE

Le osservazioni che ispirano questo lavoro nascono dalla personale esperienza

all’interno di un comunità multifamiliare (gruppo di auto-aiuto) organizzata secondo il

metodo ecologico-sociale di Wladimir Hudolin nel trattamento di problematiche “alcol-

correlate”: i Club di Alcolisti in Trattamento. L'alcolismo è considerato uno stile di vita e il

trattamento di questa dipendenza non viene identificata con la cura in senso tradizionale,

sia perché la persona che presenta tali problemi non è un malato, sia perché, coerentemente

con una visione circolare e sistemica, qualsiasi cambiamento che si verifichi ad un livello

avrà ripercussioni anche sugli altri. Una delle peculiarità più interessanti di questi gruppi,

centrale anche nel trattamento di altre dipendenze (ad es. come dimostra l’esperienza di

Campoformio per quanto riguarda il gioco d’azzardo), sta proprio nella particolare

attenzione rivolta alla famiglia del “bevitore”. Riunite insieme, le famiglie hanno la

possibilità di comunicare, lavorano per raggiungere l'astinenza dall'alcol e dalle altre

droghe e per migliorare il proprio stile di vita, si impegnano a mantenere il Club sempre

aperto verso l'esterno per garantire la comunicazione, lo scambio e la crescita (Guidoni,

Tilli, 2004).

L’impatto emozionale decisamente coinvolgente delle riunioni settimanali e i dati

statistici sulla “efficacia” nella prevenzione delle “ricadute” nella spirale della dipendenza

portano la riflessione sul coinvolgimento della famiglia in questo tipo di dinamiche sia in

termini eziologici che prognostici.

Questo elaborato si propone di esplorare le dinamiche della dipendenza patologica in

relazione al sistema famiglia; verrà quindi adottata una prospettiva di base che permetta la

descrizione del fenomeno all’interno della cornice sistemico-relazionale. Verranno

considerati in tale prospettiva i concetti chiave di paziente designato e di dipendenza

patologica, per passare poi all’analisi della tossicodipendenza nella famiglia, essendo

questo fenomeno largamente studiato e comunque sovrapponibile ad altri comportamenti

dipendenti (Caretti, 2005).

Lontani dalla pretesa di essere esaustivi, si vuole costruire una ricerca sulle origini

della disfunzionalità che, ad una descrizione superficiale, appare interessare un singolo

Page 5: I Giochi Del Familiare Dipendente

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individuo, mentre in realtà si scopre implicare relazioni particolari e, in ogni caso, si rivela

coinvolgere e quindi condizionare l’intera famiglia.

Nel percorso che ci guida alla riflessione, affianco all’approccio sistemico, sarà

considerata la prospettiva analitico-transazionale. Per comporre il quadro finale ci

serviremo di concetti specifici di questo approccio quali quello di “copione”, di “gioco

psicologico” e quello di “carezze”.

Con il presente lavoro, ci si propone di individuare inoltre la direzione dei meccanismi

risolutivi e le risorse interne che possono essere innescate dal sistema famiglia stesso, atte

a sbloccare le abitudini disadattive che impediscono il cambiamento.

Page 6: I Giochi Del Familiare Dipendente

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IL PARADIGMA FAMILIARE

Secondo una leggenda indù in cima al palazzo del dio vedico Indra, c’è una rete di gemme

disposte in modo tale che se se ne osserva una si vedono tutte le altre riflesse in essa.

L’insieme va a comporre un complesso reticolo in cui ogni punto, ogni elemento, vive di

tutto l’insieme.

Tutti i modelli di terapia familiare sono di natura sistemica dal momento che

riconoscono l’interconnessione dei fenomeni individuali, familiari e sociali. Con

l’evoluzione del pensiero, si è assistito ad una radicale modificazione dei parametri teorici

originari in tutti i modelli della psicoterapia familiare, essi possono quindi differire

riguardo ad una molteplicità di aspetti (Madanes e Haley, 1977). La patologia è diventata

la faccia complementare della normalità. Si assegna al sintomo un significato positivo,

quale esperienza di individuazione, crescita, mezzo utile al sistema per raggiungere sue

finalità ecc. Esso costituisce il conflitto stesso, l’incapacità, il tentativo di risolvere il

problema in atto. Mentre l’osservatore fa distinzione tra normale e patologico i sistemi si

comportano in modo coerente alla loro organizzazione. Keeney B. proporne il concetto di

epistemologia ecosistemica, dove i sintomi diventano comunicazioni metaforiche circa

l’ecologia del sistema relazionale del paziente. Possiamo delineare una specie di traccia al

percorso di sviluppo del paradigma familiare:

- passaggio al modello di pensiero lineare a quello circolare;

- definizione dei sistemi viventi come permanentemente instabili: viene favorita

l’instabilità a scapito dell’equilibrio;

- privilegio assegnato alla imprevedibilità del sistema con maggiore attenzione al

caso;

- scelta del modello evolutivo, dove si ribadisce un maggior rispetto per la singolarità

di ogni famiglia;

- sostituzione del concetto dell’omeostasi con quello della coerenza, cioè del modo in

cui le parti si adattano verso l’interno, relativo al sistema, verso l’esterno, relativo

all’ambiente;

Page 7: I Giochi Del Familiare Dipendente

6

- interpretazione positiva del sintomo quale agente di cambiamento ma anche quale

propulsore di una maggiore complessità del sistema;

- introduzione della complessità e dell’accoppiamento strutturale come passaggio

centrale dell’atto terapeutico. La causa e l’effetto si influenzano vicendevolmente e

i confini si confondono;

- recupero del tempo, o della storia, non come una piatta proposta di un passato che

“causi” il presente, ma nel senso di ritrovare una matrice su cui ricomporre e

comporre una vicenda umana;

Il paziente designato

Nella psicoterapia relazionale si considera particolarmente importante il “disturbo” del

paziente designato, che nel lessico relazionale è denominato comportamento sintomatico. Il

concetto di sintomo, traendo le proprie origini dalla medicina e dalla psichiatria, ha

cambiato la propria definizione nel corso dello sviluppo subendo negli anni una profonda

revisione. Nelle prime formulazioni il sintomo è un modello comunicativo che serve a

mantenere l’omeostasi, impedire il cambiamento; media all’interno della famiglia i

rapporti di vicinanza, intimità, separazioni. In terapia si ricercano ridondanze, retroazioni,

regole, circuiti che si automantengono. Comprendere il sintomo significa cercare le regole

del sistema. Le varie scuole hanno proposto una revisione e un’evoluzione di questi

concetti, oltre a diverse interpretazioni dei modelli di funzionamento normali e

disfunzionali della famiglia. Per Munichin la distinzione generale tra famiglia “normale” e

famiglia “anormale” ma particolarmente adeguata, è dovuta non all’assenza di problemi,

ma alla capacità di affrontarli e di adattarsi alle situazioni nuove che richiedono modelli

alternativi di funzionamento.

La designazione

La designazione, intesa in modo generico, è peculiare d’ogni sistema poiché è la

rappresentazione indicata delle nostre e altrui scelte. Costituisce l’attuazione di propositi

progettuali (presenti e futuri) d’investiture e di premesse, a volte rifiutati perché avvertiti

Page 8: I Giochi Del Familiare Dipendente

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non consoni, a volte accettate e altre ancora vissuti destabilizzanti o incongrui (Ragusa,

2006).

Consideriamo i seguenti vettori per la designazione del paziente:

1) chi designa;

2) cosa designa;

3) esiste l’auto designazione?

Il primo punto fa pensare ad una persona cosciente che prefigura un’azione verso

un’altra persona. L’azione (prefigurata e agita) parte così da se stesso ed è rivolta

all’esterno; il ricevente, a sua volta, esperisce una risposta incentrata sul proprio Sé e

relativa allo stimolo originario.

A livello sociale, il singolo soggetto opera un’astrazione di Sé, dà un significato alla

collettività che lo include e attraverso di essa ha un significato di Sé; ma è la collettività

che designa, non viceversa.

Cecchin, Lane e Ray affermano: “(...) la patologia è in buona parte il risultato di un

processo di costruzione in cui due sono le parti che interagiscono tra loro: su un versante,

la cultura dominante, coi suoi miti, i suoi pregiudizi, le sue credenze che definiscono i

criteri per distinguere il bello dal brutto, il sano dal malato, il normale dall’anomalo e così

via; sull’altro versante, il singolo individuo che, in quanto appartenente a quella cultura, ai

doppi legami che ne derivano, di cui cerca di farsi una ragione a cui cerca di sopravvivere “

(Cecchin e Altri, 1993).

Restringendo il campo nel rapporto individuo/famiglia (estesa o nucleare),

l’appartenenza assume connotazioni qualificanti più restrittive nel senso che nella famiglia,

si affermano i soddisfacimenti individuali dei bisogni primari; la dipendenza verso l’altro/i

necessita a sua volta di essere qualificata relativamente al rapporto (genitoriale, di copia,

della fratria, ecc.) e agli affetti ( per i genitori, per il coniuge, per i figli, per...). Quando

parliamo della famiglia e dei suoi membri come dobbiamo considerare la coscienza di

questo fenomeno? Rispetto all’accentramento che ogni membro riserva a sé e di quello che

vuole dagli altri; o relativamente all’idea che essi hanno della famiglia; o rispetto

all’impossibilità di manifestare i sentimenti, gli affetti e la dipendenza? Ovvero: si afferma

come cosciente (reale) l’esistenza di più individui a scapito di uno solo (famiglia

disimpegnata); oppure si afferma come reale “la famiglia“ e ognuno deve essere a

disposizione di essa (famiglia invischiata); oppure la realtà per eccellenza è il non mettersi

Page 9: I Giochi Del Familiare Dipendente

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in rapporto diretto privilegiando il gioco relazionale nascosto (famiglia a transazione

schizofrenica)?

Ovviamente non ci sono risposte precostruite, però quello che si osserva nelle famiglie

disfunzionali è che esiste una sola realtà: quella decisa “essere vera”, contro ogni

possibilità alternativa.

Secondo questa delineazione possiamo dedurre “chi” sarà il designatore del paziente:

in un caso saranno “i più potenti”, coloro che impongono sé ad una o più persone

servendosene per soddisfare il proprio ego (e tutto ciò che ne deriva); nel secondo caso

sarà l’”intero” sistema assoggettato all’unicità e unità familiare ed è disdicevole metterla in

discussione; nell’ultimo caso saranno gli attori che hanno iniziato la schermatura

relazionale, affettiva e di dipendenza.

Il fatto però che esiste “un” disegnatore, individuale o di gruppo, non è informativo (se

non in senso probabilistico) di chi sarà il paziente designato (verosimilmente può essere

uno, o più di uno).

L’analisi qui affrontata su “chi” designa il paziente è di tipo lineare, il tutto si complica

allorché analizziamo “cosa” designa il paziente, il che non equivale a stabilire la causa e la

natura della patologia, ma è rivolta alla designazione e alle sue spinte. Assumiamo che una

persona che prefigura (o agisce) un’azione verso un’altra è con essa in un rapporto ideale e

fisico tale che la realizzazione dell’azione sta alle due parti come le premesse stanno al

rapporto. Le premesse caratterizzeranno il rapporto che sarà bilanciato se queste sono

simili, sbilanciato se saranno diverse, nullo se le parti non si avvicineranno o se, una volta

avvicinatisi, decideranno di non proseguire il rapporto (ibidem). L’esempio, appena

riportato, fa intuire che la designazione passa per più stadi: ideale, attivo

(comportamentale), di confronto, decisionale; ove ogni tappa è conseguente alla risposta

ricevuta. All’ideale può succedere l’azione, ad essa segue il confronto che esperisce la

decisione. Il tutto non avviene in modo univoco ma interpersonale. La decisione riveste

molta importanza e dipende dalle premesse che, a loro volta, danno significato al rapporto.

Ai rapporti, e come si sviluppano, assegniamo quindi il vettore “cosa” designa il

paziente.

Consideriamo, innanzi tutto, le dinamiche nei rapporti duali. La tipologia del rapporto è

qualificata in: simmetrico, complementare, copertamente simmetrico. Il coinvolgimento (e

la sua natura) assegna al rapporto il potere di renderlo rigido o chiuso, plastico o aperto.

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Ogni rapporto però si configura in un contesto che è fisico e astratto, e si costruisce

attraverso le convenzioni nonché dalle premesse. La complementarità rigida “annuncia”

che la regola del rapporto è definita (implicitamente o no) da una sola parte, l’altra la deve

accettare e assumersene le conseguenze; accettare e obbedire; rifiutarsi e abbandonare il

campo; e altro. Sono però i contesti d’applicazione che fanno le dovute differenze e, volta

per volta, qualificano la relazione fra le parti. Nel rapporto 1:1, il rifiuto della

complementarità rigida e lo stare al gioco, porta il “soccombente “ a voler modificare i

termini del rapporto. Questo rifiuto può configurarsi in una relazione simmetrica aperta o

coperta (se la negazione è esperita in modo subdolo, falsamente accondiscendente). In

entrambi i casi, le strategie utilizzate per mantenere la leadership da un lato e portare il

rapporto alla pari dall’altro, sono confinate nel campo d’azione della “lotta per il potere”.

Le strategie, intese come risposte comportamentali, si esperiscono nella direzione

dell’adeguamento o del cambiamento.

Una simile configurazione ha significato se consideriamo i due attori legati a loro volta

ad un sistema relazionale più allargato. Dalla complessità infra-sistemica (caratterizzata da

leggi, religioni, ideologie, ricchezza, e altro), si sviluppano le inevitabili interrelazioni fra

individui. E’ in questo complesso intreccio relazionale che i rapporti 1:1 si strutturano nelle

diverse forme e sfumature.

Tornando alla complementarità rigida: l’attore della designazione è colui che impone le

regole della relazione o colui che le vuole cambiare? Allorché la “necessità” al

cambiamento avanza da un solo versante (quello svantaggiato), i contendenti attingeranno

alle proprie strategie per imprimere nell’altro, parte di sé dando così inizio ad un qualcosa

che esula dall’innamoramento, collaborazione, scambio, accettazione, dipendenza

reciproca. Allora uno esiste per quello che potrebbe essere ed è rifiutato per quello che è;

l’altro invece esiste per quello che era ed è rifiutato per quello che è diventato. Si delineano

le squalifiche e le sconferme (coperte o scoperte) che riducono gli scambi alla mera

necessità di trovare la ragione, magari servendosi di altri: nascono così le alleanze e nella

contesa ognuno è il disegnatore dell’altro.

Il salto verso la diatriba può realizzarsi anche relativamente ai rapporti genitore-figlio

qualora uno dei due presenti dei cambiamenti che destabilizzano il rapporto. Non è detto

che il rifiuto al cambiamento provenga dal genitore, può realizzarsi anche nel figlio.

Il cambiamento che destabilizza un rapporto può essere indicativo della precipitazione

alla sintomatologia ma non della designazione, essa è precedente e sta nel modo in cui era

Page 11: I Giochi Del Familiare Dipendente

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organizzato il sistema. Oppure la designazione può avvenire successivamente al

cambiamento. (Questa distinzione risulterà poi utile quando verranno distinte le due

categorie base della famiglia del paziente dipendente).

Le triangolazioni e il modo in cui si configurano sono relazioni più complesse, d’ordine

superiore a quelle diadiche e per questo ancora più illuminanti per approfondire “cosa”

designa il paziente. Caliamoci da subito nelle triangolazioni disfunzionali intese tali perché

le strategie impiegate bloccano (irrigidiscono) una parte del sistema a vantaggio

d’inconfessabili obiettivi che le parti intendono raggiungere. La triangolazione perversa

pone il seme nell’indicibilità e cresce nella mobilità dei rapporti duali contro un terzo,

mobile pure lui nella distrazione per altre cose o nella ricerca mascherata d’alleanze. Le

triangolazioni, con tutti gli inganni, imbrogli e istigazioni, spiegano in parte “cosa” designa

il paziente. Esse si distinguono per l’aspetto strumentale e trasversale, vale a dire:

utilizzare qualcuno contro di qualcun altro per il raggiungimento del proprio fine, disgiunto

dal fine dell’altro, presupponendo il compromesso ma con l’interesse per la

“rivendicazione“. Se immaginiamo che le parti così interagenti abbiano ognuno un proprio

obiettivo da realizzare, allora l’intero gioco ruota nell’incitamento del proprio

soddisfacimento: la speranza è l’ultima a morire e l’obiettivo è il primo a nascere.

La posizione del designato paziente è molto particolare: lui non ha un obiettivo proprio

all’interno del gioco: è il vessillo degli scopi altrui, è l’interprete delle insoddisfazioni

altrui più che di se stesso. E’ questa sua posizione che lo pone a rischio.

Nei rapporti affettivi è di solito preminente il soddisfacimento dei propri e altrui

bisogni; l’affettività esclude per definizione la comprensione dei giochi: il sostenitore degli

affetti, vive il proprio Io variamente dipendente dagli altri.

Nelle famiglie a transazione schizofrenica non c’è chiarezza, spontaneità e coerenza nei

messaggi; si creano coalizioni che nascondono imbrogli e inganni; l’istigazione contro una

coalizione è funzionale alla lotta per il potere. Il paziente designato, oltre a non avere

questa chiarezza (è solo presunta), ha una ridotta comprensione dei giochi: a livello

fenomenico sa “chi fa-cosa-a chi-quando”, sul piano personale sa “con chi sta (non sta)

bene-quando”. In generale, però, non sa “chi sta (non sta) bene-con chi-perchè”. Il gioco

nudo, e crudo è inaccessibile, quel che comprende ad un livello non può comprendere e

dedurre ad un altro. La comprensione distorta dei rapporti - e la non conoscenza delle

premesse che li hanno originati - non fanno desistere il designato paziente dalla

partecipazione attiva. Egli ingloba in sé i meccanismi del gioco, che originano spirali

Page 12: I Giochi Del Familiare Dipendente

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emotive (rabbia, tristezza, paura, gioia, ecc.) controverse e confusionali. Il gioco ha la

meglio, gli obiettivi non sono i propri ma quelli degli altri che si guardano bene

dall’esprimerli; la conoscenza di sé si riduce a livello d’automatismi comportamentali

(tipici del nei comportamenti rituali della dipendenza) guidati dalla contesa e dagli affetti

dissimulati.

Nei rapporti diadici, contraddistinti dall’escalation (coperta o scoperta), avevamo

indicato le premesse, il coinvolgimento, lo sviluppo e l’organizzazione del sistema, come

fondanti per la designazione. Avevamo pure visto che nella contesa ognuna delle parti

aveva un proprio e diverso obiettivo da perseguire, e in questo avevamo affermato che

c’era designazione reciproca. Riguardo alle triangolazioni perverse, abbiamo assegnato alla

aspecificità, contro la peculiarità degli obiettivi inerenti al gioco, il potere della

designazione del paziente. Alla luce di ciò possiamo riassumere “cosa” designa il paziente

nel seguente modo: nei rapporti duali con escalation (coperta o scoperta) è il “grado” di

coinvolgimento delle parti interagenti che assegnerà il “primato” per la designazione. Nelle

triangolazioni sarà l’intensità del coinvolgimento, unitamente all’assenza di propri e

peculiari obiettivi da sostenere nel gioco, che designeranno il paziente. La possibilità è

stare fuori della contesa o avere un personale fine per sostenere il gioco relazionale.

Gli eventi naturali e quelli causati dall’uomo possono essere decisivi per l’azzeramento

della designazione o, al contrario, per l’insorgenza sintomatica. Il salto distintivo fra queste

due possibilità sta nella riorganizzazione personale, sistemica e infra-sistemica. Ancora una

volta facciamo dipendere la causa della designazione dalla strutturazione dei rapporti fra sé

e gli altri, fra sé e il sottosistema, fra sistema e sistema. La riorganizzazione personale, va

intesa, non solo relativamente alle spinte interne di motivazioni, elaborazioni di sé,

investimento delle proprie risorse e quant’altro ma anche in concomitanza agli

aggiustamenti con l’esterno (come ad esempio la terapia). L’evento implica un passaggio,

il mutamento di qualcosa verso qualcos’altro. In generale siamo portati a considerare gli

eventi come qualcosa d’evidente che accade: l’evento è sotto gli occhi di “tutti” anche se

poi ognuno lo vive con significati e valenze emozionali diversi. Proviamo a ragionare per

riduzione. Sappiamo che la parola è uno strumento di comunicazione. Un’affermazione è

un evento se in una relazione porta le persone a comportarsi diversamente da come fino a

quel momento si sono comportate (Austin, 1962); oppure se dà inizio ad un nuovo rapporto

e organizzazione.

Page 13: I Giochi Del Familiare Dipendente

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Le affermazioni “lei è assunto nella nostra ditta”, o “non ti amo più”, fanno supporre

un mutamento, un passaggio da una situazione ad un’altra; com’è ovvio, gli eventi esulano

dalle regole, ridondanze, stabilità.

Le affermazioni-eventi le consideriamo univoche, se al loro pronunciamento non

seguirà la smentita o rettifica; ambivalenti in caso contrario. L’univocità e ambivalenza

vanno rapportate e combinate rispetto al tipo di comunicazione già esistente. Vale dire: se

vige una comunicazione reticente, ambigua, criptica, allora la chiarezza e univocità

dell’affermazione assume un rilievo molto elevato, sorprendente, destabilizzante. Ciò vale

anche per le comunicazioni aperte e spontanee, qualora s’inserirà un’affermazione

ambigua. L’altra faccia della comunicazione è quindi l’evento affermazione; questi micro

eventi accadono in ogni sistema e la loro forza e tanto più significativa quanto più rimane

impressa nella “memoria del sistema”. Essi dirigono i comportamenti, fanno muovere con

cautela o di scatto, oppure fanno agire la discussione o mantenere il silenzio. Accada quel

che sarebbe dovuto accadere, ma hanno la loro importanza per imprimersi nella

disfunzione e reciderla o farla montare. Sono micro eventi che possono designare chi li

pronuncia ma possono anche designare chi li riceve; non c’è segno, non c’è direzione. Sta

alle persone scegliere cosa fare.

La semplificata disamina di “cosa” designa il paziente non può ora aiutarci a fare il

salto per capire e definire chi è il fautore della designazione. Indicare un attore è

semplicistico e non aiuta a comprendere la vastità e complessità di cui è fatto un rapporto.

Non aiuta a comprendere le implicazioni emozionali, sentimentali e comportamentali delle

persone. Non si può comprendere le tensioni che intercorrono fra le parti, che si sciolgono

come neve al sole per uno sfuggevole sorriso, una carezza, uno sguardo dolce, ecc., e che

repentinamente si ricongelano. Delle attese pazienti che cozzano contro l’impazienza; e

altro.

È molto più fruttuoso invece ravvisare chi sono i partecipanti alla designazione,

superando così la verità unica di un solo soggetto responsabile. Quindi, alla domanda “chi”

designa, si può asserire che è “il sistema d’appartenenza”.

Veniamo così a discutere il terzo punto: esiste l’auto designazione? Ovvero,

l’appartenenza ad un sistema disfunzionale ci deve far pensare al paziente designato come

la vittima per eccellenza o come partecipante al gioco relazionale ove anche il designato è

un designatore ma poi perde la partita?

Page 14: I Giochi Del Familiare Dipendente

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Cosa c’è nella mente degli altri che lui non sa e cosa c’è nella sua mente che gli altri

non sanno? Si può ritenere che egli sia oggetto del “volere” altrui e soggetto del suo

“volere”, come gli altri sono oggetto del suo “volere” e soggetti del proprio: che però non

s’incontrano a scapito dell’individualità intesa come unità inviolabile e indivisibile. Gli

interventi paradossali e i drammatici miglioramenti devono farci riflettere.

“Nella fase paradossale (...) il terapista in realtà non diceva affatto quello che pensava

(...) ma faceva un uso strategicamente provocatorio di tale interpretazione funzionalista”

(Selvini, Palazzoli e altri, 1988). “Abbiamo potuto verificare che l’ipocrisia del terapista

paradossale diventava pericolosa soprattutto nelle terapie che si prolungavano nel tempo”

(ibidem).

La provocazione e ipocrisia qui citati potrebbero intendersi in modo diverso. La

funzione sacrificale, attribuita al paziente designato, ha lo scopo di provocarlo per muovere

in lui le energie ed emozioni sane. Ha anche lo scopo di permettergli di riconoscersi come

individum in un sistema per lui vitale. Gli consente di capire il gioco relazionale in atto a

suo svantaggio. Queste comprensioni attivano reazioni per staccarsi dal gioco al massacro

di cui fa parte in modo inconsapevole. Dal distacco può finalmente scaturire

l’accrescimento del proprio Sé prima negato e soffocato.

Cosa c’è di falso su quanto i terapisti dicono che è vero per il paziente designato e il

suo sistema? Cosa c’è di vero per i terapisti che è falso per le persone in trattamento?

Consideriamo che il paziente designato non possieda propri obiettivi inerenti al gioco

familiare. Allora gli interventi paradossali danno a lui un elemento per invertire e

distruggere la transazione disfunzionale; e di conseguenza danno ai parenti lo stimolo per

rivedere i loro comportamenti verso il paziente. Le triangolazioni perverse non possono più

reggersi, si approda quindi alla dualità disfunzionale e si farà “cadere” e poi risollevare la

parte più debole.

L’intervento paradossale è falso perché parla di sacrifici ma allo stesso tempo è vero

perché svela i rapporti nelle dissimulazioni. E’ vero, quindi, perché dà la possibilità al

paziente designato di cambiare le regole del gioco relazionale; ed è falso perché la

transazione non è più quella nel momento in cui è svelata. Questo rinvia l’ipocrisia del

terapista. È lui ad essere ipocrita perché non può dire chiaramente quel che pensa, o sono

ipocriti gli altri che dell’ipocrisia ne hanno fatto un motivo di vita? (Ragusa, 2006).

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Allorché il compito del terapista è di annientare la patologia e cambiare le relazioni

disturbanti, allora il terapista non è ipocrita: è il costruttore di nuove relazioni, nuove

dimensioni affettive, chiarimenti, prospettive.

In generale, fare sentire una persona vittima degli altri non l’aiuta a trovare vigore per

uscire dalla sua prigione, sarebbe un ulteriore annichilimento, svilimento del suo Io. Invece

tramutare il sintomo in un’attiva funzione per gli altri, restituisce vigore, riorientamento,

integrità personale del paziente designato; al contempo inizia un processo d’individuazione

e responsabilizzazione di sé. La funzione ridefinisce come volontario e a vantaggio degli

altri il sintomo e in questo si svela un mondo di cui non abbiamo conoscenza ma si può

ipotizzare essere “l’inconscio relazionale” (ibidem). Non c’è nulla d’inconscio

nell’individuo, ciò che è inconscio è esterno a noi è sta fra l’”Io e ciò che è altro da me”.

L’Io del paziente designato si perde proprio nell’altro, e solo nell’altro lui può ritrovarlo:

forse questo spiega la sua partecipazione al gioco disfunzionale e il drammatico

miglioramento all’intervento paradossale.

Così inteso, il paradosso terapeutico non è solo provocazione ma ritrovamento di sé;

l’inconscio relazionale, una volta svelato, diviene la coscienza del paziente designato che

può “vedere” come ha partecipato alla sua rovina.

Nei rapporti affettivi, è più il disinteresse per il gioco disfunzionale - piuttosto che la

comprensione - ad escludere un individuo dalla designazione. Va da sé che chi è escluso

dalla designazione vede con occhi diversi quanto accade (anche se il gioco non è detto che

lo comprende) però preferisce non perdere il vantaggio prendendo le parti del designato.

Chi è escluso dalla designazione di paziente, di solito riveste un ruolo ben definito in

seno al sistema; diverso è invece per il paziente designato: egli occupa un ruolo

d’inclusione falsamente privilegiato e realmente destabilizzato. È sull’incluso che si

polarizzano i messaggi (verbali e analogici) disturbati. Il punto è: l’inclusione e

l’esclusione avvengono per prove ed errori o sono mirati? Dipende dai conflitti personali e

dagli sviluppi relazionali di questi conflitti: se consideriamo che essi per definizione sono

fluttuanti e intermittenti, allora è facile pensare che l’inclusione/esclusione avviene per

prove ed errori, secondo gli aggiustamenti interpersonali. Se l’incluso risponde in modo da

non alleviare (temporaneamente) il conflitto personale e/o relazionale allora sarà escluso

dalla designazione; se invece le sue risposte alleggeriranno le tensioni o lo stato di

conflitto, la sua inclusione diventa funzionale per la designazione di paziente. Quindi non è

solo, la non comprensione o la comprensione parziale, di quel che accade che lo designa,

Page 16: I Giochi Del Familiare Dipendente

15

ma le risposte che dà agli input che gli arrivano e come gli emittenti canalizzano la

risposta. Per inciso, le risposte vanno intese nella vastità con cui si manifestano:

comportamentali, mimiche, verbali, d’avvicinamento/allontanamento, ecc. Una volta

stabilizzata l’inclusione, le parti (o la parte) non necessitano più di fare proseguire la

ricerca per alleviare lo stato di tensione: l’inclusione diventa mirata (ibidem).

Il tempo (arco evolutivo) e lo spazio (sociale/culturale) possono aiutare o inibire la

costruzione patologica: la crescita e il contatto con l’esterno possono dissolvere o

rincrudire la designazione. In questo interregno il designato può scegliere: spogliarsi della

designazione o precipitare nella patologia. La scelta non è facile. Forse perché all’esterno

non sempre trova le risposte giuste; o forse perché l’ambiente esterno non lo coinvolge

come il suo sistema; o forse perché la decostruzione della designazione mobilita il sistema

in senso inverso; o forse per tutti questi e altri motivi. La sua libertà di scelta è ridotta ma

può sempre scegliere (ibidem).

In sintesi, esiste un concorso di tutti e tre i vettori per costruire la designazione del

paziente. La soluzione sintomatica è l’ultima risorsa strategica, quando si realizza ha inizio

un relativamente, nuovo gioco relazionale.

Page 17: I Giochi Del Familiare Dipendente

16

LE DIPENDENZE PATOLOGICHE

"Innumerevoli come le sabbie del mare sono le passioni umane. Tutte dissimili, le basse

come le nobilissime, sono all'inizio soggette all'uomo, per diventarne soltanto di poi le

inesorabili dominatrici"

Gogol – Le anime morte

Si definisce con l’espressione dipendenza patologica una forma morbosa determinata

dell’uso distorto di una sostanza, di un oggetto o di un comportamento; una specifica

esperienza caratterizzata da un sentimento di incoercibilità e dal bisogno coatto di essere

ripetuta con modalità compulsive; ovvero una condizione invasiva in cui sono presenti i

fenomeni del crawing, dell’assuefazione e dell’astinenza in relazione ad un’abitudine

incontrollabile e irrefrenabile che il soggetto non può allontanare da sé (Caretti, 2005). Il

crawing è un importante manifestazione della dipendenza e può essere definito come

un’attrazione di intensità variabile nei confronti di determinate sostanze psicotrope

d’abuso. Rappresenta una condizione fisiologica comune alla maggior parte degli esseri

umani quando rimane entro una certa soglia (Caretti, La Barbera, 2005).

Peele (1985) ha messo in evidenza in “The Meaning of Addiction” che la dipendenza

può scaturire da qualsiasi potente esperienza la cui sensorialità ha lo scopo di alleviare il

dolore, l’ansia o altri stati emotivi negativi attraverso una diminuzione della coscienza o un

innalzamento della soglia di sensibilità e, pertanto, tutte le esperienze efficaci nell’alleviare

il dolore potranno inevitabilmente essere fonte di dipendenza.

Nel trattamento della dipendenza si considera un “oggetto delle brame”, come lo

definisce Cancrini, capace di soddisfare un numero elevato di esigenze diventando assoluto

protagonista della vita. Questo oggetto arriva a soddisfare nel tempo tre bisogni

fondamentali.

- il primo bisogno si gioca sul piano del piacere o allevia una tensione. È il bisogno

più evidente di felicità o anestesia, di appagamento ideale o pace dell’anima;

- il secondo, meno evidente, si basa su un contrasto al disegno consapevole della

persona, alle sue attese apparenti e a quelle più o meno naturali di chi gli sta

Page 18: I Giochi Del Familiare Dipendente

17

intorno. La dipendenza è definita con parole ed atti come ciò che rende incapaci di

lavorare, amare, divertirsi, di vivere una vita normale;

- il terzo è simbolico e compensatorio, e si gioca sul piano della trasgressione,

dell’essere e presentarsi diverso, fuori delle regole e dalle abitudini che segnano le

routines inaccettabili della normalità, la banalità di chi vorrebbe insegnarti a vivere

in un modo che è il suo e non il tuo. L’oggetto delle mie brame diviene

rapidamente un modo assurdo di darsi obbiettivi ravvicinati, sostitutivi di quelli

normali;

Parliamo di dipendenza proprio quando l’orizzonte si restringe attorno ad un solo

oggetto su cui la persona si concentra o su cui sente di poter riflettere tutti i sui bisogni e i

suoi desideri. Si tratta di un coinvolgimento totale della persona, uno stravolgimento

completo del suo assetto motivazionale, una attivazione sistematica e praticamente

continua intorno all’oggetto che non riesce ad essere “integrato”. Scegliendo un farmaco

proibito come l’eroina e la cocaina, facendo un uso smodato di una sostanza che proibita

non è come l’alcol, adottando un comportamento rischioso come il gioco d’azzardo o

cercando in maniera esagerata conferme basate sull’ammirazione degli altri e/o

sull’esercizio di potere: sono tutte situazioni caratterizzate da uno squilibrio personale reso

stabilmente drammatico dall’incontro con l’oggetto delle brame o con l’abitudine di cui la

persona diventerà dipendente; incontro regolarmente preceduto da un insieme di esperienze

di difficoltà.

Una ricerca esemplare, in proposito, è quella di Shedler e Block (1990). Lavorando su

un campione stratificato di centocinquanta bambini di tre anni seguiti fino al compimento

del diciottesimo anno di età, questi autori hanno misurato con accurati esami, ripetuti ogni

due anni, l’insieme complesso dei dati relativi all’integrazione familiare e sociale,

considerati come indici significativi della salute psichica di questi bambini. Un secondo

gruppo di ricercatori, esperti di problemi di droga, ha esaminato questi stessi ragazzi a

diciotto anni, senza conoscere le osservazioni fatte fino a quel momento. Concentrandosi

sul tipo di rapporto che essi avevano avuto o avevano ancora con le droghe illegali, questo

secondo gruppo di ricercatori ha suddiviso il campione in tre grandi categorie: quella degli

astemi, che avevano rifiutato in toto le sostanze proibite; quella degli explorers, che le

avevano provate episodicamente, e che non dimostravano alcun tipo di interesse per

l’esperienza fatta; e quella dei consumatori problematici, che avevano conosciuto le droghe

e ne avevano subito sentito il fascino. Questi giovani avevano già ripetuto l’esperienza,

Page 19: I Giochi Del Familiare Dipendente

18

affermando di essere insieme interessati e spaventati, oppure dimostravano comunque nei

suoi confronti un livello di coinvolgimento emozionale significativo. Incrociando questi

dati con quelli raccolti dal primo gruppo di ricercatori, ci si trovò di fronte ad una

coincidenza spettacolare: i ragazzi che avevano problemi con la droga a diciotto anni erano

gli stessi che avevano presentato evidenti problemi di integrazione familiare e scolastica, in

anni precedenti al loro incontro con gli stupefacenti. Quelli che i protocolli di ricerca

definivano come i “più sani” si trovavano a diciotto anni, nella categoria degli explorers.

Le storie degli astemi erano di livello intermedio: essere astemi non voleva dire, secondo i

ricercatori più sani degli altri: voleva dire esserlo un po’ di meno e aver sanamente paura

della propria fragilità.

Cancrini allinea il significato psicologico della dipendenza alle ricerche degli ultimi

cinquant’anni sul funzionamento borderline. In una semplice definizione, funzionare a

livello borderline, ci dice l’autore, significa essenzialmente dare giudizi estremi (del genere

o bianco o nero) su noi stessi e sulla realtà che ci circonda. La mente che funziona a questo

livello giudicherebbe tutto buono o tutto cattivo, senza sfumature, con forti difficoltà a

cogliere le gradazioni di positività o negatività in una stessa persona o in uno stesso

oggetto. Per un bambino piccolo che vive un angoscia di separazione, una madre presente è

una nutrice buona e meravigliosamente disponibile che lo rende felice e riconoscente, e

una madre assente è una strega terribile che lo rende pieno di odio e di rabbia. Solo verso i

tre anni, quando il piccolo può ricordare con chiarezza la madre che c’era e immaginare

mentalmente quella che ci sarà di nuovo, questa fase critica viene superata. Il superamento

dell’angoscia di separazione segnala la raggiunta stabilità del rapporto con l’oggetto

d’amore. Dal punto di vista che qui ci interessa, indica l’integrazione della madre cattiva

(assente) con quella buona (presente) preparando, secondo Margaret Mahler, il bambino

agli aspetti maturativi della separazione che seguirà la sua reale nascita psicologica.

Nello sviluppo normale, la capacità di integrare le rappresentazioni buone e cattive

dell’oggetto aumenta gradualmente con l’età e raggiunge (o dovrebbe raggiungere) i

massimi livelli nell’età adulta. Capaci di rispettare se stesse e gli altri, le persone mature

basano il loro equilibrio sulla consapevolezza della propria e dell’altrui imperfezione,

osservando criticamente lo svilupparsi di emozioni unilaterali. La tendenza a regredire

verso posizioni più primitive, tuttavia, esiste sempre in situazioni di particolare tensione:

nei passaggi evolutivi critici (adolescenza-svincolo, nascita di un figlio, ecc.), nel momento

del lutto e della perdita (cui tipicamente si reagisce funzionando, per un certo tempo, in

Page 20: I Giochi Del Familiare Dipendente

19

modo borderline) e negli entusiasmi basati sull’identificazione proiettiva con un idea o con

una persona, nell’innamoramento e nella scelta delle illusioni cui dedicare la propria vita.

Possibile sempre, anche nelle persone più sane e mature, la regressione a modalità di

funzionamento borderline è evidentemente più facile in molte altre che lo sono meno.

Quando si tenta di capire che cosa è successo in questi casi, ci si rende conto regolarmente

che il processo di maturazione caratteristico delle persone più sane si realizza solo se il

bambino cresce in un ambiente favorevole e non va incontro a incidenti gravi. Quando il

piccolo si sviluppa in un ambiente sgradevole, dove gli adulti si scontrano di continuo o

non si scontrano mai, dove non riceve sicurezza e gli mancano le cure (o carezze,

nell’accezione di Steiner) di cui a bisogno, la sua personalità resta segnata dall’esperienza

fatta su linee che sono ad essa logicamente collegate.

A partire dai primi anni ’80 è iniziato un lavoro sistematico di collegamento tra i dati

relativi alla storia personale del tossicomane e quelli relativi alle caratteristiche della sua

interazione con la famiglia e il “farmaco”.

La famiglia nella società

Dalle narrazioni personali dei tossicodipendenti risulta con chiarezza la straordinaria

importanza, nel bene e nel male, delle razioni con cui questi gruppi di persone,

significative per il tossicomane, rispondono alla sua sfida o alla sua domanda di aiuto. Più

che testi sulle tossicomanie occorre utilizzare, a questo scopo, studi e ricerche dedicati alla

psicologia dei piccoli gruppi e alla teoria delle famiglie. Una cosa è tuttavia assolutamente

certa: fra tutte le razioni dell’ambiente sociale, quelle della famiglia del tossicomane

(soprattutto nel caso dei giovani) e degli altri piccoli gruppi sono di solito le più importanti.

Possono agire infatti come punti di riferimento per resistere alla pressione e alle sofferenze

cui l’individuo è sottoposto, oppure, al contrario, per moltiplicare le sue difficoltà.

Negli ultimi anni ci si è accorti di come è possibile studiare questi piccoli gruppi, non

come gruppi chiusi, ma come sistemi aperti alle pressioni di un ambiente, alle cui esigenze

debbono continuamente adattarsi.

Nel caso della famiglia, è stato possibile vedere che la differenza sociale ed economica

e (oppure) la difficoltà di inserirsi o di adeguarsi a modelli culturali dettati dall’esterno

sono cause frequenti sono cause di tensioni tra famiglie e ambiente. Specchio di

contraddizioni che crescono fuori di lei, la famiglia può riproporre nel conflitto fra padre e

Page 21: I Giochi Del Familiare Dipendente

20

madre, fra genitori e figli, i conflitti economici della società in cui si vive. In oltre la

mancata realizzazione personale, umana dei sui membri, produce crisi e contrasti che

possono avere effetti molto gravi.

L’insieme di queste considerazioni ha conseguenze importanti. Da un punto di vista

teorico, esse ci hanno permesso di capire qualcosa di più dei disturbi psichiatrici e altre

forme di devianza, nel senso di allentamento da ciò che si ritiene normalità. La famiglia

può essere certo considerata come un sistema attraverso il quale si trasmettono le pressioni

esercitate sull’individuo dall’ambiente sociale più vasto. Di questo ambiente dunque essa

trasmette non solo i valori, ma anche le contraddizioni ed il disagio. In questo senso la

famiglia è il contrario di un rifugio e non può essere considerata come l’ultima spiaggia

sana di un mondo contaminato.

Page 22: I Giochi Del Familiare Dipendente

21

FAMIGLIA E TOSSICODIPENDENZA

L’interesse dei terapeuti a orientamento sistemico e relazionale per le tossicomanie

giovanili si inserisce nella linea di ricerca che si occupa del disagio manifesto dagli

adolescenti o dai giovani adulti all’interno del più ampio sistema sociale. Rispetto ai

terapeuti di orientamento diverso, i terapeuti familiari hanno avuto il vantaggio di poter

usufruire di strumenti di lettura e di intervento adeguati nel momento in cui si è “potuto”

guardare al tossicomane non come singolo portatore di “malattia”, ma come persona in

difficoltà all’interno del contesto interpersonale in cui vive.

Minuchin e Haley sono stati i primi due studiosi in campo sistemico che si sono

interessati alle caratteristiche relazionali delle famiglie dei giovani tossicomani. Minuchin

in Families of the Slums (1967) si è occupato delle famiglie in cui il sintomo è la

delinquenza fornendo un modello di lettura dei pattern comunicativi e della struttura

familiare in situazioni di “devianza sociale”. Haley, con Il distacco della famiglia (1980),

ha fornito un importante contributo soprattutto rispetto alle strategie terapeutiche adatte

con famiglie in cui il ritorno rappresenta il fallimento di un giovane adulto nel portare a

compimento il proprio processo di differenziazione della famiglia.

Negli anni settanta sono state esplorate ipotesi che vedevano il tossicodipendente

all’interno di famiglie disimpegnate, dove i singoli membri sembrano ignorarsi e muoversi

all’interno di orbite isolate, oppure eccessivamente invischiate, dove i confini

generazionali non vengono definiti provocando una grossa confusione di ruoli (Minuchin,

1974). Altre ipotesi indagate in questo periodo focalizzavano il coinvolgimento del

tossicomane e la funzionalità della tossicomania all’interno del conflitto della coppia

genitoriale: coppia generalmente caratterizzata da perifericità (Wolk e Diskirk, 1961),

inefficienza (Wellish, Gay e McEntre, 1970), distanza (Schwartzmann, 1975) o

autoritarismo (Bergeret, Fain e Bandelier, 1983) del padre, controbilanciati dal

coinvolgimento eccessivo e della centralità della madre. Studi della struttura e

dell’organizzazione del gruppo familiare del tossicodipendente, correlati ai processi di

socializzazione e sviluppo dei processi comunicativi, ha messo in evidenza una serie di

caratteristiche individuali e interpersonali:

a) un alto grado di conflittualità nei rapporti interpersonali (Chein, 1964; Harbin e

Mazier, 1976);

Page 23: I Giochi Del Familiare Dipendente

22

b) le madri dei tossicodipendenti sono state spesso descritte come donne iperprotettive

e indulgenti, il cui comportamento produce un figlio dipendente (Rosemberg,

1971);

c) i padri sono stati descritti come individui deboli e passivi o freddi e ostili, con

difficoltà di contatto e comunicazione coi figli (Rosemberg, 1971; Friedman,

1987);

d) i tossicodipendenti sono stati descritti come individui che non sono riusciti ad

integrare le loro crisi di adolescenza (Bergeret, Fain e Bandelier, 1983);

e) numerose ricerche rivelano l’abitudine dei genitori di abusare di alcol o di utilizzare

farmaci (in particolare psicofarmaci) in ogni situazione di stress (“Sapere”, agosto-

settembre 1975);

I lavori di ricerca di Stanton e Todd (1982) individuano nella famiglia del

tossicodipendente una struttura tipica, essa cioè si presenta come un gruppo in cui il

“paziente designato” è strettamente coinvolto con il genitore di sesso opposto, mentre

esiste una frattura conflittuale con il genitore dello stesso sesso e tra i due genitori. Tale

tipo di rapporti ha le proprie radici in una famiglia che non ha saputo adeguarsi alla

naturale maturazione del figlio e al suo distacco da essa, fermandosi ad uno stadio del ciclo

vitale che può situarsi tra la preadolescenza e l’adolescenza del figlio. I due autori, tra i

fattori che caratterizzano le famiglie con problemi di tossicomania, hanno trovato che:

a) esiste un alta dipendenza “chimica” ripetuta in più generazioni dello stesso gruppo

familiare (in particolare l’alcool fra i maschi) a cui si aggiunge anche una

inclinazione verso altri comportamenti a rischio come, ad esempio, il gioco

d'azzardo

b) l'espressione della conflittualità è più impulsiva e diretta con alleanze ben

dichiarate tra tossicomane e genitore ipercoinvolto;

c) il comportamento dei genitori è di qualità “manifestamente non schizofrenica”;

d) le madri dei tossicomani mostrano di prolungare notevolmente il rapporto

simbiotico con i propri figli;

e) prevalgono tematiche di morte, e sono spesso presenti casi di morte prematura o

improvvisa.

Page 24: I Giochi Del Familiare Dipendente

23

A conferma dell'iniziale premessa, in ogni caso, esistono altre strutture di famiglie con

problemi di tossicomanie descritte in letteratura.

Il tossicodipendente presenta all’interno della famiglia un comportamento ambivalente:

indipendente, chiuso in sé stesso, aggressivo in una serie di manifestazioni, mentre in altre

si mostra infantile e dipendente. All’illusione di individuazione e di dipendenza del

tossicomane contribuisce in oltre il ruolo di “competente” che egli ha della sua sottocultura

(dove riesce a guadagnare o comunque ad organizzarsi adeguatamente per procurarsi

l’oggetto delle brame), ma la competenza è circoscritta al suo gruppo incompetente o

comunque in qualche modo “handicappato” sul piano sociale (Malagoli Togliatti e altri,

1981).

I “rifugi della mente”: la tossicomania come autoterapia

Lo studio clinico della tossicomania dimostra che l’uso dei farmaci da parte del

tossicomane può essere considerato, sul piano motivazionale, come un tentativo, elusivo e

sbagliato, di autoterapia. È come se si verificasse un “incontro fortunato” tra gli effetti

propri del farmaco e le esigenze proprie di una persona e/o del sistema interpersonale di

cui fa parte.

Ciò che emerge, attraverso la ricerca dei centri che si occupano di tossicodipendenze

(Cancrini, Carosi e Mazzoni, 1986) è che la tossicodipendenza è un disturbo non specifico:

la dipendenza dalle droghe, legata a fattori di trasmissione intergenerazionale e

socioculturale, si mette a disposizione dei conflitti interpersonali e/o intrapsichici più

diversi (Andreoli, Cancrini e altri, 1988).

Già quasi venticinque anni fa Lesieur (1984) sosteneva che, tanto per l’uso di sostanze,

quanto per il ricorso al gioco d’azzardo, non si potesse parlare di mera e semplice ricerca

per il piacere, ma della creazione di un esperienza dissociativa transitoria che permette al

soggetto di uscire temporaneamente dalla sua realtà al fine di risolvere una condizione di

disagio persistente e di percepirsi in modo più positivo. In questo senso i fenomeni della

dipendenza sono valutati in relazione hai fenomeni micro/macro dissociativi valutati lungo

un continuum di uno spettro il cui elemento comune sarebbe quello del ricorso a esperienze

di isolamento e di sottrazione del Sé dalla realtà, quando questa è causa di tensioni e

angosce che non possono essere elaborate e trasformante nell’ambito dello stato di

coscienza ordinario (Caretti, DiCesare 2005).

Page 25: I Giochi Del Familiare Dipendente

24

Steiner (1993) definisce queste esperienze di isolamento e di sottrazione del Sé dalla

realtà ordinaria come “rifugi della mente”, intendendo con questa definizione i luoghi

mentali ma anche i comportamenti ripetitivi, i riti e le abitudini personali in cui ci si ritira

quando si vuole sfuggire ad una realtà insostenibile. I rifugi della mente funzionerebbero

come medicamento dell’Io, di un Io che si sente danneggiato o in grave pericolo quando è

posto di fronte alla necessità di affrontare un lutto e il dolore psichico collegato con la

paura (o con l’esperienza) della perdita (ibidem).

Una forma di isolamento personale, nell’ipotesi di Ogden (1994), è caratterizzata dalla

sostituzione della madre-ambiente con una propria sensorialità, un tipo di esperienza che

comprende il ritiro dell’individuo in una matrice autogenerata che sostituisce con efficacia

la matrice interpersonale e il mondo di sensazioni che ne deriva.

La tipologia

Lo studio delle situazioni di tossicomania e il tentativo di definire puntualmente alcuni

principali tipi è stato avviato all’interno del gruppo di ricerca diretto da Cancrini,

all’incirca nel 1980. I diversi criteri di osservazione adottati per la definizione dei quadri

tipologici prevedevano di focalizzare l’attenzione su:

a) i modelli di organizzazione dei rapporti interpersonali e le modalità di

comunicazione nelle famiglie;

b) l’organizzazione psicologia, i meccanismi di difesa e i tratti caratteriali presenti nel

comportamento e nella personalità, nonché gli aspetti dell’adattamento dello

sviluppo individuale sui quali la droga ha un effetto terapeutico;

c) le modalità di relazione tra soggetto e sostanza

d) il modo in cui colui che assume droga e/o la sua famiglia tendono ad adottare e a

stabilire rapporti con gli assistenti sociali e gli operatori dei servizi che sono adibiti

ad aiutarlo.,

e) gli effetti di differenti programmi terapeutici sulle diverse

Tipo A: tossicomania traumatica. In questi casi un evento traumatico (un lutto, una

perdita) ha portato all’incontro casuale con la sostanza, che viene utilizzata per evitare di

affrontare la sofferenza. L’uso di droga copre una forma di disagio appartenente all’area

delle reazioni e l’elemento chiave, che sembra spiegare l’impossibilità di una risposta

Page 26: I Giochi Del Familiare Dipendente

25

alternativa, è legato alla difficoltà di trovare un punto di riferimento per la verbalizzatone

dell’esperienza vissuta all’interno di un rapporto interpersonale percepito come affidabile e

sicuro. Si riferisce a soggetti in transizione (appena terminata l’individuazione

adolescenziale o lo svincolo, appena vedovi o separati) che si fanno carico di problemi

altrui (dei genitori, di un familiare) e che si trovano a non poter tornare indietro pur non

avendo ancora costruito rapporti affettivi significativi all’interno dei quali condividere

l’esperienza di dolore e del lutto. (Haley, 1980).

La tossicomania diviene in questi casi pretesto pesante e muta gli stili di vita fino a

quel momento funzionali e adattivi. Ciò che viene riferito è un bisogno di “non pensare”,

“dimenticare”, espressioni interessanti se collegate alle usuali manifestazioni sintomatiche

delle nevrosi traumatiche (rimuginazione sull’evento traumatico, incubi, disturbi del sonno

ecc.).

Spesso i familiari ignorano il problema per un lungo periodo e nei casi in cui gli stessi

chiedono aiuto ai servizi, la tossicomania del figlio viene messa a disposizione del

problema del genitore, per distoglierlo dal proprio dolore.

Il progetto terapeutico in queste situazioni parte dalla possibilità, una volta eliminato il

farmaco, di ripercorrere, esplicitandole, le fasi dell’elaborazione del lutto, che esso riguardi

l’intero gruppo familiare o il singolo individuo.

Tipo B: tossicomania attuale o nevrotica. I tossicomani appartenenti a questo gruppo

coprono un disturbo che rientra nell’area delle nevrosi, generalmente soggetti in età tardo

adolescenziale o giovani adulti che fanno uso della sostanza moderato, provocatorio o

dimostrativo verso la famiglia. Spesso si “fanno beccare” lasciando delle tracce (siringhe,

la sostanza) dove i famigliari possono trovarle. Le storie dei tossicomani rivelano un

coinvolgimento estremo, con toni emotivi depressivi, in conflitti riguardanti la famiglia.

Liti, separazioni, ecc., costituiscono il “dramma” familiare che accompagna il loro

sviluppo. Il malessere cui si risponde con la sostanza è piuttosto aspecifico: sintomi

somatici diversi, carenza di partecipazione attiva alle vicende della propria vita, tendenza

alla noia, all’insoddisfazione e al nervosismo; sintomi percepiti come estranei da una

persona che mantiene abitudini e esperienza soggettive percepite dal soggetto come

egosintoniche e dagli altri come “normali”.

La struttura famigliare in cui si sviluppa questo tipo di tossicodipendenza è

frequentemente descritta dai terapeuti familiari: il figlio viene usato nelle dinamiche

Page 27: I Giochi Del Familiare Dipendente

26

famigliari per evitare ai genitori di affrontare i loro conflitti. Di solito un genitore (più

frequentemente quello di sesso opposto e vale a dire la madre) è complice, collude nel

coprire il figlio, mentre l’altro è più periferico, disimpegnato (il cosiddetto “triangolo

perverso”). I messaggi educativi sono contradditori, con effetto di un “doppio legame”

scisso sui due genitori. Se ci sono dei fratelli, si dividono i ruoli di “cattivo” e “buono”.

L’obiettivo dell’intervento mira a ricostruire un fronte genitoriale unito e distanze più

funzionali tra i sottosistemi familiari. Da sottolineare è l’utilità della disassuefazione

domiciliare, l’esperienza di comunità può essere decisiva (ma non sempre necessaria) solo

nel caso in cui si tenga conto della necessità di lavorare con entrambi i genitori.

Tipo C: tossicomania “di transizione”. Riguarda problematiche appartenenti all’area

delle situazioni limite, si tratta cioè di un area caratterizzata da disturbi gravi della

personalità e del carattere: una situazione intermedia tra aspetti nevrotici e psicotici

(Cancrini, 1987). In alcuni casi la sostanza sembra compensare disturbi fasici e gravi del

tono dell’umore; in altri essa consente, attraverso l’incontro con la droga, una

rappresentazione idealizzata dell’immagine del Sé (Olivensatein, 1981); in altri ancora, in

cui il comportamento tossicomane è ritualistico, compulsivo e autodistruttivo, essa copre

una situazione depressiva grave.

Sono state rilevate, dal punto di vista dell’organizzazione familiare, notevoli

similitudini con le famiglie in cui è presente una paziente designata anoressica (Prieur,

1989), tanto che è stato possibile ipotizzare che si tratti di un unico quadro familiare

all’interno del quale le femmine scelgono il sintomo dell’anoressia, mentre i maschi quello

dell’uso di droga (Cancrini, 1989). La differente “scelta” sembra correlata a specifici

pattern che danno un significato all’uno o all’altro comportamento. Si tratta di famiglie in

cui le difficoltà di svincolo sono importanti nella misura in cui tutti sono coinvolti in

“giochi” familiari (Selvini Palazzoli, Cirillo e altri, 1988) avviati gia al momento della

nascita della coppia.

In un quadro del genere si evidenziano al cune caratteristiche come alti livelli di

mistificazione all’interno della famiglia e dei suoi rapporti con l’esterno e il frequente uso

di messaggi paradossali e incongrui che sostengono lo sforzo di non definire le relazioni.

Inoltre è diffusa la tendenza ad ignorare il significato del messaggio degli altri e ad usare la

malattia per risolvere il problema della leadership, movendosi in termini di autosacrificio.

La relazione trai genitori è caratterizzata dallo “stallo” di coppia delle famiglie psicotiche,

Page 28: I Giochi Del Familiare Dipendente

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ambedue coinvolti nella tossicodipendenza e nella vita del figlio/a. Se ci sono più fratelli,

una polarità di diversificazione si muove sull’asse “riuscito”-“di successo” e “fallito” (a

differenza di buono/cattivo caratteristico delle famiglie di tipi B). Nella tossicomania si

può riconoscere la manifestazione sintomatica dell’evitamento o del fallimento dello

svincolo del paziente designato dalla famiglia. Accade, in alcuni casi di “guarigione”, di

assistere a ricadute o a forme di dipendenza da alcolici o psicofarmaci; ciò fa emergere

l’importanza dell’uso della sostanza nel controllo dell’angoscia, e in caso di brusca

astensione del rischio serio di suicidio.

Al di sotto delle richieste affannose di aiuto espresse soprattutto sul piano verbale, il

tossicomane di tipo C e la sua famiglia richiedono soprattutto di essere protetti nel loro

gioco ripetitivo. Nel affrontare questo tipo di situazione, il terapeuta deve opporsi in modo

risolutivo al comportamento tossicomane, ridefinendolo come manifestazione estrema di

un problema interpersonale più rilevante e lavorando direttamente sul controllo del

sintomo. In altri casi sono necessarie strategie indirette come l’”intervento

controparadossale” che è basato sul riconoscimento delle ragion proprio delle ragioni

proprie del comportamento tossicomane e dell’impossibilità di interromperlo sulla base di

un atto di volontà (come accade nelle pratiche degli Alcolisti Anonimi), coinvolgendo

direttamente la famiglia sulla messa in opera di movimenti che accettano, prescrivendole,

le difficoltà e le sue resistenze al cambiamento.

Tipo D: tossicomanie sociopatiche. Le tossicomanie appartenenti a questo gruppo

rientrano nell’area dei disturbi sociopatici di personalità. Questi soggetti, caratterizzati dal

difetto di integrazione, presentano storie gravi di disattamento e di svantaggio economico-

culturale, coinvolti in attività delinquenziali egosintoniche e scarsa integrazione sociale,

spesso il conflitto è agito con comportamenti violenti, l’atteggiamento è di freddezza

emotiva e di sfida. Tra i complessi fattori di questa situazione assumono particolare

importanza la carenza di cure materne (nel senso di Bolby) e le influenze che modellano

l’organizzazione personale del bambino e il suo sistema di valori in varie situazioni di

svantaggio socioculturale. L’organizzazione familiare e i modelli comunicativi

corrispondono a quelli riscontrati nelle famiglie disimpegnate, si presentano cioè come un

gruppo profondamente e drammaticamente disorganizzato, i cui membri, osservati nel

momento della richiesta di aiuto, si muovono in orbite isolate senza alcuna reciproca

apparente interdipendenza. Ad una ricostruzione della storia familiare, si caratterizzano per

Page 29: I Giochi Del Familiare Dipendente

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l’inconsistenza o l’inadeguatezza delle funzioni parentali svolte nei confronti del bambino:

genitori del tutto assenti e affidamento ad istituti; madri sole in situazioni di svantaggio

sociale ed economico; nonne assenti (Minuchin e altri, 1967): la madre resta figlia e la

nonna si fa madre sostituendola sostanzialmente ma non formalmente; genitori infantili

presi dal loro litigio e dal loro bisogno di realizzazione di sé stessi, che “non si accorgono”

della nascita e della presenza del figlio; genitori con problemi seri di alcolismo, di

tossicomania o di sofferenza psichica trattata con pesanti manovre sostitutive.

Si tratta di situazioni in cui la mancanza di cure per sé stessi e per la propria persona

significa pericolosità indiretta della tossicomania, mentre la tendenza ad agire il conflitto

corrisponde ad una capacità piuttosto debole di notare le proprie emozioni e alla tendenza

di all’uso non selettivo dei farmaci: stordirsi (alcool, oppiacei, barbiturici) o essere più

rapiti o più lucidi nelle situazioni che lo richiedono (anfetamine, cocaina) vengono

presentati come tentativi di completare, drammaticamente un esperienza soggettiva

percepita come insoddisfacente soprattutto perché debole e incompleta.

In questo quadro l’intervento in comunità terapeutica è particolarmente utile come

punto di arrivo e spesso può colmare le gravi carenze a livello di rapporti sociali e familiari

accogliendo la persona in un gruppo sostitutivo.

Page 30: I Giochi Del Familiare Dipendente

29

CONTRIBUTI DELL’ANALISI TRANSAZIONALE

Analisi transazionale: introduzione

La nascita dell’analisi transazionale (AT) risale al 1949, anno di pubblicazione del

primo di una serie di sei articoli sull’intuizione dello psichiatra canadese Eric Berne.

Nel 1941 Berne inizia una formazione psicanalitica ortodossa e dopo quattro anni inizia

a praticare terapia di gruppo. Nel primo abbozzo della teoria degli stati dell’Io, Berne

ipotizza l’esistenza di realtà comportamentali e di pensiero che possono essere considerate

strutture di personalità ben definite; l’Adulto, il Bambino e il Genitore. In una seconda fase

della teoria, detta fase delle transazioni, si interessa di cibernetica, sulla comunicazione

latente e su quella manifesta: l’analisi dei “giochi psicologici”. La terza fase è la fase

“dell’analisi del copione”, il focus dell’analisi si sposta da quello che succede momento per

momento nelle transazione tra le persone, al piano di vista globale dell’individuo.

Sulla concezione di base dell’AT ci sono alcuni punti da sottolineare. L’opera di Berne

si situa nella corrente della psicologia umanistica (Maslow, Rogers, Perls), quindi non

risponde al livello medico della guarigione della malattia e vede il problema chiamato

“malattia” non da un punto di vista medico ma come un blocco di crescita del potenziale

psicofisico umano.

Ci sono alcuni principi che caratterizzano l’approccio dell’AT:

Quella che si può definire la filosofia dell’ Okness, in riferimento al libro di Harris

(1974) “io sono Ok, tu sei OK”, che è la disponibilità della persona a crescere ed

imparare qualsiasi esperienza abbia anche negativa;

Il principio della “contrattualità”: la relazione terapeutica è vista come un accordo

tra persone responsabili (Adulte);

Altro principio che si può definire della “decisionalità”: l’essere umano è un essere

responsabile e che produce decisioni. Il copione di vita è basato su programmi per

lo più infantili.

Conseguenza della decisionalità è la ridecisionalità: quello che è stato deciso una

volta può essere cambiato, aggiornato al qui-ed-ora.

Page 31: I Giochi Del Familiare Dipendente

30

I parametri comuni tra le “scuole” di AT possono riassumersi in un sistema di

riferimento teorico basato su concetti di stati dell’Io, transazioni, giochi, copioni e in una

metodologia di intervento sul paziente fondata sulla contrattualità e sul processo

ridecisionale, al fine di facilitare alla persona l’autonomia rispetto al proprio copione.

Il gruppo terapeutico è una realtà di per sé psicotizzante e regressiva: affinché esso

possa offrire una realtà positiva, il singolo membro deve avere una buona strutturazione

della sua parte Adulta, per poter riuscire a separare il suo Io; se riesce far ciò può infatti

collaborare con il terapeuta. Quello che rende efficace un intervento è l’aiutare il paziente

in modo tale che si riappropri di quelle esperienze di copione mediante le quali, per

proteggersi, aveva inibito le proprie potenzialità: è il “permesso” di sperimentare forme

nuove, più positive e funzionali, di adattamento alla realtà. In tal senso il gruppo offre la

possibilità di vivere queste forme nuove di realtà, come matrice di nuovi tipi di rapporto

interpersonale. Il “permesso” è qualcosa di molto di più complesso del dire al paziente “tu

puoi”; è la capacità da parte del terapeuta, di porsi come figura genitoriale positiva. Se il

terapeuta si pone in tal senso, il paziente può risperimentare, dopo anni di tentativi falliti,

che l’interpretazione della realtà appresa durante le “scene di copione” non è cosi

distruttiva, né irrinunciabile, e che può essere quindi abbandonata. Questo è ciò che l’AT

denomina come processo ridecisionale: la persona prima sperimenta di nuovo le esperienze

di copione che l’hanno indotta ad una visione ristretta del mondo ed inseguito fare un

posso oltre tutto ciò, fino ad allargare al sua visione della realtà e del mondo.

Riguardo alla formazione del setting di gruppo in AT, Berne ha detto che la sua

composizione deve essere non omogenea, entro limiti ragionevoli. Non esistono particolare

controindicazioni per quanto riguarda la composizione del gruppo in ragione dell’età dei

suoi membri. Novellino ha inserito persone anziane in un gruppo con età media intorno ai

30 anni, ottenendo risultati positivi da entrambe le parti, sia per il travaso reciproco di

esperienze che per una facilitazione dei processi proiettivi.

Interessante notare che le differenze di età che separano i due gruppi corrispondono

all’incirca ad una generazione di differenza.

Il copione psicologico: l’io transferenziale

Il copione secondo Berne (1961) è un “largo piano di vita inconscio… dai copioni

teatrali che sono derivati intuitivi di questi drammi psicologici”. Egli ancora scrive: “il

Page 32: I Giochi Del Familiare Dipendente

31

copione appartiene al regno dei fenomeni di transfert, cioè è un derivato, o più

probabilmente un adattamento di reazioni ed esperienze infantili… è un tentativo di

ripetere in forma derivata un interno dramma transferale. Dal punto di vista operativo il

copione è un complesso insieme di transazioni che per sua natura tende a ripetersi

ciclicamente”. Il “protocollo” è una versione arcaica del dramma di Edipo, rimossa negli

anni successivi, mentre il copione propriamente detto è un derivato preconscio del

protocollo.

Anche per il copione si evidenzia la linea di demarcazione che Berne da della teoria

analitica transazionale rispetto alla teoria psicoanalitica; se in quest’ultima l’Edipo è

considerato dal punto di vista strutturale, in AT l’Edipo è visto come una tragedia in atto,

rilevabile trasazionalmente.

La caratteristica coattiva del copione è attribuita da Berne ad una struttura di

personalità definita Demone. “il copione di per se è sotto l’influenza della dea greca della

necessità, la sublime Ananke, come la chiama Freud. In linguaggio psicanalitico, esso è

guidato dalla coazione a ripetere” (Berne, 1971). Il copione offre una soluzione magica per

risolvere un problema di fondo rimasto irrisolto fin dall’infanzia: come ottenere amore e

accettazione incondizionati (Stewart e Joines, 1987).

Un importante conseguenza clinica è la seguente: “…il suo [del paziente] Adulto viene

per trovare dei modi di vivere il proprio copione… una più urgente motivazione del

Bambino è quella di… portare avanti il proprio copione attraverso le transazioni realizzate

con il proprio terapeuta… Questo fatto è la base legittima per la reticenza analitica o

frustrazione analitica di cui parla Freud. Col rimanere indipendente delle manovre del

paziente e assolvendo fedelmente al suo lavoro di analizzare le resistenze, le vicissitudini

istintuali, e quando nel caso di transfert, l’analista evita la possibilità di essere sedotto…”

(ibidem).

Allo scopo di inquadrare concettualmente le varie tematiche inerenti il riprendiamo la

classificazione di Erskine (1980) che divide i copioni in tre tipi:

a) copione introiettivo

b) copione traumatico

c) copione misto

Collegando il copione lungo una linea ad un capo della quale vi è il copione introiettivo

puro, e all’altro il copione traumatico puro, possiamo ritenere che nella realtà la situazione

Page 33: I Giochi Del Familiare Dipendente

32

che incontreremo più di frequente sarà quella di copione misto. Il copione introiettivo si

sviluppa come risposta ad una ingiunzione, ove per ingiunzione intendiamo un messaggio

genitoriale che limita lo sviluppo autonomo del bambino: questo accade ogni volta che

venga a mancare un “permesso”, inteso come quel messaggio che permette lo sviluppo

delle potenzialità del bambino.

Possiamo collocare i vari autori di AT lungo un continuum per ciò che riguarda la loro

spiegazione sulla natura dell’ingiunzione. Ad un polo vi si può collocare Steiner, che ha

dell’ingiunzione di copione una visione meccanicista, in quanto la intende come messaggio

genitoriale negativo, che si impianta sul Bambino, visto come recipiente passivo, e più

precisamente nel Genitore Primitivo (G1), che è sede di messaggi regressivi che vengono

dall’ambiente familiare e dal sistema sociale. All’altro estremo del continuum vi è Erskine,

che dell’ingiunzione sottolinea l’aspetto fantasmatico, cioè la costruzione del bambino

circa il messaggio reale. Particolarmente utile per capire questa teoria è il modello di

Holtby (1976), che mette in evidenza la decisionalità del bambino in relazione

all’ingiunzione. In pratica Holtby considera tutte le varie influenze genitoriali (ingiunzioni

provenienti dal Bambino del genitore; messaggi di programma, proveniente dall’Adulto

del genitore, messaggi di controcopione provenienti dal Genitore del genitore) come

recipiente da quella struttura di pensiero prelogica del Bambino che è il Piccolo Professore

(A1). Questi nel recepire le informazioni genitoriali. Questi nel recepire le influenze

genitoriali, fa una valutazione dei bisogni del Bambino Primitivo (B1) ed elabora una

strategia per soddisfare tali bisogni tenendo conto delle influenze genitoriali e delle

limitazioni che ne derivano. Tale strategia viene messa in atto e se è rinforzata dalla realtà

esterna, diventa una “decisione operativa”; viene cioè registrata nel G1, dando luogo a

comportamenti automatici. È in seguito a tale processo che nelle patologie regressive delle

primissime fasi la decisione operativa è cosi radicale: in tali casi della decisione operativa

dipende, alla lettera, la sopravvivenza dell’individuo.

Intorno ai 12-18 mesi si ha il passaggio, nel bambino, dal modello passivo-

comportamentale di Steiner al modello attivo decisionale di Holtby e dei Goulding. La

“matrice copione” è uno schema che illustra le varie influenze genitoriali sul copione delle

persone. Senza soffermarci sulla matrice classica storica di Steiner, che risulta molto utile

dal punto di vista clinico, possiamo distinguere in base ad essa tre tipi di influenze

descritte:

Page 34: I Giochi Del Familiare Dipendente

33

1) le influenze che vanno dal Bambino al Genitore del sesso opposto al G1 del figlio:

sono messaggio di ingiunzione, i detti colloquialmente “non”;

2) messaggi provenienti dai Genitori di ambedue i genitori, che vanno nel Genitore

propriamente detto (G2) del figlio: sono messaggi di controcopione, i “devi”;

3) influenze che provengono dall’Adulto del genitore dello stesso sesso del figlio e

dirette all’A1 (Adulto Primitivo o Piccolo Professore): sono messaggi di

programma, i “come si fa”.

La matrice classica di Steiner, costruita sulla base di studi sull’alcolismo, è la seguente:

1) vi è un ingiunzione proveniente dal genitore del sesso opposto: in genere per un

alcolista uomo l’ingiunzione proviene dalla madre ed è “non pensare”;

2) vi sono dei messaggi di controcopione provenienti sia dalla madre che dal padre:

per un alcolista tali messaggi sono del tipo “sii un vero uomo”;

3) vi è infine un programma proveniente dal padre che insegna come risolvere la

contraddizione tra ingiunzione e messaggio di controcopione: per il nostro alcolista

tale massaggi è “bevi”.

Di conseguenza, quando l’alcolista si chiede: “come faccio ad essere un uomo senza

pensare?”, la risposta che si dà è “Bevendo” (Steiner, 1990).

Secondo Steiner i messaggi di controcopione sono tipici della fare post-edipica e sono

registrati nel G2; le ingiunzioni sono prevalentemente dei messaggi preverbali e pre-edipici

e vengono fissati nel G1. La matrice del copione trova una sua applicazione nel fornire un

quadro globale di quali sono le varie influenze reali o riferite da parte del cliente, e quindi

contribuisce a fare un piano terapeutico. Il copione è concepibile dal punto di vista

psicodinamico come un complesso sistema di difesa (Cheney, 1973). La teoria del

meccanismo psicodinamico del copione che risulta, a opinione di Novellino, maggiormente

coerente è quella di Holloway (1972). Secondo questo autore, durante lo sviluppo del

bambino il genitore si trova a confrontarsi con un modo di essere o un comportamento del

figlio che corrisponde ad un problema non risolto: detto in termini strutturali, lo stato

dell’Io Bambino del Genitore reale è riattivato in una fissazione patologica. La difesa

conseguente sarà quella di cercare di limitare nel figlio l’atteggiamento ansiogeno per il

genitore; tale tentativo espresso per vie emotive e spesso non verbali, implicherà una

proibizione, detta ingiunzione, dell’area di sviluppo di fronte alla quale lo stato dell’Io

Page 35: I Giochi Del Familiare Dipendente

34

Bambino del figlio dovrà cercare mediazioni per sopravvivere psicologicamente, e a volte,

fisicamente. Se lo stato dell’Io Bambino del figlio decide (ossia, sceglie come difesa nei

confronti delle minacce reali o fantastiche, implicate nell’ingiunzione), avverrà un doppio

processo parallelo: da una parte lo stato dell’Io Bambino del figlio si autolimiterà nei

confronti dell’area evolutiva che ha innescato il conflitto del genitore reale; dall’altra lo

stato dell’Io Genitore del figlio intrometterà il modello di una sorta di atteggiamento

“fobico” nei confronti dell’area psicologica bloccata. Quando questo bambino sarà

cresciuto disporrà di una struttura di personalità tale per cui, nel momento in cui arrivi a

confrontarsi con gli stimoli, persone, situazioni, eventi, che gli ripropongono l’area

psicologica conflittuale, ecco che piuttosto che reagire solo con i sui stati dell’Io Adulti,

tenderà a riattivare gli stati dell’Io che hanno prodotto una fissazione a causa

dell’ingiunzione ricevuta (Wollams, 1973): da una parte lo stato dell’io eteropsichico

(Genitore) sede dell’introiezione del genitore reale fobico verso l’area conflittuale,

dall’altra lo stato dell’Io archeopsichico (Bambino) che ha dovuto autolimitarsi decidendo

quindi un copione. Alla transazione tra genitore reale, si è sostituito un dialogo interno tra

gli stati dell’Io Genitore e Bambino che ripropone il vecchio conflitto.

“Messaggi di copione” sono tutte quelle influenze genitoriali, verbali e prevalenti nella

fase edipica e post-edipica, con la quale i genitori indicano i figli ai figli cosa “devono” e

cosa “non devono” fare ed essere. Vengono quindi registrate come contenuti eteropsichici

e sono tali da riprodurre, se attivati come dialogo interno, dei comportamenti osservabili

definite “spinte” (Gellert, 1975; Kahler, 1975). Le spinte vengono raggruppate in cinque

categorie: sii forte, sforzati, sii perfetto, sbrigati, compiaci.

Se le ingiunzioni sono divieti impliciti, non verbali, le controingiunzioni (comandi

diretti Genitore-Genitore su cosa fare o non fare) sono esplicite, verbali e, una volta

interiorizzate attivano, tramite il dialogo interno, dei comportamenti osservabili (spinte).

Riassumendo possiamo dire:

1) Una manifestazione, come modo di essere o come fare, del figlio si incontra con un

conflitto irrisolto del genitore reale; ad esempio il bisogno di autonomia spinge il

figlio ad accentrare i suoi comportamenti esploratori; se la madre non ha

ragionevolmente risolto le sue tematiche collegate all’abbandono e alla

separazione, reagirà con grande ansia: in altre parole reagirà alla esplorazioni del

figlio come se fossero abbandoni, avendo attivato la sua archeopsiche (Bambino),

ossia vivrà come se fosse lei stessa la bambina piccola che rischia di rimanere sola.

Page 36: I Giochi Del Familiare Dipendente

35

Questa attivazione archeopsichica impedirà un ragionevole funzionamento

neopsichico (Adulto) della madre, producendo una contaminazione dell’adulto. La

madre allora tenderà a limitare o punire le espressioni del figlio fornendo tutta una

seria di razionalizzazioni di supporto, credendo in buona fede alla loro oggettività,

ad esempio che “i bambini piccoli vanno tenuti vicini perché se no si fanno male”.

Il risultato è che la madre comunica la proprio a disapprovazione

all’allontanamento del figlio, e di solito lo fa per vie non verbali, ad esempio

carezzandolo molto quando sta fermo, diventando tesa e ostile quando ritorna. In

termini analitico-transazionali il risultato è una ingiunzione, ossia una transazione

non verbale con la quale l’archeopsiche (Bambino) della madre ingiunge al figlio di

non separarsi.

2) A questo punto il figlio si trova a confrontarsi con un dilemma profondo: da una

parte c’è il suo bisogno naturale di esplorare, dall’ altra il pericolo percepito di

perdere l’amore della madre; tale dilemma è colto e mediato dalla neopsiche in

sviluppo nel bambino, detta a questo stadio Adulto nel Bambino (o A1 o Piccolo

Professore); se l’ingiunzione è potente e persistente il figlio può arrivare a

concludere che “separarsi è una cosa cattiva” e che quindi “deve rimanere da

mamma”. Il rinforzo positivo materno accentua la decisione del figlio; a questo

punto c’è la decisione di copione (che determina il copione cero e proprio).

3) La situazione strutturale del figlio è duplice. Da un parte ha introiettato un oggetto

genitoriale ansioso e che minaccia di divenire persecutorio di fronte all’autonomia;

tale oggetto esteropsichico è definito Genitore nel Bambino (G1) data l’epoca di

sviluppo. Dall’altra fisserà uno stato dell’Io archeopsichico bloccato sulla tematica

della separazione e individuazione, per cui proverà angoscia terribile a sua volta di

fronte alla separazione.

Anche Erskine (1980) propone una visione analoga del processo formativo del copione.

Al suo modello, i bisogni evolutivi del bambino non vengono soddisfatti per restrizioni

genitoriali o per trauma ambientali, con conseguente tensione (Gestalt incompleta); quando

il bambino arriva alla fase operazionale concreta può chiudere la Gestalt incompleta con un

processo di mediazione cognitiva, ossia di propone delle spiegazioni prelogiche sul perché

i suoi bisogni non vengono soddisfatti, arrivando a delle conclusioni autolimitanti definite

convinzioni di copione con conseguenti decisioni operative di copione. In pratica il

Page 37: I Giochi Del Familiare Dipendente

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bambino, per sollevarsi dal peso emotivo delle ingiunzioni decide di sopprimere il bisogno

proibito e le emozioni correlate (Novellino, 1990).

Il gioco psicologico

In “A che Gioco Giochiamo” Berne definisce la strutturazione delle ore di veglia come

“l’eterno problema umano”. In questo senso esistenziale la funzione della vita sociale

consiste nella reciproca assistenza per risolverlo. L’aspetto operativo della strutturazione

del tempo si può definire programmazione e in essa si possono distinguere tre livelli:

materiale, sociale e individuale. Si considera la programmazione individuale crescente

quando in una relazione aumenta la conoscenza reciproca; quest’ultima, per quanto possa

apparire “incidentale”, è regolata da schemi latenti finché le amicizie o le inimicizie si

sviluppano “come si deve” ma alla prima mossa scorretta vengono a galla. Tali sequenze

basate più su una programmazione sia individuale che sociale si possono definire giochi.

La via familiare e coniugale, come anche la vita in organizzazioni in ogni genere, procede

su variazioni dello stesso gioco, il cui aspetto essenziale è il fatto che le emozioni

obbediscono a determinate regole. Si può dire quindi che i giochi sono riproposizioni di

strategie infantili non più adatte a noi come persone adulte; ogniqualvolta effettuiamo un

gioco utilizziamo li tornaconto per confermare le convinzioni di copione (Stewart e Joines,

1987).

Berne (1964) definisce inizialmente il gioco come una “serie di transazioni

complementari ulteriori con andamento prevedibile e un tornaconto finale”. Questa prima

eccezione del concetto di gioco evidenzia quelle situazioni interpersonali in cui la meta è

quella di manipolare le emozioni al fine di mantenere una relazione simbiotica; in ogni

caso, passatempi e giochi sono considerati surrogati di una vita vera e di una vera intimità.

In “Analisi Transazionale e Psicoterapia” Berne ne sottolinea l’aspetto psicodinamico

quando afferma che i giochi riuniscono “tanto le funzioni di difesa quanto quelle di

gratificazione”.

La genesi dei giochi

Da questo punto di vista si può dire dunque che l'educazione del bambino è il processo

per cui il bambino impara a scegliere e a giocare i suoi giochi. Mentre i genitori

coscienziosi si preoccupano di insegnare ai figli le procedure, i rituali e i passatempi adatti

alla loro posizione e di scegliere scuole, università e chiese che corroborino i loro

Page 38: I Giochi Del Familiare Dipendente

37

insegnamenti, trascurano invece il problema dei giochi, che formano la struttura

fondamentale della dinamica emotiva di ogni famiglia e che i bambini apprendono sin dai

primissimi mesi di vita attraverso le esperienze quotidiane più significative.

Berne riporta questo esempio: Tanjy, sette anni, aveva mal di stomaco e chiese il

permesso di non cenare. I genitori gli consigliarono di mettersi un po’ sul letto. Ed ecco

che Mike, il fratellino di tre anni, fa: "Anch'io ho mal di pancia," evidentemente per godere

delle stesse attenzioni. Il padre lo fissò un momento e gli disse: "Non vuoi per caso giocare

a quel gioco?" Mike scoppiò a ridere e disse: "No!"

Se quella fosse stata una famiglia di fanatici salutisti i genitori si sarebbero allarmati e

avrebbero spedito a letto anche Mike. Sarebbe bastato ripetere qualche altra volta il gioco

per farlo diventare parte del carattere di Mike, come succede spessissimo quando i genitori

collaborano. Tutte le volte che si fosse sentito geloso di un privilegio accordato ad un

rivale, avrebbe tirato in ballo un malessere per assicurarselo anche lui. Allora la

transazione ulteriore sarebbe stata sostituita da "Non mi sento bene

" (a livello sociale) più

"Dovete concedere anche a me quel privilegio" (a livello psicologico). Mike, in ogni modo,

si salvò dalla carriera di ipocondriaco (ibidem).

La funzione dei giochi

L'esistenza quotidiana offre pochissime occasioni di intimità; certe forme di intimità

poi, specialmente le più strette, sono psicologicamente impossibili ai più, e così la maggior

parte della vita sociale è occupata dai giochi. I giochi dunque sono necessari e desiderabili:

si tratta solo di stabilire se quelli prescelti sono i più rimunerativi. Non dimentichiamo che

l'aspetto più importante di un gioco è il suo culmine, il pagamento. Le mosse preliminari

servono soprattutto a instaurare quella situazione che permetterà di arrivare al pagamento

della posta; solo che sono sempre scelte tra quelle che danno, come prodotto secondario, la

massima soddisfazione possibile.

Così è anche per l'alcolista: indipendentemente dall'origine fisiologica, ammesso che

esista, del bisogno di ubriacarsi, il bere, in termini d'analisi del gioco, è soltanto una mossa

del gioco che si sta facendo con parenti, amici e conoscenti.

L'importanza dei giochi

Riassumendo, per Berne, i giochi si trasmettono da una generazione all' altra. Il gioco

prediletto di ciascun individuo può risalire ai genitori o ai nonni e passerà ai figli; questi a

loro volta, a meno che non si intervenga con successo, lo insegneranno ai figli. Perciò

Page 39: I Giochi Del Familiare Dipendente

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l'analisi del gioco ha il suo posto in una grande matrice storica, che risale, e lo si può

dimostrare, fino a cento anni nel passato e si proietta nel futuro per almeno cinquant' anni.

Le conseguenze della rottura di una catena si fanno sentire con progressione geometrica.

Molti esseri umani hanno più di duecento discendenti. I giochi si possono stemperare o

alterare da una generazione all'altra, ma pare che ci sia un'accentuata tendenza all'incrocio

tra affini che giocano almeno a giochi della stessa famiglia, se non dello stesso ceppo.

Questo é l'importanza storica dei giochi.

Educare i figli significa soprattutto insegnare loro quali giochi devono giocare. Culture

diverse e diverse classi sociali prediligono tipi di giochi diversi, mentre le varie tribù e

famiglie scelgono le loro varianti di quei giochi. Questa é l'importanza culturale dei

giochi.

I giochi sono, per così dire, compresi fra passatempi e intimità. I passatempi finiscono

col venire a noia a furia di ripetizioni, come i parties pubblicitari. L'intimità esige la

massima circospezione e subisce le discriminazioni del Genitore, dell'Adulto e del

Bambino. La società non ama la spontaneità, se non in privato; il buon senso ci avverte

che gli altri possono sempre approfittarne, mentre il Bambino la teme perché lo induce a

scoprirsi troppo. Perciò per evitare la noia dei passatempi senza esporsi ai pericoli

dell'intimità, la grande maggioranza si rivolge ai giochi disponibili, che finiscono per

riempire la maggiore parte delle ore più interessanti dedicate alle relazioni sociali.

Questa è l'importanza sociale dei giochi.

Come amici, come compagni e come intimi si scelgono quelli che giocano al nostro

stesso gioco. Perciò chi è "qualcuno

" in un determinato ambiente sociale (aristocrazia,

gang giovanile, club, campus universitario, ecc.) si comporta in modo che è

completamente estraneo a chi appartiene ad un altro ambiente sociale. Viceversa, se un

individuo che appartiene ad un determinato ambiente sociale cambia gioco finirà con

l'essere estromesso da quell'ambiente e accolto in un altro. Questa è l'importanza

personale dei giochi.

Page 40: I Giochi Del Familiare Dipendente

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SAPER USCIRE DALLE CONSUETUDINI FAMILIARI

“…lo que ocurre es que en el momento que hacemos algo que nunca hemos hecho ante, ya

estamos en el camino de la curación.”

Alejandoro Jodorowsky

Ogni famiglia, dice Marie Joseph, si distingue dalle altre per proprie consuetudini,

pregiudizi, riti, tabù, acquisiti e rinforzati nel corso delle generazioni e trasmessi col

matrimonio. Ciascun membro della famiglia ha la propria personalità, si sente unico e

diverso dai propri fratelli e sorelle, tuttavia, per un osservatore esterno sono le somiglianze

che risultano evidenti e fanno dire: “è veramente un Rossi, oppure un Bianchi, non può

rinnegare la propria famiglia“.

Al momento del matrimonio, i due giovani sposi mettono tra i doni nuziali questa

eredità di famiglia. I primi mesi, i primi anni, saranno dedicati hai confronti tra gli usi e le

abitudini delle due famiglie, dove si vedrà che in certe cose i Rossi dovranno ripiegare sui

Bianchi, mentre in altre saranno i Bianchi ad arrendersi.

Esistono cosi dei copioni individuali che risultano a loro volta influenzati dalle

abitudini, ingiunzioni e prescrizioni che tutti i membri della famiglia hanno vissuto. Fratelli

e sorelle, una volta sposati, tendono a mantenere questi messaggi che sono negativi, ma

che costituiscono un solido tessuto familiare. È per questo che per ribellarsi dai copioni

familiari, è necessario, almeno in parte, liberarsi della propria famiglia (Joseph e Chalvin,

1988).

VERSO LA DIFFERENZIAZIONE: tra appartenenza e separazione

Nel corso di una lunga esperienza di lavoro, Jay Haley, ha valutato la possibilità di

considerare alcune forme di comportamento tossicomane come una variante delle crisi

(psicotiche e non), con cui un certo numero di giovani adulti esprimono la difficoltà della

loro emancipazione dal gruppo familiare di provenienza (Haley, 1980). Da questo punto di

Page 41: I Giochi Del Familiare Dipendente

40

vista si comprende facilmente l’utilità potenziale del sintomo che si sviluppa nel figlio. La

funzione del fallimento è di permettere che i genitori continuino ad avere un figlio di cui

occuparsi, mentre l’organizzazione mantiene la sua stabilità anche per molti anni,

indipendentemente dall’età dei figli. Genitori di settant’anni continuano a portare il loro

figlio di 40 anni “malato” da un ospedale all’altro: come nella favola della bella

addormentata il tempo si ferma per tutti i protagonisti di questa vicenda (Cancrini, 1982).

I miti

L’identità culturale di una famiglia è un sistema di valori ideo-affettivi modellato nel

tempo da più generazioni e costruito sulla base della condivisione di una immagine

idealizzata: il mito. L’adesione al mito garantisce l’integrazione familiare: attraverso di

esso vengono trasmesse alle nuove generazione modalità di comportamento relazionale,

valori, norme, e ruoli. Il mito dona stabilità all’identità culturale del gruppo, stabilità che

nella situazione funzionale non è congelamento dell’intero processo evolutivo, anzi questa

stabilità dona la sicurezza necessaria per avviare i cambiamenti. I miti inoltre rafforzano i

legami di interdipendenza ideo-affettiva tra i membri del gruppo, fanno sentire l’individuo

come “parte di” ma possono anche spingere l’individuo al distacco.

La personalità di un individuo si forgia proprio sulla continua rinegoziazione del

bisogno di appartenenza e quello di separazione. Se il mito viene assimilato, rielaborato e

fatto proprio rappresenterà una gran risorsa per l’individuo per quanto sia stato il risultato

di un sentiero difficile, segnato dall’ambivalenza tra lo “stare dentro” e lo “stare fuori”. Ma

se invece ciò non accade e vi è uno squilibrio tra distanza e vicinanza che si accentua

troppo a favore di un’adesione acritica ai valori familiari, assisteremo ad un inglobamento

di questi come un corpo estraneo che ostacola il processo di individuazione del Sé.

Bisogna in ogni caso considerare che pure l’assenza di questi elementi coesivi,

minando delle sicurezze fondamentali, potrebbe ostacolare il processo di Individuazione.

Questo “separarsi ed appartenere” questo “uscire ed entrare” è una ginnastica necessaria

per affermare la propria individualità, sentendosi sempre libero di poter tornare nel gruppo

senza per questo sentirsi un traditore o un diverso. La famiglia è il primo luogo dove

l’individuo prova a costituire e a strutturare il proprio Sé e il contesto dove si differenzia

attraverso il rapporto con i familiari, esattamente come una figura rispetto allo sfondo.

Il risultato del lavoro continuo di autodefinizione ed individualizzazione viene definito

Differenziazione. Secondo la scala di Differenziazione di Bowen (1979) che si muove

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41

lungo un continuum che va dalla fusione estrema alla massima differenziazione, solo chi si

trova in quest’ultima estremità rappresenta i livelli più alti di funzionamento umano e potrà

trarne beneficio la sua famiglia nucleare. Quindi da questa prospettiva l’obiettivo più

importante per la famiglia è quello di aiutare i suoi membri nel processo di

Differenziazione del Sé, nel complesso raggiungimento di equilibrio tra Appartenenza e

Separazione (Andolfi, 2003).

Il taglio emotivo

Non sempre il processo di Differenziazione ha esiti positivi, spesso anzi restiamo

intrappolati in modelli ripetitivi di relazioni, in particolare quando si presentano nuovi

compiti di sviluppo. A volte “Appartenenza” e “Separazione” sono vissute solo in termini

di esclusione reciproca, quando un taglio netto dà l’illusione di autonomia.

Il taglio emotivo indica quella separazione, fisica o emotiva, prematura e traumatica, di

una persona dai vincoli e dagli affetti familiari. E’ un estraneamento tra i membri di una

famiglia che li preserva dal confronto o dalla risoluzione dei conflitti. Tale modalità

relazionale può provocare arresti evolutivi e sentimenti di incompletezza affettiva in età

adulta che non si ripercuotono solo sull’individuo ma possono provocare forti disagi nei

rapporti di coppia e tra genitori e figli.

La distanza emotiva può essere raggiunta tramite meccanismi interni, con la distanza

fisica o attraverso la combinazione di entrambi. Chi per esempio va via di casa pensando

così di ottenere l’autonomia, si ritroverà in futuro a cercare dei legami di tipo

compensatorio che gli permettano di riempire i “vuoti” che si portano dentro. La principale

espressione del taglio emotivo è la negazione dell’intensità dell’attaccamento emotivo non

risolto ai propri genitori. E’ questo il caso della pseudo-separazione degli adolescenti.

L’unica soluzione per uno sviluppo che consenta di raggiungere la “Posizione Io” è quella

di riconnettersi al momento in cui il taglio è avvenuto, intraprendendo una ricostruzione

attiva dei legami intergenerazionali e una elaborazione attiva delle perdite che non vanno

negate ma comprese e fatte proprie (ibidem).

Programma terapeutico

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42

Contributo Analitico-Transazionale

Berne sostiene che tre sono le possibilità di cambiamento del copione: la psicoterapia,

il destino (il caso) e la forza dell'amore (Phisis). Nella cura psicoterapeutica dell' AT

l'obiettivo principale è stabilizzare e decontaminare l'Adulto affinché la persona possa

agire nel presente in modo appropriato ed efficace usando opportunamente gli

insegnamenti introiettati nel Genitore le esperienze vissute contenute nel Bambino e poter

essere autonomo.

Per uscire dal copione Berne sostiene che all'individuo è necessario recuperare la

propria autonomia che consiste nel riappropriarsi di tre capacità: consapevolezza,

spontaneità e intimità. Ciò implica che la persona è in grado di comportarsi, sentire e

pensare in risposta alla realtà del qui ed ora senza lasciarsi influenzare dalle convinzioni di

copione.

- La consapevolezza è intesa come la capacità di essere in contatto con il presente

senza filtrarlo attraverso le esperienze passate.

- La spontaneità è intesa come la capacità di reagire in modo libero scegliendo tra

tutta la gamma delle sensazioni, dei pensieri e dei comportamenti senza costrizioni,

usando liberamente tutti e tre gli Stati dell' Io.

- L' intimità è intesa come la capacità di condividere liberamente le emozioni, i

pensieri e i comportamenti con un' altra persona. Ciò significa essere in grado di

creare legami dando e ricevendo affetto.

Ad esempio nel caso della persona che per avere attenzione ha deciso di compiacere,

prendersi cura dell'altro e mettere da parte i suoi bisogni, uscire dal copione ed essere

autonomo implica:

1. essere consapevole della sua decisione di mettere da parte i suoi bisogni per

ottenere attenzione e delle alternative che oggi ha; imparare ad individuare le

situazione di stress nelle quali può riattivare la vecchia decisione, i segnali che

possono indicare che la sta agendo ed essere capace di cogliere i suoi bisogni;

2. esprimere direttamente i suoi bisogni ed agire liberamente per soddisfarli, senza

doversi prendere cura dell'altro;

3. sviluppare una relazione paritaria con una persona nella quale può dare, chiedere e

ricevere quello che desidera senza doverlo "pagare".

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43

In sintesi il cambiamento del copione coincide con il raggiungimento dell'autonomia,

in AT ciò significa che la persona è in grado di gestire se stessa e le sue relazioni con gli

altri in modo: Consapevole, Spontaneo, Intimo (Mastromarino e Scoliere, 1999).

Contributo sistemico

Come spiega Guerreschi (2000), partendo dal lavoro clinico sul trattamento del gioco

d’azzardo patologico, nelle situazioni di dipendenza patologica è importantissimo

coinvolgere la famiglia, per mezzo di un’adeguata Terapia Familiare, che la porti nella sua

globalità a conoscere ed imparare ad accettare emozionalmente la disadattività del sintomo,

ma che anche le relazioni familiari possono essere o essere state disadattive, venendo a

costituire un fattore di nascita e/o di sviluppo della dipendenza patologica di un suo singolo

membro. Quando parliamo di “famiglia”, intendiamo un gruppo naturale, con una sua

storia, con delle sue regole proprie (parte delle quali sono ereditate dalle famiglie

d’origine) e con un proprio modello relazionale, che viene contrattato nel tempo tra i

coniugi e tra loro e le rispettive famiglie.

Nell’applicazione della terapia familiare, così come in quella di coppia, la più grave

patologia, sulla quale è necessario intervenire, è costituita dai disturbi nelle relazioni e

nella capacità comunicativa, nonché dal ripetersi di schemi di interazione rigidi; il gioco

d’azzardo, in questo caso, assume la funzione di sintomo del malessere e stabilizzatore

della coesione familiare.

Quando una famiglia decide di sottoporsi a terapia, essa ha già individuato al suo

interno il suo paziente designato, etichettato come “colui che ha un problema” o che

“costituisce il problema”. Quando però la famiglia lo identifica come “il paziente”, i

sintomi del paziente designato possono essere considerati come stratagemmi, che

sostengono il sistema, o che il sistema hanno mantenuto.

Nell’osservazione delle famiglie, in cui era presente un giocatore patologico, o un

alcolista, si è osservato che il comportamento relativo alla dipendenza del soggetto si

effettua attraverso modalità rigide, ripetitive, prevedibili, con spazi e tempi precisi sia a

casa, che fuori.

Le interazioni familiari vengono quindi a ruotare intorno a questo perno stabile, che

assume inconsapevolmente la funzione di regolamentare i tempi e i modi di espressione dei

conflitti, dei disaccordi, del desiderio o della paura di intimità.

Page 45: I Giochi Del Familiare Dipendente

44

La presa di coscienza delle modalità di comportamento dipendente viene quindi ad

esplicare la funzione di organizzatore dei comportamenti, di spartiacque, nell’ambito della

complessità del sistema familiare e dei suoi scambi con l’esterno. Se alcuni fattori

fondamentali di mantenimento del gioco d'azzardo patologico cronico sono, come appare

dalle osservazioni di Guerreschi, strettamente relazionali, si dovrà allora programmare un

intervento, in tutti i casi ove ciò sia possibile, al livello della necessità e dell’utilità del

mantenimento del sintomo da parte di tutti i membri della famiglia.

Stante la difficoltà (omogenea al paziente designato patologico e agli altri membri della

sua famiglia) di modificare nei fatti un assetto di comportamenti quasi automatici e, di

contro, l’accettazione spesso incondizionata, a livello puramente verbale, dei suggerimenti,

dei consigli e delle proposte di cambiamento offerte dagli operatori, si rende necessario

esaminare e paragonare attentamente ad altri tipi di intervento tutte quelle tecniche

orientate all’azione, vale a dire, tutte le tecniche orientate alla sperimentazione di processi

emotivi intensi, da cui non ci si possa immediatamente difendere con la negazione e

l’addossamento delle proprie responsabilità.

Bisogna far vivere dei concreti processi esperienziali, con l’interpretazione di modelli

di relazione ripetitivi e con l’esasperazione della rigidità dei ruoli, fino ad arrivare ad uno

svuotamento di significato dei vecchi comportamenti e giungere alla ricerca di nuove

alternative. Le regole che la famiglia costituisce nel tempo si esprimono nel modo di vivere

e non nelle parole, ed è a questo livello che risulta efficace la terapia, costruendo un

apposito piano di intervento per la famiglia. Riprendendo il motto che ispira le comunità

terapeutiche di Don Picchi: “Prima cambiare il comportamento, poi i sentimenti”.

Schematizzando la terapia relazionale, nella situazione prima dell’intervento, il

paziente è centrale nel sistema famiglia ed è coinvolto in ogni triangolazione relazionale

stressante del sistema Nella prima fase del sistema terapeutico, il terapeuta ottiene una

posizione centrale nel sistema entrando in contatto con i sintomi del paziente; entra nel

sistema attraverso il riconoscimento e la provocazione della centralità della sintomatologia,

e forse anche della logica di questa. La fase successiva prevede la sostituzione con cui il

terapeuta colloca se stesso al centro al posto del paziente nel sistema terapeutico; in questo

frangente possono emergere problemi diversi dai sintomi del paziente (che coinvolgono

differenti triangolazioni) e i membri della famiglia possono adottare ruoli meno stereotipati

nell’affrontare gli eventi stressanti e la soluzione dei problemi. Nella conclusione della

terapia la presenza del terapeuta è solo “fantasmatica”, cioè viene avvertita pur non

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essendo fisica. Se necessario, il terapeuta potrebbe essere “materializzato” di nuovo dalla

famiglia (Andolfi, Angelo e de Nichelo, 1989).

In concreto, il risultato ricercato è quello della trasformazione della famiglia. I

cambiamenti riguardano la serie di aspettative, che regolano il comportamento dei suoi

componenti. Anche l’esistenza di ogni singolo individuo è destinata a mutare. La

trasformazione in atto è significativa per tutti i componenti della famiglia, ma soprattutto

per il paziente designato, che viene liberato dalla sua posizione di “deviante”.

L’intervento con la famiglia nasce dalla consapevolezza delle gravi limitazioni che

subisce un trattamento dell'utente senza il coinvolgimento della famiglia.

Ciò si è potuto osservare nei trattamenti che prevedono l’inserimento nelle Comunità

Terapeutiche Residenziale (CTR) che determinano una forte discontinuità con il sistema

familiare. L'allontanamento del paziente dal suo contesto originario, infatti, per quanto

comporti la separazione fisica, non costituisce tuttavia una soluzione di continuità rispetto

al meccanismo familiare di strutturazione della psicosi (come per altro dimostra tutta la

pratica manicomiale): in mancanza di stimolazioni dall'esterno la famiglia semplicemente

si ristrutturerà sull'assenza del paziente designato, ma sempre e comunque all'interno delle

regole e delle modalità relazionali usate in precedenza, lasciando così di fatto immodificate

la condizioni che sostengono la sintomatologia.

Anche dall’esperienza delle CTR appare quindi così evidente la necessità di fare un

lavoro con le famiglie, le quali, anche se non possono sempre considerarsi causa della

tossicomania, hanno sicuramente un ruolo determinante sia nel suo mantenimento come

nella sua risoluzione: la famiglia può essere protagonista nel processo di riabilitazione di

un tossicomane sia se direttamente coinvolta sia come famiglia “risorsa”. Se è vero infatti

che la stessa qualche volta rappresenta “un sistema in difficoltà”, è anche vero che se

motivata e preparata, può essere in grado di esercitare una funzione di accoglienza e di

enorme contributo al processo di riabilitazione e di reinserimento di un giovane

tossicodipendente.

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RIFLESSIONI

PARELLELI TRA I MODELLI

Come affermano Colantonio e Bisbiglia (1994) dell’ Istituto di Formazione e Ricerca

per Educatori e Psicoterapeuti, l' utilizzo di due chiavi di lettura, una sistemica e 1'altra

transazionale, permette di lavorare con più strumenti su due livelli, sistemico e individuale.

I due studiosi hanno verificato, come già consolidato nelle metodologie del CEIS, come i

due modelli si sposino bene nell' ambito clinico per due ordini di motivi:

1. l'ottica transazionale comprende già nella sua teorizzazione della matrice di copione

un punto di vista sistemico;

2. l'ottica sistemica si sta focalizzando proprio in questi ultimi anni sull'importanza

della lettura delle emozioni e del vissuto personale nell'ambito del sistema.

Entrambi i modelli puntano sull'utilizzo di un linguaggio semplice, concreto ed

immediato, volto non solo agli “addetti ai lavori”, estendendo i propri campi d'intervento al

di là di un setting psicoterapeutico in senso stretto, fino ad arrivare ad interventi formativi

rivolti a gruppi eterogenei di utenti.

A mio avviso è possibile un confronto nello specifico tra i tipi di “famiglie del

tossicodipendente”, identificate in analisi sistemica, e la classificazione dei copioni

proposta da Erskine. Le prime due tipologie di famiglie (tipo A e B), forme meno gravi

rispetto alle altre due, sviluppano dipendenza solo in condizioni caratterizzate da una

situazione particolarmente sfavorevole e da un’offerta consistente di occasioni di incontro

(Cancrini, 2003). Queste condizioni che vincolano l’insorgenza fanno sì che il tipo A e il

tipo B possano collocarsi sulla polarità dei copioni traumatici. I tipi di famiglie C e D,

riconducibili per l’autore al disturbo di personalità borderline (ibidem), potrebbero trovare

posto sull’estremità dei copioni introiettivi.

Questa distinzione sostanziale rappresenterebbe una categorizzazione di base della

dipendenza patologica essenziale soprattutto in ottica di intervento terapeutico.

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CONCLUSIONI

Il concetto di gioco psicologico, così come inteso in analisi transazionale, si può

inserire nel puzzle terapeutico all’interno della cornice sistemico-relazionale. L’approccio

sistemico di per sé, rischia di apparire, ad una visione superficiale, come

deresponsabilizzante nei confronti del paziente designato, ma in realtà permette di allargare

la prospettiva abbandonando spiegazioni lineari e unilaterali.

Da un punto di vista strettamente relazionale, se il sistema è funzionante, nel

complesso ognuno vince abbastanza, oppure, se sta perdendo, ragionevolmente può sperare

in una rivincita, sempre che gli altri giocatori giochino semplicemente meglio di lui e che

non “barino” al gioco (Prata, 1992). Il gioco, visto in tal senso, diventa drammatico solo

quando alleanze temporanee si irrigidiscono divenendo sempre meno modificabili. In un

sistema bloccato come questo i conflitti non vengono risolti; vengono evitati concentrando

l’attenzione sui problemi fisici. Questo schema, definito da Kaffman (1981) mono-

ideismo, è caratterizzato dalla fissazione intrapsichica e interpersonale dell’attenzione su

un percorso monotematico. La vita ruota attorno ai problemi e c’è una drastica riduzione

delle normali attività che procurano soddisfazione e divertimento. Man mano che la

rigidità aumenta, i membri della famiglia assumono ruoli stereotipati e funzioni di gruppo

che limitano le loro opportunità di autoespressione e differenziazione (Andolfi, Menghi,

Corigliano e Saccu, 1980).

Ciò è ben rappresentato dal modello teorico di Karpman (1968): il triangolo

drammatico. Questo triangolo vede ai suoi vertici tre ruoli: il Salvatore, il Persecutore e la

Vittima. La loro relazione è di reciprocità in quanto la presenza dell'uno implica giocoforza

quella degli altri. Nella dipendenza patologica uno dei membri della relazione può

assumere anche due ruoli diversi, contemporaneamente. La corrispondenza con un gioco,

le cui parti in causa sono complementari, è evidente.

Si ha, in questi casi, un sistema che non sa adattarsi a nuove situazioni e l’alleanza del

paziente designato con il sintomo, oltre ai benefici primari immediati (ed estremamente

pericolosi) per esso, assicura alla famiglia benefici secondari che consentono la

“legittimità” dello status quo. L’investitura nel processo di designazione diventa astorica,

vale a dire non più adeguata alle esigenze del presente.

L’aspetto dinamico dell’analisi transazionale si inserisce a questo punto; il gioco che si

struttura con la dipendenza patologica, testimonia le difficoltà relazionali preesistenti (e in

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ogni caso conseguenti in un quadro traumatico) che, oltre a prospettare un destino

drammatico, impediscono la circolazione della creatività e della spontaneità, lo sviluppo e

l’espressione delle potenzialità del Bambino Libero. In altri termini, la conquista

dell’autonomia così come suggerita da Berne corrisponde ad un comportamento, un

pensiero o un emozione che è una risposta alla realtà qui-ed-ora più che una risposta a

convinzioni di copione.

Il comportamento dipendente può essere considerato all’interno di un economia di

carezze (Steiner, 1971). Il termine “carezza” si riferisce al bisogno infantile di essere

toccato e ha la funzione di nutrire il Bambino nel suo bisogno stimoli e nell’Adulto

continuano a soddisfare il bisogno di riconoscimento. Considerando il principio per cui

“qualsiasi carezza è meglio di nessuna carezza”, può accadere di ricevere e accettare dai

genitori carezze che cominciano col sembrare positive ma si rivelano poi insincere, quindi

negative. Esse sono definite carezze false o carezze di plastica. La persona che presenta un

comportamento di dipendenza patologica, in tal senso, può avere appreso un’ economia di

carezze di plastica per poter continuare a nutrire la sua autostima. La fluidificazione dei

rapporti, all’interno della famiglia innanzi tutto, permette quella intimità che decreta la fine

dei giochi che non sono altro che la sostituzione delle vere carezze positive.

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