i diritti umani e il rispetto della dignita’ umanala presente dichiarazione universale dei diritti...

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I DIRITTI UMANI I DIRITTI UMANI E IL RISPETTO DELLA E IL RISPETTO DELLA DIGNITA’ UMANA DIGNITA’ UMANA

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I DIRITTI UMANII DIRITTI UMANI

E IL RISPETTO DELLAE IL RISPETTO DELLA

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PRESENTAZIONE:

Con questa tesina ho voluto trattare il tema dei diritti umani e di come sono

rispettati nel mondo. Il mio lavoro si divide in tre parti:

PRIMA PARTE: in questa parte mi sono occupata della storia dei diritti

umani, ho analizzato il ruolo dell’ONU e sono così arrivata a parlare della

Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, di come è strutturata, e delle sue

conseguenze.

SECONDA PARTE: in questa parte mi sono occupata delle associazioni che

difendono i diritti umani (Amnesty International e Emergency) e di alcuni problemi

attuali, come la pena di morte e la guerra e le mine anti-uomo, dedicando particolare

attenzione a come i bambini vivono un conflitto armato.

TERZA PARTE: in questa sezione del mio lavoro, basandomi anche sul

programma svolto a scuola durante l’anno, ho trattato il tema dei diritti umani dal

punto di vista letterario e artistico. In particolare ho analizzato l’opera di Picasso

“Guernica”, il libro di Primo Levi “Se questo è un uomo” e il libro di G. Orwell

“1984”.

PARTE PRIMA

LA DICHIARAZIONE UNIVERSALE DEI DIRITTI

DELL’UOMO, SUA STORIA E CONSEGUENZE

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STORIA DEI DIRITTI UMANI

Nella storia delle dichiarazioni dei diritti umani si possono distinguere tre

fasi.

�� Le dichiarazioni nascono come teorie filosofiche. In quanto tali, le

prime affermazioni dei diritti dell’uomo sono puramente e semplicemente

l’espressione di un pensiero individuale: sono universali rispetto al contenuto in

quanto si rivolgono in astratto a tutti gli uomini, ma sono estremamente limitate

rispetto alla loro efficacia, in quanto sono, nella migliore delle ipotesi, proposte per

un futuro legislatore.

�� Nel momento in cui queste teorie sono accolte per la prima volta da

un legislatore, l’affermazione dei diritti non è più l’espressione di una nobile

esigenza, ma il punto di partenza per l’istituzione di un vero e proprio sistema di

diritti. In questo passaggio l’affermazione dei diritti dell’uomo acquista in

concretezza ma perde in universalità. I diritti sono ora protetti, ma valgono solo nello

stato che li riconosce.

La storia costituzionale moderna ha inizio con due eventi: la rivolta delle

tredici colonie inglesi nell’America del nord contro l’Inghilterra e la Rivoluzione

francese.

La Costituzione americana fu approvata dalla Convenzione di Filadelfia il 17

settembre 1787. Essa fu il risultato di un vasto movimento politico, durato un

decennio, iniziato con la Dichiarazione d’indipendenza del 4 luglio 1776 (scritta da

Thomas Jefferson) e proseguito con le Costituzioni che undici delle tredici colonie si

diedero. La Costituzione della Virginia si apre con una Dichiarazione dei diritti che è

il più importante precedente storico di tutte la Dichiarazioni dei diritti che sono poi

seguite nel tempo. Il loro scopo è di affermare solennemente che ogni individuo in

quanto tale ha dei diritti.

La Rivoluzione francese inizia con la celebre Dichiarazione dei diritti

dell’uomo e del cittadino, proclamata dall’Assemblea nazionale costituente il 26

agosto 1789, un mese dopo la presa della Bastiglia. In essa vengono affermati i

principi fondamentali dello stato liberale (diritti preesistenti allo Stato, separazione

dei poteri, sovranità popolare).

In pochi anni si susseguono tre costituzioni, in esse rimane costante però il

principio della sovranità popolare, e rimarrà costante in tutta la storia costituzionale

moderna.

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�� La terza fase ha inizio nel secondo dopoguerra col fenomeno delle

organizzazioni internazionali. Esse sono degli accordi fra i vari stati per costituire

delle associazioni là dove i problemi da risolvere trascendono i limiti e i poteri di un

singolo stato. Queste associazioni rappresentano, nello sviluppo storico dei rapporti

fra gli stati, il passaggio dalla fase della pura e semplice coesistenza alla fase della

cooperazione.

Il fenomeno dell’organizzazione internazionale non è nuovo: esso è nato

nell’800 in seguito allo sviluppo sempre più vertiginoso del commercio

internazionale e delle comunicazioni. Ma è solo dopo la seconda guerra mondiale che

questo fenomeno ha avuto uno sviluppo tale da dare un volto nuovo al mondo. Le

ragioni sono varie. Innanzitutto le guerre mondiali e lo sconvolgimento da esse

prodotto hanno fatto sentire sempre più viva l’esigenza della sicurezza nei rapporti

reciproci fra gli stati.

Ne è un esempio la NATO sorta nel 1949. La seconda ragione è di ordine

economico. Infatti il periodo delle economie chiuse e nazionali ha portato alle guerre

di aggressione e alla sconfitta: lo sviluppo economico richiede sempre più

l’integrazione delle economie nazionali e pertanto occorrono degli organismi

internazionali che coordino tale integrazione (ne è un esempio l’OECE ,

Organizzazione europea di cooperazione economica nata nel 1948 per utilizzare gli

aiuti americani del piano Marshall ). L’ultima ragione, e forse la più importante, è di

ordine sociale e umanitario. Il problema delle classi povere all’interno di una singola

nazione diventa, trasportato sul piano internazionale, il problema dei popoli poveri

che si trovano in una fase primitiva di sviluppo. L’organismo principale che si

occupa di questo problema è l’Organizzazione delle nazioni unite.

L’ORGANIZZAZIONE DELLE NAZIONI UNITE

L’ONU è la più importante organizzazione internazionale. Fu fondata dopo la

fine della seconda guerra mondiale dalle potenze uscite vittoriose dal conflitto

(Russia, Stati Uniti, Francia, Inghilterra, Cina) mediante l’approvazione di uno

statuto firmato dai rappresentanti di 50 stati il 26 giugno 1945 e che entrò in vigore il

24 ottobre 1945. L’ONU aveva avuto un precedente nella Società delle nazioni

fondata in seguito al primo conflitto mondiale ( Conferenza di Parigi, 28 aprile

1919). Ma la Società delle nazioni, un po’ per l’assenza degli Stati Uniti, un po’ per

la sua organizzazione troppo rigida (tutte le decisioni andavano votate all’unanimità

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dagli stati membri) e infine per la debolezza organica delle sue istituzioni, non aveva

potuto evitare lo scoppio della seconda guerra mondiale. La fondazione dell’ONU

mirò a ricostruire un organismo internazionale a base universale. Inizialmente gli

stati membri erano 50,oggi hanno raggiunto il numero di 184.

L’Organizzazione delle Nazioni Unite ha sede a New York nel famoso

“Palazzo di vetro”. I suoi principali organi sono:

L’assemblea generale

Si convoca una volta all’anno e riunisce i rappresentanti di tutti gli stati

membri, ciascuno stato ha diritto a un voto. Le decisioni vengono prese a

maggioranza.

Il consiglio di sicurezza

Ha l’effettivo potere di decidere concreti interventi in favore del

mantenimento della pace. E’ composto da 15 stati membri, 10 eletti dall’assemblea

ogni 2 anni e 5 permanenti (Russia, Stati Uniti, Cina, Francia, Gran Bretagna).

Ciascuno di questi cinque stati ha il potere di veto su ogni decisine del Consiglio di

sicurezza. Per gli interventi in cui sono in gioco grandi conflitti di interessi tra gli

stati occorre infatti l’unanimità degli stati che sono membri permanenti del

Consiglio.

Il consiglio economico e sociale

Si occupa della cooperazione economica e sociale fra gli stati. E’ composto

da 18 stati membri, dei quali un terzo è eletto ogni anno per un periodo di tre anni.

Il segretario generale

Dirige l’apparato burocratico e cura l’esecuzione delle decisioni prese dal

Consiglio di sicurezza.

La corte di Giustizia Internazionale (Tribunale Penale Internazionale

Permanente)

Giudica sulle controversie che insorgono tra gli stati sulla base del diritto

internazionale. Lo statuto della corte è stato ultimato il 17 luglio 1998 a chiusura

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della Conferenza diplomatica di Roma. Il tribunale penale internazionale

permanente è competente a giudicare i responsabili di genocidio, crimini contro

l’umanità, crimini di guerra e aggressione. Esso è indipendente dal potere politico dei

singoli stati e può quindi agire anche contro quei crimini e quegli abusi che, pur

colpendo la coscienza dell’umanità in maniera così forte da essere ritenuti crimini in

base al diritto internazionale, non sono contemplati dalle leggi nazionali.

Gli scopi dell’ONU sono essenzialmente due: il mantenimento della pace e lo

sviluppo della cooperazione internazionale nei campi economico, sociale, culturale

ed umanitario.

Al raggiungimento del primo scopo si dovrebbe provvedere sia con mezzi

pacifici, sia con misure collettive efficaci, tra le quali è previsto anche l’uso di forze

armate. Al conseguimento del secondo scopo gli organi delle Nazioni Unite

provvedono sia indirettamente, cioè cercando di influire sul comportamento degli

Stati con raccomandazioni e progetti di convenzioni internazionali, sia direttamente,

con attività operative quali ad esempio l’assistenza finanziaria e tecnica ai paesi

sottosviluppati.

L’ azione dell’ONU si è dimostrata finora di scarsa efficacia nell’impedire le

guerre. Dal 1945 ad oggi si sono verificati più di cento conflitti armati rispetto ai

quali l’ONU si è rivelata, per lo più, impotente. Ciò è dipeso soprattutto dal veto

delle grandi potenze, che hanno impedito l’intervento dell’ONU nei conflitti in cui

esse erano parti in causa.

LA DICHIARAZIONE UNIVERSALE

DEI DIRITTI DELL’UOMO

PREAMBOLO

Considerato che il riconoscimento della dignità inerente a tutti i membri

della famiglia umana e dei loro diritti, uguali ed inalienabili, costituisce il

fondamento della libertà, della giustizia e della pace nel mondo;

Considerato che il disconoscimento e il disprezzo dei diritti umani hanno

portato ad atti di barbarie che offendono la coscienza dell’umanità, e che l’avvento

di un mondo in cui gli esseri umani godano della libertà di parola e di credo e della

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libertà dal timore e dal bisogno è stato proclamato come la più alta aspirazione

dell’uomo;

Considerato che è indispensabile che i diritti umani siano protetti da norme

giuridiche, se si vuole evitare che l’uomo sia costretto a ricorrere, come ultima

istanza, alla ribellione contro la tirannia e l’oppressione;

Considerato che è indispensabile promuovere lo sviluppo di rapporti

amichevoli fra le Nazioni;

Considerato che i popoli delle Nazioni Unite hanno riaffermato nello Statuto

la loro fede nei diritti umani fondamentali, nella dignità e nel valore della persona

umana, nell’uguaglianza dei diritti dell’uomo e della donna, ed hanno deciso di

promuovere il progresso sociale e un miglior tenore di vita in una maggiore libertà;

Considerato che gli Stati membri si sono impegnati a perseguire, in

cooperazione con le Nazioni Unite, il rispetto e l’osservanza universale dei diritti

umani e delle libertà fondamentali;

Considerato che una concezione comune di questi diritti e di queste libertà è

della massima importanza per la realizzazione di questi impegni;

L’ASSEMBLEA GENERALE

Proclama

La presente dichiarazione universale dei diritti umani come ideale comune

da raggiungersi a tutti i popoli e da tutte le Nazioni, al fine che ogni individuo ed

ogni organo della società, avendo costantemente presente questa Dichiarazione, si

sforzi di promuovere, con l’insegnamento e l’educazione, il rispetto di questi diritti e

di queste libertà e di garantirne, mediante misure progressive di carattere nazionale

e internazionale, l’universale ed effettivo riconoscimento e rispetto tanto fra i popoli

degli stessi Stati membri, quanto fra quelli dei territori sottoposti alla loro

giurisdizione.

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All’indomani del secondo conflitto mondiale, il 10 dicembre 1948, quando il

ricordo degli orrori della guerra e del nazismo era ancora negli occhi di tutti, gli Stati

membri dell’ONU approvarono la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo.

Fu questo un atto di importanza storica straordinaria, perché per la prima

volta l’affermazione del valore e della dignità della persona umana trovava una larga

convergenza internazionale.

Quando venne scritta la Dichiarazione, alle Nazioni Unite aderirono 58 paesi.

Quattordici nazioni appartenevano allo schieramento occidentale, sei a quello

orientale. Vi erano molti paesi latino-americani, asiatici e africani, che però non

avevano una linea politica unitaria: in molti casi questi paesi si orientarono sulle

posizioni occidentali. Il dibattito sui contenuti della Dichiarazione risultò perciò

influenzato dal clima della guerra fredda. In particolare si incontrarono e si

scontrarono la visione liberaldemocratica occidentale e quella socialista orientale.

Ma entrarono in gioco anche fattori religiosi e culturali più particolari, mentre alcuni

paesi cercavano di avanzare rivendicazioni proprie. Il risultato fu un testo di

importanza eccezionale.

La Dichiarazione elenca i diritti e le libertà fondamentali che tutti gli Stati

dovrebbero riconosce all’essere umano e, alla fine, ricorda che ogni uomo ha dei

doveri nei confronti della comunità. Con la Dichiarazione del 1948, l’affermazione

dei diritti dell’uomo diventa insieme universale e positiva: universale nel senso che

destinatari dei principi qui contenuti non sono più soltanto i cittadini di un certo

stato, ma tutti gli uomini; positiva nel senso che essa ha dato inizio a un processo al

termine del quale i diritti dell’uomo non dovrebbero più essere soltanto proclamati,

ma effettivamente protetti anche contro lo stesso stato che li ha violati.

L’intento che l’ONU si era prefissato era comunque molto ambizioso, in

quanto la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo non aveva valore vincolante,

ma aveva solo il valore di una raccomandazione internazionale.

Per raggiungere i suoi obiettivi la Dichiarazione avrebbe dovuto essere

accompagnata da un accordo contenente precisi impegni giuridici da parte degli Stati

firmatari e da misure di controllo. Detto questo, non bisogna tuttavia sottovalutare il

significato storico della Dichiarazione, che ha espresso in un atto solenne una sorta di

morale comune internazionale: per la prima volta nella storia un sistema di valori

fondamentali della condotta umana è stato liberamente ed espressamente accettato,

attraverso i loro rispettivi governi, dalla maggior parte degli uomini viventi sulla

terra.

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Solo dopo la Dichiarazione possiamo avere la certezza storica che l’umanità,

tutta l’umanità, condivide alcuni valori comuni e possiamo finalmente credere

all’universalità dei valori, nel senso in cui universale non significa dato

oggettivamente, ma soggettivamente accolto dall’universo degli uomini.

La struttura della Dichiarazione

I diritti riconosciuti dal documento sono di due tipi: i diritti civili e politici ,

gradualmente affermatisi attraverso la storia del pensiero e delle istituzioni

democratiche, e i diritti economici e sociali, la cui importanza è stata riconosciuta più

di recente, nel momento in cui ci si rese conto che senza l’affermazione reale di

questi ultimi, il godimento dei diritti civili e politici rimaneva puramente formale.

Nella concezione della Dichiarazione, i due tipi di diritti, pur ricevendo trattazione

separata, sono interdipendenti e indivisibili.

I trenta articoli della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo possono

essere così suddivisi:

� art. 1-2: sono la base di tutto il documento e stabiliscono, come

principio fondamentale, che “gli uomini nascono liberi ed eguali in dignità e diritti”

� art. 3: sancisce il diritto “alla vita, alla libertà ed alla sicurezza della

propria persona” ed introduce la serie di articoli riguardanti i diritti civili e politici.

� art. 4-21: precisano i diritti civili e politici.

� art. 22: stabilendo il diritto alla “sicurezza sociale”, introduce

l’esposizione dei diritti economici, sociali e culturali, la cui soddisfazione è affidata

allo sforzo nazionale e alla cooperazione internazionale.

� art. 23-27: enunciano i diritti economici, sociali e culturali di cui

ciascuno deve godere “in quanto membro della società. L’art. 26 è dedicato

all’istruzione e all’educazione hai diritti umani.

� art. 28-29: enunciano il diritto a un ordine sociale e internazionale in

cui i diritti umani possano essere realizzati e affermano la presenza di doveri

dell’individuo verso la comunità.

� art. 30: intende proteggere la Dichiarazione da interpretazioni che ne

contraddicano contenuti e finalità.

PROTEGGERE I DIRITTI UMANI

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In materia di diritti umani è bene tener presente che la Dichiarazione

universale è solo l’inizio di un lungo processo, di cui non siamo in grado di vedere

ancora l’attuazione finale.

La Dichiarazione infatti è qualcosa di più di un semplice sistema dottrinale,

ma non è ancora un sistema di norme giuridiche. Un richiamo alle norme giuridiche

esiste, si legge infatti nel Preambolo che “è indispensabile che i diritti dell’uomo

siano protetti da norme giuridiche, se si vuole evitare che l’uomo sia costretto a

ricorrere, come ultima istanza, alla ribellione contro la tirannia e l’oppressione”, ma

questa proposizione si limita a stabilire qual’ è il mezzo (le norme giuridiche,

appunto) con cui perseguire un determinato fine (la piena attuazione dei diritti

umani), essa però non pone in essere il mezzo.

Gli organismi internazionali possiedono, rispetto agli stati che li

compongono, solo un’influenza, ma non un potere.

Perché questa influenza abbia successo sono necessarie due condizioni:

-colui che la esercita deve essere autorevole e incutere rispetto

-colui al quale è rivolta deve essere disposto ad accettare queste disposizioni.

Spesso capita che una di queste due condizioni venga a mancare.

Gli organismi internazionali, per la tutela dei diritti umani ricorrono a tre tipi

di attività: promovimento, controllo e garanzia. Per promovimento si intende

l’insieme delle azioni che vengono orientate verso l’obiettivo di indurre gli stati che

non hanno una disciplina specifica per i diritti dell’uomo ad introdurla. Per attività di

controllo si intende l’insieme delle misure che i vari organismi internazionali

mettono in atto per verificare se e in che misura le raccomandazioni sono state

accolte e vengono rispettate. Ne sono un esempio i rapporti annuali che ciascuno

stato firmatario della convenzione si impegna a presentare sulle misure adottate per

tutelare i diritti dell’uomo. Per garanzia si intende l’organizzazione di una vera e

propria tutela giurisdizionale internazionale, sostitutiva di quella nazionale quando si

dimostra inefficace.

Esiste però anche una difficoltà che riguarda le condizioni per la concreta

attuazione dei diritti umani. Per la realizzazione dei diritti dell’uomo occorrono

spesso condizioni obiettive che non dipendono dalla buona volontà di coloro che li

proclamano né dalle buone disposizioni di coloro che presiedono ai mezzi per

proteggerli. E’ noto che il tremendo problema di fronte al quale si trovano oggi i

paesi in via di sviluppo è di versare in condizioni economiche tali che non

permettono, nonostante i programmi ideali, di sviluppare la piena protezione dei

diritti fondamentali dell’uomo. L’attuazione di una maggiore protezione di tali diritti,

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infatti, è connessa con lo sviluppi globale della civiltà umana. Non si può porre il

problema dei diritti dell’uomo senza tenere presenti i due grandi problemi del nostro

tempo, che sono i problemi della guerra e della miseria, dell’assurdo contrasto tra

l’eccesso di potenza che ha creato le condizioni per una guerra sterminatrice, e

l’eccesso di impotenza che condanna grandi masse umane alla fame. Solo in questo

contesto ci possiamo avvicinare al problema dei diritti dell’uomo con senso

realistico.

L’ultimo tipo di problema circa lo sviluppo dei diritti umani riguarda il

contenuto della Dichiarazione: rispetto al contenuto essa non può essere considerata

definitiva. I diritti dell’uomo infatti emergono gradualmente nel corso della storia in

risposta alle mutate condizioni di vita: essi sono mutevoli e quindi suscettibili di

trasformazione e allargamento.

La comunità internazionale si trova oggi di fronte non solo al problema di

apprestare valide garanzie a quei diritti che sono contenuti nella Dichiarazione, ma

anche a quello di perfezionarne continuamente il contenuto. Questa necessità di

aggiornare la Dichiarazione ha portato all’approvazione di diversi documenti

interpretativi e integrativi del testo originale. Ne sono un esempio la Dichiarazione

dei diritti del fanciullo (1959), la Convenzione sui diritti politici della donna (1952),

la Convenzione sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale (1965),

e la Dichiarazione sulla concessione dell’indipendenza ai paesi ed ai popoli

coloniali (1960)

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PARTE SECONDA

ASSOCIAZIONI PER LA DIFESA DEI DIRITTI UMANI

E PROBLEMI ATTUALI

AMNESTY INTERNATIONAL

Mettere fine agli arresti segreti, alla tortura e agli omicidi richiede un lavoro

organizzato e internazionale. Accanto agli organismi governativi (come ad esempio

l’ONU e tutti gli altri organi che da essa dipendono), possiamo trovare anche

numerose organizzazioni internazionali, tra le quali Amnesty International.

Amnesty International è un movimento internazionale, indipendente da

qualsiasi governo, interesse politico o credo religioso. Essa fu fondata nel 1961 e

lavora per la promozione e la difesa dei diritti umani, concentrando la sua attività in

particolare sui casi dei singoli prigionieri. Possiede uno status consultivo presso le

Nazioni Unite e ha ricevuto il premio Nobel per la pace nel 1977.

Gli obiettivi di Amnesty International

� Si batte per la liberazione e l’assistenza di prigionieri per motivi di

opinione: uomini e donne detenuti per le proprie opinioni, il colore della pelle, il

sesso, l’origine etnica, la religione, che non abbiano usato violenza o non ne abbiano

promosso l’uso.

� Sollecita procedure giudiziarie eque e rapide per i prigionieri politici

e lavora a favore di coloro che si trovano detenuti senza processo o imputazione.

� Si oppone incondizionatamente alla pena di morte e alla tortura, così

come a ogni altro trattamento crudele e degradante per la persona umana.

� Si oppone alla pratica delle sparizioni e delle esecuzioni attuate

arbitrariamente dai governi, così come agli omicidi avvenuti ad opera di gruppi

armati di opposizione ai governi.

� Svolge un’attività di educazione ai diritti umani attraverso la quale

promuove la consapevolezza e l’aderenza alla Dichiarazione universale dei diritti

dell’uomo e ai valori in essa contenuti.

Le tecniche

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Per attuare i suoi obiettivi, Amnesty Internatinal usa tecniche diverse, tutte

miranti ad esercitare una forte pressione sui governi. Le tecniche di intervento

variano a seconda della situazione ma sono essenzialmente quattro:

� Tecnica dell’adozione: azioni a lungo termine intraprese in caso di

prigionieri di opinione condannati a molti anni di detenzione.

� Azioni urgenti: vengono attuate nel caso di persone in serio pericolo

di vita o di tortura che necessitano pertanto di un’azione tempestiva e concentrata

nelle ore immediatamente dopo l’arresto.

� Le campagne: consistono in una massiccia mobilitazione del

movimento. Esse hanno il duplice obiettivo di denunciare le violazioni dei diritti

umani, cercando di colpire l’opinione pubblica, coinvolgendola in azioni concrete a

favore delle vittime, e di esercitare al tempo stesso una forte pressione sulle autorità

dei paesi dove questa violazioni si verificano.

���� Reti d’intervento su aree regionali: sono state studiate per

fronteggiare situazioni in cui il metodo dell’adozione è inefficace.

LA PENA DI MORTE

L’articolo 3 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo riconosce ad

ogni persona il diritto alla vita e l’articolo 5 afferma in modo categorico che “nessun

individuo potrà essere sottoposto a tortura o a punizioni crudeli, disumane o

degradanti”.

La crudeltà della pena di morte è evidente. Come la tortura, un’esecuzione

rappresenta un estremo insulto, fisico e mentale, a una persona già resa inerme

dall’intervento delle autorità governative. La pena di morte nega il valore della vita

umana. Essa inoltre può comprendere altre violazioni ai diritti umani. Non solo c’è

un pregiudizio etnico e razziale, non solo ci sono leggi che permettono di condannare

a morte i minorenni e le persone con un quoziente intellettivo inferiore alla norma,

ma c’è anche il sospetto che la pena di morte venga utilizzata come mezzo di pulizia

sociale, di epurazione.

Inoltre alcuni paesi non prevedono la pena di morte solo per l’omicidio (il

reato capitale per eccellenza), ma anche per reati minori, come piccoli furti.

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Spesso poi tra i condannati a morte vi sono i perseguitati per motivi politici e

religiosi, persone a volte colpevoli di soli reati di opinione, che non hanno usato

alcuna violenza.

Ci si aspetterebbe che, in un paese dove vige la pena di morte per determinati

reati, siano previste anche particolari garanzie, al fine di evitare di commettere errori

giudiziari purtroppo irrimediabili. E invece solo raramente è così. Alcuni processi

celebrati in Iran di recente sono durati solo pochi minuti, davanti ad un giudice non

indipendente (un’autorità religiosa) e si sono conclusi con una sentenza di morte

inappellabile eseguita quasi immediatamente.

Un terzo aspetto che riguarda la pena di morte in pratica, ovvero la pena di

morte effettivamente eseguita, è quello del metodo di uccisione. Sembra che non

esistano metodi indolori. E certamente non lo sono quelli attualmente utilizzati. Per

quanto riguarda la morte attraverso la sedia elettrica, sono noti negli Stati Uniti

diversi casi in cui sono state necessarie varie scosse prima che il detenuto morisse. E’

per questo motivo che l’esecuzione capitale, oltre a violare il diritto alla vita, è anche

una forma di tortura fisica.

I dati sulla pena di morte

La metà dei paesi del mondo ha abolito la pena di morte di diritto o di fatto.

Le informazioni più recenti possedute da Amnesty International mostrano che:

� 72 paesi hanno abolito la pena di morte per tutti i reati

� 13 paesi hanno abolito la pena di morte per tutti i reati tranne che per

quelli eccezionali e per quelli commessi in tempo di guerra

� 21 paesi si possono considerare abolizionisti di fatto: mantengono la

pena di morte ma non eseguono condanne a morte da più di dieci anni

In totale 106 paesi hanno abolito la pena di morte nella legge o nella pratica.

89 paesi mantengono la pena di morte, ma il numero di paesi che eseguono condanne

è sempre più esiguo ogni anno

Secondo i dati in possesso di Amnesty International, nell’anno 2000 almeno

1625 persone sono state giustiziate in 37 paesi e almeno 3899 persone sono state

condannate a morte in 78 paesi.

La pena di morte in Italia

In Italia tutti gli stati preunitari, ad eccezione della Toscana, prevedevano la

pena di morte, che nel 1889 fu abolita dall’ordinamento del Regno d’Italia con il

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codice Zanardelli. Reintrodotta dal fascismo per i più gravi delitti politici con le

Leggi Fascistissime nel 1926, e per quelli comuni nel 1930, fu definitivamente

sostituita dall’ergastolo con un decreto legislativo dell’agosto 1944,dopo la caduta

del fascismo. La Costituzione italiana, ribadendone all’articolo 27 il divieto e

riaffermando il principio secondo il quale le pene non possono consistere in

trattamenti contrari al senso dell’umanità e devono tendere alla rieducazione del

condannato, ha lasciato in vigore la pena di morte solo per i casi previsti dalla legge

militare. Anche questi casi sono però definitivamente caduti nel 1994.

Costituzione Italiana

Articolo 27, comm. 3 e 4

Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e

devono tendere alla rieducazione del condannato.

Non è ammessa la pena di morte.

Il dibattito sulla pena di morte: tesi a favore dell’abolizione e del

mantenimento

Il dibattito tra i sostenitori della pena di morte e gli abolizionisti è

relativamente recente. Per secoli il problema se fosse lecito condannare a morte un

detenuto non è stato neppure posto. Bisogna giungere all’illuminismo per trovarsi per

la prima volta di fronte a un dibattito su questo argomento. In particolare è stata

molto importante l’opera di Beccaria, “Dei delitti e delle pene”, dove egli sostiene la

tesi che la pena di morte non è utile (necessaria), in quanto non occorre che le pene

siano crudeli per fungere da deterrenti, l’importante è che siano certe.

Ma è solo dall’ultimo dopoguerra che la pena di morte è stata presa in

considerazione come eventuale violazione di diritti umani internazionalmente

tutelati.

In primo luogo se ne discute riguardo al diritto alla vita, ci si chiede cioè se la

pena di morte possa costituire o no un’eccezione a tale diritto. Essa, da questo punto

di vista, viene giustificata considerandola come una forma di legittima difesa dello

stato. Ma ha senso affermare che uno stato può agire in legittima difesa contro un

individuo? Da una parte lo stato, che detiene il monopolio della forza, ha a

disposizione pene alternative. Dall’altra, la pena di morte inflitta al termine di un

processo non è più una reazione immediata al crimine (come dovrebbe essere la

legittima difesa) ma un “omicidio legale premeditato”.

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Esiste poi una teoria utilitaristica della pena di morte, che fa riferimento al

suo poter deterrente. Ma in molti casi di omicidio o violenza (ovvero di reato spesso

commesso sotto l’effetto di droghe, alcool, o comunque in condizioni in cui

l’omicida manca di lucidità) sembra improbabile che l’assassino possa calcolare a

mente fredda le conseguenze del suo gesto. Nei casi invece in cui egli è in grado di

esaminare tutte le possibili conseguenze del crimine che intende commettere, è

probabile che ritenga di avere buone possibilità di non essere punito. In altre parole,

sembra confermata la tesi di Beccaria: è l’incertezza della pena e non la sua lievità a

far venir meno l’effetto dissuasivo.

Ma la tesi abolizionista della mancanza di deterrenza della pena di morte ha

un punto debole: se si potesse dimostrare che, in dato momento e in determinate

circostanze, la pena capitale ha avuto un effetto dissuasivo, l’intero argomento a

favore dell’abolizione verrebbe a cadere.

E’ per questo che gli abolizionisti fanno riferimento anche ad altri elementi,

come ad esempio il problema dei recidivi. Non c’è dubbio che l’esecuzione di una

sentenza di morte impedisca al condannato di commettere altri crimini, non è questo

il problema di cui si discute. La prima questione è piuttosto di sapere in che misura si

può stabilire se un detenuto commetterà ancora lo stesso crimine. Qui entra di nuovo

in gioco il problema dei mezzi alternativi a disposizione dello stato per impedire che

ciò accada. Diversi studi indicano la difficoltà estrema di fare previsioni a lungo

termine in fatto di recidiva. In conclusione, secondo i sostenitori della pena di morte,

questa rappresenta un modo certo per impedire che un criminale possa continuare a

mietere vittime. Per gli abolizionisti si tratta di un sistema di giustizia criticabile in

quanto si affida a provvedimenti irrevocabili sulla base di previsioni assai incerte.

Si discute della pena capitale anche sul piano etico, domandandosi se questa

sia “giusta” o no. Essa si giustifica, in questa prospettiva, come punizione

perfettamente corrispondente al crimine commesso. Ma i diritti fondamentali non

possono essere sottratti ad un individuo perché ha commesso un crimine, per quanto

crudele possa essere.

Questo argomento porta ad alcune considerazioni importanti. Esiste davvero

un sistema giudiziario in grado di stabilire con esattezza chi merita di morire, ovvero

chi merita una pena che ha il carattere drammatico dell’irreversibilità? Gli errori

sono purtroppo presenti in tutti i sistemi giudiziari, e un errore commesso sulla pena

capitale è l’unico a cui non si può porre rimedio.

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Un caso recente: Missione per Safyia

Safya Husseini è una donna nigeriana che ha avuto un figlio fuori dal

matrimonio, dopo il divorzio dal suo terzo marito e per questo, è stata condannata

ad essere sepolta nel terreno fino all'altezza del seno e ad essere lapidata dai suoi

concittadini. La sua storia mescola stupro, intrighi amorosi e leggi ingiuste. Il

cugino del suo ex marito, dopo il divorzio, l’ha corteggiata a lungo e, in seguito al

suo rifiuto, l’ha stuprata. A Safyia però non è mai stata data la possibilità di

dimostrarlo. Il suo crimine, l’avere avuto un bambino fuori dal matrimonio, è

considerato gravissimo dalla Sharia, la legge islamica. Ma non prevede sempre una

punizione così crudele: se Safyia non fosse stata sposata prima, se la sarebbe cavata

“soltanto” con 100 frustate. Attorno alla donna è scattato un movimento di

solidarietà che ha coinvolto le maggiori associazioni umanitarie del mondo e che ha

spinto il presidente della Nigeria a intervenire affinchè a Safyia fosse concesso di

difendersi in appello. La sentenza di colpevolezza è stata così annullata e ora Safya

può vivere e far crescere la sua bambina.

L’INFANZIA VIOLATA:

I BAMBINI NEI CONFLITTI ARMATI

Non esiste aspetto della vita di un bambino che non sia sconvolto dalla

guerra. I conflitti armati mettono in pericolo la loro vita non solo per il rischio di

essere coinvolti in azioni militari, ma anche per alcune inevitabili conseguenze della

guerra, come ad esempio la mancanza di derrate alimentari, di acqua potabile e di

assistenza medico-sanitaria. Ma anche quando non ne mette in pericolo la vita, la

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guerra interferisce ugualmente con lo sviluppo dei minori: la disintegrazione delle

comunità li priva di radici sociali e culturali, la distruzione della struttura familiare fa

mancare loro stabilità emotiva. La guerra mette anche in pericolo in futuro dei

bambini. La chiusura delle scuole e l’impossibilità di accedere a un’istruzione di base

pregiudica la vita dei minori, che senza un’alfabetizzazione adeguata o una

preparazione professionale saranno condannati a una vita di lavori sottopagati e

quindi di povertà.

Crisi dei servizi medici

In diretta violazione delle leggi umanitarie, nella maggior parte delle guerre,

molte strutture sanitarie sono attaccate e distrutte. Lo stesso personale medico è

oggetto di aggressioni e intimidazioni. Inoltre gli ospedali, anche se funzionanti,

mancano spesso di adeguate scorte mediche sia per la difficoltà di reperimento, sia

perché i fondi a esse destinati sono invece impiegati nell’industria bellica. Bisogna

anche tener conto che molti conflitti avvengono in paesi dove, anche in tempo di

pace, il sistema sanitari è carente.

Malnutrizione

Una conseguenza della guerra è anche la diminuzione delle scorte alimentari.

Questo può essere dovuto al fatto che i contadini, per paura di essere coinvolti nel

conflitto, abbandonano i campi facendo così diminuire la produzione agricola. Un

altro motivo è la difficoltà, in tempo di guerra, di reperire sementi e attrezzi agricoli e

soprattutto i problemi negli spostamenti, per cui i coltivatori non possono portare i

prodotti al mercato per venderli. Non di rado poi, per mettere in crisi un paese, le

zone coltivate vengono disseminate di mine e diventano così inutilizzabili.

Quale che sia la causa, la diminuzione delle risorse alimentari colpisce

soprattutto i minori e provoca varie forme di malnutrizione.

L’istruzione

Durante una guerra l’istruzione può essere difficile, se non impossibile.

Anche le scuole infatti, come gli ospedali, possono essere bersaglio di attacchi e

saccheggi. Spesso, se non vengono distrutte, le scuole sono utilizzate come rifugio

per gli sfollati. Inoltre gli insegnanti stessi possono diventare bersaglio di attacchi,

perché sono personaggi di spicco di una comunità, sono coloro che devono

trasmettere la cultura di un popolo che si vuole sterminare.

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La distruzione del sistema educativo ha effetti molto gravi non solo per il

bambino, ma anche per il futuro di una nazione appena uscita dalla guerra. Essa

infatti priva il paese di risorse umane indispensabili alla ricostruzione e a un rapido

recupero economico e sociale.

IL PROBLEMA DELLE MINE

Le mine anti-uomo, usate su vasta scala fin dalla prima guerra mondiale, sono

dispositivi predisposti per uccidere e ferire chiunque entri in loro contatto attraverso

un innesco che può essere un interruttore o un filo. Possono rimanere attive anche per

50 anni, in campi privi di alcuna segnalazione. Restano nascoste nel terreno o nella

vegetazione finchè la mano di un bambino o il passo di un contadino casualmente

non le urtano. Sono un'arma di guerra, ma è soprattutto la popolazione civile a

pagarne il prezzo in tempo di pace.

Saddam Hussein, nel 1991, quando le sue truppe furono costrette a ritirarsi

dal Kurdistan, disse: “Ci siamo spostati, ma il nostro esercito è ancora lì”

Alcuni dati riguardo le mine:

� 119 milioni sono le mine attive in 71 paesi, per lo più paesi in via di

sviluppo

� c’è una mina ogni 48 abitanti del pianeta e una ogni 16 bambini

� 200 milioni sono le mine immagazzinate in 108 paesi

� una vittima ogni 20 minuti

� nel 90% dei casi le vittime sono civili

� nel 20% dei casi le vittime sono bambini

� 2000 è il numero delle vittime ogni mese.

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Uno dei tanti modelli di mine anti-uomo prodotte nel mondo

L’Italia e le mine

A partire dal 1970 il nostro paese è diventato il maggior produttore ed

esportatore al mondo di mine. Finalmente, il 19 novembre 1987, il Parlamento

italiano ha approvato la legge 374/97 per la messa al bando delle mine, definendo

come mina “ogni dispositivo o ordigno dislocabile sopra, sotto, all’interno o

accanto a una qualsiasi superficie, adattato in modo tale da esplodere, causare

un’esplosione o rilasciare sostanze dannose come conseguenza della presenza, della

prossimità o del contatto con la persona”.

Lo sminamento umanitario

Lo sminamento è una condizione essenziale per il ritorno delle popolazioni

alla pace e per la ripresa dello sviluppo economico. E’ un’operazione mirata alla

sicurezza della popolazione civile e si definisce pertanto sminamento umanitario.

Per attuarlo sono stati sperimentati vari metodi, ma sembra che il metodo più efficace

sia comunque uno scrupoloso sminamento manuale. Oltre all’intervento di bonifica

dei terreni disseminati di mine, è necessario informare sensibilizzare la popolazione

del luogo affinchè vengano adottate tutte le precauzioni possibili per evitare

incidenti.

I programmi di sensibilizzazione e i bambini

Nei paesi inquinati dalle mine i bambini devono imparare a convivere con la

dura realtà che il terreno attorno a loro nasconde insidiosi ordigni che possono

esplodere da un momento all’altro. L’obiettivo dei progetti educativi è proprio quello

di ridurre il rischio di morte o di ferimento dei bambini, che devono, quindi, essere

messi in grado di riconoscere eventuali oggetti pericolosi e di capire cosa succede

quando ci camminano sopra, li toccano e ci giocano. Lavorare con i bambini in

questo senso non è facile, si corre il rischio di turbare un equilibrio psicologico già

compromesso e quindi occorre un’attenzione particolare per mantenere un contatto

con la realtà e non minimizzare il rischio pur conservando un atteggiamento positivo.

Un progetto interessante è quello dell’associazione Save the Children, che ha

organizzato a Kabul incontri nei centri sanitari e nelle moschee, utilizzando materiali

didattici adatti ai bambini e metodologie informali, come le attività di gioco, che

consentivano ai bambini di adattarsi a vivere in un territorio minato. Persone colpite

da mine hanno portato la loro esperienza, per far capire ai bambini quanto è

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pericolosa una mina e che anche una persona resa disabile può essere un membro

attivo e produttivo della società. Al fine di raggiungere un maggior numero di

bambini, sono stati formati volontari locali addetti a diffondere queste informazioni.

UN’AIUTO ALLE VITTIME DELLA GUERRA: EMERGENCY

Emergency nasce a Milano nel 1994 per prestare assistenza chirurgica

specializzata alle vittime della guerra e delle mine anti-uomo, intervenendo durante il

conflitto e nell’immediato periodo post-bellico. Emergency decide i suoi interventi

basandosi su due criteri di selezione dei Paesi: l’effettivo bisogno della popolazione

di assistenza medico- chirurgica e la scarsità o la mancanza di altri interventi

umanitari analoghi nel paese. Questi sono i motivi che hanno portato Emergency in

Iraq, Cambogia, Kurdistan, Afghanistan, e Sierra Leone, dove sono stati allestiti

centri chirurgici e di riabilitazione.

L’intervento di Emergency viene sempre concordato con le autorità locali e,

dove il paese è diviso da un conflitto interno, Emegency è presente su entrambi i

fronti, per poter garantire assistenza a tutte le vittime del conflitto.

I centri di Emergency sono luoghi neutrali, che appartengono alla

popolazione senza alcuna discriminazione politica, ideologica o religiosa, e prestano

assistenza gratuita a tutti i pazienti.

Sono centri altamente qualificati, gestiti da un team internazionale di

Emergency, che, nel contempo, si occupa di formare e preparare il personale locale,

che sarà così in grado di continuare la gestione del Centro quando Emergency lascerà

il paese.

Gino Strada, uno dei fondatori di Emergency

e chirurgo attivo nei centri di Emergency nel mondo

Storia di Soran e Felah

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Sì è alzato una mattina dello scorso febbraio, con i gesti e i movimenti di

sempre. Se ne è andato a fare quello che faceva sempre, che per un bambino di

dodici anni significa giocare.

In ospedale, quand’è arrivato gli hanno fatto domande sul suo nome,

com’era la mina, se l’aveva vista, che cosa ricordava… Soran ha risposto come

poteva, per quel che ricordava, anche perché sentiva un gran dolore, una grande

spossatezza.

Al risveglio, dopo l’intervento, ha saputo con certezza che per tutte le altre

mattine della sua vita non si sarebbe alzato nello stesso modo, con gli stessi

movimenti. Una parte della sua gamba destra non c’era più.

Il suo corpo, le sue possibilità, i suoi sogni, l’idea che aveva di sé e del suo

futuro, lui stesso erano un’altra cosa, per sempre.

Nei primi giorni in ospedale la naturale voglia di vivere, la capacità

d’adattamento suggerita da questi incidenti e mutilazioni, lo facevano apparire

allegro. E davvero lo era, a volte. In altri momenti lo sconforto era troppo grande

per essere vinto o nascosto.

Il pensiero dei molti mutilati e amputati che Soran conosce è anche il

pensiero di solitudini immobili, di abbandono, di miserie.

Ha inventato un giorno d’avere mal di testa. Poi ha spiegato che non voleva

uscire dalla stanza, non voleva incontrare i “fortunati” feriti alla testa o

all’addome, che, con la vista compromessa o qualche metro di intestino in meno,

torneranno a casa sembrando quel che erano prima.

Come Soran il suo compagno e vicino di letto Felah: stessi dodici anni,

stessa amputazione alla gamba destra, stesso incidente negli stessi giorni, quasi

certamente lo stesso modello di mina.

Come Soran e Felah moltissimi altri, in un catalogo interminabile di

sconfinate sofferenze e di esistenze offese.

Un elenco troppo assurdo perché possa continuare. Soran, come Felah e

altri, è stato in qualche modo fortunato: non è un numero ma un nome in questo

elenco, non è stato abbandonato, perché contro il destino gli è stata proposta una

speranza.

Nemmeno due mesi dopo essere stato colpito da una mina, qualche settimana

dopo i giorni dello sconforto è della disperazione, Soran ha avuto una protesi, è

tornato a camminare, a sorridere, a giocare.

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E’ troppo bello perché non si ripeta.

PARTE TERZA

L’ARTE E LA LETTERATURA PER I DIRITTI UMANI

STORIA DELL’ARTE: GUERNICA DI P. PICASSO

L’immagine:

Pablo Picasso, Guernica; 1937, tempera su tela, m. 3,51x7,82, Madrid, Museo

del Prado

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Il commento all’opera:

Guernica, la più antica delle città basche, fu completamente distrutta da un

bombardamento tedesco il 26 aprile 1937, durante la guerra civile spagnola.

Picasso, con la sua opera si è incaricato di ricordare al mondo, per sempre,

questo terribile episodio, che altrimenti sarebbe stato dimenticato dal mondo al

termine della guerra.

“Guernica”, che già nelle sue dimensioni denuncia la propria funzione di

“manifesto” ideologico e politico, realizzato per essere osservato da più persone

possibile, rappresenta la sintesi di tutta l’arte picassiana.

L’ambientazione è contemporaneamente interna (come si può vedere dal

lampadario appeso in alto, quasi al centro del dipinto) ed esterna (lo vediamo

dall’edificio in fiamme all’estrema destra). Questa contemporaneità di visione non è

solo cubista, ma vuole rendere con violento realismo la tragedia del bombardamento,

che, all’improvviso, sventra e distrugge interi palazzi scaraventando all’esterno

anche gli oggetti più intimi di ogni famiglia. In questo spazio caotico e

indifferenziato, uomini, donne e animali fuggono e urlano come impazziti,

sovrapponendosi e incastrandosi gli uni sugli altri accomunati dallo stesso dolore e

dalla stessa violenza.

Quest’opera è stata realizzata per evocare l’orrore di tutte le guerre.

L’episodio brutale della carneficina per bombardamento aereo è lucidamente

sintetizzato da alcune figure fortemente espressive: all’estrema sinistra una madre

lancia al cielo il suo grido straziante mentre stringe fra le braccia il figlio morto.

L’artista l’aveva precedentemente immaginata nell’atto di scendere una scala che

crolla. L’immagine si precisa poi con l’enorme testa rovesciata, la bocca aperta in un

grido di dolore dalla quale esce la lingua appuntita. Dall’altro lato del dipinto le fa

eco l’urlo disperato di un altro personaggio che alza le mani al cielo. Al centro un

cavallo ferito, simbolo del popolo spagnolo, nitrisce per il dolore con la lingua

appuntita fuori dalla bocca.

Ovunque sono morte e distruzione, sottolineate da un disegno duro e quasi

tagliente, che rende anche i raggi del lampadario come altrettante lame acuminate.

Chi può cerca di fuggire, come la donna che, dall’angolo inferiore destro, si slancia

diagonalmente verso il toro, simbolo di violenza e bestialità, all’angolo superiore

sinistro. Un’altra donna si affaccia alla finestra reggendo una lampada a petrolio,

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simbolo della trasgressione alla quale la guerra inevitabilmente conduce. Al suolo,

tra le macerie, si assiste all’orrore dei cadaveri straziati. A sinistra sta una mano

protesa, con la linea della vita simbolicamente spezzata in minuscoli segmenti.

Esattamente al centro del dipinto un’altra mano serra ancora una spada spezzata,

sullo sfondo un fiore intatto, simbolo della vita e della ragionevolezza che,

nonostante tutto avrà comunque la meglio sulla morte e sulle barbarie. Le bocche

digrignate rivolte al cielo urlano dolore e vendetta e il brusco alternarsi di luci e

ombre, bianche e nere, sottolinea il sinistro susseguirsi delle esplosioni e

l’improvviso divampare degli incendi.

In “Guernica” non c’è colore, solo nero, bianco e grigio. Tutto è chiaro, le

linee disegnano con precisione i piani destinati a colmarsi di colore, ma il colore non

c’è.

Anche il rilievo è assente. Colore e rilievo sono due qualità con cui la realtà si

fa percepire, si fa conoscere. Eliminare il colore e il rilievo serve a tagliare il

rapporto dell’uomo col mondo, tagliandolo non c’è più la natura o la vita.

In seguito Picasso continuò a produrre, di notte, variabili dell’opera; qualche

volta consultava anche degli amici per alcuni particolari del dipinto. Uno di questi

amici ha raccontato che spesso queste consultazioni riguardavano dei brandelli di

carta colorata che Picasso applicava alla tela durante la notte, per vederne l’effetto il

giorno dopo. Attaccò e stacco una lacrima rossa dagli occhi del toro varie volte, ma

alla fine tolse anche quella e lasciò tutto in bianco e nero. Il frutto di un mese di

lavoro fu questo dipinto straordinario, pieno di figure austere, sconvolte,

enigmatiche.

Commento personale

Ho scelto quest’opera di Picasso come simbolo artistico della violazione dei

diritti umani per la sua drammatica attualità.

Essa fu dipinta nel 1937, prima della seconda guerra mondiale, ma ricalca

perfettamente anche la situazione odierna in diverse aree del mondo.

L’uomo steso a terra, morto, con una spada in mano, mi ricorda tutti coloro

che lottano, fino alla fine, per la libertà dall’oppressione. La donna a sinistra, col

cadavere del suo bambino fra le mani, potrebbe essere benissimo una donna Serba,

Afghana, Palestinese, che stringe tra le braccia il figlio morto per aver pestato una

mina, o semplicemente perché è ebreo, cattolico, musulmano. Allo stesso modo, le

persone in fuga sulla destra richiamano la tragica realtà dei milioni di rifugiati che ci

sono oggi nel mondo.

Dallo studio per “Guernica”:

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Schizzi dell’autore prima di completare l’opera

ENGLISH LITERATURE: “1984” BY GEORGE ORWELL

Anti-utopian novel:

1984 is an anti-utopian novel. An anti-utopian novel is the reverse of a

conventional utopian novel and it tries to promote the creation of a better society by

presenting a negative society as hideous. It also tends to exaggerate tendencies

already present in a society and to present a terrible vision of the future.

1984 was written in 1948, the same year of the Universal declaration of

human rights.

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The title of this book simbolically suggests the idea that the year 1948

conteined in itself the germs of 1984.

Plot:

The plot can be divided into three parts.

The first part presents the situation of the world in 1984, a totalitarian world

ruled by a cruel dictator named Big Brother, where the Party tries to control

everythings, even thought and emotions, by using telescreen, videocameras, and

especially by the thought-police. In this part Winston Smith, the main carachter,

develops his first unorthodox minds.

The second part of the book tells the story of his sexual relationship with

Julia. For a short time they create a small world of feelings for themself, a room

without telescreen (this is what they thinked), but they are betrayed. O’Brien, a man

who pretends to be Winston’s friend, is in fact a member of the party and he

denunces them.

The third part is about Winstons punishment. Finally he comes to love Big

Brother

Setting:

This novel is setted in London, Thas is part of a big empire named Oceania,

one of three empires that controls the world in 1984. Oceania is dominated by the

dictatorship of Big Brother, a cruel and mysterious leader whose face invadec every

street or house, but whom nobody has ever seen in person.

Themes:

The most important theme is the political one. The story enact the useless

rebellion of the individual against the power. Not only the Party tries to destroy him

phisically, but it deprive him of his dignity and at the end he is a puppet, not a man.

The second theme is man’s need and inability to communicate. Winston first

starts to write a diary, then he finds a form of communication in the relationship whit

Julia. Then he tries to communicate at an intellectual level with O’Brien, but he is, in

fact, a member of the Inner Party.

The last theme is the drabness of a world in which art, pleasure and love are

canalized towards pre-established aims.

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Winston’s punishment:

In the part of the novel regarding Winston’s punishment he is in a cell in what

he presumes is the Ministry of Love.

O’Brien comes in. Winston thinks that the Party must have got him too, but

O’Brien says that he is a member if the Party. Winston is tied down to a sort of bed,

O’Brien stands beside the bed. His aim is to teach Winston the ttechnique of

doublethink (it is a kind of manipulation of the mind. It makes people accept

contraddiction and it also makes them believe that the Party always says the trouth).

O’Brien does it by inflicting pain in ever-increasing intensity.

He holds up four figers and he asks Winston how many there are. Winston

answers four a couple of time and the pain increases. At the end he really sees five

figers, if O’Brien says that they are five. Now he is ready for the second part of his

integration (1. Learning 2. Understanding 3. Acceptance).

O’Brien explains why the Party works.The image he gives of the future is that

of a boot stamping on a human face forever.

Then O’Brien gets Winston to look at himself in the mirror, and Winston is

horrified by himself: the torture has changed him into a shapeless and batterd wreck.

The only degradetion that he has not been trough, is that he has not betrayed Julia.

For some time he has not been tortured, he has been fed and allowed to wash.

He realises that he now accepts all the lies of the Party. But sometimes he has

some unorthodox thoughts that he cannot suppress.

Now it is time for the third part of his punishment: reintegration. Winston is

taken to room 101. Room 101 is the worst thing for every one: for Winston it is rats.

O’Brien is coming nearer with a cage of rats and he starts to open the cage.

Winstons screams. The only way to get out of this is to put someone else between

him and the rats. He finally screams “Do it to Julia !”. He has betrayed his love and

himself too. HE NOW LOVES BIG BROTHER!

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O’Brien and Winston Smith in a torture scene from the film “1984”

Estract from 1984:

( O’Brien is using electric shocks to torture Winstons)

“It is impossible to see reality except by looking through the eyes of the

Party. That is the facts that you have got to re-learn, Winston. It needs an act of self-

destruction, an effort of the will. You must humble yourself before you can become

sane”

He paused for a few moments, as though to allow what he had been saying to

sink in.

“Do you remember” he went on “writing in your diary that freedom is the

freedom to say that two plus two makes four?”

“Yes” said Winston.

O’Brien held up his left hand, its back towards Winston, with the thumb

hidden and the four fingers extended.

“How many fingers I am holding up, Winston?”

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“Four”

“And if the Party says that it is not four but five, then how many?”

“Four”

The word ended in a gasp of pain. The needle of the dial had shot up to fifty-

five. The sweat had sprung out all over Winston’s body. The air tore into his lungs

and issued again in deep groans which even by clenching his teeth he could not stop.

O’brien watched him, the four fingers still extended. He drew back the lever. This

time the pain was only slightly eased.

“How many fingers Winston?”

“Four”

The needle went up to sixty.

“How many fingers Winston?”

“Four! Four! What else can I say? Four!”

The needle must have risen again, but he did not look at it. The heavy, stern

face and the four fingers filled his vision. The fingers stood up before his eyes like

pillars, enormous, blurry, and seeming to vibrate, but unmistakably four.

“How many fingers Winston?”

“Four! Stop it! Stop it! How can you go on? Four! Four!”

“how many fingers Winston?”

“Five! Five! Five!”

“No, Winston, that is no use. You are lying. You still think that are four. How

many fingers, please?”

“Four! Five! Four! Anything you like. Only stop it, stop the pain!”

“Again” said O’Brien. The pain flowed into Winston’s body. The needle must

be at seventy, seventy-five. He had shut his eyes this time. He knew that the fingers

were still there, and still four. All that mattered was somehow to stay alive until the

spasm was over. He had ceased to notice whether he was crying out or not. The pain

lessened again. He opened his eyes. O’Brien had drawn back the lever.

“How many fingers Winston?”

“Four. I suppose there are four. Iwould see five if I could. I am trying to see

five”

“Which do you wish? To persuade me that you see five, or really to see

them?”

“Really to see them”

“Again” said O’Brien.

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Perhaps the needle was eighty-nineghty. Winston could only intermittently

remember why the pain was happening. Behind his screwed-up eyelids a forest of

fingers seemed to be moving in a sort of dance, weaving in and out, disappearing

behind one another and reappearing again. He was trying to count them, he could

not remember why. He knew only that it was impossible to count them, and it was

somehow due to the mysterious identity between five and four. The pain died down

again. When he opened his eyes it was to find that he was still seeing the same thing.

Innumerable fingers, like moving trees, were still streaming past in either direction,

crossing and recrossing. He shut his eyes again.

“How many fingers I am holding up Winston?”

“I don’t know. I don’t know. You will kill me if you do that again. Four, five,

six. In all honesty, I don’t know”

“Better” said O’Brien.

LETTERATURA ITALIANA

SE QUESTO E’ UN UOMO DI PRIMO LEVI

Sui campi di sterminio nazisti esiste una nutrita letteratura. In particolare sul

Lager di Auschwitz.

Se questo è un uomo, scritto nel 1947, è un documento il più sincero

possibile, è un’analisi fondamentale della storia e della composizione del lager,

ovvero dell’umiliazione, dell’offesa, della degradazione dell’uomo, prima ancora

della sua soppressione nello sterminio di massa.

Chimico torinese, datosi alla macchia dopo l’8 settembre, Levi fu catturato

dalla milizia fascista alla fine del 1943. Essendo ebreo, oltre che partigiano, fu

consegnato ai nazisti che lo deportarono ad Aushwitz. La sua fortuna fu che nel 1944

il governo tedesco, data la crescente scarsità di manodopera, stabili’ di prolungare la

vita media dei prigionieri da eliminare. La sua laurea in chimica fece il resto: non gli

risparmiò orrore, fatica, miseria, ma gli consenti’ a un certo punto di disporre di una

matita e di un quaderno e di qualche ora di solitudine per ripassare i metodi analitici.

Gli orrori del Lager non lo abbandoneranno mai fino alla morte, quando si

suicidò nel 1987.

L’inutile violenza

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L’autore mette in luce come quasi sempre la violenza abbia degli scopi,

magari terribili come quello della morte, dell’assassinio, delle guerre.

Nei lager invece venivano attuale forme di violenza inutile, quasi sempre tesa

cioè solo a produrre sofferenza nei prigionieri: il nemico non solo doveva morire, ma

morire nel tormento.

Vengono quindi analizzati gli aspetti più tragici dell’esperienza violenta dei

Lager:

���� Il treno , che portava verso l’ignoto

���� Un carro merci, piombato, sovraffollato spesso all’inverosimile,

completamente “nudo” (né viveri, né acqua, né coperte, né latrine). Era sul treno che

iniziava la trasformazione da esseri umani in animali, partendo dall’offesa al pudore

e dalla costrizione escrementizia.

���� La nudità che li faceva sentire senza difesa “come un lombrico,

nudo, lento, ignobile, prono al suolo, pronto per essere schiacciato”.

���� La mancanza di un cucchiaio, che obbligava a “lappare la zuppa

come i cani”.

���� L’appello , conteggio laborioso e complicato che avveniva con

qualsiasi condizione di tempo all’aperto, durava ore e vi dovevano partecipare anche

i feriti e i morti.

���� Il tatuaggio, numero di matricola dei prigionieri tatuato

sull’avambraccio sinistro; operazione poco dolorosa, ma traumatica: il marchio che si

imprime algi schiavi e agli animali destinati al macello.

���� Il lavoro , usato con lo scopo di umiliare.

� Gli esperimenti medici, sperimentazione di nuovi preparati su cavie

umane, torture insensate, oltraggio persino delle spoglie umane dopo la morte.

La comunicazione

Nei Lager una sofferenza terribile è data dall’impossibilità di comunicare con

il mondo esterno (parenti, amici..), ma neppure col mondo in cui si vive. I linguaggi

diversi causano smarrimento, incomprensioni, sofferenze e umiliazioni specialmente

ai nuovi arrivati che non capiscono neppure gli ordini e vengono annientati; si

capisce il significato delle comunicazioni solo dai gesti e dal tono della voce

aggressivi (urla, spinte, botte..). Così ci si disorienta, si diventa individualisti, “isole”.

La ribellione e la fuga

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Uno degli ultimi capitoli del testo vuole sfatare alcuni stereotipi, che

dimostrano come chi non c’era tenda a semplificare e a non capire fino in fondo.

Levi infatti risponde alle domande che spesso gli vengono rivolte fino ai suoi ultimi

anni di vita: perché non siete fuggiti? perché non vi siete ribellati?

L’autore fa osservare che i prigionieri erano ridotti talmente male da non

avere più alcuna forza; erano circondati da compagni assuefatti a tutto, da spie; non

avevano armi o strumenti; una volta fuori, non avrebbero saputo dove cercare rifugio

(tante volte i prigionieri non sapevano neppure dove si trovavano).

I tentativi di ribellione e di fuga ci sono stati (persino da parte dell’ultima

squadra speciale), ma erano tentativi quasi folli, destinati a fallire e a cui seguivano

terribili punizioni e rappresaglie. Ecco nella maggior parte dei casi si rinunciava e si

moriva prima con la mente e poi con il corpo.

L’ignoranza voluta

Quando cominciarono a diffondersi le notizie riguardanti le infamie dei

Lager, il pubblico le rifiutava, diceva che non potevano essere vere, perché erano

troppo mostruose (atteggiamento che del resto era stato previsto dallo stesso sistema

nazista).

Alla fine della guerra sono state soppresse o si è cercato di sopprimere le

prove

dei campi di concentramento (si è persino cercato di far sparire i cadaveri),

ma sono rimaste rovine e testimonianze.

Del resto già prima c’erano stati molti segnali che avrebbero dovuto far

sorgere dei dubbi anche nei civili; i Lager specialmente negli ultimi anni di guerra,

avevano stretti rapporti con la vita quotidiana del paese (fornivano mano d’opera

gratuita ad aziende agricole, ad industrie grandi e piccole, a fabbriche di armamenti;

altre industrie guadagnavano procurando materiale ai Lager stessi). E’ impossibile

pensare che nessuno degli operai di certe fabbriche non si domandasse come mai era

così aumentata l’ordinazione dei forni crematori o del gas velenoso, acido cianidrico,

che prima di allora veniva richiesto ed utilizzato per la disinfestazione delle stive

delle navi!

Sicuramente i dubbi sono sorti, ma venivano soffocati per motivi molto

diversi fra loro: per paura, per desiderio di guadagno, per stupidità, per adescamento

ideologico, per fanatica obbedienza. Così si fingeva di non sapere, di non conoscere

il dramma che si stava svolgendo per milioni di persone. Levi dice che la cosa

peggiore è stata proprio la “viltà entrata nel costume”.

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Il messaggio dell’autore

Nella conclusione del libro l’autore trasmette in modo esplicito dei messaggi

chiari, rivolti in modo particolare ai giovani della nuova generazione affinché

tengano presente l’esperienza del passato per affrontare con più certezza il futuro:

E’ importante che i testimoni continuino a raccontare la loro tragica

esperienza per far conoscere gli eventi terribili del nazismo ai giovani e per far capire

loro come quegli eventi siano avvenuti inaspettatamente, contro ogni previsione:

incredibilmente un intero popolo civile ha seguito un pazzo come Hitler, l’ha

obbedito e osannato fino alla catastrofe.

Può accadere ancora e dappertutto; ci sono nella nostra società dei segni

preoccupanti: attentati kamikaze, massacri, conflitti etnici.

Occorre affinare i nostri sensi e diffidare dai profeti, dagli incantatori, da

quelli che scrivono e dicono belle parole non sostenute da buone ragioni.

Non esistono problemi che non possano essere risolti intorno a un tavolo,

purché ci sia volontà buona e fiducia reciproca.

L’esempio Hitleriano ha dimostrato in quale misura sia devastante una guerra

combattuta nell’era industriale, anche senza che si faccia ricorso alle armi nucleari.

Non è accettabile la teoria della violenza preventiva: dalla violenza non nasce

che violenza.

CONCLUSIONE

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Vorrei concludere la mia tesina con un brano preso dal sito ufficiale di

Amnesty International, che mi sembra, oltre che molto bello, significativo:

Sei miliardi di persone vivono sul nostro pianeta. Un pianeta così ricco e

differente, un pianeta che ha permesso la sopravvivenza di miliardi e miliardi di

esseri umani per migliaia di anni. Per alcuni è stata una vita di agi e ricchezze, per

molti è trascorsa nella povertà. Per alcuni è stata un’esistenza lunga ed appagante,

per altri è stata breve e talvolta brutale. Non la natura, ma alcuni esseri umani sono

stati causa di schiavitù, sofferenza e privazioni di altri esseri umani. Purtroppo

questo accade ancora oggi.

Il 10 dicembre 1948, 54 anni fa, i capi di 59 nazioni indipendenti

concordarono un codice di condotta che descriveva gli eguali diritti e doveri di tutti

gli esseri umani e affidava in primo luogo ai governi la promozione e la protezione

di quei diritti.

A che punto siamo oggi? 1,3 miliardi di persone sopravvivono con meno di

un dollaro al giorno, 35000 bambini muoiono quotidianamente di malnutrizione e

malattie prevenibili, parole che credevamo scomparse dal nostro vocabolario

tormentano tutti i giorni la nostra coscienza: genocidio, pulizia etnica, stupri

collettivi. L’orribile volto dei conflitti armati domina la realtà di centinaia di milioni

di persone in 30 paesi. Nella maggior parte di queste guerre il nemico non è

necessariamente un combattente armato ma, piuttosto, “l’altro”. Quello con una

fede diversa o di un’etnia diversa: l’approccio consiste innanzitutto nel

disumanizzare il nemico, cosicchè non possa ricorrere al linguaggio dei diritti,

perché i diritti appartengono agli esseri umani. Poi “stanare per distruggere”. In

alcune società “pacifiche” la stessa logica viene sempre più spesso applicata nei

confronti degli immigrati provenienti da nazioni più povere.

Mentre il linguaggio dei diritti ha fatto considerevoli passi avanti, mentre il

sistema del monitoraggio internazionale dei diritti umani comprende tutti gli stati e

copre aree sempre più vaste, mentre la coscienza popolare e la richiesta di diritti e

obblighi permeano quasi tutte le società, le violazioni delle leggi internazionali sui

diritti umani proseguono implacabilmente.

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Ma la protezione e la promozione dei diritti umani non sono soltanto un

imperativo morale. Esse sono, come affermato esplicitamente nella Dichiarazione

Universale dei Diritti Umani, le basi della libertà, della giustizia, della pace.

Nel 1948 una rivoluzione silenziosa iniziò con un manifesto chiamato

Dichiarazione Universale dei Diritti Umani. Con la Dichiarazione stiamo andando

nella giusta direzione: tutto quello che dobbiamo fare, adesso, è continuare a

camminare

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