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Page 1: L'arte del formaggio ieri e oggi L'arte del formaggio ieri e oggi

ORGANO DI INFORMAZIONE DELLA ORGANIZZAZIONE NAZIONALE ASSAGGIATORI DI FORMAGGI

Toscana, le vocidel formaggio

Filosofia Onaf:l’imperatore dei sensi

Quel matrimonio fra formaggi e tè

Val d’Aosta, Fontinae i suoi fratelli

Sicilia, Pecorino che vinceSicilia, Pecorino che vince

L’arte del formaggioieri e oggiCosì è cambiata la tecnologia nei caseifici

L’arte del formaggioieri e oggiCosì è cambiata la tecnologia nei caseifici

InformaMagazine di cultura casearia

dal mondo dei formaggi

3MARZO 2013

euro 7ISSN 2281-5120

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In merito alla caseificazione di valle che stavivendo momenti non proprio felici,occorre una premessa offerta dai numeri.

Il comparto lattiero caseario trasforma 4,7miliardi di euro a livello nazionale, in formag-gi italiani. La produzione nazionale di for-maggio supera le 1.150.000 tonnellate. Solola produzione delle Dop vuole dire 460.000tonnellate. L’incidenza del prodotto di alpeg-gio del nord, Piemonte, Lombardia e Venetosupera di poco l’1% della produzione del-l’area. Il formaggio di alpeggio con 90 giornidi produzione l’anno può sembrare l’isolache non c’è, non crea forti interessi istituzio-nali, non ottiene investimenti, è consideratoalla stregua di un’antica moda, statisticamen-te neppure conosciutissima. In effetti partendo dalla considerazione cheil futuro dell’economia montana è inscindibi-le dal formaggio che ne è il prodotto piùsignificativo e legato alle tradizioni degli avi,l’Onaf si è sempre fatta portavoce della“diversità” garantita dai formaggi di alpeg-gio. La carta vincente dei formaggi di montagnaè l’insostituibile differenza dei sapori.Concetto chiave e non banale in difesa diproduzioni che sovente, se pur spacciateper montane, portano nel piatto gusti globa-lizzati e semi-eguali. La forza del formaggiodi alpeggio sta nelle emozioni che suscita alpalato, che possono provocare richieste edattenzioni ed essere trainanti per tutto il

comparto. Difesa che può però avere sensosolo se ci saranno concrete opportunità pertrasformare il lavoro di oramai pochi pro-duttori in possibilità di vita più facile emeglio riconosciuta.Ma la domanda è sempre questa: importa aqualcuno della montagna italiana, dellagente che ci vive e lavora? Io credo sincera-mente di no. La montagna va anche gover-nata. Le più alte istituzioni sembra abbianodeciso di abbandonarla. Rimangono i picco-li comuni a sostenere le produzioni localima sono già nel mirino del legislatore.Questo nonostante la montagna produca il16,70% del Pil nazionale e viva in montagnaun quinto della popolazione italiana. La veri-tà è che la montagna è solo dei nostalgicimontanari come noi con la loro opera, i lorosilenzi e i loro valori che stridono in unmondo dove tutto deve essere facile e tuttoapparire. Non c’è gossip in montagna,soprattutto non ci sono voti.Ricordo ancora il workshop nazionale aSaint-Vincent il 4 dicembre 2010. MarioCatania, l’allora Capo dipartimento dellePolitiche Europee ed Internazionali delMipaaf ora ministro, domani sicuramenteparlamentare disse: “La montagna, se cisaranno ancora le condizioni, dovrà semprepiù promuovere l’eccellenza”.Evidentemente le condizioni non ci sonoquasi più.Teniamoci InForma.

di PIER CARLO ADAMIPresidente Onaf

Importa a qualcuno

della montagnaitaliana,

della gente checi vive e lavora?

Io credosinceramente

di no

L’EDITORIALE

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Montagna lasciata sola

Alpeggio sopra Chianale,

in Alta Valle Varaita (Cuneo)L’Onaf

si è sempre fattaportavoce

della “diversità” garantita

dai formaggi di alpeggio

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Sommario

Conforta sapere che lescaffalature di parmigia-no crollate con il sisma

che colpì l’Emilia lo scorsomaggio sono rinate. Pubblicatesul numero 1 del nostro maga-zine, le scaffalature del caseifi-cio “latteria Vo Grande” sonoora perfettamente ricostruite anorma antisismica, pratica-mente come un edificio nel-l’edificio. Si tratta di strutture in acciaio ealluminio caratterizzate dall’as-senza di saldature che realizza-no un insieme monolitico. Lanuova struttura è atta a riceve-re lo stesso numero di formeche già erano programmate suquella precedente, circa 25 mila. Come è riportato nelle foto, è ripresa l’attività di stagionatura con leprime forme di novembre 2012. Quelle precedenti sono ancoraospiti nei magazzini fiduciari nel comune vicino. Non solo il formaggio non si è mai fermato mentre la terra tremava,ora è simbolo di rinascita e nuova fiducia.

di Cornelio Marini

Latteria VO Grandela rinascitadopo il terremoto

Al caseificio latteria VO Grande, il terremoto è ormai un lontano ricordo.

Il casaro Tonino Taffurellimostra con soddisfazione le nuove scaffalature

per la stagionatura del Parmigiano Reggiano

26-27Il cacio di 7000 anni fa di Paolo Stacchini

28Il Conciato Romano di Barbara Guerra

29Altri mondi di Massimo Pelagatti

30-31Il Tè e i formaggi di Yvonne Falcone Carranza

33Un formaggio alle isole Svalbard di Elsa Cugola

34-37Voci dalla Toscana di Andrea Magi, Giuseppe Soin,Giangranco Dell’Arsina, Roberto Funghi, Gildo Carabelli

38-41La Val D’Aosta ci crede di Diego Bovard, Roberto Ronc, Bruno Chaussod, Andrea Barmaz, Stefano Lunardi, Gerardo Beneyton

42-43Ai fornelli fra tradizione e sperimentazione di Fabio Campoli

44-47 Onaf news a cura di Beppe Casolo

48 Agenda a cura di Marco Quasimodo

49 Formaggi in libertà di Fiorenzo Cravetto

50 La vignetta Onaf di Gianni Audisio

3L’editorialedi Pier Carlo Adami

5La grattugia del direttore di Elio Ragazzoni

7-10La rivoluzione nel caseificio di Vincenzo Bozzetti, Guido Tallone,Lorenzo Pagliaroli

11-13La scommessa del Pecorino Siciliano Dop di Francesco Abramo

Dalla Sicilia con passionedi Pietro Pappalardo, Giovanni Farina,Antonino Longo, Giuseppe Camuglia,Massimo Todaro

14Maiorchino re nascosto di Teresa Armetta

15Peccati di gola di Luigi Cremona

17-18Strachitunt il figlio del Taleggiodi Grazia Maria Mercalli, Enrico Surra

19Pecorino di Piciniscodi Domenico Villani

21-22I formaggi si scoprono di montagnadi Gabriele Arlotti, Lorenzo Noè

23Il formaggio del martedì di Paolo Zatta

24-25Olfattol’imperatore dei sensi di Mauro De Concini, Giampaolo Gaiarin

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espressione di territori e culture meravigliosequanto differenti. La qualità banale non dovreb-be esistere. Chi acquista la qualità, pagandolacome è giusto che sia, deve acquistare purequalche emozione gustativa e la possibilità diriconoscerne la diversità. E qui entrano in giocoquelle persone che hanno dedicato parte dellaloro vita alla degustazione, gli assaggiatori. Ilmondo della degustazione è tra i più seri che sipossano conoscere. Non fosse per il fatto chechi ha intrapreso questa strada mai è statoobbligato ed ha operato questa scelta per pas-sione e sana curiosità, la correttezza dei degu-statori preparati è fuori discussione. Quindiproprio gli assaggiatori dovrebbero essereparte integrante della filiera che determina iparametri ufficiali della qualità. Qualcuno se neaccorgerà? Noi dell’Onaf da quasi venticinqueanni ci occupiamo anche di questo. La concre-ta speranza è che i nostri fogli riescano anche araccontare, con tagli diversi e disparati argo-

menti, che la qualità deve garan-tire anche il piacere nel piattoper non essere una definizioneazzoppata.Comunicare il gusto deve esse-re un nostro obiettivo. Poi,rispondere alle domande: quan-

do? dove? come? perchè? è insito nell’assag-giatore Onaf. Visto? Dal formaggio arriva unapurissima lezione di giornalismo. Come al soli-to, insieme, ce la faremo e qualcuno se ne ren-derà conto.Vorrei poi rispondere ad un lettore che mi chie-deva perchè le firme dei pezzi pubblicati nonriportino mai titoli o incarichi ufficiali degli auto-ri. Il nome e cognome sono la più bella eimportante sigla alla fatica e alla passione di chiscrive. A meno che l’autore scriva per contodiretto di un ente o istituzione la sua firma èsacra e inderogabile quanto sufficente alla biso-gna. Potremmo per chi lo desidera apporre leeventuali qualifiche in calce, ma quando non èdovuto o necessario i “tituli” li lasciamo aMourinho.

LA GRATTUGIA DEL DIRETTORE

Raccontare la qualità

Onaf editorevia Castello, 5 - 12060 Grinzane Cavour - CnPubblicazione bimestrale registrata al Tribunale di Albail 3/9/2012 n. 3/12 R. PeriodiciISSN 2281-5120

Direttore responsabile:Elio Ragazzoni

Comitato ScientificoArmando Gambera - Enrico SurraDaniele Bassi - Giuseppe CasoloGiancarlo Coghetto - Maria SarnataroGiampaolo Gaiarin - Paolo Stacchini

Redazione: Telefono/Fax 0173 231108 (ore 11/15) E.mail: [email protected]

Coordinamento editoriale Fiorenzo Cravetto

Grafica: DP comunicazione via Spielberg 70, 12037 Saluzzo (Cn)

Pubblicità: Marco Quasimodo 0173 231108 (ore 11/15)

Stampa: Tipolitografia Graph-Art sncVia Galimberti, 75 - 12030 Manta

A questo numero hanno collaborato:Francesco Abramo, Pier Carlo Adami, Gabriele Arlotti,Teresa Armetta, Gianfranco Dell’Arsina, VincenzoBozzetti, Fabio Campoli, Gildo Carabelli, GiuseppeCamuglia, Mauro Capelloni, Yvonne Falcone Carranza,Beppe Casolo, Bruno Chaussod, Mauro De Concini,Fiorenzo Cravetto, Luigi Cremona, Elsa Cugola, Giovanni

Farina, Roberto Funghi, Giampaolo Gaiarin, BarbaraGuerra, Antonino Longo, Andrea Magi, Cornelio Marini,Grazia Maria Mercalli, Lorenzo Noè, Lorenzo Pagliaroli,Pietro Pappalardo, Massimo Pelagatti, MarcoQuasimodo, Elio Ragazzoni, Roberto Ronc, GiuseppeSoin, Paolo Stacchini, Enrico Surra, Guido Tallone,Massimo Todaro, Domenico Villani, Paolo Zatta e le dele-gazioni provinciali dell’Onaf.

In copertina: marchiatura a fuoco del PecorinoSiciliano Dop (foto di Guglielmo Portelli)

Garanzie di riservatezza per gli abbonatiL’Editore garantisce la massima riservatezza dei datiforniti dagli abbonati e la possibilità di richiederne gratuitamente la rettifica o la cancellazione ai sensidell’art. 7 del d. leg. 196/2003 scrivendo a: In forma - Via Castello, 5 - Grinzane Cavour (Cn)©Tutti i diritti di proprietà letteraria e artistica riservati

di ELIO RAGAZZONI

InformaMagazine di cultura casearia

Ogni formaggio ha la sua storia, ma una leraccoglie tutte: la qualità. Concetto nonsempre chiarissimo l’aspetto qualitativo

di qualsivoglia prodotto dovrebbe ritmarne,sempre, la produzione.A dire il vero più che poco chiaro il concetto diqualità è, almeno nel formaggio, a volte incom-pleto.Contribuiscono alla necessaria e preziosa carat-teristica rigorose attenzioni di correttezza sani-taria, di tracciabilità, di rispettodei disciplinari e di tradizioni.Esistono controlli, indicazioni eregole per ottenerla, ma mancala ciliegina sulla torta. Tra le varierigide osservazioni su metodi ecomportamenti da osservare perraggiungere la qualità manca da parte delle isti-

tuzioni un preciso riferimento al gusto,ai sapori e ai riconoscimenti che il

consumatore si trova nel piat-to. Insomma, un prodottopotrebbe essere di qualitàperchè risponde a tutti gliadempimenti del caso, ma

non suscitare interessegastronomico. Il consumatorepotrebbe acquistare la qualità

senza gusto.Orripilante situazione se sipensa che la forza e ilvanto della nostra produ-zione casearia sta nella dif-ferenza di ogni formaggio,

Comunicare il gusto

deve essereil nostro obiettivo

““

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di Vincenzo Bozzetti

OSSERVATORIO ONAF

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Molto tempo e moltissima retoricahanno preso di mira la tecnologia dicaseificazione di ieri e di oggi, ovve-ro l’incidenza di questa nei risultatisensoriali della produzione del for-

maggio. D’acchito va chiarito che se è vero l’assioma che ilformaggio è “il figlio del latte”, bisognerebbe ancheaccettare l’idea che il formaggio è “il nipote dell’ali-mentazione della lattifera”, sia essa vacca, pecora,capra, bufala o cammella. Ciò premesso, vediamoanche di dare una collocazione temporale al termi-ne “ieri”, che in questo contesto, non è riferito algiorno precedente, bensì agli Anni 50, prima chetutto quanto venisse innovato all’insegna dellameccanizzazione e degl’incrementi quantitativi.PRODUZIONE LATTE Parlando di produzione latte, balzano in evidenza ledifferenze tra gli Anni 50 e gli Anni 2000.Nell’immediato dopoguerra la forza motrice in agri-coltura era sostanzialmente animale e la meccaniz-zazione agricola era in via di sviluppo. Almeno il 40-50 % delle vacche presenti sul territorio nazionaleerano a duplice o triplice attitudine (lavoro-latte o,lavoro-carne-latte) e la produzione del latte per lat-tifera era inferiore del 70-80 %, rispetto a quellaodierna. I parti erano stagionali nella stragrandemaggioranza dei casi. La mungitura era manuale,ma soprattutto l’impiego dei medicinali in stalla era

molto ridotto, anche se lostato sanitario degli ani-mali in lattazione era lon-tano dall’ideale.Se da un lato eranoassenti gli abusi odierni,dall’altro è ben vero chebrucellosi, mastiti e tubercolosi, erano incontrasta-te. In definitiva se negli Anni 50 si poteva disporredi un buon latte da trasformare in formaggio, lostesso latte era poco idoneo per motivi microbiolo-gici (contaminazioni batteriche), fisici (scarsa lottaalle mosche), chimici (latte mastitico).Testimonianze dirette confermano che lo scartomedio in caseificio raggiungeva il 50%, mentre ilrestante 50% era di ottima qualità sensoriale. Oggi,la sicurezza alimentare, la tracciabilità degli ingre-dienti di tutta la filiera garantiscono al consumatorela sicurezza delle forniture. Le evoluzioni delle pratiche agronomiche dellaforaggicoltura, della selezione genetica delle latti-fere, delle politiche produttive prioritariamentequantitative invece che qualitative, hanno cam-biato radicalmente le due diverse realtà. Per spie-gare meglio le situazioni: nel 1950 i produttori dilatte erano circa 1.000.000, oggi sono meno di40.000 e producono il doppio del latte di allora.ATTREZZATURE, TECNOLOGIE, LAVORONegli Anni 50 il legno, era ampiamente impiega-to e giocava un ruolo determinante per la nicchiebatteriologiche (positive e negative), che offrivacon le sue fessure e porosità. Il legno era abbon-

dante impiegato per secchi di mungitura, conte-nitori di affioramento, vasi e tini di lavorazione,rotelle di agitazione, spini frangicagliata, fascere,tavole spersole, scaffalature di magazzino, zango-le, macchinari per burro. In due parole, prima dell’avvento della lamierastagnata e del rame, il legno era il materiale mag-giormente diffuso e per il suo abbandono in latte-ria, bisogna arrivare agli Anni 60-70, quando fugradualmente sostituito da alluminio, plastica eacciaio inossidabile. Oggi il legno è completa-mente assente per motivi igienico sanitari, men-tre continua a presenziare nelle piccole struttureartigianali.La prima attrezzatura che il latte incontra oggi,dopo l’uscita del capezzolo del mammifero, è lamungitrice meccanica. La quale imita molto benel’aspirazione del neonato, però lascia molto adesiderare in fatto di igiene e contaminazionebatterica. In verità anche l’igiene delle mani edelle mammelle di ieri lasciavano molto a deside-rare. Rinunciando a sindacare in merito alla qua-lità dei batteri, la conta totale è sicuramentemigliore oggi rispetto a ieri.

La rivoluzione nel caseificio

La rivoluzione nel caseificio

Cos’è cambiatocon l’avvento

delle tecnologie

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OSSERVATORIO ONAF

Addio bidonie zangoledi legno

Dopo la mungitura il latte viene raffreddato allastalla a + 4°C., mentre una volta e nel migliori deicasi, era rinfrescato alla temperatura dell’acquacorrente tra i 12-18° C. Il trasporto del latte avveniva nei bidonidi lamiera stagnata, due volte al giorno(spesso con trazione animale) a tempe-ratura ambiente, e la fermentazione lat-tica in corso non veniva ostacolata; oggiinvece, il trasporto avviene rapidamente con auto-cisterne coibentate che impediscono al latte di aci-dificare.I PROCEDIMENTIAll’arrivo in caseificio nel caso dei formaggi Dop, illatte seguiva e segue il procedimento tecnologicoprevisto dal disciplinare di produzione, in molti casiinvariato ed invariabile, mentre per il latte destina-to alla produzione dei formaggi generici, oggi, illatte viene pastorizzato al fine di risanarlo igienica-mente. La coagulazione generalmente avviene incaldaie con doppi fondi a vapore, in vasche poliva-lenti e, coagulatori in continuo. Mentre i doppifondi a vapore erano parzialmente presenti in que-gli anni, erano sicuramente assenti le altre attrezza-ture. In pratica, una sostanziale evoluzione è arriva-ta negli Anni 60-70, quando l’incremento dei volu-mi produttivi, la domanda di prodotti costanti, lariduzione degli scarti di lavorazione, erano impera-tivi da raggiungere. In aggiunta agli aggiustamentitecnologici conseguenti all’impiego della nuovaimpiantistica, la vera e grande differenza tecnologi-ca dirimente è la microbiologia lattiero casearia. Per secoli e millenni il formaggio è stato prodottoprima con i soli parametri fisici; solo alla finedell’Ottocento si introdussero gradatamente deicriteri chimici, ma l’applicazione della microbiolo-gia lattiero casearia, ha permesso un salto qualita-tivo notevole dagli Anni 60 in poi. Oggi, tutto il for-maggio viene prodotto con la massima attenzionealle fermentazioni lattiche, indipendentementeche siano spontanee, casuali, controllate o sele-zionate. Quali sono le migliori? La risposta la danno glistessi prodotti, con la loro apprezzabile variabilitàsensoriale o, con la loro costanza dei parametrisensoriali apprezzati e richiesti dal mercato. Alcune considerazioni vanno dedicate alle risorseumane impiegate in caseificio, ed in tal senso siricorda che nel 1950 le quattro maggiori industrie(Galbani, Locatelli, Invernizzi e Polenghi ) occupa-vano 10.000 dipendenti e complessivamente tra-

IERI

sformavano 1.000.000 di litri di latte, in una doz-zina di stabilimenti, per una produzione media di100.000 kg di formaggio al giorno. Oggi, si trasforma in formaggio lo stesso latte, inun solo stabilimento con 200-250 addetti.Ovviamente il profilo medio del tecnico di caseifi-cio è notevolmente cambiato. L’empirismo, dal1950 ad oggi, ha ceduto spazio alla tecnica, allascolarizzazione, alla formazione specializzata.I CONSUMI Lo spaccato medio delle differenze sociali, econo-miche e culturali tra i consumatori degli Anni 50 edegli Anni 2000, evidenzia diverse e discordantiesigenze. Certamente il consumatore medio delSecondo Dopoguerra era affamato, era reduce daidisagi e dalle tragedie del periodo bellico, per con-tro il consumatore, ante crisi finanziaria internazio-nale in corso, era molto più esigente.Oggi il consumatore medio non ha più fame, alcontrario è sazio e con qualche chilo in più. Percapirci meglio sarà bene ricordare i bisogni trac-ciati con la Piramide di Maslow (1954) che dimo-stra sempre più la sua validità: fisiologia, sicurez-za, appartenenza, stima, autorealizzazione. Infattianche oggi, abbiamo una grande percentuale di

consumatori che deve dare risposta alle proprienecessità fisiologiche, ma che è più attenta allasicurezza alimentare. Una terza fascia è concen-trata nei consumi di un determinato grupposociale, un’altra più esigente ricerca il prodottocertificato e riconoscibile nella marca, infine c’èla fascia maggiormente esigente che cerca lapropria autorealizzazione nel consumo.Confondere questi consumatori al vertice dellapiramide, con i molti consumatori affamati,potrebbe creare non poche confusioni. E, lostesso scompiglio potrebbe essere creato raf-frontando i formaggi medi degli Anni 50 conquelli odierni.Cambiando l’agricoltura, la zootecnia, le attrezza-ture, le tecnologie, la microbiologia e i consuma-tori, cosa resta di immutato ? Potrebbero resta-re immutati i concetti, i desideri, le aspirazioni,magari solo a livello personale. RicordandoEraclito, dobbiamo ammettere che “tutto scor-re”, tutto cambia, tutto si evolve. Scriveva infatti:“Nessuno vedrà mai, un uomo bagnarsi nellostesso fiume ”. Se cambia l’acqua e chi la osser-va, come può restare immutato il formaggio?Allora, cambierà anche l’assaggiatore?

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Già Pantaleone da Confienza nel suo Summa lacticiniorum, a propositodei formaggi della Val di Lanzo (TO), diceva: “ …e mentre invecchianoavviene in essi una tale fermentazione che acquistano sì sapore, ma

molto piccante, tanto che sono detti assai utili per i poveri…”.Forse ho interpretato il termine “Ieri” con troppa enfasi, senza ritornare indie-tro al 1477 sicuramente i gusti, i sapori/odori e la “anatomia” dei formaggi,sono cambiati non di poco, anche solo in questi ultimi 50 - 60 anni.La colpa, per i nostalgici od il merito, per i tecnici progressisti, lo dobbiamoprincipalmente alla microbiologia casearia, come indicato anche da VincenzoBozzetti.Credo che tutti i conoscitori della tecnologia casearia possano essere d’accor-do nell’asserire che il più importante fattore che influenza le caratteristiche disapore, odore e struttura della pasta è rappresentato dalle attività che svolgo-no batteri, lieviti e muffe nella vitadi un formaggio. In una visionenon solo tecnologica, ma anchestorica e sensoriale, occorre cita-re alcuni cambiamenti che sonoavvenuti, proprio in questo ulti-mo mezzo secolo circa, e chesono strettamente collegati allamicrobiologia casearia.L’avvento della refrigerazione dellatte alla stalla certamente hainfluenzato in maniera fonda-mentale la composizione “viva”del latte. I casari che hanno vis-suto questo cambiamento, certa-mente ricordano come fu difficileadattarsi ad un latte che “nonlavorava più bene”, ovvero ad un latte che possedeva meno carica batterica(evviva per quella patogena, meno hurrà per i batteri lattici) a causa di un bru-sco abbassamento delle temperature del latte all’uscita dalla mammella.La temperatura in caseificio, come in tutte le produzioni di alimenti “fermen-tati”, è importantissima. Raffreddare il latte se si vuole conservarlo dopo la mungitura; tenere caldo ilcaseificio; termizzare o pastorizzare il latte; mettere il caglio alla precisa tem-peratura; cuocere o semicuocere la cagliata; filare la pasta; riscaldare il sieroper la ricotta, o la panna per il mascarpone; controllare che la cella frigo nonsuperi i gradi previsti.Questi sono alcuni degli imperativi che i casari debbono perfettamente tene-re a mente se vogliono essere le “guide” di quella flora microbica che eserci-ta attività benefiche o meno sulla nascita e crescita del nostro cacio.L’evoluzione di conoscenza scientifica dell’industria dei fermenti, ha dato lapossibilità ai tecnici caseari di tenere ancora più salde le briglie della piccola

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Ecco gli imperativiche il bravo casarodeve tenere a mente

di Guido Tallone

• Segue a pagina 10

OGGI

LA PIRAMIDE DEI BISOGNI DI MASLOW (1954)

AUTOREALIZZAZIONE

STIMA

APPARTENENZA

SICUREZZA

FISIOLOGIA

moralitàcreativitàspontaneità

problem solvingaccettazione

assenza di pregiudizi

autostima, autocontrollo,realizzazione

rispetto reciproco

amicizia, affetto familiare,intimità sessuale

sicurezza fisica, di occupazione,morale, familiare, di salute, di proprietà

respiro, alimentazione, sesso, sonno, omeostasi

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OSSERVATORIO ONAF

Nel cuore della Sicilia occidentale una valle che prende il nome dall’antico fiumeBelice ha, per le sue particolari caratteristiche pedo-climatiche, attratto da sem-pre le attenzioni di tutti i popoli conquistatori del Mediterraneo.

Il susseguirsi di così tante civiltà ha arricchito questo territorio non solo di resti archeo-logici ma anche e soprattutto di usi e consuetudini che pervadono le tradizioni dellepopolazioni che oggi vi abitano.È sorprendente notare come per millenni la produzione di formaggi si sia tramandata digenerazione in generazione in maniera pressoché immutata, per niente scalfita dall’am-modernamento tecnologico dell’ultimo secolo; infatti se in altre zone dell’Italia edell’Europa l’industrializzazione ha soppiantato interamente anche le produzioni casea-rie artigianali, qui è rimasta l’antica figura del “Curatolo”.Questo è il nome con cui si identifica l’allevatore-casaro siciliano, non una figura roman-tica che vive solo nei racconti, ma una figura professionale che mantiene ancora oggiintatto tutto il proprio valore culturale e perché no, economico, custode dell’antica artedella produzione dei Formaggi Storici Siciliani.L’eccellenza delle loro produzioni nasce all’alba nelle campagne con la mungitura deglianimali, quasi un rituale, che si ripete due volte al giorno durante tutto l’arco dell’anno.Il latte viene portato nei caseifici aziendali, una volta luoghi di fortuna come grotte ocapanne, oggi piccoli laboratori che coniugano la tradizione e le moderne esigenze igie-nico-sanitarie, dove si utilizzano ancora le attrezzature storiche in legno, rame stagnatoe giunco.L’attività del curatolo è impregnata di gesti che si ripetono da migliaia di anni, identici aquelli descritti da Omero nell’ “Odissea”e che non necessitano di moderni strumentitecnologici. Sono rimasto stupito da giovane studente quando, ormai molti anni fa, vidiprodurre la Vastedda della valle del Belice per la prima volta; gli studi mi avevano inse-gnato l’utilizzo di moderni strumenti per il monitoraggio delle varie fasi della produzionecasearia, a maggior ragione per la Vastedda, unico formaggio di pecora a pasta filata ead acidificazione naturale, in cui la scelta del tempo di maturazione della tuma è di par-ticolare importanza per la buona riuscita della filatura.Tutto questo lavoro, svolto spesso in maniera inconscia, consente di concentrare edesaltare nei formaggi i profumi, i sapori e gli aromi che i pascoli conferiscono al latte; ilrisultato sono sensazioni sempre nuove che rendono l’assaggio un’esperienza unica enon riproducibile, un eccelso piacere.

vita casearia, per condurla sulla “retta via”. Oggi il caseifi-cio, piccolo o grande che sia, utilizza tecniche di produ-zione di sieroinnesti, lattoinnesti e lattofermenti, oltre aduna ampia gamma di fermenti lattici, lieviti e muffe, e nonsolo, che permettono sempre più di avvicinarsi a ottene-re il risultato organolettico desiderato. La pastorizzazionedel latte ha certamente giocato un ruolo fondamentalenel “cambiare” il formaggio da ieri... ad oggi. Per chi“amante caseario” tende a maledire questa pratica tecno-logica, vorrei ricordare che la pastorizzazione è stataapplicata nel latte per necessità sanitarie e quindi non èda demonizzare. Ed infine l’aumento notevole delle tecniche di igiene ha

notevolmente muta-to le popolazionimicrobiche del latte,sia perché sonomigliorate le prati-che di allevamento edi mungitura, siaperché sono note-volmente miglioratele tecniche di puliziae disinfezione deilocali e delle attrez-zature casearie.Non so se “gradirei”molti dei formaggiche si producevanonei tempi passati,troppo è cambiatoper poter fare unconfronto a cosìlunga gittata.Parlando di micro-biologia e di formag-gi di 50 o 60 anni fain confronto ai for-maggi di oggi, il

cambiamento è stato certamente positivo se pensiamoalle zoonosi come la brucellosi e la tubercolosi o seimmaginiamo quante tossinfezioni alimentari sono statescongiurate, con buona pace della nostra salute.Di negativo uniamo tutto quanto le tecniche modernefanno per ridurre la “biodiversità” dei microrganismicaseari nei nostri formaggi. Ma non scoraggiatevi, ci saràsempre, finchè la legge lo permetterà, qualche casaroche sempre più coscientemente, e qualche volta a suainsaputa, produrrà quei formaggi con una complessità diaromi ed una precisa struttura di pasta quali tutti noiamiamo. Almeno, sino a quando ci sarà qualcosa dicrudo nel latte crudo, ma questa è un’altra storia.

Il curatolo e l’eccellenzanata senza tecnologia

di Lorenzo Pagliaroli

• Segue da pagina 9

Una svolta epocale:ma non tutto il malevien per nuocere

Page 9: L'arte del formaggio ieri e oggi L'arte del formaggio ieri e oggi

CONCORSI

LA SCOMMESSAdel Pecorino Siciliano Dop

Assegnato all’azienda di MassimoTodaro, di Santa Margherita del Belìce,il primo Trofeo “Trinacria d’Oro” edi-zione 2013” per il miglior PecorinoSiciliano Dop. Il concorso, ideato e

coordinato da Pietro Pappalardo, tecnologo ali-mentare e Maestro assaggiatore Onaf, è nato sottol’egida della Delegazione Onaf Sicilia Orientale edel Consorzio volontario per la tutela del Pecorinosiciliano Dop. Esclusiva cornice è stata il PalaceHotel Federico II di Enna dove si sono dati conve-gno, sabato 12 e domenica 13 gennaio, gli assag-giatori di formaggi, gli operatori del comparto, gliallevatori, le istituzioni, i tecnici, i gourmet, gliappassionati e quanti, provenienti da tutta la Sicilia,hanno voluto “festeggiare” il formaggio più anticod’Europa. Del quale si ha testimonianza fin dalmondo greco classico. Anche Plinio, che per la prima volta classificò i for-maggi nazionali ed esteri, lo definì come uno deimigliori formaggi dell’epoca. Proprio il PecorinoSiciliano Dop con i suoi ventotto secoli di storiadocumentata, è stato il grande protagonista del-l’evento tenutosi ad Enna che ha fatto vivere ai par-tecipanti vari momenti di approfondimento, cultu-rale e tecnico dell’affascinante mondo dei formag-

gi. Il workshop, inserito nelle iniziative sostenutedall’Assessorato regionale risorse agricole, alimen-tari e forestali e, tramite il Consorzio volontario perla tutela del Pecorino siciliano, si è articolato in duegiornate con seminari, visite aziendali, degustazio-ni guidate ed approfondimenti sull’arte e la culturadei formaggi. Il Consiglio di Delegazione Sicilia orientale, com-posto da Marco Caia, Giuseppe Camuglia,Giovanni Farina e Antonino Longo, ha curato le fasidi organizzazione e realizzazione. Il seminario di

sabato, partendo dalla tecnica di assaggio Onaf, havisto la conduzione di Elio Ragazzoni docenteOnaf, che ha guidato i partecipanti tra gli interven-ti di Maria Sarnataro membro del ComitatoTecnico Scientifico Onaf, Lorenzo Pagliaroli pro-duttore di Pecorino e Maestro assaggiatore Onaf eMauro Ricci responsabile palermitano. Il seminariodi sabato ha trovato subito applicazione con ladegustazione guidata dal Maestro assaggiatoreGiovanni Farina, che partendo dalla Vastedda dellaValle del Belìce Dop, passando per il PecorinoSardo, è giunto al Pecorino Toscano Dop, appro-fondendo aspetti della tecnica di assaggio applica-ti alle produzioni ovine. Nel pomeriggio di sabatol’apice del momento tecnico si è avuto con undoppio programma che ha visto impegnata unagiuria di nove Maestri assaggiatori regionali enazionali per redigere i profili sensoriali di tutte leaziende che hanno prodotto e marchiato ilPecorino Siciliano Dop durante la campagna 2012ed infine eleggerne il migliore da insignire con ilPremio Trinacria d’Oro 2013. Il gruppo di partecipanti ha effettuato una visitaaziendale presso l’azienda casearia Di Venti aCalascibetta, produttrice di Piacentinu EnneseDop. La visita è stata riproposta, con la possibilitàdi vedere anche le operazioni di mungitura all’alba

di Francesco Abramo

Il primo trofeo Trinacria d’oroandato in scena a Enna

ha premiato l’azienda di Massimo Todaro(Santa Margherita del Belìce)

• Segue a pagina 12

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Foto di Laetitia Bourget

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CONCORSI

DALLA SICILIACON PASSIONE

L’ISOLA DEI MONTANARIdi domenica. Il seminario del giorno 13 è statoincentrato sul ruolo che le istituzioni e l’associa-zionismo possono avere per informare edaccompagnare il tessuto produttivo nella realizza-zione di un prodotto tutelato. Hanno preso parte all’incontro il Prof. MassimoTodaro, presidente del Consorzio Pecorino sici-liano Dop; Renato Mancuso, presidente delConsorzio provinciale Allevatori di Enna;Carmelo Meli, direttore Associazione regionaleallevatori Sicilia; Elio Ragazzoni, vice presidenteOnaf e Guglielmo Portelli, Ispettore CoRFiLaCcertificazione Dop. Pietro Pappalardo ha guidato la degustazione deiprimi tre Pecorini, e tra i colori e le note del grup-po Folk Kore, ha decretato il vincitore del Premio

Trinacria d’Oro 2013. Importanti le presenze rap-presentative del comparto da tutta la Sicilia, isti-tuzionali, del settore della produzione, commer-cializzazione e tecnica. Da tutti l’impegno compatto a sostenere iniziativeed interventi che possano valorizzare la culturaed il territorio siciliano. I partecipanti hanno evi-denziato un’importante risonanza sulle prospetti-ve strategiche che si aprono, con una miratadivulgazione delle specifiche sensoriali nella valo-rizzazione ed il riconoscimento delle produzioni adenominazione d’origine. A Enna, punto centrale dell’Isola, si parte nelnuovo anno puntando su un tesoro archeologicovivo: il Pecorino siciliano Dop, il più antico for-maggio d’Europa.

È vero che la Sicilia è un’isola, ma eliminando ilterritorio costiero, il siciliano resta un “montana-ro”, con rilievi più o meno alti, ma pur sempre unarealtà di montagna. Ritornando al nostroPecorino, il formaggio più antico d’Europa, cono-sciuto subito dopo il formaggio della Mezzalunafertile (Mesopotamia), non poteva avere terramigliore per essere premiato. Infatti nella giornata di sabato 12 gennaio, si èsvolto prima un assaggio degustativo di trePecorini, rispettando nell’ordine la sequenza del-l’intensità di sapore. Quindi si è degustata unaVastedda Valle del Belìce Dop, un Pecorino Sardo,ed infine un Pecorino Toscano Dop. La Vastedda,l’unico formaggio di pecora a pasta filata in Italia,ci ha incantati con la sua dolcezza e leggera acidi-tà nello stesso tempo, un formaggio delicato, fre-

Intervenendo su un formaggio simbolo dellaSicilia come il Pecorino Siciliano Dop, gliassaggiatori Onaf lanciano un segnale fortedi presenza ed interazione con il territorio,volendo dare un piccolo contributo per inne-

scare un processo di sviluppo locale, integrato esostenibile.Il Premio Trinacria d’Oro non vuole essere soloun trofeo da assegnare ma un’occasione per gliassaggiatori Onaf e gli operatori del settore, perparlare di formaggio, di tipicità e cultura siciliana.Era doveroso istituire un riconoscimento a colo-

ro che s’impegnano ogni santo giorno a vive-re il territorio, a tramandare la tradizione, avoler crescere nella qualità di un prodotto sim-bolo della Sicilia: il Pecorino Siciliano Dop.Un formaggio antico ed una Dop altrettanto anti-ca che ancora stenta a farsi conoscere e ricono-scere; così, la sinergia tra Consorzio di tutela delPecorino Siciliano Dop e Onaf, non può che dareun significativo segnale, orientato anche a forma-re nuovi assaggiatori che sappiano comunicarenon solo con passione, ma soprattutto, con com-petenza le peculiarità sensoriali dei formaggi conriscontri certi in termini di valorizzazione e miglio-ramento della qualità.

PROFILO SENSORIALEDEL PECORINOVINCITORE

ESAME VISIVO E TATTILE ESTERNO• Forma cilindrica rego-lare, facce piane scal-zo leggermente con-vesso

• Crosta canestrata, conpresenza di marchioa fuoco

• Colore giallo paglierino carico non uniforme

ESAME VISIVO E TATTILE INTERNO• Colore giallo paglierino uniforme con sot-tocrosta medio

• Occhiatura di forma regolare fine e mediadistribuita in modo uniforme

• Struttura semidura, compatta leggermenteuntuosa

ESAME OLFATTIVO• Intensità medio-elevata animale, sentori veg-etali evoluti con note di burro maturo

ESAME GUSTATIVO• Salato medio, dolce medio equilibrato connote animali,vegetali e spezi-ate, medie notepiccanti

ESAME TATTILE• Friabilità media,solubilità elevata,g r a n u l o s i t àbassa

Caseificio Todaro MassimoContrada Pìgnolo

S. Margherita del Belìce (Agrigento)

di Pietro Pappalardo

Cultura e territorio, binomio di successo• Segue da pagina 11 di Giovanni Farina

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Una tappa di assoluto rilievo all’interno dell’evento, è stata la visita guidataall’azienda casearia Di Venti, produttrice del Piacentinu Ennese Dop, formaggioprotagonista del territorio. L’interesse dei visitatori, degustatori o semplici appas-

sionati di formaggio, ha spinto a fare l’alba per assistere alla realtà della produzione.L’unicità del Piacentinu Ennese deriva dalle carat-teristiche dell’ambiente in cui esso nasce.Proprio per questo, sotto la guida esperta delproduttore, si sono percorse le varie tappe cheportano alla produzione del formaggio.La visita è iniziata assistendo alla delicata fasedella mungitura del gregge che richiede moltaaccortezza, considerando che la qualità del pro-dotto dipende anche da questa prima tappa. Si èquindi passati alla fase della lavorazione del lattenella sua evoluzione. Già nei primi momenti del processo di caseifica-zione viene aggiunto l’elemento che garantisce laspecificità di questo formaggio, lo zafferano. Coltivato dallo stesso produttore, vienetostato, polverizzato e unito al latte a cui dona quel suggestivo colore giallo e profumispeziati. La visita ha inoltre previsto un passaggio nella zona adibita alla stagionatura delPiacentinu Ennese; il locale è caratterizzato da umidità e temperatura adeguate al tipodi maturazione richiesta. Viene in questo modo chiuso il ciclo di produzione. Il produt-tore stimolato dal grande interesse dimostrato dagli ospiti, ha organizzato per loro unadegustazione dei propri formaggi come ringraziamento per l’interesse.

VOLUTO DAL CONSORZIO DELLA VASTEDDA

Ecco il “nostro” caglio

Nell’ambito del workshop di Enna sono stati presentati i primi barattoli di caglioprodotti nel nuovo centro di Poggioreale. L’utilizzazione di un caglio di agnelloin pasta, fatto secondo tradizione e con le moderne tecnologie, permetterà di

standardizzare le caratteristiche dieccellenza.Il centro del caglio voluto dai socidel Consorzio di Tutela dellaVastedda della valle del Belice Dop,dotato di numero di riconoscimen-to CE, nasce per la produzione tra-dizionale del caglio di agnello, ini-zialmente a supporto di tutti i pro-duttori di formaggi Dop siciliani,successivamente anche per gli altricaseifici del territorio.Il Centro Regionale del Caglionasce a Poggioreale, piccolo paesino del trapanese presente nel centro dell’areale delBelìce, perché quando si iniziò la pratica per il riconoscimento comunitario della DopVastedda, era auspicabile che tutti i fattori che avrebbero dovuto dare la tipicità a que-sto unico e prezioso formaggio fossero legati indissolubilmente alla razza ed al territo-rio. Cosicché, dopo i pascoli, il latte e la microflora lattica anche il caglio doveva pro-dursi nel territorio della Dop, per altro da agnelli di razza Valle del Belice, allevati emacellati nell’area di produzione.

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I MONTANARIsco da abbinare a delle bollicine isolane. Il secondo è stato unPecorino Sardo, alquanto presente ed intenso, sentori di animaletostato hanno inebriato il nostro palato. Per finire, un PecorinoToscano Dop, che con la sua gentilezza all’olfatto ed il sapore equi-librato, ha dato la giusta nota al momento tecnico-degustativo. Si,

perchè oltre all’assaggio edonistico veroe proprio, abbiamo redatto la famosadescrittiva Onaf dei formaggi, producen-do allo stesso tempo un profilo sensoria-le del formaggio in degustazione. Dico famosa, non per rendere meritoall’Onaf, ma perchè è stata la prima asso-ciazione a mettere ordine e professional-

tà nel mondo dell’assaggio. Alla fine ci siamo riusciti, la soddisfazio-ne di aver premiato sicuramente tre dei migliori Pecorini presenti alconcorso, la abbiamo avuta dai partecipanti-produttori che hannoricosciuto l’oggettività della sceltà nonchè la qualità premiata.Ci siamo riproposti un arrivederci al prossimo “Trinacria d’oroPecorino Siciliano Dop 2014”.

VISITA E DEGUSTAZIONE

Nel tempio del Piacentinudi Antonino Longo e Giuseppe Camuglia

di Massimo Todaro

Realtà anticae unica

Enna, cuore della Sicilia, si propone come puntod’incontro tra le due Delegazioni dell’Isola: laDelegazione Sicilia Orientale e la neo-previstaDelegazione Sicilia Occidentale, per iniziare unaprogrammazione integrata che possa puntare suun ruolo strategico del comparto caseario nonsolo in ambito nazionale, ma per i Paesi delMediterraneo. Diventa determinante, oggi piùche mai, instaurare un dialogo di progettazionecon le istituzioni e le Camere di Commercio inprospettiva dell’Expo di Milano 2015.

Alcuni momentidel concorsopromosso in collaborazione con l’Onaf a Enna

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FOCUS

In tutta la Sicilia il formaggio Pecorino è larga-mente diffuso anche se con differenti note diaroma e gusto specifiche secondo le zone diproduzione. Oltre al Pecorino Siciliano Dopvasta è la produzione di formaggi riconosciu-

ti Pat (prodotti artigianali tradizionali).Fra questi figura il Maiorchino. La sua culla è laprovincia di Messina, dove predomina l’alleva-mento ovino e caprino, in particolare neicomuni dei Peloritani: Novara di Sicilia,Basicò, Tripi, Mazzarrà, Sant’Andrea,Fondachelli, Montalbano Elicona, SantaLucia del Mela. Nell’archivio comunale diSanta Lucia del Mela è custodito undocumento sull’amministrazione del ter-ritorio datato ‘700, che riferisce dueaspetti legati al Maiorchino. Si cita comel’armentizio nero riferito alla pecora e allacapra nera, razze del territorio oggi in viadi estinzione, sono la migliore risorsa dilatte per il buon Maiorchino; la stessafonte riporta la tradizione del pascolo chein febbraio/marzo vedeva il gregge pas-sare nei campi di giovani piante di granoMaiorca (autoctono siciliano). Per questomotivo il formaggio prodotto dal latte di questopascolo prenderebbe il nome di Maiorchino.Ancora oggi il pascolo per la produzione di ungrande Maiorchino stagionato ha dei tempi natu-rali che vanno da febbraio a maggio o comunquemai alla fioritura delle ginestre che conferirebbe-ro uno sgradevole sapore al latte, o peggio unsentore di amaro spiccato.Oggi il formaggio nell’elenco dei Pat é tutelato trai Presidi Slow Food. le metodologie di produzio-ne sono immutate da sempre, non esiste undisciplinare scritto defini-to, la tradizione è traman-data oralmente. MarioMirabile appartiene aduna famiglia che da tregenerazioni produce estagiona il Maiorchino.Per realizzare una formadi Maiorchino stagionatodi 15 chili si parte da 150litri di latte misto di peco-ra e capra a percentuale variabile a discrezionedel maestro casaro. Latte intero crudo alla tem-peratura di 34° con l’aggiunta di caglio di capret-to, prodotto in azienda, con attrezzi storici, auto-rizzati in deroga dalla Comunità Europea; nella“quarara” la cagliata si rompe a chicchi di fru-

mento (per prevenire il formarsi di bolle d’ariadurante la maturazione), si rialza di 10° la tempe-ratura e si lascia intiepidire e a mani nude. Si rac-coglie in unica sfera la cagliata, depositata nelfrattempo in fondo alla “quarara”, avendo cura dinon farla rompere. Posta in una fascera (garbua)si lascia sgrondare sul mastrello di legno.L’arte del casaro è determinante per la riuscitadel Maiorchino, stringendo la fascera attorno allamassa sgrondata dal siero e aiutata dal “minaci-no/minaccio”, apposita asta in ferro usata per

agevolare ulteriormente laperdita del liquido residuoin eccesso.La fase in sequenza è“fora, pressa delicatamen-te con le mani, stringi lafascera”.La massa ottenuta rimanein forma per due giorniper essere successiva-mente posta a stagionare

su tavole di pioppo o abete o comunque di legnoneutro, mai di castagno che potrebbe alterarne ilgusto. Il colore del formaggio in questa faserimane bianco latte e lo rimarrà per due mesidurante i quali si procede alla moderata salaturaa secco, senza eccedere per non bruciare la cro-

sta che sta prendendo forma. L’eccesso di salecreerebbe uno strato impermeabile che compro-metterebbe la stagionatura del formaggio.Trascorsi i due mesi, si procede a curare la formacon olio extra vergine di oliva, dello stesso terri-torio, girando contestualmente la forma sulle assidi stagionatura per otto mesi almeno.Avremo un formaggio a forma cilindrica, a faccepiane o leggermente concave, la crosta di coloregiallo ambrato più intenso con l’avanzare dellamaturazione fino a tendere al marrone.La pasta è bianca tendente al paglierino, la con-sistenza compatta, al naso sentori erbacei, nes-suna nota animale, leggermente piccante algusto anche se deciso e delicato e allo stessotempo il retrogusto persistente.Curiosità: il Maiorchino è protagonista ognimartedì grasso di una gara tra produttori che aNovara di Sicilia concorrono, lanciando per levie del paese le forme con la “iazzada”, unacorda robusta usata per dare slancio al tiro.Vincitore è chi arriva con la sua forma integra altraguardo nel centro storico. Folkore e buoncibo animano la singolare tenzone portandonumerosi visitatori.

di Teresa Armetta

MAIORCHINO, il re nascostoFra storia e leggenda

Non esiste disciplinare: la lavorazione del Maiorchinosi tramanda oralmente di generazione in generazione

MAIORCHINO, il re nascostoFra storia e leggenda

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Ristorante

L’antica Locanda NociPasquale Fatalino èchef (e patron) dilungo corso e gesti-sce da tanti anniquesta locanda, inol-tre è anima della FIClocale, organizzaqualche piccoloevento e riesceanche a fare benefi-cenza. Insomma,non sta con le maniin mano. Cercaanche di tenersi aggiornato con i prodotti e i produttori, e da qualchetempo in cucina ha chiamato vicino a sè il giovane Marcello D’Onghiatrentenne in modo da potersi dedicare maggiormente alla sala. Qui vienee ritorna una clientela fedele che sa di trovare una cucina di territoriosenza svolazzi, ma di sostanza, che percorre con sicurezza il territorio,che punta forse troppo al gusto tralasciando la presentazione, ma checon le polpettine di pane e con la fricassea di agnello in pignatta ci lasciala voglia di tornare. Noci è una cittadina semplice ed attiva con una popo-lazione laboriosa. Non è toccata dal turismo come i vicini borghi della Vald’Itria, è più vocata all’agricoltura. Ci sono ben due importanti caseificiche hanno il loro punto vendita sulla bella piazza centrale, due botteghemolto frequentate che offrono una bella varietà di prodotti (non solo del-

l’azienda). Uno di questi,D’Onghia, ha anche laproduzione non lontana,alla prima periferia dentroun capannone ben visibilee siamo andati a visitarlo.Per dimensioni è semiarti-gianale, per qualità è note-vole. Tutti i “nodini” ven-gono fatti a mano, lacagliata pure tirata a manoe poi ancora ottima ricottae yogurt con la punta d’ec-

cellenza nei caciocavalli. Tutti prodotti che si possono trovare anche daPasquale al suo ristorante dove vengono offerti in un bel piatto di cerami-ca e spesso entrano anche in qualche ricetta della tradizione.

Noci (Bari)Via Spirito Santo, 49Tel. 080-4972460Giorno di chiusura: martedì, domenica a [email protected]

Ristorante

Aromando BistrotSandro Bina eCristina Aromandosono una coppiaaffiatata ed esperta.Lui specialmente è inpista da anni, semprefrequentando localiimportanti e di presti-gio (si sono alla fineconosciuti daCracco). Ambeduepadani (lui mantova-no), conoscono benele tradizioni gastronomiche, ma hanno appreso negli anni quelle finezzee quei tocchi di eleganza che fanno la differenza. Quando si è presentatal’occasione di rilevare questo importante spazio non lontano dalla vecchiaFiera (vicino a via Canonica) in bella posizione d’angolo, non se lo sonolasciati sfuggire e qui hanno realizzato un locale un po’ diverso, semplicenell’anima, ma raffinato nell’ambientazione, dove il menù è scritto sullalavagna ma dove le buone maniere sono in ogni gesto e in ogni oggettodel colorato arredo. L’atmosfera è quella di una casa privata, dove mancasolo il tavolo unico, ma facilmente poi vi troverete a chiacchierare con iltavolo accanto. Dove le macchie dicolore sono affidate alle varietà dimele antiche o altra frutta secondostagione, dove il brodo te lo portanocon una zuppiera ed è brodo dalsapore antico. Anche i formaggisono protagonisti: stanno in bellamostra in una vetrina del banco evengono serviti a richiesta durante ilpranzo con salsine e mieli. Noiabbiamo provato i caprini diBoscasso, ottimo produttoredell’Oltrepò e una selezione di for-maggio di alpeggio nella quale spic-cava un buon Bagoss. Veniteci quan-do capitate a Milano, e venitecisoprattutto la domenica quando ilristorante offre il “pranzo di famiglia” uguale per tutti, ad esempio: la tri-logia del quinto quarto, i cappelletti con brasato di Chianina, la faraonacon mostarda, la trippa alla provenzale, lo zabaione con biscotti.

MilanoVia Pietro Moscati 13Tel. 02-36744172Chiusura: lunedì e martedì a pranzo

di LUIGI CREMONA

Peccati di gola

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Non è più orfano di tutela lo” Strachitunt Valtaleggio”, formaggioritenuto figlio del Taleggio e progenitore del Gorgonzola. Conil protocollo della Direzione Generale per la Promozione dellaQualità Agroalimentare n. 0002706 del 31/10/2012 si èaccordata la protezione transitoria a livello nazionale alla deno-

minazione “Strachitunt” per la quale è stata inviata istanza alla Commissioneeuropea per la registrazione come denominazione di origine protette. Conil riconoscimento allo Strachitunt Valtaleggio dellaDop transitoria la provincia orobica detiene ilrecord italiano di formaggi a denominazione d’ori-gine protetta, prodotti o stagionati sul proprio ter-ritorio: Bitto, Gorgonzola, Formai de Mut dell’AltaValle Brembana, Grana Padano, ProvoloneValpadana, Quartirolo Lombardo, Salva Cremascoe Taleggio. Questo riconoscimento ha un notevole valore peruna piccola realtà montana come la Valtaleggio,perché viene concessa la possibilità di dar vita, seben sfruttata, ad un’economia che contrasti ilfenomeno dello spopolamento, dell’esodo del set-tore agricolo e del degrado territoriale. Nel dialet-to bergamasco Strachitunt significa “stracchinorotondo”; ciò testimonia l’ancestrale tecnica

casearia di produzione, che richiama proprio quella dello stracchino di cuiha mantenuto l’originaria forma cilindrica. Lo stracchino infatti originaria-mente aveva una forma “rotonda” e solo per una maggiore praticità nel tra-sporto delle forme dalla montagna alla pianura in casse di legno su dorsi dimuli si è prodotto in forma parallelepipeda. La zona di produzione delloStrachitunt Valtaleggio Dop comprende quattro comuni della provincia diBergamo: Blello, Gerosa, Taleggio e Vedeseta, situati ad un’altitudine mini-ma di 700 metri e viene fatto in nove piccole aziende, che nel periodo esti-vo praticano l’alpeggio. Nel 2012 sono state prodotte 5.000 forme. La rari-tà nel reperirlo, oltre naturalmente alla bontà, lo rende davvero unico.

La descrizioneÈ un formaggio grasso (minimo sul secco 48%),molle, a doppia pasta, cruda e a crosta lavata.Presenta una forma cilindrica con facce piane escalzo diritto o leggermente convesso di pesovariabile da 4 a 6 Kg. La crosta è rugosa e sottile,a volte fiorita e presenta un colore giallo tendenteal grigio con il prolungarsi della stagionatura. Suuna faccia della forma è impresso l’acronimo“STV” e sullo scalzo la data di produzione.La pasta è molle, compatta, di colore biancopaglierino non sempre uniforme per la presenzatalvolta di strati di pasta di diversa cremosità. Puòpresentare un sottocrosta proteolizzato e unaerborinatura di colore verde, blu e/o grigia con

ALBUM DOP

STRACHITUNTdi Grazia Maria Mercalli

FANTASIA IN CUCINA

Si abbina con vini dolci e liquorosi(ad es. con il Moscato di ScanzoDocg) e risulta essere molto versa-tile come ingrediente per numero-se ricette: risotto di pere conStrachitunt Valtaleggio e passito,filetto di Chianina allo StrachituntValtaleggio e lasagne alle noci conStrachitunt Valtaleggio. Da provareanche con pere, uva, uva passa,miele di acacia e confettura di agru-mi.

STRACHITUNTIL FIGLIO DEL TALEGGIO È DOP

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un’occhiatura di forma irregolare, fine, rada e ammuffita.Dal punto di vista sensoriale ogni forma risulta unica a causadell’utilizzo per la caseificazione di latte crudo, ma sa appaga-re edonisticamente il consumatore attento.Generalmente ha un sapore dolce di media intensità, salatoed amaro di intensità medio-bassa o bassa. L’odore e l’aromasono caratteristici dei formaggi erborinati, descrivibili condescrittori di lattico, vegetale e fruttato con note aromatiche.L’aroma risulta solitamente più pronunciato dell’odore ed è dipersistenza elevata. Per le percezioni trigeminali loStrachitunt Valtaleggio Dop risulta essere piccante di intensi-tà media-elevata.

Come si faLa tecnica di produzione è lunga e prevede l’utilizzo di latteintero vaccino, crudo, addizionato di caglio liquido di vitelloed eventualmente di un innesto naturale o di ceppi battericiautoctoni. Servono due cagliate il cui latte deve provenire dadue mungiture distinte.Il coagulo ottenuto col latte munto alla sera viene raccolto inuna tela e posto a spurgare per almeno 12 ore. Il coaguloottenuto nel corso della lavorazione mattutina viene rottonella caldaia, fino ad ottenere granuli caseosi delle dimensio-ni di una noce o nocciola. Sono il diverso spurgo e la diversaacidificazione delle due cagliate che influenzano le caratteri-stiche del formaggio. I due coaguli, uno caldo e l’altro freddo,vengono posti in uno stampo in modo alternato a formarestrati, posizionando nello strato superiore ed inferiore lacagliata calda in grado di tenere unita la forma. Segue la sala-tura, che avviene a secco per circa 6 giorni e poi la stagiona-tura in locali con temperatura tra i 4°C e i 10°C per almeno75 giorni. Durante questo periodo le forme possono esserelavate con acqua e sale. A 30 giorni dalla produzione le formevengono forate con aghi metallici sulle facce e sullo scalzo ein funzione dell’andamento della maturazione tale operazionepuò essere ripetuta. Viene prodotto tutto l’anno e particolar-mente rinomata è la produzione estiva.Il latte per la produzione dello Strachitunt Valtaleggio Dopproviene da vacche di razza Bruna, alimentate con fieno, erbedi prato polifita della valle e con modeste integrazioni dicereali, leguminose e sale pastorizio. Non è ammesso l’utiliz-zo di insilati di mais.

ALBUM DOP

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PROTEZIONE TRANSITORIA

La Protezione Transitoria è prevista dal Reg. (CE) 510/06 epuò essere accordata dallo Stato membro quando si pre-senta la domanda di richiesta di una Dop/Igp allaCommissione Europea.Ha efficacia solo sul territorio nazionale dello Stato richie-dente e cessa alla data in cui è adottata una decisione sullaregistrazione, sia positiva che negativa. Essa non deveostacolare gli scambi intracomunitari o internazionali.É una prima tutela legale del prodotto che vale solo nelpaese in cui è richiesta la Dop/Igp. Altra tappa importantenell’iter di richiesta è la Pubblicazione, da parte dellaCommissione nella Gazzetta Ufficiale dell’U.E., del docu-mento unico e il riferimento al disciplinare. Da qui devonopassare almeno sei mesi per opposizioni da parte di altristati o persone fisiche ivi residenti. In assenza di opposizio-ni si procede alla registrazione definitiva della Dop/Igp.

Lo chef Gianfranco Vissani, grande estimatoredel prodotto, ha elaborato una sua personale

ricetta: la offriamo ai nostri lettori

Ingredienti per 4 persone160g di riso Carnaroli, 30g di Strachitunt,35cl di infuso di tè nero agrumato, 10g discalogno tritato finemente, 2 foglie di alloro, sale e pepe q.b. ,olio extravergine di olivaq.b., 2 patate medie lessate, schiacciate, 1 cipollotto tagliato a fettine sottili, 100g dispinaci lessati e tritati grossolanamentePer la salsa20 g di Strachitunt marinato per 2 giorni in 15cl di tè nero agrumato, 5g di scalognofinemente tritato, 1 foglia di alloro, sale e pepe q.b., olio extravergine di oliva q.b.ProcedimentoIn una padella, fate colorire 1 spicchio di aglio con un filo di olio e una foglia di alloro,unire le patate e il cipollotto e insaporite con sale e pepe; quando il tutto risulterà leg-germente dorato togliere dal fuoco e lasciare in caldo. Prendete un’ altra padella e fatescaldare un filo di olio, unite gli spinaci e insaporite con sale e pepe, quindi togliete dalfuoco e lasciate in caldo. Preparate la salsa facendo sudare, in un pentolino, lo scalogno con un filo di olio,l’aglio e la foglia di alloro, poi aggiungere lo Strachitunt con tutta la marinatura, insa-porite con sale, pepe e appena il formaggio si sarà sciolto togliete l’aglio, l’alloro e frul-late la salsa, passatela ad un colino fine e aggiustate di densità. Prendete una casse-ruola e fate tostare bene il riso con un filo di olio e lo scalogno, unite la foglia di allo-ro e quando il riso è ben tostato bagnate con abbondante tè nero, precedentementescaldato, insaporite con sale e pepe e portate a cottura; ultimata la cottura, manteca-te a fuoco spento con lo Strachitunt e un filo di olio. Prendete un piatto piano e con l’aiuto di un coppapasta rotondo formate un disco dipatate, fate uno strato di risotto, sopra mettete uno strato di spinaci e poi un altro stra-to di risotto, dopo qualche istante togliete lo stampino e irrorate con la salsa ben caldae un filo di olio a crudo.

Il risotto con Strachituntdi Vissani

di Enrico Surra

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La tradizione laziale casearia è ricca di for-maggi prodotti con latte ovino, tra cui ilnoto Pecorino Romano Dop, in quanto inquasi tutta la Regione la pastorizia rappre-senta un denominatore comune sia dal

punto di vista storico-culturale che economico edancora oggi è molto diffusa.Pertanto non c’è da stupirsi se un pecorino, pro-dotto in quell’area particolarmente votata allapastorizia, come la Ciociaria, tale da esserne rap-presentata da questo allevamento ovino, si propo-ne di ottenere la Denominazione di OrigineProtetta europea dopo aver ottenuto recentemen-te la Dop transitoria nazionale.Si parla del Pecorino di Picinisco che prende ilnome proprio dal principale comune, Picinisco, inprovincia di Frosinone, tra i circa 20 contemplatidal Disciplinare. Il miglior modo di raccontare un formaggio è quel-lo di conoscere chi il formaggio lo produce e mirivolgo alla persona che più di ogni altra si staimpegnando per il riconoscimento e la sua diffu-sione, attraverso l’Associazione ProduttoriPecorino Picinisco di cui Antonio Loreto Pacitti è ilsegretario.Cerco, con fatica, di non fami distrarre dalla parti-colare cornice in cui ci troviamo: una struttura diinizio del ‘900, dal tipico stile inglese e che è statachiamata Casa Lawrence, in onore dello scrittoreche vi soggiornò come ospite, e vado quindi adesaminare i due campioni di formaggio, quello fre-sco, chiamato scamosciato, e quello stagionato,nel nostro caso 120 giorni. Su quest’ultimo rilevosubito la completa assenza di muffa, dovuto al trat-tamento a base di olio di oliva e aceto di vino.Passo alla materia prima con cui viene prodotto ilformaggio: il latte. Proviene esclusivamente darazze tipiche della zona di produzione e nel caso

dei formaggi di Loreto,si tratta di razza metic-cia sarda, in linea conquanto previsto dal disciplinare, che consenteperò anche l’utilizzo di latte di capra (max 25%).Naturalmente quando si parla del latte, la mente vaimmediatamente al tipo di alimentazione utilizzata.Ebbene nel caso del nostro pecorino il pascolo,cui il disciplinare prevede un minimo di 8 mesi distagionatura, è un fattore talmente rilevante, cheall’esame olfattivo non è difficile immaginare i pratinaturali e prati-pascolo della zona, ricchi di essen-ze vegetali spontanee tipiche del territorio, comele graminacee. Così come viene facile pensare aduna assenza di aridità estiva.

Tutti gli odori che si riescono a catturare annu-sando il formaggio, sia quello fresco, che quellostagionato, si confermano all’esame olfattivogustativo negli aromi, con una buona persistenza.Ciò che maggiormente si rileva al gusto è la dol-cezza, molto più pronunciata in quello fresco.Loreto si accorge che guardo in modo particola-re il pecorino stagionato e sembra quasi leggerenel mio sguardo e mi dice: “Credo di aver trova-to finalmente delle grotte dove poter stagionare ilformaggio”. Il prodotto avrà un bel futuro.

PECORINO DI PICINISCODalla Ciociaria in cerca di gloria

di Domenico Villani

CATEGORIAPasta dura, cruda

NOTE DI PRESENTAZIONEStagionatura 120 giorni, latte crudo, latte ovino,luogo produzione Picinisco. Caglio di agnello (aziendale)

ESAME VISIVO E TATTILE• ASPETTO ESTERNOFORMA Cilindrica a facce pianeCROSTA Sottile, rugosaCOLORE Giallo paglierino (carico, uniforme)

• ASPETTO INTERNOCOLORE E SOTTO CROSTA Giallo (dorato),s/crosta mediaOCCHIATURA Irregolare, media, uniformeSTRUTTURA Dura, secca, leggermente granulosa

ESAME OLFATTIVO GUSTATIVO E TATTILEODORI Latte cotto, vegetale (fieno fermenta-to), pascoli di montagna, frutta secca (nocciola) e esotica (ananas)SAPORI Dolce (bassa), acidità (media), salato(medio elevato) AROMI Conferma di tutti gli odoriSENSAZ. TRIGEMINALI Piccante (medio basso)STRUTTURA Dura, friabile, solubile, PERSISTENZA GUSTO-OLFATTIVARetrogusto presente, persistenza medio-alta

LA SCHEDA

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Finalmente anche i formaggi di montagnapotranno dirsi di montagna. E non è ungioco di parole: ora lo stabilisce ilRegolamento (Ue) n. 1151 del 2012entrato in vigore il 3 di gennaio 2013. E,

invece, prima cosa accadeva?Che in Europa ci fosse un po’di confusione, mentre in Italia ilmaldestro Decreto delMinistero delle PoliticheAgricole e Forestali (Mipaaf)del 30 dicembre 2003 aveva difatto impedito ai prodotti Dop eIgp italiani di usufruire dellamenzione “montagna” salvo specifiche e oltre-modo complesse modalità. Era necessario, adesempio, modificare il Disciplinare di produzionedelle singole Dop o Igp (inserendo espressamen-te la previsione di utilizzo della menzione inoggetto) da sottoporre al non facile e sicuramen-te lungo vaglio di Bruxelles. Oltre a ciò, alcuneinterpretazioni di questo macchinoso decretointendevano per montagna esclusivamente quel-la prevista dai riferimenti altimetrici Istat, oltre i600 metri al Nord, 700 - chissà perché - al Sud. Solo l’Asiago e il Castelmagno erano riusciti inquesto macchinoso percorso e, per dieci lun-ghissimi anni, è stato impossibile alle migliaia diproduttori di formaggi di Alpi e Appennini dipoter menzionare il termine “montagna” accantoal nome del loro prodotto, come se qualcunopotesse pensare a una Fontina di pianura! Inalcuni casi erano anche intervenuti i Nas perconto delle repressioni frodi per presunte viola-zioni delle etichette. Come se, di punto in bianco,l’Italia fosse divenuta tutta di pianura. Peggioancora: questa “restrizione” valeva solo per i pro-dotti Dop e Igp, quindi un pastificio posto in peri-feria di Milano o Napoli avrebbe comunque potu-to chiamarsi “di montagna”.Ora si cambia. Prima di tutto il nuovo regolamen-to europeo vale per pressochè tutti i prodottiagricoli e alimentari destinati all’alimentazioneumana, indicati in un allegato al regolamento enon solo per le Dop e le Igp. Non si tratta di unmarchio di qualità, ma una menzione d’origine.Questo regolamento tiene conto anche di avve-dute posizioni italiane espresse, in sede di stesu-ra di regolamento, da parte degli ultimissimi mini-stri all’agricoltura e funzionari. Sono state accoltele indicazioni in merito fatte pervenire da associa-zioni di produttori come Caseus Montanus, con

sede ad Aosta e il Consorzio Conva, con sede aReggio Emilia. In parole spicciole: per montagnasi intendono i territori amministrativi definiticome zone agricole svantaggiate - per intendercii comuni delle ex Comunità Montane e poco più.Sono zone, dove c’è la presenza di un dislivelloaltimetrico di almeno 600 metri, ma non la pre-valenza dei 600 metri su tutto il territorio. Per i

formaggi questa è una distinzio-ne importante perché, da sem-pre, i caseifici, tranne gli alpeg-gi, sono costruiti a valle.L’importante è che il territorio diproduzione e trasformazionesia inteso come “montagna” e,con esso, l’alimentazione deglianimali in misura prevalente.

Cuore del regolamento, infatti, è il punto in cui sidice (art 31) che l’indicazione (facoltativa) "pro-dotto di montagna" è riservata ai prodotti desti-nati al consumo umano in merito ai quali:a) sia le materie prime che gli alimenti per anima-li provengono essenzialmente da zone di monta-gna;b) nel caso dei prodotti trasformati, anche la tra-

sformazione ha luogo in zone di montagna.Cosa comporta questo regolamento per i produt-tori? Finalmente la possibilità di vedere ricono-sciuto il maggior valore del produrre in montagnache, da sempre, è associato a maggiori costi.Cosa significa questo regolamento per i consu-matori? Finalmente la possibilità di capire qualisono i prodotti che originano da zone di monta-gna.Cosa accade per la prima volta? Che finalmenteviene fornito uno strumento semplice ed ufficial-mente riconosciuto che potrà consentire di attri-buire il maggior valore del produrre in montagna.Con il regolamento sarà altresì vietato l’utilizzo diparole simili o che possano indurre in confusio-ne in consumatore. Un passo ulteriore - ed èquello che si stanno chiedendo diversi consorzidi tutela - è se questa menzione d’origine possaanche diventare - ad esempio sulla base di rego-lamenti volontari - una menzione di qualità, conopportune restrizioni sulle materie prime, sullastagionatura o sulla selezione di qualità del pro-dotto pronto ad essere immesso in commercio.Una sfida aperta, ma il dato è tratto. Ora il timonepassa nelle mani di produttori e allevatori.

PRIMO PIANO

I FORMAGGI si scopronodi montagna. Per legge

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di Gabriele Arlotti

Non è un marchioma una menzione

che certifical’origine

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Esempi concreti di applicazione del regolamento si hanno già nelConsorzio di tutela del formadìo, antica definizione delParmigiano Reggiano. Sono 112 i caseifici in comuni di monta-gna, che nel 2012 hanno prodotto quasi 700 mila forme di par-migiano, equivalenti a circa il 20 per cento del totale.

La menzione “prodotto di montagna”, in base al regolamento, può esse-re affiancata alla Dop e «questo strumento consente da un lato di daremaggiori certezze ai produttori interessati a questa possibilità e dall’altrooffre alle autorità preposte ai controlli di operare con maggiore certezza»spiega a “In Forma” il direttore Riccardo Deserti. Da sempre esiste un differenziale negativo tra i costi del formaggio dimontagna rispetto a quello prodotto in tutte le altre aree del comprenso-rio del Parmigiano-Reggiano: un differenziale non marginale, trattandosiin media di un euro al chilo, ovvero di circa 7 euro per quintale di lattedestinato alla trasformazione. Il Consorzio di tutela, titolare del marchio collettivo al quale potrà essereaffiancata la nuova menzione di qualità, propone la gestione unitaria della

definizione aggiuntiva “Prodotto di montagna”. Se si riuscisse, tramiteessa, a recuperare un euro per chilo prodotto - è una stima diConfcooperative Reggio Emilia - significherebbe dunque accrescere lepossibilità di reddito per quasi 100 milioni di euro.

G. A.

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PRIMO PIANO

Imparare a conoscere e valorizzare una “mon-tagna di sapori” è la vera missione di ogniassaggiatore. Certo, salutiamo con grande

riverenza e gioia ogni norma, ogni legge ed ogniazione volta ad aiutare chi consuma e chi pro-duce prodotti di montagna.La vera difesa della montagna nasce e si forti-fica nella sapienza. Ogni legge è inutile di fron-te all’ignoranza, all’incapacità di apprezzare ilgusto e il sapore di quanto è contenuto in unprodotto peculiare come quello ottenuto dalle“mille montagne” d’Italia. Realtà così diversetra loro, ma quasi identiche per la cultura chesviluppano tra le mille difficoltà ambientali esociali.La capacità di interpretare il valore dapprimagustativo e poi sociale ed economico di un pro-dotto diventa l’arma essenziale per la sua difesa.Ed è proprio questa difesa attiva del prodotto edella filiera di produzione, che noi assaggiatoriOnaf dobbiamo imparare a propugnare e, tra-mite le nostre Delegazioni, trasmettere e valo-rizzare.L’Italia è un paese splendido aggrappato a due

dorsali montane poste quasi perpendicolar-mente tra loro che si gettano nel Mediterraneo.Una condizione di per sè ottimale a crearediversità e ricchezza di produzione.Qual è la differenza, sotto il profilo dello svan-taggio economico, di produrre un’infinita quan-tità di prodotti caseari dalle Alpi marittime alle

Alpi Carnie, rispetto alle sommità delle valli del-l’alto Taro e Ceno, o alle produzioni di Maiella eGran Sasso o della maestosa Sila o fino ai MontiNebrodi?Solo la capacità di conoscere, soprattutto diriconoscere, il valore di queste produzioni potràproteggerle in modo davvero efficace. In questoil ruolo di “ambasciatore del formaggio” che èriposto in ogni socio Onaf e che deve trovare ilsenso di concretizzarsi.Solo un palato allenato, capace di una metodicadi assaggio, riesce ad apprezzare la vera naturadi un prodotto e quindi a riconoscerlo e darneun senso nutrizionale, edonistico, culturale edinfine anche economico.Salutiamo una legge benevola ed importante atutela della montagna, qualunque sia la suaaccezione, ma ricordiamo sempre che la veradifesa del prodotto, in particolare se provenien-te da zone di svantaggio produttivo in sensomeramente economico, è fatta solo se lacoscienza dei consumatori e ben educata, ele-vata ed informata. In questo sapere la produzione della montagnasarà salva e la “Legislazione” deve solo esserepresa come un rassicurante ausilio.

Amare le terre alte è una missionedi Lorenzo Noè

Un formadìo che guarda oltre la vettaIL PARMIGIANO REGGIANO“MONTANARO” AL VIA

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Nello stupendo scenario del ParcoNaturale di Paneveggio-Pale di SanMartino, a 1.868 metri, si trova MalgaJuribello, costruita nel lontano 1929,raggiungibile da Passo Rolle con una

facile passeggiata. Attorno alla malga si estendonocirca 180 ettari di alpeggio dove vacche pezzaterosse e brune alpine pascolano libere e felici perdare latte di alta qualità. Nella stagione estiva, tra metà giugno e metà set-tembre, ogni martedì mattina, il “casaro di lungoformaggio” Giuseppe Bordiga diventa docente,tanto paziente quanto gioioso, che con misurateparole introduce alle varie fasi dell’antica artecasearia della trasformazione del latte in formag-gio, come avveniva un tempo e in parte ancoraoggi in alpeggio. Qui tutto è sobrio ed essenzialedove il tempo e la tecnologia si sono fermate, noncerto per pigrizia, ma per quel senso pudìco dellaconservazione della memoria che merita rispetto eattenzione. Alla Juribello si producono il famosoNostrano Primiero, il Dolomiti e la Tosela, il tipicoformaggio premieroto da gustare con i funghi tri-folati, la salsiccia e la polenta, il tutto annaffiato conun buon vino trentino come il Marzemino, laSchiava o il Lagrein. Il latte di pascolo, si sa, ha un maggior contenutosia di proteine che di grassi “buoni” grazie alla ric-chezza delle essenze dell’erbe di montagna e deifiori ricchi di carotenoidi: prodotti, oltre che saluta-ri per cuore e arterie, con un valore aggiunto disapore e colore. Nella stanza della caseificazionedella malga fanno bella mostra di sé due grandi cal-diere Frau di rame, riscaldate con fuoco a legna difaggio, che mostrano tutta la loro lunga freschezza

degli anni che portano. Il latte contenuto nelle cal-diere è quello intero della mungitura del mattinoassieme a quello parzialmente scremato, per rica-varne il “butìro”, della mungitura serale. Raggiuntala temperatura desiderata, 37-38 gradi, al latteviene aggiunto il caglio di vitello e si aspetta conattenzione e curioso silenzio che avvenga la magiaaffascinante della cagliatura, seguita nel suo evol-versi dall’esperto e frequente “assaggio” col ditomignolo del casaro. In circa 20 minuti la cagliata èpronta per essere rotta dallo spino alle dimensionidi chicco di mais. La massa del formaggio vienetagliata poi in sei parti di circa 14 kg ciascuna, partiche vengono deposte con un telo di lino sorrettoin tre angoli dalle mani e un quarto angolo tenutofra i denti del casaro nelle fascere di legno. Leforme vengono quindi pressate per circa 24 ore inmodo tale da eliminare quanto più possibile ilsiero. Il giorno appresso le forme ormai compattevengono trasferite in un bagno di acqua e sale dacucina al 16% per 4 giorni e quindi messe a sta-gionare su assi di abete per almeno 12 mesi. Il siero residuale della cagliata viene trasferito nellaseconda caldaia per essere riscaldato, intorno ai90 gradi, per ottenere la ricotta fumante. Unacuriosità, il fuoco a legna passa da una caldaiaall’altra facendolo scorrere su un binario azionatoda una manovella.Arrivare a malga Juribello é un viaggio nella memo-ria, utile per capire come il passato sia ancora pre-sente, come il sapore sia spesso frutto di passionee della semplicità, dove è facile capire come tuttoquesto possa diventare eccellenza. È un momentoappagante per la mente, la vista e il palato, oltreche per la piacevolezza di “andare a scuola” da chi,come il maestro casaro Giuseppe, sa trasmetterecon gioia un pezzo della nostra storia casearia.

IL FORMAGGIODEL MARTEDÌ

di Paolo Zatta

A Malga Juribello, nello scenario dolomiticodelle Pale di San Martino, continua una tradizione casearia secolare

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Il senso dell’olfatto ha sempre avuto nellastoria un ruolo importante. Ippocrate affida-va a certi odori la capacità di identificare lostato di buona salute mentre nel Settecentoaromi come canfora, mirra e camomilla

venivano considerati dal mondo scientifico veri epropri presidi medico-terapeutici. Freud agli inizidel ‘900 teorizza che il processo di crescita e dicivilizzazione riduce nell’uomo la sua innatacapacità olfattiva a favore di quella visiva. È l’ho-mo sapiens che ha perso gran parte delle suedoti olfattive con la posizione eretta ed utilizzan-do per vivere apparati sensoriali diversi comevista ed udito. A livello d’inconscio tuttavia noimanteniamo ancora una grande potenzialitàistintuale pronta ad essere risvegliata da profu-mi, odori, puzze ed aromi. Questo apparato èstraordinario, ha dell’inverosimile: basta un po’di odore di fumo (bruciato, empireumatico,tostato) e ci mettiamo subito in allerta come difronte ad un grave pericolo; viceversa la lieve esoave fragranza di un dolce appena sfornato cicoinvolge emotivamente e ci attrae in modoquasi irresistibile.L’epitelio olfattivo umano all’interno del naso è ingrado di interagire con più di 400.000 molecolegrazie a dei recettori proteici specifici che cattu-rano tutti gli stimoli odorosi provenienti dal-l’esterno. Una sensibilità dieci mila volte superio-re a quella del gusto dotato solo di quattro sapo-ri fondamentali!Ma come funziona il ”nostro naso”? Quando

annusiamo un formaggio come riusciamo a rico-noscere tante componenti sensoriali così diver-se e così complesse? Con la scoperta delle “pro-teine recettoriali olfattive” i due premi Nobel perla Medicina e la Fisiologia nel 2004, Linda Bucke Richard Axel, hanno dimostrato l’esistenza di339 tipi di recettori: ma con un numero cosìlimitato di proteine come possiamo distinguereun numero così elevato (400.000) di odori?Come con sette note musicali è possibile com-porre un numero infinito di sinfonie e tutte diver-se, così ogni composto chimico molecolare sti-mola una “composizione caratteristica, unica especifica” di questi recettori, consentendo alnostro cervello di cogliere infinite differenze aro-

matiche.Il meccanismo è apparentemente semplice: lesostanze odorose, veicolate dall’aria attraversodue vie, nasale diretta e retronasale, raggiungo-no la mucosa olfattiva, grande appena due cen-timetri e ben protet-ta sotto la base cra-nica. Una voltaimmerse nel muco,le sostanze osmofo-re si legano alle pro-teine recettoriali alivello delle cigliaolfattive, vere e pro-prie “antenne paraboliche di trasmissione” chetrasformano lo stimolo chimico in stimolo nervo-so. La variazione di potenziale elettrico cosìgenerata arriva attraverso il nervo e le vie olfatti-ve, a zone molto diverse del cervello: amigdala,ipotalamo e aree corticali. L’olfatto è l’unico senso umano a diretto contat-to con il cervello ed in particolare con i centriche controllano memoria, emozioni, stati d’ani-mo ed istinti, incluso quello sessuale. Gli odoriche avvertiamo, a differenza degli altri stimolichimico fisici, hanno una corsia preferenziale:non si fermano al Talamo per un controllo preli-minare, ma stimolano direttamente il cervelloviscerale più arcaico (Limbico) scatenando com-portamenti istintuali non ”filtrati”cioè senzaattendere il giudizio della nostra riflessione. I col-legamenti con i centri superiori deputati al lin-guaggio sono deboli ed è la ragione per cui tuttinoi incontriamo difficoltà a parlare di odori.Questo situazione anatomica spiega perché pro-fumi ed aromi sono in grado di attivare non solo

di Mauro De Concinie Giampaolo Gaiarin

L’olfattoè in diretto

contattocon il cervello

L’imperatore Ode al naso,che assegnasull’odore e

FILOSOFIA ONAF

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coscienza, pensiero e memoria, ma anche rea-zioni fisiologiche immediate come situazioniaffettive ed emozioni profonde. Le memorieolfattive non svaniscono mai! La loro forza èlegata all’importanza del contesto, magico odrammatico, in cui l’odore è stato percepito.Ancor oggi il “naso” è il collegamento più diret-to tra il mondo esterno ed il nostro inconscio. Definito da molti autori “imperatore dei sensi”, èlo specialista della percezione chimica in gradodi esprimere, insieme al gusto, il verdetto di qua-lità sensoriale. Odore ed aromi attentamenteidentificati emettono il giudizio finale di gratifica-zione ed armonia di un alimento così complessocome il formaggio.Ma che cosa genera l’aroma di un formaggio?Dalle materie prime (come latte, caglio, innesti) edai complessi processi di trasformazione (comefermentazione, cottura, affinamento) nascono

centinaia di molecole osmofore che appartengo-no a diverse categorie chimiche: acidi, alcoli, ter-peni, esteri, aminoacidi solforati, fenoli volatili,chetoni, aldeidi e furani. Con l’analisi olfattivadobbiamo saper riconoscere e saper misurare idescrittori utilizzatidall’Onaf per i profi-li sensoriali deidiversi prodotticaseari: dalle pastemolli a quelle semi-dure e dure, dallecroste fiorite e lava-te alle paste erbori-nate, dai formaggi freschi a quelli stagionati, daiformaggi a latte vaccino, ovino e caprino. Sonoqueste molecole volatili, ed al contempo idrofilee lipofile, che ci fanno percepire odori ed aromitipici del formaggio: di panna fresca, di latte bol-

lito, di latte acidificato, di yogurt, di erba tagliata,di fieno, di floreale, di tostato, di affumicato, difrutta secca, di agrumi e frutta esotica, di fruttafermentata, di brodo di carne, di animale, di stal-la, di speziato, di propionico, di butirrico, diagro, di acetico, di ammoniaca e di insilato.Degustare un formaggio significa saper utilizzarenel migliore dei modi il nostro sistema recettoria-le. Significa arricchire la memoria sensoriale dinuove esperienze olfattive utilizzando gli stru-menti di conoscenza di cui disponiamo: intelli-genza, curiosità, passione e continuo allenamen-to. Degustare significa saper riconoscere le com-ponenti aromatiche della materia prima, saperdecodificare i processi produttivi, saper identifi-care gli errori tecnologici, saper apprezzare imetodi di affinamento, saper leggere lo stato evo-lutivo e saper esprimere un giudizio motivatodella qualità di un prodotto e del suo territorio.

La filosofia dell’Onaf èproprio questa: di fron-te ad un formaggio qua-

lificare la nostra capacità per-cettiva attraverso percorsiformativi e di perfezionamen-to che ci portino ad essere giudici addestrati, specializ-zati e quindi esperti. La conoscenza dei meccanismipsicologici e neuro-fisiologici del cervello, di tutti inostri sensi e delle percezioni, il continuo allenamentodella sensibilità, il miglioramento culturale e comunica-tivo devono essere un patrimonio irrinunciabile di chivuole essere un “maestro degustatore”. Saper scoprire, saper descrivere il valore di un prodot-to, di un vino come di un formaggio, esalta il godimen-to in ognuno di noi: il piacere, infatti, è molto più limi-

tato e meno gratificantesenza una chiave di lettura ouna spiegazione di tipo sen-soriale. Aprire la mente aimeccanismi percettivi signifi-ca scoprire intimamente le

qualità reali, effettive, e non solo quelle immaginate oraccontate da etichette, da depliant, dal marketing odal giornalista di turno. Il nostro comune interesse verso un utilizzo compe-tente degli organi di senso migliora la qualità dellanostra vita e ne aumenta i piaceri. Ma ha anche i van-taggi di abituare i consumatori alla certificazione sen-soriale e di sensibilizzare i produttori ad elevare la loroprofessionalità e la qualità dei formaggi immessi sulmercato.

La competenza aumenta il piacere

L’importanzadi catturarele molecole

volatili

dei SENSIlo specialista il verdetto l’aroma

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DOSSIER

Quando l’uomopreistoricopreparavail formaggio

Le date del formaggio sono da aggiornare, poiché il “Fregio dellalatteria”, il bassorilievo sumerico del III millennio a.C. che raffigu-ra i sacerdoti nelle operazioni di lavorazione del formaggio, con-siderato fino a oggi il documento più antico, è posteriore dimigliaia di anni dal vero primo nostro antenato.

L’ha dimostrato l’analisi molecolare dei residui di cibo trovato in alcunivasi del villaggio neolitico di Takarkori, in Libia, datati dal 5.200 a.C., dovela scorsa estate furono scoperti molti strumenti usati per la conservazio-ne del latte lavorato, e ciò confermerebbe quanto illustrato nella pitturarupestre locale: già oltre 7.000 anni fa i nostri progenitori producevano ilformaggio. Impararono, senza saperlo, a gestire la coagulazione delle proteine deglizuccheri fermentati e i grassi irranciditi, quel processo che permette difare il formaggio, preservando nel tempo le qualità alimentari del latte.Tale lavorazione era utilissima perché consentiva al latte di diventare piùtrasportabile, di essere conservato a lungo e, soprattutto, lo rendeva assaipiù digeribile, come ha spiegato uno degli autori della ricerca.

Intolleranza al lattosioPeter Bogucki della Princeton University ha, infatti, ricordato come ancheper molti uomini dell’epoca l’intolleranza al lattosio fosse diffusa (il piùcelebre è il caso di “Oetzi”, vissuto oltre 5.000 anni fa) e come la trasfor-mazione del latte in prodotto caseario consenta agli adulti di assorbire iprincipi nutritivi del latte eliminando gli effetti collaterali del lattosio.Probabilmente non si tratta del latte più antico del mondo, ma dovrebberappresentare la trasformazione più antica del latte in formaggio. A scoprire la trasformazione, avvenuta in Africa, è stato un gruppo diricercatori dell’Università La Sapienza a Roma e dell’Unità di geochimicaorganica all’Università a Bristol. Dunque la prima trasformazione del lattevaccino in formaggio. Prova inequivocabile del fatto che gli esseri umaninel preistorico deserto del Sahara utilizzavano il bestiame per la produzio-ne del latte.

Storia del SaharaIl Sahara oggi è uno dei deserti più ostili del mondo. Eppure 10.000 annifa era un ambiente con condizioni climatiche e ambientali molto più favo-revoli alla vita, quelle che caratterizzarono il Periodo africano umido e ver-deggiante dell’Olocene. Un paio di millenni dopo la regione cominciò adivenire più arida e il popolo per adeguarsi al nuovo clima ha adottato unostile di vita nomade e pastorale, almeno secondo quanto testimoniatodalla presenza di ossa di bovini nelle grotte e nel letto dei fiumi. Qui l’al-levamento di bovini, ovini e caprini iniziò ben prima della domesticazionedelle piante. Le popolazioni di cacciatori, pescatori e raccoglitori, cheoccupavano nel decimo millennio a. C. l’Africa sahariana tra gli 8000 e i4000 anni a. C., a causa dei cambiamenti climatici, fuggivano dal desertotrasferendosi verso Est o Ovest, in zone più tranquille. Così quelle popo-lazioni diventarono mandriani nomadi, per adattarsi alle differenti condi-

zioni e risorse ambientali e di sfruttarle a proprio vantaggio per la soprav-vivenza. Ed è lì, e in quel periodo, che avvenne la scoperta della lattasiacida, e nacque, forse, il primo casaro del mondo.

L’evoluzione convergenteLa stessa cosa, cioè l’inizio della lavorazione del latte vaccino, avvennequalche tempo dopo nella “Mezzaluna fertile”, che fu il teatro del passag-gio in Medioriente da una società di cacciatori-raccoglitori a una di sog-getti sempre più stanziali e dediti all’agricoltura. Questo avvenne anche in altre zone del pianeta, nel periodo compresotra il 7° e il 3° millennio a.C. Nel 2800 a.C., troviamo materiale organiconella tomba di un faraone. Nel 2.300, in Mesopotamia, i timbri di pietracilindrici chiamati i Sigilli del re Etana, riportano scene pastorali e lascia-no impressa in positivo l’immagine, come una primordiale Dop. Nel 1100Omero descrive la lavorazione del formaggio nell’Odissea, e su su fino ad

di Paolo Stacchini

DI 7

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IL CACIO

IL CACIODI 7

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arrivare ai tempi nostri. Molti studiosi concordano che il sodalizio tra uomini ed animali avrebbevisto la propria nascita addirittura prima dell’agricoltura. Gli scienziati ave-vano già da tempo ipotizzato che tali allevatori si servissero del latte deipropri animali come nutrimento fondamentale e, oltretutto, lo utilizzasse-ro per la produzione casearia. E siccome questa evoluzione avveniva neglistessi millenni post glaciali, tra persone e popoli distanti “anni luce”, di cuicertamente l’uno non sapeva dell’esistenza dell’altro, l’hanno battezzata“Evoluzione convergente”.Dal punto di vista storico, non è infondata la collocazione della nascita delformaggio nella Mesopotamia, riconducibile a vari millenni prima dellanascita di Cristo. Tuttavia, la scoperta del formaggio era anteriore a quel-la data, gli scienziati ipotizzano che fosse avvenuta addirittura nella prei-storia, quando i cacciatori dell’epoca ebbero la fortuna di trovare delcaglio nello stomaco degli animali uccisi.

Quando è nato il formaggio?È una domanda che può sembrare banale, salottiera, priva di qualsiasi uti-lità pratica; senza contare la difficoltà di prove concrete che supportinoun abbozzo di risposta. In fondo, si tratta più che altro di una ipotesi.Tuttavia sappiamo per certo che il formaggio era conosciuto in tutto ilmondo antico, Europa, Asia e Africa, mentre non se ne trova traccia nelcontinente americano. Ciò è spiegabile con l’assenza di pecore e capre in quella parte di mondo,in cui compariranno soltanto molto tempo dopo. Inoltre iI ritrovamenti disiti e di pitture rupestri, scoperti più volte in zone diverse, grazie alle attua-li tecniche di datazione molecolare, sposta sempre più indietro la nascitadel primo formaggio nella storia dell’umanità. E qui l’idea prende corpo, diventa interessante: a dicembre 2012 hannostabilito che i primi formaggi nacquero nel Sahara 7 mila anni fa.

7 MILA ANNI FAAfrica dal satellite

Vasi del deserto libico di cui parliamo nel ritrovamento contenenti particelle di formaggio

Nelle rocce delle caverne una natura incredibiletra oceano e desertooltre 7000 anni fa

L’arte rupestre africanaha da sempre fornito la prova delle attività di allevamento e pastorizia che avevano luogo in territoriattualmente desertici

Foto: Archivio MissioneArcheologica nel Sahara,Università Sapienza di Roma

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7 MILA ANNI FA

Page 24: L'arte del formaggio ieri e oggi L'arte del formaggio ieri e oggi

Una storia lunga millenni quella del Conciatoromano che da sempre la famiglia Lombardiproduce nei fertili ed incontaminati pascoli diTerra di Lavoro (Caserta). Un formaggio dalgusto antico prodotto già all’epoca dell’impero

romano. Una lavorazione completamente artigianale portaalla produzione di piccole formagelle a latte misto di peco-ra, capra e vacca, che vengono successivamente “concia-te” con timo serpillo, peperoncino, olio extravergine d’oli-va e vino prodotto dall’antico vitigno Casavecchia. Tutto rigorosamente prodotto o raccolto nell’azienda agri-cola della famiglia. Il formaggio ed il suo condimentodimorano insieme dagli 8 mesi ai due anni fermentandoin anfore di terracotta che verranno di frequente scosseper permettere alle forme di rimanere sempre a contattocon l’umidità della concia. Ne risulta un formaggio com-plesso, dal gusto intenso e persistente, di diversa consi-stenza a seconda del periodo di stagionatura. Spesso utilizzato come esaltatore di gusto da grandi chef,negli ultimi anni incontra il favore anche di illustri maestripizzaioli che lo utilizzano per ridare vita ad antiche ricette,

FOCUS

IL CONCIATOROMANOTimo serpillo,peperoncino,olio e vino

di Barbara Guerra

Il formaggiodimora insiemeal condimento

in anfore di terracottaper un periodo dagli otto mesifino ai due anni

come Franco Pepe (Pepe in grani a Caiazzo) che lo utiliz-za per la sua pizza “mastonicola” con strutto e fichi ocome i Fratelli Salvo (Pizzeria Salvo da Tre Generazioni aSan Giorgio a Cremano) che lo usano come ingredientedi una moderna pizza dedicata alle tipicità più antichedella Campania “papaccelle e conciato”. La suggestione di una produzione limitata e intimamen-te legata alla storia stessa dell’uomo in un territorio riccodi fascino colpisce nei suoi aspetti gastronomici maancora di più per la passione che anima la famigliaLombardi che fortemente crede nell’agricoltura di quali-tà, impegnandosi molto anche sul fronte della comuni-cazione e nell’educazione delle nuove generazioni aigusti autentici e salubri.

Il Conciato Romano è spesso utilizzato dagli chef

come esaltatore del gusto

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Per la grande quantità di formaggio prodotta nello stato del Wisconsin(Usa), i suoi abitanti vengono soprannominati, talvolta con intentodispregiativo, “Cheesehead” (Teste di formaggio). Con un indubbiosenso dell’umorismo, quindi, ecco come i fans della squadra di football“Green Bay Packers, che gioca nella National Football League, hannodeciso di distinguersi: cappelli, scarpe, maschere a forma di formaggio,con dei bei buchi perché non ci siano dubbi. La moda è nata nel 1987,in occasione della partita fra il Milwaukee Brewers e il Chicago WhiteSox. Un certo Ralph Bruno, tifoso della squadra locale, utilizzando laschiuma dell’imbottitura del divano della madre, ha confezionato alcunicappelli a forma di formaggio. Visto il grande successo dell’iniziativaRalph ha avviato un vero e proprio business producendo una linea com-pleta di “oggetti formaggio”.

Altri mondidi MASSIMO PELAGATTI

Pin-Up per il latte crudoGéraldine Gruyère, Estelle Livarot, Adeline Camembert o BrigitteBanon: sono alcune delle pin-up che presentano ognuna un formag-gio francese a latte crudo, fotografate per un calendario. Per l’ottavoanno consecutivo l’Association Fromages de Terroirs pubblica il suo“affascinante e piacevole”, calendario con cui augura un felice anno,deliziato dalle procaci from’s girl. Secondo l’Associazione, i formaggi tipici sono sotto la costanteminaccia dell’industrializzazione, favorita dalla necessità dei grandigruppi lattiero-caseari di diminuire il costo unitario di produzione. Con questa iniziativa si tenta di mantenere alta l’attenzione dei consu-matori sui formaggi artigianali e a latte crudo (es. il Cantal o il Banonche esistono da oltre 2000 anni e rischiano la loro integrità tradizio-nale).Può essere ordinato dal sito www.fromages-de-terroirs.com.

Il formaggio si mangia, ma non è sempre detto…

Qual è il segreto del formaggio coi buchi piùfamoso del mondo? Lo ha spiegato Hans-PeterBachmann, responsabile del settore ricerca elatticini di Emmentaler Switzerland, che presen-ta la nuova tecnica di produzione adottata peril lancio del nuovo Emmentaler Dop. Grazieall’esclusiva Geco-Tecnologia, Emmentaler hainfatti trovato il modo di avere mucche più rilas-sate e produrre latte eccellente con un sempli-ce espediente del tutto naturale o, per megliodire, animale: basta mettere un geco su ogni

mucca che,avido com’è del suocibo preferito, provvede a man-giarsi tutti gli insetti che altrimenti infastidi-rebbero le mucche alterandone l’umore e,quindi, la qualità del latte. La geco-tecnologia infatti era uno scherzo, unpesce d’aprile del consorzio Emmentaler (conla “complicità” dell’istituto di ricerca ALPAgroscope Liebefeld-Posieux e del suo respon-sabile del settore di ricerca trattamento del

latte, il dottor Hans-Peter Bachmann).Centinaia di persone erano accorse allaBärenplatz di Berna per assaggiare in primamondiale il nuovo Emmentaler prodotto conGeco-Technology, ma in fondo non è andataloro male, dato che hanno potuto avere gene-rosi assaggi del solito, gustoso formaggio.

Geco-tecnologia,scherzetto svizzero

Bidoni senza frontiere

Il bidone da latte da 40 litri è ormai quasisolo un mito, un simbolo del vecchiomondo rurale. E la sua reputazione èancora più importante se si pensa chenella sua vita utile ogni esemplare puòaver raccolto fin quasi 1 milione di litri dilatte, per fare circa 100 mila chili di for-maggio. Ora quei bidoni sono diventatiun’ironica e poetica saga fotografica. II fotografo Gérard Benoît à la Guillaume,dalla fine degli anni ‘90, all’interno digrandi manifestazioni ne ha promosso ilriscatto. Il fotografo che vive a cavallodella frontiera franco-svizzera del Giura, èdiventato un “caso internazionale”.Maliziosamente l’artista li posiziona all’in-terno di un paesaggio, di un sito urbano,o a sottolineare un evento. L’obiettivo delprogetto “Bidoni senza frontiere”: “Nonci abbandonate… rispettate la nostramemoria e il lavoro che abbiamo fattonon relegandoci solo al ruolo di porta-ombrelli”.

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Una scommessa lanciata da Hansi Baumgartner, raffinato affina-tore di formaggi, è quella di degustare alcuni tè con formaggiselezionati. Secondo Hansi, infatti, le caratteristiche di ciascuncacio quali grassezza, struttura, aromi erbacei o fruttati posso-no armonizzarsi con le qualità di tè differenti che, come un vino,

sono dotati di una certa tannicità, apportante astringenza, e di una riccasfumatura di aromi e sapori. La veridicità di questa teoria si può testareempiricamente sorseggiando un tè verde, venduto ormai quasi ovunque,con un formaggio non troppo stagionato e leggermente aromatico capacedi equilibrarsi con la leggerezza della bevanda.Tuttavia, desiderando realizzare una degustazione “prestigiosa”, si è deci-so di interpellare per la scelta dei tè il dottor Saverio Robustelli, il qualeoltre a essere un profondo conoscitore della storia mille-naria della bevanda, si è rilevato un maestro nellacernita; mentre per i formaggi ci si è rivolti ovvia-mente a colui che ha sviluppato l’idea, l’altoa-tesino Hansi Baumgartner.

Le coppie in vetrinaI protagonisti del primo abbinamentosono stati il Gunpowder, il tè verde piùbevuto al mondo, la cui foglia vienearrotolata a mano a formare piccolepalline che ricordano la polvere dasparo, e il Mentha formaggio a lattecrudo affinato per circa 40 giorni nellefoglie di menta piperita che ne decoranola crosta. Al naso i profumi di erba fresca dientrambi si armonizzano perfettamente men-tre in bocca il gusto un po’ amarognolo dellabevanda viene ben equilibrato dalla dol-cezza del formaggio la cui aromaticitàche riporta sentori “di pepe” si sposaelegantemente con il Chu Cha, nomeoriginale del tè in assaggio. Nella seconda coppia il maestoso tèverde di montagna Dao Ren Mao Feng,letteralmente “punta dei capelli”, siaccompagna degnamente sia al naso,grazie ai sentori speziati di entrambi, siain bocca con il Wirzi, formaggio vaccinoaffinato con pane croccante di segale estagionato per circa novanta giorni.In modo particolare gli aromi evidentementefruttati di entrambi creano una perfetta sintonia.Il terzo connubio d’infuso nasce tra il semifermentato più famoso diTaiwan, l’Oriental Beauty, apprezzato in tutto il mondo per i suoi sentori dimiele e frutti, ottenuti grazie all’azione naturale di un piccolo insetto, e ilprelibato Kloaznkas, camembert vaccino affinato con la farina di piccolepere, fatte seccare al sole e macinate in mulini seguendo la tradizionealtoatesina. L’opulenza elegante dei profumi, dei sapori e degli aromi di

IL TÈ E I FORMAGGISinfonia di aromi e sapori

TENDENZE

entrambi sono straordinari e tali da chiedersiil motivo per cui separarli.Infine nell’ultima unione il Dian Hong YinZhen, tè nero cinese di notevole pregio per lagrande quantità di gemme presenti s’incontracon il Pecorino, di media stagionatura prove-niente dalla Maremma. Se nel naso entrambiemanano profumi erbacei in bocca si sviluppauna sinfonia armonica tra gli aromi di litchi,rosa e leggermente tostati del tè e quelli latti-ci e fruttati del prodotto caseario.

di Yvonne Falcone Carranza

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La bevanda d’oriente come il vino è ricca di tannino Hansi Baumgartner

Perché questo abbinamento?Per le caratteristiche chimiche che avvicinano il vino al tè, per i cosidettidescrittori comuni ad entrambi, per tentare di svincolare il cibo all’alcool,non a tutti e non a tutte le ore gradito, per avvicinare culture estremamen-te lontane. Il gioco non solo è ben riuscito, ma ha messo in luce la capacità del for-maggio di adattarsi ottimamente con La dame aux camélias.

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E I FORMAGGIi aromi e sapori

Èla bevanda ottenuta dalle foglie di una pianta coltiva-ta nelle zone tropicali e subtropicali che oltre adamare i terreni acidi e permeabili, è in grado di adat-

tarsi a temperature comprese tra i 10 e 30 gradi. La suaqualità è maggiore quando l’albero ha circa quattro annie gli “organi aerei” vengono raccolti intorno ai 2.500metri di altitudine. Può provenire da due varietà di cui laprima Camelia sinensis sinensis è originaria del sud delloYunnan mentre la seconda Camelia sinensis assamicaproviene dalla provincia indiana di Assam.Secondo la modalità di essicazione, in base al grado diossidazione e alla lavorazione, è possibile distinguerla insei tipologie definite bianco, verde, giallo, semifermenta-to (verde/blu),tè nero (tèrosso) e il tè PuErh (tè nero oscuro). Per leprime tre ènecessario chele foglie sianocolte alla finedel l ’ inverno,quando sonoparticolarmen-te ricche disostanze aro-matiche men-tre per lerestanti si com-pie in periodid i f f e r e n t i .Mentre il pre-zioso tè biancosi distingueperché costituito esclusivamente dalle gemme il cui colo-re è bianco lanugine, i restanti sono costituiti da foglie icui polifenoli hanno un diverso grado di ossidazione chenei tè verdi non avviene. I tè semifermentati, detti anchetè Oolong, traduzione di Wu Long (Drago nero), subisco-no una parziale ossidazione che oscilla dal 12-15% nelmetodo cinese al 60 - 70% in quello di Formosa mentrenei tè Pu Erh è completa.Infine a perfezionare le infinite sfumature dei profumi,sapori ed aromi di ciascun tè agiscono le molteplicimodalità di piegatura, arrotolamento e la forma che lefoglie assumono. Da un punto di vista chimico il Té è ricco in polifenoliquali catechine come l’epigallocatechina gallato (EGCG)che svolge un’importante azione antiossidante, e i tanni-ni, e in alcaloidi quali la caffeina e la teofillina.

Y. F. C.

Ma chi è la signora delle Camelie?

Alcune delle miscele di Tè usate per gli abbinamenti con formaggi particolari

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TACCUINO DI VIAGGIO

ongyaerbean, ultimo avamposto di mille anime, nell’arci-pelago delle isole Svalbard, 80mo parallelo di latitudine.Profumi di carne stufata e vapori di cucina mi portano allaKrua del villaggio, un pub illuminato da candele e rivestitodi pelli e trofei. Ordino il piatto tipico locale, a base di

carne di renna, animale cacciato in numero rigorosamente controllatonell’arcipelago. Ma è il companatico ad offrire una riflessione gastronomica: Geitost eTyttebearsy Syltytler in un piatto a parte, ovvero formaggio di caprabruno e confettura intiepidita di mirtilli rossi. Con una paletta affilatalamino una porzione di formaggio, che va consumata con la confetturae la sella di carne, soda e ben rosolata. Cerco di approfondire qualchedettaglio con la cameriera, una sorta di leviatano essere, algido e dipoche parole. Si tratta di un formaggio di capra, com-patto e di forma rettangolare, ottenutoper condensazione del latte di capra, cheviene successivamente mescolato conlatte o crema di latte, a seconda dellecaratteristiche nutrizionali e sensorialidesiderate. Il latte condensa e lentamen-te si caramelizzano gli zuccheri, confe-rendo al formaggio il tipico colore brunoe una nota lievemente tostata. Ricorda il“dulce de leche” argentino, di oppostelatitudini, quest’ultimo generalmente rea-lizzato con latte di vacca. Il boccone norvegese si scioglie inbocca, sa di arachide, di capra, di noce,un po’ dolce e salato. La sensazione dimou al palato è contrastata dall’acidita’del mirtillo rosso. Ho scoperto successi-vamente che un tempo si mescolava ilfrutto tal quale con lo zucchero, ora perpraticità si usa la confettura. Questa hapezzi interi di frutta croccanti che sidevono rompere contro il palato. È unatempesta di sapori: prima l’astringente“allappa” la bocca poi il fondente la rilassa, quindi la dolcezza burrosadella frutta secca: le papille gustative sono in overdose sensoriale eserve qualche minuto per “decodificare“ i descrittori. La strana coppia“formaggio-frutto di bosco” si rivela in realtà versatile, per accompagna-re una sella di cervo o fegato d’oca, spalmato su una fetta di pane neroasciutto e croccante. Il tutto abbinato ad un vino rosso della Valtellina. All’ora del tè, infine, il match alternativo potrebbe essere con una caldatazza di Lapsang Souchong Crocodile, di foglia lunga, rigorosamentesenza zucchero, da assaporare con il naso.La compagnia di queste note gustative si ricorda piacevolmente, quan-do, pagato il conto, indubbiamente scandinavo nella sostanza, lo scar-pone ritorna sul permafrost e non vi é illusione che i piedi restino asciut-ti a lungo. Brivido di stanchezza e gioia per la scoperta di una nuova pro-posta gourmet a poco più di 1000 Km dal Polo Nord.

Alle Svalbard vive un italiano, Stefano Poli, un esploratore caparbio ed appassio-nato che ha fatto del suo amore per l’artico ragione di vita e imprenditoria. Graziea lui alle Svalbard è stato inaugurato un Museo dedicato all’impresa del nostrocompratriota Umberto Nobile, che guidò proprio dalla base di Ny-Ålesund unaspedizione verso il Polo Nord, dal tragico epilogo. I racconti di Stefano, accen-tati con una simpatica “erre sdrucciola” e qualche espressione vagamente nord-italica, fanno capire che anche in una terra apparentemente brulla e desolata, sipuò decidere della propria sorte e realizzare qualche sogno.

di Elsa Cugola

Un formaggio alle isoleSvalbard

Scoperteda BarentsLe Svalbard si trovano a latitudine81 N, 990 Km dal Polo Nord,grandi circa la metà dellaSvizzera. Parte della superficie èrivestita da ghiaccio perenne.Malgrado l’estrema posizionegeografica, le Svalbard godonodi una temperatura relativa-mente mite, grazie alla corren-te del Golfo. Per molti secoliqueste isole furono una terra“senza stato”, per avventurieri dell’artico, navigatori e minatori.L’incontestabile scoperta delle Svalbard si deve a Willem Barents, ma si sup-pone che i Vikinghi ne conoscessero l’esistenza sin dal 1194. Molti pensanoche le Svalbard siano norvegesi; più precisamente l’arcipelago è un protetto-rato norvegese, come stabilito dal trattato di Sèvres nel 1920. Sono presentianche rappresentanze di altre nazioni: gli Usa, la Russia, l’Italia (con una basedel Cnr a Ny-Ålesund).

L

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NON TUTTI SANNO CHE...

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TERRITORI/1

di Andrea Magi

L’amena Toscana, con la sua varietà diterritori, ha un minimo comunedenominatore nel campo dei for-maggi: il pecorino. Questo “cacio”,di puro latte ovino o misto, è quello

che impegna maggiormente le nostre popolazio-ni rurali, sia nelle grandi produzioni che in quel-le per consumo circoscritto. Stiamo parlando della Toscana a Suddell’Appennino Tosco-Emiliano, nelle provincedi Arezzo e di Siena, che da sole coprono unquarto del territorio di tutta la regione e si pre-sentano molto eterogenee dal punto di vistamorfologico.Dal crinale appenninico che delimita anche ilconfine della regione, si passa ai subappenninidel Pratomagno e del Casentino ed alle vallatedella Valtiberina, del Valdarno e dellaValdichiana, che fanno da congiunzione con ilterritorio di Siena per poi tuffarsi nel meraviglio-so scenario delle crete senesi. Tutto ciò ci aiutaa capire la complessità e la diversità del territo-rio, che diventa caratterizzante per le rispettiveproduzioni casearie.L’area è pervasa dalla presenza di una popolazio-ne ovina di razza sarda introdotta, a partire daglianni Cinquanta e Sessanta, dai pastori sardi e illoro arrivo nella regione ha offerto il segno alletrasformazioni determinando il graduale abban-dono della transumanza e della mezzadria con isuoi greggi poderali, per passare all’allevamentodi animali atti a una maggiore e copiosa produ-zione di latte.Le molte produzioni di pecorino derivano dal-l’esperienza dei nostri avi, che per pura necessi-tà di sostentamento, producevano piccole parti-te di formaggi per l’uso della famiglia, doveognuno metteva a frutto le proprie conoscenze.Negli anni a venire la richiesta di mercato haportato a una specializzazione tecnologica delprodotto con la nascita di caseifici sociali e indu-striali mantenendo però sempre un filo condut-tore legato alla tradizionalitá.Nel panorama produttivo caseario, il rispettodella tradizione ha consentito di raggiungerestandard qualitativi alti, con differenze chedistinguono i pecorini delle varie zone. Il piùconosciuto è il Pecorino di Pienza che rappre-senta la Toscana in Italia e nel mondo ed è unprodotto nato dalla fusione di tecniche propriedella confinante montagna dell’Amiata e quelledelle crete dove molta importanza ha il pascoloche, per la natura del terreno argilloso, è tipica-

mente povero di erba ma ricco di piante autoc-tone, con rare e pregiate essenze che rendonounico il pecorino delle crete senesi.Vale comunque la pena di segnalare i tanti etanti piccoli produttori, ognuno differente pergregge, territorio e tipologia di lavorazione, chedanno modo di apprezzare le realtà di produzio-ni agroalimentari tradizionali (Pat) come ilPecorino di Fossa del Greppo e il GrandeVecchio di Montefollonico così pure il Raviggioloe l’Abbucciato Aretino.Sono le piccole aziende che rendono grande laToscana e l’Italia intera, portando nel mondo iprodotti genuini ancora legati alla tradizione.

Voci dalla ToscanaVoci dalla ToscanaDa noi si vaa comprarei formaggialla Fierucola

Voci dalla Toscana

Dagli Appenninialle CreteDagli Appenninialle Crete

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Pecorino firmatocaseificio sociale

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Una revisione del Piano di sviluppo rurale della Regione Toscana per ilperiodo 2007-2013 è stata approvata dalla Commissione europea.L’approvazione del Psr rende pienamente disponibili ulteriori risorsepubbliche per la Toscana che saranno indirizzate solo ed esclusiva-mente alla realizzazione di operazioni compatibili con le “nuove

sfide” dello sviluppo rurale tra le quali le misure di accompagnamento allaristrutturazione e di sostegno all’innovazione del settore lattiero-caseario. Si trat-ta di un’esigenza fortemente sentita, poiché, in Toscana, il settore è minacciatosia dall’aumento costante dei costi di produzione che dalla riduzione continua

del prezzo del latte.La priorità individuata dal Piano consiste in unrafforzamento delle imprese di prima lavora-zione e di trasformazione collegate alla produ-zione primaria (latte), in modo da incrementa-re il valore aggiunto del prodotto a favore deiproduttori stessi e migliorare la competitivitàdel settore. A tali fini, la tipologia di operazio-ne sostenuta è quella del miglioramento dellatrasformazione e della commercializzazioneconnesse ai prodotti lattiero caseari collegabi-le con quanto già previsto nella misura 123,sottomisura a), dello stesso Piano, ovvero l’ac-crescimento del valore aggiunto dei prodottiagricoli.Ed è proprio nella direzione di rafforzare illegame tra produzione primaria e di trasfor-mazione (prodotto caseario) al fine di incre-mentare e distribuire tra i produttori ancheprimari il valore aggiunto prodotto dalla filieraproduttiva che è interessante segnalare unaoriginale iniziativa denominata “PecorinoFirmato”.Questa iniziative è stata intrapresa a partiredall’anno 2011, dal Caseificio sociale di

Sorano, una cooperativa che nasce nel 1963 e riunisce 120 allevatori delle pro-vincie di Grosseto e Siena, con lo scopo di valorizzare la vocazione silvo-pasto-rale del territorio. L’iniziativa consiste nel creare una carta d’identità del formag-gio da quale risulti con esattezza la provenienza della materia prima per la pro-duzione. Nasce così in Toscana il pecorino “firmato” con una vera e propriacarta d’identità, come quella che contraddistingue il pecorino “marzolino” fir-mato del Caseificio sociale di Sorano (Grosseto).L’iniziativa, originale per il nostro paese, è stata brevettata, e si propone di ren-dere tangibile ai consumatori fin dall’etichetta la tracciabilità del prodotto.Nella carta d’identità sono presenti anche le firme, con tanto di indirizzo, delle18 aziende, tutte locali, che hanno prodotto il latte con il quale sono confezio-nati i formaggi dal Caseificio sociale di Sorano. Si tratta di un efficace esempio che rende concreta la ristrutturazione della filie-ra produttiva nel senso di un più stretto legame tra produttore primario e con-sumatore finale, come auspicato dal Piano di sviluppo regionale. Infatti, stiamoparlando di prodotti che vengono prodotti in Toscana, lavorati in Toscana, conlatte di aziende toscane, e venduti sui banchi della grande distribuzione tosca-na. Il “pecorino firmato” è un’idea che rende trasparente e stringente per il con-sumatore il legame con il territorio ed offre la garanzia che il prodotto ha subì-to tre soli passaggi essenziali: allevatore, trasformatore, banco di vendita.

di Giuseppe Soin

AFirenze da quasi 30 anni si svolge un mercato dovegli agricoltori vendono direttamente alla gente ipropri prodotti.

Si tratta del recupero di una antica tradizione secondo laquale l’8 settembre in occasione della festa della Nativitàdella Madonna i contadini venivano in pellegrinaggio allaChiesa della Santissima Annunziata portando i prodottidei loro campi e dei loro animali che poi venivano vendu-ti nella piazza davanti alla chiesa.La fierucola di oggi è fatta da persone che coltivano i pro-pri campi e allevano i propri animali in realtà rurali biolo-giche di piccole dimensioni gestite direttamente con ilproprio lavoro e con quello dei familiari. Per i fierucolanti l’agricoltura non è semplicemente unlavoro ma è il modo di vivere i propri ideali e la Fierucolaè ormai da anni un luogo di incontro e di condivisione divalori tra i contadini e quelli che cercano i loro prodotti.Tra questi ci sono formaggi a latte crudo che vengono dadiverse zone della Toscana e qualche volta anche da altreregioni.Si possono trovare i pecorini senesi o delle montagnepistoiesi, i caprini del Chianti o del Casentino e i formag-gi vaccini di Marradi.E’ un’occasione interessante per conoscere ed acquista-re formaggi incontrando le persone che li fanno e per sta-bilire relazioni basate sulla conoscenza e sulla fiducia per-sonale più che su certificazioni burocratiche.Oltre alla Fierucola del Pane che si svolge in PiazzaSantissima Annunziata nel fine settimana più vicino all’8settembre, altre fierucole sono dedicate ai pastori, ai lana-ioli, ai semi (che vengono scambiati tra contadini e chiun-que sia interessato a usare sementi di varietà locali) e adaltre realtà della vita contadina.Inoltre ogni terza domenica del mese si svolge laFierucolina in piazza S. Spirito.

R. F.

a Toscanaa Toscanaa Toscana

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TERRITORI/1

Nella riscoperta di prodotti della tradizione, che nel recente passato nonhanno retto il confronto con la produzione industriale e che da decen-ni sono spariti dal panorama caseario toscano, i caseifici delle aziende

agricole possono essere i “laboratori culturali” in cui ritrovare e sperimentarericette storiche ancora capaci di rispondere alle esigenze culturali e gastrono-miche degli amanti del formaggio.In Toscana è quasi completamente scomparso il Marzolino di Lucardo: unpecorino fatto con caglio vegetale di cardo selvatico e di forma rotondeggian-te irregolare a causa del fatto che la cagliata veniva spremuta e fatta maturareall’interno di sacchi di tela che venivano appesi. È vero che si trovano oggi incommercio diversi formaggi denominati marzolini ma altro non sono che pic-cole caciotte e nulla hanno a che vedere con la tipologia originaria del marzo-lino toscano.Curiose sono le pagine riguardanti il Marzolino di Lucardo nelle “Esperienzeintorno alla generazione degli insetti” di Francesco Redi (1668), un testo diparticolare importanza nella storia della scienza nel quale veniva applicato allabiologia il “metodo sperimentale” che Galileo aveva teorizzato ed applicatonelle scienze fisiche. Negli esperimenti del Redi il marzolino veniva usato per

confutare la teoria della generazione spontanea dimostrando che le larve dellamosca del formaggio potevano svilupparsi solo se questo entrava in contattocon le mosche adulte che vi deponevano le uova. Il fatto poi che FrancescoRedi nelle lettere al padre chieda alcune forme di marzolino per pagare i suoiprecettori è la dimostrazione della presenza di tale formaggio nella vita quoti-diana degli uomini del tempo. Infine un’importante ricetta del Marzolino di Lucardo si ritrova in un mano-scritto di Lorenzo Magalotti (intellettuale di area medicea contemporaneo delRedi) conservato all’Archivio di Stato di Firenze. Il marzolino “storico”, scomparso nel secondo dopoguerra, è stato oggettorecentemente di qualche tentativo di recupero da parte di un piccolo gruppodi pastori senesi. L’esperienza non ha avuto ancora il successo che meritanecessitando il prodotto di ulteriori messe a punto della tecnica produttiva talida dare caratteristiche qualitative più costanti e buona conservabilità. Questoformaggio infatti dà il meglio di sé con la stagionatura (in passato veniva sta-gionato anche per anni).Un progetto appena avviato dal Dipartimento di Biotecnologie agrariedell’Università di Firenze e dall’azienda Paugnano di Radicondoli (Si) si propo-ne di metterne ulteriormente a punto le tecniche di produzione e di caratte-rizzare il prodotto dal punto di vista chimico e delle caratteristiche sensoriali.

di Roberto Funghi

di Gianfranco Dell’Arsina

Una volta era la grande selva. Certo è che laGarfagnana, regione storica della provinciadi Lucca situata nella media e alta valle del

fiume Serchio, resta impressa agli antichi vian-danti e ai più moderni viaggiatori per la suaimmensa estensione di verde.In estate, ampie macchie dorate di messi si allar-gano tra il verde: sono i campi di farro, segale,grano che dopo anni di incuria e di abbandonosono tornati ad essere coltivati. Imponenti, con laloro presenza grigio azzurra nelle brume mattuti-ne o splendenti nell’oro del tramonto, le Apuaneregalano a questa valle caratteristiche uniche. La vita qui è ancora scandita dal ritmo delle sta-gioni, una fortuna che ormai pochi hanno.Ciò anche perché la Garfagnana è terra a vocazio-ne agricola e zootecnica; le pecore, qui allevateprincipalmente di razza massese, sono adatte allaproduzione di ottima carne e ottimo latte mentre

la loro lana è poco morbida e pungente altatto. Fino alla metà del secolo scorso ilnumero delle pecore era altissimo; si rac-conta che nella valle di Soraggio, nelperiodo estivo, ne siano state contatetrentacinquemila. Oggi in tutto il territoriosono assai diminuite, ma ciò nonostantene sono rimasti vivi i ricordi e le usanze.Il latte dopo lo svezzamento degli agnelli, è usatoquasi del tutto per la produzione di ottimo for-maggio direttamente dai pastori.Gli amministratori locali hanno voluto sosteneretutte le produzioni tipiche che hanno segnato ildivenire della valle, tra cui il Farro dellaGarfagnana che ha ottenuto il riconoscimentoeuropeo Igp e la Farina di Neccio (di castagne)per la quale è stata richiesta la Dop.Per quanto riguarda i formaggi, ogni anno a set-tembre si tiene la tradizionale Fiera delFormaggio, nell’ambito delle Manifestazione“Ponti nel Tempo” promossa dalla Provincia diLucca e patrocinata dall’Unione ComuniGarfagnana, presso il suggestivo “Loggiato Porta”a Castelnuovo. È una fiera-mercato che fu con-

cessa dagli Estensi signori di questi territori e neltempo sempre mantenuta. L’evento, promossodal Comune, è finalizzato a sostenere la tipicitàdei formaggi e a reintrodurre razze autoctonecome la “pecora garfagnina”.Questo appuntamento vede piccoli casari ecaseifici della valle uniti a partecipare al concorso,animando questa manifestazione con le loro pro-duzioni.L’Onaf organizza la giuria tecnica che assaggia iformaggi anonimi in gara e determina le gradua-torie dei vari tipi: pecorini, vaccini, caprini e misti.Prevalenti sono i formaggi pecorini ma negli ulti-mi anni si fa sempre più interessante la produzio-ne dei caprini.

Riscoprireil Marzolino di Lucardo

VOCI DALLA TOSCANA

Verde Garfagnana

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rtefice di alcune perle della gastro-nomia lattiero-casearia italiana, ElioGambardella è scomparso prema-turamente lasciando il testimone alprossimo pioniere che vorrà stabi-

lirsi a Capraia per accudire le caprette selvagge econtinuare l’atavica produzione di Caprini al pro-fumo di Mediterraneo.L’Isola di Capraia, la terza per grandezza dell’arci-pelago toscano, è inserita all’interno del ParcoNazionale dell’Arcipelago Toscano, un’area pro-tetta che comprende circa diciottomila ettari diterre emerse e sessantamila ettari di area marina.Possiede l’unico invaso naturale di acqua dolce ditutto l’arcipelago, ed essendo inserita in uno deipiù noti corridoi migratori faunistici tra l’Africa el’Europa, è un punto obbligato di sosta e di ripro-duzione di grandi quantità di specie volatili. Isola“selvaggia” per definizione, è il risultato di unadoppia eruzione vulcanica: una antichissima, risa-lente a circa 9 milioni di anni fa ed una più recen-te, datata “appena” un milione d’anni or sono.Coste scoscese a picco sul mare, rocce dai colo-ri intensi e contrasti cromatici impressionanti nesono la testimonianza visibile. I disegni dellecoste, affascinante spettacolo di scultura dovutaalla lava, al mare ed all’erosione del vento, fannoda cornice a una orografia incredibile per un’iso-la così piccola: l’interno di Capraia è infatti con-trassegnato da strette valli su cui si affacciano verie propri “monti” in miniatura, con le loro cresteed i loro anfratti, bordeggiati da vadi che durantel’inverno si riempiono d’acqua piovana scorren-do a valle sino in mare con piccole cascate elaghetti effimeri. La vegetazione dominante è lamacchia mediterranea, che cosparge Capraia diprofumi intensi e allo stato naturale i caprini scel-gono rifugio nelle caverne, grotte, grandi crepac-ci di difficile accesso all’uomo e ad animali che adessi darebbero la caccia.A Capraia, il pascolo vagante, grazie all’ ingeri-mento di essenze foraggere integre nella loro fre-schezza, è quello che influenza maggiormente lacomposizione del latte delle capre isolane con lasua attitudine alla coagulazione nonché le caratte-ristiche nutritive.Proprio in questo paradiso, fino a un anno fa, esi-steva un’azienda agricola, “La Stalla”, che dal lattedelle capre presenti sull’isola produceva pochi

ma qualitativamente eccelsi esempi di prodotticaseari legati al 100% alla storia ed alla tradizionemillenaria del luogo. Ricordarli, parlandone alpresente, vuole essere l’affettuoso ricordo di chili produceva.Caciotta: formaggio stagionato a latte crudo.Forma cilindrica, peso 700 grammi, di puro lattedi capra (da allevamento biologico). Formaggio apasta dura, dal sapore che richiama i profumi e gliaromi della macchia mediterranea.Caprino: formaggio fresco a latte crudo. Formacilindrica, peso 70 grammi, di puro latte di capra,spalmabile; al gusto appare leggermente acidulo,è molto aromatico e viene reso ancora piú gusto-so se impastato con aglio e rosmarino, timo, erbacipollina, peperoncino.Crema di latte: dessert composto da latte interodi capra zuccherato e addensato con amido di

frumento. Venduto fresco, in stampi da 100grammi, esalta l’aroma particolare del latte interodi capra e risulta molto digeribile.Formaggio fresco e stagionato: inoculo diretto difermenti nel latte appena munto, successivaaggiunta di caglio in misura di una goccia perogni litro. Sosta di 24 ore per la coagulazione. Peril formaggio fresco, la cagliata viene trasferita inteli dove verrà fatta scolare per 12 ore e succes-sivamente salata, impastata e trafilata. Per ottene-re formaggi stagionati, la cagliata viene invecetrasferita in forme, salata e fatta stagionare. Resta la speranza che la tradizione si riprenda,che qualcuno voglia intraprendere una magicaavventura casearia nell’isola che delle capre portail nome.Per info: Comune di Capraia IsolaTel. 0586/905025 - Fax 0586/905113.

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di Gildo Carabelli

Il latte di capra è leggermente più dolce del latte di mucca. Le proteine che contiene hanno una com-posizione chimica simile a quelle contenute nel latte umano. Il latte di capra fresco è un ottimo alimento altamente digeribile. È particolarmente adatto per soddi-sfare tutte le necessità nutrizionali di neonati, anziani e per tutti coloro che presentano forme di aller-gie ed intolleranze al latte vaccino e di soia. Molte persone hanno reazioni allergiche all’alfa S 1 casei-na, proteina del latte di mucca, assente invece nel latte di capra.

I due prodotti sono diversi anche dal punto di vistadei grassi. Il latte di capra ha più acidi grassi a cate-na corta e media e non contiene agglutinina, unasostanza che nel latte di mucca provoca l’ammassa-mento delle molecole di grasso. Queste caratteristi-che lo rendono estremamente digeribile.Rispetto al latte di mucca quello di capra ha il 25 %in più di vitamina B6, il 47 % in più di vitamina A, il13 per cento in più di calcio, il 134 % in più dipotassio e il 27% in più di selenio, simile a quellomaterno.

Le virtù del latte di capra

Qui Capraia,all’isolamanca un casaro

A

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La sezione ovina e caprinadell’Associazione Regionale degli alleva-tori della Valle d’Aosta (Arev) nel corsodi questi ultimi anni ha messo a puntouno strumento di valorizzazione e di

riconoscimento dei prodotti provenienti dagliallevamenti valdostani. La necessità di distingue-re il nostro prodotto nasce dall’esigenza di evi-denziare con un marchio le produzioni zootec-niche realizzate con il latte, carne o lana cheproviene dalle aziende associate alla Sezioneovina e caprina. L’intenzione è di distinguere lenostre produzioni da quelle commercializzate daaziende di trasformazione della filiera zootecni-ca ovina e caprina che trasformano prodotti nonvaldostani, oltre alle produzioni provenienti daaltre regioni italiane ed europee. Con il marchio si intende garantire al consuma-tore l’origine delle materie prime. Non si distin-gue più il singolo produttore ma si vuole tutela-re l’origine valdostana dei prodotti, garantendoinoltre che tutte le fasi della produzione si svol-gano sul terri-torio dellaValle.La stesura diun disciplinaredi utilizzo delmarchio hapermesso difissare alcunipunti fonda-mentali per lacessione aisoci del suoutilizzo. Pertanto la richiesta d’uso può esserepresentata da aziende zootecniche del settoreovino e caprino in possesso di specifici requisi-ti. L’Arev provvede alle verifiche di conformità delleaziende. Le ispezioni si basano su colloqui,documenti, verifica delle modalità operativeadottate per la produzione. Le non conformitàsono segnalate al comitato del marchio al fine divalutare le azioni da intraprendere nei confrontidell’azienda.

TERRITORI/2

di Diego Bovard

Messo a punto dall’Arev

un disciplinareche garantiscegli allevatori

di ovinie caprini

PRODUIT FERMIERLA VAL D’AOSTA CI CREDEIl nuovo marchio firma i prodotti a filiera corta Così si difendono i produttori e la qualità

Disciplinare Produit fermierIl disciplinare è stato definito per i prodotti a basedi latte di capra/pecora/vacca denominatoFermier, riservato alle aziende che producono infiliera corta, e cioè aziende che trasformanodirettamente in azienda agricola il proprio latte. Al marchio hanno aderito al momento 10 azien-de zootecniche che allevano prevalentementerazze specializzate per la produzione di latteSaanen e Camosciate, anche se alcune aziendeallevano e mungono anche la razza Valdostana, ecapi di Alpina Comune. La caratteristica di questeaziende è sicuramente la presenza di giovani alle-vatori desiderosi di proporre al mercato prodottidi elevata qualità.

Tra le numerose iniziative dell’associazione, voltealla promozione dei prodotti dell’allevamentocaprino, segnaliamo il concorso regionale deiformaggi di capra che si è svolto nel luglio 2012in occasione della 2° edizione della “Fehta de laTchivra” (in patois valdostano), festa della capra,svoltasi in comune di Challand Saint Anselme inVal d’Ayas. Il concorso era aperto a tutte le azien-de che trasformano latte di capra in Valle. Sono circa 15 i trasformatori che ogni anno pro-pongono una trentina di formaggi divisi in variecategorie. L’associazione nomina una giuria diconsumatori e di esperti che ha il prezioso con-tributo dell’Onaf Valle d’Aosta.

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Lo gran Tor de la Fontina

IL CONCORSO

Vince la crescenza caprina degli EcureuilsCi sembra interessante presentare l’azienda e il formaggio che ha ottenuto il punteg-gio più alto all’edizione di quest’anno al concorso regionale dei formaggi di capra.

L’AZIENDAAgriturismo les Ecureuils Frazione Homené Dessus 08Saint-Pierre www.lesecureuils.itL’allevamento consiste in 40 capre di razza Saanen. Illatte è trasformato direttamente nel caseificio adia-cente alla stalla e le produzioni (lattiche fresche, aro-matizzate e stagionate, robiole, tome stagionate,ricotta fresca e stagionata) sono vendute direttamen-te in azienda, o consegnate a negozi e ristoranti dellazona e ad alcuni mercati rionali.

IL FORMAGGIO Crescenza di capra

Formaggio a pasta molle pro-dotto con latte intero di caprapastorizzato. La cagliata è pre-samica (coagulazione concaglio animale per circa 45minuti), successivamente ilcoagulo viene rotto, e messoin forme rettangolari, rivoltatee leggermente stufate.

L’assessorato regionaleall’Agricoltura e Risorsein occasione della 7ª

edizione della “Désarpa”(Aosta, 7 ottobre 2012), lafesta che ripropone la discesadelle mandrie dagli alpeggialla fine dell’estate, con corteidi vacche ma anche di capree pecore che attraversano lacittà, ha presentato al grandepubblico la prima edizione di “Lo gran Tor dela Fontina”, degustazione di Fontina Dop dialpeggio.Tecnici dell’assessorato e del Consorzio pro-duttori e di tutela della Dop Fontina, coadiuva-ti da rappresentanti dell’Onaf Valle d’Aosta,hanno accompagnato il pubblico nella degu-stazione di Fontine Dop provenienti da 17alpeggi localizzati lungo il percorso della mara-tona “Tor des Géants”.

Ogni alpeggio è stato racconta-to attraverso una scheda con-tenente dati quali il nome del-l’alpeggio, il nome del monta-gnard, l’altitudine, il numero dibovine da latte, il magazzino distagionatura con un percorsografico che inseriva ogni alpeg-gio nel suo giusto contestogeografico. Per raccontarecosa significhi alpeggio in Valle

d’Aosta ci limitiamo a dire che la quota dei 17alpeggi varia da un minimo di 1790 metri del-l’alpeggio Lérettaz, nel comune diFontainemore ai piedi del Monte Rosa, ai2423 metri del grande alpeggio LesChavannes, a La Thuile.I circa 900 partecipanti-degustatori hannopotuto concentrarsi sui 17 punti ristoro eassaggiare, passando da una vallata all’altra, leottime Fontine Dop d’alpeggio.

di Roberto Ronc e Bruno Chaussod

Hanno aderitofin da subitodieci aziendecaratterizzate

dalla presenzadi giovani

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TERRITORI/2

BENVENUTI A ENTRELORl’alpeggio che profuma di futuro

Nel vallone di Entrelor, situato nell’alta Val di Rhêmes, all’internodel Parco Nazionale del Gran Paradiso, si trova l’alpeggio spe-rimentale gestito dal settore “Zootecnia e Industria Lattiero-Casearia” dell’Institut Agricole Régional di Aosta. Dal 1999,questa struttura, votata alla ricerca scientifica e all’attività for-

mativa, si propone di sperimentare una gestione dell’alpeggio innovativarispetto a quella tradizionale, in modo da evitare gravosi investimenti in fab-bricati, in particolare per il ricovero del bestiame. Ciò permette anche didiminuire i costi di conduzione inerenti la manodopera per la mungitura, perla pulizia delle stalle e per la fertirrigazione dei pascoli, pratica che neglialpeggi tradizionali prevede la diluizione dei fertilizzanti nel-l’acqua e la loro distribuzione tramite un reticolo di canalet-te. Nel vallone di Entrelor, la mandria di 60 vacche è gesti-ta con due operatori soltanto, mentre in un sistema tradizio-nale ne servirebbero tre. Ciononostante, gli operatori godo-no di una migliore qualità della vita, soprattutto per la ridu-zione dei carichi di lavoro e la maggior disponibilità di tempo da dedicare alriposo. Ciò è reso possibile grazie ad una gestione sperimentale caratterizzata dalpascolamento turnato e integrale. Questa soluzione esclude il ricovero installa e prevede la mungitura all’aperto, compiuta grazie ad un impiantoinstallato su carro semovente a quattro ruote motrici, suddiviso in quattroparti elitrasportabili. Si tratta di un prototipo unico, progettato e realizzato dal personale tecnico

dell’Institut Agricole Régional, che si muove su superfici accessibili, in par-ticolare in quegli alpeggi che presentano condizioni orografiche ottimali perun suo agevole spostamento. L’alpeggio, raggiungibile solo a piedi, vienepopolato dalle bovine durante la monticazione - l’ inarpa - che vede il tra-sferimento della mandria nei pascoli di alta quota durante i mesi estivi.Anche il trasporto da valle del carro di mungitura, dei viveri, di materialevario e dei maiali - che avviene mediante l’elicottero - costituisce un passag-gio innovativo nella gestione della struttura. Un altro importante obiettivodel progetto è il recupero del valore pastorale della cotica erbosa, degrada-tasi negli anni a causa dello stato di semi abbandono in cui è stato lasciato

l’alpeggio. L’esperienza di Entrelor costituisce oggi unesempio interessante di integrazione fra attività agro-pasto-rale, protezione dell’ambiente e turismo. Dall’estate del2008, tecnici o turisti possono infatti partecipare alla visitaguidata dell’alpeggio, con l’opportunità di godere delladegustazione dei prodotti della filiera casearia tradizionale:

dal reblec, risultato dalla cagliata raccolta in una tela e posta in uno stampoforato per favorirne la separazione del siero, al séras o ricotta, fino alla bros-sa, la saporita crema di affioramento del siero ottenuta previo riscaldamen-to e acidificazione. Senza dimenticare la lavorazione di un formaggio Dop digrande pregio: la Fontina che è il risultato di un savoir faire antico, profon-damente legato ad un territorio ed un ambiente unico. Un formaggio pro-dotto esclusivamente in Valle d’Aosta, con latte crudo intero, ottenuto dabovine di razza valdostana, Pezzata Rossa, Pezzata Nera e castana.

di Andrea Barmaz

Zootecnia montanacura ambientalee agriturismo

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Sono definiti così i formaggi ottenuti dalatte prodotto da animali che consumanosolo erba. L’erba mangiata dagli animali alpascolo è la base per ottenere latte e for-maggi di qualità superiore, e sarà nostra

cura andare a conoscere durante il periodo prima-verile ed estivo le vegetazioni e le corrispondentifioriture negli alpeggi, confermare l’attenzione chel’allevatore dedica all’alimentazione e alla cura dellevacche e delle capre al pascolo.Il perché consumare il formaggio “da erba” èquindi sempre più evidente: perché ha un valoreaggiunto derivante dall’alta sostenibilità del siste-ma di produzione nel rispetto delle tradizioni, dalcomplesso di bouquet di sapori e soprattutto dallequalità nutraceutiche, in particolare è da segnala-re l’elevato quantitativo di Omega-3.Nell’estate 2012 abbiamo iniziato comeErbavoglio la collaborazione con due aziende cheallevano vacche di razza valdostana, la SocietàAgricola Sant’Anna di Challand Saint Anselme el’azienda agricola Ourty di Champorcher.Obiettivo è la produzione di due formaggi da erbavaldostani, la più classica toma nella Valle diChamporcher e il Renquefleur nella Valle d’Ayas.Lo staff Erbavoglio, di cui fa parte il professorMarco Grella specializzato in alpicoltura(Università di Agraria di Torino), si è occupato del-l’analisi pastorale dei pascoli ad inizio stagione edella redazione dell’importante disciplinare diproduzione dei due formaggi.

Le battaglie di Caseus Montanusdi Gerardo Beneyton

Qui ChallandRENQUEFLEUR, IL SAPORE DEI MILLEFIORILa Società Agricola Sant’Anna di Challand Saint Anselme è un’azienda di media dimensione a con-duzione familiare. All’inizio di giugno la famiglia Malcuit montica il bestiame all’alpeggio di Ostafa,nel Vallone di Cuneaz (Ayas), dove rimane fino a fine settembre. I bovini in lattazione sono 63, dicui 56 di razza Pezzata Rossa e 7 di razza Castana. Le superfici pascolive utilizzate nel pieno dellafioritura dagli animali per la produzione del formaggio ispirano il nome del formaggio Renquefleur,che significa “solo fiori” in patois. Prodotto con latte intero non pastorizzato viene lavorato entro due ore dalla mungitura e prevedeuna maturazione minima di 3 mesi. Due mesi circa all’interno dei locali di stagionatura situati inalpeggio; il restante periodo di stagionatura, fino a maturazione ultimata, viene effettuato nella can-tina dell’antica latteria, dotata di tecnologie di condizionamento. Si tratta di un formaggio grasso a pasta semicotta, dalla forma cilindrica e scalzo leggermente con-vesso, con facce piane o quasi piane; peso da 1,5 a 1,8 chilogrammi.

Qui ChamporcherTOMA DELL’OURTY, DUE MESI NELLA PIETRAL’azienda agricola Ourty di Hône è una piccola azienda a conduzione familiare. Deve il suo nomeall’alpeggio Ourty, situato nello splendido vallone della Legna nel comune di Champorcher, che lafamiglia Vuillermoz utilizza in estate dai primi giorni di giugno a fine settembre. L’azienda può con-tare su 20 capi bovini in lattazione di cui 14 di razza Pezzata Rossa, 3 di razza Castana, 1 di razzaPezzata Nera e 2 incroci.ll fromage Ourty prevede una maturazione minima di tre mesi. Due mesi all’interno di tradizionalicantine in pietra situate presso l’alpeggio di produzione, il restante periodo di stagionatura, fino amaturazione ultimata, effettuato nella cantina della nostra antica latteria. Si tratta di un formaggio grasso a pasta semicotta, dalla forma cilindrica e scalzo leggermente con-vesso, con facce piane o quasi piane; peso da 1,5 a 1,8 chilogrammi. La crosta rugosa è compat-ta, sottile, dello spessore di circa mm 2; la pasta è semidura con scarsa occhiatura, di colore paglie-rino. Fresca è tenera e dolce, dai sentori di latte appena munto, stagionata assume sapori più sapi-di, intensi.

di Stefano Lunardi

Fintanto che Caseus Montanus, in collaborazio-ne con l’Onaf, non ha promosso l’organizzazio-ne delle Olimpiadi dei Formaggi di Montagna, i

formaggi erano formaggio e basta. Al massimo sidistinguevano tra italiani ed esteri. Ma con le Olimpiadi dei Formaggi di Montagna e leGrolle d’Oro di Saint-Vincent per il miglior formag-gio d’Alpeggio d’Italia, i caci prodotti nelle caseremontane hanno ottenuto il riconoscimento ufficialedi formaggi che non possono né devono essereconfusi con i caci della pianura.E così formaggi misconosciuti come il Bleu d’Aosteed il Piave, per citarne due, sono saliti agli onori del-l’agroalimentare mondiale ed entrati nell’olimpo diquei prodotti di montagna che sono le vere eccel-

lenze che contribuiscono a mantenere vive Genti ePopoli che hanno nell’agricoltura la loro ragione divita. Genti e Popoli che sono le sentinelle per la sal-vaguardia dell’ambiente e la tutela del paesaggioperpetuando lavorazioni agricole che si tramandanodi generazione in generazione, fortemente legate alterritorio, e proprio per questo rappresentano unvalore aggiunto per l’offerta turistica della monta-gna.Da sempre Caseus Montanus è impegnato nelladifesa dei diritti delle aziende agricole di montagnache pongono al centro di tutto l’Uomo. Senza l’uo-mo l’agricoltura muore e gli allevamenti cessano leattività. È quindi nostro imperativo difendere i diritti degliagricoltori di montagna ed è questa convinzione ilpilastro che ha retto tutta la nostra impegnativa bat-taglia, conclusasi vittoriosamente con il supportodeterminante del ministro Mario Catania, per l’esen-zione dall’Imu degli immobili rurali di montagna.

FORMAGGI DA ERBAIl bouquet dei pascoli

Page 37: L'arte del formaggio ieri e oggi L'arte del formaggio ieri e oggi

AI FORNELLIFRA TRADIZIONE E SPERIMENTAZIONE

IN CUCINA

AI FORNELLI FRA TRADIZIONE E SPERIMENTAZIONE

di Fabio Campoli

Parlare di tecnologia significa confrontar-si con la tradizione. Ciò che era primacambia, migliora per poi ridiventare asua volta tradizione. Anche in cucina ècosì. E da chef ne confermo l’importan-

za e la necessità. Nel mio percorso professionale,in tutti questi anni di esperienza ai fornelli, ho assi-stito a moltissime introduzioni tecnologiche, alladefinizione di nuove tecniche, ho scelto la speri-mentazione con un occhio di riguardo sempre neiconfronti della storia e della tradizione. Inutile dire che in ogni mestiere, in cucina in par-ticolar modo, c’è la tecnica. Questa nasce e si ali-menta con lo studio, in anni di pratica, formandola base della preparazione di ogni cuoco. Su diessa poi si propone la ricerca e si plasma la crea-tività e la sperimentazione, che vanno riconosciu-te come essenziali per la crescita e il miglioramen-to in ogni settore. Se pensiamo al settore caseario non possiamonegare i passi in avanti fatti da molte aziende, lapossibilità di produrre in quantità maggiori, contecniche affidabili, macchine che aiutano l’uomonel suo lavoro, maggiore igiene e novità sul mer-cato. È pur vero, secondo me, che nella sua bel-lezza e utilità, la tecnologia può portare ad unosnaturamento del prodotto e della sua tradizione.Tradendo così quelle caratteristiche che sono sim-bolo di un certo tipo di lavorazione, antica e arti-gianale insieme. Dal mio punto di vista e dagli esempi con cui miconfronto quotidianamente in cucina mi piaceaffermare che la tecnologia è veramente utile

quando non va a discapito della qualità, in casocontrario è fondamentale conservare la tradizio-ne, la “vecchia maniera” che è anche portatrice distoria e cultura.È vero che essere “tecnologici” può essere inter-pretato come fattore di modernità, ma bisognasaperla usare e interpretare con intelligenza, riu-scire a capire dove funziona positivamente e doveforse è meglio essere più tecnici che tecnologici,affidandosi al proprio “saper fare” e non perderel’essenza e la verità del nostro lavoro. Consiglio dunque, soprattutto ai giovani, sia pro-duttori che cuochi, di non fomentarsi con lenuove mode e tendenze tecnologiche in cucina -ci sono passato anche io - e sono cosciente che èfacile perdersi nelle novità e nella sperimentazio-

ne. Bisogna anzi ricordare che alla base di tuttoc’è la tecnica, che è studio, conoscenza e prepa-razione. Accanto ad essa c’è la tecnologia che è lanostra evoluzione. Si può essere tecnici e tecno-logici, due termini che coesistono bene e alla per-fezione, ma non si potrà mai essere veramentetecnologici se non possediamo la vera tecnica,che è la conoscenza; mentre chi è tecnico potrà,se vuole, essere tecnologico. Le mie parole possono sembrare uno scioglilin-gua, ma se mi guardo indietro posso affermarecon sicurezza che la mia cucina di oggi, basatasulla tecnica e su una certa artigianalità, non è lacucina di qualche anno fa, in cui avevo diverseconoscenze e magari mi affidavo a tecnologieimportanti che mi facilitavano il lavoro.

Arriva sul web “il circolo blogustai”È la nuova idea firmata Fabio Campoli: una blog-guida che vuole proporre on line un vero e pro-prio menu costruito dalla selezione personaledelle migliori ricette che si trovano sui blog degliappassionati di cucina. L’idea è quella di creare sul web un grande meta-blog, un punto di incontro tra i food blogger chepopolano la rete con le loro proposte gastrono-miche, costruendo un vero e proprio menu condiverse proposte, anche la carta dei formaggi,con i commenti dello chef.

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EsecuzioneDisossate l’agnello e tagliatelo a piccoli dadi. Conditelo con il gomasio, il rosmarino in ciuffi,l’aglio tritato, l’olio e il sale. Lasciatelo macerare per una notte.Lasciate scaldare una padella antiaderente, passatevi l’agnello per farlo rosolare e finite la cot-tura in forno a 120°c per almeno 30 minuti.Passate le patate bollite condite con il sale la noce moscata e due uova intere, lavorate bene ilcomposto per renderlo omogeneo.Tritate la rapa rossa e aggiungeteci almeno 150 grammi di patate condite. Con il sacco dapasticceria ricavate dei cestini. Ora con una sfera da gelato ricavate delle palline che adagiatesopra il cestino. In questo modo avrete un effetto cromatico bellissimo.Coprite le patate con abbondante formaggio Ragusano grattugiato. Infornate per farlo gratina-te a 200°C. Servite l’agnello caldo accompagnato dalle patate.

MENU DI PASQUA

Antipasto Zuppa di cipolle ed erbe aromatiche con riduzione alla sambuca gratinata

al Bitto Dop della Valtellina.

PrimoRaviolo farcito con fagioli e Pecorino Romano

Dop al ragù di salsiccia e vegetali dell’orto.

SecondoBocconcini di agnello al Gomasio con cestini

di patate e rape rosse e Ragusano Dop

DessertTorta di carote, amaretti e formaggio caprino

Bocconcini di agnello al Gomasiocon cestino di patate, rape rosse e Ragusano dop

Un consiglio praticoai ristoratori

Prima di vendere un formaggio ai vostricommensali, cercate di conoscerlo nelle suecaratteristiche olfattive e gustative. Imparate a conoscerlo, a raccontarlo ecomunicarlo. La cultura è importante anchea tavola e i vostri clienti godranno di un ser-vizio in più.

Ingredienti per 4 personeCoscio di agnello gr. 800 con ossoGomasio cucchiai 2 (insaporitore naturale venduto in erboristeria)Olio extra vergine cucchiai 2 Aglio spicchi 1\2Rosmarino ciuffi 2Sale marinoPer il contornoPatate bollite g 600Rapa rossa g 120Formaggio Ragusano stagionato g 120Uova intere 2Noce moscata g 1

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LA RICETTA di Fabio Campoli

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>>>>>>>>Alla Tortuga un menu piemontese-ligure

DALLA DELEGAZIONE DI IMPERIA

a cura di BEPPE [email protected]

• I formaggi protagonisti della serata a Imperia

>>>>>>>>Gli auguri di Natale con le eccellenze casearie

DALLA DELEGAZIONE DI MILANO

• Lo straordinario Castelmagno d’alpeggio (Presidio Slow Food) della Meiro

newsonafnews

Un ricco aperitivo a buffet, conoriginali ricette dolci e salate edegustazioni in purezza, per unnutrito gruppo di amanti del buonformaggio è stato il saluto diMilano al 2012. L’occasione èstata ingolosita dalla presenza didue produttori, Palzola e LaMeiro, che hanno raccontato laproduzione del loro formaggio e l’unicità che li contraddistingue e di cui vanno, a buon titolo, fieri.Palzola con il Gorgonzola Dop dolce e piccante, capolavoro caseario da cui trasudava la professionalità e ladedizione di chi non rinuncia a sposare tradizione e innovazione. In degustazione anche Palfuoco con pepe-roncino e Gorgonzola Mascarpone.La Meiro, produttore di Castelmagno, con due forme d’alpeggio, una delle quali in una delle sue migliori decli-nazioni e una stagionatura importante (luglio 2011), la conferma di un’eccellenza della produzione caseariaitaliana. A contorno, la presenza dei prodotti inviati dal caseificio Val d’Aveto in degustazione. San Ste’ in diver-se stagionature e assaggi della speciale ricotta e prescinsoa.A fine serata, la consueta lotteria con l’estrazione di quattro premi e ancora una volta, un evento che ha sapu-to combinare interessanti approfondimenti al piacere di stare insieme e condividere una passione autentica.

Laura Bonvini e Lorenzo Ottolenghi

• Sergio Poletti e Marco Calzone del Caseificio Palzola assieme a LauraBonvini

Per concludere il 2012 ci si è affidati alla profes-sionalità dei coniugi Rubino del ristoranteTortuga, Walter in sala e Teresa ai fornelli, oveelabora una cucina delicata e gustosa utilizzan-do materie prime di grande qualità. Il menu èstato di carattere piemontese-ligure con antipa-sti classici, raviolini alle erbette, burro, pinoli esalvia, brasato al vino. Naturalmente, per chiudere in bellezza, haavuto luogo una degustazione guidata di for-

maggi selezionati da Franco Parola (Saluzzo). Già tra gli antipasti era presente un Taleggio sucrostini caldi. Questi invece i formaggi presentati nel “plate-au”: Pont l’Eveque, il più antico di Normandia, dilatte vaccino microfiltrato, a pasta molle, concrosta lavata; Cevrin di Coazze, caprino a lattecrudo, a pasta molle, con crosta lavata, d’alpeg-gio, stagionato oltre tre mesi; Plaisentif, vaccinoa latte crudo, a pasta semidura, stagionato; Blu

del Moncenisio, vaccino erborinato, a pastasemidura, stagionato oltre 90 giorni.La serata è stata “innaffiata” dai vini dell’amicoGiacomo Lantrua, che ci ha fatto degustare ilVermentino Colli di Luni ed il Leukotea biancodelle Cantine Lunae di Bosoni in Ortonovo (SP).A seguire Nebbiolo d’Alba Dogliani Generale ePassito Florio.

il delegato Pino Moser

Page 40: L'arte del formaggio ieri e oggi L'arte del formaggio ieri e oggi

>>>>>>>>Valutazione sensoriale del latte di asina, cavalla, vacca, capra, dromedaria e bufala

Domenica mattina al ristorante Salice Blu, a Bellagio, si è formato ilgruppo di lavoro. La valutazione sensoriale dei latti, dagli odori ed aromi così tenui,richiedeva una predisposizione gustativa. Consci della prova inusuale,eravamo pronti a sperimentare, avendo i sei campioni da esaminare ela scheda da compilare. I latti di sei differenti specie animale, di varie provenienze, di qualitàdisuguali sono stati posizionati secondo la presunta percentuale digrasso. Ogni latte è stato valutato e commentato, descrivendo il colore, l’odo-re, il sapore, l’aroma e la densità. Alcuni latti, mai assaggiati prima, hanno sorpreso i sensi. Nella scheda le caratteristiche rilevate.

IL LATTE DEGUSTATO

Tipologia dei latti in valutazione:

cavalla: latte in polvere asina: latte crudo

vacca: latte pastorizzato dromedaria: latte pastorizzato

capra: latte UHT bufala: latte crudo, bollito

• ASINA • CAVALLA

colore: bianco acquoso, lattiginoso colore: bianco lucente, panna

odore: lievemente lattico odore: erba bagnata, nocciola

sapore: dolce intenso e persistente sapore: dolce

aroma: mandorla lieve aroma: vegetale asparagobollito, cetriolo

densità: acquoso densità: molto liquido

• VACCA • CAPRA

colore: bianco lucente colore: bianco panna,lucente

odore: panna odore: lattico,quasi impercettibile

sapore: poco dolce sapore: prevalentemente dolce, poco salato

aroma: panna, burro aroma: poco ircinoma persistente

densità: media densità: media

• DROMEDARIA • BUFALA

colore: bianco neve colore: bianco avorio

odore: lattico, quasi impercettibile odore: panna,quasi impercettibile

sapore: molto salato sapore: poco dolce

aroma: trucioli, cuoio lieve aroma: burro, panna

densità: molto denso densità: molto denso

Ultimata la prova e riuniti alla tavola da pranzo, lo chef Luigi Gandola ci hadeliziato con l’antipasto, il suo goloso piatto di gnocchi in sfoglia diParmigiano ed un superbo, elaborato dolce. A seguire la proiezione di un filmato sulla Mauritania, con il latte di drome-daria ed i relativi prodotti caseari. Le immagini hanno documentato la mungitura delle dromedarie, alle qualiviene legato sulla schiena e vicino alla coda un simile centrino che vienepoi sistemato sulle mammelle per evitare al piccolo di succhiare. Due per-sone sono necessarie alla mansione mentre una munge, l’altra sostiene ilcontenitore. I supermercati ed i negozi di Nouakchott sono riforniti gior-nalmente del latte di dromedaria e di vacca distribuiti dalle latterie Tiviski,Toplait, El Watanya ma i cittadini della capitale apprezzano anche il lattecrudo venduto dagli allevatori in periferia. Le fotografie scattate all’internodella latteria Tiviski hanno mostrato delle attrezzature moderne per lapastorizzazione ed il confezionamento del latte. Secondo la tradizionemauritana, il latte è cagliato versandolo nella pelle di animale e scuotendola Tchoukoua. Una tecnica di conservazione del latte consiste nel versarenella sabbia l’eccedenza di latte. La sabbia umidificandosi si compatta, ilblocco è allora lasciato asciugare, poi è sbriciolato e così conservato, siottiene la Garça. Per utilizzare la Garça, i pezzi sabbiosi sono messi nell’ac-qua, la sabbia si deposita sul fondo del recipiente lasciando il ricostituitolatte. Purtroppo la Garça acquistata al mercato di Nouakchott era latteessiccato sopra la roccia e non nella sabbia come da tradizione. Pezzetti diGarça e fettine di bottarga preparata dalle donne Imraguen sono stati i“souvenirs” riservati ai partecipanti all’incontro Onaf.

il delegato Simonetta Cortella

DALLA DELEGAZIONE DI COMO

• Periferia di Nouakchott, mungitura della dromedaria

• Contenitore per il latte e garçia

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Page 41: L'arte del formaggio ieri e oggi L'arte del formaggio ieri e oggi

>>>>>>>>Onaf a San Miniato: capitale dei sapori d’ItaliaSabato 17 e domenica 18 Novembre 2012 a SanMiniato (Pisa) si è tenuto l’evento gastronomico piùatteso della stagione: Il tartufo Bianco di SanMiniato incontra il Parmigiano Reggiano.La mostra mercato è stata la vetrina ideale perinserire diversi momenti culturali, organizzati daArga Toscana e dalla Fondazione San MiniatoPromozione, aventi come fil-rouge il tema seguen-te: “Le eccellenze italiane: una via di uscita persuperare la crisi?”Oltre settanta giornalisti della carta stampata edelle emittenti televisive più rappresentative hannopartecipato ai diversi “educationals” e dibattiti gui-dati dagli esperti Onaf scesi in campo: con chi scri-ve, Giuseppe Soin e Roberto Funghi, attraversovivaci interventi hanno divulgato la cultura caseariaemiliana e le tecniche di assaggio. Tema centrale:l’oro dell’Emilia Romagna incontra l’oro di SanMiniato in un momento particolare della storia ita-liana, un momento di crisi e di dolore dopo il sismache ha segnato indelebilmente il territorio delle

province di Modena e Reggio, per dare un trattosolidale al momento gastronomico. Ed ecco chenel susseguirsi delle degustazioni, ParmigianoReggiano Dop, Tartufo Bianco, Olio extra vergine eAceto Balsamico Trad. Dop Modenese hanno dan-zato una equilibrata ed indimenticabile quadrigliaper la gioia delle migliaia di spettatori presenti.In questa occasione è stato promosso un gemel-laggio all’insegna della solidarietà e delle eccellen-ze eno-gastronomiche. Tra i partecipanti ricordiamo: Vittorio GabbaniniSindaco di San Miniato, Franco Polidori PresidenteArga Toscana, Giuseppe Alai, Presidente delConsorzio Parmigiano Reggiano, AlessandroMaresca, Giornalista del Gruppo Sole 24 Ore,Annamaria Tossani conduttrice Tg7, ErmeteRealacci, Alessandro Di Pietro conduttore Rai 1,Luigi Ciampolini Presidente Associazione GiovanniPapini.

G. C.

DALLATOSCANA

>>>>>>>>Diplomati 26 nuovi Maestri Assaggiatori

Lunedì 28 gennaio si è ufficialmentechiuso il corso di 2° livello di Siena. I26 neo-Maestri Assaggiatori hannoricevuto il meritato diploma dallemani dei consiglieri nazionaliGiacomo Toscani e Gildo Carabelli.La cerimonia si è svolta presso la splendida sala-degustazioni di “Base Alimentare” a CastiglionFiorentino (Arezzo), dove Andrea Magi e Marco Ruspi, colonne della delegazione di Siena-Arezzo,hanno organizzato una serata valida didatticamente (si sono assaggiati formaggi toscani, italiani edeuropei) ed imperdibile dal punto di vista eno-gastronomico, curata in tutti i particolari.Non avrebbe potuto esserci modo migliore per cominciare la nuova “carriera” di Maestri Assaggiatoridi Formaggi! Buon divertimento, ragazzi!Hanno partecipato al corso: Massimiliano Amici, Fabio Bellini, Maurizio Bigoni, Angelo Binarelli, FabioBroccatelli, Adriano Bruni, Michele Busbani, Elia Cencini, Paolo Cepollaro, Simonetta Ciacci, PaoloCortonesi, Stefano Coveri, Roberto Crocenzi, Angela Lisetta Fiorini, Andrea Magi, Marco Minetto,Serenella Porcedda, Barbara Rossi, Emiliano Ruffaldi, Marco Ruspi, Marco Santori, Simone Sargentoni,Marco Servili, Simone Spadi, Claudio Spallaccia, Roberto Valdambrini, Mirella Lucia Zordan.

Marco Quasimodo

DALLA DELEGAZIONE DI SIENA-AREZZO

>>>>>>>>Aumenta il numerodi Assaggiatori

Il numero dei corsi in Campania stariuscendo a reggere la crisi, certo ilnumero dei corsisti diminuisce inogni corso ma con grande piacere siscopre che la platea è sempre piùqualificata e appassionata. Nel corsodi Praiano che si è svolto tra febbraioe marzo 2012, nel cuore dellaCostiera Amalfitana, i corsisti eranotutti operatori dei più qualificati alber-ghi e ristoranti della Costiera, oltre adavere anche tra di loro un produttoredi interessante “Fiordilatte” di Ravello.In autunno il corso di I livello diBenevento ha visto nascere la nuovadelegazione Avellino-Benevento e lapartecipazione al corso di 5-6 produttori della provincia di Avellino e di Benevento che hanno rav-vivato le discussioni e il confronto durante le lezioni. Sempre in autunno a Salerno il corso di II livel-lo per Maestri Assaggiatori ha riunito corsisti dalla Puglia, Molise, Calabria e Campania fortementemotivati che hanno reso la direzione del corso estremamente piacevole, con un allenamento cheha gettato le basi per la nascita di un buon panel di assaggio. L’investitura ha visto insieme a Salernosia il gruppo di Benevento che quello dei Maestri Assaggiatori di Salerno ed alla fine delCerimoniale è stato interessante degustare i formaggi di tutti i produttori che avevano partecipatoai due corsi. In ultima analisi l’affermazione “pochi ma buoni” non poteva essere più calzante.

il delegato Maria Sarnataro

DALLA DELEGAZIONE DI SALERNO

• Corso I livello Onaf Praiano

• Gruppo I livello Benevento e II Salerno

• Foto di gruppo per i neo-diplomati

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• Alessandro Di Pietro a San Miniato

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MARINA DI CARRARA (Ms)22-24 MARZO 2013FIERA DEL FORMAGGIOCarrara Fiere

Alla mostra mercato saranno pre-senti, oltre ai formaggi, vini, mar-mellate, confetture, miele, acetobalsamico, birra artigianale. Per informazioni: Luca Angiolitel. 334/5270361 [email protected]

PARMA7-10 MAGGIO 2013 CIBUS TEC Fiere di ParmaCibus Tec è il Salone dedicato alle tecnologie per la produzione, ilpackaging e la logistica dell’industria alimentare.Con l’obiettivo di individuare i trend delle innovazioni tecnologicheapplicate e di creare un’offerta unica nel panorama nazionale, CibusTec offre oltre ad una vetrina commerciale, una serie di percorsitematici che focalizzano su temi specifici dell’industria alimentare.

CERNOBBIO (Co)8-10 GIUGNO 2013IL CIBO SANO - SALUMI FORMAGGIVilla ErbaÈ una fiera mercato che vuole divulgare la cultura del cibo genuino,non trattato, della tradizione italiana.Come nella precedente edizione di Roma, l’esposizione è dedicatasia al pubblico sia agli operatori ed è completata da un ricco calen-dario di laboratori, degustazioni e corsi.La manifestazione è organizzata con la collaborazione dell’Accademiadelle 5T - Territorio, Tradizione, Tipicità, Tracciabilità, Trasparenza cheseleziona le aziende partecipanti con l’obiettivo di presentare e pro-muovere il cibo di genuino e di qualità. L’appuntamento previsto neigiorni 8, 9, 10 giugno a Cernobbiosarà ospitato nel prestigioso conte-sto di Villa Erba sul lago di Como. L’evento è strutturato in tre areetutte collegate: area MostraMercato, area Laboratori &Degustazioni, area Ristorante.Onaf sarà protagonista con alcunedegustazioni guidate. Per informazioni: www.ilcibosano.it

Agenda a cura di

[email protected]

Page 43: L'arte del formaggio ieri e oggi L'arte del formaggio ieri e oggi

Già il condottiero Annibale, passando leAlpi nel 218 avanti Cristo per sfidare iromani in casa, se ne era reso conto.Saran stati buoni i formaggi mangiati nelleGallie, ma le tome del Piemonte avevano

un sapore da urlo. Dicono le cronache che l’armatacartaginese fece cospicua provvista di queste meravi-glie casearie in val di Susa, e con le salmerie trasporta-te a dorso d’elefante se ne partì verso il Caput Mundi,per altro mai raggiunto. Facile immaginare che le tome di Annibale fossero prodotte con latte dimucca Piemontese, razza forte con preistoriche radici. Scendendo per li ramidel bestiario genealogico, all’origine troviamo infatti un bovino del tipoAurochs, domesticato nel Pleistocene. Questo rustico bovide, qualche miglia-io di anni dopo, si sarebbe incrociato con le mandrie di zebù marcianti alseguito delle orde migrate da quello che è l’attuale Pakistan. Un viaggio assailungo, a guardare la carta geografica. Ma una volta le anabasi andavano dimoda e comunque resta il fatto che quei pastori con i loro zebù giunsero finoalle Alpi occidentali, e qui, forse per l’incanto del posto vagamente himalaya-no, decisero di piantare le tende.Parlando oggi della Piemontese, va sottolineato che si tratta della razza bovi-na da carne più diffusa in Italia, con caratteristiche di alto pregio sia a livello

organolettico che di resa al macello. Ma oltre a tuttociò la vacca autoctona vanta una produzione lattiferapiù che sufficiente alle esigenze di mantenimento delvitello, derivante dalla duplice attitudine per la qualeera selezionata nel passato. E come ben sappiamo - fortunatamente, vien daaggiungere - sono ancora in tanti gli allevatori dellaPiemontese che utilizzano questo latte, spesso d’al-peggio, per trasformarlo in formaggi di eccellenza.Bastano i nomi a scolpire una leggenda: Castelmagno,

Raschera, Bra e compagnia cantante di gustose tome e sapidi tomini. Chiediamo scusa al lettore se l’abbiamo presa un po’ alla larga partendo dalleguerre puniche, ma la notizia c’è ed è avvincente, per gli addetti ai lavori: aCarrù, patria del Bue grasso e Porta delle Langhe, sta per nascere la Casa dellaPiemontese, sul modello della borgognona Maison du Charolais. Sarà una sorta di Beaubourg multimediale, dedicato a quanti vogliono cono-scere segreti e virtù di questa razza che negli ultimi anni si è mondializzata (ilseme è venduto dagli Stati Uniti all’Australia, dal Brasile alla Cina alla NuovaZelanda). Razza da carne ma anche da latte, e dunque capostipite di una pre-ziosa filiera casearia. Si potranno aprire utili dibattiti sul latte di razza e le pecu-liarità del Gusto, di cui tutti straparlano confondendolo con un concetto diqualità fondato esclusivamente su parametri tecnici ed igienico-sanitari.

di FIORENZO CRAVETTO

Formaggi in libertà

W la Casa della Piemontese(dove si parla di latte, tome, cartaginesi e zebù)

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la [email protected] Gianni Audisio


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