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Distruzione, caos e il rischio creativo Aldo Carotenuto, Roma Con il termine «creazione» la teologia e la filosofia inten- dono designare I'azione creatrice attribuita all'Essere assoluto, quell'azione attraverso la quale Dio ha fatto apparire «qualcosa» invece del nulla. La creazione dun- que rimanda al problema dell'origine, alla domanda che gli uomini si sono posti circa la realtà tutta. Ed è questa domanda sull'origine, a prescindere dalle risposte fornite dalla filosofia e dalla teologia, che interessa lo psicologo del profondo. Infatti ciò che ha spinto I'uomo a domandarsi «da dove viene» e quale è il posto che occupa nell’universo, testimonia di una ricerca sul senso che accompagna tutta la vita. Nell'ottica di chi si interessa di psicologia del profondo e della personalità, questa non si qualifica semplicemente come una psicologia delle «cause», ma soprattutto come una psicologia del senso, proprio perchè I'individuo è innanzitutto I'essere che si interroga sul fondamento stes- so dell'esistenza, un essere che deve «prendere posizio- ne» nei confronti di se stesso. Questa riflessione su di se, sulla propria origine non è infatti una mera esigenza teore- tica: sin dalla nascita lo sforzo del nuovo essere e di acqui- sire una nozione di se come soggetto, di percepirsi all'in- temo di un sistema ambientale che assumerà significato quando egli potra dare forma e senso alla sua esperienza. Prendere posizione significa che I'uomo, a differenza dell'animale, ha bisogno di darsi una spiegazione di se 111

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Distruzione, caos eil rischio creativoAldo Carotenuto, Roma

Con il termine «creazione» la teologia e la filosofia inten-dono designare I'azione creatrice attribuita all'Essereassoluto, quell'azione attraverso la quale Dio ha fattoapparire «qualcosa» invece del nulla. La creazione dun-que rimanda al problema dell'origine, alla domanda chegli uomini si sono posti circa la realtà tutta. Ed è questadomanda sull'origine, a prescindere dalle rispostefornite dalla filosofia e dalla teologia, che interessa lopsicologo del profondo. Infatti ciò che ha spinto I'uomo adomandarsi «da dove viene» e quale è il posto cheoccupa nell’universo, testimonia di una ricerca sul sensoche accompagna tutta la vita.Nell'ottica di chi si interessa di psicologia del profondo edella personalità, questa non si qualifica semplicementecome una psicologia delle «cause», ma soprattutto comeuna psicologia del senso, proprio perchè I'individuo èinnanzitutto I'essere che si interroga sul fondamento stes-so dell'esistenza, un essere che deve «prendere posizio-ne» nei confronti di se stesso. Questa riflessione su di se,sulla propria origine non è infatti una mera esigenza teore-tica: sin dalla nascita lo sforzo del nuovo essere e di acqui-sire una nozione di se come soggetto, di percepirsi all'in-temo di un sistema ambientale che assumerà significatoquando egli potra dare forma e senso alla sua esperienza.Prendere posizione significa che I'uomo, a differenzadell'animale, ha bisogno di darsi una spiegazione di se

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stesso e del mondo che abita, di orientare la sua esi-stenza verso uno scopo, e di percepirsi all'interno di ununiverso ordinato. L'uomo insomma deve fare di se'qualcosa', deve autodefinirsi.Quando parliamo di creatività, ci riferiamo proprio allacapacità di dare una forma nuova alle percezioni, di «ri-creare» il mondo. La creatività psicologica consiste in unalenta e continua elaborazione personale delle predisposi-zioni e delle potenzialita naturali, in una continua intera-zione tra ciò che dall'interno fonda I' individuo e ciò chedall'estemo conferma, educa, inibisce o favorisce il suosviluppo psicologico. Nella sua unicità e irripetibilità, ognu-no di noi sviluppa una sua esclusiva immagine del mondo.

Per ritomare al tema della creazione, possiamo constata-re che il problema dell’'origine del mondo rimanda al moti-vo del passaggio dal caos all'ordine. In quasi tutti i miticosmologici, infatti, la creazione rappresenta la fine delcaos con I'introduzione nell'universo di una forma, di unordine, di una gerarchia. La creazione è intuizione di unordine nuovo, di nuovi rapporti fra termini diversi, I'azionedi un'energia che si concreta nel «mettere ordine». Disolito I'opera del creatore precede o segue un caos ini-ziale. In molti miti antichi, tale caos è una massa elemen-tare e indifferenziata che lo spirito «informa», dandoleappunto una forma. La creazione in senso stretto, detta anihilo, è I'azione che fa esistere tale caos come amalga-ma indistinto di forze che poi daranno vita alle forme.L'energia organizza queste forze, e la creazione dell'uni-verso è la prova che un ordine è stato fatto, che dalmagma originario è stato possibile far emergere dellestrutture. La materia che partecipa dell'energia creatricetende così spontaneamente ad organizzarsi in formesempre più differenziate, strutturate. Spesso però lacreazione non è rappresentata come un «trarre dalnulla»: la creatio ex nihilo è una nozione teologicarelativamente recente. Piuttosto la creazione si qualificacome I'azione dell'essere creatore su una realtàpreesistente, rappresentata in svariati modi ma che, intutti i casi, è una realtà «caotica», oppure «senza vita»,«immobile». Presso alcune culture, tale atto di creazione

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non è attribuito all'Essere supremo ma ad una figurasecondaria, il demiurgo. Questi opera su una realtà giaesistente modificandola, a volte anche contrastando I'a-zione dell'Essere supremo, addirittura tradendone i pro-getti iniziali. In alcune aree religiose il conflitto tra il Diobenefico che ha dato origine al cosmo e il demiurgo cheinterviene operando tragici cambiamenti diventa un veroe proprio conflitto tra principi del bene e del male, cheserve a spiegare il perchè della presenza nel mondo delmale e della morte.E’ molto interessante vedere come viene realizzata lacreazione nei miti. Essa avviene, per esempio, attraversoil Verbo, attraverso il potere magico che alla Parola vieneattribuito. Nel mito della Genesi Dio opera sul caos deter-minando la formazione delle singole realtà cosmiche enaturali per mezzo di una parolazione: «E Dio disse sia laluce... e la luce fu». La parola ha il potere di esorcizzarela confusione caotica: Dio ordina, e il suo ordinare è giàun armonizzare il caos. Secondo questa ottica, lacreatività del divino viene posta sotto lo sguardo del«padre», sotto la sua Legge. II codice paterno, infatti, hatra i suoi significanti i principi di separazione, differenzia-zione, costruzione, organizzazione. Gli studiosi interessatial mito e soprattutto alla funzione delle narrazioni mitiche,hanno rilevato che queste erano destinate ad essererecitate in occasione di cerimonie rituali checomprendevano la rievocazione della condizione di caose la ricostituzione dell'ordine. In certi periodi dell'anno -esattamente come ancora oggi noi facciamo la nottedell’'ultimo giorno di Dicembre - si celebravano dei riti diricreazione del mondo, che rappresentavano ilrinnovamento ciclico del tempo. Secondo Mircea Eliadequesto richiamo al rinnovamento e alla ricreazione derivada un impulso universale di natura archetipica che è i'im-pulso a distruggere la «storia profana» e a riproporre iltempo e il mondo astorici dell'inizio. II caos originariosarebbe dunque sia il simbolo di una confusione (nelsenso proprio di confusione) di elementi negativi (cheI'azione creativa del dio supera), sia il simbolo dell'unitàprimordiale, quando ancora non esisteva alcuna scissionee separazione, il simbolo della non-dualità tra

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creatore e creatura. II caos dunque, sarebbe sia un ele-mento attrattivo, identificato con il Paradiso, con I'idealecondizione primordiale verso cui va la nostalgia cheemerge nei riti e nei miti, sia un elemento pericoloso, pro-prio perchè regressive risucchiante, paralizzante.Ricordiamoci, tra I'altro, che in Esiodo, negli orfici e neineoplatonismo, Eros e Caos intrattenevano tra loro unastretta relazione. Eros era figlio di Caos, e questo nei ter-mini di un discorso sulla creatività sta a significare chequesta può scaturire da ogni movimento caotico. Ciò chedunque questi miti e i riti ad essi collegati vogliono spie-gare è il mistero della rigenerazione attraverso losprofondamento nei caos della destrutturazione. Ladimensione psicologica che più di ogni altra permette dirivivere un'analoga forma di sprofondamento nei caos pri-mordiale e la depressione. La materia psichica con laquale è possibile entrare in contatto vivendo una fasedepressiva profonda è più che mai utile per imprimereuna nuova struttura, nuovi colori, alla nostra personalità.E’ proprio nei momento in cui la nostra anima viene lace-rata, distrutta dalla sofferenza, che può esprimere la pro-pria autenticita, il meglio di se. Ogni palingenesi, ogni rin-novamento, presuppongono una «disintegrazione» delleforme precedenti, un passaggio nei caos, un ritorno allaconfusione. Proprio per questa ragione, non dovremmoguardare unicamente con occhio critico ai momenti di vitache appaiono particolarmente dolorosi, difficili: persino ladistruzione dell'anima può offrire implicazioni estrema-mente positive per lo sviluppo della nostra personalità. E’come se nella lacerazione interiore dell'anima, il nostroistinto creatore e rinnovatore trovasse il nutrimentonecessario per svilupparsi ed esprimersi. Generalmente,ogni impeto di trasformazione tende a rinnovare, a riorga-nizzare la disarmonia e questa appare essere una regolabasilare del funzionamento dell'universo. Quandoparliamo ad esempio di Leggi della Natura o di Volontadi Dio, noi facciamo riferimento a un principioarmonizzatore e organizzatore dell'universo che è fra ipiù potenti dell'esperienza umana. Questa esigenza diorganizzazione e di forma nasce da due ordini di cause.La prima è il senso di insicurezza, di

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angoscia, il bisogno di protezione dell'individuo dinanzi almistero della natura che lo circonda e delle forze che laanimano. L'essere umano si percepisce estremamentefragile, indifeso, vulnerable, e per vincere questo sensodi inadeguatezza ha bisogno di riconoscere un senso inciò che lo circonda. La creatività dell'individuo consisteproprio nella ricreazione del mondo, compito cui ognunoè chiamato. Si tratterà allora di ripetere, nella propria evo-luzione psicologica, l'enorme impresa dell'umanità che,dal caos primigenio della natura ha prodotto o dedotto unordine, un senso. Se ci pensiamo bene, la suddivisionedel tempo in stagioni e poi in anni, in mesi e in giorni cosìcome la mappatura dello spazio attraverso I'invenzionedei punti cardinali, dei meridiani e dei paralleli, o la com-prensione di leggi che governano I'universo dedotta attra-verso I'osservazione del firmamento, ne sono una prova.Ogni qualvolta possiamo spiegarci un fenomeno temibileo semplicemente enigmatico come la manifestazione diuna legge universale o di un ordine divino, noi siamo ras-sicurati. Ogni spiegazione ha un effetto catartico, innume-revoli sono gli esempi che si possono citare: dal sorriso disollievo del bambino a cui mostriamo I'inconsistenza diuna minaccia, fino al senso di conforto e di rassegnazio-ne che I'uomo in preda alla sofferenza ha se riesce ainserire il suo dramma nella cornice di una fede religiosa.Persino dinanzi allo spettro della morte l’unica autenticaconsolazione può venire dal considerare che anche que-sta esperienza fa parte dell'ordine cosmico o, comunque,di una volontà che sicuramente «sa ciò che fa», «ciò cheè meglio per l'uomo». Questo significa che non siamo ingrado di tollerare l'idea che sia il caso, una «cieca» fata-lità, a determinare la nostra sorte. La coscienza umanaha orrore del disordine e avverte in modo pressante ilbisogno di fronteggiarlo.Ma la liberazione dall'angoscia e dall'orrore che I'uomoha nei confronti del caos non è che il versante in negativodel mito della creazione. Un altro motivo, questa voltadeclinato in positive è la meraviglia che la contemplazio-ne dell'ordine cosmico suscita in lui. I Pitagorici ne parla-vano come di un'armonia musicale che governa il movi-mento degli astri, una vera e propria musica prodotta

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dalla rotazione delle «sfere celesti» - concezione cheattraverso Cicerone e Macrobio è arrivata fino a Dante,che la cita e la assume nel Coavivio e in vari passi del«Paradiso» della sua Commedia. E’ vero che nell'ultimoverso che chiude la Cantica e I'intera opera è I'amore«che muove il sole e le altre stelle», ma non c’è contrad-dizione: Amore e Armonia sono due facce della stessamedaglia nella visione di Dante, in cui confluiscono, attra-verso il neoplatonismo, le tre grandi tradizioni culturalidell'area mediterranea - quella greca, quella ebraica equella latino-cristiana, e con tutta probabilità anche quellaaraba (1). E sarà un caso che la grande liturgia ebraico-cristiana sia intessuta di musica fin dai tempi di David eSalomone, e che il «canto gregoriano», o «gallico-roma-no», sia stato proposto e imposto da un Papa teologo emusicologo, Gregorio Magno?E’ innegabile, comunque, che I'idea di un ordine cosmicoè qualcosa di ben più profondo della semplice «assenzadi disordine», questa contemplazione del meravigliosoordine del creato che ci ricollega all'individuo creativo: igrandi uomini di genio sono stati coloro che, più di altri,hanno saputo percepire questa armonia. Quando Kepleroscopri la sua «seconda legge» ebbe una sensazione di«meravigliosa chiarezza». Ogni scoperta scientifica èanche un'esperienza estetica, nel senso che la soluzionedi un problema trasforma la dissonanza e la mancanza dichiarezza in armonia, in una globalità che desta meravi-glia e stupore. Affermava Poincare che a guidarlo nellesue brancolanti ricerche di buone combinazioni pernuove scoperte fu il senso della bellezza e dell'armoniadei numeri, della forma geometrica, della sua eleganza. Ecosì anche altri scienziati, fra cui Einstein, hanno affer-mato che il richiamo alla bellezza e all’'armonia è statoimportantissimo per le loro scoperte. Sappiamo bene cheaffermazioni di questo tipo hanno generato o avallatoqualche equivoco, speculare a quello dell'«arte comeconoscenza»: la presenza in ambedue queste «attivitàdello spirito» di due componenti rilevanti - I'intuizione eI'appagamento estetico che una formulazione scientificacontiene e comunica - unita al fatto che fino a tempi rela-tivamente recenti la parola «arte» ha coperto un ventaglio

(1) Miguel Asm Palacios, L'e-scatologia islamica nella Divi-na Commedia, Parma 1994(ediz. originale spagnolaMadrid, 1919).

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piuttosto ampio di significati, che distinguevano le «arti»solo dai «mestieri» (anzi, le «regole d'arte» riguardavanoanche i mestieri) ha spinto qualche volenteroso a mettere«arte» e «scienza» sullo stesso piano, e a rivendicare perciascuna delle due lo statuto dell'altra - sorvolando disin-voltamente sulla finalità radicalmente diversa che muovelo scienziato e I'artista: lo scienziato mira a dimostrareI'oggettiva esattezza di una legge o di una formula, verifi-cabile in via sperimentale, tale da garantirgli il riconosci-mento dell'intera «comunità scientifica», e da scalzareprecedenti ipotesi in contrasto con la sua. E non c’èappagamento estetico che renda accettabile una formula-zione scientifica che non risponda a questi requisiti. Lafinalita dell'artista, qualunque cosa pensi o dica del suolavoro, è diametralmente opposta: quanto più il suoapproccio alla realtà risultera personate e soggettivo,tanto più si sentira appagato. Qualunque cosa dica opensi o scriva: Leonardo da Vinci, che frequentavaimparzialmente arti e scienze, non esitò ad affermare chescopo della pittura era offrire una rappresentazione il piùveritiera possibile della natura; senonchè leggiamo neisuoi scritti che «natura» erano per lui anche le nuvolecangianti in cielo e le crepe nei muri - e a quella «natura»si era ispirato nei «cartoni» per I'affresco della Battagliadi Anghiari...Diciamo però che la creatività pertiene sia all'arte che allascienza. Senza di essa, ne un artista ne uno scienziatoandrebbero lontano.Una caratteristica della personalità creativa è il desiderioinsaziabile di conoscere e di esplorare, unitamente alsenso di meraviglia che accompagna ogni scoperta. IIpensiero di Platone ci ha indotto a riflettere sul fatto che lameraviglia è la radice della conoscenza, la causa primache muove il desiderio di sapere, che attiva il bisogno diindagine e di approfondimento. E’ proprio in virtu dellameraviglia che gli uomini cominciarono ad ammirare lacreazione e che sorsero i primi interrogativi intorno allanatura e alla vita. Possiamo considerarla un'emozione pri-maria, essenziale, che fonda la ricerca e il dubbio: e unostupore estasiato che non si arrende al mistero, ma anzi ètentato di svelarlo. E’ facile coniugare questa emozione

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primaria alla nozione di creatività psicologica: gli interro-gativi che la contemplazione delle cose sollecita si tradu-cono nello sforzo dell'uomo di comprendere il mondo, dicrearne una personale immagine e, grazie ad essa, unarinnovata visione di se stesso.

Creazione artistica

II discorso sulla nascita di un ordine dal caos, di un'armo-nia dal vuoto, ci rimanda all'artista e alla sua produzione.In tal senso, non dobbiamo dimenticare che le sue«leggi» sono diverse da quelle che riteniamo governino ilmondo, nel senso che si forgiano sulla base di simboliarchetipici che emergono dall'inconscio. Gli artisti,soprattutto gli antichi, i «classici», guardavano all'attodella creazione del mondo e alla creazione stessa comea un esempio di perfezione da imitare. Almeno fino atutto il Rinascimento, il loro intento era quello di imitare lanatura. Abbiamo ricordato poco fa Leonardo, chesosteneva che I'arte più degna di elogio fosse quella chemaggiormente era in grado di rappresentare la realtànaturale, ma per sua e per nostra fortuna quando dipin-geva obbediva a ben altri impulsi. L'artista sa di essere unnovello creatore che, proprio per questa suacaratteristica, compete con I'Artefice divino pur se conmezzi differenti. Ma sappiamo bene che ogni desiderio dionnipotenza è destinato a fallire, e l'artista è conscio delfatto che tra il suo operare laborioso e sofferto e ilfulmineo gesto creatore di Dio c’è un abisso. L'artista«sente» oscuramente - e soffre - la propria ina-deguatezza, e spesso la sua sofferenza si manifestasotto forma di insoddisfazione nei confronti dell'operaappena terminata. Se I'arte fosse ancora oggi, come sipensava e ci si sforzava di operare una volta, «imitazionedella natura», si potrebbe attribuire questo disagio a unareale inadeguatezza dei mezzi tecnici di cui l'artistadispone, a paragone di quelli di cui dispone MadreNatura: forze e spazi giganteschi, tempi lunghissimi(milioni di anni). Ma poichè da tempo quella concezionedell’arte e diventata a sua volta «inadeguata», e I'esteticacontemporanea e arrivata addirittura a considerare un

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«valore» I'insufficienza dei mezzi espressivi (Arnheim),indicando per ogni linguaggio artistico lo «specifico» inuna lacuna nel rapporto col reale (nella pittura I'assenzadella terza dimensione, che ha spinto a inventare il chia-roscuro, la prospettiva e il tonalismo; del colore nellascultura; della «quarta parete» nel teatro; della continuitàdella «ripresa» nel cinema - che ha generato il «montag-gio creativo» ecc), e giocoforza cercare altrove le radicidi quel disagio e di quella insoddisfazione. Chiedendoaiuto alla semiotica, che nel processo artistico come inogni altra forma di comunicazione introduce comedeuteragonista il «fruitore», potremmo ipotizzare cheI'artista viva il suo distacco dall'opera come una sorta dialienazione: da quel momento il frutto del suo lavoro edella sua fantasia non gli appartiene più, sarà «reificato»dall’'immaginario del «fruitore». L'autore avra un bel riven-dicare la sua paternita, quel «figlio» avra una vita sua,come ogni creatura nei confronti del creatore, da Adamoal Golem al computer «Hal 9000» di Odissea nellospazio.Oppure, senza scomodare il «fruitore», potremmo attri-buire questo «senso di inadeguatezza» semplicementealla distanza che inevitabilmente separa I'opera compiutadal suo primo «fantasma», carico di promesse e di innu-merevoli possibilità espressive - laddove la sua realizza-zione ne ha scelta una e una sola; di qui il rimpianto,quasi il rimorso, pertutte le possibili opere «non nate». Inogni caso, solo in teoria I'artista può credersi in pos-sesso di una liberta d'espressione assoluta: in realtà lesue scelte sono limitate dalla tradizione in cui vive e dalleconvenzioni del suo tempo, oltre che dalla tecnica chesceglie.Qual e allora il vero margine di creatività di un artista?Possiamo dire che quando I'artista diventa agente di rottu-ra rispetto alle tradizioni vigenti e alle norme della sua«scuola» e ne stabilisce di nuove, diventa un artista origi-nale; egli riesce, cioè, a canalizzare I'attenzione su aspettidell'esistenza fino a quel momento rimasti nell’'ombra, for-nendo una visione, uno sguardo nuovo su ciò che lo cir-conda. La sua originalita consiste dunque nel consentire atutti noi di guardare alla creazione con occhi nuovi, con

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sguardo rinnovato, e di farci partecipi della sua meraviglia,della sua battaglia contro il caos per I'ordine e rarmonia.Caos e armonia, che come abbiamo visto erano i dueversanti della riflessione sulla creazione, sono anche glielementi primigeni della creatività individuate, sia artisticache psicologica. Ogni opera d'arte considerata «rivoluzio-naria» ha in se elementi di caos e d'ordine, distruttivi ecostruttivi. «Fare anima - scrive Hillman (2) - comporta ladistruzione di anima». Solo se questi due elementi - caose armonia, costruzione e distruzione - sono compresentisenza che I'uno sovrasti e annulli I'altro, c’è produzionedi opera. Esistono infatti dei veri e propri «deliri di crea-zione", in cui I'istinto creativo distrugge I'opera stessaper troppo fuoco, ossia per un impeto talmente dirom-pente nella sua genialita da non poter essere «controlla-to» neppure da colui che lo ha generate Molti artisti«maledetti», ad esempio, hanno bruciato le loro verepotenzialita, quasi che il demone della creatività avessepreso possesso della loro coscienza. Forme di creativitàmaniacale a volte nascondono e mascherano processidistruttivi che gradualmente isolano il soggetto stesso.Come si difende I'artista, quali mezzi impiega per conte-nere la tensione che scaturisce dalla lotta tra questeforze opposte? Hillman (3) ci elenca alcuni mezzi per gui-dare il processo creativo. Innanzitutto, la disciplina impo-sta dal lavoro artistico, il lavoro artigiano, certosino sultesto, sul quadro, sull'opera. II secondo e il contatto con ipropri simili, perchè i rapporti sono egregi contenitoridella «follia», che forniscono protezione contro I'aspettodistruttivo del creativo. Quando I'istinto creativo non trovaquesti canali - la disciplina e le relazioni umane - checonsentono un'adeguata elaborazione dell'energia psi-chica, gli elementi archetipici irrompono ed emerge il pri-mordiale elemento creativo-distruttivo. Ciò significa chetalvolta la sofferenza, la lacerazione e il disagio dell'ani-ma sono talmente enormi, devastanti, da non poter esse-re «integrati» ne in un'armonica coesione interna, ne inun contesto esterno, e così il creativo viene travolto daun'autentica tempesta emotiva, colpito da un insostenibi-le «bombardamento dei sensi». La mancanza di coesio-ne interna e sempre a fondamento di sentimenti auto ed

(2) J. Hillman (1972), II mitodell'analisi, Milano, Adelphi,1979, p. 50.

(3) Ibidem, p. 52.

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(4) C. G. Jung (1932), "Picas-so, in Opere, vol. 10, Torino,Boringhieri, 1985, pp. 407-408.

etero-distruttivi e, soprattutto, di «passaggi all'atto» carat-terizzati da una sorprendente aggressività. Sono molti gliesempi - per così dire «eclatanti» - che possono dimo-strare cosa in realtà significhi I'espressione «passaggioall'atto» nell'ambito deile caratteristiche psichiche di unapersonalità creativa. Basterà pensare a Van Gogh, aPicasso o a Holderlin, per intuire come la sofferenza, lalacerazione, e un profondo, angosciante sentimento didistruttività, possano orchestrare la produzione di un arti-sta. L'artista dunque, al quale per antonomasia è data lapossibilità di percepire la realtà in maniera del tutto inno-vativa attingendo al contempo ai propri contenuti interni,e sottoposto continuamente - e forse più di ogni altro - adun grave rischio, un rischio che rappresenta il prezzo dapagare per questa rivoiuzionaria possibilità interpretativadel reale. Ci stiamo riferendo al pericolo della dissocia-zione mentale, di una confusione diabolica che frastornae al contempo seduce I'intelletto creativo. Risalgono al1932 alcune fondamentali osservazioni di Jung suPicasso, riflessioni che ci permettono di intuire con faci-lita cosa significhi per un artista accedere ai contenuti piùprofondi della sua anima. Jung (4) infatti scrive:

L'arte non oggettiva trae essenzialmente i propri contenuti dall'interno.Quest'interno non può collimare con la coscienza, giacche quest'ultimacontiene immagini di oggetti che tutti vedono, i quali debbono necessa-riamente apparire in modo conforme all'aspettazione generale. Ma I'og-getto di Picasso si presenta in modo diverso, tanto diverso da non daremai I'impressione di significare cose dell'esperienza esterna. [...] Dietrola coscienza non vi è il nulla assoluto, ma la psiche inconscia, la qualeagisce sulla coscienza dal di dietro e dall’'intemo, così come il mondoesterno opera dal davanti e dall'estemo. Gli elementi rappresentativiche non corrispondono a nulla di esterno debbono perciò derivare dal-I'interno. Questo «interno» non è visibile ne rappresentabile, ma è tutta-via in grado di influenzare stabilmente la coscienza...

E’ quindi anzitutto nel mondo interiore che è possibile rin-venire i presupposti del più rivoluzionario processo creati-vo; la lacerazione e la dissociazione interne diventanoallora gli estremi di un angosciante percorso degenerati-vo. Un esempio di questo processo di degenerazione delcreativo ci è offerto anche dall'esperienza di Nietzsche.Egli finì per essere posseduto da quello stesso Dio di cuiproclamava la terribile vittoria, il Dioniso greco dietro il

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quale, secondo Jung, si celava il nordico dio Wotan.Dioniso, come sappiamo, era la divinità dell'eterno diveni-re, delle eterne contraddizioni B opposizioni: vita e morte,bellezza e oscenità, infanzia e vecchiaia. La loro compre-senza, però, è impossibile alla sola coscienza umana. Lacreatività quindi comporta che I'artista si misuri eaccetti il rischio della distruttività. I grandi artisti non nesono certo stati immuni: sono moltissimi quelli morti ingiovane eta, quasi che la fiamma della loro creativitàavesse avuto bisogno, per produrre i loro capolavori, diun tremendo dispendio di energia psichica e fisica. Perfare un esempio più attuale, potremmo pensare ai nume-rosi musicisti, appartenenti soprattutto al nostro secolo,per i quali tutta I'armonia e la positivita confluiscono nelleloro opere, laddove invece la vita si dipana all'insegna didroghe, abusi, violenza. Siamo dinanzi al mistero dellacreatività, alla commistione di luce e distruzione. Ogniprocesso creativo ha un carattere regressivo-pro-gressivo che è solo parzialmente sotto il controllo volonta-rio e cosciente dell'individuo. Insita in ogni progetto è unaforte tensione tra passato e futuro, tra concezione indivi-duale e collettiva, e anche tra fantasia e realizzazione, traI'ideale e la realtà. Questa tensione porta con se tutte leangosce legate alla «trasformazione» e alla «nuovanascita»: si teme che la realizzazione del progetto siainsufficiente, incompleta se non addirittura scadente. Peralcuni artisti tali angosce assumono un carattere deliran-te, con I'affiorare di temi e di immagini archetipiche chesuscitano terrore. Entriamo cioè direttamente in contattocon i livelli più arcaici della psiche, zone in cui la luce ras-sicurante della coscienza non arriva. La qualita del creati-vo è proprio quell'equilibrio di confine tra coscienza einconscio, tra realtà e sogno, che la coscienza vive comelacuna da cui emergono immagini e percezioni non abi-tuali. Possiamo pensare proprio a una terra di confine, auno spazio interiore creatosi dal confronto tra mondo diur-no e notturno che rende I'individuo creativo un «senzapatria», un metaxy, un essere il cui compito diventa alloraquello di mediare tra i due mondi, di utilizzare il linguaggiodella coscienza per «tradurre dal silenzio», come si espri-meva Joe Bousquet, le immagini dell'inconscio. Ciò che

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(5) H. F. Ellenberger(1970),La scoperta dell'inconscio,Torino, Boringhieri, 1972, pp.515-516.

dunque differenzia la personalità creativa dall'uomocomune è la permeabilità rispetto alle immagini dell'incon-scio. La psiche del creativo si rivela più sensibile ai mes-saggi dell'inconscio, disposta ad accettarli anche quandoessi rechino in se immagini angoscianti, inquietanti, chesconcerterebbero la mente deli'uomo «comune».Nell'uomo creativo, il dialogo con I'inconscio è attivo, pul-sante, in grado di generare a sua volta esso stesso qual-cosa di nuovo: il simbolo creativo. L'artista dunque sinutre dei contenuti del suo universo interiore, li plasma eli rielabora e in questo suo incessante lavoro è come semaneggiasse del materiale incandescente, spesso esplo-sivo, sempre potenzialmente in grado di trasformarsi inun elemento distruttivo. Anche in virtu di ciò, l'artista èspesso isolato dal collettivo, talvolta deriso, allontanato,messo da parte perchè considerato non solo «diverso»,ma anche potenzialmente «pericoloso». Questariflessione ci aiuta a fare luce su tutti i processi creatividella psiche, considerati nella loro globalita. L'individuocreativo, per eccellenza l'artista ma non solo lui, vivespesso drammaticamente la tensione che lo muove,proprio perchè il prodotto artistico è figlio di un lungotravaglio e di una estenuante «malattia creativa».Naturalmente non è sempre così, ed esistono fasi alta-mente creative, produttive, in cui l'artista riesce a genera-re con facilità le sue creature. Ma più spesso I'operarichiede dal suo creatore un'«immersione nel caos»: lenotti oscure, le confusioni, gli scompigli, le aridità, ladepressione. In maniera emblematica Ellenberger (5) ciha descritto la «malattia creativa»:

Essa si presenta in varie situazioni: la troviamo tra gli sciamani, tra imistici di diverse religioni, in certi filosofi e scrittori creativi. [...] Unamalattia segue a un periodo dominato da un'idea e dalla ricerca di unacerta verità. Si tratta di una condizione polimorfa che può presentarsi informa di depressione, di nevrosi, di sofferenze psicosomatiche, o anchedi psicosì. Quali che siano i sintomi, essi vengono sentiti dal soggettocome penosi, se non tormentosi, con periodi alterni di sollievo e peggio-ramento. Nel corso della malattia il soggetto non perde mai il filo dellasua preoccupazione dominante, che spesso è compatibile con una nor-male attivita professionale e con la vita di famiglia. Ma anche se il sog-getto mantiene le sue attivita sociali, egli è quasi interamente assorbitoda se stesso; soffre di sensazioni di isolamento assoluto. [...] La conclu-sione è spesso rapida e segnata da una fase di buon umore. II soggetto

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esce dalla sua ordalla trasformato permanentemente nella propria per-sonalità e con la convinzione di aver scoperto una grande verita o unnuovo mondo spirituale.

Effettivamente, gli sciamani, i mistici, gli artisti, certi filo-sofi, eonoscono una fase di malessere profondo chespesso segue un periodo di intensa ricerca di un'idea o lalenta maturazione di un tema drammatico. Malessere esollievo, sprofondamento negli abissi e riemersione datale caoticita: I'artista è colui che è capace di «morire psi-cologicamente» inghiottito dal vortice della depressione erinascere arricchito di idee, forza, vitalità straordinarie.Anche quando, come abbiamo visto, egli riesca a condur-re un'esistenza definibile come «normale», il richiamo, ilgrido, della sua anima sono più intensi di qualunque altrointeresse, al punto che spesso I'artista appare agli occhidel collettivo una persona «strana», «imprevedibile», perlo più assente, distratta. La condizione di solitudine, didistanza dalla vita, che si prova è fra le prove più terribiliche sia dato di vivere, perchè ciò che sembra venir persoirrimediabilmente e il senso dell'appartenenza al mondo ela possibilità di «condividere» la propria visione dellarealtà. Ci si percepisce come portatori di follia, come con-dannati a una solitudine cosmica. Gli individui chiamati afare queste esperienze sanno cosa significa sprofondarenel caos che ha preceduto la creazione del mondo.Il caos ha a che fare con la prima materia, con quellaterra inerte dei primordi, I'increatum informe che deveessere animato e forgiato dall'eros, dall’'amore. L'eros, ciricorda Hillman (6) ha una predilezione per la mancanzadi forma, per il non-ancora e la disperazione che I'accom-pagna. Psiche viene sempre dipinta come una fanciulla,e questa immagine ha a che fare piuttosto con le lacunedell’'anima, con i suoi vuoti che viviamo come luoghi dicaos.La ripetizione della creazione, che i riti di cui ci parlaEliade attuano, è destinata comunque a ricostituire e nona distruggere il «tempo profano», il tempo della storia:non si tratta ciòe di nostalgia per I'indifferenziazionedegli inizi, ma di un momento di interruzione della ripetiti-vita quotidiana, per riprendere le energie necessarie percontinuarla. II caos costituirebbe allora un momento di

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(6) J. Hiilman (1972), II mitodell'analisi, op. cit.

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«scarico» delle tensioni psicologiche connesse alle richiestedell’'ambiente.

(7) A. Schnitzler, «Aforismi»,in Opere, Milano, Mondadori,1988, p. 1362.

Creatività e individuazione

Scriveva Arthur Schnitzler (7):

Gli uomini dimorano per lo più solo nel piano mediano della loro casadella vita, la dove si sono confortevolmente sistemati con buone stufe ecomodita varie. Raramente scendono nei locali disotto, dove sospetta-no I'esistenza di fantasmi che potrebbero terrorizzarli; raramente salgo-no fin sulla torre, da dove lo sguardo nel profondo e nella lontananza favenire loro le vertigini. Ci sono certo alcuni che amano dimorare proprioin cantina, poichè essi si sentono più a loro agio nei luoghi paurosi e buiche nella luce e nella responsabilita, altri poi si arrampicano volentierisulla torre per lasciare vagare lo sguardo in lontananze imperscrutabiliche resteranno per loro eternamente irraggiungibili. I più infelici sonoperò quelli che corrono inquieti su e giu per le scale fra la cantina e latorre, lasciando che i locali propriamente destinati all'abitare si ricopra-no di polvere e vadano in rovina.

Se abbiamo riportato questa lunga citazione, è perchèessa ci fomisce un ritratto, come solo il linguaggio dell'ar-tista riesce a fare, delle varie relazioni che intercorrono traI'lo del soggetto e le altre costellazioni psichiche, tra lo einconscio e tra lo e Ideale dell'lo. Un'immagine chiarissi-ma e potente dei rapporti che I'individuo può intrattenerecon le proprie energie creative, di cui può avere terrore, oeccessiva confidenza, o una sorta di fascinazione chediventa mera fuga dalla realtà per un vuoto fantasticare.Tutti noi possediamo un potenziale energetico destinatoad arricchire il nostro lo, ma non sempre siamo postinelle condizioni psicologiche per poterlo sfruttare, e nonvi è sofferenza maggiore che quella di chi avverte I'im-possibilità di sviluppare ed esprimere la sua energia crea-tiva. La sensazione di fallimento, di mancata riuscita del-I'esistenza, comporta malessere psichico, e personal-mente ho sempre sostenuto che alla radice della nevrosi,soprattutto nel nostro secolo, c’è proprio il disagio chederiva dal sentirsi espropriati della possibilità di esprime-re le proprie capacità creative. La nostra esistenza assu-me un senso solo in una prospettiva di continua espan-sione della coscienza, e il rischio di perdersi in formevacue di esistenza è ciò che conduce alla distruttività e

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alla morte psichica. Quando I'individuo vive un arrestodello sviluppo psicologico, la realtà dell'esperienza assu-me il carattere coatto di un’ infinita ripetizione, sempreuguale a se stessa, di eventi che non nutrono la vita inte-riore, che non generano desiderio ne soddisfazione.Tuttavia ho sempre sostenuto che proprio questo «bloc-co», e la sofferenza con cui lo si vive, testimoniano già undesiderio inconscio di cambiamento, di trasformazione.L'insorgere del sintomo, I'impossibilità di procedere, il ral-lentamento dell'attivita che spesso confina con una totaleparalisi, il dolore, che nella cultura occidentale sono con-siderati come castighi divini, possono trasformarsi in unpotente mezzo di rinnovamento che I'inconscio ha adisposizione. Ciò che nella prospettiva errata dellacoscienza comune sembra una fuga dalla realtà e un riti-ro in se stessi, è invece proprio la testimonianza dellasalute dell'anima, che si ribella ad ogni mortificazione. Seè vero, come scriveva Jung, che «ogni atto di presa dicoscienza è un atto creativo» (8), quale maggiore operacreativa di quella di un individuo che desidera liberarsidegli orpelli che lo mantengono prigioniero dei suoi com-plessi, impedendogli di evolvere? E’ solo per mezzo di atticreativi che riusciamo a mutare la qualità della nostra esi-stenza, a liberarci dalle catene della nevrosi, a esprimerela nostra verita. Per la maggior parte degli artisti, infatti, illavoro creativo ha rappresentato il percorso dalla fram-mentazione alla reintegrazione interiore. La psicologiaanalitica, nel suo fare ampio spazio ai processi creativi eimmaginativi, alla fantasia e alle potenzialitàdell'inconscio, offre un contributo unico che si distanziaenormemente dalle altre correnti psicologiche e psi-coanalitiche. Troppo spesso, infatti, si crea un modelloteorico della psiche sulla base di osservazioni sulla pato-logia, in maniera troppo unilaterale, sui meccanismi, avolte anche disperati, adottati dall'individuo per sopperireall'angoscia e alla sofferenza, piuttosto che sul suopotenziale di benessere, creatività e autorealizzazione.Occorre invece fare nostro un modello umanistico ispiratoa una cultura dell'autorealizzazione. Parlare in termini diautorealizzazione e di natura interiore significa porre inrisalto I'assoluta unicità e originalita di

(8) C. G. Jung (1944), Psico-logia e alchimia, Torino, Bol-lati Boringhieri, 1981, p. 29.

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ogni essere umano. La tendenza fondamentale dell'indi-viduo, di ogni individuo, e la tensione alla autorealizzazio-ne, alla piena espressione delle proprie capacità, all'auto-conoscenza attraverso I'avventura delle relazioni inter-personali e dell'interazione con I'ambiente. E’ sorprenden-te constatare quanto sia terapeutico, per I'individuo insi-curo e sofferente, restituirlo alla sua dimensione creativa,rendergli la fiducia nelle potenzialità generatrici della psi-che. Se è vero, come afferma Jung, che in noi esiste unvero e proprio istinto creativo, una pulsione primariaall'autorealizzazione e alla piena espansione delle nostrecapacità, e quando tale nucleo essenziale viene negato,represso, reso muto, che ci ammaliamo. A differenzadell'infallibilita degli istinti animali, dell'impossibilita cheun compito geneticamente programmato possanell'animale fallire, la «natura interiore» dell’'uomo edelicata, soggetta a interferenze negative ad opera diuna serie di variabili che operano sull'individuo fin dal suovenire alla luce, e che incidono sul suo futuro sviluppo.Eppure, per quanto debole e soggetta a pressioni, rara-mente tale natura interiore può essere del tutto soffocata,messa a tacere. Anche nella patologia essa resiste sot-terraneamente e preme per realizzarsi. Diremo di più: lanevrosi è un tentativo di autoguarigione, seppure portatoavanti come «compromesso» tra istanze tendenti allaguarigione e meccanismi di difesa che tendono all'inerziae allo statu quo. E’ chiaro dunque che ciò che noi definia-mo come patologia si inscrive nell'orizzonte più ampio ecomplesso della ricerca dell'individuazione personale, eche le varie forme del disagio psicologico hanno a chefare con I'entita delle interferenze che si oppongono alcamrriino individuativo del soggetto. Gli interrogativi chedeve porsi la psicologia saranno allora relativi al comeincoraggiare uno sviluppo armonico, e per rispondere aquesta domanda è utile studiare i processi creativi.Occorre però innanzitutto sgombrare il campo da tuttauna serie di stereotipi sui concetti di creatività, talento,genio, salute e produttivita: ogni individuo, pur nonavendo mai prodotto opere d'arte ne possedendoparticolari talenti, può essere annoverato tra le persona-lita sane e creative, e d'altra parte numerosi «grandi

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talenti» pur essendo senza dubbio persone creative, nonpossono certo essere definiti personalità sane. Questosignifica che le relazioni tra talento e «sanità» restanooscure e costituiscono variabili distinte, o almeno scarsa-mente correlate.Jaspers (9), analizzando la relazione intercorrente tragenio e follia in personalità quali Nietzsche, Strindberg,Holderlin, Van Gogh, ritiene che lo spirito creativo dell'ar-tista, pur condizionato dall'evolversi di una malattia, sitrovi al di la dell'opposizione tra normale e anormale. Maprecisa:

Così come una perla nasce dal difetto d'una conchiglia, la schizofreniapuò far nascere opere incomparabili. E come non si pensa alla malattiadella conchiglia ammirandone la perla, così, di fronte alla forza vitale diun'opera non pensiamo alla schizofrenia che forse era condizione dellasua nascita.

(9) K. Jaspers (1922), Strind-berg e Van Gogh, Firenze,Colportage, 1977, p. 116.

Restare vittime della nozione stereotipa di creatività signi-fica concepiria in termini di produttivita; inoltre confinare lacreatività solo in aree convenzionali del comportamentoumano, come se qualsiasi pittore, qualsiasi poeta, qual-siasi compositore conducesse una vita creativa, e lacreatività fosse prerogativa unicamente di determinatecategorie. Ciò che lo studio della personalità ci rivela,invece, è che la creatività non è appannaggio esclusivodegli uomini di cultura e di genio, ma è una modalitàd'essere, un'inclinazione particolare della sensibilita: lepersone creative sono originali, inventive, imprevedibili, ela loro «arte» può investire qualsiasi campo della vita, laconduzione di una famiglia, la cura per i deboli, o unadeterminata disciplina che catalizza I'energia del soggetto.Insomma, la creatività che può manifestarsi anche nelleattivita «ordinarie» della vita, come tendenza a comportar-si in modo creativo. Sotto molteplici aspetti questa formadi creatività è simile alla creatività dei bambini appagati efiduciosi: la spontaneità non inibita, la facilità espressiva,la libertà rispetto agli stereotipi e alle convenzioni. Un'altracaratteristica del creativo riguarda il rapporto con I'ignoto,con I'imprevisto, col perturbante. Le personalità creativesono relativamente prive di paure rispetto all'inatteso, almistero, a volte ne sono positivamente attratte.

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Esse non fuggono ne negano I'ignoto, non sviluppano ten-denze al controllo ossessivo della realtà, non cataloganoprecocemente le esperienze ne tendono a irreggimentaregli eventi in categorie rigorosamente e pregiudizialmenteconnotate. L'esigenza, che tutti abbiamo, di sicurezza e diordine, non li rende smaniosi di rigide categorizzazioni,anzi, qualora la situazione lo esiga, possono svilupparecomportamenti disordinati, caotici, dubbiosi, approssimati-vi, senza con ciò cadere in una eccessiva ansia. Ma c’èancora un'altra osservazione che catalizza il nostrointeresse: il rapporto che le personalità creativeintrattengono con le loro polarita psicologiche, con gliaspetti dicotomici della loro esperienza interiore. Elementiapparentemente incompatibili si fondono secondo un'u-nita, o sintesi, coerente e dinamica. Come abbiamo in piùtesti evidenziato, esistono delle caratteristiche riscontratepiù frequentemente nelle personalità creative: la capacitàdi elaborare il nuovo, unitamente alla duttilità rispetto alleesperienze, alla capacità di stupirsi e di godere di quelleche potremmo definire le «meraviglie dell'esperienzaquotidiana», dallo spettacolo di un tramonto alla tenerez-za suscitata dalla vista di un bambino. Nel nostro lavoroclinico noi incontriamo spesso personalità di questo tipo,anche nascoste dietro la sofferenza nevrotica. D'altraparte, sono gli individui nevrotici, coloro cioè che hannoperduto proprio questo rapporto immediato e, vorrei dire,«curioso» con la realtà, quelli che vengono a far visita allopsicoanalista. Ebbene, io ritengo che, proprio in virtudella fondamentale tendenza psichica umanaall'autorealizzazione e all'individuazione, non siapossibile scindere completamente o inibire definitivamen-te le potenzialita creative che consentono un'esperienzagratificante dell'esistenza. Se così non fosse, la nostraattivita di psicologi certamente si ridurrebbe a quella diconsolatori di anime, mentre invece sappiamo che unaterapia ben riuscita consente al soggetto di tornare adattingere alle sue energie libidiche, creative, e di investir-le nel mondo delle relazioni e nelle attivita professional!.L'insistenza sul focalizzare gli aspetti sani, propositivi ecreativi della personalità, lo sforzo per ridare alla psicolo-già dinamica un oggetto integro, cioè I'individuo nella sua

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realtà globale, e non un oggetto parziale, quale è I'indivi-duo malato, rappresentano un punto di vista importantis-simo che ogni psicologo dovrebbe condividere.Presumere che la natura umana sia tendenzialmenteegoista, che esista una pulsione primaria distruttiva, unatendenza innata aggressiva, o invece, partire dal presup-posto che nel loro manifestarsi i bisogni umani fonda-mentali non sono ne cattivi ne peccaminosi, e che I'indivi-duo tende al dispiegarsi armonico di tutte le sue poten-zialita, sono visioni antitetiche che certamente conduconoa formulazioni teoriche e strategie terapeutiche radical-mente diverse.Se ci siamo soffermati sulle immagini della creazione, ein particolare sulla dialettica caos-organizzazione, è per-chè queste riflettono la dialettica inconscio-coscienza eil carattere regressivo-progressivo di ogni processocreativeII processo di individuazione, come lo definisce Jung, èI'esperienza di autorealizzazione dell'individuo, quellaevoluzione della personalità che è immaginata come unalenta espansione della coscienza intorno al centro dellatotalita psichica che e il Se. Jung ne parla come di un pro-cesso molto simile a un'arte. Così come accade per lagenesi di un'opera, infatti, a cui I'artista pone tutta la suacura, così ognuno di noi deve pensare alla sua esperien-za esistenziale nei termini di un percorso di lenta matura-zione, lo svolgimento di quel compito che e la vita stessa.La vita interiore è un giardino segreto da coltivare e chemuta continuamente col variare delle stagioni psicologi-che. Come dicevamo a proposito della «malattia creati-va», se vogliamo comprendere cosa significa «processodi individuazione» dobbiamo rivolgerci agli individui creati-vi, per esempio alla vita interiore di alcune figure di mistici.Quando leggiamo // castello interiore di Teresa d'Avila o ilCantico spirituale di Juan de la Cruz, siamo posti nellecondizioni di comprendere cosa significhi fare della vitaun'opera di autorealizzazione, una «storia di un'anima»,per utilizzare il titolo dell'autobiografia spirituale di un'altracelebre mistica del nostro secolo, Teresa di Lisieux.Significa essere sempre più consapevoli di un destinounico, privilegiato, straordinario e totalizzante, che per

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alcuni individui può consistere proprio in quell'amor chemuove il sole e le altre stelle, di cui parlava Dante, ossia«una comunione con la divinita». Aprirsi alle potenzialitàcreative e trasformative della psiche presuppone unatteggiamento di devozione, di fiducia e di attesa nei con-fronti della propria vita interiore. Quel «saper attendere»che Rilke consigliava al «giovane poeta» amico insoffe-rente delle sue crisi, della sofferenza e del travaglio delsuo cammino di poeta. Occorre attendere con cura allapropria maturazione psicologica, anche sostando in quel-le «notti dell'anima» che gli artisti ben conoscono, fatte disentimenti di impotenza e di aridita, con i vissuti depressi-vi che accompagnano ogni brusca caduta della venacreativa.La vita stessa deve diventare un'opera d'arte; natural-mente non nel senso estetizzante, narcisistico e istrioni-co, e in definitiva decadente, che a questo «comanda-mento» dava D'Annunzio (la «vita inimitabile»), ma inquello più profondo di fare della propria esistenza il luogodel perfezionamento del se. Gli alchimisti volevano tra-sformare i metalli vili in oro, ma la ricerca del lapis nonera che una esteriorizzazione della ricerca dell'anima. Lenozioni di «creatività» e di «individuazione» rimandanoall'idea di completezza e di totalità, rifacendosi ancorauna volta al concetto junghiano di «personalità». A diffe-renza di Freud, che non si era inizialmente interessatoalla struttura della personalità in toto ma solo a quei pro-cessi inconsci e ai fenomeni traumatici che interferivanocon il normale stato di coscienza dell'individuo, Jung iniziòsin dal principio a interessarsi della totalità dei processiconsci e inconsci. Totalità e completezza sono termini chericorrono spesso nelle sue opere e che rimandano allosviluppo di tutti gli aspetti della personalità. Per Jung eraindispensabile pensare all'individualità come ad un«tutto» che includeva contenuti della coscienza e dell'in-conscio. Occorre che si stabilisca una relazione fecondatra lo e inconscio; tale relazione promuove le potenzialitacreative della psiche. Per loro natura lo e inconscio sonoopposti, ma dove si facilità la mediazione tra questi duelivelli, si ottiene un'espansione dell'esperienza del sogget-to, in pratica un ampliamento della sua personalità.

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La differenza tra la concezione junghiana dell'inconscio equella freudiana ci rivela la distanza che separa Ie duemetapsicologie. Nel 1920 Jung (10) scriveva:

L'inconscio personale [...] contiene tutti i contenuti psichici che sonostati dimenticati nel corso della vita. Le loro tracce sono ancora conser-vate nell'inconscio, anche se ogni ricordo cosciente ne e spento. Inoltrecontiene tutte le percezioni o impressioni subliminali che possedevanoun'energia troppo scarsa per poter raggiungere la coscienza. A questesi aggiungono ancora le combinazioni rappresentative inconsce chesono ancora troppo deboli e indistinte per poter varcare la coscienza.Infine nell'inconscio personale si trovano anche tutti quei contenuti chesi dimostrano incompatibili con I'atteggiamento conscio.

Mentre per Freud esiste un'essenziale incompatibilita trasfera conscia e inconscia, per Jung non è possibile, dalpunto di vista dei contenuti, tracciare una linea di sepa-razione tra i dati inconsci e il materiale cosciente. Esoprattutto l'inconscio è una miniera di potenzialita crea-tive. Esso infatti si manifesta attraverso immagini arche-tipiche che hanno la capacità di trasformare profonda-mente l’Io conscio. Non solo, hanno anche un potereterapeutico, essendo formazioni spontanee della psichedinanzi a crisi specifiche della vita di un individuo, comeforze equilibratrici e creatrici interne a noi stessi, per cosldire «endogene».Questa diversita e riscontrabile, anche nei sistemi di curadei due padri della psicoanalisi, quali Freud e Jung, neicui metodi terapeutici e possibile riscontrare due differenticoncezioni di guarigione, di cura e di destino delle pulsio-ni. E proprio sul terreno delle differenze in merito alladefinizione di inconscio che i due pensatori concepironole rispettive teorie psicologiche e metodologie terapeuti-che. Vedremo così come ogni psicologia che indaghi suiprocessi cosìddetti «creativi» non possa non tenere ingrande considerazione quelle caratteristiche che Jungandava mettendo a fuoco.La singola personalità e un'affascinante composizione diopposti psichici, di polarita che noi usiamo definire, allamaniera di Eraclito, attraverso la dialettica della luce edell'ombra, del bene e del male, dell'amore e dell’odio, ecosl via. L'individuo è attraversato da una tensione fon-damentale che lo tiene sospeso tra opposte richieste,

(10) C.G.Jung (1920), «lfon-damenti psicologici della cre-denza negli spiriti», in Opere,vol. 8, Torino, Boringhieri,1976, p. 332.

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(11) C.G.Jung (1928/31), «IIproblema psichico dell'uomomodemo», in Opere, vol. 10,Torino, Boringhieri, 1985, p.110.

interne ed esterne, e all'interno di se stesso è abitato dacontraddizioni e conflitti: questo paesaggio interiore èsimile in tutti noi, ed è bene evitare la trappola di una let-tura schematica che separi la categoria degli individuirealizzati, felicemente adattati e senza problemi, dallacategoria dei non realizzati, infelici nevrotici alla costantericerca di ciò che non riescono a raggiungere.Contraddizioni e conflitti riguardano tutte indistintamentele creature umane. Anzi la personalità creativa, in qual-che modo «privilegiata» al contrario, è maggiormenteesposta alla tensione dei contrari, proprio perchè ècostantemente impegnata a differenziarsi dalla matricecollettiva per «farsi individuo». Cosa significa «farsi indivi-duo»? Significa riuscire a elaborare, in un processo cheterminera alla nostra morte, la nostra presenza nelmondo come presenza unica, originale e irripetibile.Significa trovare quelle modalità attraverso cui esprimerepienamente la nostra unicità.Se «individuarsi» significa fondamentalmente differen-ziarsi, mai come in questi nostri tempi il compito dell'indi-viduazione suona come una necessita, un imperativomorale.Nel 1939 Jung scrisse un saggio dedicato al rapporto tracoscienza, inconscio e processo di individuazione, in cuisosteneva che la nascita dell'individuo psicologico, I'affer-mazione di un'identità specifica e originale ha bisogno diun lento e faticoso cammino di differenziazione: in primoluogo la separazione dalla madre, dalla famiglia di origi-ne, dalle complesse identificazioni inconsce che, senzache ce ne rendiamo conto, definiscono I'orizzonte dellanostra coscienza, determinano le nostre scelte, e nei casipiù comuni, impediscono lo sviluppo psicologico. E Jung(11) ad affermare che:

Ogni passo in avanti rappresenta una lotta per sradicarsi dal senomaterno universale della primitiva incoscienza, in cui vive la grandemassa del popolo.

La creatività per Jung è una componente istintuale, radi-cata nell'essere umano: egli parla infatti di istinto creativo.E’ bene ribadire che non stiamo parlando della «creazioneartistica», anche se I'impulso che spinge un individuo a

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progettare un'opera d'arte è identico a quello che muove un altro individuo a progettare un bel giardino o unacasa accogliente. L'impulso creativo resta universale, appartiene al nostro stesso essere vivi, non èprerogativa di pochi eletti ma una risorsa, di cui spesso ignoriamo I'esistenza stessa, che giace nel nostromondo interiore attendendo solo di essere sfruttata. Per essere più precisi, la creatività è una modalitàparticolare di entrare in contatto con la realtà, una modalità che si discosta dalla norma poichè,essenzialmente, non teme di rivoluzionare lo status quo, di percorrere sentieri inesplorati, di aprire portechiuse, di entrare in stanze segrete. Essere creativi significa ricreare il mondo. La vera peculiarità delcreativo è quella di poter sempre risorgere dalle ceneri, anche quando si tratta dei frammenti della sua animabruciata.

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