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risk management: Strumenti di analisi e rilevazione delle aree di rischio Emanuele Davide Ruffino, Anna Maria De Rossi, Germana Zollesi L’errore in sanità, per il suo impatto sulla salute dell’individuo, acquisisce una valenza talmente elevata che spesso se ne impedisce quasi il dibatto: succede però che i mass media impietosamente rilevino periodicamente palesi disfunzioni, a cominciare dalla segnalazione di personale non idoneo (compresi medici senza laurea), creando un senso di incertezza e di preoccupazione da parte della popolazione. E proprio da questa cresce una domanda di tutela e garanzia per porre il singolo individuo in condizioni di sicurezza e tranquillità. La diffusione a mezzo stampa di incidenti in ambito sanitario con vittime i pazienti, sta generando una serie di reazioni non sempre razionali. A sfogliare le statistiche si rileva come gli errori si manifestano soprattutto in alcune discipline: ginecologi, cardiologi e ortopedici sembrano, a vedere il numero di denuncie formulate nei loro confronti, pericolosi criminali! Mentre altre discipline, ad esempio la geriatria, non sembrano rilevare la stessa frequenza di errori. Non vi sono ragioni, se non la diversa percezione stessa che l’errore esercita in ambiti diversi, per spiegare la distanza tra il numero di errori rilevati tra una disciplina e l’altra: la possibilità di commettere errori è sostanzialmente simile in tutte le discipline (semmai sono profondamente diverse le conseguenze che possono derivare dall’effettuare un errore un ambiti diversi). Analogamente si registra una significativa differenza tra gli incidenti sul lavoro che vengono registrati in base alla disciplina per la tutela dei lavoratori e quelli che colpiscono i pazienti ricoverati. Alcune di queste rilevazioni segnalano come

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risk management: Strumenti di analisi e rilevazione delle aree di rischio

Emanuele Davide Ruffino, Anna Maria De Rossi, Germana Zollesi

L’errore in sanità, per il suo impatto sulla salute dell’individuo, acquisisce una valenza talmente elevata che spesso se ne impedisce quasi il dibatto: succede però che i mass media impietosamente rilevino periodicamente palesi disfunzioni, a cominciare dalla segnalazione di personale non idoneo (compresi medici senza laurea), creando un senso di incertezza e di preoccupazione da parte della popolazione. E proprio da questa cresce una domanda di tutela e garanzia per porre il singolo individuo in condizioni di sicurezza e tranquillità. La diffusione a mezzo stampa di incidenti in ambito sanitario con vittime i pazienti, sta generando una serie di reazioni non sempre razionali. A sfogliare le statistiche si rileva come gli errori si manifestano soprattutto in alcune discipline: ginecologi, cardiologi e ortopedici sembrano, a vedere il numero di denuncie formulate nei loro confronti, pericolosi criminali!Mentre altre discipline, ad esempio la geriatria, non sembrano rilevare la stessa frequenza di errori. Non vi sono ragioni, se non la diversa percezione stessa che l’errore esercita in ambiti diversi, per spiegare la distanza tra il numero di errori rilevati tra una disciplina e l’altra: la possibilità di commettere errori è sostanzialmente simile in tutte le discipline (semmai sono profondamente diverse le conseguenze che possono derivare dall’effettuare un errore un ambiti diversi). Analogamente si registra una significativa differenza tra gli incidenti sul lavoro che vengono registrati in base alla disciplina per la tutela dei lavoratori e quelli che colpiscono i pazienti ricoverati. Alcune di queste rilevazioni segnalano come nelle aziende italiane si registrino in modo sproporzionato, molti più incidenti sul lavoro che non le rilevazione dei danni al paziente. Risulta un po’ difficile pensare che sistematicamente i dipendenti degli ospedali si lancino, sprezzanti del pericolo, per attutire le cadute dal letto ospedaliero dei loro pazienti. La realtà è data dal differenziale di attenzione che viene prestata alle diverse problematiche, senza una precisa gerarchia, se non quella fissata dalla capacità di difesa degli interessi: molto alti quelli espressi da alcune associazioni a tutela dei lavoratori, piuttosto trascurati quelli delle associazioni per la difesa dei diritti degli ammalati. Una moderna società non si può limitare a erogare servizi sanitari, ma a definire tali erogazioni all’interno di un sistema equilibrato di tutele in grado di offrire tranquillità e sicurezza. Con il rapido evolversi della cultura in ambito sanitario non viene solo più formulata una generica domanda di assistenza in caso di bisogno, ma si richiede di essere curati in funzione di quelle che sono le più evolute tecniche, comprese quelle che tendono a porre in evidenza l’efficacia delle cure (evidence based medicine – evidence based nursing). Si è così assistito alla trasformazione della domanda in diritto e, di conseguenza, la necessità di predisporre strumenti normativi e operativi che ne diano piena e puntuale attuazione. Il termine “sicurezza” in tutto il mondo imprenditoriale, e non diversamente nelle aziende sanitarie, evoca immediatamente il rispetto di norme, regolamenti e disposizioni legislative rischiando così di spostare l’attenzione del problema sugli aspetti prettamente strutturali e tecnologici o sulla sorveglianza sanitaria degli operatori coinvolti piuttosto che sulla sicurezza del paziente.

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Se il paziente che si rivolge alla struttura sanitaria con una domanda di assistenza che migliori la sua condizione di salute, riceve al contrario un danno dall’atto sanitario, si assiste al fallimento non solo della singola prestazione, ma dell’intero sistema che viene meno allo scopo per il quale è stato concepito. Il danno può però derivare non solo dall’errore del singolo, ma nelle strutture complesse, dalla non sinergia delle azioni che s’intraprendono: il possibile evento avverso rappresenta sempre il frutto di un’interazione tra fattori tecnici, organizzativi e di processo piuttosto che alla conseguenza di un singolo errore umano. Può così succedere che l’impegno dei singoli venga vanificato da un’imperfetta organizzazione del sistema. Alla crescita esponenziale della complessità organizzativa delle strutture sanitarie non è però seguito un’adeguata attenzione sui potenziali effetti distorti che questa crescita ha provocato, creando così delle aree di rischio dove possono realizzarsi delle condizioni dannose per il paziente. Il compito del risk management è proprio quello di individuare e correggere queste aree di rischio (e non tanto quello di identificare singoli errori) al fine di migliorare il processo assistenziale. La garanzia di un servizio adeguato diventa così un requisito del sistema che richiede di promuovere quel cambiamento culturale già iniziato nel mondo anglosassone (Australia, in primis) e che comincia a muovere i primi passi anche in Italia, che consente di superare l’approccio punitivo dell’errore. E’ molto facile, di fronte a qualcosa che non ha funzionato, limitarsi alla colpevolizzazione dell’operatore direttamente coinvolto, quando in realtà questo costituisce soltanto l’ultimo e più debole anello della catena degli eventi che hanno innescato l’errore e conseguentemente il danno. Al contrario è necessario un sistema che renda possibile la rilevazione di tutti gli errori, anche quelli che non hanno generato un evento avverso, consentendone l’analisi approfondita e la ricerca delle cause, al fine di identificare le aree di rischio e di prevenire il ripetersi delle stesse condizioni di rischio o di limitare il danno quando questo si è ormai verificato. Secondo lo Standard For Patient Safety (JCAHO) risulta necessario:

1. Identificare e definire le priorità ai processi ad alto rischio2. Selezionare annualmente almeno un processo ad alto rischio3. Identificare i potenziali modi di errore4. Per ogni modo di guasto o errore identificare i possibili effetti5. Per gli effetti più critici occorre condurre un’analisi delle cause immediate e remote6. Ridisegnare il processo per minimizzare il rischio di errore o per proteggere il paziente dai

suoi effetti7. Sperimentare ed applicare il processo ridisegnato8. Identificare ed applicare misure di efficacia

Applicare una strategia per mantenere nel tempo l’efficacia del processo che è stato ridisegnatoLa scarsa visibilità degli errori che nella maggior parte dei casi non vengono segnalati dal professionista, frenato dal timore di essere giudicato negativamente dai colleghi e dal timore delle ripercussioni medico legali, è solo uno degli ostacoli al cambiamento. Per promuovere il cambiamento culturale utile all’avvio di un sistema di gestione del rischio, è fondamentale una leadership forte che individui come prioritario l’obiettivo di garantire la sicurezza delle prestazioni sanitarie per il paziente, attraverso sistemi che prevedano, se necessario, anche la profonda revisione e modifica dei processi. Non è infatti credibile per la popolazione che, in media, in un ospedale vengano evidenziate fin anche ad un migliaio di incidenti sul lavoro da parte dei dipendenti, mentre gli eventi avversi accaduti ai pazienti superano di poco le centinaia di unità.

Gli strumenti Il diagramma a spina di pesce Il diagramma di Ishikawa costituisce un modello di organizzazione predisposto per illustrare il processo di aggregazione di servizi sanitari in una logica cronologica e funzionale volta a definire quando e come le diverse prestazioni vengono erogate al singolo paziente. La logica che sottende

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queste aggregazioni in sanità comporta che si possono individuare diversi livelli stabiliti in base alla “vicinanza” al paziente stesso. Se si immagina che la linea retta sia il percorso effettuato dal paziente e le linee che l’incrociano i servizi di cui fruisce durante il suo percorso assistenziale si può determinare un ordine in base alla “vicinanza” al paziente stesso. Si può facilmente desumere che le attività che richiedono la presenza diretta del paziente sono quelle che incrociano la linea orizzontale, mentre vi sono una serie di attività che vengono eseguite “lontano” da paziente stesso. La distanza tra attività effettuata sul paziente e di supporto predisposte dalla struttura si è progressivamente andata ad accrescere con l’evolversi delle scienze sanitarie: anzi un modo per determinare la complessità dei percorsi terapeutici è proprio quello di verificare il numero e la distanza delle attività eseguite lontano dal paziente. L’errore che si manifesta davanti agli occhi del paziente è sicuramente quello che può generare maggiori contenziosi, ma un’organizzazione efficiente è chiamata a esaminare anche quelli non percepibili dal paziente stesso.

Le applicazioni in ambito del risk management Nell’ambito del risk management, sul diagramma possono essere evidenziati i passaggi su cui “sistemare” i controlli (cioè le sentinelle) del processo per evidenziare e correggere determinati errori. In particolare il diagramma permette di individuare i “punti” in cui vengono effettuate le prestazioni e quindi laddove vi possono essere errori tecnici di esecuzione e i passaggi o i tempi, rappresentabili con le lunghezza delle linee. Lo schema permette di evidenziare i singoli step del processo e i collegamenti che si vengono a creare tra un step e l’altro: sotto un profilo della gestione del rischio, occorre individuare quali sono i punti (laddove viene effettuata un’attività chirurgica o clinica) e i passaggi (cioè gli intervalli di tempo o il passaggio tra una funzione e l’altra) dove sono maggiori i rischi. Per ogni specifica situazione può essere richiesto ai singoli componenti di un processo di individuare in quale punto si ritiene maggiormente utile sistemare la sentinella (o più sentinelle, in base alle disponibilità che il sistema è disposto a dedicare ai monitoraggi) per effettuare i controlli. Per ogni singola realtà diventa così possibile proporre uno schema mentale volto a:

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fattore di rischio

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fattore di rischio

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Ris

chio

da

ridur

re

fattore di rischio

%percentuale di influenza

fattore di rischio

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Modalità di compilazioneQuesto schema mentale permette ad ogni singolo soggetto di individuare uno specifico rischio (ed eventualmente ripetere il ragionamento per altri obiettivi) che ritiene strategico nello svolgimento della sua attività.Selezionato il rischio, devono essere elencati i principali fattori organizzativi in grado di condizionare il processo nel suo complesso (il principale va collocato nella casella in altro a sinistra e proseguire in ordine) Viene richiesto di esprimere una percentuale indicativa per identificare il peso che quel fattore esercita nel determinare il processo (la somma delle percentuale deve dare 100 oppure segnalare se, oltre ai quattro fattori segnalati, ce ne sono altri). La seconda percentuale riguarda la possibilità per un operatore di influire sul fattore di rischio segnalato: tale percentuale può variare da 0%, se all’operatore è preclusa ogni possibilità di intervento, al 100% se, viceversa, l’operatore sanitario dispone di un controllo assoluto nel ridurre od eliminare le cause di errore o eventi avversi. Ad esempio se al fattore di rischio produttivo viene attribuito una percentuale del 40% e si riconosce all’operatore una possibilità di controllo del 10%, vuol dire che sul totale complessivo si registra un controllo del 4% del processo. Tale percentuale va assommata agli altri fattori caratterizzanti per individuare qual è l’effettivo potere di controllo.

Matrice delle interconnesioni Per individuare le aree di rischio può risultare utile riportare su una matrice a doppia entrata le interconnessioni tra i vari reparti. Se è la complessità a generare errori, diventa inevitabile approfondire le conoscenze proprio sui passaggi di informazione tra una struttura e l’altra. Se si procede ad esaminare la richiesta che un reparto effettua ad un altro e le risposte da questo fornite (si pensi alle medicine o alle chirurgie e la richiesta che queste effettuano ai laboratori, alle radiologie o alla farmacia) difficilmente si rileveranno gli stessi dati in entrata ed in uscita. Tale differenza è spiegabile con il diverso grado di professionalità: nel leggere i vetrini il laboratorista risulta essere maggiormente esperto di qualsiasi altro professionista e, di conseguenza, può apportare modifiche nell’indagine diagnostica. Se però le differenze tra quanto richiesto da un reparto e quanto fornito da un altro si dovessero rilevare differenze significative (oltre che come quantità, differenze rilevanti possono essere rilevate nelle modalità di erogazione – ad esempio il numero di esami urgenti) queste difformità possono essere considerate come eventi sentinella di possibili aree di rischio. Tale differenza rileva infatti come il modus operandi dei due reparti sia improntata su stile e metodi profondamente diversi. Parallelamente, un’indagine di benchmarket può evidenziare come due reparti simili (che seguono una popolazione sovrapponibile e con una casistica simile e pesata con indice di case mix o di performance) possano presentare richieste significativamente diverse e discordanti. Si possono riportare su una matrice tutte le interconnessioni che si possono creare tra i reparti di un ospedale ed evidenziare laddove “richiedente e fornitore” presentano significative discordanze (e quindi possibili aree di rischio). Se l’ospedale presenta più unità operative simili (oppure confrontando i dati di reparti operanti in ospedali diversi, ma con le stesse caratteristiche) si possono individuare difformità comportamentali che possono sottintendere aree di rischio o comunque campi di indagine da approfondire, derivanti dagli incroci dove maggiori risultano essere le interdipendenze tra i reparti: dovendo procedere nell’individuare le aree di rischio è proprio nel rilevare le anomalie in queste interconnessioni che si possono elaborare standard e informazioni utili per il risck managenent.

Lo stato dell’arte sulle conoscenze del rischio Per individuare il livello di conoscenze sull’argomento e la percezione del fenomeno da parte degli operatori, si riporta la sintesi dei ragionamenti formulati dai partecipanti, provenienti da diverse realtà piemontese, del corso “lo strumento del risk management nella operativita’ sanitaria”

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organizzato dal centro di formazione della piccola casa della divina provvidenza dell’ospedale Cottolengo di Torino. In particolare si è provveduto a rilevare, tramite un apposito questionario, una serie di informazioni e dati utili per lo sviluppo della tematica che associ costantemente le impostazioni teoriche con la pragmaticità della realtà quotidiana dei singoli. Gli argomenti trattati possono essere riassunti nei seguenti punti: 1) La prima questione affrontata ha mirato a porre in evidenza dove e in quali ambiti gli argomenti relativi al risk management vengono abitualmente trattati. Ciò si può iniziare a desumere dalle risposte fornite sul come nel corso del 2004 si è parlato di rischio:

a) attività formativa proposta da: i) azienda 28,57 %ii) ordine professionale 17,86 %

b) per notizie apprese da: i) episodi di cronaca riportati dai mass media 75,01 %ii) articoli su stampa specializzata 39,33 %

c) commento ad episodi avvenuti i) presso altri reparti 39,29 %ii) presso la propria unità operativa 71,43 %

si rileva che la tematica è trattata dai mass media, viene ripresa negli approfondimenti nei reparti, ma il sistema trascura ancora il tema a livello complessivo (anche se occorre sottolineare come, le stesse domande ripetute nelle diverse edizioni, ovviamente con persone diverse, – prima edizione nella primavera 2005 – hanno manifestato una costante crescita delle percentuali: in altre parole, nel volgere di pochi mesi, l’attenzione verso il risk management è accresciuta indipendentemente dal mezzo di comunicazione).

2) È stato poi richiesto di elencare le attività a maggior rischio di errore che vengono abitualmente svolte nella diverse unità operativa (tenendo conto della particolare coorte presa in considerazione) si evince che i problemi maggiori vengono segnalate nelle seguenti fattispecie:

- in primis si rileva la possibilità di errore nella somministrazione sia di terapia o più specificatamente di farmaci. È questo in effetti l’errore che per primo si appalesa al professionista in quanto è quello in cui può essere maggiormente coinvolto e responsabilizzato. E’ anche forse quello più facilmente intuibile, in quanto come operatori sanitari in senso lato, si è abituati ad avere familiarità con questo tipo di problematiche. In quasi l’80% delle risposte e tenendo conto che questo rischio appare spesso nelle prime posizioni, si sottolinea questo fattore di rischio sia quello maggiormente percepito.

- Seguono le attività chirurgiche, comprendendo con questo termine l’intervento in se stesso, ma anche quegli atti ad esso correlati come il circuito dello sporco e del pulito.

- Similmente agli interventi chirurgici, le attività di assistenza al cliente/utente possono generare errori, facilmente percepiti dal paziente. Rientrano in questa categoria tutte le metodiche manuali applicate al paziente.

- Gli errori connessi con l’utilizzo di attrezzature tendono ad interessare in modo diverso in funzione della specializzazione del medico (alta nei settori della diagnostica per immagini e per le attività di laboratorio, meno rilevante nei settori improntati all’assistenza).

- Una categoria a parte sono i rischi connessi agli errori riconducibili agli aspetti amministrativi – burocratici, che vanno dal passaggio di informazioni, al caricamento manuale dei dati, dal controllo dei dati relativi al paziente, alla trascrizione dei referti in cartella clinica. Alcuni di questi aspetti sono spesso vissuti come non propri della professione e, di conseguenza, percepiti come un aggiunta al vivere quotidiano che distrae dal core business.

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3) Le cause che determinano rischio sono sostanzialmente riconducibili soprattutto al comportamento umano (70%) mentre al non funzionamento della struttura, cioè all’errore organizzativo o di sistema, viene attribuito solo il 30% della responsabilità. Tale risposta è indice di un notevole senso di responsabilità e del non automatico coinvolgimento di un “anonima” struttura su cui far ricadere gli errori rilevati: si ricorda che nelle cause giudiziarie, una delle principali motivazioni di difesa degli operatori sanitari è proprio il ricostruire una situazione di confusione e non perfetta organizzazione in modo da deresponsabilizzare il singolo. La scarsa attenzione agli errori imputabili alla struttura può, di converso, rilevare un indicatore del basso livello di percezione delle inefficienze insite in una complessione, quale quella sanitaria.

4) I soggetti maggiormente coinvolti e potenzialmente utili nelle attività di controllo interno nella sua realtà operativa, sono così espresse (calcolati come percentuale sul totale dei punteggi attribuiti):

a. capo sala 20,64b. dirigente medico 20,45c. responsabile di struttura complessa 15,19d. controllo di gestione aziendale 9,25e. ufficio di qualità 10,42f. direzione sanitaria di presidio 12,95g. direzione infermieristica 11,10

emerge come i soggetti che devono gestire il rischio sono soprattutto quelli impegnati nel processo e non chi per ragioni d’ufficio dovrebbe seguire queste problematiche: appare cioè ancora complesso trasferire le responsabilità di chi opera a chi deve organizzare.

5) Al di fuori della singola realtà ospedaliera sono sempre più i soggetti che, a vario titolo, seguono da queste problematiche: secondo la coorte dei partecipanti al corso questi sono i soggetti maggiormente significativi:

a. forze dell’ordine 14,42b. magistratura 10,72c. ispettori ministeriali 10,60d. ispettori regionali 19,95e. società scientifiche 12,31f. rappresentanti degli ordini professionali 11,92g. sindacati 7,65h. rappresentanti degli organismi di tutela dei pazienti12,99

6) L’esperienza di un professionista accresce la possibilità di eseguire l’operazione in sicurezza per il 72,59 % dei casi, mentre l’abitudine e superficialità possono generare problemi nel restante 27,41 % dei casi.

7) Quali di questi strumenti riduce il rischio di commettere errori e perché

a. Le “Linee guida” sono ritenute valide perché segnalano un modus operandi già sperimentato in altre sedi, perché permettono un costante adeguamento alla letteratura scientifica e infine perché evitano la necessità di procede con improvvisazione.

b. I “Controlli interni al reparto” sono ritenuti validi in quanto permettono una revisione continua dei protocolli, riducono l’errore umano e permettono di agire con maggiore scrupolosità.

c. I “Controlli interni all’Azienda sanitaria” contribuiscono ad evitare i rischi di sistema e per agire con maggior scrupolosità. Comincia ad essere significativa la

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percentuale di non risposte, testimonianza di uno scarso valore attribuito a questa forma di controllo

d. I “Controlli esterni” favoriscono l’attività di benchmarket e permettono un controllo dei dati (soprattutto nelle attività di laboratorio)

e. La “certificazione di qualità” del reparto non viene percepita come uno strumento di reale utilità nel correggere i comportamenti sbagliati ma al più per rivedere le procedure adottate e riformulare le istruzioni operative

f. Nel definire altri strumenti idonei è da rilevare la possibilità di attivare forme di benchmarket e di effettuare riunioni periodiche “Brain storming” sugli argomenti di risk management

8) I consigli più significativi, formulabili ad un collega più giovane e inesperto, per diminuire il rischio riguardano:

- consultarsi spesso con i colleghi con maggiore anzianità nel settore e richiederne la presenza nelle fase più delicate

- non trascurare le fonti informative disponibili - comunicazione interdisciplinare con tutti i soggetti coinvolti nel processo di cura - attivare forme di autovalutazione verificando sistematicamente i propri outcome- organizzare ex ante piani di intervento che predefiscano appositi percorsi terapeutici

tutelanti per il paziente- ascoltare i pazienti - aggiornarsi e collaborare con le ricerche avviate in sede

9) Da chi si può sperare, in caso di errore, di una forma di tutela:a. colleghi 23,76 %b. reparto 23,54 %c. azienda sanitaria presso cui è assunto 16,73 %d. ordine professionale 13,17 %e. assicurazione 11,55 %f. sistema sanitario in cui opera 5,77 %g. legali 5,48 %

10) Tra gli strumenti statistici ed informatici maggiormente utili per segnalare le situazioni a rischio o la presenza di eventi avversi nel proprio ambito lavorativo vengono individuati:

- la necessità di predisporre report (tipo incident report)- la possibilità di accesso ad attendibili statistiche validate da società scientifiche - un monitoraggio continuo delle attività grazie all’utilizzo di cartelle cliniche informatizzate- la necessità di potersi rivolgere ad una specie di esperto risponde - la possibilità di disporre di informazioni sul paziente sul tipo sanicard - a poter disporre di attrezzature maggiormente affidabili - occorre ancora segnalare uno scarso utilizzo di internet come potenzialità per acquisire

maggiori informazioni.

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Vecchio testo risk management:

Strumenti di analisi e rilevazione delle aree di rischio

Emanuele Davide Ruffino, Anna Maria De Rossi, Germana Zollesi

L’errore in sanità, per il suo impatto sulla salute dell’individuo, acquisisce una valenza talmente elevata che spesso se ne impedisce quasi il dibatto: succede però che i mass media impietosamente rilevino periodicamente palesi disfunzioni, a cominciare dalla segnalazione di personale non idoneo (compresi medici senza laurea), creando un senso di incertezza e di preoccupazione da parte della popolazione. E proprio da questa cresce una domanda di tutela e garanzia per porre il singolo individuo in condizioni di sicurezza e tranquillità. La diffusione a mezzo stampa di incidenti in ambito sanitario con vittime i pazienti, sta generando una serie di reazioni non sempre razionali. A sfogliare le statistiche si rileva come gli errori si manifestano soprattutto in alcune discipline: ginecologi, cardiologi e ortopedici sembrano, a vedere il numero di denuncie formulate nei loro confronti, pericolosi criminali!Mentre altre discipline, ad esempio la geriatria, non sembrano rilevare la stessa frequenza di errori. Non vi sono ragioni, se non la diversa percezione stessa che l’errore esercita in ambiti diversi, per spiegare la distanza tra il numero di errori rilevati tra una disciplina e l’altra: la possibilità di commettere errori è sostanzialmente simile in tutte le discipline (semmai sono profondamente diverse le conseguenze che possono derivare dall’effettuare un errore un ambiti diversi). Analogamente si registra una significativa differenza tra gli incidenti sul lavoro che vengono registrati in base alla disciplina per la tutela dei lavoratori e quelli che colpiscono i pazienti ricoverati. Alcune di queste rilevazioni segnalano come nelle aziende italiane si registrino in modo sproporzionato, molti più incidenti sul lavoro che non le rilevazione dei danni al paziente. Risulta un po’ difficile pensare che sistematicamente i dipendenti degli ospedali si lancino, sprezzanti del pericolo, per attutire le cadute dal letto ospedaliero dei loro pazienti. La realtà è data dal differenziale di attenzione che viene prestata alle diverse problematiche, senza una precisa gerarchia, se non quella fissata dalla capacità di difesa degli interessi: molto alti quelli espressi da alcune associazioni a tutela dei lavoratori, piuttosto trascurati quelli delle associazioni per la difesa dei diritti degli ammalati. Una moderna società non si può limitare a erogare servizi sanitari, ma a definire tali erogazioni all’interno di un sistema equilibrato di tutele in grado di offrire tranquillità e sicurezza. Con il rapido evolversi della cultura in ambito sanitario non viene solo più formulata una generica domanda di assistenza in caso di bisogno, ma si richiede di essere curati in funzione di quelle che sono le più evolute tecniche, comprese quelle che tendono a porre in evidenza l’efficacia delle cure (evidence based medicine – evidence based nursing). Si è così assistito alla trasformazione della domanda in diritto e, di conseguenza, la necessità di predisporre strumenti normativi e operativi che ne diano piena e puntuale attuazione. Il termine “sicurezza” in tutto il mondo imprenditoriale, e non diversamente nelle aziende sanitarie, evoca immediatamente il rispetto di norme, regolamenti e disposizioni legislative rischiando così di spostare l’attenzione del problema sugli aspetti prettamente strutturali e tecnologici o sulla sorveglianza sanitaria degli operatori coinvolti piuttosto che sulla sicurezza del paziente. Se il paziente che si rivolge alla struttura sanitaria con una domanda di assistenza che migliori la sua condizione di salute, riceve al contrario un danno dall’atto sanitario, si assiste al fallimento non solo della singola prestazione, ma dell’intero sistema che viene meno allo scopo per il quale è stato concepito.

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Il danno può però derivare non solo dall’errore del singolo, ma nelle strutture complesse, dalla non sinergia delle azioni che s’intraprendono: il possibile evento avverso rappresenta sempre il frutto di un’interazione tra fattori tecnici, organizzativi e di processo piuttosto che alla conseguenza di un singolo errore umano. Può così succedere che l’impegno dei singoli venga vanificato da un’imperfetta organizzazione del sistema. Alla crescita esponenziale della complessità organizzativa delle strutture sanitarie non è però seguito un’adeguata attenzione sui potenziali effetti distorti che questa crescita ha provocato, creando così delle aree di rischio dove possono realizzarsi delle condizioni dannose per il paziente. Il compito del risk management è proprio quello di individuare e correggere queste aree di rischio (e non tanto quello di identificare singoli errori) al fine di migliorare il processo assistenziale. La garanzia di un servizio adeguato diventa così un requisito del sistema che richiede di promuovere quel cambiamento culturale già iniziato nel mondo anglosassone (Australia, in primis) e che comincia a muovere i primi passi anche in Italia, che consente di superare l’approccio punitivo dell’errore. E’ molto facile, di fronte a qualcosa che non ha funzionato, limitarsi alla colpevolizzazione dell’operatore direttamente coinvolto, quando in realtà questo costituisce soltanto l’ultimo e più debole anello della catena degli eventi che hanno innescato l’errore e conseguentemente il danno. Al contrario è necessario un sistema che renda possibile la rilevazione di tutti gli errori, anche quelli che non hanno generato un evento avverso, consentendone l’analisi approfondita e la ricerca delle cause, al fine di identificare le aree di rischio e di prevenire il ripetersi delle stesse condizioni di rischio o di limitare il danno quando questo si è ormai verificato.

Tabella: Standard For Patient Safety (JCAHO)

9. Identificar e definire le priorità ai processi ad alto rischio10. Selezionare annualmente almeno un processo ad alto rischio11. Identificare i potenziali modi di errore12. Per ogni modo di guasto o errore identificare i possibili effetti13. Per gli effetti più critici occorre condurre un’analisi delle cause

immediate e remote14. Ridisegnare il processo per minimizzare il rischio di errore o per

proteggere il paziente dai suoi effetti15. Sperimentare ed applicare il processo ridisegnato16. Identificare ed applicare misure di efficacia17. Applicare una strategia per mantenere nel tempo l’efficacia del

processo che è stato ridisegnato

La scarsa visibilità degli errori che nella maggior parte dei casi non vengono segnalati dal professionista, frenato dal timore di essere giudicato negativamente dai colleghi e dal timore delle ripercussioni medico legali, è solo uno degli ostacoli al cambiamento. Per promuovere il cambiamento culturale utile all’avvio di un sistema di gestione del rischio, è fondamentale una leadership forte che individui come prioritario l’obiettivo di garantire la sicurezza delle prestazioni sanitarie per il paziente, attraverso sistemi che prevedano, se necessario, anche la profonda revisione e modifica dei processi. Non è infatti credibile per la popolazione che, in media, in un ospedale vengano evidenziate fin anche ad un migliaio di incidenti sul lavoro da parte dei dipendenti, mentre gli eventi avversi accaduti ai pazienti superano di poco le centinaia di unità.

Gli strumenti Il diagramma a spina di pesce

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Il diagramma di Ishikawa costituisce un modello di organizzazione predisposto per illustrare il processo di aggregazione di servizi sanitari in una logica cronologica e funzionale volta a definire quando e come le diverse prestazioni vengono erogate al singolo paziente. La logica che sottende queste aggregazioni in sanità comporta che si possono individuare diversi livelli stabiliti in base alla “vicinanza” al paziente stesso. Se si immagina che la linea retta sia il percorso effettuato dal paziente e le linee che l’incrociano i servizi di cui fruisce durante il suo percorso assistenziale si può determinare un ordine in base alla “vicinanza” al paziente stesso. Si può facilmente desumere che le attività che richiedono la presenza diretta del paziente sono quelle che incrociano la linea orizzontale, mentre vi sono una serie di attività che vengono eseguite “lontano” da paziente stesso. La distanza tra attività effettuata sul paziente e di supporto predisposte dalla struttura si è progressivamente andata ad accrescere con l’evolversi delle scienze sanitarie: anzi un modo per determinare la complessità dei percorsi terapeutici è proprio quello di verificare il numero e la distanza delle attività eseguite lontano dal paziente. L’errore che si manifesta davanti agli occhi del paziente è sicuramente quello che può generare maggiori contenziosi, ma un’organizzazione efficiente è chiamata a esaminare anche quelli non percepibili dal paziente stesso. Uno schema permette di sintetizzare il discorso:

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Le applicazioni in ambito del risk management Nell’ambito del risk management, sul diagramma possono essere evidenziati i passaggi su cui “sistemare” i controlli (cioè le sentinelle) del processo per evidenziare e correggere determinati errori. In particolare il diagramma permette di individuare i “punti” in cui vengono effettuate le prestazioni e quindi laddove vi possono essere errori tecnici di esecuzione e i passaggi o i tempi, rappresentabili con le lunghezza delle linee. Lo schema permette di evidenziare i singoli step del processo e i collegamenti che si vengono a creare tra un step e l’altro: sotto un profilo della gestione del rischio, occorre individuare quali sono i punti (laddove viene effettuata un’attività chirurgica o clinica) e i passaggi (cioè gli intervalli di tempo o il passaggio tra una funzione e l’altra) dove sono maggiori i rischi. Per ogni specifica situazione può essere richiesto ai singoli componenti di un processo di individuare in quale punto si ritiene maggiormente utile sistemare la sentinella (o più sentinelle, in base alle disponibilità che il sistema è disposto a dedicare ai monitoraggi) per effettuare i controlli. Per ogni singola realtà diventa così possibile proporre uno schema mentale volto a:

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%percentuale di influenza

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Modalità di compilazioneQuesto schema mentale permette ad ogni singolo soggetto di individuare uno specifico rischio (ed eventualmente ripetere il ragionamento per altri obiettivi) che ritiene strategico nello svolgimento della sua attività.Selezionato il rischio, devono essere elencati i principali fattori organizzativi in grado di condizionare il processo nel suo complesso (il principale va collocato nella casella in altro a sinistra e proseguire in ordine) Viene richiesto di esprimere una percentuale indicativa per identificare il peso che quel fattore esercita nel determinare il processo (la somma delle percentuale deve dare 100 oppure segnalare se, oltre ai quattro fattori segnalati, ce ne sono altri). La seconda percentuale riguarda la possibilità per un operatore di influire sul fattore di rischio segnalato: tale percentuale può variare da 0%, se all’operatore è preclusa ogni possibilità di intervento, al 100% se, viceversa, l’operatore sanitario dispone di un controllo assoluto nel ridurre od eliminare le cause di errore o eventi avversi. Ad esempio se al fattore di rischio produttivo viene attribuito una percentuale del 40% e si riconosce all’operatore una possibilità di controllo del 10%, vuol dire che sul totale complessivo si registra un controllo del 4% del processo. Tale percentuale va assommata agli altri fattori caratterizzanti per individuare qual è l’effettivo potere di controllo.

Matrice delle interconnesioni Per individuare le aree di rischio può risultare utile riportare su una matrice a doppia entrata le interconnessioni tra i vari reparti. Se è la complessità a generare errori, diventa inevitabile approfondire le conoscenze proprio sui passaggi di informazione tra una struttura e l’altra. Se si procede ad esaminare la richiesta che un reparto effettua ad un altro e le risposte da questo fornite (si pensi alle medicine o alle chirurgie e la richiesta che queste effettuano ai laboratori, alle radiologie o alla farmacia) difficilmente si rileveranno gli stessi dati in entrata ed in uscita. Tale differenza è spiegabile con il diverso grado di professionalità: nel leggere i vetrini il laboratorista risulta essere maggiormente esperto di qualsiasi altro professionista e, di conseguenza, può apportare modifiche nell’indagine diagnostica. Se però le differenze tra quanto richiesto da un reparto e quanto fornito da un altro si dovessero rilevare differenze significative (oltre che come quantità, differenze rilevanti possono essere rilevate nelle modalità di erogazione – ad esempio il numero di esami urgenti) queste difformità possono essere considerate come eventi sentinella di possibili aree di rischio. Tale differenza rileva infatti come il modus operandi dei due reparti sia improntata su stile e metodi profondamente diversi. Parallelamente, un’indagine di benchmarket può evidenziare come due reparti simili (che seguono una popolazione sovrapponibile e con una casistica simile e pesata con indice di case mix o di performance) possano presentare richieste significativamente diverse e discordanti. Si possono riportare su una matrice tutte le interconnessioni che si possono creare tra i reparti di un ospedale ed evidenziare laddove “richiedente e fornitore” presentano significative discordanze (e quindi possibili aree di rischio). Se l’ospedale presenta più unità operative simili (oppure confrontando i dati di reparti operanti in ospedali diversi, ma con le stesse caratteristiche) si possono individuare difformità comportamentali che possono sottintendere aree di rischio.

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Medicina I

W1.3. W1.4.

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Medicina II

W2.3. W2.4.

Chirurgia IChirurgia IILaboratorio analisi

W5.1. W5.2. W5.3. W5.4.

Radiologia

W6.1. W6.2. W6.3. W6.4.

...Totale

Nella tabella sono evidenziati gli incroci dove maggiori risultano essere le interdipendenze tra i reparti: dovendo procedere nell’individuare le aree di rischio è proprio nel rilevare le anomalie in queste interconnessioni che si possono elaborare standard e informazioni utili per il risck managenent.

Lo stato dell’arte sulle conoscenze del rischio Per individuare il livello di conoscenze sull’argomento e la percezione del fenomeno da parte degli operatori, si riporta la sintesi dei ragionamenti formulati dai partecipanti, provenienti da diverse realtà piemontese, del corso “lo strumento del risk management nella operativita’ sanitaria” organizzato dal centro di formazione della piccola casa della divina provvidenza dell’ospedale Cottolengo di Torino. In particolare si è provveduto a rilevare, tramite un apposito questionario, una serie di informazioni e dati utili per lo sviluppo della tematica che associ costantemente le impostazioni teoriche con la pragmaticità della realtà quotidiana dei singoli. Gli argomenti trattati possono essere riassunti nei seguenti punti: 1) La prima questione affrontata ha mirato a porre in evidenza dove e in quali ambiti gli argomenti relativi al risk management vengono abitualmente trattati. Ciò si può iniziare a desumere dalle risposte fornite sul come nel corso del 2004 si è parlato di rischio:

d) attività formativa proposta da: i) azienda 28,57 %ii) ordine professionale 17,86 %

e) per notizie apprese da: i) episodi di cronaca riportati dai mass media 75,01 %ii) articoli su stampa specializzata 39,33 %

f) commento ad episodi avvenuti i) presso altri reparti 39,29 %ii) presso la propria unità operativa 71,43 %

si rileva che la tematica è trattata dai mass media, viene ripresa negli approfondimenti nei reparti, ma il sistema trascura ancora il tema a livello complessivo (anche se occorre sottolineare come, le stesse domande ripetute nelle diverse edizioni, ovviamente con persone diverse, – prima edizione nella primavera 2005 – hanno manifestato una costante crescita delle percentuali: in altre parole, nel volgere di pochi mesi, l’attenzione verso il risk management è accresciuta indipendentemente dal mezzo di comunicazione).

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2) È stato poi richiesto di elencare le attività a maggior rischio di errore che vengono abitualmente svolte nella diverse unità operativa (tenendo conto della particolare coorte presa in considerazione) si evince che i problemi maggiori vengono segnalate nelle seguenti fattispecie:

- in primis si rileva la possibilità di errore nella somministrazione sia di terapia o più specificatamente di farmaci. È questo in effetti l’errore che per primo si appalesa al professionista in quanto è quello in cui può essere maggiormente coinvolto e responsabilizzato. E’ anche forse quello più facilmente intuibile, in quanto come operatori sanitari in senso lato, si è abituati ad avere familiarità con questo tipo di problematiche. In quasi l’80% delle risposte e tenendo conto che questo rischio appare spesso nelle prime posizioni, si sottolinea questo fattore di rischio sia quello maggiormente percepito.

- Seguono le attività chirurgiche, comprendendo con questo termine l’intervento in se stesso, ma anche quegli atti ad esso correlati come il circuito dello sporco e del pulito.

- Similmente agli interventi chirurgici, le attività di assistenza al cliente/utente possono generare errori, facilmente percepiti dal paziente. Rientrano in questa categoria tutte le metodiche manuali applicate al paziente.

- Gli errori connessi con l’utilizzo di attrezzature tendono ad interessare in modo diverso in funzione della specializzazione del medico (alta nei settori della diagnostica per immagini e per le attività di laboratorio, meno rilevante nei settori improntati all’assistenza).

- Una categoria a parte sono i rischi connessi agli errori riconducibili agli aspetti amministrativi – burocratici, che vanno dal passaggio di informazioni, al caricamento manuale dei dati, dal controllo dei dati relativi al paziente, alla trascrizione dei referti in cartella clinica. Alcuni di questi aspetti sono spesso vissuti come non propri della professione e, di conseguenza, percepiti come un aggiunta al vivere quotidiano che distrae dal core business.

3) Le cause che determinano rischio sono sostanzialmente riconducibili soprattutto al comportamento umano (70%) mentre al non funzionamento della struttura, cioè all’errore organizzativo o di sistema, viene attribuito solo il 30% della responsabilità. Tale risposta è indice di un notevole senso di responsabilità e del non automatico coinvolgimento di un “anonima” struttura su cui far ricadere gli errori rilevati: si ricorda che nelle cause giudiziarie, una delle principali motivazioni di difesa degli operatori sanitari è proprio il ricostruire una situazione di confusione e non perfetta organizzazione in modo da deresponsabilizzare il singolo. La scarsa attenzione agli errori imputabili alla struttura può, di converso, rilevare un indicatore del basso livello di percezione delle inefficienze insite in una complessione, quale quella sanitaria.

11) I soggetti maggiormente coinvolti e potenzialmente utili nelle attività di controllo interno nella sua realtà operativa, sono così espresse (calcolati come percentuale sul totale dei punteggi attribuiti):

a. capo sala 20,64b. dirigente medico 20,45c. responsabile di struttura complessa 15,19d. controllo di gestione aziendale 9,25e. ufficio di qualità 10,42f. direzione sanitaria di presidio 12,95g. direzione infermieristica 11,10

emerge come i soggetti che devono gestire il rischio sono soprattutto quelli impegnati nel processo e non chi per ragioni d’ufficio dovrebbe seguire queste problematiche: appare cioè ancora complesso trasferire le responsabilità di chi opera a chi deve organizzare.

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12) Al di fuori della singola realtà ospedaliera sono sempre più i soggetti che, a vario titolo, seguono da queste problematiche: secondo la coorte dei partecipanti al corso questi sono i soggetti maggiormente significativi:

a. forze dell’ordine 14,42b. magistratura 10,72c. ispettori ministeriali 10,60d. ispettori regionali 19,95e. società scientifiche 12,31f. rappresentanti degli ordini professionali 11,92g. sindacati 7,65h. rappresentanti degli organismi di tutela dei pazienti12,99

13) L’esperienza di un professionista accresce la possibilità di eseguire l’operazione in sicurezza per il 72,59 % dei casi, mentre l’abitudine e superficialità possono generare problemi nel restante 27,41 % dei casi.

14) Quali di questi strumenti riduce il rischio di commettere errori e perché

a. Le “Linee guida” sono ritenute valide perché segnalano un modus operandi già sperimentato in altre sedi, perché permettono un costante adeguamento alla letteratura scientifica e infine perché evitano la necessità di procede con improvvisazione.

b. I “Controlli interni al reparto” sono ritenuti validi in quanto permettono una revisione continua dei protocolli, riducono l’errore umano e permettono di agire con maggiore scrupolosità.

c. I “Controlli interni all’Azienda sanitaria” contribuiscono ad evitare i rischi di sistema e per agire con maggior scrupolosità. Comincia ad essere significativa la percentuale di non risposte, testimonianza di uno scarso valore attribuito a questa forma di controllo

d. I “Controlli esterni” favoriscono l’attività di benchmarket e permettono un controllo dei dati (soprattutto nelle attività di laboratorio)

e. La “certificazione di qualità” del reparto non viene percepita come uno strumento di reale utilità nel correggere i comportamenti sbagliati ma al più per rivedere le procedure adottate e riformulare le istruzioni operative

f. Nel definire altri strumenti idonei è da rilevare la possibilità di attivare forme di benchmarket e di effettuare riunioni periodiche “Brain storming” sugli argomenti di risk management

15) I consigli più significativi, formulabili ad un collega più giovane e inesperto, per diminuire il rischio riguardano:

- consultarsi spesso con i colleghi con maggiore anzianità nel settore e richiederne la presenza nelle fase più delicate

- non trascurare le fonti informative disponibili - comunicazione interdisciplinare con tutti i soggetti coinvolti nel processo di cura - attivare forme di autovalutazione verificando sistematicamente i propri outcome- organizzare ex ante piani di intervento che predefiscano appositi percorsi terapeutici

tutelanti per il paziente- ascoltare i pazienti - aggiornarsi e collaborare con le ricerche avviate in sede

16) Da chi si può sperare, in caso di errore, di una forma di tutela:a. colleghi 23,76 %

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b. reparto 23,54 %c. azienda sanitaria presso cui è assunto 16,73 %d. ordine professionale 13,17 %e. assicurazione 11,55 %f. sistema sanitario in cui opera 5,77 %g. legali 5,48 %

17) Tra gli strumenti statistici ed informatici maggiormente utili per segnalare le situazioni a rischio o la presenza di eventi avversi nel proprio ambito lavorativo vengono individuati:

- la necessità di predisporre report (tipo incident report)- la possibilità di accesso ad attendibili statistiche validate da società scientifiche - un monitoraggio continuo delle attività grazie all’utilizzo di cartelle cliniche informatizzate- la necessità di potersi rivolgere ad una specie di esperto risponde - la possibilità di disporre di informazioni sul paziente sul tipo sanicard - a poter disporre di attrezzature maggiormente affidabili - occorre ancora segnalare uno scarso utilizzo di internet come potenzialità per acquisire

maggiori informazioni.