dall’asia e dall’europa cina, il nuovo impero o una tigre ... · apprende intanto che in cina,...

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IL GIORNALE DELL’INFORMATION & COMMUNICATION TECHNOLOGY EDIZIONI ICT S.R.L. Via del Fornetto, 85 - 00149 Roma DIRETTORE RESPONSABILE Gildo Campesato REDAZIONE Via del Fornetto, 85 - 00149 Roma tel. 06-55115601 fax 06-55115564 [email protected] STAMPA Litosud s.r.l. SERVIZIO ABBONATI Via del Fornetto, 85 - 00149 Roma tel. 06-55115601 fax 06-55115564 [email protected] PUBBLICITÀ Target Media Group Via Isonzo 32 - 00198 Roma tel. 06-840.83.208 fax 06-842.42.758 [email protected] Registrazione e Autorizzazione Tribunale di Roma n.188/2005 del 12/5/2005 Arretrati 6,00 euro. Abbonamento annuo 60,00 euro (22 numeri) Estero 120,00 euro Stampato in rotoffset in 18.000 copie QUINDICINALE DALL’ASIA E DALL’EUROPA WorldVision DAL 7 AL 20 NOVEMBRE PAG.2 Non è tutto oro quel che luccica. An- zi, la materia preziosa sembrerebbe addi- rittura scarseggiare. Sul futuro economico della Cina, e sulla sua affermazione in qua- lità di potenza hi-tech a livello mondiale, comincia a farsi strada una teoria niente affatto ottimista. Il partito degli scettici fa ogni giorno nuovi proseliti portando avan- ti la bandiera del “cinese=tarocco”. La luccicante medaglia dell’Impero Celeste nasconderebbe, sotto la scorza dorata, un grezzo metallo dallo scarso valore, sosten- gono gli esperti, in particolar modo quelli dell’occidente più estremo, gli Stati Uniti, ma non solo. NUMERI CRESCENTI A conferma della teoria c’è il confronto fra i numeri, sempre crescenti – relativi al business e a ciò che ad esso si lega - e la qualità degli stessi. E di esempi ce n’è più di uno, a voler mettere insieme i risultati provenienti dalle indagini di istituti di ana- lisi come McKinsey e di business school quali l’europea Insead. Veniamo ai fatti. Numero uno: i laureati cinesi. Tanti, tantissimi, stando alle statistiche sul totale mondiale, ma –dicono gli esperti – pochi quando il numero viene rapportato al totale della popolazione cinese. Non solo. Data per assodata la crescita della quantità dei graduates, è sulla qualità della formazione che gli esperti occidentali si mostrano par- ticolarmente severi: i laureati cinesi, dico- no i “nostri”, ne sanno meno, a volte molto meno, degli occidentali. Secondo McKin- sey gli ingegneri orientali avrebbero un bagaglio culturale basato essenzialmente sulla teoria e poco o niente sulla pratica, al punto che solo il 10% sarebbe adatto per essere impiegato nelle compagnie multina- zionali estere. POCHI BREVETTI Numero due: i brevetti. Bravi a riprodur- re fedelmente il made in West, i cinesi non sarebbero altrettanto capaci sul fronte delle novità. A tal proposito gli esperti fanno la conta dei brevetti registrati, pochi rispetto a quelli sui quali possono contare le eco- nomie occidentali, e la crescita registrata di recente non sarebbe altro che il frutto della decisione di quegli innovatori i quali, rispetto al passato, hanno capito il valore della proprietà intellettuale dando quindi seguito al deposito e alla registrazione dei progetti e delle iniziative intellettuali. Ancora, nonostante gli sforzi, è lo stesso governo a limitare l’innovazione made in China considerato che, come del resto già avviene in Giappone e Corea del Sud, i brevetti detenuti dalla macchina pubblica raramente si trasformano in innovazione di mercato. DIPENDENZA TECNOLOGICA Terzo: il timore della dipendenza tecno- logica dall’Occidente sta spingendo un mucchio di aziende e organizzazioni del Paese a sviluppare propri standard. Un errore, secondo gli esperti, sia perché gli standard cinesi non sarebbero in grado di competere con quelli già ampiamente con- solidati in Occidente - non foss’altro per lo strapotere delle major dell’hi-tech mon- diale- sia perché optare per uno standard alternativo sortirebbe l’inevitabile risultato dell’isolazionismo tecnologico, fenomeno pericoloso quanto compromettente ai fini del business del Paese. Quarto: la competitività. Il mercato occi- dentale ha già accolto grandi aziende cinesi come ad esempio Lenovo (ex Ibm personal computers) e Huawei, per citarne due. Al momento però, sostengono gli analisti ap- partenenti al club degli scettici, le aziende orientali, e in particolare quelle cinesi, pur proponendosi sul mercato con un’offerta di prodotti e soluzioni molto ampia, non sarebbero in grado di competere tecnolo- gicamente con le star occidentali, se non sul terreno dei prezzi. Una variabile che da sola non basterebbe a creare leadership di alcun genere nel lungo periodo e che quindi sarebbe meno pericolosa di quanto al momento si creda. SCARSITÀ DI FONDI Quinto: il venture capital. Ulteriore spina nel fianco del Dragone la scarsità di fondi destinati a finanziare start-up crea un certo immobilismo nel mercato interno, dove a dominare sono pochi grandi colossi delle Tlc, e men che meno sul fronte interna- zionale dove per competere c’è bisogno di capitali da investire in innovazione per tenere testa alle colossali conglomerate che si sono già affermate sulla scena. LA SOGLIA D’ALLARME Ma, c’è un ma. Se c’è chi sostiene che i toni della corsa cinese, soprattutto quelli mediatici, andrebbero ridimensionati, c’è anche un’altrettanto autorevole schiera di esperti che continua a tenere alta la soglia d’allarme, soprattutto quando sul piatto c’è il confronto non tanto fra Cina e Occidente, ma fra Cina ed Europa. La Commissione Europea, nel presentare i dati sulla spesa in ricerca e sviluppo, pubblica e privata, dei grandi Paesi mondiali, fa presente che la Cina entro cinque anni investirà in R&D molto più dell’Europa. L’investimento europeo, pari all’1,93% del Pil nel 2003, salirà, dice l’Ue, al 2,2% nel 2010, al di sotto quindi del 3% fissato dalla strategia di Lisbona. Diversamente l’1,31% cinese registra già un andamento a doppio digit e “se il trend continua ci raggiungeranno nel 2009 o nel 2010”, sottolinea il commis- sario Ue per la ricerca, Janez Potocnik. E, in fondo, se l’abilità più grande dei cinesi, come in molti sostengono, consiste nel replicare puntualmente il made in West, allora perché escludere che la Cina, fatti salvi i dovuti “adeguamenti” politici, non sia in grado di replicare anche il modello economico occidentale? BOOM DI MESSAGGINI In attesa di nuove notizie dal fronte, si apprende intanto che in Cina, come già ac- caduto dalle nostre parti, è boom di sms, al punto che i messaggini già rappresentano il 10% degli introiti degli operatori mobili. Nel comunicare i dati di bilancio del tri- mestre il colosso China Mobile ha appena reso noto che i suoi 235 milioni di clienti hanno inviato 178,5 miliardi di sms nei primi nove mesi del 2005, pari ad una me- dia per utente di 760 messaggi, generando un fatturato per la compagnia di circa 182 milioni di euro. Cina, il nuovo impero o una tigre di carta? Una nuova corrente di studiosi mette in discussione che il Paese costituisca effettivamente una minaccia mortale per l’occidente: scarsa scolarità, pochi brevetti e insufficienti fondi alla ricerca Confronti Molto bravi a copiare i cinesi non sarebbero altrettanto bravi nel produrre proprie novità tecnologiche Strutture Il mercato interno è quasi immobile pochi i finanziamenti per far decollare le nuove aziende Enzo Lima In qualche modo annunciata nelle ultime settimane, in seguito all’improvviso attivismo dei vertici del gruppo, la scalata degli spagnoli di Telefonica all’operatore mobile britannico O2 risulta tuttavia sor- prendente. In primo luogo per le dimen- sioni dell’operazione: il più colossale take over al quale il Vecchio Continente assiste dai tempi, che appaiono ormai remotissimi, della febbre speculativa degli ultimi anni Novanta. E, in secondo luogo, perché è stata finora convinzione generale che le grandi telecom europee fossero troppo impegnate a curarsi le ferite delle passate e in molti casi improvvide avventure per trovare le energie, e i capitali, per tentare mosse che andassero al di là di operazioni di puro e semplice assestamento. E invece l’operatore spagnolo si dichiara pronto a far crescere i propri debiti dagli attuali 27 miliardi di euro a ben 55 miliardi per pagare, in contanti, uno dei maggiori gruppi europei di telefonia mobile, sfidando in questo modo il generale scetticismo dei mercati, che infatti hanno immediatamente punito i suoi titoli, e l’ostilità delle agenzie internazionali di rating, subito pronte a ridurre la valutazione sulla sostenibilità a lungo termine del suo debito. È vero che, con l’acquisizione di O2, Telefonica si co- stituisce come il secondo maggiore gruppo telefonico al mondo, subito alle spalle del colosso cinese China Mobile, mettendo insieme un totale di 170 milioni di clienti, su linee sia fisse sia mobili. Ed è anche vero che con la sua mossa, il gruppo spa- gnolo porta letteralmente lo scompiglio nel mercato europeo delle telecomunicazioni, cambiando le carte in tavola soprattutto in Gran Bretagna e in Germania, paesi nei quali l’operatore mobile acquisito gode già di una radicata presenza. Si potrebbe anche dire che la mossa di Telefonica ha assunto il carattere di un’azione arditatamente pre- ventiva nei confronti, soprattutto, di Deut- sche Telekom, che già aveva tentato, senza successo, di allungare le mani su O2. Impossibile tuttavia non far prevalere le perplessità sull’ammirazione. I mercati europei sono già caratterizzati da eleva- tissimi livelli di competitività. Telefonica sostiene che, con il complemento di O2, raggiungerà livelli di crescita superiori a quelli di alcuni dei suoi più diretti com- petitori: Vodafone, T-Mobile (Deutsche Telekom) e Orange (France Telecom). E che, dalla combinazione dei due gruppi, veranno fuori almeno 290 milioni di euro di risparmi. Resta comunque da capire co- me possa riuscire, in tempi ragionevoli, a far in modo che questi benefici bilancino la tremenda esposizione finanziaria alla quale ha dovuto (o voluto visto che ha deciso di pagare l’intera operazione con il ricorso al mercato senza vendere neppure uno dei suoi asset) piegarsi. Un obiettivo Telefonica lo ha, in ogni ca- so, raggiunto. Ha letteralmente sconvolto le convinzioni degli osservatori. I quali so- no oggi costretti a chiedersi se, questo del gruppo spagnolo, costituisca un temerario rilancio in un gioco d’azzardo destinato a restare isolato. Oppure se rappresenti il punto di partenza di una nuova rincorsa a operazioni di consolidamento che i suoi più diretti competitori saranno costretti, se non altro per parare il colpo, a intraprendere. Il fatto è che nè gli equilibri finanziari dei grandi gruppi, ancora fiaccati dalle follie di un decennio fa, nè lo stato delle innovazio- ni tecnologiche, che sembrano piuttosto allungare qualche ombra sui destini dei carrier tradizionali, giustificano una ripresa dell’allegra merger mania di un tempo. Comunque sia, con l’operazione O2, Telefonica, da sempre il gruppo leader oltre che in casa propria anche nei paesi la- tino-americani, sposta il proprio equilibrio verso il centro Europa. E se per ora l’Italia si limita a guardare, non è detto che potrà continuare a farlo impunemente. Il temerario rilancio di Telefonica Con la scalata a O2 il gruppo spagnolo sconvolge il mercato europeo delle Tlc L’esposizione I debiti del gruppo aumentano da 27 a 55 miliardi di euro Un colosso Nasce il secondo gruppo mondiale: 170 milioni di clienti Giorgio D’Amico

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IL GIORNALE DELL’INFORMATION & COMMUNICATION TECHNOLOGY

EDIZIONI ICT S.R.L.Via del Fornetto, 85 - 00149 Roma

DIRETTORE RESPONSABILEGildo Campesato

REDAZIONEVia del Fornetto, 85 - 00149 Romatel. 06-55115601 fax 06-55115564

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STAMPALitosud s.r.l.

SERVIZIO ABBONATIVia del Fornetto, 85 - 00149 Romatel. 06-55115601 fax 06-55115564

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PUBBLICITÀTarget Media Group

Via Isonzo 32 - 00198 Romatel. 06-840.83.208 fax 06-842.42.758

[email protected]

Registrazione e AutorizzazioneTribunale di Roma n.188/2005 del 12/5/2005

Arretrati 6,00 euro.Abbonamento annuo 60,00 euro (22 numeri)

Estero 120,00 euro

Stampato in rotoffset in 18.000 copie

QUINDICINALE

D A L L ’ A S I A E D A L L ’ E U R O P AWorldVision

DAL 7 AL 20 NOVEMBREPAG.2

Non è tutto oro quel che luccica. An-zi, la materia preziosa sembrerebbe addi-rittura scarseggiare. Sul futuro economico della Cina, e sulla sua affermazione in qua-lità di potenza hi-tech a livello mondiale, comincia a farsi strada una teoria niente affatto ottimista. Il partito degli scettici fa ogni giorno nuovi proseliti portando avan-ti la bandiera del “cinese=tarocco”. La luccicante medaglia dell’Impero Celeste nasconderebbe, sotto la scorza dorata, un grezzo metallo dallo scarso valore, sosten-gono gli esperti, in particolar modo quelli dell’occidente più estremo, gli Stati Uniti, ma non solo.

NUMERI CRESCENTIA conferma della teoria c’è il confronto

fra i numeri, sempre crescenti – relativi al business e a ciò che ad esso si lega - e la qualità degli stessi. E di esempi ce n’è più di uno, a voler mettere insieme i risultati provenienti dalle indagini di istituti di ana-lisi come McKinsey e di business school quali l’europea Insead. Veniamo ai fatti.

Numero uno: i laureati cinesi. Tanti, tantissimi, stando alle statistiche sul totale mondiale, ma –dicono gli esperti – pochi quando il numero viene rapportato al totale della popolazione cinese. Non solo. Data per assodata la crescita della quantità dei graduates, è sulla qualità della formazione che gli esperti occidentali si mostrano par-ticolarmente severi: i laureati cinesi, dico-no i “nostri”, ne sanno meno, a volte molto meno, degli occidentali. Secondo McKin-sey gli ingegneri orientali avrebbero un bagaglio culturale basato essenzialmente sulla teoria e poco o niente sulla pratica, al punto che solo il 10% sarebbe adatto per essere impiegato nelle compagnie multina-zionali estere.

POCHI BREVETTINumero due: i brevetti. Bravi a riprodur-

re fedelmente il made in West, i cinesi non sarebbero altrettanto capaci sul fronte delle novità. A tal proposito gli esperti fanno la conta dei brevetti registrati, pochi rispetto a quelli sui quali possono contare le eco-nomie occidentali, e la crescita registrata

di recente non sarebbe altro che il frutto della decisione di quegli innovatori i quali, rispetto al passato, hanno capito il valore della proprietà intellettuale dando quindi seguito al deposito e alla registrazione dei progetti e delle iniziative intellettuali. Ancora, nonostante gli sforzi, è lo stesso governo a limitare l’innovazione made in China considerato che, come del resto già avviene in Giappone e Corea del Sud, i brevetti detenuti dalla macchina pubblica raramente si trasformano in innovazione di mercato.

DIPENDENZA TECNOLOGICATerzo: il timore della dipendenza tecno-

logica dall’Occidente sta spingendo un mucchio di aziende e organizzazioni del Paese a sviluppare propri standard. Un errore, secondo gli esperti, sia perché gli standard cinesi non sarebbero in grado di competere con quelli già ampiamente con-solidati in Occidente - non foss’altro per lo strapotere delle major dell’hi-tech mon-diale- sia perché optare per uno standard alternativo sortirebbe l’inevitabile risultato dell’isolazionismo tecnologico, fenomeno pericoloso quanto compromettente ai fini del business del Paese.

Quarto: la competitività. Il mercato occi-dentale ha già accolto grandi aziende cinesi come ad esempio Lenovo (ex Ibm personal

computers) e Huawei, per citarne due. Al momento però, sostengono gli analisti ap-partenenti al club degli scettici, le aziende orientali, e in particolare quelle cinesi, pur proponendosi sul mercato con un’offerta di prodotti e soluzioni molto ampia, non sarebbero in grado di competere tecnolo-gicamente con le star occidentali, se non sul terreno dei prezzi. Una variabile che da sola non basterebbe a creare leadership di alcun genere nel lungo periodo e che quindi sarebbe meno pericolosa di quanto al momento si creda.

SCARSITÀ DI FONDIQuinto: il venture capital. Ulteriore spina

nel fianco del Dragone la scarsità di fondi destinati a finanziare start-up crea un certo immobilismo nel mercato interno, dove a dominare sono pochi grandi colossi delle Tlc, e men che meno sul fronte interna-zionale dove per competere c’è bisogno di capitali da investire in innovazione per tenere testa alle colossali conglomerate che si sono già affermate sulla scena.

LA SOGLIA D’ALLARMEMa, c’è un ma. Se c’è chi sostiene che i

toni della corsa cinese, soprattutto quelli mediatici, andrebbero ridimensionati, c’è anche un’altrettanto autorevole schiera di esperti che continua a tenere alta la soglia d’allarme, soprattutto quando sul piatto c’è il confronto non tanto fra Cina e Occidente, ma fra Cina ed Europa. La Commissione Europea, nel presentare i dati sulla spesa in ricerca e sviluppo, pubblica e privata, dei grandi Paesi mondiali, fa presente che la Cina entro cinque anni investirà in R&D molto più dell’Europa. L’investimento europeo, pari all’1,93% del Pil nel 2003, salirà, dice l’Ue, al 2,2% nel 2010, al di sotto quindi del 3% fissato dalla strategia di Lisbona. Diversamente l’1,31% cinese registra già un andamento a doppio digit e “se il trend continua ci raggiungeranno nel 2009 o nel 2010”, sottolinea il commis-sario Ue per la ricerca, Janez Potocnik. E, in fondo, se l’abilità più grande dei cinesi, come in molti sostengono, consiste nel replicare puntualmente il made in West, allora perché escludere che la Cina, fatti salvi i dovuti “adeguamenti” politici, non sia in grado di replicare anche il modello economico occidentale?

BOOM DI MESSAGGINIIn attesa di nuove notizie dal fronte, si

apprende intanto che in Cina, come già ac-caduto dalle nostre parti, è boom di sms, al punto che i messaggini già rappresentano il 10% degli introiti degli operatori mobili. Nel comunicare i dati di bilancio del tri-mestre il colosso China Mobile ha appena reso noto che i suoi 235 milioni di clienti hanno inviato 178,5 miliardi di sms nei primi nove mesi del 2005, pari ad una me-dia per utente di 760 messaggi, generando un fatturato per la compagnia di circa 182 milioni di euro.

Cina, il nuovo imperoo una tigre di carta?

Una nuova corrente di studiosi mette in discussione che il Paese costituisca effettivamente una minaccia mortale per l’occidente:scarsa scolarità, pochi brevetti e insufficienti fondi alla ricerca

ConfrontiMolto bravi a copiarei cinesi non sarebbero

altrettanto bravinel produrre proprienovità tecnologiche

StruttureIl mercato internoè quasi immobilepochi i finanziamentiper far decollarele nuove aziende

Enzo Lima

In qualche modo annunciata nelle ultime settimane, in seguito all’improvviso attivismo dei vertici del gruppo, la scalata degli spagnoli di Telefonica all’operatore mobile britannico O2 risulta tuttavia sor-prendente. In primo luogo per le dimen-sioni dell’operazione: il più colossale take over al quale il Vecchio Continente assiste dai tempi, che appaiono ormai remotissimi, della febbre speculativa degli ultimi anni Novanta. E, in secondo luogo, perché è stata finora convinzione generale che le grandi telecom europee fossero troppo impegnate a curarsi le ferite delle passate e in molti casi improvvide avventure per trovare le energie, e i capitali, per tentare mosse che andassero al di là di operazioni di puro e semplice assestamento.

E invece l’operatore spagnolo si dichiara pronto a far crescere i propri debiti dagli attuali 27 miliardi di euro a ben 55 miliardi per pagare, in contanti, uno dei maggiori gruppi europei di telefonia mobile, sfidando in questo modo il generale scetticismo dei mercati, che infatti hanno immediatamente punito i suoi titoli, e l’ostilità delle agenzie

internazionali di rating, subito pronte a ridurre la valutazione sulla sostenibilità a lungo termine del suo debito. È vero che, con l’acquisizione di O2, Telefonica si co-stituisce come il secondo maggiore gruppo telefonico al mondo, subito alle spalle del colosso cinese China Mobile, mettendo insieme un totale di 170 milioni di clienti, su linee sia fisse sia mobili. Ed è anche vero che con la sua mossa, il gruppo spa-gnolo porta letteralmente lo scompiglio nel mercato europeo delle telecomunicazioni, cambiando le carte in tavola soprattutto in Gran Bretagna e in Germania, paesi nei quali l’operatore mobile acquisito gode già di una radicata presenza. Si potrebbe anche dire che la mossa di Telefonica ha assunto il carattere di un’azione arditatamente pre-

ventiva nei confronti, soprattutto, di Deut-sche Telekom, che già aveva tentato, senza successo, di allungare le mani su O2.

Impossibile tuttavia non far prevalere le perplessità sull’ammirazione. I mercati europei sono già caratterizzati da eleva-tissimi livelli di competitività. Telefonica sostiene che, con il complemento di O2, raggiungerà livelli di crescita superiori a quelli di alcuni dei suoi più diretti com-petitori: Vodafone, T-Mobile (Deutsche Telekom) e Orange (France Telecom). E che, dalla combinazione dei due gruppi, veranno fuori almeno 290 milioni di euro di risparmi. Resta comunque da capire co-me possa riuscire, in tempi ragionevoli, a far in modo che questi benefici bilancino la tremenda esposizione finanziaria alla quale

ha dovuto (o voluto visto che ha deciso di pagare l’intera operazione con il ricorso al mercato senza vendere neppure uno dei suoi asset) piegarsi.

Un obiettivo Telefonica lo ha, in ogni ca-so, raggiunto. Ha letteralmente sconvolto le convinzioni degli osservatori. I quali so-no oggi costretti a chiedersi se, questo del gruppo spagnolo, costituisca un temerario rilancio in un gioco d’azzardo destinato a restare isolato. Oppure se rappresenti il punto di partenza di una nuova rincorsa a operazioni di consolidamento che i suoi più diretti competitori saranno costretti, se non altro per parare il colpo, a intraprendere. Il fatto è che nè gli equilibri finanziari dei grandi gruppi, ancora fiaccati dalle follie di un decennio fa, nè lo stato delle innovazio-ni tecnologiche, che sembrano piuttosto allungare qualche ombra sui destini dei carrier tradizionali, giustificano una ripresa dell’allegra merger mania di un tempo.

Comunque sia, con l’operazione O2, Telefonica, da sempre il gruppo leader oltre che in casa propria anche nei paesi la-tino-americani, sposta il proprio equilibrio verso il centro Europa. E se per ora l’Italia si limita a guardare, non è detto che potrà continuare a farlo impunemente.

Il temerario rilancio di TelefonicaCon la scalata a O2 il gruppo spagnolo sconvolge il mercato europeo delle Tlc

L’esposizioneI debiti del gruppoaumentano da 27a 55 miliardi di euro

Un colossoNasce il secondo

gruppo mondiale:170 milioni di clienti

Giorgio D’Amico