dal fatto - luglio agosto 2013

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18 DOMENICA 21 LUGLIO 2013 il Fatto Quotidiano

e disumana avventura (rapi-mento con violenza di donnae bambina per obbedire agliordini di un dittatore in gradodi compensare): si aspettanola voce di Emma Bonino.Emma, conta poco se il mi-nistero degli Esteri sia stato ono coinvolto, come avrebbedovuto avvenire, nella “r e n-dition” (di questo si tratta) suordinazione straniera, attra-verso la cattura, con una pau-rosa messa in scena che nonsapevamo fosse possibile inItalia, della moglie e della fi-glia bambina di un dissiden-te ricercato.

CONTA CHE in questo stranoperiodo e in

questo assur-do governo,sia accadu-to che Em-

ma Bonino sia il ministro de-gli Esteri. Conta che EmmaBonino sia Emma Bonino.Dunque non solo una perso-na in grado di dirci se e perchéil suo ministero è stato messoda parte, ma come tutto ciòsia potuto avvenire in viola-zione persino delle apparenzeche spesso, ipocritamente, co-prono i reati peggiori. Ormaisappiamo che una donna e

di Furio Colombo

Cara Emma, credoche, dal 1945, non cisia mai stato un mo-mento più confuso e

umiliante nella politica esteraitaliana, che vuol dire imma-gine e reputazione. Credo chedal 1945 non ci sia mai statoun ministro degli Esteri piùcompetente, creduto, autore-vole. Perché tace quel mini-stro di fronte a questa politica?Per esempio, l’ambasciatorekazako, quello che ha dato gliordini come se fosse un mi-nistro italiano, va cacciato su-bito. Per esempio, l’Italia deveesigere protezione e rimpatrioimmediato per la donna e labambina, se non è troppotardi. Mi domando se per-fino un personaggio dellatriste reputazione di Na-zarbayev, dittatore a vitadel Kazakistan, potrebbetenere testa alla presenza delministro degli Esteri italianoche va a riprendersi la donna ela bambina rapite con corru-zione e inganno. Da chi aspet-tarsi, se non da te, un inter-vento fermo, irrinunciabilecome quello che hai avuto inAfghanistan, contro retori-che falsità e bugie, come è av-venuto in tanti episodi dellatua vita! Non c’è bisogno che tidica la stima che ti meriti dauna vita, o che ripeta l’ami -cizia che conosci bene.

MA C’È BISOGNO, urgente,drammatico, e sentito damolti (specialmente da coloroche si associano alla primafrase di questa lettera), di ri-pensare a ciò che è successodal 28 maggio in avanti fraCasal Palocco, Roma e Ciam-pino. Qualcosa che più lo sicopre di dichiarazioni palese-mente non vere e di autore-voli esortazioni “a tener duroe a continuare” (sì, ma che co-sa?) e più diventa uno sgra-devole puzzle a cui mancanopezzi essenziali per rivelare al-meno una parte di verità.Continuiamo a sentirci ripe-tere la comica (in questo casotragica) frase di chi viene sor-preso nel letto sbagliato, se-condo cui “le cose non sonocome sembrano”. Le cose in-fatti non possono essere comesembrano. Perché la narra-zione di Alma Shalabayeva alFinancial Times è la storia di ungravissimo reato di Stato cheha fatto il giro del mondo emostra che alla nostra poliziaè stato ordinato di compor-tarsi come le polizie a paga-mento di quei Paesi della dro-ga dove criminalità e forzedell’ordine sono speculari,come lo è la reciproca illega-lità. Tutto ciò purtroppo inItalia è già successo, basti pen-sare ai crimini commessi daalcuni poliziotti a Genova sudiretto mandato di alcuni po-litici. Ma se in questi casibrandelli di verità sono affio-rati nel tempo a causa dellatenacia di alcuni giudici e visono state alcune (ma solo al-cune) condanne, si deve al fat-to che il contenitore del po-tere era omogeneo (tutta lastessa gente) ed è rimasto alungo intatto. Ecco che cosa siaspettano, invece, molti italia-ni, adesso, in quest’altra grave

una bambina sono state ter-rorizzate e poi rapite per vo-lere e su ordine di un governostraniero che in Italia coman-da. Infatti è chiaro che quelgoverno voleva procurarsiuna donna e una bambina co-me ostaggi, con probabile de-stinazione il carcere e l'orfa-notrofio. Quel governo lo vo-leva, lo ha ordinato, lo ha ot-tenuto, dall’Italia e a Roma,nonostante i documenti,i permessi, i passaporti in re-gola (che però il ministero de-gli Esteri ha disconosciuto,come se fosse disinformato eincompetente (nel senso diprivo di responsabilità), la-sciando trascorrere il tempoche ha permesso il rapimento.Ora ci dicono che i soli col-pevoli sono degli impiegatidi un ministero (dell’I n t e r-no), forse dell’altro (degliEsteri). Ma agli Esteri, ripe-to, la titolare è Emma Bo-nino, che non ha mai men-tito come Alfano, e ha unpassato molto diverso.

QUESTO GLI ITALIANI losanno e per questo aspettava-no e aspettano, la sua versionedei fatti, che non è quella diAlfano, vistosamente falsa eingiustamente truccata a dan-no dei sottoposti. Tutto ciò tiriguarda, come riguarda me etutti coloro che (molte volteinsieme a te) si sono battutiper la difesa, per la salvezza ditante Alma Shalabayeva ebambina Alua, prelevate colterrore e la forza da Roma perfarne dono a un dittatore pe-ricoloso. Non succedeva cosìcon Gheddafi? Ma tu sei statasempre la prima a denuncia-re. Ecco, in tanti, adesso – a n-che coloro che non capisco-no tutto il ritardo che si è in-terposto tra i fatti e la cono-scenza collettiva dei fatti, etutti i silenzi o i toni bassi eappartati del ministero degliEsteri in questa tremenda oc-casione – vogliono sentire lavoce, la versione, il giudiziodi Emma Bonino. Poiché inmolti sappiamo che tu non tisei mai adattata ad alcuna“ragione di Stato”, in moltirestiamo in attesa.

di Nando dalla Chiesa

La pesca con il vino.Solo un oste poetaormai può dartela,mentre impazzano

ovunque carpacci d’ananas efragole surgelate. Ma certo: latazza di ceramica grezza, il poz-zetto di vino rosso, la pescagialla tagliata a piccole fettine.E in più una mano sulla spalla,come per dire guarda che pro-fumo di abitudini dimenticate.Ernesto è sempre stato così. Li-bero e nemico di ogni imperia-lismo, compreso quello gastro-nomico. La barba grigia da fi-losofo socratico e lo sguardoironico-malinconico da perso-naggio di Garcìa Màrquez,guarda Milano con disincantodalla sua “Taverna degli amici”:giudici e avvocati e giornalisti eimpiegati a pranzo, un mondomisto ma croccante di giovanialla sera, fino a tardi. Una storiache arriva da lontano. “I tuoiamici del Sessantotto? Certoche li rivedo. Ogni tanto arri-vano, sanno che sono qui e ven-gono a salutare. Claudio, Gio-vanna, Bubu. Mi fa piacere ri-vederli. Ma sai che cosa mi met-te in imbarazzo? Quando arri-vano qui a gruppi. Perché allo-ra me li trovo davanti tutti ve-stiti e rifiniti come funzionaridi banca, e mi viene automaticorivederli dopo le manifestazio-ni, quando arrivavano a decinee facevano quelle grandi tavo-late da Strippoli. E mangiandoparlavano di quel che era suc-cesso in piazza o in via Larga ebrindavano alla rivoluzione”.

GIÀ, STRIPPOLI. Era un’iconadei giovani contestatori mila-nesi. Prima fu il tempio dei pan-zerotti in piazza Santo Stefano,quartier generale del Movi-mento studentesco, poi i localiin via Tibaldi, vicino ai navigli ealla Bocconi, poi quelli in viaBoccaccio. Tipica cucina pu-gliese, che spopolava in unmondo universitario rinsan-guato dagli arrivi in massa deglistudenti del sud. “Io arrivai daStrippoli in un secondo mo-mento, quando era già in via Ti-baldi. E fu il traguardo della miavita di emigrato”. La storia diErnesto Notaro emigrato cala-brese ha qualcosa di romantico.

Nativo di Tiriolo, l’unico paeseda cui si possano vedere insie-me lo Jonio e il Tirreno, decisedi andare a cercar fortuna alnord. Ma non aveva i soldinemmeno per partire. Glieliprestò un dirigente socialistalocale, il padre di FrancescoForgione, l’ex presidente dellacommissione parlamentare an-timafia, che ancora oggi quan-do è a Milano va a cena da lui.“Trentamila lire, mi diede. Nespesi otto per il treno, due”, equi ride, “li scialacquai in siga-rette e colazioni perché non eroabituato ad avere tutti quei sol-di in tasca, quindici per un lettoe gli altri cinque li tenni per vi-vere finché avessi trovato un la-voro. Glieli ho restituiti tutti”,chiarisce con orgoglio. “A Mi-lano in un giorno trovai un po-sto da apprendista tornitore.Ma io non sapevo nemmenoche cosa fosse un tornitore. Ildatore di lavoro lo capì subito

ma per non mandarmi via mimise a fare le pulizie. Allora Mi-lano era un’altra cosa”. Poi cin-que anni sui vagoni letto a ven-der bibite e far cuccette. E infinel’incontro con Strippoli, il ma-go delle trattorie pugliesi, finoall’entrata in società con lui. Fulì che Ernesto divenne il riferi-mento di quelli del Sessantotto(ma anche del Settantasette). Iragazzi si intruppavano sapen-

do il menù a memoria. Orec-chiette alle cime di rapa, sca-morza alla griglia o puré di favee cicoria, o salsiccia, e vino rosédi Corato. Commentavano lecariche della polizia, narravanogesta eroiche (le proprie) e viltà(altrui), lui si muoveva intornocomplice e accogliente. Non eradei loro, ma per loro provavasimpatia, come chi è stato menofortunato e se ne è andato co-munque dal paese con buoniideali socialisti.

ALLA FINE IL CONTO. Ernestostava alla cassa. Quanto è?,chiedeva ognuno. Quello chepuoi, rispondeva lui. “Propriocosì”, e ridacchia, “anche sequalcuno un po’ ne approfitta-va e io lo capivo benissimo. Manon me ne sono mai pentito,mica faccio questo lavoro perdiventare ricco, chi se ne frega”.Poi, dal ’78, vent’anni di vinoall’ingrosso con Strippoli. Fin-ché nel ’97 aprì la Taverna nelcentro della città. Sull’onda delsuccesso provò anche l’avven -tura parigina. Un ristorante vi-cino al museo d’Orsay (“e alpartito socialista”, ammicca).Da Tiriolo a Parigi, dopo averesgobbato per decenni. Sembra-va una fiaba. A Parigi andavabene. Ma era a Milano che nonandava più bene senza di lui.Così tornò e la fiaba finì. Ora è lìche guida con mano e barba si-cure la sua impresa, sorveglian-do la qualità dei cibi e i modi deidipendenti. Affiancato da Rita,“l’unica moglie della mia vita”.Tre piani con la cantinetta, zep-pi di vini. Dove ora trovi di tut-to, il monopolio del rosé di Co-rato è un ricordo di gioventù.Rubesco, Grumello, Reperto-rio, bottiglie incartate, paretirosse con disegni da belle épo-que, le sedie impagliate. Lui vie-ne vicino con discrezione, an-che se potrebbe permettersiogni confidenza. E capisci che èsempre lui nel momento dellaverità, quello della frutta: ci so-no anguria o pesche. Anche alvino? Anche al vino. Infine ilpassaggio alla cassa. Difficileora dire “quello che puoi”, met-terebbe in imbarazzo. Allora tiguarda e sussurra “venti euro”.Ancora lui, quasi quarant’annidopo. E ditemi se tutto questonon è poesia.

di Silvia Truzzi

n CON DUE PAGINE sui maggiori quotidiani italiani(nel senso di due pagine d’inserzione pubblicitaria)Domenico Dolce e Stefano Gabbana ieri ribadivano laloro indignazione per le parole pronunciate dall’asses -sore del Comune di Milano Franco D’Alfonso (“il Co-mune non dovrebbe concedere spazi simbolo a chi hariportato condanne per fatti odiosi, come l’eva s i o n e ”: lavicenda è riassunta a pagina 7). Il tutto dopo avertwittato all’indirizzo del municipio meneghino un bel“Fate schifo”. Non solo: per protesta i due hanno chiusoi loro negozi milanesi. E questo nonostante l’a ss e ss o reD’Alfonso avesse spiegato che le sue parole riportateda Il Giornale non erano una presa di posizione delComune, ma una sua opinione personale, per di piùinformalmente espressa. Nel comunicato, i due stilistiaffermano di “non essere più disposti a subìre ingiu-stamente le accuse della Guardia di finanza, e del-l’Agenzia delle Entrate, gli attacchi dei pm e la gognamediatica cui siamo sottoposti da anni”. Burrasca me-tropolitana: la giunta, han detto in molti, mortifica lamoda. E proprio in un momento in cui Milano subiscela concorrenza di Parigi! In soccorso si è subito pre-

cipitata la regione leghista, con Maroni di-sposto a supplire alle mancanze del Co-mune manettaro. Naturalmente è inter-venuta anche la solita Santanchè: “Pi s a p i aha ottenuto ciò che voleva: Dolce e Gab-bana in serrata contro la miopia di unagiunta che ragiona come un soviet e chevorrebbe Milano come Berlino Est. La con-danna preventiva che il Tribunale del Popolo ha decisoper i due stilisti non tiene conto delle decine di migliaiadi persone che grazie alla moda e al made in Italyhanno una occupazione”.

n Q UA N D O la signora esterna bisogna sempre farlela tara ma purtroppo la sua non è un’idea isolata. Edunque, visto che la maison Dolce e Gabbana dà la-voro a molta gente è intoccabile. Anzi: incriticabile.Un po’ come quando si sostiene che B. è stato votatoda milioni di italiani, perciò i giudici devono girarsidall’altra parte e non procedere nei suoi confronti.Sono i diversamente uguali di questo Paese, una ca-tegoria di persone che non accetta di stare alle regole

come tutti gli altri perché le regole sonolacci, sono d’impiccio. E allora si può faree dire tutto: anzi, a queste persone è con-sentito dire tutto. Berlusconi ha potutoinsultare per anni – pressoché indistur-bato – magistrati rei di aver fatto il dovereche la professione imponeva loro, ha po-tuto scatenare giornali e televisioni di sua

proprietà con una violenza inaudita contro quei giu-dici. Dunque oggi non stupiamoci se due stilisti (co-munque condannati in primo grado) possono dire“fate schifo”. “Fate schifo” non è una lamentela, non èun commento a un’opinione diversa dalla propria. Èun’offesa ed è rivolta a un’istituzione. Però questo èpassato in secondo piano. Di più importa crocifiggerel’assessore “i n c a u to”, le sue gaffe e le battute im-provvide. Si guarda il dito e non la Luna, si critica chiricorda una condanna penale e non chi quella con-danna l’ha ricevuta. Il mondo all’incontrario. La pre-sunzione d’innocenza non c’entra nulla: l’articolo 3della Costituzione è sempre più una bella favola in unpaese da incubo.

FATTI DI VITA

Dolce & Gabbana e la lezione di B:il condannato ha sempre ragione

Bonino e il caso kazakoun silenzio inspiegabile

LETTERA APERTA L’oste poeta che sfamavai contestatori del ’68

FRA CUCINA E RICORDI

I M M I G RAT OErnesto Notaro partì

dalla Calabria

con 30 mila lire

A Milano divenne

socio di Strippoli,

icona del Movimento

SECONDO TEMPO

COME UN PUZZLEAlla storia mancano

pezzi essenziali

Agli Esteri siede

una donna che ha

sempre denunciato

le ingiustizie. E adesso?

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12 .Primo Piano .LA STAMPA

SABATO 3 AGOSTO 2013

U

KAZAKHSTANINTERVISTAADALMASHALABAYEVA

“SiamosempreseguitiCispianoancheincasa”Incontrocon lamogliediAblyazovaduemesidal rimpatrio“Hodettochi eroechiestoasilo sinoall’ultimo.Ma invano”

MASSIMO NUMA

INVIATO A AIX-EN-PROVENCE

Lecondizionideigiudici

El’avvocatochiedelascarcerazione

Mi dispiace, è trop-po tardi. L’ordineè stato firmato dadue autorità mol-to in alto, non si

può fare nulla ormai». Questeparole, scandite come un ver-detto senza possibilità di appel-lo, sono l’ultimo ricordo dell’Ita-lia per Alma Shalabayeva, pri-ma del ritorno forzato in Ka-zakhstan. A pronunciarle è sta-to un uomo alto con i capellibianchi, tutto vestito di jeans, alquale la donna si era appellatanell’ultimo disperato tentativo

di ottenere asilo politico, inquanto moglie di Mukhtar Abl-yazov, oppositore, dissidente enemico giurato del presidenteNursultan Nazarbayev.La sua testimonianza arriva

a due mesi dalla «rendition» aCasal Palocco, e a pochissimigiorni dall’arresto del maritoavvenuto in Francia, dove si era

rifugiato dopo il rimpatrio for-zato di moglie e figlia. La donnaci apre le porte della casa deisuoi genitori ad Almaty, dove ècostretta in una sorta di ritirocoatto. È la prima volta che lo facon un media, e la scelta di unitaliano non appare casuale.La discrezione è d’obbligo, ci

vengono a prendere in auto alcu-ni parenti, con i quali attraversia-mo buona parte della città primadi arrivare in una zona residen-ziale decentrata, dominata dauna moschea dal minareto az-zurro, come la bandiera del Ka-zakhstan.Alla finedi un labirintodi stradine polverose ad aprire ilportone è un cugino che si affret-ta a richiudere con tanto di luc-chetto. Nel vialetto antistante lavilla, la piccolaAlua gioca col suoconiglietto, ci regala un sorriso eanche uno scatto. I fatti romanidi fine maggio sembrano assailontani per lei. Per Alma inveceno, lo vediamodallamano tremo-lante mentre versa del succo difrutta, i segni di un incubo senzafine. E dalla voce, talvolta inter-rotta, che cadenza la lungachiac-chierata che ci regala nel suo sa-

lotto tra poltronedamascate e ri-finiture in legnomassello.«Mi sento stanca, arrabbiata

non dormo da due notti, piangomolto. Quello che sta succeden-do a mio marito è inaccettabile,assurdo, illegittimo, un compor-tamento criminale. E iomi sentocome uno ostaggio e uno stru-mento dimanipolazione per farepressioni su di lui».

Signora, ha ancora sentito suomarito?

«Non lo sento da giorni, poi vor-rei evitare di parlarne perchéc’è il rischio che le parole sianousate contro di noi».

LemancalavitadiCasalPalocco?«Avevamo scelto l’Italia perchéla ritenevamounmodello di buo-na democrazia, in grado di pro-teggere i diritti non solo dei suoicittadini ma anche di quelli di al-

tri Paesi. Anche a mio maritopiacevamolto, anche se c’è statosempre per brevi periodi, anda-va e veniva senza dare preavvisi,dove smarcarsi dagli inseguito-ri, sin dai tempi di Londra».

Lasuaopinioneècambiatado-poquellanotte…

«È cambiata la mia vita e sonocambiata io. Ci sono cose cherimarranno incise nella miamente per sempre. Le cateni-ne al collo e gli orecchini d’oroindosso a quelle trenta perso-ne che hanno fatto irruzione incasa mia, le barbe incolte, lecreste in testa, sembrava unagang. E poi le pistole che bus-savano ai vetri, la violenza sumio cognato Bolat, gli insulti ele minacce, il terrore di mia fi-glia e mia nipote. Ero paraliz-zata, non capivo se erano ma-fiosi travestiti da poliziotti opoliziotti dai modi mafiosi. Aun certo punto si è palesato unuomo, forse il capo, aveva untesserino sul petto, lì mi è sta-to tutto più chiaro, ci hannochiesto i documenti, io ho det-to che ero russa ma avevo pas-saporto centroafricano, non

volevo dargli quello kazako sucui c’era mia figlia col cogno-me di Mukhtar».

Aveva capito che cercavanosuomarito?

«A quel punto sì, e volevo evita-re di dare conferme sul fatto chequella era anche casa sua, maquando mia sorella gli ha fattovedere il suo passaporto kazakoe in camera hanno trovato unafoto sua, è iniziato il finimondo».

... eanche lasuaOdissea…«Ricordo la corsa in auto ver-so il posto di polizia, cinquepersone intorno a me mi han-

MukhtarAblyakov ha trascor-so sereno la sua seconda nottein cella del carcere di Aix-en-Provence. Ieri mattina i suoiavvocati hanno messo a puntole strategia per evitare l’estra-dizione in Ucraina e ottenerela scarcerazione. La difesa,spiega l’avvocato svizzeroCharles Du Bavier, spera che«in una decina di giorni saràpossibile rispondere in modoconcreto alle richieste del giu-dice, in linea con le normativefrancesi, che ha lo scopo di ac-certare se la persona arresta-ta ha o no i requisiti previstidal trattato internazionale cheregola i rapporti tra i due paesiin materia di estradizione».In teoria il giudice di Aix

ha tempo due anni per pren-dere la decisione finale, manel frattempo «sarebbe as-surdo e anche fortemente in-giusto se Ablyazov fosse co-stretto a rimanere prigionie-ro. Dunque siamo pronti a ri-solvere tutti i quesiti posti dalTribunale per consentire il ri-lascio dal carcere».Tra le misure richieste, c’è

il versamento di una cauzioneil cui ammontare non è statoancora comunicato. Di certosarà molto cospicuo, anche inrelazione alle presunte dispo-nibilità finanziarie dell’ex pre-sidente della banca Bta. Se-condo le autorità kazake, Abl-yazov avrebbe un debito neiconfronti della Bta, che fu la

più importante banca del Paese,di oltre sei miliardi di dollari.Tutti, secondo i documenti-ba-se del mandato di cattura inter-nazionale, dispersi all’estero ocomunque fatti sparire dell’en-tourage (su cui è incorso un’in-chiesta) dell’ex ministro.Le autorità kazake hanno

promosso una causa civile nelRegno Unito, dove Ablyazov siera rifugiato dopo essere statoincarcerato e torturato nel2008. L’avvocatoDuBavier insi-ste: «Sono processi politici, ap-poggiati solo da Ucraina e Rus-sia che utilizzano, per la richie-sta di estradizione, le carte pro-dotte in Kazakhistan». Giovedìin Tribunale ad Aix c’era ancheun avvocato di Parigi, in rappre-sentanza dell’ambasciata delKazakistan. Eppure la richiestadi estradizione è stata presenta-ta solo dall’Ucraina.

Intervista

L’unicocheavevadeidubbiera il capodell’ufficio immigrazioneManonèbastato

Tutte lemie richiestediaiutocomemogliediunperseguitatosonostate ignorate

Mukhtar Ablyazov

FRANCESCO SEMPRINIALMATY

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LA STAMPA

SABATO 3 AGOSTO 2013 .Primo Piano .13

no costretta a firmare un ver-bale, mio cognato Bolat, l’uni-co che avevano portato via as-sieme a me, ha scritto in russo“Non capisco nulla di quelloche c’è scritto”, ma la polizia,non capendo il cirillico, l’hapresa per un firma».

Il tuttosenzaun’accusaprecisa,almenosinoaquelmomento?

«Solo quando siamo arrivati or-mai all’alba presso l’ufficio del-l’immigrazione, mi hanno dettoche il mio passaporto era falso,perché aveva due pagine 35 e 36,ovvero due doppioni».

Ederacosì?«Sì, ma le avevano messi loro.Sino a due ore prima c’era unasola pagina 35 e una sola 36, eper di più i doppioni erano en-trambi bianchi, immacolati, ap-pena sfornati direi. Lì ho capitoche mi volevano incastrare e al-lora ho detto tutto, su di me,mio marito, le persecuzioni,l’asilo politico e la situazione inKazakhstan. Pensavo che aquel punto, di fronte a una que-stione così seria, le cose sareb-bero cambiate».

E invece?«Mio cognato l’hanno rimandatoa casa e io sono finita in una celladi Ponte Galeria, terrorizzata, inlacrime e con due coinquilineche però si sono dimostrate mi-gliori di quanto temessi. Duenotti, intervallate da una giorna-ta intera nel tentativo di far capi-re chi ero veramente. L’unicoche aveva dei dubbi era il respon-sabile dell’ufficio immigrazione,ma sotto le pressioni degli altripoliziotti ha dovuto cedere. Unadelle più dure era una certa Lau-ra, una volta mi ha persino strac-ciato il biglietto col numero del-l’avvocato. Poi c’era un altro per-sonaggio assai strano, parlavabenissimo russo, pensavo mi vo-lesse aiutare e invece è stato lui asegnalarmi al consolato kazako,dando loro un assist perfetto»

Checosa lehannodetto?«Non ha diritto ad avere duepassaporti, non possiamo farnulla per lei».

Poiperò leiècomparsadavantialgiudicedipace.

«Il mio avvocato ha chiesto chefosse visionato il passaporto, vi-sto che l’accusa verteva tutta suquel documento. Ma agli atti nonc’era e la Corte, senza documen-to, non mi poteva lasciar andare.Era un complotto, inutile adireche l’ennesima richiesta di otte-nere aiuto come moglie di unperseguitato è stata del tuttoignorata. Mi sono ritrovata il 31

maggio a Ciampino, lì ho rivistomia figlia e mia sorella, quest’ul-tima per l’ultima volta, e l’hostretta in un lungo abbraccio.Tra la decina di agenti di scortasul pulmino dove sono stata ac-compagnata sino alla pista c’eraLaura e il tipo che parlava russo,il quale mi ha intimato di non ri-velare questa sua abilità lingui-stica ai funzionari dell’ambascia-ta kazaka che mi stavano aspet-tando. Sempre più strano».

Nonc’èstatonulladafare?«Ad aspettarmi ai piedi dellascaletta c’era un uomo alto con icapelli bianchi, tutto vestito dijeans, con una pila di carte inmano, un funzionario forse. A luiho rivolto per l’ultima volta la ri-chiesta di asilo politico».

Checosaharisposto?«“Troppo tardi, questo ordine èstato firmato da autorità moltoin alto”. Ho preso Alua e sonoentrata nel charter, un aereo ka-zako probabilmente, visto che amia figlia hanno fatto vedere uncartone disponibile in due lin-gue, kazako e russo. C’eranoun’assistente di bordo, i due pi-loti e i funzionari kazaki, uno deiquali è stato tutto il tempo nellacabina - ho saputo dopo - perevitare che si procedesse al “de-tour” chiesto in extremis dalleautorità austriache».

Quindi il ritornoadAlmaty?«Con lo scalo ad Astana dove,puntuale, un congruo numero dipersone si era radunato con l’in-tento di umiliarmi in pubblicoadditandomi come rinnegatricedella Patria».

Equichevita fa?«Non posso uscire dalla città,ma in realtà esco anche poco

da casa, siamo sempre seguitie anche dentro queste muraabbiamo occhi e orecchie dap-pertutto. L’altro giorno mi so-no vista sulla tv di stato men-tre pulivo il prato e mi prende-vo cura di mio papà in giardino.Mio papà mi chiede che faccioqui, mi dice che dovrei esserein Europa, con la mia famiglia.Non è in gran forma, non rea-lizza bene, e io non voglio dar-gli dispiaceri ulteriori. Limitoanche le visite in casa, ma lascorsa settimana sono andataa trovare il console italiano concui ho un buon rapporto».

Ce l’hacon l’Italia?«Quelle persone hanno eseguitoun ordine che veniva dal Ka-zakhstan. Certo, sono sicura chec’è un tramite, qualcuno che sisarà accertato che le disposizio-ni fossero eseguite con cura. Socosa mi sta chiedendo… ma nonlo so chi è, e anche se lo sapessi olo immaginassi….».

Però un messaggio a qualcunolovuole inviare,nonèvero?

«Voglio ringraziare le autoritàitaliane per aver emesso l’ordi-ne di cancellazione dell’espul-

sione e per il tentativo di aiu-tarmi. Ringrazio gli italiani peraver dimostrato di non essereindifferenti nei confronti miei edel dramma che stiamo viven-do. Alle autorità francesi rivol-go un auspicio, che mio maritonon venga mandato da nessunaparte, perchè sia italiani cherussi hanno ricevuto ordini dalKazakhstan e questo è inaccet-tabile. Su Mokhtar dico solouna cosa: lui è stato, è e saràsempre il leader dell’opposizio-ne kazaka».

Salendosull’aereomihannodettochel’ordineerastato firmatodaautoritàmolto inalto

L’altrogiornomisonovistasulla tvdiStatomentrepulivo ilgiardino

QuantosuccessoamiomaritoèassurdoAlleautorità francesichiedononsiaestradato

LavicendaIl blitz a Casal Palocco

nNella notte tra il 28 e il 29maggio fanno irruzione trentaagenti di squadra mobile eDigos. Cercano Mukhtar Abl-yazov, ma lui non c’è . Ci sonoperò Alma, sua moglie, e la fi-glia Alua, 6 anni, ospiti della co-gnata Venera e del marito Bo-lat. Vengono portati prima inuna stazione di polizia, poi tra-sferite al Cie.

Detenuta al Cien Il 30 maggio Alma è al CiediPonteGaleria,dove,dopounattesa di diverse ore, riesce aparlareconunavvocatoecon ilconsole kazako.

Il rimpatrio ad Astanan Il 31 maggio è tutto pron-to per il «trasferimento». Almanon ha il passaporto, non puòfare telefonate. La fanno saliresu un minibus che la portaCiampino. All’aeroporto riab-braccia la figlia. Chiede asilopolitico, ma le dicono che ètroppo tardi e la fanno salire suun aeroplano. DestinazioneAstanza, Kazakhstan.

Il video dell’intervista1. Scarica gratuitamente l’App AR-Code per Apple e Android2. Avvia l’app e inquadra la foto con lo smartphone o il tablet3. Guarda il filmato dell’intervista ad Alma Shalabayeva

LA STAMPA

A casaLa piccola

Alua, 6 anni,gioca

nel giardinodi casa

con il suoconiglietto