controllo di gestione, finanza e strategia luglio12

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B2CORPORATE MAGAZINE E-CONTROLLING La prima rivista di controlling scritta e creata dagli utenti B2 Luglio 2012 Efficienza energetica e PMI: un binomio possibile? (pag.6) Efficienza energetica e PMI: un binomio possibile? (pag.6) Profitability e Gestione dei margini (pag.14) Edilizia, peggiorano i tempi di pagamento. Solo il 41,3% delle imprese è puntuale. (pag.20) Le dimensioni del controllo di gestione: proposta per un modello di riferimento (pag.30) IN PRIMO PIANO L’innovazione può essere la soluzione alla crisi? pag.4 Controllo di gestione: un vademecum per iniziare (pag.49)

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Econtrolling la rivista gratuita interamente fatta dagli utenti su tematiche di controllo di gestione e tematiche affini: come tagliare costi, analisi di convenienza economica, redditvità, efficenza energetica, crediti,....queste sono solo alcune delle tematiche trattate E controlling luglio2012.

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B2CORPORATE MAGAZINE

E-CONTROLLINGLa prima rivista di controlling scritta e creata dagli utenti

B2Luglio 2012

Efficienza energetica e PMI: un binomio possibile? (pag.6)Efficienza energetica e PMI: un binomio possibile? (pag.6)

Profitability e Gestione dei margini (pag.14)

Edilizia, peggiorano i tempi di pagamento. Solo il 41,3% delle imprese è puntuale. (pag.20)

Le dimensioni del controllo di gestione:proposta per un modello diriferimento (pag.30)

IN PRIMO PIANO

L’innovazione può essere la soluzione alla crisi?

pag.4

Controllo di gestione:un vademecum per iniziare (pag.49)

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Note di pubblicazione

Pubblicato a Luglio, 2012

B2corporate.com, Italy

Nato nel Dicembre 2001, B2corporate distribuisce informazioni utili ed

innovative rivolte a tutti i professionisti, consulenti e componenti del mondo

delle PMI.

Il nostro obiettivo è supportare il lavoro della nostra community di

professionisti con articoli, e-book, modelli, software ed altre risorse scritte e

realizzate da professionisti di lunga e provata esperienza nei loro settori.

ISBN: NON DISPONIBILE

Versione: N°3 Luglio, 2012

Questo E-Magazine non è coperto da DRM. Ogni copia è distribuita

gratuitamente previa registrazione sul sito http://www.b2corporate.com

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Sommario L’innovazione può essere la soluzione alla crisi? a cura di Giuseppe De Nicola - Presidente presso Confindustria Salerno Gruppo Servizi Innovativi e Tecnologici ……………………………………………………………………….. pag.4 Efficienza energetica e PMI: un binomio possibile? a cura di Giacomo Gaudino - Business Analys …………………………………………….. pag.6

Profitability e Gestione dei margini a cura di Luca Clemente – controller ………………………………………………..…….. pag.14

Edilizia, peggiorano i tempi di pagamento. Solo il 41,3% delle imprese è puntuale a cura dell’Osservatorio CRIBIS D&B - www.cribisdnb.com …………………………….. pag.20 Le dimensioni del controllo di gestione: proposta per un modello di riferimento a cura di Alessandro Musso – Financial Project Manager ……………………………….. pag.30 Controllo di gestione: un vademecum per iniziare a cura di Angelo Saitta – Fiscalista e Consulente del Lavoro ………………………..….. pag.49

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L’innovazione può essere la soluzione alla crisi? a cura di Giuseppe De Nicola - Presidente presso Confindustria Salerno Gruppo Servizi Innovativi e Tecnologici Lo scorso 28 e 29 giugno abbiamo concluso la VI edizione del Premio Best Practices per l’Innovazione di Confindustria Salerno. Competizione senza frontiere è stato il tema di quest’anno. Da 6 anni parliamo al presente delle imprese che innovano, promuovendo la loro cultura del fare che precede quella degli annunci e quest’anno oltre 100 imprenditori hanno deciso di venire a Salerno e raccontare le idee che hanno trasformato in fatti. Storie d’innovazione che parlano di un Paese vitale e competitivo che affronta la crisi con il mix di creatività e intuizione che sono i segni distintivi dell’imprenditore italiano. Ma l’innovazione può essere la soluzione alla crisi? Una recente ricerca della Harvard Business Review segnala che, a fronte del 70% di investimenti in innovazione tesi ad irrobustire l’offerta attuale delle imprese, il 70% dei ricavi a maggior valore aggiunto per le imprese proviene da investimenti in nuovi prodotti e servizi. Questo impone innovazione costante. Occorre esserne consapevoli, sia che si operi nei servizi sia che si producano tubi in acciaio o abbigliamento. Abbiamo avuto conferma di ciò da un campione di aziende che hanno partecipato al premio nelle edizioni scorse: alcune di loro, volutamente scelte tra quelle operanti in Campania (un’area ad alta complessità) ci

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hanno raccontato di come l’innovazione le abbia rese competitive, anche sui mercati internazionali, e, malgrado, la congiuntura, hanno incrementato i ricavi, assunto e investito, in altra innovazione. Dare voce a questo fare quotidiano deve diventare uno sforzo corale per dare concretezza ad un approccio che può rilanciare la “fabbrica Italia”. Modernizzarla, renderla competitiva e trasformarla in luogo di creazione di valore aggiunto, capace di tornare sui mercati con un plus che in questo Paese è più presente che altrove: la creatività. Il nostro viaggio nell’Italia dell’innovazione , da 6 anni, cerca di promuovere l’argomento con un linguaggio semplice, privo della retorica che lo accompagna nei convegni sul tema. I progetti presentati sono tutti consultabili sul sito www.premiobestpractices.it, li potrete conoscere e votare, scoprendo uno spaccato di economia reale italiana. “Sfogliate” quelle pagine con la curiosità del bambino che è (spero) dentro di voi. Troverete quella diversità che ha fatto diventare il nostro Paese una delle economie mondiali più rilevanti. Cercate in quelle pagine lo stimolo per essere diversi anche voi e innovare le vostre aziende e/o farne nascere di nuove, capaci di competere su tutti i mercati, reali e digitali. A breve lanceremo la VII edizione, con nuove sinergie (come quella con il Festival del Cinema di Giffoni o con i colleghi confindustriali di altre regioni) per fare il nostro lavoro di “punture di spillo” e pizzicare il sistema dal basso per aiutarlo a comprendere l’innovazione, in modo semplice e diretto. A Salerno ci aspettiamo di accogliervi per la VII edizione e farvi condividere l’entusiasmo del confronto con altri Se verrete, troverete un pezzo d’Italia affamata e folle, che non si arrende a nessuna crisi e guarda avanti con determinazione e creatività. Spargete la voce .

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Efficienza energetica e PMI : un binomio possibile? a cura di Giacomo Gaudino – Buinsess Analyst

Recessione chiama eff ic ienza Quando l’austerity comincia a diventare la regola vuol dire che non è stato ben appreso il più importante monito che una fase recessiva lascia in eredità: imparare dal passato. E soprattutto nel passato recente l’inversione di tendenza è cominciata quando qualcuno ha ripreso a spendere, di solito il settore pubblico. Ora che il deficit spending è un’utopia, la strada più semplice da percorrere per il tessuto industriale è guardare il conto economico dal basso e concentrarsi sui costi. Le PMI sono le realtà più esposte da questo punto di vista, considerando bassa redditività e limitate capacità d’investimento. Dalle rendite di posizione di cui hanno goduto qualche decennio orsono (l’innata simbiosi con il territorio e la possibilità di trarre profitto dall’integrazione con esso), ora sono costrette a confrontarsi con mercati globali, enti ed istituti di credito poco propensi a concessioni “fiduciarie”, politiche di sviluppo pressoché inesistenti. Di fronte a tutto ciò il primo passo da porre in essere è rivedere convinzioni e pregiudizi, imparare ad osservare in modo nuovo ciò che cade sotto gli occhi tutti i giorni. Pur consapevole dell’empasse in cui versa, non ritengo che il ns tessuto produttivo possa definirsi superato: se da un lato le PMI dovrebbero uscire dall’obiettivo “sopravvivenza” e provare a guardare oltre, dall’altro credo che l’assenza di vision nei processi decisionali sia piuttosto coerente con la

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governance pubblica, incapace di definire delle linee normative e politico-economiche che superino l’anno solare. Molti sottolineano quanto la congiuntura attuale funga da stimolo all’implementazione di politiche efficienti, nella convinzione che l’evoluzione darwiniana dei mercati alla fine premierà gli approcci più virtuosi. Il claim “crisi come opportunità” è una buona cassa di risonanza anche per l’efficienza energetica: quale migliore occasione per tastare il polso a processi ed organizzazioni, dimostrare che l’energia è una risorsa che può e deve essere gestita in maniera razionale, con impatti economici più che onorevoli. In molti contesti, soprattutto non energivori, la questione dell’”Energy efficiency” è sollevata da circostanze occasionali e quasi sempre con atteggiamento diffidente (per non dire ostile), non frutto di una politica energetica consapevole, ma anche se vista solo con la coda dell’occhio è in grado di instaurare un processo virtuoso e soprattutto irreversibile. Lo scenario in Ital ia: tra buoni proposit i ed incertezze L’Italia, piuttosto all’avanguardia sulla gestione delle problematiche energetiche, si è contraddistinta per il proliferare di norme, regolamenti, piani strategici non sempre riconducibili a coerenza e spesso frammentari. Trascurando volutamente la produzione normativa degli ultimi anni, cito soltanto le linee programmatiche riconducili a 2 documenti: PAN 2010 (Piano d’azione Energie Rinnovabili), che pianifica le strategie per il conseguimento degli obiettivi del Pacchetto Clima Energia, in particolare il 17% di produzione energetica da fonti rinnovabili; PAEE 2011 (Piano d’Azione Efficienza Energetica), che definisce la strategia di riduzione dei consumi energetici nel’ottica di un abbattimento del 20% da conseguire al 2020, obiettivo quest’ultimo NON vincolante1.Quindi: dobbiamo produrre più energia pulita (numeratore) e ridurre i consumi finali (denominatore, possibilmente quelli fossili). Nel corso degli anni gli scenari sui consumi energetici al 2020 sono stati più volte rivisti sia per tener conto 1 Anche se la Commissione ITRE del Parlamento Europeo ha proposto che l’obiettivo sia reso vincolante, ponendo a carico dell’Italia una riduzione del 23,5%, più alta rispetto a quella originariamente prevista.

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dei cicli economici che della riduzione dell’intensità energetica. Il grafico rappresenta una breve cronistoria nell’evoluzione delle stime. Partendo dal 2007, cioè prima della crisi e dell’implementazione del PAEE 20072, le previsioni sono state via via ribassate per tener conto di entrambi i fattori, fino ad arrivare all’ultimo valore di consumo finale (133 Milioni di Tep) tratto dal PAN 2010.

Logica vorrebbe che il PAEE 2011 faccia da gregario al PAN, e che pertanto gli obiettivi del primo siano coerenti e funzionali al secondo, ma da una lettura nemmeno troppo attenta si comprende che non è così: PAN e PAEE hanno orizzonti temporali differenti (il primo arriva al 2020, il secondo si ferma al 2016); I risparmi sono misurati vs una baseline differente: stime PRIMES 2007 per il PAN, media dei consumi effettivi del periodo 2001 – 2005 per il PAEE; Il consumo finale lordo ipotizzato nel PAN (133 Mtep) equivale ad una riduzione del 20% di energia primaria al 2020; la riduzione ottenibile con il 2 E’ il primo Piano di Efficienza Energetica che copriva l’orizzonte temporale 2007 – 2010, ponendo obiettivi di risparmio intermedio rispetto a quelli attesi al 2016, oggetto di Direttiva Comunitaria 2006/32/CE.

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PAEE 20113 (circa 18 Mtep di energia primaria al 2020) non arriverebbe invece al 15%. Tutto ciò per chiarire che le difficoltà intrinseche all’implementazione di una politica energetica ed alle sue applicazioni nel tessuto produttivo non trovano conforto nella normativa di riferimento, e se la regìa impartisce direttive poco comprensibili gli attori non potranno mai svolgere correttamente la loro parte. Ergo: urge armonizzazione! L’eff ic ienza nel l ’ industr ia, v ista . . . . dal l ’ industr ia L’efficienza energetica nell’industria potrebbe essere una gallina dalle uova d’oro. L’intensità energetica nel settore industriale è diminuita del 10% circa nel ventennio 1990 – 2009 (pochino …), con una forte incidenza dei settori Energy intensive (chimica e siderurgia). Ma se da un lato sono stati conseguiti risultati lusinghieri con applicazioni legate al processo produttivo (ad esempio cogenerazione o recupero termico), diventa più complesso lavorare in contesti medio – piccoli, non in grado di sostenere investimenti importanti e periodi di rientro lunghi, con costi energetici non rilevanti e tradizionalmente refrattari a ripensare organizzazione e processi produttivi. In simili contesti è più opportuno lavorare su servizi ausiliari (illuminazione e riscaldamento per esempio) piuttosto che a soluzioni con un rapporto costi/benefici/pay back accettabili (es. motori elettrici ed inverter). Nel 2010 la Task Force Efficienza Energetica di Confindustria4, in collaborazione con ENEA e CESI ricerca, ha condotto un’analisi sull’impatto energetico ed economico degli investimenti efficienti. Considerando un orizzonte temporale di 10 anni dal 2010 al 2020, ed utilizzando la matrice dei settori industriali (a 30 settori) delle tavole input – output - che misurano le interrelazioni tra settori -, è stato determinato il beneficio derivante da una maggiore penetrazione delle tecnologie ad alta efficienza5, considerando le seguenti grandezze marginali: 3 Il PAEE è stato proiettato al 2020 con una serie di assunzioni (costanza tasso sostituzione apparecchiature, efficientamento impianti, regolamenti e incentivi), ma la deadline del piano è in ogni caso il 2016. 4 Costituita nel luglio 2006 per identificare gli ambiti più rilevanti per incentivare l’efficienza energetica. 5 Il beneficio marginale è dato dal confronto tra scenario BAT (Best Available Technology), in cui si considera un aumento della domanda di beni e tecnologie efficienti, stimolato da un frame work di incentivi stabile, e scenario BAU (Business As Usual) con utilizzo di tecnologie esistenti.

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Diminuzione gettito fiscale (IRES ed IVA) delle società energetiche fossili, che vedranno ridursi i rispettivi volumi d’affari; Aumento gettito fiscale da incremento fatturato delle imprese che producono tecnologie efficienti; Riduzione del gettito fiscale dei consumatori per l’energia risparmiata (ad esempio le accise sui carburanti); Riduzione dei costi dello Stato per acquisto quote CO2 ed energia rinnovabile. Riportiamo nel primo grafico gli impatti energetici, in termini di energia fossile risparmiata (valori cumulati 2010 – 2020). …

…. e nel secondo l’impatto economico, dato dalla somma algebrica del saldo di Bilancio e della valorizzazione dell’energia e delle quote di CO2 risparmiate.

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Qualche considerazione: Lungi dal voler interrompere il processo che ci ha consentito di rendere i ns edifici più ecosostenibili, è evidente che si pone un problema di sostenibilità in merito alle detrazioni fiscali del 55% nell’edilizia, legato anche ad un utilizzo non sempre trasparente di questa misura fiscale; Le misure che riguardano il settore industriale (cogenerazione, motori ed inverter, recupero termico) sono tra quelle col miglior rapporto costi/benefici, sulle quali cioè lo Stato ha investito relativamente poco a fronte di potenziali di risparmio elevati. Ora, delle due l’una: o si decide di alzare il tiro aumentando significativamente gli incentivi “strutturali” destinati all’efficienza portandoli al livello delle rinnovabili, oppure si continua ad optare per meccanismi “sani” ma meno appetibili. Pare ci stiamo dirigendo in quest’ultima direzione, memori del salasso generato (sulle ns bollette) dal Conto Energia. Il particolare momento storico non suggerisce gesti coraggiosi, ma forse potremmo aspettarci qualche guizzo d’ingegno per tirare dentro un po’ di realtà produttive.

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I l di f f ic i le terreno del le PMI Le principali difficoltà legate al coinvolgimento delle PMI sono: Focalizzazione sul core business con scarsa attenzione alla componente servizi (e l’energia è considerata tra queste); Asimmetria informativa: i meccanismi di incentivazione nel campo dell’efficienza energetica sono pressoché sconosciuti, poco presenti sui media, e privi di una diffusione massiva; Riluttanza a ridefinire processi e servizi soprattutto se aziende con esperienza pluriennale, custodi di un know how che ritengono infallibile; Problematiche economiche varie: dai tempi di recupero degli investimenti, alle difficoltà di accesso al credito. La FIRE (Federazione Italiana Risparmio Energetico), attiva da diversi anni per supportare le istituzioni nel coinvolgimento delle PMI, ha individuato una serie di items che potrebbero incidere positivamente sul numero di soggetti coinvolti. Prendendo spunto da operatori ed Esco (Energy Service Company, società di servizi energetici) che lavorano a stretto contatto con aziende locali, FIRE ha stilato una serie di proposte parte delle quali hanno trovato recepimento, in merito ad azioni vs gli istituti di credito, incentivi, associazioni di categoria. Rimando al documento “Osservazioni FIRE sulla strategia energetica nazionale”, consultabile sul sito dell’associazione: www.fire-italia.it. In ogni caso, al di là di qualsiasi frame di incentivazione, l’efficienza energetica è un processo sostenibile stand alone e brilla di luce propria. Un esempio molto banale può chiarire meglio il concetto: prendiamo una generica PMI italiana nel 21° secolo, con una redditività del fatturato pari al 5% ed un incidenza dei costi energetici su fatturato pari al 5%. Vediamo cosa accade se decidiamo di installare degli inverter (tecnologia dal costo assolutamente sostenibile anche da realtà molto piccole) su un parco motori non di ultima generazione.

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Tutto ciò senza considerare incentivi né l’impatto sul costo delle tecnologie derivante dall’allargamento del mercato dell’efficienza energetica. Quindi il famigerato binomio richiamato nel titolo pare essere piuttosto profittevole. Diremmo un buon punto di partenza, ma affinché sia anche “possibile” è necessario che la consapevolezza dei vantaggi che può apportare sia un processo indotto, guidato da strutture di supporto e da idonee misure di accompagnamento. Soprattutto ora che le PMI hanno lo sguardo altrove.

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Profitability e gestione dei margini a cura di Luca Clemente - Controller Contesto Il PIL crolla, lo spread sale, la disoccupazione dilaga, l’economia non cresce. Termini e più in generale temi, questi, che sono ormai entrati nel nostro quotidiano. La macro-economia ha quasi soppiantato i più “leggeri” discorsi calcistici da bar. Ognuno ha la soluzione per risollevare l’economia e risolvere i problemi del Paese. La vera questione per superare la crisi mondiale che stiamo vivendo è però un’altra: quali leve hanno le aziende per produrre ricchezza e dare slancio all’economia? Di quali strumenti si deve dotare un’azienda per poter governare la crisi? Le aziende, infatti, non devono subire passivamente la crisi, ma devono poterla monitorare apportando i giusti correttivi gestionali, cercando in modo proattivo di modificarne il corso guidandone gli effetti. Ogni comparto economico ha le proprie peculiarità e richiede l’adozione di misure diverse per conseguire i risultati programmati, ma c’è un tipo di analisi che risulta essere trasversale: la Prof itabi l i ty Analysys.

 

La Profitability ha lo scopo di determinare quanto un’azienda è in grado di generare ricchezza e redditività ma soprattutto di individuare quali sono le aree di business, i prodotti, i clienti o l’area geografica che massimizzano il profitto.

Risulta quindi facilmente intuibile la strategicità di possedere indicazioni di questo tipo per condurre l’azienda verso la massimizzazione del profitto e la produzione di ricchezza.

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Patr imonio Informativo  

Come si disegna un modello di Profitability? Non esiste un modo univoco o migliore per farlo, di certo il fattore critico per ottenere indicazioni efficaci che rappresentino un valore aggiunto per i decision maker è la profondità dell’informazione. Più granulare è l’informazione, più attributi si hanno per le dimensione di analisi e più l’output risulta essere affidabile. Non sempre, però, in azienda si ha a disposizione il giusto dettaglio informativo. Quando ciò non è possibile, si devono identificare dei criteri di ripartizione: i cosiddetti driver.Nella generalità dei casi sono dei KPI che “guidano” il costo complessivo sulle dimensioni di analisi in modo congruo al prodotto/servizio. La scelta dei driver è molto delicata, in quanto se da un lato contribuisce alla completa attribuzione dei costi o ricavi sulle dimensioni, dall’altra bisogna valutare quanta percentuale di costo viene “driverizzata”. Se si tratta di una percentuale consistente, infatti, si rischia di falsare l’analisi sul singolo elemento.    

Ingegnerizzazione Model lo Se in un’ottica olistico-riduzionistico avere un patrimonio informativo importante è la base di partenza ottimale, conditio si ne qua non per il successo di questa analisi è la costruzione del modello. La Profitability non deve ricalcare il CE, bensì deve essere disegnata considerando le informazioni utili alla determinazione delle configurazione di Ricavi e Costi legati alle dimensione di analisi. A differenza del Conto Economico, però, le informazioni devono essere molto più analitiche. Questo permette di poter determinare tante configurazioni di costo/ricavo quante sono le indicazioni di cui abbiamo bisogno. Data una gamma di prodotti, potremmo sapere, ad esempio, quale prodotto ha un costo per materie prime, di lavorazione, di packaging o di distribuzione maggiore o grazie a quale canale viene maggiormente distribuito o ancora in quale zona geografica produce un maggior fatturato.    

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Riclassif ica Altro elemento che ricopre un ruolo importante per l’efficacia dell’Analisi, è la riclassifica. Esistono diversi criteri per riclassificare il Conto Economico, quello che risulta più idoneo nella generalità dei casi è la riclassifica a Margine di Contribuzione, calcolato come la differenza tra il prezzo ed il costo variabile. Questo Margine determina quanto un prodotto, un servizio o una area di business contribuisce a coprire i residui costi fissi. Spesso, però, si utilizza il Margine di contribuzione %,dato dal rapporto del Margine di Contribuzione sul prezzo. Più questo rapporto si avvicina al 100% e maggiormente l’elemento è profittevole.

Identificati gli elementi fondanti della Profitability (Patrimonio Informativo, Ingegnerizzazione del Modello e Riclassifica), resta da capire quale sia l’importanza di questo tipo di analisi. La Profitability ricopre un ruolo strategico sotto diversi aspetti: dal profilo commerciale (nella formazione del pricing) a quello industriale (decisione sul mix di prodotti/servizi offerti) passando per i riflessi che questo ha sul Conto Economico Gestionale con la Gestione dei Margini.

 

Relazione Costo-Prezzo Sam Walton, fondatore di Walmart, brand a stelle e strisce della GDO, disse: "Esiste solo un capo supremo: il cliente. Il cliente può licenziare tutti nell'azienda, dal presidente in giù, semplicemente spendendo i suoi soldi da un'altra parte". Partendo da questo assunto, le aziende sono chiamate a diversificare la loro offerta di prodotti sul mercato, in quanto nel tempo e con l’accesso a informazioni di ogni tipo (grazie soprattutto all’avvento di Internet) i clienti ( o consumer) si sono trasformati in professionisti dell’acquisto, cosiddetti prosumer. L’era di Henry Ford, il quale sosteneva che “ogni cliente può ottenere una Ford T colorata di qualunque colore desideri, purché sia nero”, e dell’offerta standard è ormai un lontano ricordo e se le aziende vogliono restare sul mercato devono studiare i comportamenti di acquisto del consumatore e soddisfare le molteplici esigenze. Un radicale cambio di strategia (da push a pull) rispetto a prima. Tutti questi fenomeni hanno

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portato alla cosiddetta “Polarizzazione dei Mercati”, ovvero alla creazione di diversi mercati (premium e low cost) contraddistinti da caratteristiche diametralmente opposte (Prezzo alto e qualità eccellente il primo e prezzo basso e qualità adeguata il secondo) verso cui si concentrano crescita e redditività. La differenziazione dell’offerta sarà quindi la strada maestra da seguire nel presente e sempre di più nel futuro. Chi più riuscirà ad assecondare le richieste dei diversi consumatori, tanto più crescerà e creerà ricchezza e redditività. Differenziare sarà il dogma per essere distinguibili e per applicare una politica di pricing consona al target group di riferimento. In questo contesto,la Profitability ricopre un ruolo chiave. Determinare, infatti, quanto ogni prodotto costa e soprattutto quanta marginalità crea, risulta fondamentale per la politica di pricing da adottare nei confronti del mercato e dei competitor. I l g iusto mix Ma come fa un’azienda a determinare il giusto mix di prodotti da offrire al mercato? Innanzitutto bisogna determinare il business model, ovvero l’insieme delle soluzioni, organizzative e strategiche, attraverso cui si cerca di ottenere un vantaggio competitivo volto alla creazione del valore. Ne consegue la scelta dei mercati da penetrare e delle esigenze da soddisfare. Ovviamente, ogni mercato avrà le proprie peculiarità, specifici consumatori e diversi competitor. L’azienda dovrà, quindi, combinare la propria presenza sui mercati in modo tale da rispondere ai consumatori con un prodotto competitivo in termini di valori percepiti e di prezzo per poter così avere la meglio sui diretti competitor. La Profitability misura la sostenibilità e la bontà delle scelte strategiche indicando quanta ricchezza creano i singoli prodotti. Ciò non vuol dire, però, che le aziende debbano perseguire sempre e comunque prodotti e mercati che massimizzano i profitti. Sebbene possa sembrare contro intuitivo, a volte le aziende hanno bisogno di presenziare anche mercati a bassa redditività, se questi rispondono a valori distintivi dell’azienda in termini di brand image o ad esigenze strategiche. Anche in questo caso, la Profitability ci definisce il limite sostenibile da non oltrepassare per non incorrere nella distruzione del valore.

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Gestione dei Margini Ultimo raccordo da logico da esplorare, dopo quello commerciale ed industriale, è quello economico. Tutte le scelta aziendali, infatti, hanno una loro manifestazione numerica che ne stabilisce la bontà. Lo scopo finale dell’azienda, come detto, è la produzione di valore, di ricchezza, per gli stakeholder (attraverso i dividendi) e per la società civile in generale attraverso le politiche del mercato del lavoro. La Profitability si basa sul Margine di Contribuzione, che è il margine principale del CE in quanto ci esprime la capacità dell’azienda di coprire i costi fissi e quindi di “mantenere” la struttura necessaria ad offrire prodotti e servizi sul mercato. Gestire, attraverso le indicazioni delle Profitability, il Margine di Contribuzione, significa il più delle volte “guidare” l’EBT. Tra questi due margini, infatti, ci sono l’EBITDA (buona approssimazione del MOL) e l’EBIT (Risultato Ante Interessi ed Imposte). Avere un Margine di Contribuzione positivo ed un EBITDA negativo indica un’azienda con un costo del lavoro di staff e/o spese amministrative (consulenze su tutte)rilevanti, ciò si presta a diverse interpretazioni: o l’azienda deve semplicemente ottimizzare, oppure potrebbe puntare per scelta su consulenze strategiche al fine flessibilizzare il costo del lavoro. Altra possibile spiegazione è l’adozione di software, legati a doppio filo ai costi di consulenza per l’implementazione. Nel caso in cui, invece, sia l’EBIT ad essere negativo a fronte di Margine di Contribuzione ed EBITDA positivo, questo potrebbe significare anche un’azienda che ha effettuato investimenti importanti in CAPEX e quindi si trova in fase di espansione o di start up. Con l’EBIT si misura la Gestione Caratteristica. Avere un valore positivo a questo livello significa che l’azienda dalla propria attività riesce a creare reddito ed è di fondamentale importanza. Prima dell’EBT si pone, poi, la Gestione Finanziaria, ovvero la gestione del denaro e delle fonti di approvvigionamento. Governare questo aspetto, con i relativi flussi di cassa in entrata e in uscita, implica il controllo della corretta operatività dell’impresa, se consideriamo che tutte le attività aziendali sottendono ad operazioni in denaro. Ovviamente, tutte le casistiche presentate rappresentano solo degli esempi rispetto alle innumerevoli spiegazioni nella

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lettura del CE. Ogni CE è unico e va interpretato contestualizzandolo nella storia dell’impresa e della sua gestione. Conclusioni In un contesto di mercato così instabile e mutevole, la Profitability – come più volte sottolineato - assume un ruolo chiave all’interno della gestione di un’azienda data la strategicità delle informazioni che produce. Non va, però, dimenticato, che così come tutti gli altri modelli o software gestionali, anche in questo caso,la Profitabilty non può assumere il ruolo di rivelatrice di verità assolute ma deve essere utilizzato come strumento di analisi e quindi soggetto ad interpretazioni e riflessioni da parte del top management. Riflessioni di buon senso e “sensibilità aziendale” che nessun algoritmo, per quanto affinato esso sia, potrà mai effettuare. Ad ognuno di Noi stabilire se si tratta di un limite o meno…

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Edilizia, peggiorano i tempi di pagamento. Solo il 41,3% delle imprese è puntuale a cura dell’Osservatorio CRIBIS D&B - www.cribisdnb.com La situazione più critica nel Sud e Isole e nel comparto dell’edilizia specializzata. Nel confronto internazionale l'Italia mostra una posizione intermedia, ma emerge un forte peggioramento negli ultimi cinque anni. I risultati dello Studio Pagamenti CRIBIS D&B. La perdurante crisi economica continua a far pesare i suoi effetti negativi sul settore dell'Edilizia, che risulta il più problematico per quanto riguarda il rispetto dei tempi di pagamento tra i diversi comparti economici in Italia. Analizzando le percentuali di pagamento puntuale delle aziende italiane in relazione al macrosettore merceologico di riferimento si può notare una significativa eterogeneità con le migliori performance che spettano all’Agricoltura ed ai Servizi finanziari che mostrano concentrazioni di pagatori regolari superiori al 52,5%. L’Edilizia registra, invece, la quota minore di imprese puntuali collocandosi 4,4 punti al di sotto del dato medio nazionale (45,7%).

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Pagamento in Italia per settore merceologico - 2011 - Fonte: CRIBIS D&B

Nello specifico, nel 2011 solo il 41,3% delle imprese attive nel settore edile ha pagato alla scadenza i propri fornitori, contro il 45,7% della media italiana. La maggioranza delle aziende dell'Edilizia, pari al 53,8%, ha invece regolato le transazioni commerciali con un ritardo fino a 30 giorni oltre i termini contrattuali, il 4,3% ha presentato un ritardo compreso tra 30 e 90 giorni, mentre solo lo 0,6% ha superato i 90 giorni medi. È quanto si evince dallo Studio Pagamenti 2012 realizzato da CRIBIS D&B, la società del Gruppo CRIF specializzata nelle business information, che ha analizzato la situazione del macro settore dell'Edilizia, comprensivo dei comparti "Costruzione di edifici", "Edilizia specializzata" ed "Installatori".

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Abitudini di pagamento per classi di ritardo Italia/Edilizia/Microsettori edili – 2011 (Fonte: CRIBIS D&B)

All'interno del settore edile, la situazione più critica emerge nel comparto dell’edilizia specializzata, dove solo il 33,6% delle imprese regola le transazioni commerciali entro i termini previsti (12,1 punti percentuali al di sotto della media nazionale). Nel comparto delle costruzioni di edifici si registra una percentuale di imprese puntuali pari al 38,7% e, infine, il risultato migliore spetta agli installatori con il 42,8% di pagatori regolari.

Le aree geograf iche

Microsettore Edilizia specializzata: Strade urbane, interurbane e autostrade Ponti, gallerie e strade sopraelevate Acquedotti, fognature e condotte elettriche Altre costruzioni civili

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Osservando nel dettaglio le abitudini di pagamento per area geografica, la situazione più critica emerge nel Sud e Isole: qui le imprese dell'Edilizia pagano entro la scadenza dei termini contrattuali solo nel 27,9% dei casi. I comportamenti di pagamento risultano meno problematici nel Nord Est e nel Nord Ovest, dove si riscontrano percentuali di “buoni pagatori” superiori al 49% (oltre 8 punti percentuali in più rispetto alla media settoriale). Nel Centro Italia, infine, i pagatori puntuali sono pari al 37,1% delle imprese. A livello regionale la Lombardia si configura come il best performer italiano con una percentuale di pagamento alla scadenza pari al 51,3% del totale, la seguono in seconda e terza posizione l’Emilia Romagna (51,1%) ed il Veneto (50,1%). In Campania ed in Calabria solo un’azienda edile su quattro riesce a rispettare i termini di pagamento concordati con i propri partner commerciali, mentre Sardegna e Sicilia riportano le abitudini peggiori in assoluto con concentrazioni nella classe di pagamento regolare inferiori al 23%.

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Pagamenti puntuali nell’edilizia, dettaglio regionale – 2011 (Fonte: CRIBIS D&B)

I l trend Negli ultimi cinque anni la puntualità nell'Edilizia è decisamente peggiorata. Il D&B Paydex (indicatore sintetico del ritardo di pagamento) permette di analizzare quali sono stati i cambiamenti delle abitudini di pagamento negli ultimi anni. Nel confronto fra i dati 2007 e quelli 2011 i comparti edili denotano variazioni decisamente più consistenti rispetto a quelle osservate a livello nazionale. In particolare, il D&B Paydex medio del microsettore “Costruzione di edifici” è quello che fa registrare la riduzione maggiore passando da un valore pari a 74,5 del 2007 al 70,3 del 2011 (100 indica la miglior performance, 1 la peggiore) contro il dato medio italiano che è passato da 73,1 a 72. Anche per quanto riguarda questo indicatore è sempre l’”Edilizia specializzata” a distinguersi per il livello più basso con una media nel 2011 del 69,4 per le aziende di questo comparto.

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Variazioni 2007 vs 2011 del D&B PAYDEX MEDIO Italia / Edilizia / Microsettori Edili (Fonte: CRIBIS D&B)

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I l confronto internazionale Nel contesto internazionale il quadro dei pagamenti nel settore edile mostra scenari molto diversi da Paese a Paese. Di fronte ad una media europea pari al 44,3% di imprese puntuali, è la Germania a poter vantare la migliore performance: le aziende edili tedesche, infatti, rispettano i termini di pagamento nel 79,7% dei casi, raggiungendo una percentuale di “buoni pagatori” superiore anche al loro livello medio nazionale (74,7%). Si riscontra una frequenza di imprese puntuali al di sopra della media europea anche per la Francia (46,5%). L'Italia si colloca, invece, al di sotto del dato medio continentale, facendo tuttavia registrare una percentuale di pagamento alla scadenza decisamente superiore a quelle di Spagna (28,8%) e Regno Unito (26,9%). Molto critica la situazione in Portogallo con le aziende dell’Edilizia che pagano puntualmente in solo nell’11,7% dei casi e, inoltre, evidenziano una concentrazione pari al 17,4% nelle classi di ritardo più grave (oltre 90 giorni medi). Gli Stati Uniti (44,1%) presentano una percentuale di “buoni pagatori” in linea con la media europea, la Cina al contrario mostra un comportamento di pagamento più difficoltoso con le imprese edili che regolano i loro rapporti commerciali solo nel 28,3% entro i termini prestabili e nel 21,2% dei casi analizzati fanno rilevare un ritardo medio superiore a 90 giorni.

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Abitudini di pagamento per classi di ritardo nell’edilizia confronto internazionale – 2011 (Fonte: CRIBIS D&B)

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In conclusione, dalle analisi dello Studio Pagamenti di CRIBIS D&B l’Edilizia emerge sicuramente come uno dei settori che ha risentito maggiormente della crisi degli ultimi anni. I dati sui pagamenti alla scadenza sono crollati e alcuni settori, come la Costruzione di edifici e l’Edilizia Specializzata sono in forte difficoltà. Questo dato è ancora più grave se si considera che a livello generale negli ultimi anni si è osservata anche una “istituzionalizzazione” del ritardo, cioè negli ultimi anni il ritardo è stato incorporato nei termini di pagamento definiti contrattualmente. La trasparenza e la condivisione delle informazioni sui pagamenti è un elemento chiave per la ripresa e la crescita di questo mercato e dell’economia in generale e non è casuale che un paese come la Germania, che ha una struttura industriale simile alla nostra ma ha quasi il 75% delle aziende che paga alla scadenza (che diventa quasi l’80% nel settore dell’Edilizia), abbia prospettive di crescita del PIL molto migliori di quelle dell’Italia.

La fonte dei dat i Lo Studio Pagamenti è l'osservatorio di CRIBIS D&B che illustra i trend e le perfomance di pagamento delle aziende italiane in un confronto con le altre realtà europee ed internazionali. Nell’edizione 2012 dello Studio sono state analizzate le Abitudini di Pagamento delle imprese di 19 Paesi. Le principali fonti informative sono tratte dai dati sui pagamenti provenienti dal Programma CRIBIS iTRADE e dal D&B Paydex per l’Italia e dal programma DUNTRADE del D&B Worldwide Network per gli altri Paesi. CRIBIS iTRADE è la prima soluzione in Italia per la condivisione delle informazioni sul credito commerciale tra CRIBIS D&B e le aziende partecipanti. Il servizio è finalizzato a raccogliere e rendere disponibili dati, analisi e valutazioni sulle abitudini di pagamento e restituisce profili oggettivi delle aziende come pagatori di transazioni B2B. Il D&B Paydex è un punteggio che valuta la performance storica dei pagamenti verso i fornitori. E’ un indice sintetico che nasce da un modello statistico in grado di analizzare l’eterogeneità dei comportamenti di pagamento in un indicatore uniforme e consistente. Esprime un punteggio

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diviso in classi che va 1 a 100 (100 indica la miglior performance, 1 la peggiore). Ad ogni classe è associato il numero di giorni medi di ritardo. È possibile scaricare gratuitamente l’analisi completa dello Studio Pagamenti 2012 e gli atti dell’evento (svoltosi il 10 maggio 2012 presso la sede de Il Sole 24 Ore) nella sezione Community del sito www.cribis.com.

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Le Dimensioni del Controllo di Gestione: proposta per un modello di riferimento a cura di Alessandro Musso - Financial Project Manager

Prefazione

Il presente documento origina, con alcune modifiche e necessarie semplificazioni, da un progetto realmente realizzato in azienda e dalla relativa documentazione, redatta al fine di condividere l’approccio e la terminologia e di inquadrare alcuni aspetti che coinvolgono differenti funzioni e servizi aziendali, pertanto incontrano differenti sensibilità e, in un contesto multinazionale, differenti culture.

Questo relazione è dunque preparatoria al lancio formale di due progetti nell’ambito dell’area Finanza: La standardizzazione delle procedure di reportistica per le filiali (anche

per ottemperare le regole ISO/TS) L’introduzione della contabilità industriale per la filiale (produttiva) italiana.

Control lo di Gestione e Contabi l i tà Industr ia le

Il Controllo di Gestione, di cui la Contabilità Industriale è probabilmente la parte più complessa che può influenzare il destino di prodotti/servizi e, di conseguenza, dell’azienda o di suoi reparti, dovrebbe essere analizzato sotto due diversi punti di vista, diversi dimensioni: la Dimensione Informativa

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(non solamente informatica) che riguarda la reportistica prodotta e la Dimensione Organizzativa che coinvolge i processi aziendali e le relative procedure. Una volta che i report desiderati sono definiti e progettati, cioè è stato stabilito il livello di dettaglio, la periodicità, la versione o l’aggiornamento, è necessario iniziare a cercare tutte le informazioni per alimentare il processo di reportistica. Le aziende e le sue dinamiche interne molto spesso mostrano questo tipo di approccio in cui, prima di analizzare i processi e le procedure in essere, viene deciso il “layout” formale che i dati aggregati devono avere e poi si plasma la struttura e l’organizzazione per creare i presidi al fine di monitorare le informazioni e le necessarie azioni (individuali) che precedono o seguono loro. L’organizzazione è ciò che scaturisce dall’analisi dei processi e dalla definizione di procedure, formalizzando la necessità di adempimenti, cambio di abitudini e consuetudini aziendali, introducendo nuovi strumenti e/o risorse, guidando il cambio di funzioni e pertanto l’organigramma. La Dimensione Informativa Alla prima dimensione dovrebbero appartenere le fasi di cui sotto. 1.1) Schemi di Riclassif ica: strutture civ i l ist iche e gestional i Partendo dal Piano dei Conti, la maggior parte dei sistemi informativi comunemente usati permette di definire diversi schemi di aggancio, cioè di riclassifica, di uno stesso piano dei conti. Le cifre consuntive devono provenire direttamente dal sistema informativo, sia per il bilancio civilistico (inteso come stabilito dalla IV direttiva CEE) che per quello gestionale (cioè per la reportistica interna come definita dalla azienda stessa). Il prospetto sotto vuole schematizzare il flusso di informazioni fra le diverse sezioni, Piano dei Conti, Bilancio CEE, Bilancio Interno o Gestionale, Piano dei Centri di Costo, Piano di Contabilità Industriale.

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 Dal momento che la reportistica periodica proviene direttamente dalle procedure del sistema informativo, questo porta a definire un calendario di attività da espletare e ad implementare (almeno) due sezioni, una civilistica/fiscale e una gestionale, in modo che tutte le scritture contabili riguardanti la chiusura periodica (come ad esempio la valutazione del magazzino, ratei e risconti, ammortamenti e svalutazioni) siano raccolte sotto la seconda area e non ci siano contaminazioni tra gli adempimenti civilistici (e i relativi libri contabili) ed i relativi principi gestionali (che possono essere più o meno simili, ad esempio, ad altri principi contabili).

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I classici strumenti di “office automation” sono dunque usati per analisi, previsioni e presentazioni. 1.2) Budget and Forecast: model l i economici, f inanziar i e patr imonial i La mera informazione dello scostamento tra Consuntivo e Budget dovrebbe poter venire direttamente dal sistema, ciò significa caricare precedentemente le cifre di budget negli schemi e nelle strutture di rendicontazione volute. Anche se i modelli di budget e forecast dovrebbero essere parte del gestionale integrato, nella maggior parte dei casi, per la necessità di essere rapidi e flessibili nella fase di modellazione economica/finanziaria, questi moduli non sono oggetto di implementazione. Le simulazioni su (diversi scenari di) budget e business plan sono generalmente effettuate extra-sistema su fogli di lavoro. Nonostante ciò le cifre del budget definitivo sono inserite a sistema, nella sezione gestionale, in modo da poter rapidamente e semplicemente produrre rendiconti sugli scostamenti. E’ stato adottato un modello di budget e business plan (triennale) dove, partendo dalle vendite stagionalizzate, i costi sono divisi in variabili e fissi e quindi distribuiti lungo l’anno secondo diversi criteri, i più comuni sono quelli del prospetto di cui sotto.  

 

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I prospetti sotto rappresentano il flusso di informazioni tra le differenti sezioni. Il box verde mostra che le cifre consuntive della reportistica periodica provengono direttamente dal sistema informativo dove sono implementate le due sezioni. Una volta chiuso il periodo contabile, i dati sono raccolti dalla area contabile ed importati nell’area gestionale per le rettifiche necessarie che possono riguardare l’utilizzo di differenti principi contabili, accantonamenti per costi o ricavi, valutazioni sul magazzino e sullo stato dei semilavorati.

     

Il box rosso significa che le cifre previsionali riguardanti lo scenario dei mesi di budget, possono provenire anche da ipotesi ed analisi extra-sistema inerenti, ad esempio, i giorni clienti, giorni fornitori, giorni magazzino, costo del lavoro, andamento vendite; quelle cifre possono essere inserite a sistema o tenute separate su fogli di lavoro, a seconda di quanti scenari sono stati richiesti e quanti analisi differenziali vengono effettuate.  

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Un normale package finanziario annuale include conto economico, rendiconto finanziario e stato patrimoniale ed infine un calendario di produzione in cui siano definiti i giorni lavorativi (cioè i giorni di calendario meno sabati e domeniche e festività infrasettimanali), i giorni lavorabili (cioè giorni lavorativi meno ferie e permessi come stabiliti dal ccnl), i giorni lavorati (cioè i giorni lavorabili meno altre assenze più gli straordinari). 1.3) Rendiconto di Prodotto o Serviz io: determinazione del costo A questo livello di dettaglio, normalmente si comincia a parlare di contabilità industriale o analitica, propriamente definita, con le sue varie logiche e procedure. Questo significa che deve essere compreso quale è l’obbiettivo finale cioè l’oggetto dell’analisi del costo, al fine di poterne determinare su basi oggettive il prezzo. L’oggetto può dunque essere un prodotto finito, un servizio ma anche una linea di produzione, un reparto, uno stabilimento, una divisione e così via ma anche differenti aree geografiche o mercati cioè differenti aggregati di vendita. Lo scopo dell’analisi dei costi dovrebbe essere la determinazione di un margine adeguato, congruo così che il mercato lo possa accettare ed ovviamente profittevole per l’azienda, questo soprattutto per rispondere rapidamente a quotazioni e formulare offerte di vendita. Le procedure di determinazione del costo e del relativo prezzo possono essere considerate parte del processo di reportistica, nel suo significato più

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ampio, inteso come una sequenza di attività interfunzionali, che partono dalle distinte basi scendendo per cicli e fasi di produzione, passando quindi per la loro valorizzazione, muovendosi verso le spese generali di produzione ed i costi di struttura. Ciò porta ad una scelta strategica, se la contabilità analitica possa o debba, o meno, rinconciliare con la contabilità civilistica. Ciò non è affatto ovvio perchè è chiaro che le fonti di informazione sono decisamente differenti, così come le tempistiche di aggiornamento. Il costo standard, come considerato nella distinta base potrebbe essere piuttosto differente dal costo effettivo, inoltre dovrebbe essere definito cosa intende l’azienda per costo standard (che tipo di costi operativi sono considerati nello standard, appunto) e quanto spesso viene aggiornato. Il tasso orario considerato nei cicli di produzione inoltre, dovrebbe essere definito (cioè scomposto) e periodicamente aggiornato, così come il tempo macchina standard che naturalmente potrebbe differire nelle diverse rilevazioni (ad esempio per le differenti abilità delle risorse). La Dimensione Organizzativa Alla seconda dimensione appartengono le seguenti fasi. 2.4) Funzioni e/o Processi: l ’organigramma L’azienda è stata organizzata in servizi/funzioni e ciascuno di essi scomposto in uffici/reparti che possono ulteriormente essere scomposti in centri di costo. L’immagine sotto mostra la bozza finale di un modello organizzativo volutamente semplificato ma rappresentativo.

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Ciò significa che partendo da una organizzazione per funzioni l’azienda sta considerando una parallela organizzazione per processi, anche se i manager ancora presidiano le funzioni tipiche, la maggior parte hanno un doppio riporto, funzionale ai direttori della casa-madre e gerarchico al direttore locale. Non vengono considerate in questa sede alcune considerazioni riguardanti: i driver di costo, per allocare i costi dai centri di costo alle attività i driver di attività, per allocare i costi dalle attività ai prodotti / servizi

finali apposite check list per individuare: quali sono le fonti (origine) delle

informazioni, quali sono gli sbocchi (termine), quali sono le risorse disponibili/necessarie, quali sono i vincoli

apposite check list per individuare: chi fa cosa, quando, perchè e dove

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2.5) Centr i di Responsabi l i tà: identi f icazione e relat ive procedure di autorizzazione del le spese. Considerando una Funzione (come mostrata sopra) come un centro di responsabilità, dovrebbe essere definita una procedura di autorizzazione delle spese, iniziando dalla richiesta di acquisto sul centro di costo, una volta controllato sul gestionale se tale spesa è prevista a budget o meno, può essere validata e procedere verso il servizio approvvigionamenti per diventare un ordine di acquisto. Dovrebbe essere chiaro che il maggior proposito della contabilità industriale e della introduzione dei centri di costo, dovrebbe essere di prevedere o almeno stimare certe spese, non solo allocare i costi una volta che arrivano le fatture da registrare contabilmente, pertanto dovrebbe essere definito il centro di costo in fase di emissione ordine al fine di evitare o ridurre al minimo che alcuni acquisti (soprattutto quelli riguardanti i costi operativi) diventino fatture senza una relativa destinazione.  

2.6) Centri di Costo: identificazione, relativi conti contabili e voci di contabilità industriale

I centri di costo possono essere raggrupparti in reparti e i reparti in aree funzionali o servizi aziendali, non importa la “matriosca” organizzativa perché essa dipende ovviamente dalle dimensioni dell’azienda ma ancora di più dal suo stile. I centri di costo possono essere divisi in diretti (o finali) and indiretti (o intermedi), in base al modello di contabilità industriale adottato dall’azienda (cioè metodo del costo diretto, del costo industriale o del costo pieno), i centri di costi indiretti sono ulteriormente suddivisi in centri di costo indiretti di produzione (in senso lato) and indiretti di struttura. Come mostra il prospetto sotto, partendo dai costi “propri” di realizzazione, espandendo l’analisi dei costi come onde allargandosi verso l’esterno, possono essere definiti i costi di produzione, i costi operativi e i costi

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industriali (in senso lato). I costi di produzione possono essere definiti come comprendenti, oltre ai costi propri della manodopera e dei materiali utilizzati, altri costi diretti ma non inclusi nella distinta base (tipicamente lubrificanti o imballi, per cui non vale la pena determinare la quantità necessaria); i costi operativi includono i costi indiretti dei servizi ausiliari di produzione (manutenzioni, programmazione, logistica, acquisti, ...); i costi industriali possono includere altri costi indiretti che possono essere allocati totalmente o parzialmente sul prodotto finito (ad esempio Ricerca & Sviluppo, Qualità, Sicurezza e Ambiente).  

   

Come mostra il prospetto di cui sotto, l’azienda ha optato per un modello di contabilità analitica del costo pieno industriale, quindi solo una porzione dei costi indiretti sarà allocata, coinvolgendo tutti i costi indiretti industriali in modo da includere sia i costi dei servizi industriali che dei servizi ausiliari alla produzione.      

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E’ necessario definire la politica di allocazione ed il relativo driver affinchè le informazioni necessarie possano essere periodicamente e tempestivamente raccolte, per esempio:

ripartizione piatta (o con % forfait) numero di teste aree (metri quadri) ore di lavoro diretto (operai) numero di pezzi prodotti, collaudati, difettosi numero di ordini di acquisto

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numero di ordini di vendita, ordini di produzione, dichiarazioni di produzione

numero di attrezzaggi/reimpostazioni macchine nemero di colli movimentati numero di ore macchina funzionante/accesa

tutte informazioni che devono essere raccolte per centro di costo. Dopodichè è necessario definire: la percentuale di allocazione dei centri di costo intermedi sui centri di

costo finali, perchè ad esempio il Centro di Costo Qualità potrebbe non essere allocato al 100% ma solamente al 50% considerando che una porzione delle attività e dei relativi costi assorbiti non siano per fini industriali ma commerciali o di struttura (principio non applicabile nel caso della contabilità industriale a costo pieno)

l’allocazione secondo quali parametri, cioè scegliere quei driver (come sopra esemplificati) che meglio possano aiutare a spiegare per quali ragioni i centri di costo finali ricevono costi dai centri di costo intermedi.

Le considerazioni di cui sopra si riferiscono ad una organizzazione piuttosto semplice, utile per partire rapidamente, iniziare a diffondere una certa “cultura” analitica. Se l’obbiettivo ultimo è rispondere, per esempio, alla domanda quanto costa il soffiaggio di un serbatoio, l’ammontare ottenuto nel centro di costo “Soffiaggio” dovrebbe essere diviso per il numero di serbatoi realizzati nell’intervallo di tempo considerato. Questo è vero se il Reparto Soffiaggio produce solo serbatoi e comunque non si potrebbe distinguere tra diverse tipologie di serbatoio, qualora fosse richiesto.

2.7) Codif ica Art icol i e Ordini di Acquisto A prescindere dal significato della codifica, cioè da ciò che la nomenclatura vuole rappresentare o quale che sia la logica seguita dalla sintassi della codifica, è possibile dividere gli articoli in due macrofamiglie, per tipologia:

articoli presenti in “distinta base” articoli “fuori dalla distinta base” e articoli “non di produzione”.

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Gli articoli in “distinta base” seguono le regole di codifica, che possono informazioni sulla categoria di prodotto o sotto-prodotto, tipo di materiale, se appositamente costruito o commerciale, il numero di revisione e altro ancora. Gli articoli “fuori dalla distinta base”, come gli “articoli non di produzione”, possono seguire regole di codifica più semplice, ad esempio possono essere usati articoli “fittizi” solo per permettere l’emissione dell’ordine che può essere definito come il primo tassello delle procedure di controllo di gestione, perché senza un adeguato controllo su quantità e costo è ovvio che tutto il resto sia un sostanziale esercizio contabile. Una cosa molto importante da definire è se questi articoli devono essere gestiti a magazzino, sia sotto il profilo della movimentazione logistica che sotto l’aspetto della valorizzazione. Questo porta ad importanti decisioni da prendere ai fini della valorizzazione di magazzino e del relative metodo, delle procedure da seguire ai fini della dichiarazione di produzione e dei versamenti di semilavorati e prodotti, dei buoni di prelievo e degli ordini di produzione. Dalla definizione di queste procedure dipende l’adeguata valorizzazione del magazzino di materie prime e componenti, prodotti in corso e semilavorati e dalla loro corretta valorizzazione dipende un adeguata procedura di approvvigionamento materiali ed emissione ordini di acquisto, normalmente suggerita dalle procedure m.r.p. del sistema informativo che devono però essere spesso interpretate per essere sintonizzate opportunamente. L’importanza dell’Anagrafica Articolo coinvolge in maniera sostanziale le ambizioni del Contabilità Industriale. I Centri di Costo devono essere definiti già a partire dall’anagrafica articolo, se non è possibile per ogni articolo, almeno deve essere fatto in fase di emissione ordine. Dopo è necessario verificare che tipo di movimenti sono effettuati dall’e.r.p., sia contabilmente che extra-contabilmente, per alimentare il modulo di contabilità industriale, al fine di evitare una doppia imputazione o una sovrapposizione di movimenti ed un non realistico raddoppio di costi. Deve essere realizzata una “check list” con le causali interessate, i conti contabili che vengono considerati anche per la contabilità industriale, la

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coerenza della riclassifica gestionale con il piano delle voci di contabilità analitica. 2.8) Costo Standard, Costo d’Acquisto e Costo Effett ivo Esistono tre differenti tipologie di costo, nel mondo ideale tutte e tre dovrebbero coincidere ma non necessariamente. I Costi Effettivi sono quelli inseriti a sistema attraverso la registrazione delle fatture di acquisto, devono essere comparati rispetto agli ordini emessi e ai relativi costi di acquisto.

Il Costo Standard deve essere definito dall’azienda, costantemente aggiornato o rivisto nella sua composizione, chiaramente l’ordine di acquisto può differire in base alle dimensione del lotto, allo sconto ottenuto, al tasso di cambio. Il Costo Standard può essere una media di costo dello stesso articolo per diversi fornitori, può essere il costo ultimo o primo di un certo periodo, allora è chiaro che deve essere definito quanto è lungo il periodo e come la procedura automatica del sistema deve effettuare l’aggiornamento periodico di tale costo (per esempio una volta l’anno, considerando per ogni articolo la media ponderata degli acquisti degli ultimi tre mesi a costi effettivi… includendo o meno le differenze prezzo rilevate). 2.9) Identi f icazione e gestione del le dif ferenze di quantità e valore Viene adottato un semplice prospetto, sotto esemplificato, per monitorare e tenere sotto controllo le differenze fra gli ordini emessi, le bolle materiali ingressate e le fatture, le cui più comuni cause di differenza sono riportare sotto. Differenza di quantità tra fattura e ricevimento merci, identificata perchè gli articoli della fattura non si abbinano agli articoli delle bolle ad esempio perchè la quantità fatturata è maggiore della quantità ingressata a magazzino. La fattura deve essere registrata e fini fiscali ma il pagamento viene bloccato da apposite funzioni di sistema, viene utilizzato un banale escamotage per forzare il sistema in fase di registrazione fattura, che consiste nel registrare le quantità della fattura per l’articolo in questione. La questione si risolve con una nota credito o una ulteriore bolla di ricevimento materiale. Nel secondo caso dovrebbe anche essere emesso un ordine ad

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integrazione, evaso quindi dalla bolla di ricevimento a sua volta già evasa dalla fattura che a questo punto può essere sbloccata per il pagamento. Questa soluzione perchè il magazzino è valorizzato a costi effettivi i cui importi sono presi dalle fatture di acquisto. Differenza di prezzo tra fattura e ricevimento merci (valorizzate al costo dell’ordine), identificata perché non c’è abbinamento tra il valore degli articoli, ciò potrebbe accadere, ad esempio, per la validità periodica del listino. Anche in questo caso la fattura deve essere registrata ed il pagamento bloccato, viene adottato lo stesso tipo di escamotage visto sopra, registrando la fattura con i prezzi in fattura differenti da quelli dell’ordine. Anche in questo caso, la questione si risolve con una nota credito o una ulteriore bolla di ricevimento materiale. Il prospetto adottato per monitorare queste differenze, analizzato periodicamente a seconda dell’orizzonte temporale definito, potrebbe essere come quello rappresentato sotto:

   

E’ chiaro che in questo tipo di prospetto, ordinato per articolo, la nota credito o la bolla o l’integrazione dell’ordine, sono tracciati e monitorati in riferimento ad ogni articolo codificato a sistema. 2.10) Sistemi integrat i ed informazioni extra-sistema Gli sforzi per identificare parametri produttivi/industriali, ai fini della allocazione dei costi, focalizzati sulle diverse attività e sotto-attività svolte nei vari centri di costo, reparti, funzioni, dovrebbero portare a futuri miglioramenti del modello inizialmente adottato, piuttosto che riferirsi solamente al (rozzo) ammontare delle ore di lavoro diretto (cioè il mono-

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driver più adoperato) e assumendo che ogni ora diretta trascini con se anche tutti gli altri costi indiretti. Da questo punto di vista, tutta la documentazione inerente gli adempimenti Qualità/Iso dovrebbero suggerire ed ispirare l’utilizzo di parametri relativi a processi e attività piuttosto che i tradizionali driver provenienti dalla organizzazione per funzioni.

Maggiore è la sofisticazione del modello maggiore è il dettaglio richiesto (per la maggior analiticità) e maggiori le informazioni che devono essere inserite a sistema. Ad esempio, nei campi disponibili nell’anagrafica articolo si dovrebbe riflettere questo maggior livello di analiticità, specialmente per I componenti ma anche per l’acquisto di materie prime (assumendo che si utilizzino materie prime diverse per soffiare un certo tipo di serbatoio piuttosto che per un altro). Aumentare il numero di centro di costo finali, per la necessità di maggiori dettagli, porta alla necessità di un crescente numero di informazioni per canalizzare (instradare propriamente) i costi diretti e, ancora più importante, porta alla necessità di ulteriori parametri per allocare i costi indiretti che devono essere riconosciuti e “detettati” per ogni centro di costo.

Una soluzione ibrida che è stata adottata per introdurre rapidamente le metodologie di contabilità analitica può essere quella mostrata nel prospetto di cui sotto.

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Questo mostra come la contabilità analitica, secondo la logica del costo pieno industriale, viene introdotta passando dalla valorizzazione della Distinta Base e dei suoi Cicli.

La tariffa oraria è fatta dalla somma di diversi addendi (componenti):

il costo del lavoro diretto, come raccolto nei relativi centri di costo, più gli accantonamenti per i contributi sociali ed il trattamento di fine rapporto

i costi indiretti di produzione come raccolti nei relativi centri di costo

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altri costi indiretti industriali come raccolti nei relativi centri di costo per un dato periodo (ad esempio trimestrale), diviso per il numero di ore dirette ed indirette lavorate nello stesso orizzonte temporale di riferimento. E’ stato definito uno strumento software, una “routine” automatica di sostituzione ed aggiornamento delle tariffe orarie nei cicli di produzione associate alle distinte base. Il punto debole è ancora l’utilizzo del mono-driver che potrebbe essere troppo rozzo come detto precedentemente (parzialmente attenuato da un utilizzo proprio delle percentuali di riallocazione dei centri di costo); il punto di forza è la scomposizione della tariffa oraria nelle sue componenti e l’opportunità è quella di introdurre i centri di costo al fine di migliorare l’analisi dei costi e suggerire migliori criteri di allocazione dei costi.      

Conclusioni Se i primi due punti della lista possono essere attivati nella maggior parte delle aziende, è chiaro che quando si comincia a parlare di costo del prodotto / servizio, normalmente per determinare un ragionevole prezzo di vendita (profittevole per l’azienda ed accettato dal mercato), non può essere ignorata l’analisi dei punti che riguardano la seconda sfera organizzativa. Il Controllo Finanziario inizia ad espandere il suo ruolo in Controllo Industriale diventando un servizio interfunzionale, se ciò richieda un background tecnico o amministrativo, è una questione squisitamente politica che certamente riguarda la complessità tecnologica del settore industriale ma anche la visione (nel suo significato più ampio di cultura) del capitano d’azienda. Attraverso il Controllo di Gestione l’azienda inizia ad analizzare la sua organizzazione, cioè le funzioni e le attività che vengono svolte al suo interno, passando attraverso I carichi di lavoro e le risorse (sia umane che tecnologiche). La Contabilità Analitica è la parte più difficile da implementare per le diverse variabili che deve considerare, quindi al fine di ottenere cifre affidabili (cioè

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costruite seguendo regole logiche) devono essere messi in piedi una sequenza di procedure che presidino adeguatamente i processi; l’approccio dettato dall’Activity Based Costing può sicuramente aiutare a scomporre i processi aziendali al fine di comprendere la complessità del business, dopodiché l’azienda, seguendo un sano pragmatismo invece di ideologie alla moda, deve saper prendere decisioni su quali strumenti informativi possono essere i più efficienti ed efficaci rispetto alla propria dimensione.

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Il controllo di gestione: un vademecum per iniziare a cura di Angelo Saitta – Fiscalista e consulente del lavoro Il controllo di gestione è l’attività di guida e orientamento della gestione, in grado di assicurare che le risorse economiche ed i fattori produttivi a disposizione dell’azienda siano impiegati in modo efficace ed efficiente coerentemente agli obiettivi prestabiliti. Il controllo di gestione è, quindi, uno strumento di monitoraggio e di valutazione; risponde ad esigenze informative interne e, non essendo obbligatorio per legge, è organizzato e utilizzato da ogni impresa nel modo più appropriato rispetto alla tipologia di attività svolta, allo stile direzionale del management. Obiettivi, strategie, valutazione, indicatori e report sono alcuni dei termini più comuni quando si parla controllo di gestione. Caratter ist iche e struttura Il controllo di gestione è spesso definito “contabilità direzionale”, poiché ha come destinatario il top management che utilizza le informazioni, le notizie e gli elementi che il sistema fornisce quale ausilio al processo decisionale. Il controllo di gestione è una parte del sistema informativo aziendale. I database e le applicazioni che permettono il calcolo degli indicatori e l’elaborazione dei report sono alimentati da diversi sottosistemi aziendali quali la contabilità analitica, il sistema di contabilità generale e delle contabilità di supporto (magazzino, ordini, registri patrimonio etc.), il sistema di gestione e valutazione del personale.

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Una delle caratteristiche più importanti del sistema di controllo di gestione è la possibilità di riorganizzare i dati da una classificazione per natura ad una per destinazione, evidenziando il ruolo dei singoli processi. I dati così raccolti permettono la costruzione dei report e degli indicatori che sono i principali strumenti di comunicazione valutazione delle performance. L’efficacia del controllo di gestione cresce se è affiancato da un processo di pianificazione degli obiettivi operativi e strategici, che tenga conto dei principi cui si ispira il sistema di rilevazione e valutazione dei risultati.

I modelli di organizzazione del controllo di gestione possono ricondursi alle seguenti scuole:

• Modello di Antony: si identificano tre livelli di controllo: il controllo strategico, in cui si individuano gli obiettivi generali, anche di medio e lungo periodo, e le risorse necessarie per conseguirli; il controllo direzionale, dove si delinea la programmazione dell’uso delle risorse e gli strumenti di controllo; il controllo operativo, che si occupa della verifica delle attività correnti.

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• Modello di Amigoni: si identificano le variabili che influenzano la struttura dei sistemi di controllo, avendo cura di individuare la complessità strutturale interna da quella esterna, evidenziano anche la tipologia di equilibrio (stabile, dinamico, discontinuo) che caratterizza il mercato di riferimento.

• Modello ABC: si identificano quali oggetti di costo le attività e si misurano le risorse che assorbono per poi attribuirle ai prodotti/clienti.

• Modello Balanced Score Card: si identificano quali prospettive di valutazione i risultati conseguiti dal punto di vista economico-finanziario, di soddisfazione del cliente, di miglioramento dei processi interni e della capacità di apprendimento e crescita.

Le funzioni

Il controllo di gestione in un’azienda modernamente organizzata crea e distribuisce informazioni, identificando in termini quantitativi e qualitativi la tipologia e l’organizzazione dei dati che devono essere resi disponibili al management. Può essere utilizzato per:

• determinare il costo di produzione del singolo bene/servizio: grazie al sistema di contabilità analitica che, scegliendo l’appropriato sistema di costing, attribuisce i costi diretti e i costi indiretti, è possibile quantificare il costo effettivo di ogni unità prodotta;

• monitorare specifici settori o funzioni aziendali evidenziandone i margini positivi e negativi; il sistema di contabilità analitica può focalizzarsi sulla rilevazione dei risultati conseguiti dalle singole business unit, costruendo un piccolo bilancio di funzionamento e identificando il contributo di ciascuno nel processo di creazione del valore;

• verificare l’andamento delle attività rispetto ai budget, per valutare gli scostamenti e le azioni necessarie per raggiungere gli obiettivi; attraverso gli indicatori è possibile evidenziare la percentuale di

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raggiungimento degli obiettivi assegnati e la coerenza dei costi sostenuti con i budget fissati ad inizio anno;

• evidenziare le responsabilità dei singoli manager: la costruzione di un sistema di reporting per area funzionale permette di associare le risorse assegnate per lo svolgimento delle singole attività ad ogni responsabile di processo permettendo la puntuale individuazione del nesso obiettivo risultato e facilitando il processo di valutazione;

• costruire il sistema interno di valutazione e distribuzione dei premi di produttività: il tasso di raggiungimento degli obiettivi assegnati valutato attraverso gli indicatori può essere utilizzato come base per l’assegnazione dei premi di produttività;

• valutare l’efficienza nell’allocazione delle risorse tra i processi/attività chiave: un sistema di costing, prescindendo dalla scelta del metodo di ripartizione, permette di individuare il margine di contribuzione finale per prodotto o per attività verificando quindi la capacità di generare profitto in ragione dei prezzi di vendita fissati attraverso un indice di efficienza economica. Gli indicatori di efficienza permettono, inoltre, di valutare sia l’efficienza strettamente produttiva attraverso la valutazione dell’incidenza degli scarti e degli sfridi sul valore totale delle materie prime impiegate sia l’efficienza tecnica dei macchinari attraverso il confronto tra tempo effettivo dedicato alla produzione in rapporto al tempo lavorato totale.

• effettuare valutazioni di make or buy: conoscere la tipologia e il valore di costi assorbiti da una determinata tecnologia o da una determinata organizzazione dei fattori produttivi, permette di confrontarli quelli di un ipotetico contratto di outsourcing per valutare la soluzione più conveniente. È ad esempio possibile valutare se scegliere tra l’attivazione di un servizio mensa interno e l’erogazione dei buoni pasto.

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I s istemi di cost ing Il sistema di controllo di gestione ha come fondamento l’identificazione, il monitoraggio e la valutazione, attraverso degli specifici indicatori, dei risultati conseguiti. L’attribuzione dei costi avviene attraverso diverse metodologie che si definiscono sistemi di costing. Questi sistemi affrontano il tema dell’attribuzione dei costi seguendo due principali filosofie: la costruzione di un sistema di oggetti/centri di costo oppure la costruzione di un activity based costing (ABC).

I sistemi per oggetti/centri di costo evidenziano le strutture o le funzioni aziendali considerate rilevanti e procedono all’attribuzione dei costi sostenuti dall’azienda. Tale attribuzione può avvenire scegliendo solo di valutare i costi diretti (sistemi di direct costing o variable costing) oppure attribuendo anche i costi indiretti (sistemi di full costing). I costi indiretti sono distribuiti con l’utilizzo di driver.

Il sistema ABC è una metodologia che calcolare il costo pieno di prodotto attraverso la determinazione dei costi delle attività. Si calcolano i costi di ogni singola attività (produzione, logistica, vendita, approvvigionamento) e successivamente si assegnano ai prodotti e ai servizi sulla base delle attività che sono state necessarie per produrli. È un sistema molto articolato e complesso che però è fondamentale in casi di mercati profondamente competitivi e con margini di profitto ridotti.

Conclusioni Scegliere il sistema di controllo più appropriato non è semplice. Bisogna valutare la tipologia di azienda, il livello di accuratezza delle informazioni che si ritengono necessarie, la modalità di raccolta ed organizzazione dei dati e la tempistica.

I costi, sia economici sia organizzativi, legati all’implementazione di uno specifico software o di nuove procedure, svolgono un ruolo importante nella valutazione di fattibilità del progetto, che può orientarsi tra la scelta di

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un sistema proprietario, cioè completamente sviluppato con risorse e competenze interne, o di un sistema “chiavi in mano”.

Questa ultima soluzione è offerta sotto forma di servizio di consulenza e implementazione software cui si affiancano specifiche attività di tutoring e di formazione. In alcuni casi, avendo a disposizione un ERP le funzionalità del controllo di gestione sono già presenti nel software, ma si corre il rischio di rimanere vincolati al punto di vista del fornitore del sistema informativo.

Vorrei sottolineare, però, che sia in caso di soluzioni proprietarie sia in caso di acquisto da un fornitore il cuore di un sistema di controllo di gestione restano le persone ed è fondamentale individuare le giuste competenze che deve avere il gruppo responsabile della funzione.

Un buon controller deve avere sia una solida formazione in materia di contabilità e di sistemi di programmazione e controllo sia una approfondita conoscenza delle tecniche di raccolta ed elaborazione dei dati. Deve essere in grado di individuare i processi critici ed analizzare il nesso causale tra strategie ed azioni evidenziando gli scenari che le scelte possono originare.

È importante che il controller non viva di definizioni dogmatiche e non consideri la struttura data al sistema di rilevazione e controllo come statica, ma anzi che continui a vivere l’azienda per affinare o modificare, dove necessario, gli strumenti di monitoraggio e verifica, garantendo la coerenza tra il processo di pianificazione ed assegnazione degli obiettivi con le attività di valutazione.

La progettazione e l’implementazione di un sistema di controllo di gestione in un’azienda è un’esperienza professionale completa e particolarmente motivante. Lo studio dei singoli processi e delle relazioni tra le diverse funzioni e attività permette di avere un punto di vista privilegiato sull’intera azienda presso cui si lavora. Le scelte della tipologia e della quantità di indicatori, poi, sono uno dei pochi momenti veramente creativi affidati al controller che può individuare e codificare l’informazione migliore, espressa

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nel modo più appropriato e con la tempistica più opportuna, a supporto del processo decisionale