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Studio di Impatto Ambientale Progetto per la realizzazione di un impianto di produzione di biometano ottenuto dalla digestione anaerobica della frazione organica dei rifiuti e produzione di compost mediante trattamento biologico 357 Emissioni di PM2,5 Con il termine PM2,5 si identificano le emissioni di particelle con diametro inferiore a 2,5μm. Queste particelle hanno la caratteristica di penetrare profondamente nei polmoni, specie durante la respirazione dalla bocca. Le sorgenti del particolato fine sono un po’ tutti i tipi di combustione, emissioni da traffico veicolare, utilizzo di combustibili (carbone, combustibili liquidi, legno, rifiuti, rifiuti agricoli), emissioni industriali. Le emissioni di PM2,5 risultano avere quasi lo stesso andamento delle particelle grossolane (PM10). Emissioni di Benzene (C6H6) Il benzene è una sostanza chimica liquida e incolore dal caratteristico odore aromatico pungente. A temperatura ambiente volatilizza molto facilmente, cioè passa dalla fase liquida a quella gassosa. Si origina da processi di combustione e la fonte principale è costituita dai gas di scarico dei veicoli a motore alimentati con benzina. Le maggiori quantità di emissioni inquinanti in atmosfera in ambito regionale, sono complessivamente attribuibili al settore del trasporto stradale con quote molto elevate nella provincia di Napoli. Emissioni di metano (CH4) Le emissioni di metano (CH4) sono legate principalmente all’attività di allevamento in aziende agricole, allo smaltimento dei rifiuti e dalle perdite nel settore energetico.

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Emissioni di PM2,5

Con il termine PM2,5 si identificano le emissioni di particelle con diametro inferiore a 2,5μm.

Queste particelle hanno la caratteristica di penetrare profondamente nei polmoni, specie durante

la respirazione dalla bocca. Le sorgenti del particolato fine sono un po’ tutti i tipi di combustione,

emissioni da traffico veicolare, utilizzo di combustibili (carbone, combustibili liquidi, legno,

rifiuti, rifiuti agricoli), emissioni industriali. Le emissioni di PM2,5 risultano avere quasi lo stesso

andamento delle particelle grossolane (PM10).

Emissioni di Benzene (C6H6)

Il benzene è una sostanza chimica liquida e incolore dal caratteristico odore aromatico

pungente.

A temperatura ambiente volatilizza molto facilmente, cioè passa dalla fase liquida a quella

gassosa.

Si origina da processi di combustione e la fonte principale è costituita dai gas di scarico dei

veicoli a motore alimentati con benzina. Le maggiori quantità di emissioni inquinanti in atmosfera

in ambito regionale, sono complessivamente attribuibili al settore del trasporto stradale con quote

molto elevate nella provincia di Napoli.

Emissioni di metano (CH4)

Le emissioni di metano (CH4) sono legate principalmente all’attività di allevamento in aziende

agricole, allo smaltimento dei rifiuti e dalle perdite nel settore energetico.

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Le emissioni maggiori di CH4 si riscontrano nel macrosettore dell’agricoltura in cui oltre alle

emissioni prodotte dalle attività agricole si aggiunge la quota importante delle attività zootecniche

e al macrosettore del trattamento e smaltimento rifiuti.

4.3.1.2 CONDIZIONI METEOCLIMATICHE

Per quanto concerne le informazioni del clima per il sito in oggetto, è possibile utilizzare i dati

provenienti dalle stazioni meteo della Rete Agrometeorologica della Regione Campania. Essa è

costituita da 37 stazioni di rilevamento automatico di cui otto sono localizzate nel territorio della

provincia di Benevento, ed in particolare nei seguenti comuni:

Castelvetere in Val Fortore;

San Marco dei Cavoti;

Morcone;

Castelvenere;

Guardia Sanframondi;

Telese Terme;

Airola;

Solopaca.

Dai dati disponibili è stato possibile estrapolare le informazioni relative alla temperatura

(massima, minima e media), all’umidità relativa (massima, minima e media), all’escursione

termica, alla precipitazione giornaliera, alla velocità media del vento ed alla radiazione globale

per le stazioni meteo più vicine al sito (Airola e Solopaca).

In particolare, i dati si riferiscono alle medie annuali relativamente all’anno solare 2012 (ultimi

dati disponibili in termini di riepiloghi annuali).

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Figura 93 – Fonte dei dati: Regione Campania, Agrometeorologia, Database on line, 2012.

In riferimento invece, alla stazione meteo ubicata nel territorio di Sant’Agata de’ Goti (a 150

metri s.l.m.), in base alla media trentennale di riferimento 1961 – 1990, la temperatura media del

mese più freddo, gennaio, si attesta a + 7,6 °C; quella del mese più caldo, agosto, è di + 25,1 °C.

I dati della stazione indicano che il totale annuo di piovosità (medie triennali) è pari a 1200

mm; la distribuzione delle piogge risulta del 35,6 % in inverno, 70,3 % in estate, 34,4 % in autunno

e 16,7 % in primavera (bacino del Volturno).

Le precipitazioni nevose sono rare, frequenti sono invece le gelate tardive che interessano

soprattutto le zone poste alle quote più basse, nelle zone situate lungo il fiume Volturno sono

invece frequenti le nebbie mattutine in Primavera ed in Autunno.

Il clima è mediterraneo, quasi sempre mite, fresco nelle notti estive, e solo nei periodi di pieno

inverno subisce infiltrazioni di venti rigidi provenienti dal nord-est; nei periodi in cui le escursioni

termiche tra il giorno e la notte sono forti si stratifica una coltre di nebbia densa e umida, favorita

per lo più dall’Isclero; spesso è molto ventoso.

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Figura 94 – Precipitazioni medie annue (mm/anno) relative al periodo 1951-1980 (a) e 1981-1999 (b)

(da Ducci e Tranfaglia 2005).

Figura 95 – Temperatura media annua in °C relativa al periodo 1951-1980 (a) e 1981-1999 (b)

(da Ducci e Tranfaglia 2005).

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4.3.1.3 VALUTAZIONE QUALITATIVA DEGLI IMPATTI TRA L’OPERA E LA

COMPONENTE AMBIENTALE

Facendo riferimento allo schema adottato, si evidenzia che le linee di impatto potenzialmente

indotte dalla realizzazione ed esercizio delle opere in progetto sulla componente ambientale

“Atmosfera” sono direttamente derivanti dalle seguenti azioni di progetto:

a) In fase di realizzazione dell’impianto:

- Preparazione del cantiere;

- Scavi e movimenti terra;

- Realizzazione infrastrutture e manufatti;

- Realizzazione sottoservizi e collegamenti.

b) In fase di esercizio dell’impianto:

- Conferimento rifiuti;

- Trattamento rifiuti;

- Up-grading;

- Stoccaggio prodotto finito e deposito temporaneo dei residui di produzione;

- Monitoraggio ambientale.

c) In fase di dismissione:

- Dismissione impianti.

Le interferenze dirette che si ripercuotono sulla componente ambientale “atmosfera” sono

identificabili con le voci:

- Emissione di polveri;

- Emissioni odorigene;

- Emissioni di inquinanti aerodispersi.

Si evidenzia che non si riscontrano linee di impatto potenzialmente indotte dalla realizzazione

e dall’esercizio delle opere in progetto sulla componente ambientale “Clima”.

Eventuali impatti a livello di microclima dell’area consistenti in un aumento di temperatura

degli strati atmosferici più bassi, in conseguenza della liberazione di calore generato dalla

decomposizione dei rifiuti di tipo organico o dall’esercizio delle diverse installazioni tecnologiche,

sono da ritenersi nulli in quanto le operazioni che potrebbero determinare quanto descritto

avvengono al chiuso.

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4.3.1.3.1 Emissione di polveri (DIFFUSE)

Tale potenziale impatto si identifica essenzialmente con il rischio di dispersione eolica di

polveri durante la fase di cantiere dovute principalmente alle attività connesse alla realizzazione

delle opere civili, impiantistiche ed infrastrutturali previste per l’impianto, alla movimentazione

dei materiali, delle materie prime utili e dei materiali di risulta da smaltire. Si tratta di emissioni

puntuali e non confinate, difficilmente quantificabili, ma del tutto confrontabili con quelle prodotte

dalle normali lavorazioni previste nel campo della ordinaria cantieristica dell’ingegneria civile;

esse, inoltre, interessano solo la zona circostante quella di emissione.

Infatti, durante la fase di realizzazione dei lavori previsti, le principali forme di inquinamento

atmosferico saranno rappresentate dagli scarichi dei mezzi d’opera all’interno dell’area di lavoro

e lungo la viabilità di accesso, e dalla dispersione in aria di polveri. Per quanto riguarda la

dispersione di polveri nell’atmosfera, questa tipologia di impatto potrà essere innescata durante il

trasporto e la movimentazione di materiali da costruzione e di risulta, oppure come effetto del

sollevamento operato dagli automezzi durante i lavori. È da tenere presente che la natura delle

polveri e, di conseguenza, la loro pericolosità per l’essere umano dipendono dalla tipologia di

materiali trattati: in questo caso trattandosi di minuscoli frammenti di materiale inerte proiettati in

atmosfera dall’attività di movimentazione e dal transito dei veicoli, prive quindi di particelle

inquinanti, non vi è rischio né per l'ambiente naturale né per l’uomo.

Inoltre tali emissioni sono limitate sia quantitativamente che nel tempo dal momento che, per

la realizzazione delle opere civili previste per l’impianto e per le opere ad esso connesse, si utilizza

un normale parco macchine ad uso delle normali attività da cantiere.

Durante la fase di esercizio, invece, si ha il rischio di dispersione eolica di polveri e/o rifiuti di

piccole dimensioni all’atto del conferimento alla sezione di pre-trattamento ed alle sezioni di

stoccaggio temporaneo.

In riferimento all’impianto di produzione di biometano, le operazioni di pre-trattamento del

rifiuto avverranno all’interno di un locale chiuso e dotato di un sistema di captazione e trattamento

delle arie che impedisce la propagazione di polveri verso l’esterno.

In riferimento all’impianto di produzione di compost, le operazioni di miscelazione dei rifiuti

provenienti dall’impianto di biomentano nonché la movimentazione della miscela per il

riempimento delle biocelle e per l’allestimento dei cumuli in maturazione avverranno all’interno

di un locale chiuso e dotato di un sistema di captazione e trattamento delle arie che impedisce la

propagazione di polveri verso l’esterno.

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Ciò detto si specifica che non si rilevano recettori sensibili (civili abitazioni) nell’immediato

intorno se non a distanza di circa 250 m in direzione Est, e comunque il centro abitato (Sant’Agata

de’ Goti) dista circa 4,5 km dal perimetro dell’impianto.

In fase di esercizio dei due impianti, si specifica che verranno adottate tutte le misure al fine

del contenimento delle emissioni polverulente.

In particolare, il problema della dispersione delle polveri, causate dal passaggio dei mezzi, o di

altri materiali soggetti a trasporto eolico, durante la fase di esercizio, verrà affrontato nell’ordinaria

gestione dell’impianto adottando le seguenti precauzioni:

- verifica, prima di permettere l’accesso del mezzo all’area degli impianti, della completa

copertura del carico, al fine di evitare la dispersione di materiali potenzialmente volatili;

- manutenzione e pulizia periodica delle piste di transito degli automezzi;

- chiusura dei contenitori di stoccaggio temporaneo dei rifiuti;

- realizzazione di porte ad impacchettamento per il conferimento dei rifiuti.

In linea generale, quindi, le interazioni inerenti la qualità dell’aria derivano principalmente

dalla produzione di polveri durante le attività di preparazione dell’area di cantiere, le attività di

scavo e movimento terra connesse alla realizzazione della sopraelevazione e delle fondazioni dei

manufatti edilizi a contenimento dell’impiantistica relativa ai due impianti, nonché al

collegamento dei sottoservizi interessati (fognatura, collegamento alla rete di distribuzione del

gas, collegamenti idrici ed elettrici).

Si sottolinea come l’impatto potenziale individuato sia caratterizzato da perfetta reversibilità

e durata limitata ai tempi di realizzazione dell’intervento; trattasi, inoltre, di un’interferenza

rilevabile solamente a scala locale e comunque di bassa intensità.

Per ciò che riguarda gli impatti sulla componente “aria” derivanti dalla fase di dismissione

dell’impianto, nel caso in cui si verifichi lo smantellamento delle strutture, sono da ritenersi valide

le considerazioni fatte in precedenza relativamente alla fase di realizzazione dell’impianto.

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4.3.1.3.2 Emissioni odorigene

Le potenziali sorgenti di emissioni odorigene sono le seguenti:

- capannone di ricezione e pretrattamento dell’impianto biometano;

- capannone dell’impianto di compostaggio;

- biocelle di compostaggio;

- sistema di aspirazione e trattamento aria.

Si evidenzia che non sono state prese in esame le potenziali emissioni odorigene derivanti dal

processo biologico di digestione anaerobica, poiché esso avviene in locali chiusi ermeticamente.

Sono invece state analizzate le emissioni odorigene provenienti dai capannoni e dalle biocelle

destinate al processo biologico di compostaggio che, essendo un processo aerobico, prevede

emissione di arie di processo caratterizzate da impatto olfattivo significativo.

L’impatto odorigeno in entrambi gli impianti sarà mitigato adottando sistemi di captazione e

depurazione delle arie costituito da torri di lavaggio (scrubber), utili all’umidificazione del flusso

di aria e all’abbattimento di gran parte dell’ammoniaca in essa presente, e da biofiltri per la

rimozione dei composti osmogeni e dei restanti inquinanti aerodispersi.

Inoltre, in fase di esercizio dei due impianti saranno adottate specifiche misure al fine di

limitare le emissioni odorigene quali:

- pulizia delle aree di lavorazione interne ed esterne;

- chiusura dei portoni del capannone durante le fasi di lavorazione;

- sistemi automatici di regolazione dell’aperture dei portoni;

- impiego della soluzione impiantistica locale filtro (bussola di conferimento) come presidio

in corrispondenza dei portoni di accesso al capannone di scarico e pretrattamento dei rifiuti.

La biofiltrazione è una tecnologia di depurazione delle arie che sfrutta l’azione di

microrganismi aerobi in grado di degradare i composti osmogeni presenti nelle emissioni. Le

emissioni gassose da trattare passano uniformemente attraverso un mezzo poroso biologicamente

attivo, ovvero in un apposito letto riempito con materiali quali cortecce, legno triturato, compost

maturo, torba, ecc…, che, mantenuti a condizioni di temperatura ed umidità ottimali, vengono

colonizzati dai microrganismi responsabili della depurazione.

In particolare nel biofiltro le sostanze da depurare vengono temporaneamente adsorbite su un

substrato, di spessore variabile tra 1 e 2 m, di materiale soffice e poroso generalmente di origine

vegetale che, in condizioni ottimali di umidità, pH, tempo di contatto e di nutrienti inorganici e

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organici, viene colonizzato da microrganismi capaci di metabolizzare gli inquinanti contenuti nel

flusso gassoso da depurare.

Per garantire continuità nel trattamento delle arie esauste anche durante interventi di

manutenzione ordinaria e/o straordinaria, il biofiltro sarà costituito da 3 moduli funzionalmente

separati e disattivabili singolarmente. La rete di distribuzione del gas nel letto filtrante è stata

dimensionata in modo da rendere uniforme l’alimentazione su tutta l’area del biofiltro.

Il letto biofiltrante sarà costituito da materiale di origine vegetale, cippato di legno e torba, e

verrà umidificato dal flusso di aria in uscita dalle torri di lavaggio (umidità relativa > 90%).

L’efficienza di biofiltrazione sarà periodicamente monitorata al fine di garantire il rispetto dei

valori limite di emissioni in atmosfera previsti dalle normative vigenti (nazionali e regionali) e

dalle BAT di settore.

L’umidità del materiale biofiltrante sarà mantenuta a valori compresi tra 55% e 65% in modo

da evitare l’essiccamento e quindi il blocco dell’attività microbica, nonché al formarsi di zone

secche e fessurate in cui l’aria scorre in vie preferenziali.

La temperatura del letto biofiltrante verrà mantenuta tra 10 e 45°C e controllata in continuo

mediante sonde posizionate entro il letto stesso

Lo stato strutturale sarà valutato mediante misurazione delle perdite di carico, in quanto una

tendenza spiccata alla compattazione aumenta il rischio della creazione di vie preferenziali con

forte abbassamento dell’efficacia complessiva del presidio.

Il pH sarà monitorato periodicamente, al fine di mantenere il valore tra 6,5 e 7,5 e di prevenire

eventuali processi di acidificazione (es. per la stessa nitrificazione dell’azoto ammoniacale

all’interno del biofiltro) e predisporre correttivi o programmare la sostituzione del letto di

biofiltrazione.

Per la gestione di eventi accidentali non programmabili che possano compromettere il corretto

funzionamento del sistema di aspirazione e trattamento delle arie esauste, sarà predisposto un

documento “Piano di Emergenza”, in cui saranno descritte le procedure di intervento e le misure

organizzative e comportamentali da intraprendere. Ogni emergenza sarà gestita dal sistema di

gestione integrato aziendale con un documento di non conformità, atto ad individuare le cause e

le eventuali attività di ripristino.

Tutti gli accorgimenti e le procedure sopra descritte sono a tutela dell’ambiente e della

collettività, ma in particolare a tutela degli operatori presenti in impianto e della popolazione

circostante la zona in oggetto e rendono nel complesso l’impatto generato dalle azioni di

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progetto sulla componente ambientale “atmosfera” in riferimento alle emissioni odorigene

di bassa intensità, a scala locale, caratterizzato da perfetta reversibilità e durata limitata alla

vita utile dell’impianto.

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4.3.1.3.3 Emissione di inquinanti aerodispersi (PUNTUALI)

Le sorgenti puntuali dalle quali possono essere generate emissioni di inquinanti sono riportate

nella tavola allegata.

Nello specifico le installazioni tecnologiche responsabili di emissioni di inquinanti aerodispersi

sono le seguenti:

Biofiltri (Punti E1 – E2);

Torcia di emergenza dei digestori (Punto E3);

Centrale termica a metano a servizio del sistema di riscaldamento dei digestori (Punto

E4);

Sistema di upgrading del biogas (Punto E5);

Gruppo elettrogeno di emergenza alimentato a gasolio (E6).

Per la gestione di eventi accidentali non programmabili, sarà predisposto un documento “Piano

di Emergenza”, in cui saranno descritte le procedure di intervento e le misure organizzative e

comportamentali da intraprendere. Ogni emergenza sarà gestita con tempestività e registrata con

un documento di non conformità, atto ad individuare le cause e le eventuali attività di ripristino.

Sulla base delle tecnologie prescelte per la realizzazione degli impianti, dei monitoraggi che

saranno effettuati sugli effluenti aeriformi di ciascun punto di emissione, si può ritenere che il

contributo delle sorgenti prese in esame non comporti un’alterazione significativa

dell’attuale stato di qualità dell’aria in relazione alle soglie normative vigenti.

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4.3.2 AMBIENTE IDRICO

Nei paragrafi che seguono saranno affrontati gli aspetti relativi all’ambiente idrico.

Con questo termine si intendono le acque derivanti dal ruscellamento superficiale e quelle del

flusso di base, inteso come l’apporto che le acque sotterranee danno allo scorrimento di superficie

attraverso le sorgenti e le emergenze lineari.

La valutazione della qualità dell’ambiente idrico riguarda le condizioni idrografiche,

idrologiche e idrauliche, dello stato di qualità e degli usi dei corpi idrici dell’area oggetto di studio.

La caratterizzazione di tale componente ambientale si pone l’obiettivo di:

- stabilire la compatibilità ambientale, secondo la normativa vigente, delle variazioni

quantitative (prelievi, scarichi) indotte dall’intervento proposto;

- stabilire la compatibilità delle modificazioni fisiche, chimiche e biologiche, indotte

dall’intervento proposto, con gli usi attuali, previsti e potenziali, e con il mantenimento

degli equilibri interni a ciascun corpo idrico, anche in rapporto alle altre componenti

ambientali.

4.3.2.1 ACQUE SUPERFICIALI

Le reti di monitoraggio delle acque superficiali, in ottemperanza al D.Lgs. 152/06 e ss.mm.ii,

è finalizzata a fornire lo stato ecologico e chimico di ciascun bacino idrografico e permettere la

classificazione dei corpi idrici in cinque classi (elevato, buono, sufficiente, scarso e cattivo).

Alla luce del completamento del nuovo quadro normativo delle attività di monitoraggio e di

classificazione dei corpi idrici superficiali delineato dall’emanazione dei D.M. n. 131/2008, D.M.

n. 56/2009 e D.M. n. 260/2010, attuativi del D.Lgs. n.152/2006, e in coerenza con la sopraggiunta

adozione del Piano di Gestione delle Acque (PGA) del Distretto Idrografico dell’Appennino

Meridionale, che si è sovrapposto al Piano di Tutela delle Acque (PTA) adottato della Regione

Campania, a partire dal biennio 2011-2012, è stata avvita la revisione delle attività di monitoraggio

condotte sulle acque superficiali della Campania per adeguarle alla normativa ed ai piani di settore

vigenti.

Partendo dalle individuazioni, tipizzazioni e caratterizzazioni dei corpi idrici superficiali e dalle

relative analisi di rischio e attribuzioni di obiettivi di qualità ambientale effettuate nel PGA e nel

PTA, ai fini della realizzazione di un monitoraggio rappresentativo ed efficace delle acque

superficiali della Campania, sono stati individuati su scala regionale i corpi idrici d’interesse.

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Il Piano di Tutela delle Acque (PTA), adottato dalla Regione Campania nel 2007 e aggiornato

nel 2010, prima che fossero definiti i criteri normativi per la tipizzazione e la caratterizzazione dei

corpi idrici, ha censito i corsi d’acqua, i laghi e gli invasi, le acque di transizione e le acque marino-

costiere di interesse alla scala regionale, ovvero con caratteristiche ed estensioni superficiali

significative ai sensi della norma.

Complessivamente sono stati individuati n.60 corsi d’acqua superficiali di interesse regionale

e, tra questi, n.17 corpi idrici superficiali significativi, n. 10 corpi idrici lacustri (tra i quali 2

laghi ed 8 invasi), n. 4 lagune salmastre di transizione, n. 60 tratti di acque marino-costiere.

Nel dicembre 2015 l’Autorità di Bacino dei Fiumi Liri-Garigliano e Volturno ha adottato

il Piano di Gestione Acque II FASE - CICLO 2015-2021 (PGA) del Distretto Idrografico

dell'Appennino Meridionale, documento approvato il 3 marzo 2016 dal Comitato Istituzionale

Integrato.

Per il territorio campano il PGA ha individuato n. 480 corpi idrici superficiali (riconducibili

a n.167 corsi d’acqua e ripartiti in n.45 tipologie), n.20 corpi idrici lacustri ed invasi (ripartiti in 4

tipologie), n.5 corpi idrici di transizione (ripartiti in n.2 tipologie), n.24 corpi idrici marino-costieri

(ripartiti in n.3 tipologie).

A ciascuno dei corpi idrici individuati è stata assegnata la categoria di rischio di raggiungimento

degli obiettivi di qualità ambientale.

Sulla base delle indicazioni contenute nei Piani di settore l’ARPAC definisce le attività di

monitoraggio

La classificazione dei corpi idrici superficiali, derivante dalle attività di monitoraggio

attualmente in itinere, è formulata tenendo conto degli aggiornamenti tecnici apportati dal D.Lgs.

172/2015 per quanto riguarda le sostanze prioritarie presenti nelle acque.

Le attività di monitoraggio hanno consentito una prima valutazione complessiva dello stato dei

Fiumi, espressa ai sensi del DM n.260/2010, delineando le classificazioni dello Stato Ecologico

e dello Stato Chimico.

Lo Stato Ecologico deriva dall’integrazione dei risultati del monitoraggio dell’inquinamento

da macrodescrittori (LIMeco), espressione delle pressioni antropiche che si esplicano sul corso

d’acqua attraverso la stima dei carichi trofici e del bilancio di ossigeno, con quello delle sostanze

chimiche pericolose non prioritarie, assieme agli esiti del monitoraggio degli elementi di qualità

biologica (macroinvertebrati, macrofite, diatomee, fauna ittica).

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Nella sottostante figura è rappresentato lo Stato Ecologico aggiornato al 2013-2014,

determinato sulla scorta delle risultanze dei monitoraggi effettuati, relativo ai fiumi campani.

Figura 96 – Rappresentazione dello Stato Ecologico dei Fiumi della Campania 2013 – 2014.

Lo Stato Chimico deriva, invece, dal monitoraggio dell’inquinamento da sostanze chimiche

pericolose prioritarie, le cui risultanze sono poste nella successiva rappresentazione.

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Figura 97 – Rappresentazione dello Stato Chimico dei Fiumi della Campania 2013 – 2014.

Figura 98 – Rete di monitoraggio dei Fiumi 2013 – 2014.

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372

Gli esiti del monitoraggio 2013-2014 dei parametri macrodescrittori evidenziano una

situazione sensibilmente diversificata sul territorio regionale.

I corpi idrici superficiali dell’intero distretto cilentano, della Piana del Sele, assieme alla gran

parte dei corsi d’acqua che originano lungo la dorsale appenninica, dai versanti dei Monti del

Matese, del Terminio e dei Picentini, sono caratterizzati da valori del LIMeco molto alti,

generalmente ben superiori alla soglia di 0,50 fissata per la buona qualità delle acque e, spesso,

corrispondenti ad una qualità anche elevata, con LIMeco superiore a 0,66. Tali valori sono propri

di corsi d’acqua nei quali sono recapitati carichi trofici modesti o che manifestano, comunque,

elevate capacità autodepurative, compatibili con la conservazione e lo sviluppo di comunità

biologiche.

Anche i grandi Fiumi, come il Volturno, il Garigliano, assieme allo stesso Sele, fanno registrare

valori del LIMeco molto alti. Per essi, probabilmente, la portata fluviale influisce notevolmente e

in positivo nel ridurre l’elevato carico di nutrienti originato nei territori che essi attraversano,

fortemente antropizzati ed intensivamente utilizzati dall’agricoltura. Tale influenza non si registra

invece per i corsi d’acqua di più modeste dimensioni che attraversano gli stessi territori. Un

LIMeco più basso, associabile ad una qualità delle acque appena sufficiente, si registra infatti

per corsi d’acqua come il Savone e il Rio d’Auria, per il Sabato e per alcuni corpi idrici minori del

bacino idrografico del Volturno ricadenti nelle piane del casertano e del beneventano, per i tratti

vallivi del Tusciano e del Picentino, per l’Irno e per tutti i corsi d’acqua della costiera amalfitana,

assieme all’alto corso del Fiume Ofanto.

Più critica la situazione registrata, in termini di carico di nutrienti, per alcuni tratti di corpi idrici

come l’Ufita, l’Isclero, il San Nicola e per i torrenti Solofrana e Cavaiola appartenenti all’alto

corso del Fiume Sarno. Per essi si registrano valori di LIMeco inferiori a 0,33, corrispondenti ad

una qualità scarsa delle acque.

I Regi Lagni e il Canale Agnena, assieme al Canale di Quarto e al tratto vallivo del Fiume Sarno

e del suo affluente Alveo Comune, manifestano, invece, una situazione decisamente più critica,

con valori del LIMeco molto bassi, corrispondenti a stati qualitativi cattivi. Tali stati sono

indicativi di una situazione di notevole stress degli ecosistemi fluviali che, oltre alla presenza di

elevati carichi trofici, sono caratterizzati anche da un notevole grado di alterazione morfologica

ed artificializzazione di alvei e sponde, non compatibile con lo sviluppo ed il mantenimento di

comunità biologiche significative.

Il monitoraggio degli elementi di qualità biologica e, in particolare, quello dei

macroinvertebrati bentonici, mostra una distribuzione delle classi qualitative abbastanza

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373

sovrapponibile alla distribuzione dei valori del LIMeco, con i punteggi massimi dell’indice

STAR_ICMi attribuiti alle comunità dei macroinvertebrati riscontrate per i corpi idrici che

scorrono nel Cilento o che originano lungo la dorsale appenninica, dai versanti dei Monti del

Matese, del Terminio e dei Picentini.

In realtà, la sovrapponibilità delle distribuzioni delle classi qualitative del LIMeco e della

qualità biologica dei Fiumi campani è solo relativa, in quanto in senso assoluto la qualità biologica,

registrata nelle acque fluviali in termini di numerosità e varietà delle famiglie di macroinvertebrati,

raggiunge la classe buona solo nei tratti più montani dei sopraccitati corpi idrici cilentani e della

dorsale appenninica, degradando rapidamente nei tratti più vallivi. In maniera coerente, i corpi

idrici che manifestano un livello di inquinamento da macrodescrittori già critico, fanno riscontrare

la presenza di comunità biologiche povere delle componenti più sensibili e rappresentate

generalmente solo dalle famiglie più resistenti.

Il monitoraggio del sottoinsieme indagato delle sostanze pericolose non prioritarie, includente,

tra gli altri, arsenico, cromo, toluene, xileni ed alogenuri arilici, accanto a residui di prodotti

fitosanitari, ha fatto registrare, per il biennio 2013-2014, esiti generalmente buoni, senza

evidenziare sul territorio regionale sensibili differenze, riconducibili a particolari usi del territorio

o a specifici fattori di pressione.

Con l’eccezione di pochi corpi idrici superficiali del basso Cilento e di alcuni tratti montani dei

corsi d’acqua originantisi dai Monti Picentini, che hanno fatto registrare valori di concentrazione

medi annui al di sotto dei limiti di quantificazione delle metodiche analitiche adoperate, il

monitoraggio del sottoinsieme di sostanze pericolose non appartenenti all’elenco di priorità

ricercato su tutti i Fiumi della Campania ha fatto registrare sempre valori quantificabili per almeno

una delle sostanze del sottoinsieme indagato, ma sistematicamente tutti ben al di sotto degli

standard di qualità fissati dalla norma.

I soli corpi idrici per i quali, nel 2013-2014, sono stati registrati valori di concentrazione medi

annui al di sopra degli standard di qualità ambientale per almeno una delle sostanze pericolose

non prioritarie, sono risultati il Fiume Sarno, il Solofrana e l’Alveo Comune, ricadenti nello stesso

bacino idrografico, i Regi Lagni, il Dell’Arena e il tratto finale del Fiume Mingardo. Per tutti il

solo parametro critico ai fini della classificazione è risultato essere il Cromo totale, inquinante

potenzialmente risultante da diversi processi produttivi ma che, limitatamente ai corpi idrici del

bacino idrografico del Fiume Sarno, può essere messo in correlazione con l’industria conciaria.

La quasi generale assenza di sostanze pericolose non prioritarie registrata nel biennio 2013-

2014, accanto al modesto arricchimento dei nutrienti riscontrato in buona parte dei corpi idrici

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superficiali regionali, evidenzia il ruolo concorrente nella scomparsa di alcuni taxa sensibili dalle

comunità biologiche associate agli habitat fluviali, svolto delle variazioni dei livelli idrici e delle

modificazioni dei regimi di flusso idrologico, correlate ai prelievi più che ai regimi di pioggia.

Il monitoraggio della presenza di inquinanti nei corsi d’acqua della Campania è stato

completato con la ricerca delle sostanze pericolose appartenenti all’elenco di priorità normato dal

DM n.260/2010. L’indagine è stata estesa ad un ampio sottoinsieme di sostanze, includenti metalli

pesanti, solventi organici alogenati, benzene, idrocarburi policiclici aromatici e residui di prodotti

fitosanitari. Essa ha fatto registrare, in linea di massima, una generale assenza di tali sostanze nelle

acque dei Fiumi campani o la presenza in tracce, a valori quantificabili di concentrazione ma ben

al di sotto degli specifici standard di qualità ambientale.

Le poche significative eccezioni registrate sono rappresentate dal riscontro di elevate

concentrazioni, come valori medi annui o anche istantanei, di cadmio, in alcuni tratti dei Fiumi

Solofrana, Isclero e Lete, di mercurio, nei Regi Lagni, nell’Agnena, nel Rio dei Lanzi e in un tratto

del Volturno, di nichel, in alcuni tratti dei Fiumi Tanagro, Bussento e Rio Gerdenaso, e di composti

organici come il diclorometano nel Canale di Quarto e nel Lagno del Gaudo e il 1,3,5-

triclorobenzene nei Regi Lagni.

In esito alle attività di monitoraggio condotte nel biennio 2013-2014 e tenendo conto anche del

riscontro del carattere di perennità/temporaneità della presenza di acqua negli alvei e del relativo

aggiornamento dell’attribuzione dei corpi idrici ai diversi tipi fluviali, la Rete di monitoraggio è

stata rimodulata, giungendo a contare n.153 siti di monitoraggio rappresentativi dei complessivi

n.193 corpi idrici superficiali di interesse su scala regionale.

Il nuovo Piano di Monitoraggio dei Fiumi della Campania prevede la stratificazione delle

attività sul triennio 2015-2017

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Figura 99 – Rete di monitoraggio dei Fiumi 2015 – 2017.

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4.3.2.1.1 Rete idrografica locale

I corsi d’acqua che attraversano il territorio comunale sono quasi tutti a carattere torrentizio. I

principali sono il fiume Isclero, affluente del Volturno e i torrenti Riello e Martorano, che si

riversano nell’Isclero.

Dal punto di vista idrografico, il territorio in esame si caratterizza per la presenza di due alvei

torrentizi (Vallone Capitone e Vallone Sanguinito) che, con direzione di sviluppo prevalentemente

SW-NE e solcando i terreni sabbioso-limosi pleistocenico-olocenici del Sintema di Limatola e

quelli tufacei dell’Ignimbrite Campana, confluiscono verso NW nell’alveo del Torrente Isclero,

quest’ultimo appartenente all’esteso bacino idrografico del Fiume Volturno.

In ogni caso l’area coinvolta dal progetto (area su cui è previsto l’impianto) non risulta solcata

direttamente da corsi d’acqua o impluvi torrentizi e risulta sopraelevata rispetto agli alvei Capitone

e Sanguinito di almeno 15.0-20.0 m; su di essa il deflusso delle acque meteoriche durante gli

eventi piovosi significativi, al netto dell’aliquota di infiltrazione nel sottosuolo, segue il naturale

andamento della morfologia locale.

4.3.2.2 ACQUE SOTTERRANEE

Nel quadro normativo attuale, il D.Lgs. n.30/2009 ha contribuito a delineare il nuovo quadro

normativo di riferimento per la protezione e la prevenzione dal deterioramento delle acque

sotterranee. Tale Decreto, con il D.Lgs. 152/06 e ss.mm.ii., individua i criteri per la identificazione

e la caratterizzazione dei corpi idrici sotterranei e definisce le nuove modalità di classificazione

dello stato chimico e quantitativo delle acque sotterranee, rispetto a quanto invece veniva delineato

nel D.Lgs. 152/99.

Il Piano di Tutela delle Acque (PTA) della Regione Campania ha individuato 49 corpi idrici

sotterranei significativi (CIS), il Piano di Gestione delle Acque (PGA) relativo al 1° Sessennio

(2011 – 2015) identifica altri corpi idrici sotterranei, elevando il numero a 84.

I corpi idrici sotterranei hanno subito una ulteriore variazione nel numero a seguito

dell’accorpamento di alcuni CIS e all’introduzione di nuovi. L’Autorità di Bacino Distrettuale

dell’Appennino Meridionale ha formalizzato, quindi, l’individuazione di 80 corpi idrici

sotterranei.

L’attività di monitoraggio ha consentito di valutare lo Stato Chimico di 72 corpi idrici. Per

quanto riguarda i corpi idrici sotterranei: Isola di Procida, Piana di Venafro, Bassa Valle del

Calore, Piana dell’Alento, Monte Stella, Complesso Tufaceo Basso Volturno, oltre ai due corpi

idrici di Monte Friento e Monte Maiulo (individuati recentemente e quindi non ancora monitorati)

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non è stato ancora possibile definire lo Stato Chimico per insufficienza di dati o per monitoraggio

non ancora attivo.

Per i 72 Corpi Idrici per i quali è stata definita una classe di qualità abbiamo che:

60 Corpi Idrici presentano uno Stato Chimico BUONO, di questi 1 CISS presenta

uno Stato Chimico BUONO PARTICOLARE cioè con probabile origine naturale

degli inquinanti (Isola d’Ischia);

12 Corpi Idrici presentano uno Stato Chimico NON BUONO (la Piana del Volturno-

Regi Lagni, la Piana a Oriente di Napoli, i Campi Flegrei, il Somma-Vesuvio, la

Piana di Benevento, la Piana di Solofra, la Piana di Sarno e la Piana del Vallo di

Diano, Area di Ariano Irpino, Basso Corso del Lambro e Mingardo, Area di Apice-

Grottaminarda).

Lo stato chimico per i Corpi idrici Sotterranei sopramenzionati è sostanzialmente confermato

negli anni e nella maggior parte dei casi. Gli impatti ambientali che si riscontrano dal

monitoraggio, per gran parte dei CISS succitati, sono da attribuirsi ad importanti pressioni

antropiche di tipo industriale, civile e agricolo presenti sul territorio.

Figura 100 – Lo Stato Chimico dei Corpi Idrici Sotterranei.

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378

4.3.2.2.1 Idrogeologia locale

I terreni costituenti il substrato di base della zona di interesse, appartenenti in parte alla

formazione delle Argille Varicolori Superiori (Unità del Sannio) ed in parte a quella delle

Arenarie di Caiazzo (Unità Litostratigrafiche Sin-Orogene) per effetto delle loro caratteristiche

litologiche, e quindi di permeabilità (bassissima permeabilità), non sono sede di falde

quantitativamente consistenti e rilevanti e la circolazione idrica sotterranea, ove presente, risulta

limitata ai soli termini carbonatici ed arenacei e confinata tra quelli argilloso-marnoso-pelitici

delle suddette formazioni geologiche.

In tale contesto, infatti, i litotipi prevalentemente argilloso-marnosi e pelitici fungono da

“impermeabile relativo” per piccoli corpi idrici impostatisi in taluni orizzonti carbonatici e/o

arenacei, spesso intraformazionali.

Nel complesso, comunque, tale circolazione appare piuttosto limitata e può dar vita solo a

piccole insorgenze con portate spesso solo stagionali e talora poste a quote diverse per il loro

carattere di falde sospese.

In corrispondenza della zona centrale della depressione valliva occupata dai torrenti Capitone

e Sanguinito, zona in cui ricade l’area di interesse, la presenza di un pacco di terreni piroclastico-

tufacei sovrapposti ad una delle porzioni prevalentemente argilloso-siltose della formazione delle

Arenarie di Caiazzo, a permeabilità relativa più bassa (impermeabile relativo di base) rispetto ai

terreni sovrastanti più permeabili, rende possibile la presenza di una falda superficiale, legata però

solo agli apporti zenitali diretti locali.

La direzione di deflusso di tale falda risulta orientata per una parte verso l’alveo del T. Capitone

e per la restante parte verso l’alveo del T. Sanguinito.

In tale contesto nel sottosuolo del sito di interesse, la falda superficiale, a superficie

piezometrica libera, risulta posta ad una profondità dal piano campagna mediamente compresa tra

i 17.0 ed i 20.0 m. Ovviamente, essendo essa legata agli apporti zenitali diretti, potrà far registrare

nei periodi più piovosi una significativa variazione della profondità.

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379

4.3.2.3 VALUTAZIONE QUALITATIVA DEGLI IMPATTI TRA L’OPERA E LA

COMPONENTE AMBIENTALE

Facendo riferimento allo schema adottato, si evidenzia che le linee di impatto potenzialmente

indotte dalla realizzazione ed esercizio delle opere in progetto sulla componente ambientale

“Ambiente idrico – Acque superficiali” sono, seppur indirettamente, derivanti dalle seguenti

azioni di progetto:

a) In fase di realizzazione dell’impianto:

- Scavi e movimenti terra;

- Realizzazione infrastrutture e manufatti;

b) In fase di esercizio dell’impianto:

- Scarico acque.

Le linee di impatto potenzialmente indotte dalla fase di cantiere per la realizzazione delle opere

in progetto sulla componente ambientale “Ambiente idrico - Acque superficiali” sono

riconducibili prevalentemente alle operazioni di scavo e movimento terra per la realizzazione delle

infrastrutture e manufatti dell’impianto.

Tuttavia, le operazioni di cantiere previste, in particolare le operazioni di movimentazione

materiale e in generale i lavori connessi alla realizzazione delle opere, non andranno ad influire

sull’assetto idrografico superficiale dell’area oggetto di studio, e tantomeno sull’assetto

idrogeologico.

Durante la permanenza dei lavori, si garantiranno condizioni adeguate di sicurezza in modo che

i lavori si svolgano senza creare, neppure temporaneamente, un aumento del rischio o grado di

esposizione al rischio esistente e si adotteranno misure di prevenzione per ridurre inquinamenti

accidentali.

In fase di esercizio, premesso che il sistema idrografico sia superficiale che sotterraneo

presente non è strettamente connesso con l’opera in oggetto, l’impatto che l’impianto potrebbe

avere sul regime idrografico delle acque superficiali è sostanzialmente nullo sia perché non si

riscontra interferenza tra l’opera in oggetto con il reticolo idrografico locale, sia perché le

variazioni del coefficiente di deflusso, indotte dal possibile cambiamento delle superfici di

ruscellamento sono minime se confrontate con il deflusso delle acque su scala di bacino e

comunque hanno limitata estensione e percepibilità.

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380

In fase di esercizio, tuttavia, l’impatto potenziale nei confronti della matrice ambientale in

esame potrebbe essere rappresentato dallo scarico delle acque.

La gestione delle acque nell’ambito dell’impianto in questione non prevede che ci siano

scarichi di acque di processo o di acque potenzialmente inquinate in acque superficiali o in fogna.

Tutte le acque di processo (percolati), saranno stoccati in apposita vasca e adeguatamente

smaltiti; le acque meteoriche di prima pioggia saranno opportunamente trattate in un impianto di

prima pioggia all’uopo deputato prima di essere recapitate in fognatura.

Il convogliamento delle acque meteoriche nell’impianto sarà garantito dalla conformazione dei

piazzali, realizzati con apposite pendenze.

Analogamente anche le acque reflue provenienti dai servizi igienici saranno trattate in un

apposito impianto di trattamento biologico prima di essere recapitate in fognatura.

Inoltre la pavimentazione delle aree di transito e lavorazione sarà adeguatamente

impermeabilizzata e realizzata un’apposita rete di raccolta degli eventuali sversamenti liquidi che

derivino dal processo (percolati) o dalle attività di conferimento dei rifiuti.

Nell’ambito dell’area dell’insediamento non si segnala la presenza di corpi idrici a criticità

legate ad esondabilità e/o rischio idraulico.

L’impatto previsto in fase di esercizio si può definire reversibile, di durata pari alla vita

utile dell’impianto, di bassa magnitudo e a scala locale.

In generale, pertanto, le misure descritte riducono l’impatto dell’intervento in progetto

sia in fase di costruzione che in fase di esercizio di durata breve, reversibile, di bassa

magnitudo e a scala locale.

Analogamente, le linee di impatto potenzialmente indotte dalle opere in progetto sulla

componente ambientale “Ambiente idrico - Acque sotterranee” sono riferibili alle attività

connesse alle operazioni di cantierizzazione dell’area, rappresentate dalle operazioni di scavo per

il raggiungimento del piano di posa delle opere previste.

Gli impatti potenziali, in termini di contaminazione della falda, potrebbero derivare da rilasci

accidentali sul suolo di contaminanti da parte dei mezzi meccanici utilizzati per l’esecuzione delle

opere.

Per quanto concerne l’eventuale propagazione della contaminazione dalla matrice sottosuolo

verso la falda, si sottolinea che tale eventualità imputabile alla sola fase di cantiere, si può

considerare di modesta entità, di breve durata e reversibile.

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Detto questo, si sottolinea come in fase di cantiere verranno prese tutte le misure e gli

accorgimenti del caso al fine di scongiurare qualsiasi contaminazione del suolo e delle acque

sotterranee.

In particolare è opportuno evidenziare che gli scavi necessari alla realizzazione dei nuovi

manufatti ed edifici si limiteranno esclusivamente agli strati più superficiali di suolo e di

conseguenza non determineranno un aumento della vulnerabilità degli strati più profondi con

potenziale coinvolgimento della falda sotterranea.

Da un punto di vista quantitativo, le attività di cantiere non determineranno consistenti consumi

di acqua, che sarà in ogni caso approvvigionata da acquedotto e non da risorsa idrica sotterranea.

Alla luce delle evidenze esposte nel presente paragrafo è possibile ritenere non significativo

l’impatto per le acque sotterranee in fase di cantiere.

In fase di esercizio l’impatto delle opere in progetto sulle acque sotterranee può considerarsi

non significativo data l’impermeabilizzazione delle aree di transito dei mezzi e delle aree di

lavorazione dei rifiuti che hanno luogo o all’interno di capannoni chiusi dotati di pavimento

impermeabile o su platee impermeabilizzate munite di tettoia.

Le aree nelle quali saranno costruite le opere in progetto, infatti, saranno ovviamente

impermeabilizzate al fondo attraverso la realizzazione del sottofondo consolidato, caratterizzato

da valori di permeabilità molto bassi, e di superfici asfaltate o in calcestruzzo che impediscono la

filtrazione di liquidi inquinanti in profondità.

Va inoltre detto che a servizio di tali aree saranno realizzate reti di raccolta delle acque tali da

garantire una gestione dei flussi idrici che esclude la possibile contaminazione del suolo e quindi

anche degli acquiferi nel sottosuolo.

In aggiunta risulta opportuno sottolineare che le operazioni di ricezione, accumulo e

lavorazione dei rifiuti vengono effettuate all’interno di edifici dedicati, escludendo di fatto la

possibilità di contatto dei rifiuti stessi con le acque meteoriche e pertanto limitando i volumi di

percolato formati.

A tal proposito si sottolinea che tutti i percolati formati all’interno degli edifici di ricezione e

trattamento rifiuti saranno raccolti da una apposita rete fognaria e, in seguito all’accumulo in

apposita vasca di raccolta, avviati a smaltimento tramite autobotte.

Inoltre, l’attività in sé non genera potenziali impatti sulla qualità delle acque sotterranee, in

virtù della tipologia di rifiuti recuperati e delle modalità di lavorazione.

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Ciascuna soluzione adottata per le impermeabilizzazioni delle superfici costituisce una barriera

fisica tra la falda ed il piano di calpestio impedendo anche la contaminazione da sversamenti

accidentali.

Tale scelta progettuale consentirà di evitare contaminazioni accidentali di suolo, sottosuolo e

acque sotterranee dovuti a sversamenti accidentali di materiale di qualsivoglia natura (es. rifiuti,

oli, etc..).

Infatti, in fase di esercizio, gli unici impatti potenziali sulle acque sotterranee possono essere

correlabili ad eventuali sversamenti accidentali di sostanze liquide inquinanti o rilasci da parte

dei materiali in deposito sui piazzali: a fronte dei ridotti quantitativi di tali sostanze e dei presidi

di protezione ambientale predisposti (adeguata impermeabilizzazione del piazzale esterno e delle

aree destinate al conferimento e trattamento dei rifiuti, raccolta acque di deflusso superficiale per

il successivo recapito in fognatura, sistema di raccolta e stoccaggio percolato) si ritiene l’impatto

non significativo.

Da un punto di vista quantitativo, in fase di esercizio il fabbisogno idrico sarà soddisfatto con

prelievo da acquedotto e non da risorsa idrica sotterranea.

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4.3.3 SUOLO E SOTTOSUOLO

Obiettivi della caratterizzazione del suolo e del sottosuolo sono: l’individuazione delle

modifiche che l’intervento proposto può causare sulla evoluzione dei processi geodinamici

esogeni ed endogeni e la determinazione della compatibilità delle azioni progettuali con

l’equilibrata utilizzazione delle risorse naturali.

Le analisi concernenti il suolo e il sottosuolo sono pertanto effettuate, in ambiti territoriali e

temporali adeguati al tipo di intervento e allo stato dell’ambiente interessato, attraverso:

la caratterizzazione geolitologica e geostrutturale del territorio, la definizione della

sismicità dell’area e la descrizione di eventuali fenomeni vulcanici;

la caratterizzazione idrogeologica dell’area coinvolta direttamente e indirettamente

dall’intervento, con particolare riguardo per l’infiltrazione e la circolazione delle acque nel

sottosuolo, la presenza di falde idriche sotterranee e relative emergenze (sorgenti, pozzi),

la vulnerabilità degli acquiferi;

la caratterizzazione geomorfologica e la individuazione dei processi di modellamento in

atto, con particolare riguardo per i fenomeni di erosione e di sedimentazione e per i

movimenti in massa (movimenti lenti nel regolite, frane), nonché per le tendenze evolutive

dei versanti, delle piane alluvionali e dei litorali eventualmente interessati;

la determinazione delle caratteristiche geotecniche dei terreni e delle rocce, con riferimento

ai problemi di instabilità dei pendii;

la caratterizzazione pedologica dell’area interessata dall’opera proposta, con particolare

riferimento alla composizione fisico-chimica del suolo, alla sua componente biotica e alle

relative interazioni, nonché alla genesi, alla evoluzione e alla capacità d’uso del suolo.

4.3.3.1 CARATTERISTICHE LITOSTRATIGRAFICHE DEI TERRENI E

MODELLO GEOLOGICO DEL SOTTOSUOLO

Nella porzione di territorio interessato dal progetto in esame i terreni costituenti il substrato

“roccioso” di base risultano appartenere alle seguenti formazioni geologiche:

nel settore ad Ovest del Vallone Capitone il substrato locale è rappresentato dalla

formazione dei Calcari con Requienie e Gasteropodi, di età Giurassico Superiore-

Cretacico Superiore, appartenente dell’Unità Tettonica M.ti Lattari – M.ti Picentini –

M. Alburni, formazione formante l’ossatura dei vicini rilievi di M. Maino e M. Castello

e ricoperta nelle zone pedemontane e di fondovalle con vario spessore da depositi

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limoso-sabbiosi olocenici di origine eluvio-colluviale e da depositi detritici

pleistocenico-olocenici (detriti di falda).

in corrispondenza dell’asse centrale del fondovalle, compreso tra il Vallone Capitone e

Vallone Sanguinito (zona in cui ricade l’area di interesse), con buona probabilità, il

substrato risulta costituito dai terreni arenaceo-conglomeratici e marnoso-siltosi della

formazione miocenica delle Arenarie di Caiazzo (Unità Litostratigrafiche Sin-

Orogene) ricoperti da un orizzonte tufaceo riconducibile all’Ignimbrite Campana

(39.000 anni B.P.), a sua volta ricoperto dai terreni piroclastici pleistocenico-olocenici

dell’Unità Casalnuovo-Casoria.

nel settore ad Est del Vallone Sanguinito il substrato locale è rappresentato dalla

formazione delle Argille Varicolori Superiori, di età Oligocene Superiore – Miocene

Inferiore, appartenente all’Unità del Sannio, formazione ricoperta anch’essa da un

orizzonte di Ignimbrite Campana.

In riferimento al sito in esame, direttamente coinvolto dal progetto, il sottosuolo risulta

costituito per i primi 5.0-6.0 m di profondità, al di sotto di un primo orizzonte di terreno

pedogenizzato, ad elevata componente piroclastica, da terreni piroclastici prevalentemente

sabbiosi, di colore nel complesso giallo ocra, a diverso grado di addensamento, appartenenti

all’Unità Casalnuovo-Casoria. Segue un orizzonte di spessore variabile, da punto a punto, tra i

15.0 e i 25.0 m di tufo ignimbritico, inizialmente di colore giallastro da sciolto a litoide verso il

basso, poi grigiastro a tratti litoide.

La superficie di deposizione (letto dello strato) e la potenza complessiva dell’orizzonte

ignimbritico risulta generalmente molto irregolare dal momento che esso ha finito per ricoprire e

colmare superfici e depressioni paleomorfologiche.

Nel sottosuolo del sito in esame l’Ignimbrite Campana si è deposta su un substrato preesistente

costituito da argille arenacee e marnose, di colore giallastro all’esterno per alterazione, con clasti

eterometrici ed eterogenei (calcarei, ecc.), il tutto a formare un insieme (struttura) caotico a

prevalente componente argillosa (matrice). Tali terreni rappresentano con buona probabilità una

delle porzioni, prevalentemente argilloso-siltose, della formazione delle Arenarie di Caiazzo.

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385

4.3.3.2 CARATTERISTICHE GEOMORFOLOGICHE ED IDROGRAFICHE

DELL’AREA

Il sito in esame, posto dal punto di vista altimetrico mediamente ad una quota di 77.0 m

s.l.m.m., ricade nella porzione occidentale del territorio comunale di Sant’Agata de’ Goti, in una

zona di fondovalle a morfologia pianeggiante, o comunque a bassissima acclività, interposta tra le

incisioni torrentizie del Vallone Capitone e del Vallone Sanguinito.

Tale zona di fondovalle dal punto di vista geologico corrisponde ad una stretta depressione

posta tra due alti strutturali ad ossatura carbonatica coincidenti con la struttura carbonatica di

Castel Morrone a W e quella di Durazzano-Moiano verso E e SE. Le successioni carbonatiche

formanti tali strutture appartengono all’Unità Tettonica Carbonatica M. Lattari – M.ti Picentini –

M.ti Alburni, qui in sovrascorrimento in parte su porzioni dell’Unità Tettonica del Sannio ed in

parte su quelle dell’Unità Litostratigrafiche Sin-Orogene (Arenarie di Caiazzo).

In corrispondenza dell’area di fondovalle, qui in esame, le strutture di sovrascorrimento e le

discontinuità tettonico-strutturali (faglie), con buona probabilità qui presenti, risultano occultate

da terreni recenti (pleistocenico-olocenici) in parte di natura detritica ed eluvio-colluviale ed in

parte piroclastico-tufacea. Infatti, la porzione centrale della depressione vede la presenza al di

sopra di un substrato “roccioso” di base, formato a tratti da terreni arenaceo-conglomeratici e

marnoso-argillosi appartenenti alla formazione delle Arenarie di Caiazzo (Unità Litostratigrafiche

Sin-Orogene) ed a tratti dai terreni argillosi e calcareo-marnosi della formazione delle Argille

Varicolori Superiori (Unità del Sannio), generalmente in sovrascorrimento sulle prime, da un

orizzonte di tufo ignimbritico legato all’eruzione flegrea dell’Ignimbrite Campana (39.000 anni

B.P.).

Lo spessore di tale orizzonte tende a variare da luogo a luogo, ma comunque non superiore ai

25.0 – 30.0 m.

Al di sopra si rinvengono talora depositi sabbioso-limosi e sabbioso-limosi olocenici di origine

eluvio-colluviale, nonché in corrispondenza degli alvei torrentizi depositi sabbioso-limosi

pleistocenico-olocenici di origine eluvio-fluviale (Sintema di Limatola), talora terreni piroclastici

pleistocenico-olocenici (sabbie vulcaniche, cineriti e ceneri vulcaniche, pomici in matrice

cineritica) appartenenti all’Unità Casalnuovo-Casoria.

In riferimento all’area di più diretto interesse, essa risulta collocata in una porzione di

fondovalle stretta tra l’alveo del T. Capitone a W e quello del T. Sanguinito a E, entrambi in

approfondimento nei propri sedimenti e nei terreni tufacei dell’Ignimbrite Campana. Tale porzione

valliva, su cui è posta l’area in esame, sopraelevata rispetto ai suddetti alvei di almeno 15.0-20.0

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386

m, è caratterizzata da una morfologia quasi del tutto pianeggiante, con pendenze mediamente non

superiori a 1°-2°, resa ancor più pianeggiante dai primi lavori di sistemazione (realizzazione delle

infrastrutture di base – viabilità di accesso ai lotti) per l’insediamento dell’Area PIP.

Infatti, dal punto di vista geomorfologico l’intera Area PIP rientra nel morfotipo “superficie

pianeggiante di fondovalle” delimitata a W da una “scarpata di terrazzo o di erosione fluviale”.

Verso E l’area PIP è delimitata da una zona, posta immediatamente a monte dell’area spondale

sinistra del T. Sanguinito, caratterizzata da evidenti modificazioni nella sua morfologia originaria

ad opera di una estesa attività estrattiva di materiale tufaceo (cava di tufo).

Alla luce di quando sino ad ora detto, in virtù delle sue caratteristiche morfologiche intrinseche

(zona pianeggiante con pendenze non superiori a 1°-2°) e dell’assenza su di essa di fenomeni di

dissesto in atto, l’area interessata dal progetto in esame può essere considerata

geomorfologicamente stabile.

Gli unici tratti del territorio in questione potenzialmente instabili sono rappresentati dalle

scarpate ad elevata acclività, sia naturali sia di origine antropica (fronti di cava), presenti lungo le

sponde degli alvei torrentizi.

L’area in esame, però, risulta posta ad una distanza sufficiente da essi, non inferiore ai 100 –

150 m, e tale da non essere interessata e coinvolta da eventuali potenziali movimenti franosi che

si possono verificare lungo tali tratti.

Dal punto di vista idrografico, il territorio in esame si caratterizza per la presenza di due alvei

torrentizi (Vallone Capitone e Vallone Sanguinito) che, con direzione di sviluppo

prevalentemente SW-NE e solcando i terreni sabbioso-limosi pleistocenico-olocenici del Sintema

di Limatola e quelli tufacei dell’Ignimbrite Campana, confluiscono verso NW nell’alveo del

Torrente Isclero, quest’ultimo appartenente all’esteso bacino idrografico del Fiume Volturno.

In ogni caso l’area coinvolta dal progetto (area su cui è previsto l’impianto) non risulta solcata

direttamente da corsi d’acqua o impluvi torrentizi e risulta sopraelevata rispetto agli alvei Capitone

e Sanguinito di almeno 15.0-20.0 m; su di essa il deflusso delle acque meteoriche durante gli

eventi piovosi significativi, al netto dell’aliquota di infiltrazione nel sottosuolo, segue il naturale

andamento della morfologia locale. Occorre tenere presente che l’area è oggetto di lavori

preliminari (infrastrutture di base) per l'insediamento dell’Area PIP, lavori che certamente

dovranno prevedere sistemi fognari e di raccolta delle acque meteoriche locali.

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387

4.3.3.3 IDROGEOLOGIA

Dal punto di vista idrogeologico, la porzione di territorio in esame risulta caratterizzata dalla

presenza, in qualità di consistenti “serbatoi idrici sotterranei” (idrostrutture), di due strutture

montuose carbonatiche coincidenti con il massiccio dei Monti Tifatini a NW e quello dei Monti

di Durazzano a SE.

Ne consegue la presenza di due importanti Unità Idrogeologiche, impostate entrambe nelle

successioni mesozoiche di piattaforma carbonatica dell’Unità Tettonica M.ti Lattari – M.ti

Picentini – M. Alburni, e separate tra loro da importanti discontinuità tettoniche:

• Unità Idrogeologica del Monti Tifatini

• Unità Idrogeologica dei Monti di Durazzano

Entrambe le suddette Unità Idrogeologiche carbonatiche risultano strutturalmente piuttosto

complesse per la presenza in esse di varie discontinuità tettoniche e caratterizzate da una “base

impermeabile” rappresentata dalle successioni argilloso-marnoso-arenacee oligocenico-

mioceniche dell’Unità del Sannio su cui il blocco delle successioni carbonatiche risulta

tettonicamente sovrapposto.

Per motivi giaciturali e geologico-strutturali l’Unità Idrogeologica del Monti Tifatini, seppur

con vari piccoli settori nord-occidentali relativamente separati idrogeologicamente dalla restante

idrostruttura, risulta caratterizzata nel complesso da una direzione di deflusso sotterraneo della sua

falda di base orientata verso N, verso il gruppo sorgivo di Santa Sofia, mentre l’Unità

Idrogeologica dei Monti di Durazzano, idrogeologicamente separata dall’antistante struttura dei

Monti di Avella mediante la faglia inversa Arpaia-Cancello, in mancanza di punti di recapito

visibili drena le sue acque verso la falda impostata nei terreni piroclastico-alluvionali della Piana

Campana nel tratto compreso tra Maddaloni ed Arpaia.

Quindi nella porzione di territorio in esame, porzione posta in corrispondenza della depressione

valliva occupata dai torrenti Capitone e Sanguinito, la falda superficiale, ove presente, e

preferenzialmente impostata nei terreni piroclastico-tufacei, non riceve apporti significativi dalle

due suddette idrostrutture carbonatiche.

I terreni costituenti il substrato di base della zona di interesse, appartenenti in parte alla

formazione delle Argille Varicolori Superiori (Unità del Sannio) ed in parte a quella delle

Arenarie di Caiazzo (Unità Litostratigrafiche Sin-Orogene) per effetto delle loro caratteristiche

litologiche, e quindi di permeabilità (bassissima permeabilità), non sono sede di falde

quantitativamente consistenti e rilevanti e la circolazione idrica sotterranea, ove presente, risulta

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388

limitata ai soli termini carbonatici ed arenacei e confinata tra quelli argilloso-marnoso-pelitici

delle suddette formazioni geologiche.

In tale contesto, infatti, i litotipi prevalentemente argilloso-marnosi e pelitici fungono da

“impermeabile relativo” per piccoli corpi idrici impostatisi in taluni orizzonti carbonatici e/o

arenacei, spesso intraformazionali.

Nel complesso, comunque, tale circolazione appare piuttosto limitata e può dar vita solo a

piccole insorgenze con portate spesso solo stagionali e talora poste a quote diverse per il loro

carattere di falde sospese.

In corrispondenza della zona centrale della depressione valliva occupata dai torrenti Capitone

e Sanguinito, zona in cui ricade l’area di interesse, la presenza di un pacco di terreni piroclastico-

tufacei sovrapposti ad una delle porzioni prevalentemente argilloso-siltose della formazione delle

Arenarie di Caiazzo, a permeabilità relativa più bassa (impermeabile relativo di base) rispetto ai

terreni sovrastanti più permeabili, rende possibile la presenza di una falda superficiale, legata però

solo agli apporti zenitali diretti locali.

La direzione di deflusso di tale falda risulta orientata per una parte verso l’alveo del T. Capitone

e per la restante parte verso l’alveo del T. Sanguinito.

In tale contesto nel sottosuolo del sito di interesse, la falda superficiale, a superficie

piezometrica libera, risulta posta ad una profondità dal piano campagna mediamente compresa tra

i 17.0 ed i 20.0 m. Ovviamente, essendo essa legata agli apporti zenitali diretti, potrà far registrare

nei periodi più piovosi una significativa variazione della profondità.

In ogni caso un quadro senza dubbio più esatto della profondità di rinvenimento della falda nel

sottosuolo del sito in esame e delle caratteristiche di permeabilità dei terreni del sottosuolo

dell’area di sedime dell’impianto in progetto sarà possibile realizzarlo solo dopo l’esecuzione di

opportune e necessarie indagini geognostiche in situ (sondaggi geognostici), anche mediante

l’esecuzione di prove di permeabilità e l’istallazione di uno o più piezometri.

Dal punto di vista della permeabilità è possibile in generale distinguere nel territorio in esame

quattro diversi complessi idrogeologici:

un complesso sabbioso-limoso-ghiaioso costituito da depositi di origine eluvio-colluviale

sabbioso-limosi, ad elevata componente piroclastica, contenenti clasti carbonatici, talora

abbondanti, da sabbie, sabbie limose e limi, con lenti di ghiaie +/- sabbiose, di origine

eluviale o fluviale. Coincide con i terreni pleistocenico-olocenici del Sintema di Limatola

e con quelli relativi ai Depositi eluvio-colluviali olocenici. Esso si caratterizza per una

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permeabilità media per porosità ed un coefficiente di permeabilità K mediamente e

generalmente compreso tra 1x10-2 m/s e 1x10-4 m/s.

un complesso piroclastico-tufaceo suddivisibile in due sub-complessi:

o un sub-complesso prevalentemente piroclastico costituito da sabbie vulcaniche con

livelli e livelletti di cineriti e ceneri vulcaniche, talora con pomici e scorie vulcaniche

diffuse, livelli pomicei in matrice cineritica. Coincide con i terreni pleistocenico-

olocenici dell’Unità di Casalnuovo-Casoria. Esso si caratterizza per una permeabilità

media per porosità ed un coefficiente di permeabilità K mediamente e generalmente

compreso tra 1x10-3 m/s e 1x10-4 m/s (Ducci D. e Onorati G., 1993).

o un sub-complesso tufaceo costituito da tufo ignimbritico da cineritico a sabbioso a

tratti, da ben addensato a litoide a luoghi, in facies da giallastra a grigia verso il basso.

Coincide con i depositi dell’eruzione dell’Ignimbrite Campana (39.000 anni B.P.) e

si caratterizza per una permeabilità generalmente bassa per porosità e per fratturazione

ed un coefficiente di permeabilità K mediamente pari a circa 1x10-5 m/s (Celico P. et

alii).

un complesso carbonatico costituito da calcari con rare intercalazioni di calcari dolomitici

e dolomie e coincidente nel territorio in esame con i terreni giurassico-cretacei dei Calcari

con requienie e gasteropodi. Esso si caratterizza per una permeabilità per fratturazione, e

talora per carsismo, da elevata a media verso il basso ed un coefficiente di permeabilità K

mediamente compreso tra 1x10-1 m/s e 1x10-3 m/s (da dati di letteratura).

un complesso argilloso-marnoso costituito da argilliti scagliose, argille e marne, con

intercalazioni calcareo-marnose e calcaree, argille siltose e marnoso-siltose con

intercalazioni arenaceo-siltose. Coincide con i terreni oligocenico-miocenici della

formazione delle Argille Varicolori Superiori dell’Unità del Sannio e con la porzione più

argilloso-siltosa della formazione miocenica delle Arenarie di Caiazzo. Esso si caratterizza

per una permeabilità per fratturazione, da bassa a bassissima ed un coefficiente di

permeabilità K mediamente compreso tra 1x10-6 m/s e 1x10-8 m/s (da dati di letteratura).

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390

4.3.3.4 CARATTERISTICHE SISMICHE DEL SITO

Sulla base della D.G.R. n° 5447 del 2002 il territorio comunale di Sant’Agata de’ Goti risulta

classificato dal punto di vista sismico come Zona 2.

Figura 101 – Classificazione sismica dei Comuni della Regione Campania.

Inoltre, nell’ambito dell’Ordinanza P.C.M. n° 3274 del 2003 lo stesso territorio comunale di

Sant’Agata de’ Goti risulta collocato dal punto di vista sismico nella ZONA 2 sulla base dei valori

di accelerazione orizzontale del suolo (ag), con probabilità di superamento del 10% in 50 anni

(vedasi tabella sottostante).

Figura 102 – da Allegato 1 all’Ordinanza 3274/03 – “Criteri generali per l’individuazione delle zone sismiche”.

Sulla base di tali classificazioni macrosismiche il valore di accelerazione orizzontale del suolo

(ag), con probabilità di superamento del 10% in 50 anni, da assegnare al territorio di Sant’Agata

de’ Goti è di 0.25 g.

Inoltre, per eseguire l’analisi mediante i dettami delle NTC2008 sarà necessario eseguire delle

indagini sismiche puntuali nel sito coinvolto dal progetto in esame, al fine di ottenere il valore

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391

Vs30 del sottosuolo dell’area la cui conoscenza permette di attribuire localmente una determinata

Categoria di sottosuolo (vedasi tabella seguente).

Figura 103 – Categorie di sottosuolo.

Appare importante ricordare come il valore Vs30 debba essere inteso come la velocità media

di propagazione delle onde di taglio entro i primi 30 m di profondità a partire dal piano di posa

delle fondazioni e deve essere calcolato attraverso i dati (Vs) derivanti da un’indagine sismica

spinta fino alla profondità utile.

Per le fondazioni superficiali, tale profondità è riferita al piano di imposta delle stesse, mentre

per le fondazioni profonde è riferita alla testa dei pali. Il valore Vs30 rappresenta il valore

equivalente della distribuzione delle varie velocità Vs misurate in diversi spessori dei sedimenti

durante la prospezione sismica.

L’analisi dei dati ricavati dalle indagini in situ, geognostiche e sismiche, che dovranno essere

eseguite necessariamente sull’area coinvolta dal progetto in esame permetterà di attribuire in

seguito, con maggior precisione, al sottosuolo di ciascuna zona una delle Categorie di sottosuolo

riportate nella tabella precedente (tabella 3.2.II – NTC2008).

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4.3.3.5 VALUTAZIONE QUALITATIVA DEGLI IMPATTI TRA L’OPERA E LA

COMPONENTE AMBIENTALE

La componente suolo/sottosuolo, intesa come risorsa, è stimata comune, non rinnovabile,

strategica.

Facendo riferimento allo schema adottato si evidenzia che le azioni di impatto potenziale sulla

componente ambientale “suolo e sottosuolo” sono identificabili con le azioni di progetto:

a) In fase di realizzazione dell’impianto:

- scavi e movimenti terra;

- realizzazione infrastrutture e manufatti;

b) In fase di esercizio dell’impianto:

- conferimento rifiuti;

c) In fase di dismissione dell’impianto:

- dismissione impianti.

Le interferenze dirette che si ripercuotono sulla componente ambientale “suolo e sottosuolo”

sono identificabili con le voci:

- consumo ingiustificato di suolo fertile;

- inquinamento di suolo e sottosuolo.

Nel caso della sottrazione di suolo, l’impatto risulta tanto maggiore quanto più è elevata la

capacità d’uso del suolo interessato; alla determinazione del livello di impatto concorre inoltre

la durata dello stesso, espresso attraverso i parametri “temporaneo/permanente”, considerando

che, nei casi quali quello in oggetto, l’impatto risulta sempre su scala locale.

Ai fini della presente indagine, sulla base dei concetti sopra espressi, è stata presa in

considerazione la seguente scala di impatti:

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393

Poiché si ritiene che i suoli dell’area in esame ricadono in prima e seconda classe, e poiché la

sottrazione di suolo risulta temporanea, pari cioè alla vita dell’impianto, l’impatto risulterebbe

“medio”.

Inoltre, i principali effetti indotti dalla realizzazione dell’impianto in parola sull’uso attuale del

suolo non sono da ritenere significativi in quanto l’area in cui si prevede la realizzazione

dell’impianto in oggetto è ricompresa nell’area P.I.P. in località Capitone del Comune di

Sant’Agata de’ Goti; l’area, infatti, secondo il Piano Regolatore Generale in “Zona D2” (zona

omogenea di nuovi impianti industriali e artigianali), regolata dall’art. 29 delle norme di attuazione

del P.R.G. approvato con Decreto del Presidente dell'Amministrazione Provinciale n. 13399 del

24.05.1994.

Di fatto la pianificazione comunale prevede, per l’area appena citata, la possibilità di

realizzare opere che determinano una occupazione ed impermeabilizzazione dei suoli.

Tale area infatti non è utilizzata né destinata allo sfruttamento agricolo.

Inoltre non si ritiene che le attività previste possano precludere il regolare svolgimento delle

pratiche agricole ed industriali nei terreni contigui all’impianto.

Le interferenze con la matrice ambientale in esame si devono prevedere a seguito delle

operazioni di cantierizzazione dell’area, rappresentate dalle operazioni di scavo per il

raggiungimento del piano di posa delle opere e per la realizzazione delle infrastrutture e dei

manufatti previsti. Gli impatti potenziali, in termini di contaminazione della matrice suolo e

sottosuolo, potrebbero derivare da rilasci accidentali di contaminanti da parte dei mezzi meccanici

utilizzati per l’esecuzione delle opere.

Durante la permanenza dei lavori, si garantiranno condizioni adeguate di sicurezza in modo che

i lavori si svolgano senza creare, neppure temporaneamente, un aumento del rischio o grado di

esposizione al rischio esistente e si adotteranno misure di prevenzione per ridurre inquinamenti

accidentali. Nel caso in cui si verificassero incidenti di tale natura, si provvederà all’immediata

asportazione ed al corretto smaltimento dell’aliquota di matrice terrosa interessata dalla

contaminazione al fine di evitarne la propagazione.

Durante la fase di esercizio dell’impianto gli impatti sulla matrice suolo-sottosuolo sono da

considerarsi praticamente nulli in quanto tutta la viabilità interna all’impianto, nonché le aree di

trattamento e stoccaggio dei rifiuti, saranno impermeabilizzate. Tale scelta progettuale consentirà

di evitare problemi legati a sversamenti accidentali di materiale di qualsivoglia natura (es. rifiuti,

oli, etc..).

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394

Infatti, le aree destinate al conferimento, stoccaggio e trattamento dei rifiuti saranno dotate di

pavimentazione del tipo industriale impermeabile per prevenire l’inquinamento del suolo, del

sottosuolo e delle falde idriche dovuto a eventuali percolamenti di liquidi derivanti dalla

movimentazione dei rifiuti, dal transito degli automezzi di trasporto e saranno dotate di opportune

pendenze in maniera tale da assicurare il convogliamento delle acque alla rete di raccolta.

Inoltre, va ricordato che la tipologia di rifiuti ammessa all’impianto è composta da materiale

organico da raccolta differenziata della frazione umida di RU domestico, da mercati, etc.

Si può quindi ritenere che l’insieme delle misure progettuale adottate nell’impianto in oggetto

e delle misure gestionali (operazioni di stoccaggio e di movimentazione dei rifiuti) possa ridurre

al minimo l’eventualità prospettata di contaminazione del suolo.

Infiltrazioni nel suolo di acque contaminate da materiale organico possono verificarsi in seguito

alla non perfetta tenuta delle reti di raccolta e delle vasche di accumulo delle acque meteoriche e

del percolato prodotto nella zona di stoccaggio della FORSU.

Le acque e i percolati raccolti separatamente saranno convogliate nelle apposite vasche

adeguatamente impermeabilizzate, la cui tenuta idraulica sarà periodicamente verificata.

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4.3.4 VEGETAZIONE, FLORA, FAUNA ED ECOSISTEMI

La caratterizzazione dei livelli di qualità della vegetazione, della flora e della fauna presenti nel

sistema ambientale interessato dall’opera è compiuta tramite lo studio della situazione presente e

della prevedibile incidenza su di esse delle azioni progettuali, tenendo presenti i vincoli derivanti

dalla normativa e il rispetto degli equilibri naturali.

La presente trattazione:

illustra per grandi linee i principali ecosistemi del territorio in esame;

integra la descrizione con i dati disponibili in letteratura o rilevati sul campo e sottolinea

l’eventuale importanza degli ecosistemi rilevati come rappresentativi o relitti;

propone una valutazione naturalistica dell’area.

4.3.4.1 CARATTERIZZAZIONE GENERALE DEL SITO

La vegetazione e quindi il paesaggio naturale cambiano con l’altitudine e con le differenti

condizioni climatiche che si succedono anche in relazione all’acclività delle pendici,

all’esposizione, alla maggiore o minore sassosità del substrato.

Dal punto di vista vegetazionale, in Campania, si può riscontrare, nelle sue linee generali, la

seguente successione altitudinale ovvero procedendo dal mare ai monti si notano quattro fasce

(Pignati, 1979):

1) Fascia mediterranea, che va da 0 a 500 m circa, presenta come vegetazione climax

potenziale il bosco di leccio. E’ caratterizzata da complessi vegetazionali caratteristici della

maggiore o minore distanza dal mare. La sua situazione attuale è il frutto delle attività

dell’uomo, presente nell’area da tempi remoti, che porta alla pressoché totale scomparsa di

vegetazione naturale. In essa si distinguono:

La vegetazione dei litorali sabbiosi, che presenta nell’ordine, partendo al mare, le

seguenti associazioni vegetali: Cakiletum, Agropyretum mediterraneo, l’Ammophiletum,

alcune formazioni di macchia mediterranea bassa, seguita da macchia alta, effetto del

rimboschimento effettuato quasi sempre a conifere.

La vegetazione delle coste alte, caratterizzata da associazioni povere, come finocchio di

mare (Chritmum maritimum), il falso citiso (Lotus cytisoides) e Limonium, che, là dove

si crea qualche sacca di terriccio, cedono il posto alla macchia.

La vegetazione delle pianure e delle basse colline, che, privata della copertura arborea

originaria dall’uomo, l’ha sostituita dapprima con vegetazione agricola e da pascolo e

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ora con le più diverse attività. Le uniche forme superstiti di vegetazione spontanea sono

ascrivibili a forme degradate di macchia mediterranea, con arbusti sempreverdi che

raramente superano i 2-3 metri di altezza.

I pascoli, in cui il territorio è ampiamente occupato dall’agricoltura, ma si trovano ancora

frammenti di vegetazione arbustiva naturale, costituita da praterie povere e non fitte. In

esse prevalgono graminacee, asteracee e leguminose autunnali.

2) Fascia sannitica, che va dai 500 ai 100 m circa, la cui vegetazione climax potenziale è il

bosco di roverella (Quercus pubescens) e il bosco misto di caducifoglie. In questa fascia le

attività dell’uomo non hanno ancora danneggiato irreparabilmente il patrimonio

vegetazionale. In tale fascia si trovano due tipi di associazioni boschive: il bosco a roverella

e il bosco misto a orniello e carpino nero (Ostria carpinifolia), nella cui fascia arborea sono

presenti altre specie legnose. Meno presenti sono i boschi a cerro (Quercus cerris) e a ontano

napoletano (Alnus cordato). Invece sono estesi i boschi di castagno e cedui, che sono stati

favoriti dall’uomo rispetto ai boschi originari. Ove manca la vegetazione arborea, sono

presenti formazioni erbacee, più frequenti che non alle quote meno elevate. Sui pendii

soleggiati predominano le leguminose e le graminacee, con una componente più montana,

costituita da Brometalia (Bromus erectus) e da associazioni del genere Thero-

Brachypodietea.

3) Fascia atlantica, che dai 100 ai 1800 m circa, vegetazione climax potenziale del bosco di

faggio. Infatti a questa altitudine la vegetazione arborea è costituita esclusivamente da questo

tipo di bosco, anche se ha subito una drastica riduzione per il disboscamento effettuato dai

Comuni interessati, a scopo economico. Anche la flora è più povera, con la presenza di

Stellaria memorum, Campanula trichochalycina, Ranunculus brutius.

4) Fascia mediterranea altomontana, che va oltre i 1800 m, caratterizzata da pascoli a

Sesleria tenuifolia. In tale fascia sussistono due popolamenti vegetali: quello dei Festuco –

Brometea (es. Bromus erectus), nelle zone più pianeggianti e nelle zone più in pendenza

quello delle sassifraghe.

Esistono poi delle aree ridottissime, ma che sono importanti per il mantenimento

dell’equilibrio biologico, come i salici e i pioppi presenti sulle rive di fiumi, torrenti e laghi,

ma insignificanti dal punto di vista ambientale, per la loro inconsistenza numerica.

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Ci sono da segnalare anche le popolazioni pioniere dei distretti vulcanici, come Silene

vulgaris angustifolia, Artemisia campestris glutinosa, Scrophularia bicolor, che

sopravvivono grazie a una elevata produzione di semi. Le superfici rocciose delle lave più

recenti sono state colonizzate da Stereocaulon vesuvianum, mentre su quelle più vecchie

troviamo la Centranthus ruber, l’Helichrysum saxatile litoreum e la Spartium junceum, cioè

la ginestra.

La costruzione dell’impianto in oggetto si sviluppa nella fascia della vegetazione Mediterranea.

Nel Piano Faunistico Venatorio Provinciale di Benevento 2007 – 2011 è riportata una sintesi

dei risultati dei primi censimenti faunistici, realizzati nel periodo di settembre/novembre 2006 e

marzo/aprile 2007, che ha permesso di avere contezza delle presenze faunistiche di interesse sul

territorio Provinciale oggetto di pianificazione.

Tabella 27 - Piano Faunistico Venatorio Provinciale 2007 – 2011.

In riferimento al territorio comunale di Sant’Agata de’ Goti, dalla tabella si evince che il

monitoraggio ha riscontato una buona presenza del fagiano (Phasianus colchicus), della starna

(Perdix perdix), del cinghiale (Sus scrofa), di rapaci diurni (Lodaiolo, Gheppio, Poiana, Astore,

Albanella, ecc…) e notturni (Assiolo, Civetta, Gufo Comune, Gufo Reale, Barbagianni, ecc..),

una scarsa presenza della coturnice (Alectoris graeca), della lepre (Lepus europaeus).

Il monitoraggio a suo tempo effettuato ha riscontrato un’elevata presenza di volpi (Vulpes

vulpes).

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Non risultano presenti nell’area specie rare e particolarmente minacciate, probabilmente

a causa della pressione antropica a cui è stata soggetta la zona.

Nel PFVP di Benevento 2007 – 2011, inoltre, il comune di Sant’Agata de’ Goti è inserito nel

Comprensorio Sud-Ovest. Zona della Valle Telesina, della Valle Caudina e del Monte

Taburno.

La Valle Telesina comprende i comuni di: Amorosi, Castelvenere, Dugenta, Faicchio, Frasso

Telesino, Guardia Sanframondi, Limatola, Melizzano, Paupisi, Ponte, Puglianello, S. Salvatore

Telesino, Solopaca, Telese, S. Lorenzo Maggiore, S. Lorenzello, San Lupo, Torrecuso.

Il panorama agronomico-colturale è rappresentato da: zootecnia, viticoltura, olivicoltura e

frutticoltura; le fitocenosi naturali e/o spontanee sono principalmente concentrate lungo i fiumi

Volturno, Titerno, Calore, e costituiscono la boscaglia igrofila arborea dominata da salici (Salix

alba), da pioppi (Populus alba) con presenza saltuaria di ontano nero (alnus glutinosa); le specie

arbustive sono maggiormente rappresentate da salici quali Salix purpurea e Salix caprea e da

ligustri (Ligustrum vulgare). Le specie erbacee sono numerose compresi i canneti.

La Valle Caudina e il Monte Taburno includono i comuni di: Airola, Arpaia, Bonea,

Bucciano, Campoli del Monte Taburno, Cautano, Durazzano, Foglianise, Forchia, Moiano,

Montesarchio, Pannarano, Paolisi, S. Agata dei Goti, Tocco Caudio, Vitulano.

Gli indirizzi agronomici predominanti sono: zootecnia con diffuse coltivazioni di cereali e

foraggere, frutticoltura con colture arboree costituite da meli e noci e orticoltura principalmente

mirata alla produzione di pomodori, olivicoltura e viticoltura; le biocenosi naturali e/o spontanee

sono ubicate principalmente sul Massiccio del Taburno e costituite da formazioni forestali e

boschive di faggi, abeti bianchi, querce, castagni, intervallate da radure a pascolo e più in alto

dominate dalle praterie d’alta quota.

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4.3.4.2 USO DEL SUOLO

Come detto, il territorio di Sant'Agata de’ Goti si estende su di una superficie di circa 62,92

Kmq, ad un’altitudine compresa tra i 40 e i 1.314 m s.l.m.

Circa 2.512,5I Ha sono di Superficie Agricola Utilizzata (SAU), ed una Superficie Agricola

Totale (SAT) di Ha 3.994,59.

La Superficie Agricola Utilizzata è occupata da seminativi per una superficie di Ha 922,04, da

coltivazioni legnose per una superficie di Ha 1.443,96 e da prati pascoli per una superficie di Ha

146,51. A tali superfici dobbiamo aggiungere quelle investite a bosco (Ha 1.047,69), ad

arboricoltura da legno (Ha 37,61), ed altre superfici (Ha 183,40 occupate da edifici, cortili, strade

poderali, ecc.).

La maggior parte della SAU è destinata ad oliveto (699,96 Ha circa) con N. 1.130 aziende

impegnate, seguono i fruttiferi (437,69 Ha) con N. 540 aziende impegnate, i vigneti (Ha 302,12)

con N. 702 aziende impegnate, le foraggere (Ha 237,80) ed i cereali (Ha199,77 di cui Ha 60,08 a

frumento) con N.404 aziende impegnate mentre di gran lunga meno estesi sono gli agrumi e le

colture ortive (21.91 Ha). Queste ultime si sono drasticamente ridotte nel corso degli anni.

Per la zootecnia, notevole è stata la riduzione negli ultimi anni degli ettari destinati ai prati

permanenti e pascoli e alle colture foraggere avvicendate.

Inoltre, in particolare, l’area in cui ricade il sito in oggetto è classificato, secondo la Mappa

della Copertura del Suolo redatta dal Progetto Europeo Corine Land Cover 2012 come:

Aree industriali, commerciali.

Figura 104 – CORINE 2012.

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4.3.4.3 CARATTERI VEGETAZIONALI

Dal punto di vista fitoclimatico il territorio può essere inquadrato secondo la classificazione del

Pavari, nella zona del Lauretum sottozona calda – secondo tipo, che presenta siccità estiva.

Questa zona è caratterizzata da un’agricoltura intensiva che nel corso degli anni ha portato alla

distruzione del patrimonio vegetale spontaneo e quindi paesaggistico, quasi tutte le siepi sono

scomparse o sono state ridotte senza tener conto della loro funzione naturalistica, ecologica e

paesaggistica.

I nuclei vegetazionali più appariscenti della zona si possono trovare lungo la fascia del Vallone

Martorano.

La distribuzione della vegetazione forestale del territorio, conferma un simile inquadramento

con la presenza di specie tipiche della macchia mediterranea: leccio, roverella, carpini, olivo,

pioppi, robinie, ecc.

Il quadro climatico del comune di Sant’Agata de’ Goti è favorevole alla vegetazione forestale

come del resto dimostrano i frequenti nuclei vegetazionali esistenti lungo la fascia dei corsi

d’acqua, nonché in tutto il territorio circostante.

Tra le specie erbacee maggiormente rappresentanti e costituenti il cotico erboso, sono da

annoverare sia quelle a ciclo annuale che le perenni, rappresentate prevalentemente da Graminacee

e Leguminose, seguite dalle Composite, dalle Liliacee, dalle Crucifere e dalle altre famiglie

minori.

Tra le graminacee sono da annoverare i generi: Avena, Panicum, Sorghum, Festuca, Dactilis,

Lolium, Phalaris, Bromus, Poa, mentre tra le leguminose, queste ultime presenti in forma

secondaria rispetto alle graminacee, si rinvengono il genere Trifolium (subterraneum, pratensis e

repens), Sulla (Hedysaríum Coronarium), Lupinella (Ornobrychis Viciaefolia), Lupino (Lupinus

Albus) e lotus comiculatus.

Tra le Liliacee predomina il genere Asphodelus la cui presenza può essere considerata un indice

di degrado del cotico erboso e quindi di minore efficacia nel contrastare i fenomeni di dissesto

idrogeologico superficiale.

Tra le Composite si sono riscontrati i generi Anthemis, Calendula, Chrysanthemum, mentre tra

le Crucifere abbiamo i generi Brassica, Capsella, Raphanus e Sinapis.

Tra le specie arbustive ivi presenti si annoverano il perasto (Pirus piraster), il prugnolo (Robus

Spinosa), il biancospino (Crategus Monogina), il rovo (Robus Caestus), il viburno (Viburnum

Lantana), l’edera (Hedera Helix) e la canna (Arando Donax).

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Il sottobosco è ricco di muschi, pungitopi (Cuscus Aculeatus), sono presenti inoltre felci

(Polipodyum Vulgare), asparagi (Asparagus Officinalis), e funghi (Armillaria, Amanita, Agaricus,

Agrocybe).

La flora arborea è caratterizzata da una diversità biologica che dipende dai pendii e dalla loro

ubicazione se vicini o lontani dai corsi d’acqua.

Vicino a questi ultimi si trovano soprattutto i generi Salix, Populus e Sambucus e Robinia che

prediligono terreni umidi e tendenzialmente sciolti tipici delle zone spondali di fiumi e torrenti.

Presenti nell’area anche popolazioni di Quercus sp. quali la roverella ed il cerro, il genere

Alnus, Acer, Fraxinus, Sorbus, Ailantus, ed anche specie non autoctone, tra le specie coltivate

prevalgono i fruttiferi, la vite e l’olivo.

Tutte le specie sia erbacee che arboree spontanee, svolgono un ruolo di primo piano e si può

dire che la loro funzione di utilità nei confronti dell’artropodofauna utile per l’agricoltura sia molto

marcata.

L’area direttamente interessata dall’intervento in progetto, si colloca all’interno di una zona

pianeggiante, caratterizzata dalla presenza nelle vicinanze di diversi insediamenti produttivi,

rientrando l’area, come detto nell’Area P.I.P. “Località Capitone” del comune di Sant’Agata

de’ Goti.

Allo stato attuale, la vegetazione dell’area direttamente interessata dal progetto, come del resto

tutti i lotti rientranti in Area P.I.P., è caratterizzata dalla presenza di piantumazioni di pioppi e

noci, essenze arbustive, ecc…

Il paesaggio vegetazionale del comprensorio oggetto di intervento, risulta caratterizzato quasi

esclusivamente da colture agrarie, in particolare frutteti, vigneti, uliveti e colture orticole in genere.

Le aree direttamente interessate dalla realizzazione dell’impianto in oggetto non sono

interessate da specie vegetali di grande interesse e protezione.

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402

4.3.4.4 ECOSISTEMI

In termini semplicistici, un ecosistema può essere definito come un sistema interagente formato

da organismi viventi e dal loro ambiente abiotico e capace di autoregolarsi entro certi limiti. Esso

può essere identificato:

da un punto di vista descrittivo, individuando le componenti abiotiche, ovvero i fattori fisici

dell’ambiente (morfologia, litologia, clima, suolo), e le componenti biotiche (fitocenosi e

zoocenosi);

dal punto di vista trofico, distinguendo la componente autotrofica dei vegetali clorofilliani

produttori, da quelle eterotrofiche degli animali e dei funghi (vegetali eterotrofi);

dal punto di vista funzionale, considerando i trasferimenti di energia, le catene alimentari, i

cicli biogeochimici, le diversità biotiche e le successioni nel tempo.

L’ecosistema, spiegato in questo modo, non fa tuttavia riferimento a categorie ben precise,

potendo avere dimensioni e caratteristiche varie: un lago, una palude, una foresta, o anche una

coltura di laboratorio possono essere considerati altrettanti sistemi ecologici. Tuttavia, essi

rappresentano degli ecosistemi soltanto se vi sono presenti le componenti principali descritte in

precedenza.

La scelta del criterio di classificazione dipende dal contesto in cui si opera: occorre comunque

individuare le componenti (ed in seguito le specie) dominanti, che esercitano cioè la massima

regolazione del flusso energetico; infatti non tutti gli organismi di una stessa comunità hanno la

stessa importanza funzionale.

Ai fini del presente studio, operando in un contesto seminaturale, la ricerca delle componenti

dominanti si restringe alla vegetazione ed in particolare, dove presente, alla parte arborea: ciò è

giustificato dal fatto che, possedendo quest’ultima una biomassa di gran lunga superiore (circa il

90 - 95 % del totale) a quella delle altre componenti autotrofe ed eterotrofe, condiziona con il

proprio metabolismo totale i flussi energetici ed i cicli propri dell’ecosistema stesso.

Occorre infatti considerare che, in virtù della catena trofica, la biomassa vegetale si identifica

come l’elemento primario da cui dipendono i successivi livelli energetici. Ne consegue che

l’individuazione e la descrizione degli ecosistemi verrà in primo luogo espressa attraverso una

classificazione di tipo vegetazionale, distinguendo innanzitutto tra bioecosistemi naturali,

bioecosistemi agrari (agroecosistemi) e tecnoecosistemi antropici.

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È noto che gli agroecosistemi si distinguono dagli ecosistemi naturali, a causa della loro elevata

produttività, bassa diversità specifica, bassa diversità genetica, bassa stabilità, alta entropia e ciclo

breve.

Gli ecosistemi naturali, per contro, sono caratterizzati da produttività media, alta diversità

specifica e genetica, alta stabilità, bassa entropia e lunga durata del ciclo biologico.

Nel caso in oggetto, l’area d’indagine, collocata in un contesto paesistico fortemente

antropizzato, è caratterizzata da una situazione ambientale che vede le componenti ecosistemiche

profondamente alterate o trasformate dall’intervento dell'uomo.

Infatti, la presenza di infrastrutture e di elementi propri del paesaggio urbano, nonché il forte

sviluppo dell’attività agricola, hanno determinato la quasi totale scomparsa degli ecosistemi

naturali, dei quali non rimangono che sporadici elementi nelle zone meno favorevoli allo sviluppo

antropico.

Le conseguenze di questa profonda trasformazione ambientale si traducono nell’assenza

pressoché totale della vegetazione climax, sostituito da colture agrarie ed insediamenti antropici.

La trasformazione ha interessato anche la flora erbacea, con un impoverimento del sottobosco

originario a favore di specie nitrofile o ruderali, ivi comprese quelle caratterizzanti l’ambiente

agricolo ed identificabili per lo più con le infestanti delle colture.

Le profonde variazioni della flora, se da un lato hanno significato la scomparsa degli ecosistemi

naturali, dall’altro hanno portato alla formazione di ecosistemi "artificiali", caratterizzati da un

grado di stabilità inferiore dovuto alla minor complessità strutturale e varietale.

Con l’espansione di questi ecosistemi di derivazione antropica sono scomparse un elevato

numero di nicchie ecologiche originarie; tuttavia se ne sono venute a creare delle nuove, occupate

da altre specie della flora e della fauna.

Il paesaggio circostante l’area d’intervento, presenta, pertanto, una vegetazione tipica degli

ambienti agrari e degli ecosistemi ad esso collegati.

In conclusione, possiamo dire che nella zona ove ricade l’intervento in progetto si

evidenzia una media dotazione di habitat che si caratterizzano per la presenza diffusa

dell’uomo; come detto, è da precisare che nell’area non vi sono emergenze rappresentative

di essenze rare o a rischio di estinzione.

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4.3.4.5 ZONE ZPS, SIC, IBA E ZONE PROTETTE

Il sito interessato dalla localizzazione dell’impianto non insiste in modo diretto con aree ad alto

valore ambientale, né si colloca in prossimità delle stesse, ovvero non sussistono interferenze con:

Zone di Protezione Speciale, individuate ai sensi della Direttiva 79/409/CEE;

Siti di Importanza Comunitaria, individuati ai sensi della Direttiva 92/43/CEE, in cui siano

censite specie per le quali la presenza di impianti eolici potrebbe costituire un pericolo;

Aree IBA.

I siti SIC più prossimi al sito sono:

ad Est - Sito IT8020008 “Massiccio del Taburno” ad una distanza minima di circa 7,5

km;

a Nord - Sito IT8010027 “Fiumi Volturno e Calore Beneventano” ad una distanza

minima di circa 3,6 km;

mentre per le aree ZPS si riscontra:

a Nord - Sito IT8010026 “Matese” ad una distanza di oltre 20,0 km.

Figura 105 – SIC e ZPS più prossimi al sito.

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Unitamente alle aree individuate come SIC e ZPS si è valutata la non interferenza dell’opera in

oggetto con le aree IBA (Important Bird Areas) individuate nel 2° inventario I.B.A. in cui la LIPU

ha identificato in Italia 172 IBA.

Di tali aree 2 interessano il territorio della Provincia di Benevento sovrapponendosi

parzialmente alle ZPS individuate ai sensi della Direttiva 79/409/CEE "Uccelli":

124 – “Matese”;

126 – “Monti della Daunia”.

Figura 106 – Rete IBA/ZPS Campania.

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4.3.4.6 VALUTAZIONE QUALITATIVA DEGLI IMPATTI TRA L’OPERA E LA

COMPONENTE AMBIENTALE

Premesso che l’intervento, come più volte specificato, non andrà ad interessare aree che non

risultino già in parte antropizzate, facendo riferimento allo schema adottato, si osserva che le linee

di impatto potenzialmente derivanti dall’intervento in progetto sono identificabili con le azioni

di progetto:

a) In fase di realizzazione dell’impianto:

- preparazione del cantiere;

- scavi e movimento terra;

- realizzazione infrastrutture e manufatti;

- realizzazione sottoservizi e collegamenti;

- opere a verde di inserimento ambientale;

b) In fase di esercizio dell’impianto:

- conferimento rifiuti;

c) In fase di dismissione degli impianti:

- dismissione degli impianti

Le interferenze dirette che si ripercuotono potenzialmente sulla componente ambientale in

oggetto sono identificabili con le voci:

- eliminazione diretta di vegetazione naturale;

- danni o disturbi di specie animali in fase di cantiere ed esercizio;

- perdita complessiva di naturalità nelle aree coinvolte.

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4.3.4.6.1 Eliminazione diretta di vegetazione naturale

Per quanto concerne la componente vegetazionale, l’unico impatto significativo, di

carattere irreversibile, consiste nel taglio degli esemplari di pioppo e noci presenti nei lotti su

cui sorgerà il nuovo complesso impiantistico.

Ad ogni modo tali esemplari risultano caratterizzati da uno scarso pregio naturalistico, quindi

l’impatto derivante dalla loro eliminazione sarà pressoché nullo.

La componente vegetazionale asportata sarà comunque abbondantemente compensata dalla

realizzazione di opere a verde di inserimento ambientale.

Nel dettaglio è prevista lungo tutto il perimetro dell’impianto una fascia di minimo un metro

e massimo 20 metri di sistemazione a verde con piantumazione arborea di specie autoctone quali

il leccio, l’ulivo e il castagno.

Nella zona dove sono ubicate la palazzina uffici, la palazzina accettazione e servizi e

l’impianto di upgrading vi è un’ampia area sistemata a verde, anch’essa con piantumazione di

specie autoctone quali leccio, castagno e ulivo.

Questa sistemazione è idonea a mitigare l’impatto dell’edificato verso gli spazi aperti e

favorisce l’inserimento paesaggistico del sito, occultando parzialmente, dal punto di vista

percettivo, le strutture ed i manufatti dell’impianto in esame.

Per ciò che concerne la fase di dismissione, è previsto recupero dell’area all’effettiva e

definitiva fruibilità per la destinazione d’uso conforme agli strumenti urbanistici in vigore.

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4.3.4.6.2 Danni o disturbi a specie animali in fase di cantiere ed esercizio

In senso generale, la distribuzione e consistenza dei popolamenti faunistici sono strettamente

correlate al generale stato di conservazione o ai diversi livelli di degrado delle tipologie

ecosistemiche presenti su un dato territorio.

Di fatto, i popolamenti faunistici sono fortemente determinati dalla struttura e dalla

composizione dell’assetto vegetazionale; la ricchezza specifica e le relative abbondanze

all’interno di un popolamento animale sono correlabili alla presenza di una marcata stratificazione

vegetazionale ed una composizione floristica più o meno diversificata.

Pertanto, l’alterazione o la scomparsa di una copertura vegetazionale implicano mutamenti

sulla dinamica delle zoocenosi.

Ciò premesso, l’impatto generato da attività quali quelle di progetto può essere scissa in due

azioni fondamentali, di cui una interessa fondamentalmente l’area, mentre la seconda il territorio

immediatamente circostante; esse comportano:

- la sottrazione o la modifica di habitat;

- l’induzione di fattori di disturbo.

L’impatto si estrinseca, in occasione dell’azione diretta sul sito (realizzazione dell’area di

impianto) con la sottrazione temporanea e la modifica irreversibile degli habitat insistenti sulla

porzione di territorio fisicamente interessata dall’intervento progettuale.

Nel caso in oggetto l’azione deve essere intesa come eliminazione diretta di ambienti

ampiamente diffusi nell’area vasta di indagine e peraltro esclusivamente di tipo antropico.

L’eliminazione di un ambiente può portare ad una serie di diversi effetti sulla fauna insediata,

a seconda delle funzioni (nidificazione, uso trofico, o l’intero habitat) che la zona di intervento

riveste nei confronti delle singole entità specifiche, penalizzando in modo differente le specie

legate al territorio in questione.

Su grande scala, tali modificazioni, se a carico di superfici molto estese, possono inoltre creare

squilibri delle densità specifiche delle aree limitrofe, a causa delle modificazioni dei limiti

territoriali, con una potenziale contrazione del territorio disponibile ed innesco su altre popolazioni

confinanti o portare alla scomparsa di specie sensibili il cui territorio ricade nell’ambito di

progetto.

Nel caso in oggetto, sulla base di tali considerazioni ed in relazione alla destinazione urbanistica

dell’intera area in questione, dell’assenza nell’area tuttavia di specie animali e/o vegetali di

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particolare pregio, nonché all’assenza di “consumi” di habitat naturali o paranaturali, l’impatto

può essere giudicato nullo.

Per ciò che concerne i fattori di disturbo, essi possono essere indotti da:

il disturbo causato dal rumore dell’impianto e degli autoveicoli in transito da e verso

l’impianto;

l’introduzione di barriere fisiche limitanti gli spostamenti della fauna.

In fase di cantiere gli impatti più rilevanti sono legati essenzialmente al rumore provocato

dalle attività di movimentazione dei materiali ed alle polveri che possono sollevarsi durante le

operazioni in fase di cantiere. Essi sono comunque di entità limitata soprattutto dal punto di vista

temporale, oltre che transitori e reversibili.

Si specifica, a tal riguardo che l’area di interesse, ricadendo in un’area a connotazione

prevalentemente industriale e in parte già consolidata, non presenta caratteristiche tali da

interferire con le specie faunistiche presenti nelle aree limitrofe e che comunque la fauna presente

è già abituata alla presenza dell’uomo.

L’area direttamente interessata dalla realizzazione dell’impianto in oggetto, come detto, non è

interessata da specie vegetali e/o animali di grande interesse e protezione, non ricade in aree

naturali protette, in Parchi o riserve regionali, né tantomeno è utilizzata da specie animali di

particolare pregio.

È quindi possibile prevedere che essa possa ridurre la frequentazione della fascia di territorio

più prossima all’impianto, tuttavia è probabile che i meccanismi di assuefazione alla rumorosità

che questo tipo di fauna può sviluppare possano comunque limitare molto l’eventuale perdita di

habitat.

Le attività in fase di esercizio dell’impianto, non impattano su specie animali e/o vegetali di

particolare pregio, tantomeno comportano uno stravolgimento dell’ecosistema presente.

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4.3.4.6.3 Perdita complessiva di naturalità nelle aree coinvolte

In merito alla linea d’impatto in titolo, si possono riproporre, a livello di ecosistema, le

medesime considerazioni effettuate in merito all’indicatore “Vegetazione e flora” e “Fauna”.

Più in dettaglio, l’ambiente circostante il sito di progetto, ricordando come le attività poste in

essere risulteranno comunque contenute all’interno di quest’ultimo, presenta bassi elementi di

naturalità.

Nell’area vasta d’indagine sono riconoscibili infatti, unità ecosistemiche, riconducibili

principalmente ad un ecosistema di tipo agricolo a diffusa urbanizzazione, tipico delle zone

prossime ai grandi insediamenti urbani. I principali motivi di differenziazione sono costituiti dalla

morfologia, dall’uso del suolo e dalla presenza di alcuni elementi di relativa naturalità.

In ogni caso, il progetto prevede i seguenti interventi di mitigazione:

confinamento delle attività di cantiere in aree limitate e sempre all’interno del sito;

realizzazione di una barriera arboreo-arbustiva perimetrale;

costante monitoraggio della qualità ambientale nella fase di esercizio.

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4.3.5 PAESAGGIO

Obiettivo della caratterizzazione della qualità del paesaggio con riferimento sia agli aspetti

storico-testimoniali e culturali, sia agli aspetti legati alla percezione visiva, è quello di definire le

azioni di disturbo esercitate dal progetto e le modifiche introdotte in rapporto alla qualità

dell’ambiente. La qualità del paesaggio è pertanto determinata attraverso le analisi concernenti:

a) il paesaggio nei suoi dinamismi spontanei, mediante l’esame delle componenti naturali;

b) le attività agricole, residenziali, produttive, turistiche, ricreazionali, le presenze

infrastrutturali, le loro stratificazioni e la relativa incidenza sul grado di naturalità presente

nel sistema;

c) le condizioni naturali e umane che hanno generato l’evoluzione del paesaggio;

d) lo studio strettamente visivo o culturale-semiologico del rapporto tra soggetto ed ambiente,

nonché delle radici della trasformazione e creazione del paesaggio da parte dell’uomo;

e) i piani paesistici e territoriali;

f) i vincoli ambientali, archeologici, architettonici, artistici e storici.

4.3.5.1 CONSIDERAZIONI GENERALI

Il territorio di riferimento viene considerato quale palinsesto sul quale le dinamiche evolutive

naturali ed antropiche, e le loro intrinseche relazioni, hanno apportato segni e tracce, la cui lettura

accorta è indispensabile per la predisposizione di un progetto che sia rispettoso delle realtà in cui

si inserisce e che sia in grado di integrarsi con il sistema, con "l’organismo" territoriale ed i suoi

equilibri. Pertanto si sono considerati al di là dei vincoli derivanti in modo diretto dalla Normativa

sul Paesaggio ed i vincoli specifici sanciti dalla predisposizione di apposito decreto, anche tutti

quei processi relazionali tra le comunità autoctone e gli elementi territoriali che determinano la

sussistenza di beni la cui valenza va ben al di là della mera vincolistica di settore e che sono in

grado di porsi quali elementi strutturanti territoriali nei confronti dei quali è necessario instaurare

un’attenta relazione formale.

Partendo dall’analisi del territorio nella sua componente antropica e sistemica e nella sua

componente naturalistica ed ambientale si possono superare atteggiamenti protezionistici che

considerano il patrimonio culturale e naturale in cui esso si inserisce quale "patrimonio da

difendere" ed apre le porte ad un atteggiamento più propositivo che considera il territorio come

"patrimonio da investire", quale sistema che fa parte di un circuito aperto che può e deve

influenzare le scelte di sviluppo futuro compatibili con la specificità dei luoghi e sostenibili

rispetto alla vulnerabilità delle risorse (biotiche ed abiotiche, antropiche e naturali).

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Sarà quindi condotta un’analisi attenta del "patrimonio genetico del territorio" così come

costituito da tracce materiali, narrazioni, dinamiche evolutive, tanto antropiche quanto naturali,

senza perdere però di vista le strette relazioni che intercorrono tra le diverse componenti territoriali

e quindi senza tralasciare in nessun momento dell’analisi la visione d’insieme del funzionamento

del contesto urbano in quanto organismo.

La complessità del territorio e le sue stratificazioni costituiscono un palinsesto intessuto di

tracce lasciate dalla natura e dall’uomo nella loro attività di trasformazione dell’ambiente: "un

territorio considerato come una superficie stratificata dalla quale sono state cancellate le tracce

precedenti per sostituirle con quelle della contemporaneità; ma la cancellazione, come in ogni

buon palinsesto, non è completa e i segni della storia (geologica, botanica, antropica) vi affiorano

tra le pieghe dell'evoluzione" (M. Carta, 2002).

Il paesaggio, inteso nel senso più ampio del termine, quale insieme di bellezze naturali e di

elementi del patrimonio storico ed artistico, risultato di continue evoluzioni ad opera di azioni

naturali ed antropiche, scenario di vicende storiche, è un “bene” di particolare importanza. Esso è

il risultato di continue evoluzioni, il paesaggio non si presenta come un elemento “statico” ma

come materia “in continuo divenire” in quanto fenomeno culturale.

Questa concezione "olistica" ed "organica" del paesaggio è stata introdotta dalla cosiddetta

"Legge Galasso" la quale porta nella disciplina del paesaggio una novità sostanziale per la quale

sono meritevoli di attenzione di tutela tutte le categorie di beni territoriali in quanto elementi

strutturanti la natura del paesaggio, dove i caratteri che definiscono il paesaggio sono determinati

da un complesso sistema di relazioni che si sono consolidate nel tempo in un processo di dinamica

e reciproca influenza tra le attività della natura e le attività antropiche.

L’ultima legge in tema di tutela ambientale è il D. Lgs 21 gennaio 2004 n. 42 (codice dei beni

culturali e del paesaggio d’ora in avanti semplicemente “Codice”) con il quale è stata ridisciplinata

la materia ambientale, prevedendo sanzioni sia amministrative che penali.

I beni ambientali sono definiti come “la testimonianza significativa dell’ambiente nei suoi

valori naturali e culturali” e il paesaggio come “una parte omogenea del territorio i cui caratteri

derivano dalla natura, dalla storia umana e dalle reciproche interrelazioni”. Tra i beni ambientali

soggetti a tutela sono ricompresi: le ville, i giardini, i parchi; le bellezze panoramiche; i complessi

di cose immobili che compongono un caratteristico aspetto avente valore estetico e tradizionale, i

territori costieri compresi in una fascia della profondità di 300 dalla linea di battigia, i fiumi, i

torrenti, i corsi d’acqua, i ghiacciai, i parchi e le riserve nazionali o regionali e i territori di

protezione esterna dei parchi; i territori coperti da foreste e boschi, le zone di interesse

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archeologico, le montagne, la catena alpina, la catena appenninica, e i vulcani. In tali aree è vietata

la distruzione e l’alterazione delle bellezze naturali, anche se vi è possibilità di intervento

ottenendo una autorizzazione da parte dell’ente a cui è demandata la tutela del vincolo.

Le Regioni assicurano che il paesaggio sia adeguatamente tutelato e valorizzato.

Va tenuto conto che il Piano Paesistico, a cui l’Amministrazione competente deve fare

riferimento nello svolgere la sua attività di valutazione è disciplinato nei contenuti e nelle modalità

di elaborazione dall’art. 143 del D. Lgs. 42/2004, sulla base di quanto dettato dall’art. 135 del

medesimo Decreto Legislativo al cui comma 1 riporta che “Lo Stato e le Regioni assicurano che

tutto il territorio sia adeguatamente conosciuto, salvaguardato, pianificato e gestito in ragione dei

differenti valori espressi dai diversi contesti che lo costituiscono. A tale fine le regioni

sottopongono a specifica normativa d’uso il territorio mediante piani paesaggisti, ovvero piani

urbanistico-territoriali con specifica considerazione dei valori paesaggistici”

La sussistenza del Piano Paesistico consente non solo all’Amministrazione di valutare in modo

preciso e rigoroso l’assentibilità dell’intervento, ma anche ai medesimi proponenti di modulare le

proprie proposte sulla base di un quadro comune di parametri, vincoli, e specifiche, atti a

consentire il corretto inserimento dell’intervento stesso.

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4.3.5.2 INQUADRAMENTO DEL PAESAGGIO LOCALE

La Carta delle Unità di Paesaggio del Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale di

Benevento è stata sviluppata sulla scia delle modalità di analisi, individuazione e rappresentazione

cartografica dei paesaggi del territorio regionale; il ruolo della carta del PTCP è stato quello di

analizzare, individuare e cartografare le differenti risorse naturalistiche, agroforestali, storico -

archeologiche del paesaggio provinciale con una scala di maggior dettaglio rispetto al quello

regionale, che in sintonia con quanto stabilito dai paradigmi della scalarità di indagine di

paesaggio, ha permesso di raggiungere la individuazione di una ulteriore suddivisione dei sistemi

e sottosistemi di paesaggio regionale.

Nella tavola del citato PTCP “Articolazione territoriale delle tipologie di paesaggio prevalente”

sono identificate 15 tipologie di paesaggio riconoscibili sul territorio provinciale.

Le tipologie fanno riferimento ad una visione sistemica del territorio e quindi della sua

componente paesaggistica, esse infatti sono individuate tenendo conto sia dei caratteri fisico -

naturalistici che insediativi e sono costruite sulla base delle relazioni tra essi esistenti.

Oltre all’analisi dei caratteri fisico - naturalistici e insediativi, è stata effettuata nel PTCP una

lettura dell’assetto vegetazionale ed agrario che ha evidenziato l’incidenza che le relazioni tra

copertura vegetale e morfologia del territorio rivestono nella caratterizzazione del paesaggio. Il

territorio è stato articolato in aree individuate sulla base della prevalenza dei diversi tipi di

vegetazione e colture agricole e dei caratteri geomorfologici dei diversi ambiti (rilievi montuosi,

aree collinari, ecc.) in cui essa è riscontrata, facendo emergere la molteplicità di tipologie che sono

derivate dall’incrocio delle due componenti dell’articolazione morfologica e della copertura

vegetale e che sono state raggruppate in funzione delle qualità paesaggistiche.

La lettura integrata di tutti questi fattori caratterizzanti il paesaggio provinciale ha permesso

l’identificazione nel PTCP di 119 Unità di Paesaggio, intese come ambiti caratterizzati da

specifici e distintivi sistemi di relazione visive, ecologiche, funzionali, storiche e culturali che

conferiscono loro una precisa fisionomia ed una riconoscibile identità.

L’area in esame fa parte dell’Unità di Paesaggio (UP) identificata dal Piano Territoriale di

Coordinamento Provinciale (PTCP) della Provincia di Benevento come UP27.

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Figura 107 – Unità di Paesaggio (PTCP di Benevento).

Inoltre, il PTCP, ai fini della valorizzazione paesaggistica dell’intero territorio provinciale, ha

riaggregato le 119 Unità di Paesaggio secondo 6 “categorie di paesaggio prevalenti”,

riconducibili alle due configurazioni fondamentali di paesaggio (naturale ed antropico), per le

quali detta gli indirizzi generali e specifici di qualità paesaggistica volti alla conservazione, alla

tutela, alla valorizzazione, al miglioramento e al ripristino dei valori paesaggistici esistenti o alla

creazione di nuovi valori paesaggistici.

Il PTCP, definisce le seguenti “categorie di paesaggi”:

Paesaggio naturale (A)

Paesaggio naturale continuo dominato da coperture vegetali forestali naturali e seminaturali

con alto grado di naturalità, eterogeneità di habitat comunitari e prioritari, alta biodiversità

forestale, boschi pregiati, rari e stabili fondamentali per la rete ecologica provinciale e regionale,

in cui la componente insediativa e praticamente assente.

Paesaggio naturale ed agrario (B)

Paesaggio caratterizzato dalla presenza di componenti naturali di elevato valore paesistico con

porzioni di territorio che conservano i caratteri propri del paesaggio agrario tradizionali. La

componente insediativa, scarsamente presente, è integrata nel contesto morfologico e ambientale.

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Paesaggio agrario omogeneo (C)

Paesaggio agrario continuo costituito da porzioni di territorio caratterizzate dalla naturale

vocazione agricola che conservano i caratteri propri del paesaggio agrario tradizionale. Si tratta di

aree caratterizzate da produzione agricola, di grande estensione, profondità e omogeneità che

hanno rilevante valore paesistico per l’eccellenza dell’assetto percettivo, scenico e panoramico in

cui la componente insediativa, diffusamente presente, si relaziona coerentemente con il contesto.

Paesaggio agrario eterogeneo(D).

Paesaggio agrario difforme e discontinuo costituito da porzioni di territorio che conservano la

vocazione agricola anche se sottoposte a mutamenti fondiari e/o colturali. Si tratta di aree a

prevalente funzione agricola - produttiva con colture a carattere permanente o a seminativi di

media e modesta estensione ed attività di trasformazione dei prodotti agricoli in cui la componente

insediativa è quasi sempre coerentemente integrata nel contesto morfologico e ambientale.

Paesaggio a insediamento urbano diffuso in evoluzione (E)

Paesaggio costituito da porzioni di territorio caratterizzate ancora dall’uso agricolo ma

parzialmente compromesse da fenomeni di urbanizzazione diffusa o da usi diversi da quello

agricolo che costituisce margine agli insediamenti urbani con funzione indispensabile di

contenimento dell’urbanizzazione e di continuità del sistema del paesaggio agrario.

Paesaggio urbano consolidato (F)

Paesaggio caratterizzato da una elevata trasformazione del territorio con forte presenza di

insediamenti residenziali e produttivi.

Come si evince dallo stralcio cartografico riportato, l’area in esame rientra nella Categoria di

Paesaggio “Paesaggio Agrario Eterogeneo D”.

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Figura 108 – Classificazione delle Unità di Paesaggio (PTCP di Benevento).

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4.3.5.3 VINCOLO PAESISITICO

Come detto, l’area in oggetto rientra in “Zona V.I.R.I.” (zona di valorizzazione degli

insediamenti rurali infrastrutturati) regolata dall’art. 19 delle norme di attuazione del Piano

Territoriale Paesistico del Taburno, approvato con D.M. 30/09/ 1996.

L’intero territorio comunale di Sant’Agata de’ Goti rientra, infatti, nell’ambito del Piano

pertanto qualsiasi intervento sul territorio è soggetto alla disciplina di piano che consiste in alcune

prescrizioni che il progetto proposto rispetta ampiamente.

Non sussistono nell’area oggetto di intervento vincoli paesaggistici ai sensi dell’art. 142

del D.Lgs. 42/2004 c.d. ope legis.

Il Piano Territoriale Paesistico (PTP) del Massiccio del Taburno

Il DM 28 marzo 1985 (dichiarazione di notevole interesse pubblico degli interi territori dei

comuni di Paupisi, Campoli del Monte Taburno, Tocco Caudio, Solopaca, Vitulano, Cautano,

Frasso Telesino, Dugenta, Melizzano, S. Agata dei Goti, Montesarchio, Bonea, Bucciano, Moiano,

Torrecuso e Foglianise), relativo alle aree ed ai beni individuati ai sensi dell’art.2 del DM 21

settembre 1984, ha sottoposto a “vincolo paesaggistico” ai sensi della Legge n.1497/1939, sedici

comuni ricadenti nel territorio denominato gruppo montuoso del Taburno. Inoltre, e stato

sottoposto a vincolo parte del territorio di Arpaia.

In seguito il Piano è stato approvato dal Ministero per i Beni Culturali con DM 30.09.1996, e

comprende l'intero territorio dei succitati 17 comuni, tutti facenti parte della provincia di

Benevento. Il Piano, redatto ai sensi dell’art.1 bis della Legge 8 agosto 1985, n.431, e costituito

da n.18 "tavole fotografiche di zonizzazione", dalla “Relazione” e dalle “Norme di Attuazione”

riferite a tutto il territorio di competenza.

Le norme di attuazione del PTP si articolano in ventitré articoli, che sono: Titolo I –

Disposizioni generali (le finalità e i contenuti del piano; l’ambito di delimitazione del piano; le

categorie dei beni da tutelare; le norme di tutela e la suddivisione in zone; l’efficacia delle norme

e le prescrizioni; le categorie degli interventi di recupero; le norme e le disposizioni generali per

tutte le zone; gli interventi consentiti per tutte le zone; le norme per la tutela di sistemi o singolarità

geografiche, geomorfologiche e vegetazionali; le aree di paesaggio storico archeologico; le

infrastrutture antropiche; la sanatoria delle opere abusive); Titolo II – Norme e prescrizioni delle

singole zone (Zone di conservazione integrale (C.I.); Zona di conservazione integrata del

paesaggio di pendice montana e collinare (C.I.P.); Zona di conservazione del paesaggio agricolo

di declivio e fondovalle (C.A.F.); Zona di conservazione integrata del paesaggio fluviale (C.I.F.);

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Zona di protezione del paesaggio agricolo di fondovalle (P.A.F.); Zona di recupero urbanistico

edilizio e di restauro paesistico ambientale (R.U.A.); Zona di valorizzazione degli insediamenti

rurali infrastrutturali (V.I.R.I.); Zona di riqualificazione delle aree di cave e miniere (R.A.C.);

Emergenze monumentali isolate di rilevante interesse paesistico; Zona di valorizzazione di sito

archeologico (V.A.S.); Opere pubbliche e di interesse pubblico; Norme transitorie).

Con Deliberazione del Consiglio Regionale della Campania n.113/5 del 04/06/2002 (BURC

n. 40 del 26/08/2002) è stata approvata Variante al suddetto Piano Paesistico Territoriale per

la realizzazione nel Comune di Sant’Agata de’ Goti in località Capitone di nuovi insediamenti

produttivi (area P.I.P.), con cambio di zonizzazione per tale area da Zona di protezione del

paesaggio agricolo di fondovalle (P.A.F.) a Zona di valorizzazione degli insediamenti rurali

infrastrutturali (V.I.R.I.).

L’area oggetto dell’intervento ricade in tale zona, per la quale valgono le seguenti norme:

Articolo 19 - Zona di Valorizzazione degli Insediamenti Rurali Infrastrutturali (V.I.R.I)

1. Descrizione dei caratteri paesaggistici

La zona comprende aree a prevalente carattere agricolo con presenza di un tessuto edificato

diffuso, costituito da originario insediamento di case sparse riconnesso da edilizia a destinazione

residenziale, commerciale e produttiva di più recente impianto, anche indotta dalle opere

infrastrutturali. Le aree in esame sono prevalentemente di declivio di fondovalle e offrono visuali

panoramiche sul Massiccio. Il paesaggio agricolo delle stesse è connotato dalla presenza di

seminativo alternato a colture specializzate intensive (vigneto ed uliveto). I confini della zona

sopra descritta sono individuati nelle tavole di zonizzazione.

2. Norme di tutela

La zona in oggetto è sottoposta alle norme di tutela per la valorizzazione e il riassetto delle aree

ed insediamenti rurali infrastrutturali e di recente impianto (V.I.R.I).

3. Divieti e limitazioni

Nella zona sono vietati i seguenti interventi:

apertura di nuove cave di qualunque materiale e prosecuzione della coltivazione di

eventuali cave esistenti;

realizzazione di nuovi impianti di discarica di rifiuti di qualsiasi tipo;

esecuzione di movimenti di terra che comporti sostanziali trasformazioni della

morfologia del terreno;

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espianto degli uliveti;

trasformazione ad uso monoculturale di colture differenziate.

4. Interventi ammissibili

Ai fini del riassetto delle aree e degli insediamenti rurali infrastrutturali e di recente impianto

possono realizzarsi interventi edificatori a carattere abitativo, produttivo, artigianale e di

pertinenze agricole. Possono altresì realizzarsi attrezzature pubbliche per il rispetto degli standard

urbanistici ai sensi delle leggi statali e regionali. Gli interventi da realizzare in dette aree dovranno,

comunque, tener conto dei seguenti criteri di tutela paesistica: rispetto dei punti di vista

panoramici; rispetto della geomorfologia e dell'andamento naturale del terreno; rispetto delle

caratteristiche tipologiche e compositive tradizionalmente connesse con le destinazioni funzionali

dei manufatti. Le altezze degli edifici di nuova costruzione non potranno superare:

quella media degli edifici esistenti al contorno, in contesto edificato;

mt. 6,00 all'imposta della copertura inclinata, a falda doppia o semplice, nelle aree di

nuovo insediamento abitativo a carattere sparso;

mt. 10,00 alla gronda per i manufatti a destinazione produttiva o artigianale ovvero per

le volumetrie destinate ad attrezzature pubbliche.

Le distanze tra i fabbricati non dovranno essere inferiori a mt. 10,00 con vincolo di

inedificabilità per le aree di distacco.

Gli interventi previsti saranno realizzati in ossequio e conformità alle Norme di Attuazione

del P.T.P. e alle Norme di Tecniche di Attuazione del Piano Insediamenti Produttivi

“Località Capitone” del comune di Sant’Agata de’ Goti che all’Art. 11, in particolare, prevede:

CARATTERI DI MITIGAZIONE - rispetto all’aspetto vedutistico dell’insieme ove si

localizza l’edificio “produttivo”;

CRITICITA’ - i manufatti produttivi/industriali sono generalmente caratterizzati da fronti

completamente scoperti, il colore chiaro accentua la riflessione della luce e l’effetto di

fuori scala; le estese coperture piane sono senza rapporto, né per colore né per il materiale

utilizzato con le coperture degli edifici tradizionali presenti nel paesaggio circostante.

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BUONA PRATICA - prevedibile

le facciate saranno trattate con colorazioni in accordo, per complementarietà, con la

tavolozza degli elementi naturali o ricoperte da specie rampicanti;

creazione di fascia tampone di arbusti e alberi sempreverdi e caducifoglia;

conformando l’articolazione dei volumi in corpi di fabbrica con altezze e tipologie

differenti, escludendo i modelli diffusi nelle periferie delle grandi città, si daranno dei

limiti quantitativi alle volumetrie e alle altezze degli edifici fuori terra;

le componenti di finitura ed i colori dovranno essere coerenti con la tradizione

costruttiva locale e con i colori stagionali del paesaggio (cotto, pietra locale, conci di

tufo faccia vista, colori pastello…);

per ridurre l’impatto visivo delle ampie superfici esterne pavimentate, si preferirà una

concentrazione degli accessi all’area edificata con individuazione di una viabilità

interna ribassata rispetto al piano di accesso;

l’inserimento nelle aree perimetrali di siepi e alberi di alto fusto a filare e a macchie,

secondo le forme e le specie della vegetazione circostante o storicamente connotante il

paesaggio potranno consentire la connessione visiva ed ecologica con la vegetazione

esistente;

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l’impatto della recinzione del singolo lotto dovrà essere mitigato con l’uso di siepi miste

di volume significativo, connesse visivamente alle macchie della vegetazione

circostante per riportare alla scala del paesaggio il peso degli edifici, proteggere le

visuali e compensare la riduzione della “naturalità” sottratta dalla nuova edificazione;

dovrà esserci impiego diffuso di pavimentazioni drenanti, esempio stabilizzato a

cemento o parcheggi rinverditi, di aspetto molto più rurale e meno urbano dei classici

masselli autobloccanti;

sarà diversificata la natura delle pavimentazioni evitando ampie superfici

monocromatiche e mono materiche,

eventuali muri contro terra saranno realizzati secondo le tecniche dell’ingegneria

naturalistica.

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4.3.5.4 CARATTERIZZAZIONE PAESAGGISTICA, STRUTTURA SCENICO –

PERCETTIVA E QUALITA’ VISIVA

Il paesaggio può essere definito come “forma dell’ambiente”, intendendo per ambiente tutti

quegli aspetti della realtà con i quali, direttamente o indirettamente, ognuno di noi entra in

relazione.

Dei vari aspetti dell’ambiente, dunque, il paesaggio non può essere ricondotto ad una categoria

di elementi, ma può essere definito come ciò che vediamo nel suo insieme; in altre parole il mare,

i fiumi, i boschi, le montagne, le valli, i centri abitati, i ponti, le fabbriche non sono il paesaggio,

ma lo producono.

Ogni paesaggio ha un proprio equilibrio che non è statico né monotono. Esso si modifica

inesorabilmente nel tempo, sia da solo che per opera dell’uomo, risultando, alla fine, come un

insieme di singoli elementi che possono essere raggruppati in due componenti principali: quella

antropica e quella naturale.

Analizzando la componente antropica, cioè il contesto storico-culturale-antropologico

dell’area in esame, si evidenzia che nel sito scelto per l’ubicazione dell’impianto non ci sono

vincoli archeologici potenzialmente rilevanti, né aree che dèstino particolare interesse da

questo punto di vista.

Infatti, la zona circostante l’area di intervento non risulta interessata da emergenze

architettoniche e/o urbanistiche particolarmente significative che possano entrare in contrasto

con la proponenda opera.

Nell’ambito dell’area presa in considerazione non sono stati segnalati altri beni architettonici,

né sotto forma di emergenze architettoniche isolate (cappelle, castelli, cascinali di particolare

pregio architettonico), né sotto forma di aree di pregio urbanistico (centri storici particolarmente

significativi, aree archeologiche).

Non si evincono impatti diretti e/o indiretti indotti dal presente progetto sui beni culturali.

Facendo riferimento all’area vasta di studio, si osserva che il paesaggio circostante il sito

interessato dal progetto è caratterizzato, per gran parte, dal punto di vista orografico, da terreni

pressoché pianeggianti.

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Una struttura da realizzarsi sul territorio, del resto, esercita un impatto paesaggistico anche in

funzione dell’altezza dei manufatti ed alle caratteristiche morfologiche del territorio in cui essa

sarà collocata.

È per questo che si rende necessaria la valutazione dell’impatto visivo (impatto che l’opera ha

sull’aspetto percettivo del paesaggio). Del resto, per quanto concerne la qualità visiva, la

principale problematica correlata all’analisi percettiva del paesaggio risiede nel fatto che risulta

facile incorrere in valutazioni di tipo soggettivo, in quanto non esistono dati certi, né esattamente

quantificabili. Inoltre, le caratteristiche del paesaggio difficilmente sono riconducibili a pochi

elementi, e soprattutto essi interagiscono tra di loro sebbene in modo diverso da caso a caso.

Il sito in esame, posto dal punto di vista altimetrico mediamente ad una quota di 77,0 m

s.l.m.m., ricade nella porzione occidentale del territorio comunale di Sant’Agata de’ Goti, in una

zona di fondovalle a morfologia pianeggiante, o comunque a bassissima acclività, interposta tra le

incisioni torrentizie del Vallone Capitone e del Vallone Sanguinito. L’area è caratterizzata da una

morfologia quasi del tutto pianeggiante, con pendenze mediamente non superiori a 1°-2°, resa

ancor più pianeggiante dai primi lavori di sistemazione (realizzazione delle infrastrutture di base

– viabilità di accesso ai lotti) per l’insediamento dell’Area PIP.

L’area in oggetto risulta definita da:

una morfologia “pianeggiante”;

un livello di edificazione costituito da edifici agricoli isolati e opifici industriali/produttivi

esistenti;

un parcellare largo;

presenza, seppur non dominante, di elementi vegetazionali costituiti da campi aperti;

un medio livello di integrità paesaggistica.

L’area è caratterizzata da un "pattern" in cui si riconoscono elementi paesaggistici umani extra

agricoli, vegetazionali ed agrari: i primi sono resi evidenti dalla presenza del sistema viario, in cui

gli elementi principali sono la Strada Provinciale Statale Fondo Valle Isclero, costituito da

elementi lineari che si sovrappongono ed intersecano agli altri elementi del paesaggio e dalla

presenza di insediamenti produttivi/commerciali esistenti.

Gli elementi del paesaggio agrario (inteso come forma impressa dall’uomo al paesaggio

naturale) sono evidenziati dalla suddivisione dello stesso in appezzamenti coltivati di media

grandezza e forma, separati da strade interpoderali e fossi irrigui.

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Altre forme insediative sono rappresentate dalle case isolate e masserie, legate alle attività

agricole e da insediamenti produttivi/industriali esistenti.

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Figura 109 – Localizzazione e Paesaggio tipico dell’area oggetto dell’intervento.

Per quanto riguarda l’utilizzo del suolo, come già detto, l’area in oggetto è classificata, secondo

la Mappa della Copertura del Suolo redatta dal Progetto Europeo Corine Land Cover 2012

come:

Aree industriali, commerciali.

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4.3.5.5 VALUTAZIONE QUALITATIVA DEGLI IMPATTI TRA L’OPERA E LA

COMPONENTE AMBIENTALE

Facendo riferimento allo schema adottato, si evidenzia che le azioni di impatto potenziale sulla

componente ambientale “paesaggio” sono identificabili con le azioni di progetto:

a) Fase di realizzazione dell’impianto:

- Realizzazione infrastrutture e manufatti;

b) Fase di dismissione dell’impianto:

- Dismissione impianti.

Di queste, la prima genera impatti negativi che si identificano con la costruzione dei manufatti

necessari per lo svolgimento del processo produttivo e con l’avvio del conferimento dei rifiuti, la

seconda voce, identificandosi con la dismissione degli impianti, genera impatti, ovviamente,

positivi.

Le interferenze dirette che potenzialmente si ripercuotono sulla componente ambientale

“paesaggio” sono identificabili con la linea di impatto:

- introduzione nel paesaggio visibile di nuovi elementi potenzialmente negativi sul

piano estetico – percettivo.

Nel presente ambito, il paesaggio è inteso nei suoi aspetti percepibili sensorialmente, cioè come

il complesso degli elementi compositivi (beni culturali antropici o ambientali) e delle relazioni

che li legano.

Dal punto di vista degli impatti, le perturbazioni paesaggistiche legate all’attività di progetto

risiedono nel peggioramento della qualità percettiva data dalla presenza dell’area di cantiere e,

durante la fase di esercizio, dalla presenza delle strutture e manufatti contenenti l’impiantistica

necessaria per lo svolgimento del processo produttivo previsto.

Le attività legate alle fasi di cantiere per la realizzazione delle opere previste, di per sè stesse

limitate e transitorie, non incidono direttamente sul panorama e non contribuiscono a modificare

in maniera significativa il paesaggio attuale, già caratterizzato dalla presenza di attività produttive.

Le alterazioni paesaggistiche legate all’impianto sono confinate ad un’area ristretta, definita dal

perimetro del futuro cantiere dell’impianto stesso.

Quale possibile elemento di pressione per la componente “paesaggio”, derivante dalla

realizzazione dell’intervento in oggetto, vi è la costruzione di strutture, edifici, volumi tecnici,

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impianti, i quali in ragione delle loro dimensioni potrebbero alterare la percezione del paesaggio

in area locale, influendo negativamente sulla qualità vedutistica del territorio di pianura.

L’intervento, tuttavia, sarà sostanzialmente effettuato su un territorio già caratterizzato

in parte da una connotazione industriale, che ospita già diversi insediamenti produttivi ed

industriali, rendendo assai modesta la pressione sull’ambiente naturale.

Figura 110 – Individuazione sito oggetto dell’intervento.

Le aree di intervento saranno concentrate totalmente all’interno del perimetro dell’esistente

Area P.I.P.

Venendo alla valutazione di impatto, è certamente da premettere come a livello locale le altezze

dei manufatti che andranno a comporre il futuro impianto risulteranno superiori rispetto a quelle

delle architetture rurali sparse nel territorio a uso agricolo.

I volumi che costituiscono l’opera proposta seguono gli allineamenti obbligati dalla viabilità

già realizzata e che definisce il lotto dell’area PIP, ma si è prestata attenzione anche a seguire, per

quanto possibile, gli allineamenti degli altri elementi antropici e sinantropici presenti nell’area di

riferimento.

Al fine di definire meglio, visivamente, i diversi volumi delle opere si sono utilizzati

cromatismi differenti tutti tratti dalla tavolozza di colori e tonalità offerte dall’area di studio.

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L’utilizzo di colorazioni differenti aiuta sia a mitigare visivamente l’inserimento del progetto

nel territorio, sia a scomporre e distinguere i diversi elementi progettuali. Notiamo la presenza del

colore “mattone” dei tetti, del colore “tufo giallo” per le aree libere, del verde “oliva” per gli

elementi verticali, del marrone – come la terra locale – per altri elementi verticali e in acciaio,

mentre il verde per gli spazi aperti è stato costruito utilizzando le tonalità del verde letto sul

territorio (dal verde più acceso per le aree a prato a quello degli ulivi e dei lecci).

Si è scelto infine di evitare l’impiego massivo del cemento e dell’asfalto proprio per eludere la

sensazione che sia stata fatta una “colata di cemento” la quale invece affiora chiaramente

nell’osservare che dall’alto guarda l’elemento industriale già esistente nell’area PIP. Infatti è stato

scelto, proprio a tal fine, un asfalto colorato con cromatismi locali (il richiama il tufo giallo del

centro storico).

La presenza di alcuni volumi che presentano colorazioni grigio cemento dall’alto, è stata voluta

e ricercata ed ha la finalità di esprimere la natura industriale delle opere, evitando un

mascheramento totale che rischiava di risultare artefatto ed artificioso, inserendo elementi sinceri

ma contenuti in termini di dimensioni.

Va evidenziato come questi volumi non siano visibili dalle principali prospettive vedutistiche;

infatti, anche percorrendo la Strada Provinciale Fondo Valle Isclero, la percezione dell’impianto

sarà mitigata dalla presenza di rilevati in terra lungo la strada e da una fascia alberata esistente che

mascherano i fabbricati dell’impianto.

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Figura 111 – Vedute in direzione dell’area dell’intervento lungo la Strada Provinciale Fondo Valle Isclero.

Gli edifici ed i corpi impiantistici in progetto si attesteranno ad una quota di circa 10 m dal p.c.,

pertanto le loro linee di sommità saranno confrontabili con quelle di opifici esistenti, senza creare

un sensibile aggravio nella percezione delle altezze del comparto.

Diverso è invece il discorso per alcuni attrezzature tecnologiche, che possono raggiungere

altezze superiori configurandosi quindi quali punti emergenti rispetto allo skyline generale.

Complessivamente, potrebbe rilevarsi la presenza di elementi eterogenei quanto ad

altezza/profilo. L’eccezionalità e l’eterogeneità dimensionali sono dovute, tuttavia,

all’eccezionalità della funzione dell’ambito e pertanto difficilmente eludibili.

La disposizione planimetrica è anch’essa fortemente vincolata dalle esigenze impiantistiche.

Il layout dell’impianto presenterà una planimetria abbastanza articolata costituita da edifici di

dimensione diversa, componenti impiantistiche a vista, vani tecnici, vasche.

L’orientamento delle aree in progetto, la sua dimensione associata a quella delle numerose

componenti impiantistiche da ospitare, nonché i modesti spazi disponibili rendono complesso

individuare modalità di relazione semplice fra i manufatti; nonostante questa difficoltà, gli

allineamenti adottati dal progetto in oggetto cercano di creare un sistema ordinato e coerente con

il proprio intorno.

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Del resto, come precedentemente espresso, l’area in cui si colloca l’impianto è a destinazione

industriale/produttiva (Area P.I.P.) ed è inserito in un contesto più ampio a matrice agricola,

in area di pianura.

Da un lato quindi si configura un contrasto del progetto rispetto alle forme naturali del contesto

(orditura agricola), alle formazioni vegetali, alle regole morfologiche e compositive riscontrate

nella organizzazione degli insediamenti e del paesaggio rurale.

Dall’altro lato, si evidenzia la coerenza tipologica all’interno del più ampio ambito di sito.

Il nuovo impianto e l’area in cui esso si colloca possono introdurre un’alterazione dei caratteri

del luogo in quanto non si possono adottare tipologie costruttive rigorosamente affini a quelle

presenti nell’intorno, di carattere tradizionale e rurale e con destinazioni funzionali completamente

diverse.

Anche per quanto riguarda l’incidenza linguistica (stile, materiali, colori) dell’intervento, va

detto che l’area in cui l’impianto si colloca è in netto contrasto rispetto ai modi linguistici tipici

del contesto, inteso come ambito di riferimento storico-culturale “tradizionale”, di matrice rurale.

In termini locali, tuttavia, un elevato livello di contraddizione è intrinseco ai linguaggi di

un insediamento industriale ubicato in un paesaggio rurale e come tale insanabile.

Si è già evidenziato come la molteplicità di componenti impiantistiche a caratterizzazione

diversa porti alla compresenza di volumi e materiali eterogenei.

Alcune disomogeneità “stilistiche” e materiche restano pertanto inevitabili e da mitigarsi e

compensarsi attraverso altre categorie di attenzioni progettuali, fra cui si richiamano nuovamente

la razionalità e la semplicità distributiva. Un altro fattore che contribuisce a creare qualità

architettonica anche nei casi in cui non sia possibile conferire un senso di assoluta omogeneità e

coerenza fra le diverse parti del sistema, è la cura per i dettagli costruttivi, che è opportuno

caratterizzi la fase di esecuzione del progetto.

L’incidenza visiva dell’impianto è certamente non significativa con riferimento alla

percezione dalla Strada Provinciale Fondo Valle Isclero, in quanto, come più volte sottolineato,

risulta schermata dai rilevati in terra esistenti lungo la strada e dalla vegetazione esistente.

Maggiormente sensibile è l’alterazione indotta dalla realizzazione dell’impianto, dalle

prospettive più interne all’Area P.I.P.: da tali prospettive la barriera a verde prevista fungerà

comunque da filtro, permettendo quindi di mascherare almeno in parte anche le emergenze visuali

di maggiore rilievo.

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Per quanto riguarda gli abitati prossimi, non si rilevano criticità in quanto essi risultano

sufficientemente distanti dall’impianto in progetto.

Inoltre va evidenziato come la presenza dell’Area P.I.P. delle infrastrutture realizzate e degli

opifici esistenti, abbiano già alterato la percezione visiva del territorio. È in tal senso certamente

riscontrabile come la dimensione, il linguaggio architettonico e, più in generale, l’estetica dei

manufatti impiantistici non vadano ad incrementare il contrasto con i caratteri insediativi ed

architettonici del sistema rurale immediatamente circostante.

L’inserimento paesaggistico del complesso impiantistico sarà mitigato dalla realizzazione

di una barriera vegetazionale costituita da una siepe monofilare con alberi ad alto fusto

alternati ad arbusti, posta lungo i confini dell’area di intervento.

Questa sistemazione, realizzata con impiego di specie autoctone, è idonea a mitigare l’impatto

dell’edificato verso gli spazi aperti ed è deputata a favorire l’inserimento paesaggistico del sito,

occultando parzialmente, dal punto di vista percettivo, le strutture ed i manufatti dell’impianto in

esame.

Essendo, inoltre, l’area a vincolo paesistico, l’incidenza delle opere è stata valutata anche

mediante fotoinserimenti.

Nelle seguenti figure si riporta, dunque, lo stato attuale e lo stato previsto.

Figura 112 – Individuazione sito oggetto dell’intervento – STATO DI FATTO.

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Figura 113 – Individuazione sito oggetto dell’intervento – STATO DI PROGETTO.

Figura 114 – Render degli edifici accettazione e uffici.

Figura 115 – Render facciata zona pretrattamenti.

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Figura 116 – Render tettoie.

Figura 117 – Render digestori.

Figura 118 – Render Upgrading e Scrubber.

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Figura 119 – Ante e post operam.

Figura 120 – Ante e post operam.

Dai fotoinserimenti delle figure precedenti, si evince come l’impatto visivo dell’opera risulta

ora ulteriormente mitigato in maniera piuttosto significativa dalla realizzazione della cortina

alberata.

Date le evidenze fin qui esposte si ritiene che l’impatto per la qualità del paesaggio determinato

dalla realizzazione dell’intervento risulti non significativo.

Si rimanda all’Elab. 19 - Relazione Paesaggistica allegata per ulteriori approfondimenti.

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4.3.6 RUMORE

La caratterizzazione della qualità dell’ambiente in relazione al rumore dovrà consentire di

definire le modifiche introdotte dall’opera, verificarne la compatibilità con gli standard esistenti,

con gli equilibri naturali e la salute pubblica da salvaguardare e con lo svolgimento delle attività

antropiche nelle aree interessate.

Il progetto in esame è corredato da uno studio previsionale sull’impatto acustico, il cui scopo è

quello di prevedere gli effetti acustici ambientali “post operam” generati nel territorio circostante

dall’esercizio dell’impianto in progetto, mediante il calcolo dei livelli di immissione di rumore.

Lo scenario acustico così definito è stato sottoposto a verifica mediante confronto con i limiti

imposti dalle normative vigenti in corrispondenza dei punti di misura individuati, così da poter

evidenziare eventuali situazioni critiche, al fine di progettare gli interventi di abbattimento e

mitigazione necessari al contenimento degli effetti previsti.

Una volta definiti i recettori, a partire dalla definizione delle pressioni sonore individuate nei

macchinari costituenti l’impianto, è stato valutato il livello sonoro che si avrebbe in

corrispondenza dei ricettori, ad impianto attivo.

Il fine ultimo dell’indagine fonometrica è quello di evidenziare l’insorgere di eventuali criticità

ambientali mediante la stima previsionale di valori significativi e non quello di definire

quantitativamente un esatto scenario fisico; è pertanto in tale ottica che va interpretata la valenza

dei risultati, che sono da considerarsi sempre come indicativi, così come tutti i risultati di modelli

fisico-matematici di simulazione previsionale, poiché oltre che dall’approssimazione

dell’algoritmo di calcolo implementato, dipendono anche dalla reale attendibilità dei dati di

ingresso forniti dalle tecnologie proposte, e nella fattispecie dai produttori dei macchinari che

saranno installati.

4.3.6.1 ZONIZZAZIONE ACUSTICA AREE DI INTERESSE

La normativa di riferimento applicata ai fini della definizione dei potenziali impatti negativi

dovuti alle emissioni sonore provenienti dallo stabilimento in esame, è contenuta sostanzialmente

nel D.P.C.M. 01/03/91, nella L.447/95, nel D.P.C.M. 14/11/97 e nel D.M. 16/03/98, includendo

le successive modifiche ed integrazioni. Di seguito si riporta un quadro più completo della

normativa di riferimento per l’inquinamento acustico in relazione alla problematica di interesse:

D.M. del 16 marzo 1998, “Tecniche di rilevamento e di misurazione dell’inquinamento

acustico”;

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D.P.C.M. del 14 novembre 1997, “Determinazione dei valori limite delle sorgenti sonore”;

L. del 26 ottobre 1995 n° 447 “Legge quadro sull’inquinamento acustico”;

D.P.C.M. del 1 marzo 1991, “Limiti massimi di esposizione al rumore negli ambienti abitativi

e nell’ambiente esterno.

Il Comune di Sant’Agata de’ Goti allo stato attuale non ha effettuato la zonizzazione

acustica del proprio territorio comunale ed è pertanto attualmente sprovvisto di Piano di

Zonizzazione Acustica Comunale.

Pertanto si applicano (art.8 D.P.C.M. 14/11/97), i limiti di cui all’art. 6 comma 1 del D.P.C.M.

1 marzo 1991, così come modificato dall’art. 15 del D.lgs. 447/95 e, come detto, valgono i limiti

di ammissibilità riportati nella successiva tabella.

Essendo l’impianto in questione ubicato, secondo il Piano Regolatore Generale in “Zona D2”

(Zona omogenea di nuovi impianti industriali e artigianali) – Area P.I.P., appare opportuno, alla

luce delle caratteristiche urbanistiche e territoriali esaminate, applicare i limiti per Zona

esclusivamente industriale ovvero 70 dB(A) [periodo diurno] e 70 dB(A) [periodo notturno].

Attualmente in prossimità del sito in cui sorgerà l’impianto, in direzione Est, Sud e Ovest, sono

stati individuati alcuni ricettori sensibili (edifici ad uso residenziale) ricadenti, in riferimento al

P.R.G. comunale, in zona E_08 “Zone Omogenee agricole semplici”, alla distanza variabile tra

i 270 mt e i 440 m.

Per tali ricettori, come riportato successivamente, verrà condotta la verifica del rispetto dei

limiti assoluti applicando, alla luce della loro destinazione urbanistica, i limiti di cui all’art. 6

comma 1 del D.P.C.M. 1 marzo 1991, previsti per Tutto il territorio nazionale ovvero 70 dB(A)

[periodo diurno] e 60 dB(A) [periodo notturno] e i limiti differenziali di immissione acustica.

Tabella 28 – Tabella B: valori limite di emissione - Leq in dB(A) (art.2 - D.P.C.M. 14/11/1997).

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Tabella 29 – Tabella C: valori limite assoluti di immissione - Leq in dB(A) (art. 3 - D.P.C.M. 14/11/1997).

Tabella 30 - Valori limite di ammissibilità validi in regime transitorio [D.P.C.M. 1/3/1991 - Leq in dB(A)].

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4.3.6.2 VALUTAZIONE QUALITATIVA DEGLI IMPATTI TRA L’OPERA E LA

COMPONENTE AMBIENTALE

Facendo riferimento allo schema adottato, si evidenzia che le azioni di impatto potenzialmente

indotte dalla realizzazione ed esercizio delle opere in progetto sulla componente ambientale

“rumore” sono direttamente derivanti dalle seguenti azioni di progetto:

a) Fase di realizzazione dell’impianto:

- Preparazione del cantiere;

- Scavi, movimenti terra;

- Realizzazione infrastrutture e manufatti;

- Realizzazione sottoservizi e collegamenti;

b) Fase di esercizio dell’impianto:

- Traffico indotto;

- Trattamento rifiuti.

c) Fase di dismissione dell’impianto:

- Dismissione impianti.

Le attività che producono rumore nella fase di realizzazione dell’impianto sono

essenzialmente legate al movimento dei mezzi meccanici impegnati nelle operazioni di scavo e

movimentazione terra, nelle movimentazioni materiali all’interno dell’impianto e lungo la

viabilità di accesso, oppure come effetto del sollevamento operato dagli automezzi durante i lavori

e delle diverse fasi realizzative e cantieristiche.

I rumori nella fase dei lavori risulteranno di modesta entità, tali da non generare effetti

significativi sull’ambiente; i mezzi che operano saranno conformi ai requisiti di legge previsti per

le emissioni sonore, in ottemperanza anche alle normative in materia di tutela della salute dei

lavoratori.

Si ricorda tuttavia che gli impatti in fase di cantiere sono fisicamente e temporalmente limitati

oltreché interessare le sole diurne quindi non è mai tale da inficiare sul differenziale notturno (il

quale da normativa impone limiti di emissioni decisamente inferiori rispetto al periodo diurno).

È comunque un impatto temporaneo che si sviluppa solo durante il giorno e per un periodo di

tempo limitato alla fase di realizzazione delle operazioni di cantiere.

La natura di tale impatto è transitoria e completamente reversibile alla fine dei lavori.

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Per quanto riguarda il rumore prodotto dall’impianto di progetto in fase di esercizio, è stata

condotta un’analisi dei possibili rischi di inquinamento acustico derivanti dalle emissioni sonore

prodotte dal regolare funzionamento dell’impianto, valutandone gli effetti in ambiente esterno e

in corrispondenza dei ricettori sensibili individuati, ovvero in ambienti abitativi ubicati nelle

immediate vicinanze, il tutto finalizzato ad individuare i livelli di immissione di rumore da

confrontare con i valori limite previsti dalla normativa vigente in materia di inquinamento

acustico.

Dall’analisi svolta si evidenzia che:

Periodo di riferimento diurno (ricettori sensibili): in tutti i punti di misura vengono

rispettati i limiti di immissione ed emissione del rumore, previsti dal D.P.C.M. del

1/3/1991, per la relativa classe di appartenenza del territorio;

Periodo di riferimento notturno (ricettori sensibili): in tutti i punti di misura vengono

rispettati i limiti di immissione ed emissione del rumore, previsti dal D.P.C.M. del

1/3/1991, per la relativa classe di appartenenza del territorio.

Limiti differenziali: in tutti i punti di misura, sia durante il periodo di riferimento

diurno che notturno, vengono rispettati i limiti differenziali previsti dal D.P.C.M. del

01/03/1991 e del 14 novembre 1997. Con riferimento alla verifica del criterio

differenziale, è opportuno precisare che tale criterio è un criterio di verifica e non di

progetto, dal momento che l’art. 2 del DPCM 01/03/1991 e l’art. 4 del DPCM

14/11/1997 specificano che i valori limiti differenziali di immissione devono essere

rispettati “all’interno degli ambienti abitativi” e “verificati tramite misura”. In fase di

progetto si può solo fornire un’indicazione della variazione del livello sonoro in facciata

ai recettori più esposti, all’esterno degli stessi, dal momento che non è possibile

effettuare misure all’interno degli ambienti abitativi e che non è possibile stimare con

sufficiente accuratezza la propagazione del rumore all’interno degli ambienti abitativi a

finestre aperte. È opportuno sottolineare che il rispetto del criterio differenziale

all’esterno dell’ambiente abitativo è una condizione più restrittiva del rispetto del

medesimo criterio all’interno dell’ambiente abitativo.

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441

L’indagine fonometrica previsionale ha evidenziato che i livelli complessivi di immissione

durante la fase di esercizio all’interno dell’area in esame risultano alterati in maniera non

significativa dal contributo dovuto alla realizzazione e messa in funzione dell’opera; pertanto

l’impatto sulla componente rumore può essere considerato di media entità, a raggio ridotto e di

durata pari alla vita dell’impianto.

In fase di cantiere dovranno essere adottate una serie di prescrizioni sulle caratteristiche di

emissione dei mezzi utilizzati al fine di contenere le emissioni sonore verso aree esterne all’area

di impianto.

Inoltre, nel rispetto della normativa vigente, verranno effettuate misure fonometriche con

impianto in esercizio, al fine di apportare un aggiornamento della valutazione previsionale di

impatto acustico. Di norma le misurazioni verranno poi effettuate con regolare cadenza e

comunque ogni qualvolta intervengano modifiche impiantistiche che possano comportare una

variazione rilevante in relazione all’impatto acustico.

Si rimanda alla relazione Previsionale di Impatto Acustico allegata per i dovuti

approfondimenti in merito.

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442

4.3.7 RADIAZIONI IONIZZANTI E NON IONIZZANTI

L’elettromagnetismo è quella parte dell’elettrologia che studia le interazioni tra campi elettrici

e campi magnetici. Attraverso le equazioni di Maxwell, che costituiscono le leggi fondamentali

dell’elettromagnetismo, si deduce che il campo elettrico e quello magnetico si propagano nello

spazio come un’onda; questi campi sono indissolubilmente legati l’uno all’altro: non si può avere

propagazione di un campo elettrico non accompagnato da un campo magnetico; inoltre essi sono

ortogonali tra loro e alla direzione di propagazione; questo nuovo tipo di campo è detto campo

elettromagnetico (CEM). Sulla base di questi risultati, che costituiscono il contenuto più

importante delle equazioni di Maxwell, si è sviluppata la teoria delle radiazioni

elettromagnetiche.

Queste si dividono fondamentalmente in due gruppi: radiazioni ionizzanti e radiazioni non

ionizzanti.

Le radiazioni ionizzanti (raggi x, raggi gamma e una parte degli ultravioletti) sono quelle

capaci di trasportare energia sufficiente a ionizzare gli atomi di idrogeno, mentre le radiazioni che

hanno frequenze non superiori a quelle corrispondenti all’ultravioletto sono dette non ionizzanti

(NIR), e sono quelle che non possono alterare i legami chimici delle molecole organiche.

La caratterizzazione della qualità dell’ambiente in relazione alle radiazioni ionizzanti e non

ionizzanti dovrà consentire la definizione delle modifiche indotte dall’opera, verificarne la

compatibilità con gli standard esistenti e con i criteri di prevenzione di danni all’ambiente ed

all’uomo, attraverso:

la descrizione dei livelli medi e massimi di radiazioni presenti nell’ambiente interessato, per

cause naturali ed antropiche, prima dell’intervento;

la definizione e caratterizzazione delle sorgenti e dei livelli di emissioni di radiazioni

prevedibili in conseguenza dell’intervento;

la definizione dei quantitativi emessi nell’unità di tempo e del destino del materiale (tenendo

conto delle caratteristiche proprie del sito) qualora l’attuazione dell’intervento possa causare

il rilascio nell’ambiente di materiale radioattivo;

la definizione dei livelli prevedibili nell’ambiente, a seguito dell’intervento sulla base di

quanto precede per i diversi tipi di radiazione;

la definizione dei conseguenti scenari di esposizione e la loro interpretazione alla luce dei

parametri di riferimento rilevanti (standard, criteri di accettabilità, ecc.).

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443

Tra le principali sorgenti artificiali di campi elettromagnetici nell’ambiente vanno annoverati:

- campi elettromagnetici a bassa frequenza, generati dagli apparati per il trasporto e la

distribuzione dell’energia elettrica o elettrodotti. Essi, denominati comunemente ELF,

sono costituiti da linee elettriche ad altissima, alta, media e bassa tensione, da centrali di

produzione e da stazioni e cabine di trasformazione dell’energia elettrica;

- campi elettromagnetici ad alta frequenza, generati dagli impianti per radio-

telecomunicazione. Essi comprendono i sistemi per diffusione radio e televisiva, gli

impianti per la telefonia cellulare o mobile o stazioni radio base, gli impianti di

collegamento radiofonico, televisivo e per telefonia mobile e fissa (ponti radio) ed i radar.

I valori limite dei campi elettromagnetici e le distanze di rispetto degli elettrodotti da fabbricati

ed abitazioni erano stati fissati dal DPCM 23 aprile 1992 “Limiti massimi di esposizione ai campi

elettrico e magnetico generati dalla frequenza industriale nominale (50Hz) negli ambienti abitativi

e nell’ambiente esterno”.

In particolare, i limiti di esposizione sono fissati come segue:

Le distanze, invece, variavano a seconda della classe di tensione delle linee elettriche ed erano

determinate come di seguito riportato:

10 m (dal conduttore più vicino) per linee a 132 kV

18 m (dal conduttore più vicino) per linee a 220 kV

28 m (dal conduttore più vicino) per linee a 380 kV

Successivamente, nel febbraio del 2001, è stata approvata la “Legge quadro sulla protezione

dalle esposizioni ai campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici”, n.4816, che mirava a dettare

i principi fondamentali per la tutela della salute dei cittadini e dei lavoratori esposti ai campi

elettrici, magnetici ed elettromagnetici con frequenze comprese tra 0 Hz e 300 GHz, definendo,

attraverso i suoi decreti attuativi, il valore limite di esposizione, il valore di attenzione dei campi

e la distanza di rispetto dagli elettrodotti.

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444

Il recente D.P.C.M. 8 luglio 2003 fissa i “limiti di esposizione, valori di attenzione e obiettivi

di qualità per la protezione della popolazione dalle esposizioni ai campi elettrici e magnetici alla

frequenza di rete (50 Hz) connessi al funzionamento e all’esercizio degli elettrodotti”, laddove

all’allegato A, parte integrante del decreto stesso, viene definito elettrodotto “l’insieme delle linee

elettriche delle sottostazioni e delle cabine di trasformazione”. All’art. 3 si stabilisce che: “nel

caso di esposizione a campi elettrici e magnetici alla frequenza di 50 Hz generati da elettrodotti,

non deve essere superato il limite di esposizione di 100 μT per l’induzione magnetica e 5 kV/m

per il campo elettrico, intesi come valori efficaci”.

Inoltre, per prevenire i possibili effetti a lungo termine, eventualmente connessi con

l’esposizione ai campi elettromagnetici, vengono definiti i limiti di esposizione per gli individui

della popolazione che trascorrono più di quattro ore giornaliere in luoghi prossimi a linee ed

installazioni elettriche.

In tal caso si assume come valore di attenzione 10 μT da intendersi come mediana dei valori

nell’arco delle 24 ore nelle normali condizioni di esercizio, e come valore limite 3 μT per le

costruzioni adibite ad abitazione.

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445

4.3.7.1 VALUTAZIONE QUALITATIVA DEGLI IMPATTI TRA L’OPERA E LA

COMPONENTE AMBIENTALE

Facendo riferimento allo schema adottato, si evidenzia che le azioni di impatto potenziale sulla

componente ambientale “radiazioni ionizzanti e non ionizzanti” sono identificabili con le azioni

di progetto:

a) Fase di realizzazione dell’impianto:

- Realizzazione infrastrutture e manufatti;

- Realizzazione sottoservizi e collegamenti;

b) Fase di esercizio dell’impianto:

- Trattamento rifiuti.

Durante la fase di costruzione l’impatto dell’impianto sui campi elettromagnetici naturali è

nullo in quanto nessuna delle attività previste darà luogo a radiazioni di tale tipo.

In fase di esercizio, l’area circostante la zona dell’impianto in progetto non presenta particolari

situazioni di rischio legate alla presenza di fonti di radiazioni ionizzanti di origine non naturale.

In fase di esercizio, l’impianto non è fonte di radiazioni ionizzanti e pertanto non è

associabile a tali problematiche.

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446

4.3.8 SALUTE PUBBLICA

Obiettivo della caratterizzazione dello stato di qualità dell’ambiente, in relazione al benessere

ed alla salute umana, è quello di verificare la compatibilità delle conseguenze dirette ed indirette

delle opere e del loro esercizio con gli standard ed i criteri per la prevenzione dei rischi riguardanti

la salute umana a breve, medio e lungo periodo attraverso:

- la caratterizzazione dal punto di vista della salute umana, dell’ambiente e della comunità

potenzialmente coinvolti, nella situazione in cui si presentano prima dell’attuazione del

progetto;

- l’identificazione e la classificazione delle cause significative di rischio per la salute umana da

microrganismi patogeni, da sostanze chimiche e componenti di natura biologica, qualità di

energia, rumore, vibrazioni, radiazioni ionizzanti e non ionizzanti, connesse con l’opera;

- la identificazione dei rischi eco-tossicologici (acuti e cronici, a carattere reversibile ed

irreversibile) con riferimento alle normative nazionali, comunitarie ed internazionali e la

definizione dei relativi fattori di emissione;

- la descrizione del destino degli inquinanti considerati, individuati attraverso lo studio del

sistema ambientale in esame, dei processi di dispersione, diffusione, trasformazione e

degradazione e delle catene alimentari;

- l’identificazione delle possibili condizioni di esposizione delle comunità e delle relative aree

coinvolte;

- l’integrazione dei dati ottenuti nell’ambito delle altre analisi settoriali e la verifica della

compatibilità con la normativa vigente dei livelli di esposizione previsti;

- la considerazione degli eventuali gruppi di individui particolarmente sensibili e dell’eventuale

esposizione combinata a più fattori di rischio.

Per quanto riguarda l’opera in oggetto, l’indagine dovrà riguardare la definizione dei livelli di

qualità e di sicurezza delle condizioni di esercizio, anche con riferimento a quanto sopra

specificato.

Come detto, con la definizione “salute pubblica” si intende lo stato di qualità dell’ambiente, in

relazione al benessere ed alla salute umana, sia dei singoli individui che delle comunità.

L’Organizzazione Mondiale della Sanità definisce la salute come “uno stato di completo

benessere fisico, mentale e sociale e non semplicemente come assenza di malattia o infermità”.

Appare, quindi, sempre più pressante per le comunità sociali, specie nei paesi a più alto sviluppo,

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447

l’impegno di esaminare in modo approfondito natura ed entità di ogni modificazione

dell’ambiente, al fine di evidenziare eventuali conseguenze negative per la salute. Tra gli effetti

indiretti prodotti dalle modificazioni dell’ambiente, ed in particolare dagli inquinamenti di aria,

acqua, suolo ed alimenti, sicuramente il più allarmante è quello che si può produrre sulla salute

degli organismi viventi tra cui l’uomo. Nello specifico, bisogna stimare i probabili effetti

dell’attività (negativi e positivi) sulla salute pubblica, intesa nel senso ampio, così come

precedentemente riportato.

In tale contesto, non le singole azioni di progetto, ma la presenza stessa dell’impianto crea

solitamente una interferenza diretta che si ripercuote su tale componente in termini di disagi

emotivi conseguenti al crearsi di condizioni rifiutate dalla sensibilità comune, comunemente

ripresa dal concetto della cosiddetta sindrome NIMBY (Not In My Back Yard).

Tuttavia, tra gli effetti ambientali dell’intervento sulla salute umana è sicuramente da rilevare

un generale miglioramento delle condizioni igienico-sanitarie legato ad una riduzione degli impatti

ambientali prodotti dalle discariche e dalla continua emergenza rifiuti.

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448

4.3.8.1 VALUTAZIONE QUALITATIVA DEGLI IMPATTI TRA L’OPERA E LA

COMPONENTE AMBIENTALE

Le linee di impatto potenzialmente derivanti dagli interventi in progetto, rappresentate dai

“Disagi emotivi conseguenti al crearsi di condizioni rifiutate dalla sensibilità comune”, sono

identificabili con le azioni di progetto:

a) In fase di realizzazione dell’impianto:

- Realizzazione ed adeguamenti infrastrutture e manufatti;

b) In fase di esercizio dell’impianto:

- Conferimento rifiuti;

- Monitoraggio ambientale;

c) In fase di dismissione dell’impianto:

- Dismissione impianti.

Si precisa, inoltre, che aspetti quali il potenziale peggioramento della qualità dell’aria e

l’incremento della rumorosità, concettualmente, non possono essere disgiunti dalla valutazione

complessiva del benessere della popolazione ma, poiché sono trattati specificatamente nell’ambito

delle componenti ambientali “atmosfera” e “rumore”, si rimanda ai capitoli specifici per un

maggior dettaglio.

Alla luce della destinazione dell’area (area P.I.P.) e della distanza dal centro abitato, l’incidenza

sulla salute pubblica dovuta alle diverse fasi di cantierizzazione per la realizzazione

dell’impianto, risulta poco significativa e comunque, per definizione, temporanea.

Tali interferenze con la salute pubblica riguardano principalmente l’aumento del transito di

mezzi d’opera speciali che sono in grado di determinare temporanei e localizzati innalzamenti

degli inquinanti presenti nell’atmosfera. Tuttavia tali inquinanti non possono essere tali da

determinare impatti sulla salute umana essendo circoscritti nel tempo ed anche limitati

spazialmente. Sempre in fase di cantiere è possibile che aumenti l’inquinamento acustico, tuttavia

ciò è verificato solo nelle ore diurne e nei giorni feriali pertanto quanto già il rumore di fondo è

maggiore e per normativa vigente in materia i livelli di immissione sono più alti.

In fase di esercizio, le problematiche ambientali connesse ad un impianto di produzione di

biometano e ad un impianto di produzione di fertilizzanti/compost, mediante trattamento della

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frazione organica dei rifiuti urbani, generano, inevitabilmente, disagi emotivi nella popolazione,

ed in particolare nei residenti nelle aree limitrofe al sito in esame.

Nel caso in oggetto, tuttavia, l’area interessata dal progetto si colloca in un contesto

produttivo/industriale (area P.I.P.) a conferma della vocazione industriale dell’area di indagine.

Inoltre, la tecnologia individuata nel presente progetto per la stabilizzazione della FORSU è la

digestione anaerobica che per sua natura avviene in ambiente chiuso ermeticamente senza la

possibilità di emissioni odorigene in atmosfera.

Ne consegue che, gli impianti in progetto sono destinati a generare l’insorgere di minori disagi

emotivi rispetto ad esempio, ad impianti che prevedono un processo di stabilizzazione aerobica

del rifiuto (caratterizzato da maggiori emissioni odorigene), la cui presenza è maggiormente

rifiutata dalla sensibilità comune.

Per quanto concerne i potenziali impatti nei confronti degli isolati edifici rurali, presenti in

prossimità del sito, e dei concentrici abitativi più distanti, saranno prese tutte le precauzioni

tecniche e gestionali per far fronte alle potenziali situazioni di rischio e/o disagio nei confronti

della popolazione, ossia: produzione di fastidiosi odori, produzioni di polveri, produzione di

emissioni sonore.

Al fine di controllare e minimizzare, se non annullare, le suddette conseguenze saranno adottati,

già in fase di progettazione adeguati sistemi e procedure, quali:

porte ad impacchettamento per il conferimento dei rifiuti;

bussola di scarico per il conferimento dei rifiuti;

chiusura dei contenitori di stoccaggio temporaneo dei rifiuti prodotti dal processo;

pulizia e manutenzione periodica delle aree di lavorazione e di accesso;

scelta di adeguate tecnologie per l’abbattimento degli inquinanti generati dal processo

(biofiltro, torri di lavaggio, etc.);

scelta della tecnologia di digestione anaerobica a monte del processo di compostaggio

aerobico tale da garantire la drastica riduzione del potenziale osmogeno del rifiuto prima

dell’avvio alla fase di stabilizzazione aerobica;

Da quanto sopra detto si conclude che l’impatto delle opere in progetto sulla componente

ambientale salute e benessere risulta di bassa entità, a raggio ridotto e di durata pari alla vita utile

dell’impianto.

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4.3.9 TRAFFICO E VIABILITA’

L’impianto in oggetto sarà ubicato in una zona periferica del comune di Sant’Agata de’ Goti,

distante dal centro abitato, come detto nell’area P.I.P. “Località Capitone”.

L’area dista dal centro storico e urbano del Comune di Sant’Agata de’ Goti circa 4,5 km in

linea d’aria. L’area infatti è localizzata nei pressi del confine del Comune di Sant’Agata de’ Goti

con i territori di comunali di Limatola in provincia di Benevento e Valle di Maddaloni e Caserta

della provincia di Caserta.

Le principali arterie viarie presenti, che consentono di raggiungere il sito coinvolto dal presente

progetto, sono rappresentate da:

Autostrada A1 – Uscita Caserta Sud – Marcianise;

Strada Provinciale SP335;

Strada Provinciale “Fondo Valle Isclero”;

Strada Provinciale SP121, che diramandosi dalla SP “Fondo Valle Isclero” conduce

all’Area P.I.P. “Capitone”.

L’area P.I.P. di Sant’Agata de’ Goti è facilmente raggiungibile tramite viabilità attraverso la

strada provinciale Fondo Valle Isclero che ha proprio l’uscita zona Industriale Sant’Agata de’ Goti

a circa 500 m dall’area di installazione dell’impianto.

La strada Provinciale Fondo Valle Isclero è un’arteria strategica per il collegamento stradale

per l’intera Campania occidentale in quanto consente un agevole collegamento per il Sannio e

l’Irpinia.

La Fondo Valle Isclero è collegata alla rete autostradale A1/E45 attraverso lo svincolo Caserta

Sud – Marcianise e la SP 335 via Forche Caudine.

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Figura 121 – Percorso stradale per raggiungere l’impianto dallo svincolo autostrada A1/E45 Caserta Sud.

Il sistema stradale di accesso al sito risulta ampio e scorrevole e si può ritenere adeguato alle

esigenze del complesso impiantistico in progetto senza la necessità di ulteriori miglioramenti.

L’area di indagine risulta intensamente antropizzata, con la presenza, nell’intorno del sito in

oggetto, di numerose infrastrutture viarie.

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4.3.9.1 VALUTAZIONE QUALITATIVA DEGLI IMPATTI TRA L’OPERA E LA

COMPONENTE AMBIENTALE

Facendo riferimento allo schema adottato, si evidenzia che le linee di impatto potenzialmente

indotte dalla realizzazione ed esercizio delle opere in progetto sulla componente ambientale

“traffico e viabilità” sono derivanti dall’azione di progetto:

- Conferimento rifiuti.

Le interferenze dirette che si ripercuotono sulla componente ambientale “assetto territoriale”

sono identificabili con la voce:

- Impegno temporaneo di viabilità locale da parte del traffico indotto.

In fase di cantiere per la realizzazione delle opere previste per la realizzazione dell’impianto

in progetto, la viabilità risulta direttamente interessata soprattutto per quanto riguarda il trasporto,

da e verso il sito, dei materiali connessi alla realizzazione delle opere civili, impiantistiche ed

infrastrutturali previste per l’impianto, alla movimentazione dei materiali, delle materie prime utili

e dei materiali di risulta da smaltire.

Il traffico veicolare potrà subire, pertanto, un modesto aumento dovuto appunto alla

circolazione dei mezzi d’opera, incremento che può considerarsi non significativo e per lo più

localizzata nello spazio e nel tempo, tanto da considerarsi poco significativa la sua incidenza sulla

popolazione.

In fase di esercizio, il conferimento dei rifiuti genera, inevitabilmente, flussi di traffico da e

per il sito in oggetto.

È evidente, infatti, come gli automezzi utilizzati per il conferimento dei rifiuti e per il

successivo trasporto possano determinare un incremento di traffico veicolare; a rendere meno

consistente l’impatto è sicuramente la vicinanza alla viabilità principale (e quindi un facile

smaltimento dei flussi veicolari), unitamente alla viabilità già esistente ed asservita ad altre attività

produttive dell’area P.I.P.

Considerando la rete stradale generale, l’impianto è localizzato in un’area attraversata e servita

da importanti arterie stradali e da una fitta viabilità minore.

Infatti, l’intera area è ben collegata alla viabilità regionale e nazionale e pertanto i centri abitati

limitrofi non subiranno apprezzabili aggravi degli attuali flussi di traffico.

La vicinanza e la comoda viabilità di raccordo con la rete viaria di grande comunicazione,

permette che i trasporti possano avvenire con facilità e rapidità. Dal punto di vista delle reti

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infrastrutturali, il progetto si inserisce in un contesto già attrezzato e non prevede nessun tipo di

potenziamento strutturale a carico delle reti di sottoservizi attuali conseguente alla sua

realizzazione.

Come riportato nella parte progettuale, l’impianto è dimensionato per il trattamento di una

quantità massima di rifiuti in ingresso pari a 80.250 ton/anno e la produzione di ammendante

compostato e biometano, che, in attesa del collegamento alla rete SNAM, sarà gestito a mezzo di

carri bombolai.

Nella seguente tabella si riassume in sintesi la situazione nello stato di progetto:

Tipologia (t/a)

Ingressi

FORSU 60.000

Rifiuti ligneo-cellulosici e 20.250

TOTALE ingresso 80.250

Uscite

Ammendante compostato 30.884

Percolato / Colaticci 10.000

Compost fuori specifica 1.000

Sovvalli e rifiuti vari 8.300

TOTALE uscite 50.184

Tabella 31 – Flussi in ingresso/uscita previsti.

In aggiunta a quanto indicato nella precedente tabella, va considerata la produzione di

biometano destinato ad autotrazione.

Nello specifico si prevede la produzione di circa 6.239.674 Nm3/anno di biometano.

Per valutare come l’esercizio dell’impianto influisca sul sistema della mobilità in termini di

flusso veicolare, è necessario considerare la capacità di carico dei mezzi di trasporto.

Per quanto concerne i rifiuti in ingresso, è possibile stimare che i mezzi utilizzati per il

conferimento dei rifiuti abbiano una capacità media pari a 25 t/mezzo.

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La capacità media dei mezzi di allontanamento dell’ammendante compostato misto, sovvalli e

colaticci è invece stimabile in circa 30 t/mezzo.

Per i carri bombolai deputati al trasporto del biometano (in attesa del collegamento alla rete

SNAM), invece, si assume una capacità di gas trasportabile pari 7.000 Nm3.

Nella seguente tabella si fornisce una valutazione del numero di mezzi in relazione alla

tipologia di materiale trasportato.

Tipologia (t/a) Capacità mezzo

(t/mezzo)

Numero

mezzi/anno

Ingressi

FORSU 60.000 25 2.400

Rifiuti ligneo-cellulosici e/o

verde 20.250 25 810

Uscite

Ammendante compostato 30.884 30 1.029

Percolato / Colaticci 10.000 30 333

Compost fuori specifica 1.000 30 33

Sovvallo e rifiuti vari 8.300 30 276

Biometano 6.239.674 Nm3/a 7.000 Nm3 891

TOTALE -------------- -------------- 5.772

Tabella 32 – Flussi in ingresso/uscita previsti.

Considerando un totale di 312 giorni lavorativi all’anno, si stima un incremento del flusso

giornaliero di mezzi in ingresso/uscita all’impianto pari a circa:

5.772 mezzi/anno / 312 giorni/anno ≈ 18-19 mezzi/giorno

arrotondabili per eccesso a 38 transiti/giorno considerando anche il tragitto di ritorno.

La viabilità interessata dal transito dei mezzi di conferimento rifiuti, risulta, comunque,

ampiamente in grado di assorbire il traffico indotto dall’impianto.

Sulla base di quanto ora espresso, è possibile concludere che la realizzazione del progetto in

esame determinerà impatti trascurabili sul sistema della mobilità; il traffico veicolare nella

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della frazione organica dei rifiuti e produzione di compost mediante trattamento biologico

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zona di indagine ha un impatto di lieve entità, a raggio ridotto e di durata pari alla vita utile

dell’impianto.

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della frazione organica dei rifiuti e produzione di compost mediante trattamento biologico

456

4.4 METODO MATRICIALE DI VALUTAZIONE DEGLI

IMPATTI AMBIENTALI

4.4.1 METODOLOGIA

La valutazione degli impatti ambientali di un’opera sull’ambiente può essere condotta mediante

diverse metodologie: metodi ad hoc, overlay mapping, metodi causa - condizioni - effetto, come i

network e le matrici coassiali, ed i metodi matriciali classici. Questi ultimi sono i più utilizzati per

la facilità di rappresentazione delle relazioni che intercorrono tra le azioni legate al progetto e gli

impatti ambientali, che esse generano sulle diverse componenti ambientali. Difatti esse mettono

in relazione le azioni di progetto con le componenti ambientali (e.g. atmosfera, ambiente idrico,

salute pubblica etc.) in modo da evidenziare gli incroci in cui si ha un potenziale impatto.

Le matrici sono un metodo quali - quantitativo di valutazione degli impatti ambientali molto

diffuso, poiché sono di semplice applicazione, anche se non tengono conto delle sequenze

temporali e presentano in alcuni casi una soggettività nella scelta dei fattori e delle componenti

ambientali; tuttavia è doveroso osservare che poiché la casistica di applicazioni con il metodo

matriciale è in rapida crescita la soggettività può essere controllata dal confronto con altri studi di

impatti ambientali su opere analoghe.

Pertanto definite nei paragrafi precedenti (Par. 4.3), le componenti ambientali interessate, le

azioni di progetto previste e le linee di impatto da esse derivanti, si procede alla “costruzione”

della matrice di impatto.

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457

4.4.2 LA MATRICE DI IMPATTO AMBIENTALE

Come detto, la rappresentazione qualitativa degli impatti sulle componenti ambientali è

proposta con il ricorso ad una metodologia matriciale che consente di quantificare i singoli impatti

elementari e di pervenire ad una valutazione globale dell’impatto ambientale provocato

dall’impianto in esame.

La metodologia adottata ha esaminato gli aspetti di carattere generale inerenti la valutazione di

impatto da applicare al proponendo progetto.

La previsione degli impatti costituisce la rappresentazione delle variazioni prevedibili, rispetto

allo stato di qualità ambientale (condizione di riferimento), delle singole componenti ambientali.

La matrice di impatto ambientale è stata costruita con lo scopo di riassumere, per mezzo di

uno schema grafico, la procedura seguita per delineare quali siano, rispetto agli interventi in

analisi, le linee di impatto significative.

Il sistema utilizzato prevede la combinazione delle informazioni acquisite in riferimento alle

azioni di progetto con quelle relative alle linee d’impatto: si valutano cioè quali azioni di progetto

sono responsabili degli impatti potenziali significativi.

Agli elementi d’impatto potenziale individuati, è stato attribuito, nelle varie fasi di analisi

matriciale, il livello di significatività per mezzo di valori numerici. Tali livelli sono stati

quantificati con la definizione di 4 parametri: il segno (positivo o negativo a seconda che l’impatto

sia dannoso o migliorativo), l’incisività dell’impatto stesso, la durata e l’estensione, così come di

seguito riportato:

Voce Simbolo

Effetto positivo +

Effetto negativo -

Breve/medio termine A

Lungo termine B

Irreversibile C

Raggio ridotto R

Raggio esteso E

Effetto lieve 1

Effetto rilevante 2

Effetto molto rilevante 3

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458

Ne consegue che l’entità di ogni interferenza risulterebbe identificata per mezzo dei 4

parametri di cui sopra: ad esempio, un impatto valutato negativo, di breve medio termine, raggio

ridotto ed effetto lieve risulterà codificato “-1AR”.

Per pervenire ad un giudizio sintetico ed evidenziare il "peso" di ciascuna azione di progetto

sull’ambiente, si è provveduto, mediante una tabella di conversione riportata in Fig. 122 a

trasformare i quattro succitati parametri in valori numerici, ottenendo punteggi maggiori o minori

a seconda della significatività degli effetti desumibile dalla matrice. L’esempio precedente,

utilizzando la matrice all’oggetto, si traduce in un valore pari a “-1”.

Si specifica che i valori numerici ottenuti hanno un significato solo in relazione alla situazione

oggetto di studio, e non sono pertanto da intendere come valori assoluti di impatto, riferibili cioè

ad una scala oggettiva univocamente adattabile ad altri interventi.

Figura 122 – Tabella di conversione degli impatti.

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459

4.4.3 ANALISI DEI RISULTATI

Nelle Tab. 33 si riporta la matrice degli impatti previsti dalle azioni legate alle opere in progetto

e la corrispondente conversione numerica dell’impatto.

Aggregando per somma i punteggi ottenuti da ogni singola voce (Tab. 34), in riferimento sia

alle linee di impatto sia alle azioni di progetto, si ottengono scale di valori che definiscono o

l’impatto complessivo di ciascuna azione di progetto o l’entità di ciascuna linea di impatto.

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Tabella 33 – Matrice Azioni di progetto/linee di impatto.

-1BR -1AR

-1AR (*) 0 -1AR -1AR -1AR -1AR -1AR (**) -1AR (****)

-1BR

0

+1BR +1AR

0 0 0 0 -1AR -1AR

0 -1BR 0 0 -1AR 0 -1BR (***)

-1BR 0 0

-1AR

+1AR +1AR +1AR

0 +1AR +1AR +1AR +1AR

(*)

(**)

(***)

(****) L'impatto relativo alla linea "impegno temporaneo di viabilità locale da parte di traffico indotto", alla sola voce "scavi e movimento terra", comprende concettualmente le azioni di progetto legate alla realizzazione/dismissione

dell'opera nel suo complesso (preparazione del cantiere, realizzazione infrastrutture e manufatti, realizzazione sottoservizi e collegamenti, dismissione impianti).

LINEE DI IMPATTO

L'impatto relativo alla linea "impatti da rumore durante le fasi di realizzazione ed esercizio", alla sola voce "scavi e movimento terra", comprende concettualmente le azioni di progetto legate alla realizzazione/dismissione

dell'opera nel suo complesso (preparazione del cantiere, realizzazione infrastrutture e manufatti, realizzazione sottoservizi e collegamenti, dismissione impianti).

L'impatto sulla linea "disagi emotivi conseguenti al crearsi di condizioni rifiutate dalla sensibilità comune" , è stato correlato alla sola voce "trattamento rifiuti", in quanto il disagio è creato dall'esistenza stessa dell'impianto e non

dalle singole voci relative alle distinte fasi.

SOM

MA

Gli impatti correlati alla sola voce "scavi e movimenti terra", comprendono concettualmente le azioni di progetto legate alla realizzazione/dismissione dell'opera nel suo complesso (preparazione del cantiere, scavi e movimento

terra, realizzazione infrastrutture e manufatti, realizzazione sottoservizi e collegamenti, dismissione impianti).

Imp

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AZIONI DI PROGETTO Emis

sio

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Emis

sio

ne

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ori

gen

e

FASE DI DISMISSIONE 13. Dismissione impianti

7. Trattamento rifiuti

8. Up-grading

9. Stoccaggio prodotto finito e Deposito

temporaneo residui di produzione

FASE DI CANTIERE

FASE DI ESERCIZIO

10. Prelievo acque

11. Scarico acque/liquidi

12. Monitoraggio ambientale

1. Preparazione del cantiere

2. Scavi e movimento terra

3. Realizzazione infrastrutture e manufatti

4. Realizzazione sottoservizi e collegamenti

5. Opere a verde di inserimento ambientale

6. Conferimento Rifiuti

COMPONENTE AMBIENTALE

ATMOSFERAAMBIENTE

IDRICO

SUOLO E

SOTTOSUOLO

VEGETAZIONE, FLORA,

FAUNA ED ECOSISTEMIPAESAGGIO RUMORE

RADIAZIONI

IONIZZANTI

E NON

IONIZZANTI

SALUTE

PUBBLICA

TRAFFICO E

VIABILITA'

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Tabella 34 – Matrice Azioni di progetto/linee di impatto.

-2 -1 -3

-1 0 -1 -1 -1 -1 -1 -1 -7

-2 -2

0 0

2 1 3

0 0 0 0 -1 -1 -2

0 -2 0 0 -1 0 -2 -5

-2 0 0 -2

0

-1 -1

1 1 1 3

0 1 1 1 1 4

-1 -1 -1 -1 0 0 -1 1 -1 1 0 -2 0 -1 -2

FASE DI DISMISSIONE 13. Dismissione impianti

SOMMA

LINEE DI IMPATTO

FASE DI ESERCIZIO

6. Conferimento Rifiuti

7. Trattamento rifiuti

8. Up-grading

9. Stoccaggio prodotto finito e Deposito

temporaneo residui di produzione

FASE DI CANTIERE

1. Preparazione del cantiere

2. Scavi e movimento terra

3. Realizzazione infrastrutture e manufatti

0

10. Prelievo acque

11. Scarico acque/liquidi

12. Monitoraggio ambientale

0

4. Realizzazione sottoservizi e collegamenti

5. Opere a verde di inserimento ambientale

Imp

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COMPONENTE AMBIENTALE

ATMOSFERAAMBIENTE

IDRICO

SUOLO E

SOTTOSUOLO

VEGETAZIONE, FLORA,

FAUNA ED ECOSISTEMIPAESAGGIO RUMORE

RADIAZIONI

IONIZZANTI

E NON

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TRAFFICO E

VIABILITA'

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462

Le azioni di progetto che, dalla presente analisi, risultano responsabili di linee di impatto

rilevate sono:

preparazione del cantiere (-3) le cui linee di impatto sono riferibili a consumo di suolo

fertile e perdita complessiva di naturalità; quest’ultima verrà compensata al termine della

vita utile dell’impianto per effetto della dismissione e degli interventi di recupero ambientale

ad essa connessi;

scavi e movimenti terra (-7) le cui linee di impatto sono riferibili a emissioni di polveri,

rumore, eliminazione di vegetazione naturale e danni o disturbi a specie animali, incremento

di traffico. A queste si sommano impatti potenziali legati ad eventi accidentali riferibili a

contaminazione delle acque sotterranee e di suolo e sottosuolo. Tali impatti di carattere

puramente accidentale, saranno comunque gestiti secondo procedure di emergenza e per

quanto possibile totalmente compensati. Nel complesso gli impatti su cui agisce l’azione di

progetto in esame risultano di lieve entità, a raggio ridotto e di breve durata;

realizzazione infrastrutture e manufatti: ha inevitabilmente impatto negativo (-2) sul

piano estetico percettivo. Tale impatto risulta, però, totalmente compensato dalle azioni di

inserimento ambientale ed opere a verde e dalla dismissione dell’impianto;

realizzazione di sottoservizi: risulta un’azione di progetto con impatti ad effetto nullo (0)

data la presenza di una rete di distribuzione del metano poco distante e la presenza di una

viabilità pubblica scorrevole e di adeguata capacità. L’intervento in progetto, inoltre, non ha

interferenze con il sottosuolo e idrografia superficiale.

opere a verde di inserimento ambientale: risulta un’azione di progetto con impatti positivi

(+3) e compensa l’eliminazione di vegetazione naturale e l’impatto negativo sul piano

estetico percettivo dei fabbricati e degli impianti;

conferimento dei rifiuti (-2): risulta un’azione di progetto con impatti negativi di lieve

entità, a raggio ridotto e di durata pari alla vita utile dell’impianto su rumore e impiego

temporaneo di viabilità;

trattamento dei rifiuti (-5): tale azione si riferisce sia al pretrattamento della FORSU che

avrà luogo nell’impianto di produzione di biometano sia al trattamento di biossidazione

accelerata e di maturazione della miscela digestato-verde che avrà luogo presso l’impianto

di produzione di fertilizzanti. L’azione risulta avere un impatto significativo, a raggio ridotto

e di durata pari alla vita utile dell’impianto su emissioni odorigene, rumore e disagi emotivi.

Tali impatti risultano, però, compensati totalmente o ridotti ad impatti di lieve entità

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463

mediante le azioni di monitoraggio ambientale o di dismissione dell’impianto;

upgrading del biogas (-2): risulta avere un impatto significativo, a raggio ridotto e di durata

pari alla vita utile dell’impianto sulla linea di impatto emissioni di inquinanti aerodispersi.

Le azioni di monitoraggio ambientale rendono, però, tale impatto nel complesso di lieve

entità, a raggio ridotto e di durata pari alla vita utile dell’impianto;

deposito temporaneo di rifiuti prodotti (0): dal processo è un’azione di progetto con

impatto nullo in quanto lo stesso avverrà all’interno dei capannoni o entro scarrabili chiusi;

prelievo acque (0): è un’azione di progetto con impatto nullo, poiché non è prevista la

realizzazione di pozzi per l’adduzione di acque sotterranee;

scarico acque/liquidi: è un’azione di progetto che potrebbe avere impatti negativi di lieve

entità, a raggio ridotto; tuttavia la raccolta, il trattamento e lo smaltimento delle acque

effettuato come progettato evita qualsiasi impatto sulle componenti acqua, suolo e

sottosuolo.

monitoraggio ambientale (+3) e dismissione dell’impianto (+4) compensano totalmente

o mitigano in maniera significativa i potenziali impatti negativi legati alla realizzazione e

all’esercizio delle opere in progetto.

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464

4.5 DESCRIZIONE DI SINTESI DEGLI IMPATTI ATTESI E

CONCLUSIONI DELLO STUDIO

Il presente paragrafo, tramite sintesi degli impatti attesi come valutati nei precedenti paragrafi

dello Studio di Impatto Ambientale, è dedicato alla definizione delle conclusioni dello Studio in

merito alla compatibilità degli interventi in progetto in riferimento agli effetti indotti sul territorio,

sull’ambiente e sulle persone.

Partendo dalla sintesi degli impatti attesi, scopo finale del presente paragrafo è quello di rilevare

la necessità di opere di mitigazione degli impatti aggiuntive rispetto a quanto previsto dal progetto

stesso.

L’analisi congiunta del quadro progettuale e di quello ambientale ha infatti permesso di

individuare e quantificare i possibili effetti, diretti ed indiretti, legati alla realizzazione degli

interventi previsti dal progetto in esame come sintetizzati di seguito.

4.5.1 SINTESI IMPATTI STIMATI PER LA FASE DI CANTIERE

Per la fase di cantiere sono stati valutati gli impatti attesi per tutte le componenti ambientali

individuate come potenzialmente interessate.

La valutazione degli impatti attesi per la componente atmosfera è stata svolta individuando

l’emissione di polveri quale principale fattore di pressione.

Tale potenziale impatto si identifica essenzialmente con il rischio di dispersione eolica di

polveri durante la fase di cantiere dovute principalmente alle attività connesse alla realizzazione

delle opere civili, impiantistiche ed infrastrutturali previste per l’impianto, alla movimentazione

dei materiali, delle materie prime utili e dei materiali di risulta da smaltire. Si tratta di emissioni

puntuali e non confinate, difficilmente quantificabili, ma del tutto confrontabili con quelle prodotte

dalle normali lavorazioni previste nel campo della ordinaria cantieristica dell’ingegneria civile;

esse, inoltre, interessano solo la zona circostante quella di emissione.

Infatti, durante la fase di realizzazione dei lavori previsti, le principali forme di inquinamento

atmosferico saranno rappresentate dagli scarichi dei mezzi d’opera all’interno dell’area di lavoro

e lungo la viabilità di accesso, e dalla dispersione in aria di polveri. Per quanto riguarda la

dispersione di polveri nell’atmosfera, questa tipologia di impatto potrà essere innescata durante il

trasporto e la movimentazione di materiali da costruzione e di risulta, oppure come effetto del

sollevamento operato dagli automezzi durante i lavori. È da tenere presente che la natura delle

polveri e, di conseguenza, la loro pericolosità per l’essere umano dipendono dalla tipologia di

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465

materiali trattati: in questo caso trattandosi di minuscoli frammenti di materiale inerte proiettati in

atmosfera dall’attività di movimentazione e dal transito dei veicoli, prive quindi di particelle

inquinanti, non vi è rischio né per l'ambiente naturale né per l’uomo.

Inoltre tali emissioni sono limitate sia quantitativamente che nel tempo dal momento che, per

la realizzazione delle opere civili previste per l’impianto e per le opere ad esso connesse, si utilizza

un normale parco macchine ad uso delle normali attività da cantiere.

In termini di valutazione sintetica gli impatti sulla qualità dell’aria possono quindi esser

definiti NON significativi.

Relativamente alla componente acque superficiali, le linee di impatto potenzialmente indotte

dalla fase di cantiere per la realizzazione delle opere in progetto sono riconducibili

prevalentemente alle operazioni di scavo e movimento terra per la realizzazione delle infrastrutture

e manufatti dell’impianto.

Tuttavia, le operazioni di cantiere previste, in particolare le operazioni di movimentazione

materiale e in generale i lavori connessi alla realizzazione delle opere, non andranno ad influire

sull’assetto idrografico superficiale dell’area oggetto di studio, e tantomeno sull’assetto

idrogeologico.

Durante la permanenza dei lavori, si garantiranno condizioni adeguate di sicurezza in modo che

i lavori si svolgano senza creare, neppure temporaneamente, un aumento del rischio o grado di

esposizione al rischio esistente e si adotteranno misure di prevenzione per ridurre inquinamenti

accidentali.

In merito alle acque sotterranee, le linee di impatto potenzialmente indotte dalle opere in

progetto sono riferibili alle attività connesse alle operazioni di cantierizzazione dell’area,

rappresentate dalle operazioni di scavo per il raggiungimento del piano di posa delle opere

previste.

Gli impatti potenziali, in termini di contaminazione della falda, potrebbero derivare da rilasci

accidentali sul suolo di contaminanti da parte dei mezzi meccanici utilizzati per l’esecuzione delle

opere.

Si sottolinea come in fase di cantiere verranno prese tutte le misure e gli accorgimenti del caso

al fine di scongiurare qualsiasi contaminazione del suolo e delle acque sotterranee.

In particolare è opportuno evidenziare che gli scavi necessari alla realizzazione dei nuovi

manufatti ed edifici si limiteranno esclusivamente agli strati più superficiali di suolo e di

conseguenza non determineranno un aumento della vulnerabilità degli strati più profondi con

potenziale coinvolgimento della falda sotterranea.

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466

È quindi possibile ritenere assente o comunque NON significativo l’impatto negativo per le

acque in fase di cantiere.

Relativamente alla matrice suolo, i fattori di pressione individuati sono il consumo di suolo e

l’interazione con gli strati profondi.

In merito al primo aspetto, i principali effetti indotti dalla realizzazione dell’impianto in parola

sull’uso attuale del suolo non sono da ritenere significativi in quanto l’area in cui si prevede la

realizzazione dell’impianto in oggetto è ricompresa nell’area P.I.P. in località Capitone del

Comune di Sant’Agata de’ Goti; di fatto la pianificazione comunale prevede, per l’area

appena citata, la possibilità di realizzare opere che determinano una occupazione ed

impermeabilizzazione dei suoli. Tale area infatti non è utilizzata né destinata allo sfruttamento

agricolo. Inoltre non si ritiene che le attività previste possano precludere il regolare svolgimento

delle pratiche agricole ed industriali nei terreni contigui all’impianto.

In merito al secondo fattore di pressione, le interferenze con la matrice ambientale in esame

sono rappresentate dalle operazioni di scavo per il raggiungimento del piano di posa delle opere e

per la realizzazione delle infrastrutture e dei manufatti previsti. Gli impatti potenziali, in termini

di contaminazione della matrice suolo e sottosuolo, potrebbero derivare da rilasci accidentali di

contaminanti da parte dei mezzi meccanici utilizzati per l’esecuzione delle opere. Durante la

permanenza dei lavori, si garantiranno condizioni adeguate di sicurezza in modo che i lavori si

svolgano senza creare, neppure temporaneamente, un aumento del rischio o grado di esposizione

al rischio esistente e si adotteranno misure di prevenzione per ridurre inquinamenti accidentali.

Nel caso in cui si verificassero incidenti di tale natura, si provvederà all’immediata asportazione

ed al corretto smaltimento dell’aliquota di matrice terrosa interessata dalla contaminazione al fine

di evitarne la propagazione.

Nel complesso gli impatti attesi per la componente suolo, riconducibili principalmente al

consumo di suolo, possono essere valutati come NON significativi.

Per quanto riguarda gli impatti per flora, fauna ed ecosistemi, questi sono stati valutati come

assenti o comunque NON significativi, principalmente in ragione dell’assenza di elementi di

pregio naturalistico nelle immediate vicinanze del sito di intervento.

Relativamente alla componente paesaggio, le attività legate alle fasi di cantiere per la

realizzazione delle opere previste, di per sé stesse limitate e transitorie, non incidono direttamente

sul panorama e non contribuiscono a modificare in maniera significativa il paesaggio attuale, già

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caratterizzato dalla presenza di attività produttive. Le alterazioni paesaggistiche legate

all’impianto sono confinate ad un’area ristretta, definita dal perimetro del futuro cantiere

dell’impianto stesso; gli impatti, pertanto, sono stati valutati come NON significativi.

Analogamente NON significativi risultano gli impatti attesi per la componente rumore. Le

attività che producono rumore nella fase di realizzazione dell’impianto sono essenzialmente

legate al movimento dei mezzi meccanici impegnati nelle operazioni di scavo e movimentazione

terra, nelle movimentazioni materiali all’interno dell’impianto e lungo la viabilità di accesso,

oppure come effetto del sollevamento operato dagli automezzi durante i lavori e delle diverse fasi

realizzative e cantieristiche. I rumori nella fase dei lavori risulteranno di modesta entità, tali da

non generare effetti significativi sull’ambiente; i mezzi che operano saranno conformi ai requisiti

di legge previsti per le emissioni sonore, in ottemperanza anche alle normative in materia di tutela

della salute dei lavoratori. Si ricorda tuttavia che gli impatti in fase di cantiere sono fisicamente e

temporalmente limitati oltreché interessare le sole diurne quindi non è mai tale da inficiare sul

differenziale notturno (il quale da normativa impone limiti di emissioni decisamente inferiori

rispetto al periodo diurno). È comunque un impatto temporaneo che si sviluppa solo durante il

giorno e per un periodo di tempo limitato alla fase di realizzazione delle operazioni di cantiere.

La natura di tale impatto è transitoria e completamente reversibile alla fine dei lavori.

I limiti di immissione ai ricettori sensibili prossimi alle attività di cantiere risulteranno infatti

sempre rispettati in tutte le fasi del cantiere.

Relativamente alla componente radiazioni ionizzanti e non ionizzanti, gli impatti valutati

durante la fase di costruzione dell’impianto è nullo in quanto nessuna delle attività previste darà

luogo a radiazioni di tale tipo.

In fase di cantiere, inoltre, NON vi saranno impatti negativi per la salute ed il benessere

dell’uomo. Alla luce della destinazione dell’area (area P.I.P.) e della distanza dal centro abitato,

l’incidenza sulla salute pubblica dovuta alle diverse fasi di cantierizzazione per la realizzazione

dell’impianto, risulta poco significativa e comunque, per definizione, temporanea. Tali

interferenze con la salute pubblica riguardano principalmente l’aumento del transito di mezzi

d’opera speciali che sono in grado di determinare temporanei e localizzati innalzamenti degli

inquinanti presenti nell’atmosfera. Tuttavia tali inquinanti non possono essere tali da determinare

impatti sulla salute umana essendo circoscritti nel tempo ed anche limitati spazialmente. Sempre

in fase di cantiere, come detto, è possibile che aumenti l’inquinamento acustico, tuttavia ciò è

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verificato solo nelle ore diurne e nei giorni feriali pertanto quanto già il rumore di fondo è

maggiore e per normativa vigente in materia i livelli di immissione sono più alti.

Infine, in relazione alla componente traffico e viabilità in fase di cantiere per la realizzazione

delle opere previste per la realizzazione dell’impianto in progetto, la viabilità risulta direttamente

interessata soprattutto per quanto riguarda il trasporto, da e verso il sito, dei materiali connessi alla

realizzazione delle opere civili, impiantistiche ed infrastrutturali previste per l’impianto, alla

movimentazione dei materiali, delle materie prime utili e dei materiali di risulta da smaltire.

Il traffico veicolare potrà subire, pertanto, un modesto aumento dovuto appunto alla

circolazione dei mezzi d’opera, incremento che può considerarsi non significativo e per lo più

localizzata nello spazio e nel tempo, tanto da considerarsi Non significativa la sua incidenza sulla

popolazione.

4.5.2 SINTESI IMPATTI STIMATI PER LA FASE DI ESERCIZIO

Analogamente a quanto svolto per la fase di cantiere, anche per la fase di esercizio sono stati

valutati gli impatti attesi per tutte le componenti ambientali individuate come potenzialmente

interessate.

La valutazione degli impatti per la componente atmosfera è stata svolta principalmente

mediante valutazione della diffusione delle sostanze odorigene emesse dalle diverse attività

presenti nel sito.

L’intervento in progetto si configura infatti come poco significativo dal punto di vista delle

emissioni di inquinanti tipici di attività industriali, quali ad esempio polveri o ossidi di azoto.

L’assetto emissivo determina infatti l’introduzione di emissioni di emergenza (torcia) o

scarsamente significative (caldaia per riscaldamento digestori – emissione scarsamente

significativa ai fini dell’inquinamento atmosferico come definita dal D. Lgs. n. 152/06 e s.m.i.),

oltre ad un sistema di aspirazione, convogliamento e biofiltrazione delle arie esauste.

Ciò conferma quindi come il fattore di pressione principale sia l’emissione di sostanze

odorigene: la valutazione svolta ha permesso di valutare come l’impatto derivante dal suddetto

fattore di pressione sia nel complesso non significativo.

Complessivamente gli impatti negativi sulla qualità dell’aria derivanti dalla realizzazione

del progetto possono quindi esser definiti NON significativi.

Relativamente alle acque superficiali, in fase di esercizio dell’impianto non si rilevano

elementi tali da potere ipotizzare impatti significativi. Le acque non suscettibili di contaminazione

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e le acque di seconda pioggia verranno quindi scaricate direttamente in fognatura, le acque di

prima pioggia verranno scaricate in fognatura previo trattamento, mentre i percolati verranno

stoccati in vasca a tenuta per poi essere inviati a trattamento mediante autobotte.

In relazione ai potenziali effetti derivanti dall’esercizio del sito sulle acque sotterranee e sul

suolo, in considerazione della gestione delle acque di stabilimento prima descritta, una possibile

contaminazione della falda può avvenire solamente a causa di uno sversamento di sostanze al

suolo e quindi in conseguenza di eventi accidentali, quali guasti, malfunzionamenti, rotture. Le

aree nelle quali saranno costruite le opere in progetto saranno tuttavia impermeabilizzate al fondo

attraverso la realizzazione del sottofondo consolidato e di superfici asfaltate o in calcestruzzo che

impediscono la filtrazione di liquidi inquinanti in profondità.

Complessivamente è quindi possibile valutare come NON significativi gli impatti per le

acque superficiali, sotterranee e sul suolo derivanti dall’esercizio dell’impianto in progetto.

Come per la fase di cantiere, gli impatti negativi per flora, fauna ed ecosistemi, sono stati

valutati come assenti o comunque NON significativi, principalmente in ragione dell’assenza di

elementi di pregio naturalistico nelle immediate vicinanze del sito di intervento.

Relativamente alla componente paesaggio, il progetto prevede la realizzazione di strutture,

edifici, volumi tecnici, impianti, i quali in ragione delle loro dimensioni potrebbero alterare la

percezione del paesaggio in area locale, influendo negativamente sulla qualità vedutistica del

territorio di pianura. L’intervento, tuttavia, sarà sostanzialmente effettuato su un territorio

già caratterizzato in parte da una connotazione industriale, che ospita già diversi

insediamenti produttivi ed industriali, rendendo assai modesta la pressione sull’ambiente

naturale. Gli edifici ed i corpi impiantistici in progetto si attesteranno ad una quota di circa 10 m

dal p.c., pertanto le loro linee di sommità saranno confrontabili con quelle di opifici esistenti, senza

creare un sensibile aggravio nella percezione delle altezze del comparto.

Diverso è invece il discorso per alcuni attrezzature tecnologiche, che possono raggiungere

altezze superiori configurandosi quindi quali punti emergenti rispetto allo skyline generale.

L’incidenza visiva dell’impianto è certamente non significativa con riferimento alla

percezione dalla Strada Provinciale Fondo Valle Isclero, in quanto, come più volte sottolineato,

risulta schermata dai rilevati in terra esistenti lungo la strada e dalla vegetazione esistente.

Maggiormente sensibile è l’alterazione indotta dalla realizzazione dell’impianto, dalle

prospettive più interne all’Area P.I.P.: da tali prospettive la barriera a verde prevista fungerà

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comunque da filtro, permettendo quindi di mascherare almeno in parte anche le emergenze visuali

di maggiore rilievo.

In definitiva si ritiene che la percezione vedutistica dell’area oggetto di studio non verrà alterata

in modo significativo Si ritiene che l’impatto per la qualità del paesaggio determinato dalla

realizzazione dell’intervento risulterebbe di lieve entità ed è pertanto plausibile ritenere che

l’impatto per il paesaggio sia NON significativo.

Ancora NON significativi risultano gli impatti attesi per la componente clima acustico.

Secondo la valutazione previsionale effettuata mediante modello di simulazione, nello stato futuro,

considerando la mancanza di zonizzazione acustica dell’area, verranno rispettati i limiti di

immissione calcolati sulle pareti dei ricettori e differenziali sia in periodo notturno che diurno.

Relativamente alla componente radiazioni ionizzanti e non ionizzanti, gli impatti valutati

durante la fase di esercizio dell’impianto risultano è nullo e NON significativo in quanto nessuna

delle attività previste darà luogo a radiazioni di tale tipo.

In relazione alla salute ed al benessere dell’uomo, oltre a quanto già valutato in merito ad

emissioni ed impatti sul clima acustico, il progetto in esame sarà realizzato con tutti gli

accorgimenti necessari per minimizzare la possibilità di eventi incidentali. In particolare saranno

adottati i più avanzati standard di sicurezza direttamente applicabili alla gestione del metano, tra

cui alcune specifiche Regole tecniche di prevenzione incendi comprese nel quadro normativo

nazionale. A tali misure di carattere principalmente impiantistico, vanno aggiunte quelle di

carattere gestionale. Le misure descritte minimizzeranno quindi i rischi di incidente associati

all’esercizio delle opere in progetto portandoli a livelli da considerarsi tollerabili per la collettività.

In particolare i rischi presenti saranno minimizzati tanto da poter escludere dagli eventi credibili

incidenti che coinvolgano aree esterne all’installazione.

È quindi possibile evidenziare come NON vi saranno impatti negativi per la salute ed il

benessere dell’uomo.

Infine, in relazione alla componente traffico e viabilità in fase di esercizio, la viabilità risulta

direttamente interessata soprattutto per quanto riguarda il trasporto, da e verso il sito, di rifiuti

connessi all’attività prevista. Il traffico veicolare potrà subire, pertanto, un aumento dovuto

appunto alla circolazione degli automezzi: nel complesso, si stima che l’attuazione del progetto in

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esame determini un aumento del numero di mezzi complessivo pari a circa 38 transiti al giorno

considerando anche il tragitto di ritorno.

In riferimento anche al sistema di viabilità interessato, e alle arterie considerate, l’impatto sul

sistema della mobilità è valutabile come NON significativo.

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4.6 MISURE PREVISTE PER EVITARE, RIDURRE E

COMPENSARE IMPATTI POTENZIALI DEL PROGETTO

SULL’AMBIENTE

Si intendono sotto la voce “misure di compensazione e di mitigazione” l’insieme delle

operazioni complementari al progetto, realizzate contestualmente all’intervento, attraverso le quali

è possibile ottenere benefici ambientali in grado di annullare o comunque mitigare gli impatti

residui collegati all’intervento.

Si riporta di seguito una sintesi delle opzioni progettuali e gestionali individuate al fine di una

riduzione preventiva dell’impatto.

4.6.1 FASE PROGETTUALE

Le scelte progettuali finalizzate alla riduzione degli impatti sul territorio sono le seguenti:

localizzazione dell’impianto: l’area di intervento risulta localizzata nell’area P.I.P.

comunale; le infrastrutture, intendendo viabilità, rete elettrica, rete idrica, rete di

distribuzione del gas naturale ecc. presenti sul territorio limitrofo all’area di intervento

risultano adeguate alle esigenze degli impianti in progetto. Si ritiene che la scelta

localizzativa del complesso impiantistico sia pertanto adeguata in relazione al contesto

antropico e infrastrutturale;

scelta della tecnologia: la digestione anaerobica consente di ridurre drasticamente le

emissioni odorigene in atmosfera derivanti dal processo di degradazione della sostanza

organica contenuta nei rifiuti in quanto le reazioni avvengono in ambienti chiusi

ermeticamente;

compostaggio: la stabilizzazione aerobica interessa una miscela costituita da digestato e

scarti ligneo cellulosici. Il digestato è una matrice parzialmente stabilizzata ed igienizzata

poiché proviene dal processo anaerobico che sarà condotto in condizioni termofile e con

un tempo di ritenzione di circa 20 giorni. Ne segue che le emissioni odorigene previste in

fase di compostaggio risultano molto ridotte;

emissioni odorigene: in entrambi gli impianti in progetto sono state scelte le migliori

tecnologie disponibili per l’abbattimento delle emissioni odorigene e degli inquinanti

aerodispersi (biofiltro, torri di lavaggio, etc.);

emissioni diffuse: l’accesso dei mezzi di trasporto dei rifiuti all’impianto di produzione di

biometano avverrà mediante un locale bussola munito di porte automatizzate ad

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impacchettamento rapido in modo da prevenire la diffusione in ambiente di emissioni

odorigene provenienti dal capannone di pretrattamento dei rifiuti;

mitigazione visiva: è prevista realizzazione di una fascia arboreo-arbustiva perimetrale

all’area di intervento, deputata a favorire il corretto inserimento paesaggistico del sito, che

occulterà parzialmente, dal punto di vista percettivo, le strutture ed i manufatti

dell’impianto. Inoltre verrà scelto un opportuno cromatismo dei fabbricati e dei manufatti

al fine di consentirne un corretto inserimento nel contesto del territorio;

gestione delle acque: la gestione separata delle acque di prima e di seconda pioggia

prevede l’immissione in fogna delle prime, previo trattamento in una vasca di

sedimentazione dotata di disoleatore, e l’immissione in fognatura senza trattamento delle

seconde non contaminate. Le acque di processo ed i percolati saranno raccolte in vasca a

tenuta;

polveri: pavimentazione dei piazzali, delle piste e delle aree di manovra dei mezzi al fine

di limitare la propagazione delle polveri ed evitare la potenziale contaminazione delle

matrici suolo/sottosuolo e acque sotterranee. Tutte le operazioni di trattamento dei rifiuti

avverranno all’interno di ambienti chiusi dotati di sistema di depurazione delle arie.

4.6.2 FASE GESTIONALE

Dal punto di vista gestionale saranno intrapresi tutti gli accorgimenti necessari al fine di

minimizzare gli impatti; di seguito si riporta un elenco delle misure previste:

emissioni odorigene: le operazioni di pre-trattamento dei rifiuti avverranno in locali chiusi

dotati di sistemi (bussola di scarico) che impediscono la propagazione di polveri ed odori

verso l’esterno. Inoltre i rifiuti del processo produttivo saranno stoccati entro cassoni

scarrabili dotati di copertura;

polveri: verifica, prima di permettere l’accesso del mezzo all’area degli impianti, della

completa copertura del carico, al fine di evitare la dispersione di materiali potenzialmente

volatili; pulizia e manutenzione periodica delle zone non asfaltate; chiusura dei contenitori

di stoccaggio temporaneo dei rifiuti; realizzazione di porte ad impacchettamento per il

conferimento dei rifiuti.

monitoraggio ambientale: su ciascuna delle principali componenti ambientali verranno

effettuati monitoraggi periodici, al fine di verificare il rispetto dei limiti imposti dalla

normativa di settore vigente.

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4.7 VALUTAZIONE DELL’EFFETTO CUMULATIVO

Il criterio del “cumulo con altri progetti”, è stato valutato prendendo a riferimento quanto

stabilito dalle “linee guida per la verifica di assoggettabilità a valutazione di impatto ambientale

dei progetti di competenza delle regioni e provincie autonome, previste dall’articolo 15 del

decreto – legge 24 Giugno 2014, n.91, convertito con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014,

n.116” approvate con il Decreto del Ministero dell’Ambiente del 30 Marzo 2015.

Tali linee guida integrano i criteri tecnici – dimensionali e localizzativi utilizzati per la

fissazione delle soglie già stabilite nell’allegato IV alla parte seconda del D.Lgs. n. 152/2006 per

le diverse categorie progettuali, individuando ulteriori criteri contenuti nell’allegato V alla parte

seconda del citato decreto, ritenuti rilevanti e pertinenti ai fini dell’identificazione dei progetti da

sottoporre a verifica di assoggettabilità alla VIA.

In particolare, l’ambito territoriale, in conformità con quanto stabilito al paragrafo 4.1 delle

Linee guida approvate con D.M. 30/03/2015, è definito da una fascia di 1 km a partire dal

perimetro esterno dell’area occupata dal progetto proposto.

Al fine di valutare l’eventuale effetto cumulativo dell’impianto in parola con altri impianti

eventualmente autorizzati presenti nella medesima area ed appartenenti alla stessa categoria

progettuale sono stati consultati i registri ufficiali degli impianti autorizzati in Regione Campania

attraverso la consultazione del sito (fonte: http://orr.regione.campania.it/impianti autorizzati)

scaricando il file Autorizzazioni.xls che viene aggiornato almeno una volta al mese per le esigenze

del Sistema Informativo Osservatorio Regionale Rifiuti (S.I.O.R.R.) ed è pubblicato nel pieno

rispetto delle vigenti normative in materia di Privacy, Trasparenza Amministrativa e Codice

dell'Amministrazione Digitale (C.A.D.).

Dall’ortofoto e dagli inquadramenti precedentemente riportati, si desume l’ambito territoriale

preso in esame e sul quale non sono presenti impianti da prendere in esame per la valutazione

dell’effetto cumulativo.

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4.8 ANALISI DELLE ALTERNATIVE

Innanzitutto andiamo ad analizzare la cosiddetta “alternativa zero”, cioè quella che prevede

la non realizzazione e autorizzazione dell’impianto in oggetto.

Da quanto è stato esposto circa gli obiettivi del ruolo dell’impianto, rinunciare alla sua attività

comporterebbe il permanere della situazione attuale, che vede sempre in continua “sofferenza” il

sistema di gestione dei rifiuti nella regione Campania.

Come già precedentemente esposto, la gestione dei rifiuti deve avere come obiettivo principale

l’uso razionale e sostenibile delle risorse ed essere impostata seguendo un rigoroso ordine di

priorità che prevede l’ottimizzare al massimo il recupero dei rifiuti, prepararli e avviarli alle

fasi di trattamento per recuperare da essi materia prima secondaria e smaltire in discarica solo

i rifiuti oggettivamente non recuperabili.

Questi 3 punti sono obiettivi imprescindibili dell’impianto.

Per quanto riguarda le alternative di sito si sottolinea l’aspetto che la scelta risulta ottimale in

quanto il nuovo impianto è posizionato nella zona P.I.P. di Sant’Agata de’ Goti, in una zona

periferica lontana dal centro abitato.

Inoltre, nel caso in esame si è di fronte ad un progetto relativo ad attività da espletarsi in

un contesto produttivo/industriale già parzialmente urbanizzato, a conferma della vocazione

industriale dell’area in oggetto.

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5 CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE

La provenienza e le caratteristiche dei rifiuti trattati dall’impianto sono quelli contemplati dalla

normativa vigente, come pure le attività di messa in riserva e di recupero svolte.

L’attività di recupero di materia dai rifiuti, illustrata nei punti precedenti, è svolta senza pericolo

per la salute dell’uomo e senza recare pregiudizio all’ambiente per le motivazioni appresso

indicate:

le operazione di recupero e smaltimento che si intendono svolgere rientrano tra quelle

previste dall’allegato C alla parte IV relativa al D.Lgs. 152/2006 e s.m.i.;

l’attività, il procedimento e il metodo di recupero, avverrà in conformità alle prescrizioni

del D.Lgs. 81/08 per quanto riguarda la salute e la sicurezza nei luoghi di lavoro;

il ciclo di lavorazione prevede uno scarso impiego di acqua e pertanto non si determinano

significativi prelievi di risorse idriche;

le emissioni in atmosfera risultanti dall’attività di recupero si possono ragionevolmente

considerare poco rilevanti e comunque gestiti in maniera adeguata;

i metodi ed i procedimenti usati non causano alcun inconveniente da rumore così come

prescritto dal D.P.C.M. 01.03.1991 e dalla L. 447/95;

l’attività di recupero avviene senza recare alcun danno al paesaggio.

In definitiva, dal punto di vista degli impatti, l’attività non produce particolari fonti inquinanti

né tantomeno arreca significativi impatti sul paesaggio e sull’ambiente circostanti.

Pertanto, alla luce di quanto sopra esposto, visto il quadro di riferimento programmatico, quello

di riferimento progettuale, nonché quello di riferimento ambientale, analizzati gli impatti indotti

dall’attività svolta nell’impianto in cui vengono stoccati e trattati rifiuti, in virtù anche degli studi

effettuati dai tecnici specialisti dei vari settori e delle informazioni fornite dall’azienda, nonché

delle mitigazioni adottate anche di tipo gestionale, si ritiene che l’impianto in oggetto sia

sufficientemente presidiato dal punto di vista ambientale qualora si adottino i criteri di

mitigazione, le cautele operative, le procedure descritte e si effettuino i controlli ed i monitoraggi

previsti.

Pagani (Sa) lì, Aprile 2018 Il Tecnico

Ing. Sandro Ruopolo