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dal seminario promosso dal movimento studentesco “progetto pace” università degli studi di perugia Armi Chimiche e strategie belliche non convenzionali “denuncia e controinformazione” un possibile ruolo della scienza all’interno del movimento pacifista Claudio Santi

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dal seminario promosso dal movimento studentesco

“ p r o g e t t o p a c e ”

università degli studi di perugia

Armi Chimiche e strategie belliche non convenzionali

“denuncia e controinformazione” un possibile ruolo della scienza all’interno del movimento pacifista

Claudio Santi

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Armi Chimiche e strategie belliche non convenzionali

Claudio Santi

Premessa

La ricerca e l’utilizzo di armi non convenzionali non è un fenomeno moderno e tantomeno recente, come del resto antica è anche la condanna, lo sdegno e l’espresso divieto nell’utilizzo di quelle armi che venivano definite “avvelenate”. La nascita di un nuovo tipo di arma suscita sempre paura e proteste, in particolar modo quando gli effetti di tale arma non sono ben individuabili o prevedibili, coinvolgendo l’ancestrale paura dell’uomo nei confronti dell’ignoto. Da un punto di visto strategico militare invece, l’idea di possedere un nuovo tipo di “arma non convenzionale” ha da sempre coinciso con la convinzione, errata anche dal punto di vista tecnico, di essere in possesso della chiave risolutiva per qualsiasi tipo di conflitto. Per questo motivo nel corso dei secoli e nel continuo avvicendarsi dei conflitti l’uomo non ha disdegnato il ricorso a questo tipo di armi.

In tutto questo la scienza, è ovvio, non è stata a guardare, anzi, ha svolto un ruolo fondamentale ed importante nello sviluppo di sempre più sofisticati agenti aggressivi, con particolare riguardo a quelli chimici batteriologici e nucleari. Questo è stato possibile grazie alla collaborazione ed alla complicità di una, fortunatamente piccola, parte del mondo scientifico e, soprattutto, grazie ad una enorme disponibilità di risorse economiche alle quali la ricerca militare può attingere. Risorse economiche che, in gran parte, derivano dai fondi privati delle multinazionali dell’industria bellica ed in parte da fondi pubblici di governi che, sotto la bandiera della sicurezza nazionale, approvano manovre finanziarie sempre più sbilanciate a discapito del vero progresso scientifico, tecnologico e sociale.

In un quadro come quello appena descritto quindi, il ruolo di un nuovo pensiero scientifico, inserito in un convinto contesto antimilitare e pacifista, deve innanzitutto partire da una informazione non propagandistica, basata su fatti e dati scientificamente provati, che mettano in evidenza e denuncino i danni e le conseguenze prodotte dall’utilizzo delle armi in particolare di quelle non convenzionali. Questo contribuirà a diffondere una controinformazione reale e corretta, alla propaganda militarista alimentata molto da interessi politici ed economici. Da un punto di vista scientifico poi, potrebbero essere affrontate anche quelle problematiche che sono unanimemente riconosciute essere alla base dell’insorgere di nuovi

conflitti come ad esempio: -la necessità di individuare fonti energetiche alternative al petrolio,- la necessità di cooperare allo sviluppo dei paesi arretrati, -e la grave emergenza idrica che sta colpendo gran parte dei paesi poveri del nostro pianeta.

Definizioni

Prima di affrontare una discussione sul tema delle armi “non convenzionali”, ( con particolare riferimento a quelle chimiche) penso sia opportuno accordarsi su che cosa si intende per “non convenzionale” e come si è soliti classificare questo tipo di armi. Inizierei quindi con il tentare di definire un’ “arma convenzionale” partendo dalla definizione che il vocabolario della lingua italiana da di convenzionale: “…stabilito per accordo tra le parti, dicesi di ciò che è conforme ad un uso fondato su una intesa specifica comune ad un gruppo di persone….” Appare abbastanza evidente che,definire un’arma con il termine “convenzionale” sia quantomeno una forzatura. Poiché ritengo non ci possa essere un accordo di conformità tra chi usa un arma e chi ne subisce le conseguenze, ritengo sbagliato e forviante definire qualsiasi tipo di arma con l’attributo “convenzionale” preferendo, in genere, parlare di arm i, definendole e classificandole da un punto di vista tecnico, considerando che tutte sono concepite per offendere ed uccidere e che, tra le tante, alcune, purtroppo molte, si contraddistinguono per la spiccata capacità che hanno di provocare danni persis tenti a persone e cose, generando in genere un gran numero di vittime. Sono queste in genere quelle armi che vengono classificate come: chimiche batteriologice e nucleari, secondo uno schema che può essere così semplificato:

Armi Chimiche Aggressivi irritanti Aggressivi invalidanti Aggressivi Letali

Armi Batterieologiche Microrganismi Tossine Vettori Parassiti

Armi Nucleari Fusione Nucleare Fissione Nucleare

In questa relazione affronterò brevemente l’evoluzione storica di questi armamenti con la speranza di sottolineare, con forza, come le leggi economiche che governano gli interessi delle industrie militari, farmaceutiche ed energetiche siano state alla base di un progresso tecnologico rapidissimo ed ottenuto a scapito della vita e della sofferenza di milioni di persone.

Le armi di aggressione di massa nell’antichità

Già in epoca antichissima si ricorreva all'utilizzo di armi di aggressione di massa come veleni, pozioni ed altre

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sostanze tossiche ritrovabili in natura o realizzate appositamente . Esempi di bandi contro il ricorso a tali armi si ritrovano già in due testi politico-religiosi indiani, datati alcuni millenni prima di Cristo, ossia il Mahabarata e il Ramayana, che le condannavano, considerandole un'offesa non solo al corpo, ma anche all'anima dell'uomo.

“Fuoco Greco”

Tucidide nel V secolo a.C. (La Guerra del Peloponneso , libro II), riferendosi al conflitto tra spartani e ateniesi, racconta dell'uso bellico dei fumi di legna impregnata di bitume e zolfo e convogliati in tubi di metallo per asfissiare i nemici. Plutarco nel I secolo a.C. (Le vite parallele, Q. Sertorius, capitolo XVII), parla di zolfo e calce viva fatti disperdere nell'aria da cavalli al galoppo. Sfruttando la direzione del vento per sopraffare gli assediati questa nuvola venefica non aveva finalità diverse di quella che, circa due millenni dopo, sarà utilizzata dai tedeschi a Ypres durante la Prima guerra mondiale. Durante la guerra di Spagna (I sec. a.C.) l'esercito romano viene dotato dei primi rudimentali indumenti protettivi per il viso e le vie aeree. Il cosiddetto “Fuoco Greco” venne utilizzato anche nel Medioevo dai Bizantini e dai Veneziani. In questo periodo viene per la prima volta introdotta una forma di aggressione batteriologica, utilizzando cadaveri in putrefazione per avvelenare pozzi e sorgenti d’acqua. Più tardi i cadaveri degli appestati vennero utilizzati per diffondere epidem ie di peste all’interno delle città assediate. L’esempio più eclatante ci viene fornito dalle truppe tartare che, nel 1347, impegnate nell'assedio del presidio genovese di Caffa, sul Mar Nero, catapultarono all'interno della fortezza i cadaveri degli appes tati. I genovesi in fuga veicolarono il morbo della cosiddetta “peste nera” (o “peste bubbonica”) in tutta Europa, dove, in solo tre anni, moriranno circa 20 milioni di persone. Questo esempio mette molto bene in evidenza uno degli aspetti più inquietanti nell’utilizzo delle armi di distruzione di massa, e cioè quello della imprevedibilità degli effetti a medio e lungo termine, sia sulla popolazione che sull’ sull’ambiente, effetti che possono sfuggire da qualsiasi tipo di controllo e previsione, provocando tragedie anche dopo la fine del conflitto. Nel 1763 in Nova Scotia, il governatore Sir Jeffrey Ambrest ordina la distribuzione tra i pellirossa di coperte provenienti dagli ospedali britannici dove venivano ricoverati malati di vaiolo, allo scopo di

diffondere tra le popolazioni indigene una epidemia che, da li a poco, le avrebbe fatte definitivamente capitolare. Pressappoco nello stesso periodo gli inglesi mandarono tra i Maori, in Nuova Zelanda, gruppi di prostitute infettate dalla sifilide, sterminando la popolazione che lasciò spazio ai coloni britannici.

Sviluppo delle tecniche di distruzione di massa

E’ intuitivo pensare che gli agenti di aggressione ideali sono sempre state tutte quelle sostanze che , come gas venefici e i microrganismi patogeni, possono essere in qualche modo veicolati contro il nemico, diffondendosi in maniera indiscriminata nell’ambiente, superando qualsiasi forma di fortificazione e tradizionale difesa militare. Queste sostanze sono inoltre in grado di aggredire il nemico in maniera massiccia, indiscriminata, giocando in principal modo su due fattori strategicamente favorevoli: la sorpresa ed il terrore. Altrettanto intuitivo appare il fatto che, il successo nell’ utilizzo di sistemi come ad esempio i gas è sostanzialmente dipendente da due fattori: 1 -disponibilità di un adeguato veicolo che permetta di rilasciare l’agente solo contro il nemico, preservando l’incolumità di chi attacca e 2 – la dipendenza della diffusione dell’agente dalle condizioni atmosferiche con particolare riguardo alle correnti ed ai venti. Questi due fattori, come vedremo, condizioneranno e guideranno lo sviluppo e la storia delle armi chimiche. La prima guerra mondiale Agli inizi del ‘900 la possibilità di utilizzare gli aerei per lanciare gas e liquidi con i normali sistemi di lancio delle bombe, il notevole progresso industriale ottenuto in campo chimico e farmaceutico, determinano l’inizio di una vera e propria corsa all’armamento chimico da parte di tutti i più grandi eserciti. Negli stessi anni Kock e Pasteur dimostrano che era scientificamente possibile controllare l’insorgenza delle malattie, punto di partenza per quello che sarà poi lo sviluppo di nuove armi contenenti aggressivi batteriologici.

“Utilizzo di aerei per il lancio di gas venefici”

Durante la prima guerra mondiale, l’idea di possedere l’arma, capace da sola di risolvere tutti i conflitti futuri a proprio favore, spinse ad una frenetica produzione e

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messa a punto di armi chimiche, sfruttando 3 anni di sperimentazione sui campi di battaglia.

“1915 Battaglia di Ypres”

Il primo vero attacco chimico in epoca moderna si fa risalire al 1915. Le truppe tedesche, in guerra contro quelle francesi nella cittadina di Ypres (Belgio), utilizzano il (2-cloroetil)-solfuro, un gas, da allora noto con il nome di iprite, altamente vescicante ed in grado di causare la morte nel giro di pochissime ore attraverso atroci sofferenze. L’utilizzo bellico dell’iprite, scoperta nel 1860 dal chimico Guthrie, fu messo a punto dal premio nobel Franz Haber, rimasto agli onori della gloria scientifica per la sintesi dell’ammoniaca. L’attacco chimico di Ypres costò la vita a 5 mila uomini, non solo tra le truppe Francesi, infatti, durante l’attacco, la nube gassosa giallastra, lanciata da bombole piazzate a terra venne spostata da un improvviso cambio di vento contro le stesse truppe tedesche che risultarono tra l’altro male attrezzate in termini di protezione antigas. Sul fronte italiano del S.Michele nel giugno del 1916 il nostro esercito perse d'un colpo 7.000 uomini e la resa di Caporetto nel 1917 inizia con la perdita di migliaia di uomini colpiti da proiettili a gas. SI tratta sempre di gas vescicanti, derivati direttamente dal cloro, come ad esempio il fosgene che, nel 1918, venne utilizzato nella battaglia di Verdun, sempre dai teschi, provocando, ancora una volta, migliaia di morti. La necessità di doversi difendere da attacchi di tipo chimico porta allo sviluppo dei primi sistemi di protezione antigas. All’inizio si tratta di rudimentali garze legate intorno al volto ed imbevute di acqua ed acido borico. Tali garze venivano cucite dalle madri e dalle mogli dei soldati ed avevano, quasi esclusivamente, un ruolo di coinvolgimento emotivo dell’opinione pubblica nel conflitto, impegnando le donne in qualcosa che credevamo utile alla difesa dei propri uomini, anche se di fatto la protezione nei confronti dei gas clorurati era completamente inefficace. Successivamente vennero prodotte le prime, vere maschere antigas, molto più funzionali, costituite da un casco di cuoio aderente ed un filtro in grado di reagire

con il gas intrappolandolo. Sistemi di protezione sicuramente efficaci anche se molto ingombranti e scomodi da indossare in combatimento. In risposta a questi sistemi protettivi, nelle testate chimiche a base di iprite viene aggiunta una certa quantità di arsina, un gas classificato come starnutatore, che non è intrappolato dai normali filtri e, penetrando all’interno della maschera, costringe il soldato a liberarsene sottoponendosi all’azione del gas venefico.

“maschere antigas”

Sul fronte batteriologico, durante la prima guerra mondiale non sono ben noti i piani germanici, che prevedono tuttavia interventi sul bestiame con l'impiego del Bacillus anthracis e della Pseudomonas mallei. Sempre durante la I guerra mondiale la Germania tenta di introdurre la peste in S.Pietroburgo ed il colera sul fronte italiano. Alla fine della prima guerra mondiale i giapponesi affrontano per primi, in modo scientifico, l’idea di produrre armi biologiche, una decisione che li porterà a non aderire alle convenzioni di Ginevra del 1925 e soprattutto alla costituzione della famigerata unità 731 specializzata nella guerra biologica e che sarà particolarmente attiva nel secondo conflitto mondiale. Da un punto di vista legislativo Nel 1899 la Conferenza Internazionale dell'Aja aveva approvato già una "Convenzione contro le armi chimiche" che riprendeva le considerazioni della Dichiarazione di San Pietroburgo del 1868 su certi tipi di armi e munizioni. L'orrore suscitato poi dagli episodi del primo conflitto mondiale porta, nella Conferenza di Ginevra del 1925 al primo "Protocollo contro l'impiego dei gas tossici" come mezzo di aggressione ma non ne proibisce, purtroppo, lo sviluppo o la produzione. Bisognerà attendere il 1990 quando Stati Uniti e Unione Sovietica firmeranno un accordo bilaterale sulla distruzione e la rinuncia a produrre armi chimiche.

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La seconda guerra mondiale Durante la seconda guerra mondiale si assiste ad un proliferare di attacchi chimici, su tutti i fronti, tra i tanti anche l’utilizzo dell’iprite in Abissinia da parte delle truppe di Mussolini e degli agenti asfissianti Clark I e Clark II (derivati della difenilcianoarsina), utilizzati dai giapponesi nel conflitto cino-nipponico. Vengono scoperti i cosiddetti agenti G, o gas nervini, noti anche con i nomi di Sarin Tabun e Soman. I gas nervini sono degli inibitori dell’acetilcolinoesterasi capaci di agire in pochissimi secondi, bloccando la respirazione, a seguito del blocco neuromuscolare del diaframma. Sono questi i capostipiti di tutta una classe di composti, studiati anche a scopo farmaceutico, e dai quali deriva anche il gas nervino di ultimissima generazione il VX, capace di uccidere per semplice contatto con la pelle in quantità paragonabili al milligrammo. In questo periodo si assiste anche ad un sostanziale cambiamento delle strategie militari che avevano caratterizzato il primo conflitto mondiale. I soldati non rimangono più ammassati nelle trincee, si richiede alle truppe una maggiore mobilità, e vengono quasi totalmente a mancare i combattimenti statici che erano stati alla base del successo ottenuto con i gas clorurati durante la prima guerra. Gli eserciti prendono coscienza che, un plotone in movimento, diviene un bersaglio difficile da colpire con una nube tossica anche se la mobilità richiede di liberarsi dagli ingombranti equipaggi protettivi.

“Seconda Guerra Mondiale”

Tutto ciò determina di fatto un superamento delle strategie militari che prevedevano l’utilizzo di gas vescicanti o gas nervini, e, per questo motivo, gran parte delle riserve di armi chimiche rimangono, alla fine del secondo conflitto mondiale, inutilizzate e pericolosamente stoccate nei vari arsenali. La Germania Nazista possedeva una enorme riserva di gas tossici. Nel deposito di Munter venne rinvenuto un quantitativo di bombe cariche di gas pari a 250 mila tonnellate, nonostante una parte fosse stata distrutta dai tedeschi in ritirata.

Durante la seconda guerra mondiale viene a modificarsi anche il concetto di arma chimica. Non si va più alla ricerca di un gas venefico che, come abbiamo visto, non è più efficace contro truppe in movimento, ma si cerca di mettere a punto nuovi ordigni capaci, dopo la prima esplosione, di spargere nell’ambiente circostante materiale pirogeno o esplosivo. Queste nuove armi vengono quindi concepite in maniera da amplificare in maniera esponenziale il potere distruttivo di una normale carica di triolo. Inizialmente si utilizza il fosforo bianco o il sodio, materiali che a contatto con l’umidità atmosferica esplodono e si incendiano rapidissimamente. Sicuramente l’espressione massima di questi ordigni, che verranno poi intensivamente utilizzati nella guerra in Vietnam, sono le bombe al Napalm. Il Napalm è una gelatina derivante dalla saponificazione con alluminio degli acidi naftoico e palmitico. Tale gelatina, altamente infiammabile, brucia producendo una enorme quantità di energia ad una temperatura di combustione capace di fondere le corazzate dei blindati. La temperatura prodotta dalla combustione del napalm è in grado di vaporizzare qualsiasi forma di vita, per questo motivo spesso non rimane nessuna traccia delle vittime di una tale esplosione Il napalm viene collocato in un involucro esterno alla carica esplosiva principale. La prima esplosione sparge questa gelatina che va a coprire tutto quello che circonda la zona dell’esplosione. A questo punto il contatto con l’aria la fa incendiare, provocando la distruzione di tutto ciò che si era salvato dalla prima esplosione. Nel 1945 le truppe americane attaccano Tokyo con un bombardamento al napalm. Gli effetti prodotti sono devastanti e si contano quasi centomila vittime.

“1945 Tokyo”

Gli anni della seconda guerra mondiale vedono anche lo sviluppo, la messa a punto e purtroppo l’utilizzo dei primi ordigni nucleari. Quella della bomba atomica è una storia importante ed allo stesso tempo complessa, che coinvolge un misto di interessi economici, scientifici e militari. Per lo scopo di questo seminario mi limiterò ad una trattazione sommaria che tuttavia spero metta in evidenza come per la prima volta, la comunità scientifica si è resa conto

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della gravità di alcuni tipi di scoperte, cercando una, seppure tardiva, autoregolamentazione La bomba atomica La realizzazione della bomba atomica è dovuta a numerosi scienziati e ad una catena di successive scoperte, iniziate da Enrico Fermi nel 1934. Molti scienziati tedeschi, per evitare le persecuzioni naziste, si erano trasferiti negli Stati Uniti. Anche in Italia la politica razziale del regime fascista aveva costretto all'esilio molti intellettuali e scienziati, fra questi, il fisico E. Ferm i, sposato con un'ebrea, che approfittando del viaggio in Svezia per ritirare il premio Nobel (1938), cercò rifugiò negli Stati Uniti. Qui si costituì una comunità di scienziati d'altissimo livello che mise a disposizione del governo le proprie conoscenze in materia di scienza applicata all'industria bellica e alla guerra.

“La bomba atomica”

Albert Einstein, altro fisico tedesco emigrato, il 2 agosto 1939, indirizzò una lettera al presidente Roosevelt con la quale lo informava della possibilità di costruire un nuovo tipo di bomba basata sulla fissione nucleare. Con l'ingresso in guerra degli Stati Uniti nel dicembre del 1941, prese avvio il programma nucleare denominato "Progetto Manhattan". A capo del progetto venne posto il generale Leslie Richard Groves; ciò significava che i militari ne avrebbero controllato pienamente lo sviluppo. Di fronte al malumore dei ricercatori per la scelta compiuta dal governo, Groves venne affiancato dallo scienziato Julius Robert Oppenheimer. Il centro segreto di ricerca fu installato a Los Alamos (Nuovo Messico). Nel marzo 1943 venne avviato il progetto di studi sulla bomba: gli scienziati lavorarono nel timore di essere preceduti dai tedeschi, timore in gran parte infondato, come testimoniavano alcuni documenti nazisti caduti in mano alleata nel novembre del 1944, i quali rivelarono il ritardo dei colleghi tedeschi impegnati nei loro studi sulla bomba. Di fronte al mutato scenario bellico e scientifico che si presentò nel 1945, gli scienziati cominciarono a dubitare dell'utilità dell'impresa, anche in considerazione del tracollo militare giapponese.

“Il presidente Truman”

Morto Roosevelt il 12 aprile 1945, spettava al successore Harry Truman la decisione dell'impiego della bomba. Questi formò un comitato di assistenza presieduto da Henry Lewis Stimson, affiancato da un sottocomitato consultivo composto dai maggiori responsabili del "progetto Manhattan". Il 1° giugno 1945 il comitato suggerì al Presidente di sganciare la nuova arma su una città giapponese per colpire installazioni militari, circondate da edifici danneggiabili onde verificarne gli effetti. Il 15 e il 16 giugno ci fu l'ultima riunione. Al termine di una discussione lunga e serrata si delinearono tre posizioni: la prima suggeriva di investire nell'energia nucleare, di ridurre al minimo il segreto su tali tipi di studi e di intraprendere una politica internazionale di controllo degli armamenti; il secondo rapporto consigliava di proseguire nel "Progetto Manhattan"; la terza posizione, sostenuta da Fermi, Lawrence ed Oppenheimer, riteneva corretta la decisione di impiegare la bomba a scopi militari soltanto in mancanza di alternative. Il comitato degli scienziati, venuto a conoscenza degli orientamenti della Casa Bianca, inviò nel giugno del 1945 un memorandum a Truman nel quale si deprecava l'uso della bomba a scopi militari, uso che, per giunta, non trovava giustificazione nemmeno nella motivazione dell'accorciamento della guerra, in un momento in cui non esisteva neppure il pericolo dell'atomica tedesca. Ad avviso degli scienziati era assai più importante porre attenzione alle conseguenze sociali e nei rapporti internazionali che lo sgancio della bomba sul Giappone avrebbe determinato, preoccupazione condivisa, tra i tanti firmatari del memorandum, da Einstein e da Niels Bohr. Il 16 uglio del 1945 tutto era pronto per il primo test,

“Trinity”

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Ad Alamagondo (Nuovo Messico) viene fatta esplodere la prima bomba atomica. Si tratta di una bomba a fissione nucleare ed il test viene tristemente denominato TRYNITY per evidenziare i tre punti dell’effetto devastante dell’ordigno:

80.� onda d’urto, 2) elevato calore 3) fall-aut (ricaduta di pulviscolo radioattivo).

“apocalittico, ha liberato un’ energia pari a 22 mila tonnellate equivalenti di tritolo.” Così comunicò Stimson via telegrafo la riuscita dell’esperimento a Truman, impegnato nella Conferenza di Potsdam; il Presidente ne fu così entusiasta che ne ordinò lo sgancio in Giappone.. Il 6 Agosto, la prima bomba nucleare “little boy” viene sganciata dal bombardiere B12 “Enola Gay” sula città di Hiroshima.

“Hiroshima il giorno dopo”

80.000 morti, 35.000 feriti, 13.000 dispersi il bilancio della più tragica delle sperimentazioni belliche che la storia dell’umanità abbia mai conosciuto. Contrari all’impiego della bomba su Hiroshima, gli scienziati rimasero sconvolti di fronte alla sua replica su Nagasaki avvenuta tre giorni dopo e che provocò altre 40.000 vittime. Enorme fu il loro disagio morale ed intellettuale nel constatare i risultati del proprio brillante lavoro utilizzati senza valida giustificazione militare. Oppenheimer (che venne poi accusato di filocomunismo), Einstein e Fermi rettificarono la loro originaria visione della scienza, neutrale rispetto alle decisioni politiche e militari. In una delle tante dichiarazioni da loro rilasciate si legge: “Noi scienziati, il cui tragico destino è stato quello di aiutare a costruire i mezzi di distruzione più raccapriccianti ed efficienti, dobbiamo considerare come nostro dovere solenne e supremo fare tutto ciò che è in nostro potere per impedire che queste armi siano usate per gli scopi brutali per i quali sono state inventate”. Come abbiamo quindi già detto una tardiva presa di posizione di gran parte del mondo scientifico che porta Oppenheimer a ritirarsi dal progetto nucleare

rifiutandosi di proseguire le ricerche nel campo della fusione nucleare, auspicando la nascita di un ente di controllo internazionale sulla energia atomica. Il su rifiuto ovviamente non frena la ricerca militare in campo nucleare che prosegue guidata dal fisico inglese Teller, ricerca che porterà nel 1963 ai primi esperimenti sulla bomba H.

”Fusione Nucleare” La bomba H è una delle cosiddette bombe a fusione1 nucleare, ordigni centinaia di volte più distruttivi di quelli a fissione che, per fortuna, non sono mai stati impiegati in combattimento. Rimane tuttavia l’inquietante preoccupazione per le centinaia di esperimenti che sono stati fatti e vengono tuttora effettuati, in genere in remoti atolli del pacifico, e che costituiscono una sicura fonte di inquinamento radioattivo per tutto il nostro pianeta.

“little boy”

1 La fusione nucleare è un processo per cui due nuclei di basso numero atomico, per esempio due atomi di idrogeno (H) con numero atomico 1, si uniscono e formano un nucleo di numero atomico superiore, per esempio elio. Questa reazione genera un'incredibile quantità di energia: la massa risultante, infatti, è minore di quelle di partenza. Ciò avviene perché, coerentemente alla formula di Einstein (E=mc2), la differenza di massa si trasforma in energia. Perché questa reazione avvenga i due nuclei si devono avvicinare sino al punto in cui la forza nucleare forte, che ha un raggio di azione brevissimo, vinca la forza elettrostatica che li contrasta, dovuta alla loro carica positiva. Questo avviene soltanto nei gas con una temperatura di milioni o decine di milioni di gradi, dove l'energia cinetica e la velocità dei nuclei è tale da generare delle collisioni spaventose. Queste reazioni avvengono spontaneamente nelle stelle.

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Vietnam, “largo uso di agenti chimici”.

L'avvento delle armi nucleari porta a considerare, a metà del secolo, la guerra chimica come una cosa ormai superata. La maggior parte degli eserciti possiede degli equipaggiamenti difensivi soddisfacenti e l'efficacia delle armi chimiche è spesso legata a fattori imprevedibili come quelli meteorologici. I paesi più progrediti sanno che l'uso dei gas non può bastare a risolvere un conflitto ma può essere l'arma più efficace ed economica per perseguire specifici obiettivi. Negli anni Sessanta si guarda con interesse a questo nuovo uso delle armi chimiche; è quello che succede durante la guerra del Vietnam dove gli americani spargono grandi quantità di defolianti per privare i guerriglieri Vietcong della copertura naturale delle foreste di mangrovie e limitare le riserve di cibo irrorando i campi di riso. Si calcola che dal 1961 al 1971 siano stati utilizzati 72 milioni di litri di erbicidi e 400.000 bombe al napalm.

Tra gli agenti tossici usati il più conosciuto è sicuramente l'agent orange (nome derivato dal colore dei bidoni in cui veniva trasportato), un erbicida alla diossina i cui micidiali effetti (cancro,

disfunzioni immunitarie) hanno colpito non solo l'ambiente e la popolazione vietnamita ma anche molti soldati americani. Gli studi sugli ormoni come regolatori della crescita (o della morte) delle piante risalgono a ben prima degli anni Sessanta; la nascita dei componenti dell'agent orange è avvenuta durante la Seconda guerra mondiale ad opera di Ezra Jacob Kraus che compiva ricerche sul metabolismo delle piante in un laboratorio di botanica all'università di Chicago, ma è solo dopo alcuni decenni che si pensa a questa terribile applicazione militare. Gli effetti della guerra in Vietnam furono atroci , nella immediatezza poichè le micidiali bombe al Napalm vaporizzarono interi villaggi e migliaia di civili e soldati, ma se possibile furono ancora più atroci nel futuro, quando i danni prodotti dalle modificazioni genetiche si ripercossero sulla prole dei reduci sia vietnamiti che americani.

Bambini in fuga da un attacco al napalm

malformazioni e parti gemellari plurimi

atroci sofferenze

“Trofei di guerra ?”

Guerra del Vietnam. Soldato

americano

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Iran-Iraq: le armi chimiche di Saddam

Tra il 1980 al 1988 la guerra tra Iran ed Iraq è caratterizzata da una 'ulteriore applicazione specifica delle armi chimiche, con l'obiettivo di sconfiggere i nemici Pasdaram nel più breve tempo possibile. Alla fine degli anni Settanta, Saddam Hussein decide di approfittare dell'instabilità iraniana, creata dall'ondata di fondamentalismo introdotto dall'ayatollah Khomeini, per occupare delle importanti zone petrolifere iraniane a occidente di Bassora. L’intento è quello di fare una guerra lampo, ma non sarà così. Il conflitto si protrae fino al 1988 estenuando entrambi gli eserciti e impoverendo tremendamente le due nazioni.

“Saddam Hussein”

Proprio alla metà degli anni Ottanta risalgono le prime operazioni di allestimento e sviluppo degli arsenali di armi chimiche di Saddam, il quale non esita ad usarle contro le migliaia di "pasdaran" iraniani (sostenitori di una società integralmente basata sui precetti coranici) che si riversano in Iraq per risolvere in breve il conflitto. Saddam utilizza bombe chimiche anche contro la minoranza curda, dal 1987 al 1988 nel sud del Kurdistan iracheno scompaiono innumerevoli villaggi; il solo bombardamento "chimico" su Halabja nel marzo del 1988 causa 5000 vittime in un solo giorno. Ancora una volta lo sdegno per gli atroci effetti prodotti dall’utilizzo di queste armi, sicuramente associato alla considerazione dell’armamentario chimico come superato ed obsoleto, a confronto delle nuove e sofisticate tecnologie belliche sviluppate dalle due superpotenze porta alla firma di accordi e trattati che rinnovano l’intento generale di smantellare gli arsenali esistenti. 1990 Stati Uniti e Unione Sovietica firmano un accordo bilaterale sulla distruzione e la rinuncia a produrre armi chimiche. 1993 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite adotta la “convenzione sulla proibizione dello sviluppo produzione ed accumulo ed uso delle armi chimiche” tale convenzione entra in vigore nel 1997 fissando il limite di 10 anni per la distruzione degli arsenali con un meccanismo di verifica multilaterale sottoscritto da 130 stati

I problemi che tuttavia rimangono allo stato attuale irrisolti sono sostanzialmente due:

? capire che fine hanno fatto le ingenti quantità di armamenti chimici prodotti anche e soprattutto dalle due superpotenze fino al1990, va infatti ricordato che la convenzione di Ginevra, attraverso il protocollo contro le armi chimiche, ne sanciva il divieto di utilizzo per i paesi firmatari, non mettendo però alcun vincolo ne alla produzione, ne allo stoccaggio e tantomeno alla vendita. In questi anni quindi grandi quantità di armi chimiche vengono vendute a numerosi paesi in via di sviluppo e impegnati in vari conflitti.

? .Lo smaltimento di grandi quantità di inquinanti costituisce un enorme problema dal punto di vista ecologico, soprattutto quando a dover smaltire tali materiali sono nazioni povere e dotate di limitata tecnologia. Il rischio è che, in questi dieci anni previsti per lo smantellamento degli arsenali, alcuni paesi provvedano allo smaltimento in maniera incontrollata e senza rispetto e sicurezza per l’ambiente, con conseguenze non facilmente prevedibili se non nella loro drammaticità.

Un cenno alle armi di distruzione di massa batteriogiche

I primi esperimenti sul territorio vengono eseguiti nell’ambito di un progetto USA, UK e Canada sulla resistenza delle spore d’Antrace ai vari mezzi di diffusione nell’ Isola di Gruinard (Scozia). Nel 1942 viene ordinata l’evacuazione dell’isola (con un contributo di 500 sterline a testa) e vengono sganciate le prime bombe. Le spore sopravvivono egregiamente infestando il territorio e rendendo necessaria, negli anni 80, un’ampia azione di bonifica per trattamento con formaldeide. Nel 1988 i vecchi abitanti vengono fatti tornare nella loro isola dopo la restituzione delle 500 sterline.

“Guerra Batteriologica”

Come già accennato, i Giapponesi affrontarono per primi, in maniera scientifica, la progettazione di sistemi biologici per scopi bellici attraverso la costituzione di una unità speciale dell’esercito.

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L’unità 731 Già nel 1939 era schierata in Mongolia per condurre attacchi biologici e tra il 1940 ed il 1941, durante la guerra Cina Giappone, tenta di diffondere epidemie di peste lanciando materiale infetto dagli aerei e liberando migliaia di ratti infetti. 1942 Ishii , capo dell’unità 731, nonché ideologo e teorico della guerra batteriologica viene processato per crimini contro l’umanità.

“Generale Ishii”

Per evitare che i dati in possesso di Ishii finissero in mano russa i servizi segreti USA gli offrirono l’immunità in cambio dei risultati scientifici. Di fatto inizia lo sviluppo di un programma di ricerca sulla lotta biologica USA che raggiungerà il suo apice durante la guerra fredda. Nel 1950, in Corea ci fù un episodio molto controverso, la Cina accusa gli Stati Uniti di aver condotto la sperimentazione di aggressivi batteriologici, mancano tuttavia da una parte le prove e dall’altra le ammissioni ufficiali per poter annoverare queto episodio come l’inizio della sperimentazione in campo anche per gli Stati Uniti. Sotto accusa il programma sullo sviluppo di una bomba a piume infette di ruggine dei cereali (Puccinia), e sullo sviluppo di insetti vettore, ricerche prodotte a Fort Detrick, centro di ricerca sulla guerra batteriologica che verrà definitivamente chiuso nel ’69 da Nixon. Nel 1972 le accuse rivolte dalla Russia all’America in merito alla guerra di Cina e la paura di epidemie incontrollabili porta alla stipula di una convenzione che vieta la produzione di armi batteriologiche senza tuttavia prevedere un’efficace meccanismo di verifica incrociato. Nel 1994 si tenta di rendere operativa la convenzione ma solo nel 2001 si giunge ad una proposta concreta di disarmo batteriologico, proposta rifiutata, all’ultimo momento, dagli USA. I motivi del rifiuto? Ufficialmente, le possibili limitazioni alle autonomie di ogni singolo paese in termini di sicurezza nazionale. Ufficiosamente più credibili sono tuttavia le forti pressioni dell’industria farmaceutica e biotecnologia che nel settore hanno investito enormi capitali. Le industrie temono che il sistema delle ispezioni incrociate possa

trasformarsi in una sorta di “ cavallo di Troia” per azioni di spionaggio industriale.

Per quanto riguarda la ex Unione Sovietica si sa che il Biopreparat, il laboratorio specializzato e finalizzato a questo tipo di ricerche, durante la guerra fredda ha prodotto bombe al vaiolo, peste, antrace e non si esclude nemmeno la preparazione di aerosol all’ebola. Dagli anni 80, dopo gli accordi sul disarmo, tonnellate di antrace sono state sotterrate nel lago d’ Aral nel Kazakistan, una bomba ad orologeria, se si considera che durante il periodo estivo , a seguito di una errata politica d’irrigazione, il livello del lago scende sino a rendere possibile il dissotterramento dei bidoni. Nonostante tutto, fortunatamente, lo spettro batteriologico sembra essere lontano dal poter essere efficacemente utilizzato, e sino ad ora è servito più da deterrente, una sorta di dimostrazione di forza con maggiore effetto psicologico che pratico. Sino ad oggi l’unico vero esempio di bioterrorismo risale al 1984 quando la setta Bahgwan Shree Rainesh contamina con la salmonella numerosi ristoranti in Oregon, allo scopo di assicurarsi le amministrative ed impadronirsi della contea. Il caso dell’uranio impoverito Dei 697.000 soldati U.S. che hanno combattuto nella prima guerra del Golfo, più di 90.000, alla fine del conflitto, hanno accusato gravi problemi medici. I sintomi, che comprendono disfunzioni respiratorie, epatiche e renali, perdita di memoria, cefalee, febbre, bassa pressione sanguigna., difetti neonatali riscontrati nella prole dei reduci, sono stati identificati in una non ben precisata sindrome:la “Sindrome del Golfo”.

“Prima guerra del Golfo”

L’uranio impoverito, i vapori di idrocarburo sprigionati dai pozzi in fiamme, i vaccini sperimentali somministrati ai militari, le armi chimiche e batteriologiche distrutte negli arsenali di Saddam durante la prima guerra nel Golfo, sono stati da subito indicati dai vertici militari gli imputati principali. Di fatto si sa che gli stessi sintomi, sono stati riscontrati anche nella popolazione locale (e questo lascia escludere ad esempio l’effetto dei vaccini sperimentali).

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Secondo le autorità sanitarie locali, dopo la guerra, sono aumentate anche le sindromi leucemiche tra la popolazione civile, e questo lascia ipotizzare un inquinamento persistente dell’ambiente interessato dalla battaglia. Il quadro si fa ancora più chiaro quando si prende in considerazione anche la guerra in Kossovo. Ancora una volta una strana sindrome associata ad un anomalo incremento di tumori e leucemie ha colpito indiscriminatamente militari e civili. Considerando che in Kossovo non ci sono stati pozzi petroliferi bruciati e non sono stati distrutti arsenali chimico-batteriologici, appare evidente che il sospettato principale rimane l’uranio impoverito, ampiamente utilizzato in entrambe i conflitti: 300 tonnellate nella prima guerra del Golfo e 15 tonnellate nella guerra dei Balcani. (dati riportati ufficialmente dalla NATO). Che l’uranio sia esso naturale che impoverito sia tossico sia dal punto di vista radilogico che chimico non è di fatto una scoperta recente. Cerchiamo di capire che cosa è con esattezza, perché viene utilizzato, quali interessi economici possono spingere verso il suo utilizzo e soprattutto quali sono i suoi livelli di pericolosità.

“Uranio naturale”

L’uranio occupa la posizione 92 della tavola degli elementi ed il suo peso atomico è 238,03. E’ un metallo di colore bianco argento duttile e malleabile. Esiste in natura come miscela di isotopi: U238 (99,275%) U235 (0,720%) e U234 (0,005%).La proprietà fisica più rilevante è la sua densità, una di quelle più elevate riscontrate tra gli elementi (19,7 g/cm3 a 25°C). Tutti gli isotopi dell’uranio sono radioattivi e decadono emettendo una particella alfa ed altri isotopi a loro volta radioattivi. Esso trova largo impiego come combustibile nelle centrali nucleari ma, vista la sua scarsa abbondanza naturale di isotopi fissili come il 235, deve essere preventivamente arricchito, eliminando una certa percentuale di isotopi non utilizzabili come il 238. L’uranio può essere arricchito sino ad una percentuale di U235 del 2-4% per usi energetici o pari al 95% per usi

militari (vedi Hiroshima). Il sottoprodotto di scarto di questo processo di arricchimento è il cosiddetto Uranio Impoverito che da ora in poi chiameremo DU (Depleted Uranium) .

“scorie stoccate nei pressi di una centrale”

Al fine di comprendere e prevedere la tossicità radiologica del DU è importante capire quale è la sua composizione isotopica e chimica. Purtroppo non c’è una risposta univoca a tale quesito, dipende in sostanza dal processo con cui esso è stato prodotto. Sono possibili due vie, a seconda che, durante l’arricchimento, sia stato o meno utilizzato materiale di riciclo del combustibile nucleare (riprocessamento). Nel caso in cui il DU derivi unicamente come scarto dell’arricchimento dell’uranio naturale non saranno presenti ne U236 ne P239, presenti invece nel caso in cui sia stato utilizzato materiale di riprocessamento. Nel pimo caso si parlerà di “DU-pulito” e nel secondo caso invece di “DU-sporco”. La terminologia non deve tuttavia trarre in inganno, l’uranio è pur sempre un materiale altamente tossico anche se nella sua forma cosiddetta “pulita”, nella forma “sporca” è ulteriormente inquinato di materiale che possiede maggiori caratteristiche radiochimiche e quindi una maggiore radioattività. Lo smaltimento delle scorie radioattive di DU è un problema pressante, al quale le società moderna dovrà presto dare risposta. Le centrali nucleari producono in continuazione grandi quantità di DU di scarto che per il momento viene stoccato in voluminosi involucri di piombo, in attesa di una efficace via di smaltimento. Per farsi un’idea dell’entità anche economica del problema basta pensare che, tra le tante idee di smaltimento e/o riutilizzo, l’America ha per un certo periodo di tempo preso in seria considerazione anche l’idea di realizzare apposite missioni spaziali destinate a spedire e disperdere questo materiale nell’universo. Le sue caratteristiche fisiche e la sua vasta disponibilità ad un costo relativamente basso, lo

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rende sicuramente appetibile per alcune particolari applicazioni tecniche. In ambito civile viene utilizzato ad esempio come schermatura per le radiazioni o come zavorra e contrappeso in aviazione. L’uso prevalente del DU è tuttavia quello militare : è infatti efficace come corazza nella blindatura e trova largo impiego nella fabbricazione di proiettili per la sua elevatissima capacità di penetrazione e per la sua piroficità (capacità di incendiarsi a contatto con aria ed ossigeno anche a temperature non elevatissime).

“Proiettile contenete DU”

Da un punto di vista tossicologico, l’uranio è classificato come radioisotopo a bassa tossicità radiologica esterna, poiché il livello delle radiazioni emesse non è tra i più elevati. Il discorso tuttavia cambia quando si considera il DU-sporco, in quanto la tossicità radiologica del plutonio è nettamente superiore. Analisi eseguite in Kossovo, su alcuni proiettili non esplosi, hanno chiaramente messo in evidenza la presenza di radioisotopi di riprocessamento, dimostrando l’utilizzo di DU-sporco nella fabbricazione di questi armamenti. La tossicità chimica dell’uranio è invece prevalentemente rivolta ai reni.

“Effetti del DU”

La pericolosità di questo elemento deriva dall’incorporazione nell’organismo che può avvenire in due modi: per ingestione o per inalazione. Entrambe le vie prevedono

l’ossidazione dell’uranio a componenti volatili come diossido triossido e ottaossido, specie generate ad esempio a seguito di una esplosione. L’uranio inalato si deposita negli alveoli, rimanendovi a lungo. La componente che riesce a passare nel circolo ematico, viene invece escreta con le urine abbastanza rapidamente. Seppure i danni da radiazione esterna non siano rilevanti, (è sufficiente un foglio di carta a schermare completamente), altrettanto non si può dire per quelli derivanti da radiazione interna. La presenza di DU negli alveoli , nel circolo ematico, nel sistema gastro-intestinale è causa di danni cromosomici e morte cellulare, ed è per questo motivo che gli effetti della radiazione interna sono considerati altamente cancerogeni. Quando c’è un bombardamento con proiettili al DU, questo brucia a 5000°C nebulizzandosi nell’ambiente nelle sue forme più volatili. Questo comporta una assunzione massiccia di DU da parte dei militari e dei civili coinvolti nel bombardamento. L’uranio lasciato sui campi di battaglia poi viene lentamente trasportato dal vento e respirato dalla popolazione e, la sua ricaduta al suolo (fallaut) può contaminare le falde acquifere ed entrare nella catena alimentare.

Questo, anche se viene continuamente smentito e negato dalle fonti militari è sicuramente la causa dei disturbi e soprattutto dei numerosi casi di leucemia che sono stati riscontrati anche in militari italiani di ritorno dal Kossovo. Ad onor del vero, il ministero Italiano ha stilato una relazione tecnica, (relazione Mandelli), sulla base della quale, da una per lo più indecifrabile e complicata serie di tabelle e statistiche emerge che: 1- per quanto riguarda le leucemie, non sono riscontrati aumenti, anzi statisticamente il campione di militari Italiani analizzato mostra una incidenza inferiore alla media, probabilmente imputabile alla selezione da un punto di vista fisico che il campione subisce al momento dell’arruolamento, 2- per quanto riguarda il morbo di Hodgkin, seppure sembra esserci un incremento di casi rispetto alla media, va considerato che la stima è riferita ad un periodo non statisticamente probante e quindi il dato viene

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classificato come “statisticamente non significativo”. A questa segue una seconda relazione Mandelli nella quale l’incremento dei casi di Morbo di Hodgkins viene considerato statisticamente relativo e, inspiegabilmente, si suggerisce uno studio approfondito che valuti la possibile dipendenza da cause e fattori diversi dal DU. Nella terza ed ultima relazione l’incremento statistico viene dettagliatamente riportato, riportando anche che nei militari impiegati nella missione in Kassovo non sono state riscontrate tracce di uranio, giungendo alla conclusione (forse un po’ affrettata) che la causa di tali tumori non è l’uranio ma una causa ed una fonte che rimane tuttora sconosciuta. L’evoluzione della relazione Mandelli può essere spiegata dal fatto che, in quel periodo la stampa iniziava ad interessarsi sempre di più ai casi di militari italiani morti di tumore (morbo di Hodgkins) a seguito della missione nella ex-Yugoslavia. Era impensabile continuare a sostenere la non significatività statistica di fronte al proliferare di casi umani con una forte presa sull’opinione pubblica. Si è trovata quindi la via della non giustificazione, che da un lato scagiona l’utilizzo del DU come materiale bellico e dall’altro ammette che qualcosa c’è stato anche se, non siamo in grado di capire cosa. La domanda che nasce spontanea e perché difendere cosi strenuamente l’utilizzo militare del DU.? Da un lato, come abbiamo già detto, è una conveniente via di smaltimento di questa scoria che continua ad accumularsi nelle centrali nucleari di tutto il mondo. Dall’altro il riconoscimento della pericolosità del DU, come aggressivo chimico comporterebbe la messa al bando di numerosissime armi attualmente utilizzate soprattutto dall’ esercito USA. Una per tutte la Bomba Blu 107 meglio conosciuta come “tagliamargherite”.

“Bomba blu –Tagliamargherite”

Questa bomba contiene oltre all’uranio impoverito che costituisce la scocca interna, una sostanza

simil al napalm. Viene lanciata con un sistema di paracaduti che ne rallenta la caduta, permettendo al bombardiere di allontanarsi ed al sistema di radioinnesco di farla esplodere a qualche metro da terra. E’ capace di radere al suolo una circonfrenza di 1 Km di diametro e veniva utilizzata in Vietnam per creare piste di atterraggio per gli elicotteri. Recentemente è stata impiegata in Afghanistan per distruggere i tunnel nelle montagne di Tora Bora, vista la sua potenza distruttiva riesce a distruggere fino a centinaia di metri in profondità. Vorrei chiudere questo paragrafo dedicato all’uranio impoverito con alcune considerazioni del Comitato Scienziate e Scienziati contro la guerra: che riguarda quello che potremmo definire l’inquinamento bellico prodotto nella ex Yugoslavia.. “….Se una stima delle conseguenze sui militari è difficile, non è difficile citare i primi dati sui civili jugoslavi. Ad esempio, i dati per la zona di Pancevo: il numero annuo di casi di tumore, già alto prima dell'attacco a causa delle industrie chimiche, è passato da 2000 a circa 10000 (stima estrapolata dai primi dodici mesi dopo l'attacco dalla Sindaca e dall'assessore all'ambiente locali. I dati epidemiologici jugoslavi indicano che l'inquinamento chimico deve essere una concausa rilevante della maggior insorgenza di tumori in chi sia stato o viva in Jugoslavia durante o dopo le guerre, in quanto tutti i casi che si verificano sulla popolazione non sono spiegabili con il solo DU. Ma questo non è importante, se non per riconoscere che il DU non deve servire per distogliere l'attenzione sugli altri crimini di guerra della NATO (come bombardare un'industria chimica sottovento a una città), ma anzi il DU deve servire da TRACCIANTE MORALE per individuare le ragioni di questi crimini, volti a destabilizzare intere aree geopolitiche. L'attenzione su queste cose si è destata per la malattia e la morte di alcuni militari italiani; tuttavia, non possiamo tacere la nostra indignazione per il fatto che, in questi mesi, si sia taciuto che in Jugoslavia si muore di cancro e malformazioni congenite a migliaia in più rispetto a prima della guerra, senza contare le migliaia di morti durante il conflitto.

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Se danni così gravi si stanno verificando in militari di provenienza estera, con alcuni "benefit" in termini di salute e di qualità della vita, cosa sta succedendo e cosa succederà alle popolazioni che lì vivevano negli ultimi dieci anni dopo la guerra in Bosnia e che continuano a viverci in condizioni che l'embargo e la povertà del dopo guerra stanno rendendo quasi impossibili? Non può che destare ulteriore timore il fatto che, sia i dati di Pancevo sia le informazioni raccolte presso città jugoslave che non sono state strettamente l'oggetto di una guerra chimica (come Cacak), forniscano un quadro di crescita dei tumori talmente ripida e rapida da non potersi spiegare solo con cause di tipo chimico o più generalmente ambientale. Questo potrebbe significare, per esempio, la presenza di un calo delle difese immunologiche dovuto allo stress correlato all'intensità e alla tipologia dei bombardamenti in quanto tali, come è dimostrato dall'impressionante aumento di casi di depressione registrati a Belgrado e in molte città bombardate più violentemente (cfr. M.Saric Tanaskovic in Contro le nuove guerre, cit.). Sottolineiamo infine che molte volte i dati più impressionanti non vengono forniti dalle autorità iugoslave, ma vanno ricondotti a ricerche di Istituti indipendenti e spesso sottofinanziati (come quello tedesco di Ekocontrol di Dessau o quello greco dell'Università della Tracia), oppure debbono essere scovati nelle appendici dei rapporti ufficiali delle Nazioni Unite (Unep-Balkan Task Force). In tale rapporto si possono infatti trovare dati di estremo interesse, nonostante la prima missione dell'Unep fosse stata stabilita a guerra ancora in corso con lo scopo di "evitare speculazioni sugli effetti dell'intervento NATO". L'Unep in effetti non arrivò a dimostrare che la guerra avesse causato la catastrofe ecologica, ma riconobbe le condizioni ambientali catastrofiche registrate in città come Pancevo e a Novi Sad. Ciò sta a testimoniare una perversa e inconsapevole complicità tra vittime e carnefici che ha come risultato l'occultamento di importanti elementi di prova dei crimini ecologici di guerra contro le generazioni presenti e quelle future, le quali paiono destinate a subire un aumento del carico genetico, attualmente di difficile quantificazione. Non solo la NATO occulta le prove del suo operato ai suoi stessi alleati, come stiamo vedendo in questi giorni, ma sono le stesse istituzioni jugoslave - e alcune degli altri paesi circonvicini subordinati alla NATO - che mostrano spesso segni di timidezza nel denunciare le sindromi da cui sono afflitte in seguito alla guerra: motivi di ordine pubblico, come quelli che hanno evitato ieri una possibile evacuazione di Belgrado, minacciata dalla nube tossica proveniente da Pancevo, e che hanno indotto i ginecologi delle città oggetto di bombardamenti chimici a suggerire solo informalmente l'aborto per i

successivi due anni a donne che avrebbero potuto essere le gestanti di feti malformati; motivi per cui oggi lo stesso Ministero dell'Ambiente potrebbe sparire in Jugoslavia, eventualmente inglobato in quello della Sanità. Ma anche motivi di ordine economico: che convenienza ha infatti la vittima a denunciare il crimine da cui è stata colpita, quando ciò impedirebbe all'agricoltore di vendere la propria merce sospetta inquinata, unica sua fonte di reddito, o l'operaio correrebbe il rischio che la sua fabbrica non venisse ricostruita nel luogo dove avrebbe un impatto ambientale insostenibile, per esempio lungo il Danubio, o il proprietario di una casa che vedrebbe frantumare il valore del proprio bene? Ma la verità, prima vittima di ogni guerra, prima o poi viene a galla. Pertanto anche su ogni commissione che effettua i controlli andrebbe esercitata una vigilanza rigorosa, perché non debbono esserci controllori incontrollati. Per questo sta agli scienziati parlare e denunciare ognuno dei crimini conosciuti anche a dispetto di andare contro l'interesse privato di ciascuno. Ma per il bene di tutti i viventi e in solidarietà diacronica con le generazioni future………..”.” Distruzione di massa “convenzionale” Per concludere voglio ricondurmi al concetto con il quale ho iniziando la mia relazione riprendendo in considerazione la definizione di “convenzionale” e “non convenzionale”. Spero che dal discorso sino ad ora fatto emerga chiaramente la drammatica pericolosità di tutta una serie di armi, studiate e progettate per annientare in maniera definitiva il proprio nemico. E’ bene tuttavia ricordare che esistono sistemi, definiti convenzionali, che posseggono potenzialità letali tali da farli considerare vere e proprie armi di distruzione di massa. Ad esempio la bomba FAE (Fuel Air Esplosive) composta da una miscela stechiometrica di combustibile liquido ed aria (tipo Molotov). E’ una bomba a caduta di 2 tonnellate molto più distruttiva del tritolo, usata contro le colonne di blindati in ritirata in Kuwait.

“Esplosione di una bomba FAE”

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Essendo molto pesante necessita di un bombardiere B52, poco agile e quindi utilizzabile solo contro nemici scarsamente reattivi.

“Bomba FAE”

Un secondo esempio la cosiddetta cannoniera volante un Hercules 130, in genere utilizzato come veivolo da trasporto, modificato con l’apertura di 4 portelli laterali su ciascun lato della fusoliera. In ogni portello viene istallato un cannoncino VULCAN da 30 millimetri a canne rotanti capace di sparare fino a 2 mila colpi al minuto. Secondo una stima da 500 metri di altezza su un assembramento può provocare 10 morti in 5 minuti.

“Cannoniera volante”

Che cosa dire poi delle bombe a grappolo, si tratta di un contenitore a caduta; dopo il lancio un paracadute rallenta la discesa ed un dispositivo barometrico governa l’apertura del contenitore che contiene un numero variabile di mine che vengono depositate a terra, su una zona molto ampia, da mini paracaduti.. Sono state utilizzate sia dalla Raf nella guerra delle Maldive (1982) che dalla NATO nei Balcan (1999)i e dagli alleati USA-UK nella guerra in Iraq (2003) ed in Afghanistan (2002).

Nicola Todaro (1A) "bombe a grappolo"

Queste bombe rappresentano una subdola alternativa alle mine antiuomo, oramai vietate per convenzione internazionale, rimangono letali anche anni dopo la fine del conflitto colpendo soprattutto gli strati deboli della società: i bambini, e gli agricoltori. Per concludere vanno citati anche tutti quei veicoli, normalmente utilizzati per scopi civili ma che, sempre più frequentemente, vengono utilizzati da spregiudicati e disperati Kamikaze per attacchi terroristici contro obiettivi civili, allo scopo di disseminare terrore e morte.

"Kamicaze"

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