armamento del guerriero celta
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Gioal C M Canestrel l i
L’EQUIPAGGIAMENTODEL GUERRIERO
CELTA
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INDICE
La Spada pag. 2
La Lancia pag. 5
Le Armi da Tiro pag. 7
Lo Scudo pag. 10
La Catena Sospensoria pag. 13
L’Elmo e l’Armatura pag. 16
Il Carro da Guerra pag. 19
Bibliografia pag. 23
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LA SPADA
La spada lunga è un' arma che rese celebri i guerrieri celti, e che senza alcun
dubbio contribuì al dilagare della loro cultura in tutta Europa durante l’Età
del Ferro.
I primi esempi di spada lunga in ambito celtico appaiono dopo il passaggio
dalla Cultura di Hallstatt (VI sec a.C.) alla Cultura di La Tène (V sec a.C.).
La spada lunga lateniana si presenta come arma a una mano, a doppio taglio,
da affondo e da fendente, con ammanicatura a codolo e impugnatura ad X,
con le estremità inferiori che spesso presentano decorazioni ritorte,
omologandosi a lungo andare verso l'elsa antropomorfa, più o meno
particolareggiata.
Durante il IV secolo le dimensioni della spada si standardizzano (lama a
doppio fendente lunga una sessantina di centimetri), e la sua presenza nelle
sepolture, accompagnata dallo scudo ligneo rinforzato con componenti
metalliche, è ormai pressoché costante.
Solo con il progressivo affermarsi dell'uso di reparti di cavalleria la spada
celtica si allunga ulteriormente, fino a raggiungere la lunghezza di novanta
centimetri di lama, equivalente nelle dimensioni a gran parte delle sciabole di
cavalleria di ogni epoca.
Un arma di queste dimensioni, il cui puntale sfiora la caviglia di un uomo di
alta statura, costituirebbe un ingombro incompatibile con la corsa rapida
che era propria dei reparti di guerrieri appiedati celtici.
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Per il cavaliere, invece, un impedimento di questo tipo non esiste: anche
quando è portato a combattere a terra, egli non ha più bisogno di spostarsi
velocemente o di caricare.
Le spade celtiche del IV secolo sono un modello chiaramente vincente, e tra
il IV e il III secolo vengono infatti adottate da tutte le popolazioni che con i
Celti venivano a contatto (Veneti, Reti, Liguri, alcuni esemplari trovati
persino in contesti Umbri e Piceni).
In un contesto come quello dell’Europa dell’Età del Ferro dove, a parte
alcune trascurabili eccezioni, le spade erano di fatto solo dei lunghi pugnali,
e dove il ruolo di arma da fendente era relegato alle scuri, la spada celticanon poteva che presentarsi come una innovazione stupefacente.
Le spade corte dell’Età del Ferro europea sono delle armi
fondamentalmente da punta, maneggevoli ma che prescindono un contatto
stretto con l’avversario, mentre le scuri da guerra con ammanicatura a
cannone, che troviamo impiegate largamente in tutta Europa tanto nell’Età
del Bronzo che nel Ferro Primo, sono armi economiche ma scomode, fragili
e con una superficie offensiva assai ridotta.
Le spade celtiche devono dunque la loro principale fortuna alla loro
lunghezza, combinata alla loro versatilità che le rendeva utilizzabili tanto
come armi da affondo che da fendente.
Il mito della spada celtica come arma esclusiva da fendente è dovuta alle
testimonianze, non poco tendenziose, del cronachista romano Fabio Pittore,
che ne parla a proposito della battaglia dell’Oglio, che vede Romani eCenomani contrapposti agli Insubri.
Le spade celtiche che ci ha restituito l’archeologia sono perfettamente in
grado di colpire di punta.
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Un affondo portato caricando il colpo di spalla, accompagnato magari da
una leggera torsione del polso, può imprimere una discreta forza e velocità
all'arma ed ha buone probabilità di trapassare una giubba di pelo o un
corpetto di cuoio.
Sicuramente contro i soldati romani, sempre equipaggiati con loricaehamateo
con loricaesegmentatae, un colpo di stocco aveva molte probabilità di risultare
del tutto controproducente ed inefficace, ed è forse per questo che i
cronachisti romani ci descrivono le lame celtiche come esclusive armi da
taglio.
In un contesto precedente però all'incontro-scontro dei Celti con i Romani,quando quindi la maggior parte dei guerrieri d'Europa possedeva un
equipaggiamento difensivo assai povero, si ha buona ragione di credere che
le spade lunghe potessero tranquillamente venir usate per portare degli
affondi, anche se da un punto di vista pratico era sicuramente preferibile
portare colpi di fendente.
La grande pecca delle lame celtiche è da ricercarsi non in una mancanza di
versatilità, ma nel materiale scadente utilizzato per la loro realizzazione:
forgiate in ferro dolce le spade lunghe lateniane tendevano a piegarsi se i
colpi venivano portati con forza eccessiva (a parere di Kruta e Manfredi,
anche quest’ultimo particolare sarebbe però da attribuire all’ignoranza dei
Romani, che avrebbero male interpretato le spade ritualmente piegate
presenti nelle sepolture).
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LA LANCIA
Così come in tutti i contesti militari dell'Età del Ferro, anche in quello
celtico le lance hanno sempre occupato un posto di rilievo, almeno durante
il periodo Antico La Tène.
Più facile e meno dispendiosa da costruire di una spada, visto che l'elemento
metallico si limita alla cuspide e al puntale (la piccola cuspide posta
sull'estremità inferiore dell'asta dell'arma), la lancia era largamente utilizzata
da tutti i guerrieri celti, anche se in un secondo tempo va progressivamente
a perdere importanza rispetto alla spada lunga, che come abbiamo già visto
fu uno degli elementi fondamentali di innovazione che i Celti apportarono
al panorama bellico europeo.
La lancia celtica originaria, che in seguito venne mutuata anche dai Germani,
conosciuta dalle fonti romane col nome di framea ( Framea: specie di asta olancia corta in uso presso i Germani, Nuovo Dizionario Latino-Italiano, G.
Angelini), era di lunghezza ridotta rispetto alle sue evoluzioni successive,
poco ingombrante e più facile da maneggiare delle lance degli opliti e delle
lunghesarissemacedoni, con la cuspide a foglia, larga e affilata.
Il termine specifico di "lancia" potrebbe trarre in inganno, ed in effetti
sarebbe più corretto usare la parola "asta". Di fatto la framea prima e la lancia
poi non erano affatto concepite per essere scagliate, ma erano usate
prettamente nel combattimento corpo a corpo, mentre la funzione di
proiettile e di arma da getto era relegata ai giavellotti, più corti e più leggeri e
dalla cuspide maggiormente sottile.
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Lo scontro sempre più frequente con formazioni serrate di tipo
mediterraneo portò ad un lento ma progressivo omologarsi delle tecniche di
combattimento dei Celti a quest'ultime,
"Gli Elvezi...ordinatisi a falangein formazioneserrata, dopo aver respinto la nostra
cavalleria, avanzarono contro la prima linea romana." 1
"I Galli attaccavano scagliando dardi, avvicinandosi in formazioni copertedagli scudi;
continuamenteforzefreschesostituivano quellestanche." 2
e ne forniscono la prova i puntali di lancia smussati e arrotondati,
probabilmente concepiti per non ferire i compagni delle linee arretrate,
mentre alcune cuspidi si allungano smisuratamente, raggiungendo la
lunghezza e la morfologia delle baionette.
1 Cesare, DeBello Gallico, I, 24
2 Cesare, DeBello Gallico, VII, 85
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LE ARMI DA TIRO
Arma da tiro per eccellenza, l’arco era uno strumento conosciuto
largamente in tutta l’Europa antica ed utilizzato per fini venatori o persino
ludici.
A differenza dell’Asia e del Vicino Oriente, però, in Europa la sua funzione
viene relegata a questi soli due aspetti.
La ragioni sono molteplici, e vanno ricercate principalmente in due fattori:
da una parte, l’inefficienza dell’arma a scopi bellici in un contesto come
quello europeo dell’Età del Ferro, dove il dinamismo e la mobilità degli
eserciti e delle bande armate, unitamente al discreto sviluppo degli
armamenti difensivi, rendevano inefficace un eccessivo utilizzo delle armi da
tiro, dall’altra il costo dell’arco in termini tanto economici quanto
tecnologici e pratici.
Di fatto, i proiettili dell’arco soffrono principalmente di una carenza di
massa: l’efficacia di un arco va principalmente ricercata nella particolarità del
proietto, che concentra su una ridotta superficie (punta della freccia) la
velocità.
Buona parte della capacità di penetrazione è dovuta quindi alla qualità del
materiale utilizzato per la punta della freccia e al suo grado di lavorazione,
pertanto nell’arco rimane indispensabile al funzionamento, oltre all’alta
tecnologia dell’elemento proiettante, anche quella del proietto.
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Se dunque le armi da tiro, in un contesto come quello dell’Europa antica,
limitano la loro funzione ad un mero tiro di opportunità e di disturbo, è
molto più pratico ricorrere alla fionda.
Pratica ed economica, la fionda è l’arma da tiro celtica per eccellenza, ed ha
sempre trovato un impiego massiccio tanto presso i Celti Insulari, così come
ci tramanda il Lebor Gabala (Libro delle Invasioni) irlandese, che presso i
Celti Continentali.
"Il metodo di assalto ugualeper i Belgi eper i Galli èil seguente: gli attaccanti disposti in
gran numero, tutt'intorno al perimetro dellemura, cominciano a scagliarepietre..."3
Un’arma a costo zero, i cui proiettili non abbisognano necessariamente di
una attenta lavorazione per essere efficaci, e facile da utilizzare, la fionda
venne impiegata largamente da tutti i popoli antichi, tanto in Europa che in
Medio Oriente, ed i Romani stessi utilizzavano reparti ausiliari di
frombolieri, reclutati precipuamente nelle isole Baleari (Spagna).
Propria delle culture pastorali, la fionda rimase sempre parte determinante
della panoplia del guerriero celta, e sempre Cesare ci tramanda quanto nelle
mani dei Galli tale arma fosse letale.
3 Cesare, DeBello Gallico, II, 6
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Dalle fonti classiche comunque, evinciamo che un comune utilizzo della
fionda presso i Celti fu sempre legato agli assedi, vista la capacità proiettante
dell’arma, che superava di gran lunga le possibilità di qualsiasi arma da getto,
mentre negli scontri in campo aperto raramente se ne fa menzione,
soprattutto perché un eccessivo affidamento sul tiro di disturbo, mal si
sarebbe accordato con la dinamicità propria dell’arte militare celtica.
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LO SCUDO
A differenza dei loro omologhi mediterranei, spesso rotondi o curvi, gli
scudi celtici si distinguono per la morfologia ellittica e piatta sostenuta da
una nervatura centrale saliente, detta spina.
Questa morfologia, come pure la collocazione dell'impugnatura orizzontale,
implica un'utilizzazione dinamica dell'arma, e riporta a quello che fu uno dei
principali punti di forza delle schiere celtiche rispetto a quelle mediterranee
di impostazione oplitica, almeno durante il loro periodo di massima
espansione: la mobilità.
Nel III secolo a.C. la falange macedone era divenuta, per i popoli del bacino
mediterraneo, un modello accedemico.
Se da una parte però la falange irta di lance si presentava come una
formazione inespugnabile, mostrava la tendenza a divenire un blocco
sempre più statico e incapace di effettuare manovre complesse, quindi con
un nucleo solido ma dai fianchi deboli.
Per scuotere e destabilizzare questa massa compatta, in un primo tempo i
Celti fecero affidamento sul dinamismo e sulla forza d'impatto della loro
fanteria, che riusciva a combinare in maniera eccellente un equipaggiamento
pesante ad un dinamismo impressionante per l'epoca.
L'impatto del primo assalto condizionava quindi necessariamente lo
svolgersi dell'intero scontro, da qui la necessita di una corsa veloce e senza
impedimenti.
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Lo scudo quindi, da semplice strumento di difesa statica, diviene presso i
Celti uno strumento maneggevole, con un'impugnatura orizzontale che
consentiva agevoli movimenti di rotazione, utilizzabile anche come arma da
offesa, capace di sferrare colpi con i bordi e l'umbone.
Lo scontro frontale con le formazioni di tipo oplitico costrinse i Celti a
rafforzare l'umbone dello scudo, inizialmente composto da due gusci
metallici inchiodati alla superficie del legno.
Lo sfondamento dell'umbone, probabilmente un fatto comune visto il suo
uso anche offensivo, poteva infatti causare lo sporgere all'interno dei due
chiodi che lo fissavano, che andavano così a ferire la mano che impugnavala manopola.
Per ovviare a questo problema, all'umbone vennero collegate le due lamine
metalliche che in precedenza avevano la semplice funzione di rafforzare
l'assemblaggio delle tavole di legno della superficie dello scudo, mentre
l'umbone da bivalve divenne composto da un guscio unico, dalla superficie
allungata.
I chiodi per il fissaggio dell'umbone e della manopola sottostante vennero
quindi trasferiti alle due estremità dello stesso, aumentandone tanto la
solidità quanto la sicurezza nel caso di rottura.
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Scudo, struttura ed evoluzione.Da: I Celti. S. Moscati, V. Kruta, O.H. Frey, B. Raftery, M. Szabò. EdizioneBompiani
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LA CATENA SOSPENSORIA
Le catene sospensorie, un'altra delle più grandi innovazioni in campo
militare dei Celti, trovano la loro genesi nella costante ricerca del guerriero
celtico di una sempre maggiore mobilità, da contrapporre alla granitica
staticità dei soldati Greci e Italici.
Come abbiamo visto in precedenza, già per quanto riguarda la genesi dello
scudo e della lancia, i Celti, prima di omologarsi agli schemi militari dei loro
avversari, tentarono di supplire alla mancanza di disciplina con la velocità e
la mobilità, e lo sviluppo della catena sospensoria ne è una prova lampante,
così come è una chiara dimostrazione della perizia e della praticità degli
artigiani celtici.
Venivano utilizzate due catene: una corta posta anteriormente al corpo ed
una lunga che cinge posteriormente la vita, i cui anelli iniziali sono
solidamente collegati con l'elemento di sospensione verticale situato lungo il
retro del fodero.
Le articolazioni delle maglie sono concepite per limitare al minimo la libertà
di movimento di chi indossava la catena, congegnate in modo tale da
privilegiare la curvatura naturale del corpo.
Per limitare al massimo tutti gli impedimenti a carico degli arti inferiori e per
consentire quindi una corsa il più possibile agevole e naturale, la spada viene
posta il più lateralmente possibile, con l'elemento di sospensione del fodero
che andava a poggiare lungo l'anca destra.
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La catena corta risale obliquamente sul davanti, ed il suo anello terminale
va a collegarsi con la cintura, la cui estremità vi ritorna dopo aver fatto il
giro della vita.
La catena lunga, dopo aver contornato le reni posteriormente, torna in
avanti per agganciarsi a sua volta al fodero.
La spada, così portata, era assolutamente salda al fianco del guerriero che,
sia durante un combattimento ravvicinato sia durante uno spostamento
veloce, non soffre ne' di oscillazioni del fodero né delle scosse verticali che
normalmente avrebbero luogo.
La semirigidità della catena, la cui funzionalità venne ulteriormenteaumentata da un successivo utilizzo delle maglie piatte, offriva al
combattente un impaccio praticamente nullo.
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Catena sospensoria, evoluzione e funzionamento.Da: I Celti. S. Moscati, V. Kruta, O.H. Frey, B. Raftery, M. Szabò. EdizioneBompiani
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I pochi elmi celtici ritrovati (pochi se paragonati ai ritrovamenti di
umboni, di lame e di cuspidi) erano probabilmente esclusivo appannaggio
delle classi aristocratiche, e la loro funzione era tanto pratica quanto scenica.
L'elmo celtico classico presenta una forma allungata o conica, ideata per
deviare i colpi delle armi da taglio, e spesso presenta una protezione
posteriore fissa per la nuca e due protezioni laterali mobili per le guance.
Sono stati trovati anche modelli più complessi, come l'elmo britannico
ritrovato nel Tamigi, ornato da due corna in bronzo, o quello di Canosa di
Puglia, munito di due cannule di bronzo che dovevano ospitare piume oaltri ornamenti, la cui reale funzionalità è ancora dubbia.
Altri modelli ancora, come quello della necropoli di Ciumesti (Romania),
sormontato da un uccello rapace in bronzo con le ali mobili, a causa del loro
valore e della loro palese scomodità avevano probabilmente una valenza
ornamentale da parata.
Per quanto riguarda le armature, è innegabile che è ai Celti che dobbiamo
l'introduzione in Europa della cotta di maglia, che verrà poi adattata e
largamente impiegata dai Romani col nome di Lorica Hamata, ma quanto di
fatto loro stessi ne facessero uso è un argomento controverso.
Benché siano stati ritrovati alcuni frammenti di maglia di ferro, risalenti
persino al II secolo a.C., come quella del deposito votivo di Tiefenau
(Svizzera), e che alcune raffigurazioni, come la statua di Vachères (Francia) ei rilievi del santuario di Athena Nikephoros a Pergamo mostrino la maglia di
ferro come parte integrante dell'armamento dei guerrieri celtici, costruire
una cotta di maglia è un lavoro lungo e assai dispendioso, e probabilmente
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solo i capi ed i mercenari più facoltosi potevano permettersene una, cosa
che possiamo evincere anche dalle testimonianze scritte lasciateci dai
Romani.
"Gli Insubri e i Boi andavano in battaglia vestiti di braghe e di comodi sai che
arrotolavano; ma i Gesati, nella loro presunzioneesicurezza, seneerano spogliati esi
erano schierati in prima fila, nudi con lesolearmi" 5
"Tutti quelli cheformavano leprimelineeerano parati di torques edi bracciali d'oro" 6
Indipendentemente dall'aspetto dei Gesati, nel quale va ricercata certamente
una valenza sacrale ed un modo di porsi dinnanzi allo scontro proprio di
alcune caste di guerrieri celtici, è indicativo che Polibio descriva i Boi e gli
Insubri vestiti con le sole brache ed il saio e che non faccia menzione di
armature di sorta.
Se delle cotte di maglia fossero state presenti in numero significativo inoltre,
è impensabile che Polibio non ne avrebbe fatto menzione, come invece fa
per quanto riguarda i torques ed i bracciali. Anche il fatto che Strabone, nel
sovracitato passo della suaGeografia, descriva meticolosamente l'armamento
del guerriero celta non facendo accenno ad alcuna protezione per il corpo è
una prova evidente di quanto la maglia di ferro avesse un impiego relativo.
5
Polibio,Storie, II, 28, 7-8
6 Polibio,Storie, II, 29, 8
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IL CARRO DA GUERRA
Sappiamo bene, dalle fonti classiche, che i Celti erano dei superbi cavalieri.
Cesare, nelle sue campagne in Gallia, fece uso di cavalleria ausiliaria
fornitagli dalla nazione degli Edui, e Crasso utilizzò ausiliari gallici a cavallo
nella sua tristemente famosa campagna contro i Parti.
Annibale stesso fece ampio uso di cavalieri celtici, e proprio al valore e allamobilità di quest'ultimi, unitamente al genio del condottiero cartaginese,
vanno imputate molte delle sue vittorie in Italia.
Ancor prima che come cavalieri però, i Celti, come la maggior parte dei
popoli indeuropei, divennero noti per l'uso del carro da guerra.
Proprio delle culture sviluppatesi nelle steppe dell'Asia Centrale, il carro da
guerra fu senza dubbio una delle più grandi innovazioni militari dell'Età del
Bronzo, ed in Europa finì per diventare uno degli emblemi delle
popolazioni celtiche, che ne conservarono l'uso per molti secoli.
Il carro da guerra degli Indeuropei fondava la sua principale efficacia
sull'impatto psicologico; per quanto possa venir ben costruito, se soggetto a
pesanti urti un carro finisce, senza ombra di dubbio, per rompersi o per
ribaltarsi, ma all'epoca quale era la formazione di fanteria così disciplinata e
ben addestrata che sarebbe rimasta impassibile e non si sarebbe data allafuga di fronte alla carica di uno squadrone di carri da guerra?
Arma esotica e strana agli occhi dei Romani, il carro celta colpì molto
l'immaginazione dei Latini.
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"Il modo di combatterecon i carri èil seguente: dapprima i Britanni corrono quà elà
gettando dardi, ecol terrorestesso cheincutono i cavalli econ lo strepitio delleruote,
riescono per lo più a metterelo scompiglio nelleschierenemiche; poi si insinuano tra le
formazioni di cavalleria e, saltati giù dai carri, combattono a piedi. Gli aurighi intanto,
pian piano, escono dalla mischia ecollocano i carri in modo che, sei loro compagni sono
incalzati dai nemici, subito possono ripiegaresu di essi eriprenderei loro posti. Così in
battaglia hanno contemporaneamentela mobilità dei cavalieri ela stabilità dei fanti, eper
l'abilità acquistata, con l'esercizio quotidiano, sono capaci di frenareanchein luogo
scosceso i cavalli spinti al galoppo, di manovrarefacilmente, di correreavanti, afferrareilgiogo dei cavalli, epoi, sveltissimi, ritirarsi nei carri" 7
All'epoca di Cesare ormai, per motivi che tratteremo in seguito, nel
continente il carro era divenuto obsoleto, ed erano solo i Celti delle isole ad
utilizzarlo. Oltretutto la spettacolarità della descrizione del condottiero
romano fa pensare che in effetti, più che come arma vera e propria, il carro
venisse utilizzato come mezzo di trasporto e per eseguire spettacolari
prodezze con l'intento di stupire ed intimorire l'avversario, ma che una volta
cominciato il combattimento vero e proprio (e di ciò abbiamo la conferma),
gli occupanti smontassero e combattessero a piedi, eventualmente risalendo
sul carro solo per ritirasi con maggior velocità.
Questo però non deve assolutamente portare all'anacronistica idea che i
Celti abbiano inventato una sorta di pionieristica fanteria meccanizzata.
7 Cesare, DeBello Gallico, IV, 33
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La ricca fattura e i contesti nei quali i carri da guerra vengono ritrovati,
fanno giustamente dedurre che presso i Celti il carro fosse esclusivo
appannaggio della nobiltà.
I carri a due ruote, leggeri ed eleganti, che tanto colpirono l'attenzione di
Cesare, erano l’evoluzione di carri a quattro ruote più pesanti, rinvenuti in
sepolture datate prima del V secolo a.C. e sempre facenti parte del corredo
funebre di personalità di spicco.
Le ruote erano a raggi, di legno, con i cerchioni in ferro così come i mozzi, e
fissate agli assali con giunture di ferro. La piattaforma era realizzata in legno,
con fiancate sempre in legno oppure in vimini, ed era trainata da unapariglia di cavalli legati col giogo ad un asse.
A questi elementi di base venivano aggiunti anelli per decorare le redini,
morsi flessibili e finimenti anch’essi decorati.
Benché nell'epopea irlandese di Cù Chulaìnn il carro dell'eroe venga
descritto munito di falci e di lame fissate agli assi, gli scavi archeologici non
ci hanno ancora restituito nulla di simile, e l'opinione più diffusa è che si
tratti di una contaminazione tarda del testo, dovuta al ricordo classico dei
carri falcati greci e persiani.
Comunque, la mancanza totale di una struttura militare di tipo ben
codificato relega i carri celtici, a differenza di quelli hittiti ed assiri, ad una
semplice funzione rappresentativa, e non ad un corpo ben definito
dell'esercito.
L'unica fonte che mostra i Celti usare i carri come elemento bellico attivo,quindi divisi in squadroni ed impiegati per sfondare lo schieramento
avversario è Tito Livio, nella sua descrizione della Battaglia di Sentino (295
a.C.).
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Secondo Tito Livio, per ben due volte la cavalleria romana riesce a
respingere quella gallica, ma al sopraggiungere degli squadroni dei carri
celtici, rimasti fino a quel momento nascosti, i Romani vengono sbaragliati e
volti in fuga.
"Il nemico, stando armato su carri da guerra eda trasporto, avanzò con gran frastuono di
cavalli edi ruoteespaventò i cavalli dei Romani non abituati a quel tumulto... Di qui lo
scompiglio si trasmiseancheai reparti dellelegioni, emolti antesignani furono travolti
dall'impeto dei cavalli edei carri spinti in mezzo alleloro file..." 8
Il fatto però che nella sua descrizione Tito Livio parli anche di cavalleriagallica e non solo degli squadroni di carri, fa pensare che già nel III secolo
a.C. fosse in atto quella metamorfosi che avrebbe portato i Celti a preferire
l'uso semplice del cavallo a quello del carro.
Se infatti il carro da guerra può contare su un notevole impatto psicologico
(in Medio Oriente di fatto, durante la seconda metà dell'Età del Bronzo e
nella prima Età del Ferro, fu il corrispettivo della cavalleria pesante del
medioevo europeo), la cavalleria si dimostrò notevolmente più manovrabile
e oltretutto economica.
Davanti all'alternativa di impiegare due cavalli per trainare un unico carro e
quella di poter contare su due cavalieri, indipendenti l'uno dall'altro, più
veloci ed efficaci, tutti i popoli, tanto in Medio Oriente quanto in Europa,
scelsero progressivamente la seconda, e tra loro anche i Celti.
8 Tito Livio, Historiae, X, 28
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