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TRIMESTRALE SCIENTIFICO DI PATOLOGIA VASCOLARE Anno XI - N. 3, 2017 - ISSN 1973-7564 www.nautilussalute.com EDITORIALE Di Patologia Vascolare e di Cultura Medica Giovanni B. Agus LEADING ARTICLE La malattia varicosa nella cronicizzazione della patologia venosa Leonardo Aluigi ARTICOLI ORIGINALI Il linfedema oncologico Tiziana A. Baroncelli, Giovanna Franchi, Maria Grazia Muraca L’indicazione al trattamento chirurgico della stenosi carotidea mediante ecocolordoppler Vincenzo Puleo, Pier Luigi Castagno REVIEW Attualità delle eparine nella tromboprofilassi del paziente medico (e ortopedico) Giovanni B. Agus EVENTI L’Italia al centro di un network flebo-linfologico internazionale Sergio Gianesini CULTURA Medico, arte e cinema CAMMEO Primum non nocere. La nobile arte di non fare in patologia vascolare Mauro Pinelli

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TRIMESTRALE SCIENTIFICO DI PATOLOGIA VASCOLARE

Anno XI - N. 3, 2017 - ISSN 1973-7564

www.nautilussalute.com

EDITORIALE

Di Patologia Vascolare e di Cultura MedicaGiovanni B. Agus

LEADING ARTICLE

La malattia varicosa nella cronicizzazione della patologia venosaLeonardo Aluigi

ARTICOLI ORIGINALI

Il linfedema oncologicoTiziana A. Baroncelli, Giovanna Franchi, Maria Grazia Muraca

L’indicazione al trattamento chirurgico della stenosi carotideamediante ecocolordoppler

Vincenzo Puleo, Pier Luigi Castagno

REVIEW

Attualità delle eparine nella tromboprofilassidel paziente medico (e ortopedico)

Giovanni B. Agus

EVENTI

L’Italia al centro di un network flebo-linfologico internazionaleSergio Gianesini

CULTURA

Medico, arte e cinema

CAMMEO

Primum non nocere. La nobile arte di non fare in patologia vascolareMauro Pinelli

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NautiluNautiluV i a g g i o a l C e n t r od e l l a S a l u t e

TRIMESTRALE SCIENTIFICODI PATOLOGIA VASCOLAREAnno XI - N. 3, 2017

EDITORIALEDi Patologia Vascolare e di Cultura Medica Giovanni B. Agus

LEADING ARTICLELa malattia varicosa nella cronicizzazionedella patologia venosaLeonardo Aluigi

ARTICOLI ORIGINALIIl linfedema oncologicoTiziana A. Baroncelli, Giovanna Franchi,Maria Grazia Muraca

L’indicazione al trattamento chirurgico della stenosi carotidea mediante ecocolordopplerVincenzo Puleo, Pier Luigi Castagno

REVIEWAttualità delle eparine nella tromboprofilassi del paziente medico (e ortopedico)Giovanni B. Agus

EVENTIL’Italia al centro di un network flebo-linfologico internazionaleSergio Gianesini

CULTURAMedico, arte e cinema

CAMMEOPrimum non nocere. La nobile arte di non fare in patologia vascolareMauro Pinelli

La bibliografia integrale degli articoli sarà disponibile sul sito della rivista www.nautilussalute.com

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SOMMARIOEditoreSINERGIE S.r.l., Edizioni ScientificheVia Morimondo, 26 - 20143 MilanoTel. 02 58118054 - Fax 02 8322004E-mail: [email protected]

Direttore responsabileMauro Rissa

Direttore scientificoGiovanni B. Agus Milano

Steering CommitteeGiovanni B. Agus MilanoRaffaele Pesavento Padova

Board scientificoClaudio Allegra RomaGiuseppe Maria Andreozzi PadovaPier Luigi Antignani RomaStefano De Franciscis CatanzaroGiovanni de Gaetano Campobasso Vincenzo Gasbarro FerraraArkadiusz Javien Bydgoszcz, PoloniaOscar Maleti ModenaAndrew N. Nicolaides CiproGualtiero Palareti BolognaHugo Partsch Vienna, AustriaMichel Perrin Chaussieu, FranciaPaolo Prandoni PadovaCarlo Pratesi FirenzeMaurizio Puttini MilanoEberhard Rabe Bonn, Germania Angelo Scuderi San Paolo, BrasileCarlo Setacci SienaRoberto Simkin Buenos Aires, ArgentinaAndrea Stella Bologna Adriana Visonà Castelfranco Veneto (TV) Paolo Zamboni Ferrara

Segreteria di redazione SINERGIE S.r.l., Edizioni Scientifiche

ImpaginazioneSINERGIE S.r.l., Edizioni Scientifiche

StampaGalli Thierry Stampa S.r.l.Via Caviglia, 3 - 20139 Milano

Tiratura 12.000 copie

Registrazione presso Tribunale di Milano n. 139 del 07/03/2007

© Copyright 2017 SINERGIE S.r.l., Edizioni ScientificheTutti i diritti sono riservati. Nessuna parte di questa pubblicazione può essere fotocopiata o riprodotta senza l’autorizzazione dell’Editore.

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Numero, forse, di transizione questo. Dopo oltre 11 anni di successi riconosciuti e perciò grati a lettori,

autori, società scientifiche sostenitrici, editore e sponsor liberale, diversi eventi sono in corso. Siamo

ottimisti e il 2018 potrebbe configurarsi come una terza puntata di questa storia editoriale. Verso la

“terza serie” dunque.

La crescita dell’Editore e dello Sponsor saranno importanti. Il panorama delle Società Scientifiche

Vascolari Italiane non attraversa un momento facile (presidenti di Società che si dimettono non rappre-

sentano un buon segno), ma si sa, da una crisi (“scelta, decisione, discernimento”) si può ripartire con

un nuovo entusiasmo. Parleremo sul prossimo numero di ciò che accade in termini di avanzamento

della branca più discussa della patologia vascolare, la flebologia, ma già possiamo andare in stampa

annunciando una forma di suo riconoscimento ufficiale, appena avvenuta, come branca medica europea

autonoma da parte della UEMS (Union Européenne des Médecins Spécialistes) che ha approvato gli

ETR (European Training Requirement in Phlebology) proposti dal Multidisciplinary Joint Committee on

Phlebology e dall’European Board of Phlebology.

Ci piace anche ricordare, alle porte del XVIII UIP World Congress di Melbourne come il motto scelto

dal Congresso sia la “Reunion of the Union” ed il suo presidente, Kurosh Parsi, presenti questo evento

come “We genuinely wish to bring the Union back together, to elevate its scientific standing, to

strengthen phlebology as a specialty and to showcase the full spectrum of this exciting field”.

La parola “eventi” compare più volte in questo numero. Ci è parso utile e giusto dare risalto ad alcuni

momenti di alta cultura specificatamente vascolare - è il caso del 6th International Interuniversity meeting

in Phlebology, Lymphology & Aesthetics tenutosi in Italia, ad Albarella, sotto la vigile, giovanile, quanto

autorevole conduzione di Sergio Gianesini -; o di un convegno di cultura medica tenutosi a Venezia

sotto l’egida di un vivace Ordine dei Medici Chirurghi e Odontoiatri, quello di Venezia, in collabora-

zione con Università e associazioni culturali meritorie; o ancora, di un congresso regionale della

SIAPAV, di cui ci riferisce uno degli artefici, Mauro Pinelli, di tenore tanto prettamente angiologico

quanto di visione medica etica - “Primum non nocere: La nobile arte di non fare in patologia vascolare”.

Ci scuserà l’amico Leonardo Aluigi, angiologo e attuale presidente della Società Italiana di Diagnostica

Vascolare, nonché collaboratore del Progetto Nautilus da anni, se non lo abbiamo citato per primo. E’

di fatto il primo con il suo leading article di elevato interesse e impegno, sulla cronicizzazione della

malattia venosa con varici. Il tema del paziente cronico è oggi assolutamente centrale nel Sistema

Di Patologia Vascolare e di Cultura Medica

Editoriale

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Sanitario pubblico, nazionale e regionale. Al di là della politica sanitaria al riguardo, che pure deve

vedere protagonista anche il medico e non solo il politico, come purtroppo accade, questo articolo

affronta tutte le novità fisiopatologiche della malattia venosa, appunto, cronica e ci aiuta ad individuare

una soluzione terapeutica farmacologica di notevole valore.

Completano il numero alcuni articoli anch’essi “di spessore”. Tiziana Baroncelli con Giovanna Franchi

e Maria Grazia Muraca riferisce un’esperienza vasta e profonda su un legame non del tutto bene

inquadrato da molti medici, “linfedemi e patologie oncologiche”, nell’anno in cui il DPC del Marzo

2017 sui nuovi LEA vede il linfedema primario introdotto tra le malattie rare per cui il paziente che ne

è affetto ha diritto all’assistenza da parte del SSN con un proprio codice identificativo.

Un interessante studio tratta dell’indicazione alla terapia chirurgica e/o endovascolare della stenosi

carotidea, in particolare quella asintomatica, che notoriamente si basa sulle caratteristiche della stenosi:

entità della % di stenosi misurata in diametro e/o in area; alterazione delle caratteristiche di flusso nel

contesto di essa; caratteristiche morfologiche della lesione (placca) determinante la stenosi. Gli autori,

Vincenzo Puleo e Pier Luigi Castagno, si soffermano soprattutto sul terzo parametro con implicazioni

diagnostico-terapeutiche rilevanti.

Un recentissimo eccellente lavoro di meta-analisi sulla attualità delle eparine nella tromboprofilassi

venosa primaria del paziente medico e ortopedico mi ha spinto a proporre personalmente una review

sul tema proprio a partire dallo studio di Claudio Cimminiello, Paolo Prandoni, Giancarlo Agnelli,

Giovanni Di Minno ed altri, che mettendo a confronto le EBPM con i DOACs, valutando i risultati clinici,

per efficacia e sicurezza, ha evidenziato come i DOACs non offrano ad oggi chiari vantaggi in termini

di efficacia, mentre le EBPM mantengono un vantaggio, statisticamente significativo, in termini di sicu-

rezza per i pazienti medici e ortopedici, rispetto alle emorragie maggiori ed a quelle non gravi clini-

camente rilevanti.

La sezione Cultura, non ultima, apre uno spazio di medical humanities legato agli stretti legami tra

cinema e medicina, sia inteso come protagonismo del medico in questa arte, sia nell’utilità di essa

quale occasione didattica. E di questo aspetto racconta dell’evento veneziano promosso con lusinghiero

successo dall’Ordine dei Medici Chirurghi e Odontoiatri di Venezia.

Giovanni B. Agus

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NautiluNautiluV i a g g i o a l C e n t r od e l l a S a l u t e

INTRODUZIONELa malattia varicosa è centrale nella clinica della pa-tologia venosa, sia per la sua prevalenza, specie nellapopolazione femminile (50-55%), sia per la spiccatatendenza a recidivare dopo i trattamenti, ma soprat-tutto perché le varici rappresentano un segno obiettivodella cronicizzazione della patologia venosa, non acaso ridefinita Malattia Venosa Cronica (MVC). Iltema della cronicizzazione riguarda tutti i quadri cli-nici venosi ed è oggi una realtà ben presente allaclasse medica, dalla gestione dei sintomi ricorrenti,alle recidive della patologia varicosa trattata e delleforme severe ulcerative, fino al paziente con patologiatrombotica, di recente definito “cronico”, per la ten-denza a recidivare episodi trombotici fino a vent’annidall’episodio indice TEV e per l’incidenza delle formesevere (C4-C6) della Sindrome Post-Trombotica (5-10%), caratterizzate da alterazioni cutanee e ulcere.Anche per il paziente con TEV la malattia varicosarappresenta oggi un fattore di rischio giudicato impor-tante per le recidive. D’altra parte la natura ridon-dante della fisiopatologia venosa, emodinamica einfiammatoria, favorisce l’instaurarsi di un circolo vi-zioso che sostiene la dilatazione delle pareti venose,la degradazione dell’architettura valvolare e la defor-mazione progressiva di segmenti venosi, le varici ap-punto. Il passaggio alla malattia varicosa rappresentaquindi lo spartiacque obiettivo fra uno stadio precocedella malattia, molto spesso prettamente sintomatico,che si attiva periodicamente per cause esogene (es.ortostatismo prolungato, stagione calda, etc.) ed unostadio cronico varicoso, più o meno sintomatico, man-tenuto attivo da cause endogene, emodinamiche e in-fiammatorie, che aumentano la vulnerabilitàindividuale ad esacerbare sintomatologia ed alla pro-gressione dei quadri clinici.

Il ruolo dei sintomi nella cronicizzazione delle flebopatieI sintomi flebopatici sono biochimicamente mediatida risposte infiammatorie della parete venosa inparticolare iperpermeabilità e passaggio di leuco-citi dal circolo ai tessuti che favoriscono comparsadi gonfiore, senso di pesantezza, dolorabilità adiniziare dalle venule post-capillari della microcir-colazione, dove si concentra il burden infiamma-torio in condizioni di elevata pressione idrostaticada reflusso, che poi si trasferisce ai vasi di calibromaggiore, favorendo l’attacco della parete endo-teliale, anzitutto sulle valvole venose, che offronola maggiore superficie per unità di volume di san-gue realizzando il circolo vizioso emodinamico-in-fiammatorio che favorisce la cronicizzazione dellaMVC, la progressione varicosa e lo sviluppo delrischio trombotico (Fig. 1) (1).In questo senso i dai raccolti dalla letteratura sonoad oggi significativi, anche se non esaustivi, a co-minciare dai test di ortostatismo prolungato (30 min.)che hanno evidenziato concentrazioni importanti dileucociti nel sangue venoso a livello delle caviglie,continuando con studi sperimentali sulla concentra-zione di leucociti adesi alla parete endoteliale nellevenule post-capillari e sulle valvole delle vene (es. v.mesenterica), per arrivare agli studi istologici ex-vivodelle vene tributarie, che dal network venulare sotto-cutaneo aggettano nella v. grande safena (GSV), at-traverso una media di 6 livelli di ramificazionevenosi a calibro decrescente, dalla safena al networksuperficiale sottocutaneo, tutti dotati di sistema val-volare (Fig. 2) (2-4). Questi studi, condotti su arti am-putati da soggetti studiati con doppler, attraversotecnica di riempimento della GSV con resina, previamappatura anatomica venosa, evidenziano una dif-

La malattia varicosa nella cronicizzazionedella patologia venosaLeonardo Aluigi Presidente della Società Italiana di Diagnostica Vascolare - SIDV

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fusione progressiva della resina attraverso il sistemadelle vene tributarie, proporzionale alla classe CEAPdiagnosticata in vivo (da C0-C1 a C6 - Fig. 3-4).Degna di nota l’osservazione di un’ampia diffusionedella resina fino al network venulare superficiale, intutti i casi nei quali è emersa un’incompetenza val-volare fino al terzo livello di ramificazione delle vene

tributarie, partendo dalla GSV, indipendentementedalla classe CEAP diagnosticata, dalla presenza direflusso all’esame doppler e dall’incompetenza del-l’intero sistema valvolare della GSV osservata ex-vivo. Questo dato suggerisce che il sistema venososuperficiale, sottoposto a stimoli pressori da reflusso,sia in grado di contenere l’insulto pressorio sino alla

Fattori di rischio• Ambientali• Genetici

Alterazione emodinamicaAumento dellla pressione idrostatica venosa

Ridotto shear stress

Sinergia dei meccanismi fisiopatologici nella Malattia Venosa Cronica

Attivazione/disfunzione endotelialeDanneggiamento glicocalice GAGs (GCX)

Alterazione agenti vasoattivi (NO, PGI)

Infiltrazione leucocitaria

ICAM-1ELAM-1VCAM-1P-, L+ and E-Selection

Disfunzione valvolare Ç Tensione parete venosa

Ç MMP

HIF

EC

PARs

NO

EDHF

È Ca2+

Rilassamento cml

Ç Dilatazione parete venosa

Degradazione ECM InfiammazioneÇ Aumento mediatori pro-infiammatori (es. IL6, IL-1, TNF-α, IFN-γ, IL-8, MCP-1, MIP-1)

Ç Agenti protrombogenici (es. vWF, PAI-1)Ç Attività NAPH-ossidasi e ROS

Fig. 1

0 1 2 3 4 5 6Ramificazioni

Competente

Incompetente

Rappresentazione schematica della distribuzione valvolare e dell’effetto della competenza delle valvole nelle vv. accessorie e delle microvalvole venulari sul riempimento del network venoso. Le micorvalvole sono state rilevate sino alla sesta ramificazione delle vv. tributarie che conduce dalla GSV al microcircolo sottocutaneo mentre l’incompetenza valvolare è stata evidenziata fino alla terza generazione nella stragrande maggioranza dei casi (94%). La competenza delle microvalvole del terzo livello di ramifica-zione rappresentano il limite, oltre il quale il reflusso determina la diffusione estensiva alla microcircolazione, anche in condizioni di competenza delle tributarie. (B). Il reflusso attraverso questo terzo livello valvolare esita in un riempimento diffuso, a prescindere dalla competenza microvalvolare delle ultime ramificazioni superficiali. L’incompetenza valvolare a livello della prima e seconda ramificazione, al contrario, produce una diffusione limitata, non oltre il terzo livello di ramificazione delle tributarie.

B

Fig. 2

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perdita della terza linea di difesa valvolare delle vv.tributarie, aprendo la strada al network venulare su-perficiale e alla sintomatologia. Questo modello po-trebbe essere di aiuto per indagare il complessomosaico clinico della patologia venosa, dai casi divarici asintomatiche, ai casi di sintomatologia e/osegni di varicosità, in assenza di un franco reflussosuperficiale all’esame strumentale.E’ da sottolineare inoltre che, se da una parte venulee vasi del microcircolo hanno calibri estremamentepiccoli rispetto alle vene, la superficie di contatto frasangue e lume endoteliale del microcircolo è 5.000volte maggiore di quella dell’intero sistema venosoed è in grado per questo di produrre un burden in-fiammatorio sufficiente ad attaccare i vasi di maggiorcalibro. Un aspetto ancora da chiarire, potenzial-mente confondente nella pratica clinica, riguarda lapercezione da parte del paziente di sintomi quali pe-santezza e dolorabilità, che secondo alcuni studi, po-trebbe essere confinata al circolo venoso superficiale,dove si stima siano concentrate oltre il 90% dellefibre C nocicettive dell’intero sistema venoso. UnaSurvey internazionale, condotta nel 2012 in ambula-tori di medicina generale di diversi paesi nel mondo,su ben 70.000 pazienti consecutivi, conferma comenel 15% dei casi esista una sottovalutazione del pro-blema venoso da parte dei pazienti, risultati poi af-fetti da flebopatia iniziale (C0-C1), solo in seguitoall’esame medico previsto dall’indagine; una mag-giore consapevolezza emerge del paziente, solo eproporzionalmente con la progressione della malattia(C2-C6), che si traduce in una maggiore richiesta divisita specifica per la MVC.L’approccio clinico alla malattia varicosa devequindi tenere in considerazione, oltre a sintomatolo-gia soggettiva e segni obiettivi, anche del criterio dicronicizzazione, per personalizzare l’intervento suitarget emodinamici ed infiammatori, le due leve delcircolo vizioso a sostegno della progressione dellamalattia venosa.

L’importanza della malattia varicosaLe flebopatie costituiscono una condizione clinica ri-levante sia dal punto di vista epidemiologico, sia perle importanti ripercussioni socio-economiche che ne

Pattern di diffusione retrograda con resina su GSV e vv. tributarie ex-vivo di soggetti CEAP C0-C1. Tutti gli arti (n. 15) con GSV competente all’esame US.

A, Riempimento della sola GSV. Nessuna incompetenza valvolare e/o reflusso dalla GSV, con normale drenaggio attraverso le vv. perforanti al Sistema venoso profondo (maschio, 81 aa.). B, Riempimento delle vv. accessorie tributarie, ma nessuna inferio-re ai 300 micron (F, 49-aa.). C, Riempimento di territori multipli del network venulare con segmenti di dilatazione e tortuosità (freccia) venulare (F, 63-aa.). Note: La GSV e diverse vv. tributarie sono intatte, con numerose valvole competenti (frecce).

A

B

C

Riempimento diffuso di resina da campione tissutale (4 cm2) escisso dal margine di un’ulcera venosa

Fig. 3

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derivano. Con una prevalenza attuale del 10-50%nella popolazione adulta maschile e del 50-55% inquella femminile.Come è noto le flebopatie comprendono condizionicliniche ad andamento ingravescente, con altera-zioni funzionali morfologiche del sistema venoso,che si manifestano con sintomi e/o segni che va-riano per tipologia e severità. La classificazioneCEAP permette di stratificare i quadri clinici sinto-matici, dalle gambe gonfie, pesanti, doloranti(C0s), alle teleangectasie (C1s), alle varici (C2s),all’edema (C3s), alle alterazioni/lesioni trofichedella cute (discromie, eczema, lipodermatosclerosi- C4s) alle ulcere venose (C5s-C6s), definendo laflebopatia come Malattia Venosa Cronica (MVC)sin dai primi stadi (Fig. 4) (6).Il tema della cronicizzazione è dunque centrale perl’approccio clinico pratico alla Malattia Venosa Cro-nica, per una patologia progressiva che viene consi-derata sin dallo stadio delle varici, anche come unimportante fattore di rischio trombotico.Va sottolineato che tutti i quadri clinici della MVCsono collegati tra loro, sia perché hanno una basefisiopatologica comune, di tipo emodinamico ed in-fiammatorio, che si autoalimenta (Fig. 5) (2), siaperché rappresentano stadi progressivi di un unicopercorso, dai “semplici” sintomi stagionali ricorrenti(C0s) alla malattia varicosa (C1s-C2s), ed in misuraminore, ai quadri clinici più severi (C4-C6), con al-

terazioni (discromie, eczema - C4a), lesioni (lipo-dermatosclerosi, atrofia bianca - C4b) e/o ulcera-zioni (C5-C6). In particolare si stima che le ulcerevenose croniche, caratterizzate da una recidivitàfino al 70-80% dei casi, siano per due terzi di na-tura post-trombotica.All’interno di questo quadro, lo studio delle varici,sia in campo fisiopatologico che terapeutico èparticolarmente interessante. Innanzitutto perchéè tra le forme più frequenti della MVC clinica-mente manifesta, nel 10-33% delle donne e nel10-20% dei maschi adulti e soprattutto perchérappresenta una sorta di spartiacque prima dellecondizioni più severe della MVC. Le varici infatti,se non gestite nel modo migliore, possono portarenel tempo a peggioramenti tipici dell’InsufficienzaVenosa Cronica (C3-C6) o addirittura a compli-canze venose come tromboflebiti o trombosi ve-nose profonde (Fig. 6) (2,3).In uno studio che ha incluso 116 arti con vene vari-cose, 19 mesi dopo l’esame doppler iniziale, si os-serva che circa un terzo dei pazienti ha unaprogressione della patologia, nel 95% dei casi ma-turata già dopo 6 mesi. Nello studio su larga scaladi Bonn Vein, il tasso di progressione dalle vene va-ricose ad IVC osservato era del 4% all’anno.Per tali ragioni bisogna sempre ricordare che unacorretta gestione delle varici non può prescinderedalla cura della malattia venosa cronica sottostante,

CONessun segnovenoso visibile

o plapabile

C1Teleangectasie

C2Vene

Varicose

C3Edema

C4a. Iperpigmentazione

e/o eczemab. Lipodermatosclerosi

e/o atrofia bianca

C5Ulceravenosa

cicatrizzata

C6Ulceravenosaattiva

Fig. 4 - Classificazione CEAP (C0-C6)

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limitando l’intervento ai sintomi e segniche la contraddistinguono.

LE ANOMALIE STRUTTURALI E FUNZIONALI DELLE VENE VARICOSE (VV)Le VV appaiono spesso come vene di-latate e tortuose, dando l’impressioneche il sistema venoso degli arti infe-riori possa essere sottoposto a un ri-modellamento ipertrofico marcato.Tuttavia, prove strutturali e istologichesuggeriscono che le VV possono avereregioni appunto ipertrofiche maanche atrofiche. Le regioni ipertrofi-che delle VV mostrano spesso forme eorientamento anomali delle cellule mu-scolari lisce (CML) e un accumulo dimatrice extra cellulare. Al contrario,le regioni atrofiche mostrano una de-gradazione della ECM e un aumentodell’infiltrazione delle cellule infiam-matorie (Fig. 7) (7).L’esame istologico delle sezioni tissutalidelle VV mostra strati vascolari indistintisenza confini chiari tra lo strato di to-naca intima, media e avventizia. Le se-zioni di tessuto di VV mostranoispessimento focale intimale, aumentodell’ispessimento mediale e frammenta-zione delle fibre di elastina. Nelle se-zioni di tessuto di VV, le cellulemuscolari lisce venose (CML) appaionodisorganizzate nella tonaca media edin quella intima adiacente, con abbon-dante materiale non strutturato e nonben definito. Inoltre, le fibre di colla-gene appaiono disorganizzate, ren-dendo difficile delineare la tonacamedia dalla avventizia, e le fibre elasti-che appaiono spesse e frammentate.Le VV mostrano uno squilibrio nellecomponenti proteiche della ECM prin-cipalmente a causa di cambiamenti nelcontenuto di collagene e/o di elastina

Attivazioneendoteliale

Iperpermeabilità,infiltrazione

lecociti

Secrezioneproteine

(vWF, P-selectina,IL-8, tPA, endotelina)

Attivazione piastrinicae trombosi

Lume endoteliale

Infiammazione

Endotelio

Fattori proinfiammatori e protrombotici (es. trombina, VEGF)

1

32

4

Attivazione endoteliale(processi infiammatori e trombotici)

Fig. 6

Fisiopatologia emodinamico-infiammatoriadella Malattia Venosa Cronica (MVC)

FLUSSO VENOSO LAMINARE FISIOLOGICO

FLUSSO VENOSO TURBOLENTO

Inibizioneangiogenesi

NOTpa

NO

TGF-β

Endotelio

Attivazioneangiogenesi

MCP-1VCAM-1

Angiotensina IIEndotelina 1 Danno della

parete venosaPDGF

A

B

Prevalenza di agentiantitrombotici

Prevalenza di agentiprotrombotici Promozione

della migrazionedi leucociti

Inibizionedella migrazione

di leucociti

(A) Il flusso laminare venoso stimola un pattern biochimico endoteliale antinfiammatorio e antitrombotico. (B) Il flusso turbolento da reflusso stimola un pattern biochimico endoteliale pro-infiammatorio e pro-trombotico

Fig. 5

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nelle pareti venose. Esperimenti su CML in colturada VV e fibroblasti coltivati da pazienti con MVChanno mostrato un aumento della sintesi del colla-gene di tipo I e una diminuzione nella sintesi del col-lagene di tipo III. Il collagene di tipo III è un fattorecritico nel determinare l’elasticità e la distensibilitàdei vasi sanguigni e le alterazioni nella sintesi delcollagene e il rapporto tipo I/tipo-III potrebbero cau-sare alterazioni dell’integrità della parete venosa,con conseguente debolezza strutturale, dilatazionee formazione di VV.Oltre ai cambiamenti nella parete venosa, le VVmostrano anche valvole venose incompetenti. Tut-tavia, se la disfunzione valvolare sia un evento pri-mario che porta alla dilatazione della parete dellavena, o siano le alterazioni nella parete delle VVche portano alla disfunzione della valvola non èchiaro. È stato proposto come l’incompetenza val-volare porti al reflusso venoso e all’aumento dellapressione idrostatica, mentre l’eccessiva e/o pro-lungata ipertensione venosa favorisce la dilata-zione della parete venosa, amplificandol’incompetenza valvolare. La dilatazione dei seg-menti venosi in stretta prossimità delle valvole ve-nose favorisca quindi un’ulteriore distorsione edistruzione delle valvole, attraverso processi in-fiammatori endoteliali, portando a ulteriore au-mento del reflusso venoso, della pressioneidrostatica venosa e della progressiva dilatazione

delle pareti venose, in un circolo vi-zioso emodinamico-infiammatorio chetende ad autoalimentarsi.Questo punto di vista è stato suppor-tato dalle osservazioni che le VV mo-strano ipertrofia delle valvole venose,aumento della larghezza dell’annulusvalvolare, diminuzione del contenutodi collagene, viscoelasticità e aumentodell’infiammazione e dell’infiltrazionedei monociti e dei macrofagi nei senivalvolari rispetto alle pareti distalidelle VV.Tuttavia, questa opinione è statamessa in discussione dall’osserva-

zione che la dilatazione della parete venosa e leVV possono talvolta essere viste distalmente a val-vole venose competenti. Inoltre, sono stati osservatil’aumento del collagene e la diminuzione dell’ela-stina non solo nei segmenti delle VV, ma anche neisegmenti competenti della vena safena in prossi-mità delle varici, suggerendo che lo squilibrio nelleproteine della matrice extracellulare possa verifi-carsi nella parete della vena prima dell’insuffi-cienza della valvola venosa. E’ controverso inoltrese le VV si sviluppano sempre in direzione discen-dente, cioè dalla coscia, al polpaccio e alla cavi-glia, in rapporto a prevalenti effetti emdoinamici,o con progressione anterograda nella direzione delflusso venoso, dalla caviglia al polpaccio e alla co-scia che in rapporto a cambiamenti primari nellaparete venosa e potrebbe portare a disfunzionidelle valvole venose. Queste osservazioni forniscono supporto alla teoriache la dilatazione delle pareti venose possa rappre-sentare un evento patologico primario, causa di di-storsione e disfunzione delle valvole venose, ingrado di portare nel tempo a reflusso venoso, au-mento della pressione idrostatica, favorendo così lacomparsa di varici osservabili con l’esame obiettivo.Indipendentemente da quale sia l’evento patologicoprimario, sia la dilatazione della parete venosa chela disfunzione delle valvole venose sembrano contri-buire alla patogenesi delle VV e alla modificata emo-dinamica del flusso. Questo si manifesta tipicamente

VenaFemorale

Venaperforante

Teleangectasie

A B

Grande Safena(Superficiale)

Segmentoprossimale

Venevaricose

Segmentidistali

Flusso VenosoAnterogrado Fisiologico

C

Valvolacompetente

Ç MMPs

Valvolaincompetente

Area atrofica(degradazione ECM)

Reflusso

Area ipertrofica (proliferazione VSM)

Fig. 7

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come reflusso venoso o flusso di direzione oppostaa quella ortodromica.

IL RUOLO CHIAVE DELL’ENDOTELIO E DELLE MMPs NELLA FISIOPATOLOGIA DELLE VARICILa struttura e la funzione della parete venosa sonoregolate da una serie di attività metaboliche che ri-guardano ioni, molecole di segnalazione ed enzimi.Le metalloproteinasi della matrice (MMPs) sono en-dopeptidasi Zinco (Zn) dipendenti, ampiamente noteper la loro capacità di degradare le varie proteinedella matrice extracellulare (ECM). Per tale ragionele MMPs svolgono un ruolo centrale nel rimodella-mento del tessuto venoso, degradando vari compo-nenti della matrice. Inoltre le MMPs possonointeragire con le molecole bioattive sulla membranacellulare e regolarne i recettori ed il signaling cellu-lare, influenzando la proliferazione, migrazione edifferenziazione cellulare, risultando perciò diretta-mente coinvolti anche nell’apoptosi delle cellule,nella risposta immunitaria, nella riparazione dei tes-suti e nell’angiogenesi.La patogenesi della MVC e delle variciriconosce il ruolo chiave giocato dalleMMPs, ed in particolare della MMP-9,che è la principale collagenasi coinvolta(Fig. 8) (8).Alcuni fattori di rischio genetici, am-bientali e comportamentali (familiarità,stagionalità e ortostatismo) causano unaumento della pressione idrostatica,portando alla disfunzione delle valvolee conseguente reflusso venoso. L’au-mento della pressione venosa aumentaanche la tensione della parete endote-liale, che stimola la produzione e l’atti-vità delle MMPs. L’aumento dellapressione venosa causa anche perditadi glicosaminoglicani endoluminali (gli-cocalice di GAGs), lesioni delle celluleendoteliali, con conseguente aumentodella permeabilità vascolare, infiltra-zione dei leucociti e aumento delle mo-lecole di adesione (ICAM-1, VCAM-1,

L-selectina, P-selectina) citochine infiammatorie especie reattive dell’ossigeno (ROS) con il risultatofinale di un ulteriore incremento delle MMPs.L’aumento delle MMPs può causare inoltre iperpola-rizzazione e rilassamento delle cellule muscolarilisce (VSM) e degradazione della ECM, portandoalla dilatazione della parete venosa, alla disfun-zione valvolare e all’aumento progressivo della pres-sione idrostatica venosa, instaurando perciò, difatto, un vero e proprio circolo vizioso emodinamicoed infiammatorio che si autoalimenta. La forma-zione delle varici e della loro tortuosità è favoritaanche dall’azione delle MMPs, che degradano lamatrice extracellulare in particolare nelle regioniatrofiche. Tale processo patologico può essere fisiologicamentecontrobilanciato da un sistema di risposta anti-infiam-matorio compensatorio (Fig.8 - tratteggio frecce) checoinvolge le prostaglandine e i loro recettori, cheportano a diminuzione delle MMPs e quindi accu-mulo di ECM, in particolare nelle regioni ipertrofichedelle varici.

Fattori di rischio familiari, ambientali e stile di vita

h Pressione idrostaticavenosa arti inferiori

h Tensioneparete venosa

h MMPs

Circolo vizioso Circolo vizioso

Vena safenaVena femorale

ReflussoProgressioneanterograda

Venetributarie

Iperpolarizzazionemembrana

Rilassamento VSM

Valvole incompetenti Dilatazione parete venosa

Stadi inizialiC1 TeleangectasieC2 Vene Varicose (VVs)C3 Edema

Stadi avanzati (IVC)C4 Alterazioni cutaneeC5 Ulcera cicatrizzataC6 Ulcera attiva

MalattiaVenosa Cronica

Varicosità

Degradazione ECMarea atrofica

Accumulo ECMarea ipertrofica

i MMPs

Rispostaantinfiammatoria

Infiammazione(citochine, ROS)

Lesione endotelialeh Permeabilità

Infiltrazione leucociti

ICAM-1VCAM-1L-selectinaP-selectina

Fisiopatologia della Malattia Venosa Cronica (MVC)

Fig. 8

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La disfunzione persistente delle valvole, la progres-siva dilatazione e tortuosità delle pareti venose por-tano con il tempo il paziente a sviluppare le variefasi della MVC e della IVC.Un focus on sul processo fisiopatologico varicosopermette di comprendere meglio come le MMPssiano centrali nel processo varicoso. L’aumento dellapressione venosa provoca la distensione della paretevenosa, con incremento dei livelli di fattore inducibiledall’ipossia (HIF), fattore trascrizionale che entranelle cellule endoteliali, favorendo la produzione diMMPs, aumentandone di conseguenza i livelli.La distensione della parete venosa può determinareanche l’aumento di altri induttori di MMPs, comeEMMPRIN (extracellular matrix metalloproteinase in-ducer), ormoni e NGAL (Neutrophil gelatinase-asso-ciated lipocalin). Livelli elevati di MMPs attivanorecettori specifici delle proteasi presenti sulle celluleendoteliali, portando a una ridotta produzione en-doteliale di Ossido Nitrico (NO), cheinibisce la contrazione delle VSM e sti-mola la dilatazione venosa. Le MMPs stimolano anche le cellule en-doteliali a produrre EDHF (il fattoreiperpolarizzante di derivazione endote-liale), che iperpolarizza le membranecellulari, con ulteriore perdita della fun-zione contrattile delle VSM e conse-guente amplificazione del rilassamentovenoso. L’attività delle MMPs sostieneulteriormente la dilatazione venosa at-traverso il rilascio di fattori di crescita(come TGF beta, VGF, FGF), che stimo-lano ipertrofia delle VSM. L’iperattività delle MMPs infine de-grada l'ECM, innescando un meccani-smo di migrazione delle CML, conulteriore dilatazione della parete ve-nosa e conseguente instaurazione dellevarici (Fig. 9) (7).La combinazione fra dilatazione venosae degenerazione della struttura endote-liale (VSM) a livello valvolare e di pa-rete, alimenta e amplifica il circolovizioso emodinamico-infiammatorio, raf-

forzando quindi il processo fisiopatologico della ma-lattia varicosa.Da sottolineare infine come la progressione varicosa,sostenuta da infiammazione e MMPs endoteliali, fa-vorisca nel tempo l’instaurarsi di un’insufficienza ve-nosa cronica (IVC) che aumenta il rischio tromboticoe di lesioni cutanee, fino alle ulcerazioni, tipichedegli stadi severi della MVC (C4-C6) Fig. 10 (8).

IL POTENZIALE TERAPEUTICO DEL SULODEXIDE NEL TRATTAMENTO DELLA MVCDa quanto detto, risulta evidente come farmaci ingrado di contrastare lo sviluppo dell’infiammazioneendoteliale, ed in particolare le MMPs, siano di fon-damentale importanza per il trattamento della Ma-lattia Venosa Cronica, a cominciare dagli stadimeno severi, ma significativi, come telangectasie evarici.

Vena Profonda(femorale)

Valvola

Vena perforanteNormale

Muscolo

Fascia

Pelle

Vena Superficiale(Vena Safenae tributarie)

MVC(progressione varicosa)Ó Pressione venosa

idrostatica

Dilatazionevenosa

Valvolaincompetente

Edema

Reflusso venoso

Teleangectasie

Proteinee Perditafluido

MMP-2MMP-9

Fisiopatologia delle varici

Fig. 9

Fisiopatologia della progressione varicosa, del rischiotrombotico e dello sviluppo di manifestazioni cutanee (C4-C6)

MMPs

Malattia Varicosa MVC severa

ROSVeneVaricose

InfiammazioneFibrosi

Trombo

Ulcera Venosa

ROS

Fig. 10

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Tra le terapie mediche utili a contrastare sintomi,segni e, soprattutto, a ridurre il tempo di progres-sione della MVC o il rischio di quadri clinici recidi-vanti, il sulodexide è oggi probabilmente il farmacocon il maggior numero di studi che ne dimostranoun’azione antinfiammatoria di parete endotelialecapace di modulare numerose citochine, interleu-chine, ma soprattutto la MMP-9, che incide sul col-lagene della matrice extra-cellulare (ECM).Il sulodexide (SDX) è una miscela altamente purifi-cata di glicosaminoglicani naturali (GAGs), e quindiuno tra i principali costituenti del glicocalice che ri-veste la parete endoteliale. In caso di reflusso e iper-tensione venosa, il danneggiamento o l’eliminazionedel glicocalice determina l’innesco del processo fi-siopatologico infiammatorio sopra descritto, cheporta alla sovraespressione delle MMPs e conse-guentemente alle modifiche patologiche (Fig. 11) (9).In questi anni numerosi studi hanno dimostrato leproprietà antinfiammatorie vascolari del Sulode-xide a riprova del ruolo protettivo del glicocaliceendoteliale. Oltre a reintegrare i GAGs, il Sulode-xide modula la risposta infiammatoria agendo suvari fronti, ossia modulando molti dei meccanismifisiopatologici descritti, a partire dalla MMP-9, aifattori di crescita (VEGF, TGF beta, FGF), alle cito-chine pro-infiammatorie (IL6, IL8) (Fig. 12) (9).In un recente studio di Urbanek, dopo trattamentoper 8 settimane con sulodexide per os 500 ULSbid/die su pazienti con MVC allo stadio C5, si è os-servata una riduzione significativa dell’infiamma-zione, misurata tramite i livelli sierici di IL6 e MMP-9(p<0,05) (Fig. 13) (10).Questo spettro di azione del sulodexide permette dicomprendere meglio anche i risultati clinici del suoutilizzo nei vari stadi della MVC. Recentemente Elleuch e colleghi hanno dimostrato inuno studio osservazionale come, in 450 pazienti conMVC, trattati per 3 mesi con sulodexide per os 250ULS bid/day, il trattamento abbia ridotto significati-vamente le manifestazioni cliniche oggettive e sog-gettive, ossia pesantezza, dolore, crampi,parestesie, eritema, temperatura cutanea e induri-mento cutaneo (p<0.0001). Un miglioramento sinto-matologico accompagnato da un significativo

miglioramento della qualità di vita misurato medianteCIVIQ test (p<0.0001) (Fig.14) (11).Negli stadi severi della MVC (C4-C6), caratterizzatida alterazioni, lesioni e ulcerazioni cutanee, il Su-lodexide (azione antinfiammatoria), in associazionealla terapia elastocompressiva (azione emodina-mica), contrasta i meccanismi fisiopatologici emodi-namico-infiammatoria della IVC e, nel caso delleulcere venose, permette di accelerare la loro riepi-telizzazione, come recentemente dimostrato anchein uno studio osservazionale condotto su oltre 1.160pazienti in tutta Italia (Fig.15) (12) (9).

CONCLUSIONII quadri clinici della MVC hanno una base fisiopato-logica comune, per la quale le problematiche emo-

Glicocalice fisiologico intatto (A)Glicocalice danneggiato(20 min. ischemia - B)

Glicocalice GAGsLume vascolare

Endotelio0.1 µm

A

Glicocalice GAGs

Lume vascolare

Endotelio 0.1 µm

B

Fig. 11

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dinamiche di rilassamento, reflusso eipertensione venosa, provocano rispo-ste infiammatore endoteliali, soprattuttonei distretti sottocutanei, che induconoil classico corredo sintomatologico dellegambe gonfie, pesanti, doloranti, le-gato ad iperpermeabilità di parete, in-filtrazione leucocitaria ma soprattuttopromuovono un aumento della produ-zione e attività delle MMPs, che met-tono in moto il rimodellamentopatologico delle pareti venose, aggra-vando ulteriormente le problematicheemodinamiche in un circolo vizioso edando vita, nel tempo, a quadri cliniciprogressivi di varia severità, dalle tele-angectasie alle varici, all’edema ed allelesioni trofiche cutanee, sino alle ulcerevenose, caratterizzate da IVC severa.La comprensione della fisiopatologiaemodinamico-infiammatoria della MVCpuò essere di aiuto ad orientare il trat-tamento in modo più mirato alle esi-genze del singolo paziente con MVC,in un mosaico clinico venoso moltoampio e variabile, già a partire daglistadi iniziali della malattia, iniziando apensare ai segni di varicosità comesegno patognomonico di cronicizza-zione, ovvero considerando le vene va-ricose come un sorta di spartiacque frauna patologia venosa iniziale e la Ma-lattia Venosa Cronica. L’uso dei GAGs e del Sulodexide rap-presenta un punto centrale del tratta-mento della MVC per la quotainfiammatoria dei sintomi e del rischiotrombotico, che integra l’azione dei fle-botonici e della fondamentale elasto-compressione, attivi sul razionaleemodinamico. Sulodexide è un GAGcon azione antinfiammatoria e antitrom-botica, capace di modulare numerosecitochine, interleuchine e soprattutto laMMP-9, con dati di trattamento nella cli-

Celluleendoteliali

Glicocalice

Diapedesi

MacrofagiROS

Citochine pro-infiammatoriee chemochine (MCP-1,

VEGF, TNFα, IL6, IL8, ILB)

Proteasi enzimatiche(MMPs)

eparanasi...

Matrice extracellulare

Attività antinfiammatoria sulodexidenella Malattia Venosa Cronica (MVC)

Azioni antinfiammatorie Sulodexide

Azione Sistema sperimentale

Implicazione probabile

Regolazione della risposta infiammatoria

Riduzione del monocita chemiotattico P-1(MCP-1) In vitro Riduzione dell’infiltrato leucocitario

Riduzione del fattore di crescita endoteliale vasoclare(VEGF)

Cavia Riduzione dell’infiltrato monocitario, della permeabilità vascolare e della vasodilatazione

Riduzione del fattore di crescita-β1(TGF-β1) Uomo Riduzione dell’infiltrato infiammatorio

Riduzione del; (TNF-α) Cavia Riduzione dell’infiltrato infiammatorio

Riduzione di IL-6, IL-8, IL-1b, IL-2,IL-10, IL-13, Interferone β e proteina C-reattiva

Uomo, cavia, in vitro

Riduzione dell’infiltrato infiammatorio, modulazione della risposta infiammatoria

Riduzione della proteina infiammatoria MIP-1β In vitro Riduzione dell’infiltrato infiammatorio

Riduzione dei fattori G-CSF e GM-CSF In vitro Riduzione dei neutrofili e monociti attivati.Modulazione della risposta infiammatoria

Stress ossidativo

Aumento della soperossido-dismutasi (SOD) Cavia Riduzione dello stress ossidativo (i danno tissutale)

Riduzione specie reattive all’ossigeno (ROS) In vitro Riduzione dello stress ossidativo (i danno tissutale)

Danno tissutale

Riduzione della eparinasi glomerulare-1 In vitro Riduzione della degradazione del glicocalice (GCX) e della matrice extracellulare (ECM)

Riduzione della MMP-9 In vitro Riduzione della degradazione della matrice extracellulare (ECM)

Danno tissutale

Aumento eparansolfato superficie cellulare In vitro Riparazione glicocalice di GAGs e matrice extracellulare (ECM)

Aumento del fattore di crescita epatico (HGF) Uomo Rigenerazione tissutale (cellule endoteliali), attività antiossidante e antiapoptotica

Aumento dell'attività miogenica dei fattori di crescxita dei fibroblasti 1 e 2 (FGF-1 e FGF-2)

In vitro Riepitelizzazione tissutale, angiogenesi

Aumento dello spessore endoteliale del glicocalice di GAGs

Uomo Reintegrazione del glicocalice endoteliale e delle sue funzioni

Riattivazione della replicazione cellulare In vitro Incremento della riparazione cellulare endoteliale dopo lesione meccanica

Attività del sulodexide in diversi passaggi del processo infiammatorio e sue implicazioni

Fig. 12

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nica delle patologie venose, che spa-ziano dalle varici sintomatiche (C2s)agli stadi severi con lesioni cutanee(C4-C6), fino al paziente post-trombo-tico (SPT e prevenzione r-TVP post-anti-coagulazione), sulla base di un’azionesemplice di reintegro della fisiologia en-doteliale, antinfiammatoria e antitrom-botica, che stigmatizza il ruolofondamentale dell’endotelio nella ge-stione delle patologie vascolari (13).

Bibliografia essenziale1. Castro-Ferreira R et al. Ann Vasc Surg. 2018Jan;46:380-393.2. Bergan JJ et al. N Engl J Med 2006;355:488-98.3. Nicolaides AN. Angiology 56(suppl 1):S11 -S19, 2005.4. Vincent JR et al. J Vasc Surg 2011;54:62S-9S.5. Boisseau MR. Clin Hemorh and Microcirc 37(2007) 277 -290.6. Eklof B et al. J Vasc Surg 2004;40:1248-52.7. Khalil RA et al. Curr Drug Targets. 2013 March1; 14(3): 287 -324.8. Chen Y et al. Prog Mol Biol Transl Sci.2017;147:267-299.9. Flota Cervera LF et al. International Angiology2017 December;36(6):558-64.10. Urbanek T et al. 1nl Angiol 20 15;34:589-96.11. Elleuch N et al. Adv Ther. 2016 Sep;33(9):1536-49.12. Apollonio A. et al. Int Wound J. 2016Feb;13(1):27-34.13. Pesavento R et al. Expert Rev. Cardiovasc.Ther. 13(2), 193 -207 (2015).

Inci

den

za c

umul

ativ

a d

i gua

rigio

ne

1.0

0.9

0.8

0.7

0.6

0.5

0.4

0.3

0.2

0.1

0.00 1 2 3 4 5 6 7 8 9

Tempo (mesi)

Terapia localeTerapia locale più Sulodexide

44.3%(n=350)

31.7%(n=142)

Log Rank (Martel-Cox) Test: p =0.001

68.8%(n=157)

49.3%(n=70)

76.9%(n=81)

64.7%(n=46)

p<0,001

Studio Ulcere Vascolari (492 pazienti con ulcere venose):differenza dei tempi di guarigione delle ulcere con terapia

locale vs terapia locale + sulodexide per os (bid)

Fig. 15

Inte

rleu

chin

a-6

(p

g/m

l) 12.5

10.0

7.5T0 8 settimane

P<0.005

MM

P-9 (ng

/m

l)

7

6

5

4T0 8 settimane

P<0.05

Soppressione dei livelli infiammatori (IL6; MMP-9 sierico) in pazienti IVC (C5),trattati per 8 settimane con sulodexide per os (bid)

Concentrazioni IL-6 nel siero dei pazienti prima della somministrazione di Sulodexide e dopo 8 settimane di trattamento (test ELISA)

Concentrazione MMP-9 nel siero dei pazienti prima della somministrazione di Sulodexide e dopo 8 settimane di trattamento (test ELISA)

Fig. 13

Sco

re d

i se

verità

dei

sin

tom

i (m

edia

) 2.5

2.0

1.5

1.0

0.5

0.0Pesantezza Dolore Crampi Parestesie Eritema Arto caldo

al tattoIndurimento

cutaneo

2.16

0.86

2.04

0.76

1.38

0.47

1.30

0.51

1.04

0.41

1.20

0.41

1.07

0.44

T0 3 mesi

Efficacia clinica e impatto sulla QdV del sulodexideper os (bid) nella Malattia Venosa Cronica (MVC)

Fig. 14

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I tumori, come è noto, insieme alle malattie cardiova-scolari, rappresentano le patologie a maggior impattosociale. L’elevata incidenza e gli esiti psico-fisici corre-lati ne condizionano l’impegno sanitario volto a garan-tire l’adeguatezza della cura, i percorsi diagnostici eterapeutici, ma anche gli aspetti riabilitativi focalizzatial recupero sia della funzione che dell’equilibrio psico-logico e quindi dell’autonomia del singolo soggetto. Il tumore è una patologia particolare; difficile da accet-tare perché scatena paure ancestrali. L’incontro con lamalattia tumore ed il cambiamento nel “corpo” e nella“mente” che le cure comportano, creano uno sconvol-gimento nella vita del malato e della sua famiglia. Il tu-more viene vissuto come un evento dirompente cheinterrompe la percezione di continuità della propriavita, coinvolgendo la sfera affettiva, fisica, psichica, so-ciale e spirituale. Negli ultimi decenni la percentuale di guarigione deipazienti oncologici risulta in crescita grazie alla dia-gnosi precoce ed alle terapie sempre più qualificate einnovative. I trattamenti chirurgici, la radio e la chemio-terapia ed il disagio psichico causato dalla paura deltumore, rimangono però ad alto impatto traumatico,provocando talvolta disabilità permanenti. Le suddetteproblematiche necessitano quindi di un adeguato trat-tamento riabilitativo fisico e psicologico e per questimotivi, riabilitare significa non soltanto intervenire insenso fisico, ma anche accogliere, accompagnare edare un valido supporto psicologico, alle persone af-fette da patologie oncologiche, per aiutarle a tornarea guardare con fiducia al proprio futuro. L’approccio riabilitativo in oncologia sta assumendo unruolo sempre maggiore, da un lato per l’aumento delnumero di pazienti guariti e lungamente sopravviventi,dall’altro per l’aumento progressivo dell’età mediadella popolazione e la maggior incidenza di tumori nel-l’anziano. Particolare rilievo assume, in tale contesto,la situazione degli anziani cosiddetti fragili: quasi dueterzi (63,7%) dei tumori diagnosticati in Italia riguar-

dano le persone con più di 65 anni di età.Il contesto riabilitativo diventa ancora più importantese alle problematiche suddette si associa una delle com-plicanze più temute dai pazienti affetti da patologie on-cologiche: il linfedema degli arti. I pazienti operati di tumore che presentano anche pro-blemi di linfedema, sopportano un trauma ancora mag-giore perché alle problematiche sopra esposte siassocia una difficoltà quotidiana, spesso cronica, di di-sabilità. Il linfedema, secondario ad interventi per pato-logia oncologica, interessa principalmente gli arti,questi si presentano, a secondo degli stadi di malattia,aumentati sia di volume che di consistenza. L’arto ede-matoso però non rappresenta soltanto un problema peril movimento o per l’immagine di sé; ricorda continua-mente la patologia oncologica che lo ha provocato.Il linfedema oncologico degli arti, conseguente all’asportazione dei linfonodi loco-regionali, è ulterior-mente aggravato in quei casi che necessitano anchedi radioterapia. Infatti al danno chirurgico si associala fibrosi da raggi. Poiché chirurgia e radioterapiasono, almeno per il momento, cardini imprescindibilidel trattamento di molte forme tumorali, il linfedema ri-mane la complicanza più temuta e poco curabile di al-cune neoplasie. Le nuove tecniche chirurgiche(linfonodo sentinella e radioterapia intraoperatoria)porteranno forse in futuro ad una diminuzione dell’in-cidenza del linfedema in oncologia perché entrambetendono a preservare ed arrecare un minor danno allestrutture linfo-vascolari dei tessuti coinvolti nel processopatologico. I dati della letteratura indicano che le neo-plasie mammarie rappresentano la patologia che pro-voca più frequentemente linfedema all’arto superiore(più del 95% di tutti i casi di linfedema secondariodegli arti superiori). Nella nostra casistica, il linfedemaoncologico dell’arto superiore omolaterale, secondarioa tumore mammario, ha una incidenza di circa il 20%su tutti i pazienti operati. Un’indagine della Società Italiana di Linfangiologia

Il linfedema oncologicoTiziana A. Baroncelli, Giovanna Franchi, Maria Grazia Muraca Centro di Riabilitazione Oncologica ISPO-LILT, Firenze (Istituto per lo Studio e la Prevenzione Oncologica- Lega Italiana per la Lotta contro i Tumori)

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(SIL) ha evidenziato che in Italia i linfedemi secondari,in particolare quelli post-mastectomia e post-isterecto-mia, sono nettamente più numerosi rispetto ai linfedemiprimari. Pochi studi hanno valutato l’incidenza del lin-fedema dell’arto inferiore dopo chirurgia ginecologica-urologica e/o radioterapia. L’incidenza del linfedemadegli arti inferiori conseguente a chirurgia oncologicaginecologica o urologica oscilla tra l’1%ed il 49% deicasi ed è più frequente nelle donne che hanno subitoun intervento per carcinoma della vulva con disse-zione linfonodale. Nel cancro della prostata l’inci-denza di linfedema agli arti inferiori viene riportata trail 3% e l’8% ma il rischio di svilupparlo aumenta di tre-quattro volte se al trattamento chirurgico si associa laradioterapia. Per il melanoma degli arti o del tronco,la dissezione linfonodale predispone al linfedema nel6%-29% dei casi. Il linfedema oncologico, la cui genesi è legata ad unosquilibrio tra produzione di linfa e capacità di drenaggioda parte della rete linfatica e venosa, può manifestarsientro 2-3 mesi dall’intervento chirurgico - linfedema pre-coce - spesso lieve, molle e che recede con il riposo not-turno, oppure insorgere dopo molti annidall’intervento - linfedema tardivo -spesso più grave, duro, che non recedecon il riposo notturno ed è aggravato dalinfangiti e flebiti) (Fig. 1). L’approccio terapeutico-riabilitativo al lin-fedema oncologico deve essere, perquanto detto finora, necessariamente mul-tidisciplinare e globale e la presa in ca-rico del paziente più precoce possibile. Numerose possibilità di trattamento dellinfedema sono attualmente disponibili,ma nessuna fornisce una riduzione per-manente o la scomparsa definitiva del-l’edema a carico dell’arto interessato. Anche le terapie drenanti (linfodrenag-gio manuale, pressoterapia sequenzialee bendaggio elasto-compressivo multi-strato) associati all’uso quotidiano di tu-tori elasto-contenitivi, possonocontrollare l’evoluzione del linfedema edevitare disabilità maggiori, ma difficil-mente risolvono definitivamente il pro-blema linfedema.

Al Centro di Riabilitazione Oncologica di Firenze(Ce.Ri.On.) il percorso terapeutico, per i pazienti affettida linfedema oncologico, è personalizzato e multidi-sciplinare (medici specialisti, chirurgo, oncologo, an-giologo, fisiatra, fisioterapisti e psiconcologi). Essoinizia con la compilazione di 5 questionari (stato di sa-lute, ansia e depressione, termometro del disagio, scaladel benessere e senso di coerenza) alla quale segueuna accurata anamnesi che tiene conto della patologiaoncologica, del tipo di intervento chirurgico, della dis-sezione linfonodale, delle terapie oncologiche pre-gresse o in atto (chemio, radio e ormonoterapia) maanche delle altre patologie concomitanti.Nei pazienti più anziani si valuta anche lo stato circo-latorio, le malattie cardiache e le malattie renali chepossono aggravare la patologia edematosa e ridurnele possibilità terapeutiche. In alcuni casi si valuta conl’ecografo la presenza di raccolte linfatiche, di laghilinfatici, di aree di fibrosi e/o di trasformazione adi-posa. Un controllo con ecocolordoppler permette di va-lutare lo stato del circolo arterioso e venoso e diescludere la presenza di trombosi venose che controin-

dicano l’inizio del trattamento come dalinee guida SIDV-GIUV. A questa prima valutazione fa seguitola compilazione del progetto riabilita-tivo individuale secondo l’approcciobio-psicosociale che tiene conto sia deibisogni fisici che di quelli psichici e so-ciali del paziente. I cardini principali delprogetto riabilitativo individuale sono:la misurazione dell’arto, la cura dellacute, la terapia drenante intensiva, l’ad-destramento all’uso dei tutori elasto-con-tenitivi, la ginnastica posturale, icolloqui psiconcologici, i gruppi psicon-cologici, il follow-up ed il volontariato.

Misurazione dell’artoE’ uno degli aspetti più controversi. Ognigruppo di lavoro e, a volte, ogni singolooperatore del settore, adotta un metodopersonale per stabilire ‘quanto’ è il linfe-dema. Questo comporta una grande dif-ficoltà nella comparazione dei dati e diconseguenza una non confrontabilitàFig. 1

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dei risultati terapeutici ottenuti. Un me-todo di misurazione clinico dell’edemadovrebbe avere alcune peculiarità nonprescindibili: facilità e praticità di ese-cuzione, ripetibilità (sia tra lo stessooperatore sia tra operatori diversi),economicità. La letteratura è ricca dimetodi per la quantificazione e la mi-surazione dell’edema, alcuni moltoprecisi, ma anche complessi da utiliz-zare, altri molto costosi. Alcuni studihanno mostrato la superiore affidabi-lità del metodo di rilevazione delle cir-conferenze dell’arto, basato su puntidi repere anatomici, rispetto a quellobasato su distanze fisse (Taylor R et al. Reliability andvalidity of arm volume measurements for assessment oflimphedema. Physical Therapy 2006; 86: 205-14). Noimisuriamo le circonferenze secondo una procedura stan-dard su 6 punti di repere anatomici. La rilevazionedelle circonferenze dell’arto è eseguita con arto esteso,in massima estensione consentita; per l’arto superiore ilpaziente è seduto, con la colonna vertebrale appoggiataallo schienale della sedia (Fig. 2); per l’arto inferiore ilpaziente è disteso, con la colonna vertebrale ben ap-poggiata al lettino. Il primo punto di repere è in corri-spondenza della prima piega palmare o plantare; ilsecondo punto è in corrispondenza del punto mediodella piega del gomito o del ginocchio; il terzo punto èin corrispondenza della metà della linea che congiungei due punti precedenti (metà avambraccio o metà pol-paccio), il quarto punto è in corrispon-denza della prima piega ascellare oinguinale, il quinto punto in corrispon-denza della metà della linea che con-giunge il punto secondo con il puntoquarto (metà braccio o metà coscia) edil sesto punto è in corrispondenza dellaradice delle falangi. Le sei misurazionivengono effettuata, alla prima valuta-zione, a ogni follow-up e prima e dopoogni ciclo di terapia drenante intensiva;si utilizza un metro a nastro, allungatosolo per la parte necessaria alla misura-zione, senza alcuna trazione, posto inmodo perpendicolare all’asse longitudi-

nale dell’arto. Le misure vengonoconfrontate con le stesse misuredell’arto sano. Tutto questo ci per-mette di monitorare nel tempo l’evo-luzione dell’edema ed inoltre diquantificare l’efficacia delle terapieeffettuate.

Cura della cuteE’ fondamentale mantenere la cutedell’arto edematoso “sana”. La curaè preceduta dalla valutazione delcolore, della consistenza, dell’elasti-cità, dell’idratazione e delle even-tuali infezioni a carico dell’arto ed

è seguita da consigli su applicazione di creme idra-tanti, pulizia accurata ed attenzione a piccole ferite ed,ove necessario, da una visita dermatologica. I pazientivengono istruiti, sia individualmente, durante la visita,sia per mezzo di lezioni di gruppo tenute da dermato-logi ed esperti di camouflage, all’uso quotidiano e do-miciliare di prodotti adatti e prevenire e curare lecomplicanze cutanee del linfedema.

Terapia drenante intensiva 10 sedute di 2 ore ciascuna effettuate tutti i giorni per2 settimane consecutive, che comprendono: - linfodrenaggio manuale: tecnica di massaggiomanuale, distale-prossimale, che applicando una leg-gera pressione tende ad incrementare la circolazionelinfatica ed a ridurre le aree di fibrosi (Fig. 3-4)

Fig. 2

Fig. 3 Fig. 4

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- pressoterapia sequenziale ad aria: apparec-chio che utilizza una serie di camere parallele e se-quenziali, lievemente sovrapposte le une alle altre chegonfiandosi e sgonfiandosi aiutano il deflusso dellalinfa dal segmento distale a quello prossi-male successivo (Fig. 5)- bendaggio elastocompressivo mul-tistrato: tecnica di bendaggio costruito conbende a corta estensibilità sovrapposte cheaumentando la pressione tissutale favori-scono il riassorbimento linfatico. Detto parti-colare bendaggio ha la funzione dimantenere, tra una seduta e l’altra, la ridu-zione dell’edema ottenuta dal linfodrenag-gio manuale e/o dalla presso terapiasequenziale (Fig. 6).

Tutori elasto-contenitivi Bracciali per l’arto superiore, calze elasticheper arto inferiore sono presidi indispensabili

per il mantenimento dei risultati ottenuti con la terapiadrenate intensiva. I tutori più idonei sono quelli confe-zionati su misura per l’arto del paziente. Il tessuto conil quale sono costruiti, traspirante, di facile manuten-zione, non irritante e resistente, garantisce il confortnecessario per un utilizzo spesso prolungato. Il tutoreelasto-contenitivo non guarisce la patologia, ma necombatte i sintomi, l’evoluzione e la formazione dinuovo edema (Starling) spostando i fluidi in aree senzalinfedema, aprendo i capillari linfatici (attraverso l’au-mento della pressione tessutale), migliorando le con-trazioni dei collettori linfatici, ammorbidendo le zonefibromatose e migliorando la pompa venosa. Possonoessere indossati durante il giorno, costruiti con tessutoa trama piatta e a differenti classi di compressione (2°classe per gli arti superiori, 2°-3° o 4° classe per gliarti inferiori) (Fig. 7 e Fig. 8), oppure indossati duranteil riposo notturno, costruiti con tessuto “mobiderm”(Fig. 9-11).

Addestramento all’uso dei tutori elasto-contenitivi Per rendere il paziente più autonomo possibile, e permantenere più a lungo i risultati ottenuti con le terapiedrenanti, è fondamentale spiegare bene come indos-sare i tutori. Il fisioterapista durante le sedute di terapiaspiega l’importanza di: utilizzare guanti di gomma perindossare i tutori, ciò facilita la presa ed evita la for-mazione di pieghe o grinze; tenere le unghie corte perevitare le lacerazioni; indossare i tutori al mattino prima

Fig. 5

Fig. 6

Fig. 7 Fig. 8

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di qualunque attività, specialmente se fati-cosa o ripetitiva; riposizionarli nel corsodella giornata; lavarli ed asciugarli senzadanneggiarli.

Ginnastica posturaleL’arto linfedematoso ha un peso diverso ri-spetto al controlaterale, questa differenzaattiva dei meccanismi di compenso che alungo andare portano ad una modificadella postura con conseguenti tensioni econtratture muscolari. Il percorso di ginna-stica posturale indirizzato alle persone conesiti di patologia oncologica stabilizzata(linfedema degli arti), ha come obiettivoprincipale il miglioramento della qualitàdella vita attraverso un graduale migliora-mento dello schema corporeo e delle ca-pacità motorie. Il percorso prevede unprogramma di esercizi fisici specifici ap-positamente strutturati per i singoli sog-getti: esercizi attivi per gli arti e la colonnavertebrale che agiscono sulla componente muscolare efasciale; esercizi di rilasciamento per diminuire la ten-sione muscolare e di conseguenza la sintomatologiadolorosa; corretto posizionamento del corpo; eserciziper il recupero di tono, forza, ed elasticità; esercizi perprevenire la linfosclerosi e per favorire il drenaggio ve-noso e linfatico.Il protocollo di lavoro viene stabilito dopo una valuta-zione motoria funzionale individuale eseguita all’inizio

dell’attività e ripetuta alla fine. Tale va-lutazione risulta fondamentale inquanto permette di ottenere dati utiliper programmare obiettivi specifici in-dividuali ma anche di gruppo. Il per-corso è composto da 16 lezioni confrequenza bisettimanale e durata diun’ora, sono previste sei persone perciascun gruppo (Fig.12).

Colloqui psiconcologiciCome già detto la presa in carico glo-bale del paziente inizia con la compi-lazione di 5 questionari; sel’elaborazione di questi evidenzia unvalore sopra soglia, il paziente vieneinvitato a fare un colloquio con uno psi-cologo, che diventa la sua figura di ri-ferimento. L’assessment psiconcologicocomprende l’ascolto della storia di vitadella persona, il contesto attuale, le ri-sorse ambientali, le preoccupazioni, gli

stili di reazione alla malattia ed i sintomi di sofferenzapsicologica. Attraverso i primi colloqui individuali, inbase ai bisogni ed alle aree di maggior urgenza, vieneindividuato un percorso specifico, diverso per ogni per-sona e che potrà essere flessibile nel tempo. Infatti aseconda dell’evolversi del vissuto in tutto il percorso dimalattia, ogni paziente può continuare i colloqui indi-viduali o partecipare ad uno o più gruppi psiconcolo-gici. Se il valore dei questionari è nella norma il

Fig. 9 Fig. 10

Fig. 11

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paziente non viene inviato allo psico-logo ma, se lo desidera e lo richiede,può comunque iniziare un percorsopsiconcologico. Per misurare l’effica-cia degli interventi psicofisici proposti,l’effettivo cambiamento, l’accettazionedi sé, la riapertura al mondo, la capa-cità di riconfrontarsi e di riprendereuna vita normale, gli stessi test d’in-gresso vengono ripetuti a distanza diun anno ed alla fine del percorso ria-bilitativo.

Gruppi psiconcologici I colloqui psicologici individuali sonointegrati da esperienze nei gruppi psi-cologici guidati che si effettuano con cadenza settima-nale e durata trimestrale. I gruppi si suddividono indiverse aree: lavoro introspettivo-verbale (gruppo d’in-contro, gruppo d’incontro per giovani donne e logote-rapia); gruppi a mediazione corporea (rilassamento eyoga); gruppi a mediazione espressiva (mindfulness,arteterapia, musicoterapia, scrittura creativa, letturacondivisa e teatroterapia); (i gruppi a mediazioneespressiva sono realizzati grazie ai terapeuti dell’asso-ciazione “La Finestra” onlus). I criteri di inserimentonel gruppo non sono rigidi; i pazienti vengono invitatia partecipare al gruppo che in quel momento è piùadatto ai suoi bisogni.

Follow-up attivo Tutti i pazienti, che iniziano il percorso multidisciplinaree/o progetto riabilitativo individuale per il trattamentodel linfedema oncologico degli arti, vengono sottoposti,con frequenza prestabilita e richiamo su invito, a rego-lari controlli periodici clinici e/o psicologici. Nel linfe-dema lieve, senza complicanze, che prevede l’usodella sola contenzione elastica, i controlli clinici ven-gono programmati ogni 6 mesi per il primo anno eogni anno per i cinque anni successivi. Ad ogni con-trollo viene misurato l’arto, (le misure vengono confron-tate con quelle delle precedenti visite) , valutata laconsistenza e la mobilità dell’arto, richiesto un nuovoausilio se il precedente è usurato, concordato eventualiterapie drenanti e/o psicologiche, in caso di peggio-ramento dell’edema; nei casi di remissione completa i

controlli vengono interrotti. Nel linfe-dema moderato i controlli clinici ven-gono effettuati ogni 4-6 mesi per iprimi due anni e ogni 6-8 mesi per icinque anni successivi, di seguito unavolta l’anno se il linfedema si stabi-lizza. La modalità del controllo pre-vede, come il precedente, misure,valutazione, mobilità, ed ausili, a que-sti si aggiungono cicli di terapia dre-nante intensiva o di mantenimento,cicli di ginnastica posturale e cicli diterapia psicologica individuale o digruppo in un’ottica di personalizza-zione delle terapie per il miglior recu-pero possibile psico-fisico-sociale. Nel

linfedema grave i controlli clinici e le terapie psico-fisi-che vengono effettuati ogni 3-4-6 mesi per tutto il temponecessario alla stabilizzazione del linfedema. A finepercorso terapeutico ai pazienti vengono somministratigli stessi cinque questionari compilati alla prima visitacon l’intento di valutare i cambiamenti che le terapiehanno prodotto.

VolontariatoLa presenza al Ce.Ri.On. di un punto di ascolto e di ac-coglienza tenuto da un gruppo di circa 40 volontariedel servizio “Donna come Prima” della LILT, ha comeobiettivo quello di: consentire un supporto tra pari;creare uno spazio di condivisione di esperienze; fornireinformazioni sulle attività del Centro; testimoniare che sipuò attraversare l’esperienza traumatica di malattia etrasformarla in esperienza di vita. Al Centro sono pre-senti anche le associazioni: A.I.P. (Associazione ItalianaProstatectomizzati); A.S.Tos. (Associazione StomizzatiToscani); UIMDV (Unione Italiana Mutilati della Voce).La presenza del volontariato, dando voce a chi rara-mente e con difficoltà riesce ad esprimersi, porta utilisuggerimenti per il miglioramento dell’assistenza e dellacomunicazione tra operatori sanitari e malati.Una parte delle attività del Ce.Ri.On. sono sostenutedal contributo annuale di “Corri la Vita” (manifesta-zione benefica fiorentina, giunta alla XV° edizione),che attraverso una corsa podistica raccoglie fondi percontribuire a sostenere le strutture pubbliche specializ-zate nelle lotta contro il tumore al seno.

Fig. 12

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L'indicazione ad una terapia chirurgica e/o endova-scolare della stenosi carotidea, in particolare quellaasintomatica, per quanto non possono essere trala-sciati quei fattori non specifici e generali quali l’età, ilsesso, le co-morbilità e l’aspettativa di vita, si basa es-senzialmente sulle caratteristiche della stenosi.Gli attuali parametri utilizzati a tal fine sono infatti rap-presentati da:- entità della % di stenosi misurata in diametro e/o inarea;- alterazione delle caratteristiche di flusso nel contestodi essa;- caratteristiche morfologiche della lesione (placca) de-terminante la stenosi.Malgrado l'ultimo di tali parametri sia ritenuto già datempo un elemento fondamentale nella valutazione delrischio di un processo trombo-embolico in grado di ge-nerare un evento ischemico cerebrale, è però il primodi essi, cioè l'entità della stenosi, indicata comune-mente come riduzione in % del lume vasale, quello cheancora oggi viene considerato dalla maggior partedegli operatori il principale fattore, talvolta anchel'unico, determinante per l'indicazione al trattamentoinvasivo.Generalmente si ritiene che il valore attribuito a taleparametro sia strettamente legato all'alterazione emo-dinamica che esso comporta, e cioè ad una accelera-zione del flusso fino alla comparsa di fenomeni diturbolenza. E' infatti l'alterazione emodinamica che acerti livelli può determinare un rischio ischemico, siaquando si pensi che l'evento ischemico possa essereproprio la diretta conseguenza di una marcata altera-

zione emodinamica (ictus emodinamico), che quandolo stroke consegue ad un evento trombo-embolico.Tale criterio si scontra peraltro nella pratica clinica conla constatazione che al grado di stenosi carotideaespressa in % non sempre in realtà corrisponde unaanaloga accelerazione di flusso (picco sistolico e/odiastolico). Non di rado infatti si riscontrano velocitàdi flusso alquanto diverse a parità di % di stenosi,anche di alto grado (70-80%). Più fattori sono stati chiamati in causa per motivareun tale comportamento (1), ma è in primo luogo nel-l’analisi delle caratteristiche anatomo-topografichedella stenosi carotidea che vanno ricercate le motiva-zioni di queste discordanze, oggetto del presente con-tributo.

Esperienza personaleAl riguardo, nella pratica clinica quotidiana del servi-zio di angiologia e diagnostica vascolare della ASLCittà di Torino, sono stati raccolti e messi a confrontoi risultati dell’esame ecocolordoppler condotto su 100pazienti privi di stenosi carotidea, con quelli di 70 pa-zienti con patologia stenosante, utilizzando un appa-recchio Esaote MyLab70XVision con sonda lineare da3-11 Mhz., usufruendo di tutte le diverse modalità for-nite da tale apparecchio (seconda armonica ecc.) aifini di ottenere migliore immagini e più precise infor-mazioni velocitometriche.

DISTRETTI CAROTIDEI SENZA STENOSI (100 CASI)Materiali. Sono stati esaminati 100 distretti carotideiesenti da patologie e quindi sostanzialmente privi di

L’indicazione al trattamento chirurgicodella stenosi carotidea medianteecocolordoppler Vincenzo Puleo1, Pier Luigi Castagno2

1 Servizio di Angiologia e Diagnostica vascolare, ASL “Città di Torino”2 A.U.O. Città della Salute e della Scienza di Torino, SC Chirurgia Vascolare 1

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alterazioni ateromasiche parietali significative, di sog-getti di età compresa tra i 55 e i 70 anni, di cu il 65%uomini e il 45% donne. La scelta di tale fascia d'età èstata dettata dal fatto che si tratta di quella più interes-sata dalla patologia, ed è stata pertanto concertataanche per i soggetti patologici esaminati in un se-condo tempo. Metodi. In ogni soggetto è stata esaminata innanzi-tutto la conformazione del tratto iniziale della caro-tide interna, evidenziando in particolare la % deltratto bulbare facente parte effettiva della carotide in-terna. Successivamente si è proceduto ad eseguire lamisurazione del diametro del vaso nella sede più fre-quentemente interessata dalla presenza di ateromistenosanti e cioè l'origine della carotide interna, epiù precisamente a 3 mm dall'inizio del vaso, quindipiù distalmente nel punto in cui il vaso presenta uneffettivo parallelismo delle sue pareti, solitamentesede della massima velocità fisiologica. In ognuno diquesti punti è stata quindi calcolata la velocità dipicco sistolico (PSV). Risultati. Il diametro della carotide internaall’origine è risultato variare da un minimo di4,8mm (1 caso) ad un massimo di 9mm (2 casi),anche se nella maggior parte dei casi il range eracompreso tra 6 mm e 8 mm, con un valore mediodi 7,3 mm. Nel punto in cui il vaso carotideo assu-meva un effettivo parallelismo delle pareti ilrange del diametro risultava ben più ridotto, va-riando prevalentemente da 4,2 mm a 5,2 mm, con unvalore medio di 4,6 mm, pur con un paio di casiche presentavano un diametro di 3,5 mm e altrettantidi 5,5 mm. La velocità di flusso, in particolare il picco sistolico(PSV), a livello dell’origine del vaso oscillava pre-valentemente tra 35 cm/s e 70 cm/s, con solo 3 casiinferiori (due di 30 cm/s e 1 di 25 cm/s) e solo 2 casisuperiori (di 75 e 80 cm/s), con un valore mediopari a 48 cm/s. Il valore medio del PSV in corrispondenza del trattocon parallelismo delle pareti risultava di 87cm/s, con un range compreso tra 60 e100 cm/s. Dal punto di vista morfologico il tratto iniziale dellacarotide interna era costituito in % variabile dal co-siddetto bulbo carotideo. Non di rado questo rappre-

sentava il 100% del tratto iniziale del vaso, ma co-munque nella maggioranza dei casi ne costituiva al-meno il 50%, rimanendo il restante tratto bulbare,quello prossimale, nel contesto della biforcazionementre solo raramente (nel 8% dei casi) il bulbo si lo-calizzava del tutto a monte della carotide interna(Vedi Tab. 1).

CAROTIDE NORMALECommento: La conformazione di tipo bulbare deltratto iniziale della carotide interna è responsabile diun maggiore aumento del diametro del vaso rispettoa quello immediatamente a valle, dove il vaso assumeconformazione tubulare. Tale maggior diametro pros-simale del vaso, cui non è estranea anche la conca-vità delle pareti relativa alla conformazione bulbare,comporta un flusso fisiologico al suo interno più rallen-tato in ragione della legge della continuità secondo ilprincipio di conservazione dell'energia meccanica. Irisultati ottenuti hanno in effetti evidenziato innanzi-tutto, come all’origine della carotide interna e comun-que nel tratto iniziale dove il diametro del vaso èmediamente più ampio, le velocità rilevati siano signi-ficativamente più basse (velocità media:48 cm/s), ri-spetto a quelle rilevate nel tratto del vaso più a valle,ad aspetto lineare con pareti parallele (velocità media:87 cm/s).

DISTRETTI CAROTIDEI STENOSANTI (70 CASI)Materiali: Sono stati esaminati 70 distretti carotideidi soggetti con patologia stenosante della carotide in-

ICA(% bulbo)

50%(10-100%)

DiametroOrigine ICA(mm) + PSV

7,3mm(4,8-9,0mm)

48 cm/s(25-80 cm/s)

DiametroSegm.

ICA + PSV

4,6mm(3,5-5,5mm)

87 cm/s(60-100 cm/s)

Valori medi carotide interna (ICA) DX/SN

Valori medio, minimo e massimo di: percentuale bulbare della carotide interna; diametro e picco sistolico (psv) a livello dell’origi-ne e del tratto tubulare della carotide interna.

Tab. 1

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terna, di età compresa tra 60 e 75 anni (70% uomini;30% donne). Metodi. In ogni soggetto è stata valutata:- la localizzazione della placca e quindi anche dellastenosi nel contesto del vaso, a partire dalla sua ori-gine;- la percentuale di stenosi, cioè di riduzione del lumein diametro in corrispondenza della placca steno-sante, secondo ECST, ma anche secondo il metodo dimisurazione NASCET (Fig. 1);- la velocità di flusso massima (PSV) nel contesto dellastenosi o meglio relativa alla stenosi causata dallaplacca presente nel lume carotideo; - la misura del lume residuo a livello della stenosi, pa-rametro ritenuto da noi presumibilmente affidabile sullabase di quanto emerso dalla prima indagine. Risultati. In tutti i soggetti esaminati leplacche determinanti le stenosi risultavanosituate in corrispondenza del tratto prossi-male della carotide interna, sino a circa25mm dall’origine, pertanto interessa-vano il tratto più ampio del vaso, spessoa conformazione bulbare variabile da uncaso all'altro ma comunque sempre condiametro maggiore rispetto al trattomedio-distale del vaso. In particolare il

diametro del vaso nella zona della stenosi sede dellaplacca variava da 5,4 mm a 9,0 mm. La percentualedelle stenosi valutata secondo il metodo ECST variavada un minimo del 55% ad un massimo dell'85%.I valori delle percentuali di stenosi calcolate secondoil metodo NASCET andavano invece da un minimo del42% ad un massimo del 76%.La velocità di flusso rilevata come picco sistolico (PSV)era compresa tra un minimo di 80 cm/sec ad un mas-simo di 260 cm/sec, Infine si è avuto modo di riscontrare un range piùampio rispetto ai valori di % di stenosi con la misura-zione del diametro del lume residuo in corrispondenzadella stenosi, con valori variabili da un minimo di 1,2mm ad un massimo di 2,8 mm (Vedi Tab.2).

STENOSI ICACommento. Dai risultati emerge innanzitutto un datogià noto e pertanto prevedibile, vale a dire che lamaggior parte delle stenosi si riscontrano nel trattoprossimale della carotide interna, spesso proprio al-l’origine di essa, e comunque in quello che corri-sponde al tratto più ampio del vaso.Confrontando poi la velocità rilevata a livello dellestenosi con la riduzione del lume in percentuale va-lutato secondo il metodo ECST si evidenzia che velo-cità sistoliche superiori al valore massimo ritenutonella norma (fisiologico) cioè 125 cm/s, si rilevanosolo quando la percentuale della stenosi supera il64%. Non solo, la discordanza tra la velocità diflusso a livello della stenosi e il grado di stenosi se-condo tale metodo (ECST) era tale che per alcunestenosi le velocità di flusso rilevate erano sensibil-mente più basse rispetto a velocità di flusso su stenosidi minore entità.

NASCET = A-BA

ECST = C-BC

C

A

B

Fig. 1

Diametro ICAa livellodi stenosi

7,1mm(5,4-9,0 mm)

% ECST

73%(55-85%)

% NASCET

60%(42-76%)

PSV

141 cm/s(80-260 cm/s)

Valori medio, minimo e massimo di: diametro del vaso a livello della stenosi, percentua-le di stenosi secondo ECST e secondo NASCET, lume residuo, picco sistolico (psv)

Lum. Res.

2,0 mm(1,2-2,8mm)

Tab. 2

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Nel contempo si è avuto modo di appurare una mag-gior concordanza tra le velocità di flusso (PSV) rilevatee il grado di stenosi misurato secondo il metodo NA-SCET. Anche questo risultato era in effetti prevedibile,in quanto nei lavori in cui sono state messe in relazionele velocità sistoliche rilevate mediante criteri ultrasono-grafici e il grado di stenosi stabilito mediante angio-grafia è stato utilizzato proprio il metodo NASCET (2).E d’altro canto è nel segmento carotideo lineare post-bulbare, corrispondente a quello cui fa riferimento ilmetodo NASCET, dove è possibile solitamente rilevarela massima velocità fisiologica.Un’altra acquisizione non secondaria è che la misuradel diametro del lume residuo a livello della stenosi ri-sulta essere il valore maggiormente correlato alla ve-locità di flusso (PSV). Infatti alla riduzione del lumecorrisponde una graduale accelerazione della velocitàdi flusso, con un picco sistolico che tende a superareil valore fisiologico di 125 cm/s quando il lume resi-duo è inferiore a 2,4 mm e con un valore di PSV chepuò patologicamente ritenersi significativo (> a 200cm/s) quando il lume residuo scende sotto il valore di1,6 mm.Conclusioni. Il primo dato da evidenziare è che lacarotide interna nel suo segmento prossimale è carat-terizzata da un tratto iniziale più ampio, spesso aconformazione bulbare, e quindi con un diametro ini-ziale all’origine del vaso maggiore rispetto al restantetratto prossimale e che tende a ridursi in am-piezza sino a divenire un segmento con undiametro più regolare e costante, a paretiparallele. Come è noto la maggior partedelle lesioni ateromasiche determinanti unastenosi del vaso si formano proprio nel seg-mento prossimale, pertanto valutare tali ste-nosi secondo la riduzione del loro lume inpercentuale nel punto in cui vengono rilevate(metodo ECST) potrà indurci a fornire lostesso valore di stenosi, che possono avereinvece caratteristiche morfologiche, maanche emodinamiche, ben diverse secondola localizzazione nel tratto prossimale delvaso. Si possono rilevare infatti stenosi del70% ECST il cui lume residuo potrà esseredi 4 mm di diametro o di 2 mm o anche di

1,5 mm (Fig. 2). Nel contempo anche la velocità diflusso espressa in PSV potrà rilevarsi alquanto di-versa: inferiore a 120 cm/s o all’incirca di 160 cm/so anche superiore ai 200 cm/s, sempre in una ste-nosi di circa il 70% valutata secondo il metodo ECST.Riteniamo pertanto che tale metodo di valutazionenon sia del tutto appropriato.Per quanto riguarda il metodo NASCET, questo ri-sulta più conforme all’alterazione emodinamica rela-tiva alla stenosi. In pratica ha un più preciso edefficiente rapporto diretto con il valore di accelera-zione del flusso ematico a livello della stenosi,espresso in PSV (velocità di picco sistolico). Ciò è do-vuto al fatto che per il calcolo della percentuale distenosi con il metodo NASCET vengono messi in di-retto rapporto il diametro del vaso nel tratto in cuiesso si conforma con pareti parallele, dove general-mente si rilevano le più alte velocità fisiologiche (<a 125 cm/s), con il diametro del lume residuo in cor-rispondenza della stenosi. Essendo le stenosi del50% quelle in cui il calo pressorio all’interno delvaso e l’aumento dell’energia cinetica e della velo-cità cominciano a diventare significativi (3) e rite-nendo patologico comunque un flusso > a 125cm/sec., saranno pertanto le stenosi > del 50%quelle in cui l’aumento del picco sistolico potrà ini-ziare a rilevarsi come patologico. E’ d’altra parteevidente che misurare il valore di una stenosi con

Biforcazionecarotidea

CC

CE

CI

70%

70%

70%

4

2

1,5

Fig. 2

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tale metodo potrà apparire quantomeno improprio,in quanto la percentuale di stenosi risultante scaturi-sce dal rapporto tra una misura rilevata a livellodella stenosi (diametro del lume residuo) con una mi-sura rilevata invece in un segmento del vaso in cuinella maggior parte dei casi non esiste nessuna le-sione stenosante. Inoltre se si valuta una stenosi dellacarotide interna applicando il metodo ECST si in-corre facilmente in incongruenze riguardo sia il lumeresiduo che l’emodinamica della stenosi, mentre ap-plicando il metodo NASCET l’incongruenza potrà fa-cilmente riguardare le dimensioni dell’ateromadeterminante la stenosi. Infatti a parità di percentualedi stenosi applicando il NASCET l’ateroma potrà pre-sentare dimensioni alquanto differenti.Tale dato (dimensione della placca stenosante) puòrientrare, a nostro parere, tra i parametri significatividi una stenosi della carotide interna relativamente alrischio ischemico.Ne deriva che la percentuale di stenosi, intesa comeriduzione del lume non dovrebbe rientrare tra i para-metri utili ad una indicazione al trattamento chirurgicodella stenosi carotidea, o almeno non dovrebbe rap-presentare il primo parametro decisionale, in accordoperaltro con le conclusioni del Comitato di Consensoriunitosi nel 2003 (4). Il primo parametro decisionale dovrebbe invece es-sere rappresentato dalla alterazione emodinamicache la stenosi determina, in particolare dal valore dimassima velocità (PSV) relativa all’accelerazione diflusso ematico rilevato a livello della stenosi, perchétale parametro oltre ad essere in diretto rapporto conl’entità della stenosi, rappresenta un effettivo fattoredi rischio di ischemia cerebrale. Al pari di questo,l’altro parametro significativo dovrebbe essere costi-tuito dalle caratteristiche morfologiche della placcastenosante con una sua valutazione in stretto rapportocon il primo, come a rappresentare un unico parame-tro. In pratica in presenza di una placca particolar-mente vulnerabile potrebbe, insieme a talecondizione, ritenersi sufficiente una moderata acce-lerazione, quindi anche un PSV non superiore ai 200cm/s per stabilire un indicazione all’intervento, dicontro sarebbe opportuno il rilievo di un PSV > a 240cm/s in presenza di una placca relativamente stabile

(disomogenea a verosimile composizione mista, fibro-calcifica) per porre l’indicazione ad un intervento,mentre si potrebbe optare per l’intervento in presenzadi placca decisamente più stabile (calcifica) soloquando il PSV supera i 300 cm/s e nel contempo conun EDV > a 100 per evitare, in tal caso, sopratuttouna possibile ischemia di tipo emodinamico, perquanto questa più rara e discutibile. Peraltro tra le ca-ratteristiche della placca, oltre alla sua presumibilecomposizione istologica (5), sarà importante tenereconto anche delle sue dimensioni. Ideale a tal propo-sito sarebbe conoscere il volume della placca o co-munque l’area o almeno lo spessore (“diametro”);quindi per ciò che concerne l’entità della stenosi, in-tesa come riduzione del lume, da quanto rilevatodalla nostra indagine, potrà a tal proposito conside-rarsi semmai utile il valore del diametro del lume re-siduo anche per definire semplicemente il tipo distenosi come una stenosi di entità lieve (L.R. > a3mm) o moderata (L.R. < a 3 mm e > a 2 mm) o mar-cata (L.R. < a 2 mm e > a 1,2 mm) o serrata (L.R. <a 1,2 mm). Sulla base di queste considerazioni riteniamo in con-clusione che sarebbe opportuno aggiornare la Con-sensus allo scopo di formulare una nuova e piùcalibrata strategia diagnostica relativa all'indicazioneal trattamento invasivo della stenosi carotidea.

Bibliografia essenziale1. Fujitani RM, Mills JL, Wang LM, Taylor SM. The effect of uni-lateral internal carotid arterial occlusion upon controlateral du-plex study: Criteria for accurate interpretation. J Vasc Surg1992; 16, 459-67.2. Moneta GL, Edwards JM, Chitwood RW, Taylor LM Jr, LeeRW et al. Correlation of North American Symptomatic CarotidEndarterectomy Trial (NASCET) angiographic definition of 70%to 99% internal carotid artery stenosis with duplex scanning. JVasc Surg 1993; 17:152-7.3. Pourcelot L. L’examen Doppler des vaisseaux périphériques.ACD Productions, Paris, 1982.4. Grant EG, Benson CB, Moneta GL, Alexandrov AV, BakerJD, Bluth EI et al. Society of Radiologists in Ultrasound Consen-sus Conference on Ultrasound and Doppler Diagnosis of Caro-tid Stenosis. Radiology 2003; 229: 340-6.5. Salem MK, Bown MJ, Sayers RD, West K, Moore D, Nicolai-des A, et al. Identification of patients with a histologically un-stable carotid plaque using ultrasonic plaque image analysis.Eur J Vasc Endovasc Surg 2014;48:118-25.

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L’introduzione degli anticoagulanti orali diretti(DOACs) ha modificato negli ultimi anni l’approccioclinico al paziente con rischio di Tromboembolismovenoso (TEV), a cominciare dalla tromboprofilassisecondaria ad un episodio di TVP o EP. Tuttavia, an-cora oggi, il ruolo delle eparine a basso peso mole-colare (EBPM) nella fase acuta di trattamento delTEV rimane in molti casi invariato (prima dell’anti-coagulazione orale con warfarin, dabigatran, edo-xaban). Inoltre il cambiamento di strategiagestionale del paziente con TEV, legato tanto allaperdita di uno stretto monitoraggio del pazientescoagulato (Centri TAO), quanto ai trattamenti pro-lungati nel tempo, ha portato in primo piano il chal-lenge clinico della sicurezza rispetto agli episodiemorragici, il cui rischio e impatto clinico, compresoil case fatality correlato, rimangono costanti neltempo, diversamente dal rischio trombotico, che siriduce, ad esempio dopo un intervento, un alletta-mento, o un episodio TEV.La tromboprofilassi primaria non sfugge a questovento di rinnovamento nella gestione del rischio trom-botico, che punta a mettere in primo piano nel TEV ilrapporto rischio/beneficio del regime anticoagulantescelto per ogni tipologia di paziente a rischio trom-botico, mettendo a confronto i regimi terapeutici con-solidati (EBPM) con quelli di recente introduzione(DOACs), in termini rapporto di efficacia e sicurezza,soprattutto per i pazienti a rischio trombotico medio-alto, quali quelli medici e ortopedici. In merito, una recente meta-analisi italiana ha evi-denziato come i DOACs non offrano vantaggi signi-ficativi rispetto alle EBPM in termini di efficacia,

mente offrono un rischio emorragico leggermentepiù elevato nel setting di pazienti medici, che sonosempre più rappresentativi anche del setting ortope-dico, per la quota di popolazione anziana sottopo-sta a interventi di ortopedia maggiore. Da notareinfine la migliore performance delle EBPM sulla mor-talità TEV-correlata nel paziente ortopedico. L’attua-lità delle EBPM nella gestione del rischio trombotico,rispetto alla novità dei DOACs, è potenzialmentecollegabile al vantaggio dell’attività antinfiammato-ria, propria delle eparine EBPM, che le confermanocome standard di riferimento nella tromboprofilassiprimaria.

IntroduzioneLe novità nella strategia gestionale dei pazienti a ri-schio trombotico, seguite all’introduzione deiDOACs, porta oggi a rivalutare a 360 gradi il rap-porto rischio/beneficio dei diversi regimi terapeuticinei diversi setting di pazienti. In merito diverse reviewrecenti sottolineano come ogni trattamento anticoa-gulante debba essere giustificabile sotto il profilo ri-schio/beneficio per scelta dell’anticoagulante, deldosaggio e della durata ottimale (1).Una nuova meta-analisi (2) ha fatto il punto sulla trom-boprofilassi primaria nei pazienti ortopedici e mediciospedalizzati, mettendo a confronto le EBPM con iDOACs, valutando i risultati clinici, per efficacia e si-curezza, di 14 studi su di un campione di oltre60.000 pazienti trattati, evidenziando come iDOACs non offrano ad oggi chiari vantaggi in ter-mini di efficacia, mentre le EBPM mantengono un leg-gero vantaggio, statisticamente significativo, in

Attualità delle eparine nella tromboprofilassi del pazientemedico (e ortopedico)Giovanni B. AgusChirurgia Vascolare e Angiologia, Università degli Studi di Milano

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termini di sicurezza per i pazienti medici, rispetto alleemorragie maggiori ed a quelle non gravi clinica-mente rilevanti (CRNB). Questi dati di real life sulla sicurezza dei diversi re-gimi di trattamento anticoagulante in pazienti ospe-dalizzati in area medica e ortopedica, risultano inparte inattesi, rispetto alle premesse degli studi di re-gistrazione, che proponevano i DOACs come effi-cienti anticoagulanti con rischi emorragici nettamenteinferiori a tutti gli altri anticoagulanti. La real life cli-nica dei pazienti a rischio trombotico dimostra inveceche un’elevata efficacia anticoagulante sulla cascatacoagulativa, mal si concilia con la piena sicurezzapiena rispetto al rischio emorragico, aspetto di parti-colare rilievo per il paziente medico, spesso anziano,che risulta più vulnerabile al rischio emorragico, so-prattutto gastrico e cerebrovascolare e, almeno in al-cuni casi, meno autonomo nel gestire la terapiaanticoagulante al di fuori dell’ambiente ospedaliero,in assenza di un programma stretto di monitoraggioclinico, risultando così più esposto al rischio di epi-sodi emorragici.

Efficacia e sicurezza nella tromboprofilassiprimariaIl TEV, che include la TVP e l’EP, è causa notoriamente

importante di morbilità e mortalità potenzialmenteprevenibile. Le linee guida nazionali e internazionali (3-6) racco-mandano da molti anni la tromboprofilassi farmaco-logica per ridurre i tassi di eventi di TEV in un ampiospettro di pazienti in area chirurgica e medica, contassi di eventi avversi relativamente bassi. Le EBPM sono ad oggi lo standard di riferimento in-discusso e la recente introduzione dei DOACs ha sti-molato studi di confronto, per efficacia e sicurezza,oltre che nella prevenzione degli episodi recidivantidi TEV, anche nella tromboprofilassi primaria, con ri-sultati a volte contrastanti in diverse revisioni pubbli-cate negli ultimi anni (7). Questa nuova meta-analisi (2) ha permesso di racco-gliere un numero sufficiente di dati per mettere a con-fronto le differenti strategie terapeutiche (EBPM vsDOACs) in due setting di pazienti a rischio TEVmedio-alto molto frequenti nella pratica clinica, qualiquello del paziente ortopedico e quello del pazientemedico (ACCP: rischio TEV 3,1 e 4,3% rispettiva-mente), analizzando esclusivamente endpoint clinicidi efficacia (TVP sintomatica, EP non fatale, EP fatalee fatalità TEV-correlata) e sicurezza (emorragia mag-giore, emorragia clinicamente rilevante) da 14 studiRCT selezionati, su di un campione di oltre 60.000

Forest plot of studies comparing the effect of thromboprophylaxis with DOACs and LMWH on the risk of symptomatic DVT, non-fatal PE and fatal PE plus VTE related death. Positive values of risk difference indicate a lower risk for patients treated with LMWH and negative values a lower risk for patients treated with DOACs. *p<0.05. DOACs direct oral anticoagulants. DVT deep venous thrombosis. PE pulmonary embolism (PE). VTE venous thromboembolism

Risk Difference (RD)Estimated RD [95% C.I.]Study

Risk Difference (RD)Estimated RD [95% C.I.]

3. Fatal PE / VTE related death

APEX

MAGELLAN

RENOVATE I

REMODEL

REMOBILIZE

RECORD IV

RECORD I

ADVANCE III

ADVANCE II

ADVANCE I

DOACEvents Total

13

3

1

0

1

1

2

1

1

2

3112

2938

2293

1371

1728

1526

2209

2708

1528

1599

LMWHEvents Total

17

6

0

1

0

0

1

0

0

0

3174

2993

1142

685

868

1508

2224

2699

1529

1596

Weight

1.3%

3.9%

21.1%

1.9%

12%

9.3%

6.6%

29.4%

9.4%

5.1%

0.222% ]

0.099% ]

0.129% ]

0.140% ]

0.171% ]

0.194% ]

0.199% ]

0.109% ]

0.194% ]

0.298% ]

TOTAL

−0.118%

−0.098%

0.044%

−0.146%

0.058%

0.066%

0.046%

0.037%

0.065%

0.125%

0.040%

[

[

[

[

[

[

[

[

[

[

[

−0.458%,

−0.296%,

−0.042%,

−0.432%,

−0.056%,

−0.063%,

−0.108%,

−0.035%,

−0.063%,

−0.048%,

0.001%, 0.080% ]

Heterogeneity: Tau2 =0.00; Chi2 =5.68; df = 9 (p=0.7714); I2 =0.0%

Test of overall effect: Z=2.02 (p=0.0434)

Favours DOAC

-2% -1% 0% 1%

Favours LMWH

Fig. 1

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Anno XI - N. 3, 2017 30

pazienti, utilizzando come parametro di confrontol’RDs (Risk Differences).

Differenze di rischio (RDs) fra EBPM e DOACs Gli autori della meta-analisi italiana riportano chenell’insieme dei pazienti, ortopedici e medici, nonemergono differenze significative di rischio per effi-cacia e sicurezza, fra EBPM e DOACs, con un RDcomplessivo di 0,049% (95% CI). Entrando nel det-taglio, all’assenza di differenze per l'incidenza di

TVP sintomatica tra DOAC ed EBPM (RD -0,140%, IC95%) ed EP non fatale (RD -0,014%, IC 95%), si con-trappone un rischio di fatalità (EP fatale più fatalitàTEV-correlata) maggiore per i DOACs (RD 0,040%,IC 95% ; p = 0,0434), in particolare nel setting chi-rurgico ortopedico (Fig. 1).Anche i dati globali di sicurezza primaria analizzati,che comprendono emorragie maggiori (RD 0,120%,95 CI) ed emorragia non grave clinicamente rilevante(CRNMB - RD 0,433%, 95% CI) non evidenziano dif-

Forest plot of studies comparing the effect of thromboprophylaxis with DOACs and LMWH on the risk of major bleeding and clinically relevant non-major bleeding (CRNMB). Positive values of risk difference indicate a lower risk for patients treated with LMWH and negative values a lower risk for patients treated with DOACs. *p<0.05. DOACs direct oral anticoagulants

DOAC LMWH Risk Difference (RD)Estimated RD [95% C.I.]Study Events TotalEvents Total Weight

Risk Difference (RD)Estimated RD [95% C.I.]

1. Major bleeding

APEX

MAGELLAN

ADOPT

RENOVATE II

RENOVATE I

REMODEL

REMOBILIZE

RECORD IV

RECORD III

RECORD II

RECORD I

ADVANCE III

ADVANCE II

ADVANCE I

25

43

15

14

38

19

10

10

7

1

6

22

9

11

3716

3997

3184

1010

2309

1382

1728

1526

1220

1228

2209

2673

1501

1596

21

15

6

9

18

9

12

4

6

1

2

18

14

22

3716

4001

3217

1003

1154

694

868

1508

1239

1229

2224

2659

1508

1588

9.9%

9.5%

11.6%

3.1%

3.3%

2.5%

3.5%

7.5%

6.1%

12.8%

12.3%

7.8%

5.5%

4.7%

0.108%

0.701%

0.285%

0.489%

0.086%

0.078%

−0.804%

0.390%

0.090%

0.000%

0.182%

0.146%

−0.329%

−0.696%

[

[

[

[

[

[

[

[

[

[

[

[

[

[

−0.249%,

0.329%,

0.004%,

−0.439%,

−0.797%,

−0.964%,

−1.659%,

−0.091%,

−0.484%,

−0.225%,

−0.069%,

−0.317%,

−0.951%,

−1.400%,

0.464% ]

1.073% ]

0.565% ]

1.416% ]

0.969% ]

1.120% ]

0.051% ]

0.871% ]

0.663% ]

0.226% ]

0.432% ]

0.609% ]

0.293% ]

0.008% ]

TOTAL 0.120% [ −0.060%, 0.300% ]

Heterogeneity: Tau2=0.00; Chi2=25.29; df = 13 (p=0.0211); I2=53.3%

Test of overall effect: Z=1.30 (p=0.1922)

2. Clin. relevant non-major bleeding

APEX

MAGELLAN

ADOPT

RENOVATE II

RENOVATE I

REMODEL

REMOBILIZE

RECORD IV

RECORD III

RECORD II

RECORD I

ADVANCE III

ADVANCE II

ADVANCE I

91

121

70

23

103

88

45

39

33

40

65

109

44

35

3716

3997

3184

1010

2309

1382

1728

1526

1220

1228

2209

2673

1501

1596

38

52

61

20

40

37

21

30

28

33

54

134

58

47

3716

4001

3217

1003

1154

694

868

1508

1239

1229

2224

2659

1508

1588

10.1%

9.8%

9.5%

6.4%

6%

3.5%

6.3%

7.4%

6.5%

6%

8%

7.1%

6.2%

7.2%

1.426%

1.728%

0.302%

0.283%

0.995%

1.036%

0.185%

0.566%

0.445%

0.572%

0.514%

−0.962%

−0.915%

−0.767%

[

[

[

[

[

[

[

[

[

[

[

[

[

[

0.833%,

1.091%,

−0.392%,

−0.980%,

−0.356%,

−1.074%,

−1.084%,

−0.494%,

−0.785%,

−0.770%,

−0.437%,

−2.081%,

−2.207%,

−1.867%,

2.019% ]

2.364% ]

0.996% ]

1.546% ]

2.345% ]

3.146% ]

1.453% ]

1.626% ]

1.675% ]

1.915% ]

1.466% ]

0.158% ]

0.378% ]

0.334% ]

TOTAL 0.433% [ −0.031%, 0.898% ]

Heterogeneity: Tau2=0.00; Chi2=39.95; df = 13 (p=0.0001); I2=64.5%

Test of overall effect: Z=1.83 (p=0.0674)−2% 0% 2%

Favours DOAC Favours LMWH

Fig. 2

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ferenze significative fra le due strategie di trattamento,mentre nel gruppo dei pazienti medici emerge il tassodi emorragie maggiori è inferiore per le EBPM (RD0,357%, IC 95%, p = 0,0326) e per le emorragienon gravi clinicamente rilevanti (CRNMB), con una dif-ferenza di rischio significativa rispetto ai DOACs (RD= 1,164%, IC 95%, p = 0,0063) (Fig. 2).Le revisioni sistematiche degli studi ad oggi pubbli-cate sui pazienti ortopedici indicano per i DOACs ele EBPM tassi si episodi TEV intorno al 1% ed unamortalità postoperatoria dello 0,26% a 90 gg. dal-l’intervento, mentre nel setting di pazienti clinici, studimirati indicano valori superiori (4,9% a 30 gg.). Altre review sistematiche indicano un potenziale van-taggio di efficacia dei DOACs rispetto alle EBPM nelsetting ortopedico e medico della tromboprofilassi pri-maria, mentre sono coerenti con la nuova meta-ana-lisi italiana in termini di maggiore sicurezza delleEBPM nel setting medico. Degni di nota in propositoi dati in letteratura che evidenziano anche per il pa-ziente ortopedico, come i DOACs possano aumen-tare la prevenzione di episodi TEV al prezzo di unaumento delle complicanze emorragiche, che nonsembra clinicamente giustificabile, dato che i tassi di

eventi TEV sono già bassi con i regimi terapeutici inuso, riaffermando l’importanza di valutare qualsiasibeneficio in rapporto al rischio di complicanze. L’obiettivo clinico di pesare il rapporto rischio/bene-ficio per i diversi setting di pazienti è oggi di grandeimportanza non solo per i pazienti medici, ma ancheper quelli chirurgici ortopedici, sempre più anziani espesso affetti da co-morbilità vascolari che li espon-gono, al contempo, ad un maggiore rischio TEV e aduna maggiore vulnerabilità rispetto alle complicanzeemorragiche.In particolare per i pazienti con co-morbilità vasco-lari croniche, dunque con un rischio basale TEV piùelevato, in ragione delle condizioni pro-infiammato-rie e pro-trombotiche vascolari, le EBPM coniuganoalla ben nota attività anticoagulante, anche un’atti-vità antinfiammatoria propria delle eparine in gene-rale, ed in particolare della Parnaparina, che adoggi, ha raccolto il maggior numero di evidenze inletteratura sui meccanismi antinfiammatori di ridu-zione dell’attivazione piastrinica in circolo e sull’at-tività clinica antinfiammatoria in pazienti ad altorischio TEV (Fig. 3) (8).In conclusione, anche i dati di letteratura più recentisuggeriscono che i DOACs, ad oggi, non offranochiari vantaggi in termini di efficacia clinica rispettoalle EBPM, mentre le EBPM mostrano un margine divantaggio sulla sicurezza del trattamento trombopro-filattico, in termini di riduzione delle emorragie mag-giori e di quelle non gravi clinicamente rilevanti(CRNMB), che può diventare rilevante nel pazientemedico e, più in generale, nel paziente anziano sot-toposto a tromboprofilassi. Le EBPM rimangonoquindi oggi lo standard consolidato per la profilassitrombotica, in particolare quelle che offrono il valoreaggiunto della massima attività antinfiammatoriasull’attivazione piastrinica.

Bibliografia1. Prandoni P et al. Int Angiol 2017;36 (5):395-401.2. Cimminiello C et al. Intern Emerg Med 2017;12:1291-1305.3. Agus GB, et al. Acta Phlebol 2013; 14, Suppl. 1 al n. 2: 1-169.4. Guyatt GH et al. 2912. Chest 141(2 Suppl):7S-47S.5. Falck-Ytter Y et al (2012) Chest 141(2 Suppl): e278S-e325S.6. Kahn SR et al (2012) Chest 141(2 Suppl):e195S-e226S.7. Albertsen IE, et al. Drugs 2012;72:1755-64.8. Cosmi B et al. Thrombosis Research 2014;133:196-202.9. Maugeri M et al. Thromb Haemost 2007;97(6):965-73.

Plate

let-P

MN

aggre

gate

s (%

)

30

20

10

0Control PNP

0.8 IU/mL

*

*

UFH0.8 IU/mL

ENOX0.8 IU/mL

Platelet-PMN aggregates formed in whole blood samples, stimulated with recombinant tissue factor in the aggregometer: effect of parnapa-rin and reference heparins. Data (means ± SEM, n=3–10) are reported as the percentage of PMN positive for CD61 (platelet fluorescence). *P<0.05 from control by ANOVA and Dunnett test. Parnaparin (PNP), Unfractionated heparin (UFH) or Low molecular weight heparin (LMWH), or solvent (CONTROL) were added to blood at a concentration of 0.8 IU aXa/ml, 1 min before stimulation with rTF. Platelet-PMN aggregates in unstimulated blood were 4.4 ±1.1%.

Fig. 3

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Dal 6 al 9 settembre, presso l’isola di Albarella alleporte di Venezia, si è tenuto il 6th InternationalInteruniversity meeting in Phlebology,Lympology & Aesthetics. (www.vwinfoundation.com/albarella-meeting).

L’evento scientifico ha visto la presenza di importantidelegati provenienti da 47 atenei internazionali, 22diverse nazioni dell’Europa, Asia, Stati Uniti ed Ame-rica Latina, 12 società scientifiche internazionali riunitein sessioni congiunte, includenti anche una sessionedel prestigioso American Venous Forum. Fra le sessionicongiunte italiane sono state presenti rappresentanzeSIF, AFI, SIDV-GIUV e AIUC, non tralasciando la pre-senza di diversi membri del CIF.L’evento medico è stato realizzato sotto patrociniodell’Università di Ferrara, ateneo di appartenenza diSergio Gianesini, presidente congressuale. L’istituzionalità delle attività incluse ha portato al pa-trocinio inoltre del Ministero della Salute, della Re-gione Veneto, dell’International Union of Phlebology,dell’International Union of Angiology, nonché delCONI e del Distretto 2060 del Rotary. Il congresso ha rappresentato momento scientifico di al-tissimo livello, in cui massimi esperti provenienti da tuttoil mondo, hanno potuto dissertare circa le ultime innova-zioni ed evidenze nel campo della patologia venosa. E’ stata occasione anche per approfondimenti editorialiscientifici sviluppati dal Prof. Alun Davies e dal Dr. SteveZimmet, editors del Phlebology Journal, nonché dal Prof.Giovanni B. Agus relativamente alle attività divulgativedella rivista Nautilus in campo di prevenzione e terapiavascolare. Lo stesso Nautilus è stato poi distribuito nellasua versione inglese a tutti i partecipanti, suscitando inte-resse ed occasione per future collaborazioni internazionali. Molti e di grande approfondimento i topic sviluppati

durante il congresso, tutti animati da intensi dibattitied impreziositi da una forte applicazione dell’evi-dence-based Medicine. Permanentemente presenti in sala più di 200 specialistidel settore, nonostante la fittissima agenda di lavoroche ha visto relazioni e discussioni succedersi per piùdi 10 ore al giorno. Piacevole è stato poi osservare l’attiva e competente par-tecipazione dei colleghi under 40 years old, impegnaticome giovani discussants e sempre affiancati da un “superexpert discussant”. Per meriti scientifici 3 di questi giovanicolleghi sono stati premiati con flight stipend ed iscrizioneper partecipare ad uno a scelta degli 11 simposi interna-zionali collegati al 6th International Interuniversity Meeting. A massimizzare l’opportunità educazionale, un servi-zio di streaming ha reso possibile la fruibilità dei lavoriscientifici anche a distanza, direttamente proiettandole relazioni live sulla dedicata pagina internet. Tutte le relazioni sono state poi messe a gratuitamente

L’Italia al centro di un network flebo-linfologico internazionaleSergio Gianesini, MD, PhDUniversità di Ferrara - ItaliaUCES University - ArgentinaBethesda USUHS University - USA

Da sx: Francesco Noce (presidente Ordine dei Medici di Rovigo), Mabel Bussati (Incoming president del 7th International inteurniversity meeting - ARGENTINA), Sergio Gianesini (presidente dell’appena avvenuto 6th International Interuniversity meeting - ITALIA

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a disposizione degli utenti che possono ora collegarsialla pagina www.sea.unife.ite per rivedere gratuita-mente i lavori scientifici. Accanto al momento scientifico, massima attenzioneal sociale, tanto nel supporto umanitario, quanto edu-cazionale medico a favore della popolazione. Nel primo ambito difatti il meeting ha contribuito avarie iniziative NO profit, in collaborazione con l’as-sociazione Bandiera Gialla ed il gruppo Polis.Grazie alla collaborazione con il Rotary Internationalè stato possibile poi ospitare un medico nicaraguense,proveniente da una realtà disagiata, al fine di provve-dere tanto ad un suo arricchimento culturale congres-suale, quanto tecnico. Nei giorni precedenti il meetingdifatti il medico ha partecipato ad attività clinichepresso l’azienda ospedaliero-universitaria di Ferrara. Nell’ambito educazionale pubblico invece molte le ini-ziative sportive e ludiche destinate ad incrementare laconsapevolezza pubblica circa la patologia trombo-tica, principale causa di morte prevenibile nei paesiindustrializzati. I momenti sociali congressuali, sotto patrocinio del CONIe della Federazione Italiana Golf, hanno di-fatti visto più di 200 ospiti dell’evento pren-dere parte ad un appassionante competizionegolfistica, a screening medici, nonché a letturesul tema dello sport e della salute.

Nelle dichiarazioni a conclusione del 6th InternationalInteruniversity Meeting in Phlebology, Lymphology andAesthetics, Gianesini ha riportato “la significativa gra-titudine nei confronti dei colleghi e delle istituzioni na-zionali ed internazionali che hanno reso possibile lacreazione di tale concept meeting”. Iniziative scientifiche, educazionali, umanitarie che ve-dono in prima fila un “made in Italy” in grado di su-scitare l’interesse delle più importanti societàscientifiche internazionale ed espressione di un effi-cace team-work inter-societario nazionale.

Prof. Oscar Bottini (Universidad de Buenos Aires), presidente onorario del 6th International Inteuniversity meeting in Phlebology

Primo a sx: Gianesini Sergio (meeting president, Università di Ferrara)Quarto da sx: Bottini Oscar (honorary president, Universidad de Buenos Aires)Ultimo a dx: Yung Wei Chi (University of California Davis). I tre medici hanno dato origine ad una fondazione internazionale dedicata alla promozione della medicina basata sull’evidenza scientifica, ad attività umanitarie e ad iniziative sociali promuoventi la consapevolezza pubblica circa la patologia venosa

Dr. Espinoza, medico nicaraguense, vincitore di un grant rotariano che gli ha

permesso di prendere parte ai lavori congressuali nonché partecipare ad attività

cliniche presso l’Ateneo ferrareseLettura del Prof. Agus sul tema dell’editoria scientifica

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Nel 1995, in occasione del centenario del cinema, unbrillante volume con quasi cento film analizzati ricor-dava il ruolo del medico nella storia del cinema. Il me-dico era infatti spesso protagonista delle storie narrateda questo nuovo “mezzo” d’arte (Camici bianchi e cel-luloide, Moruzzi’s Studio, Bologna, per Alfa Wasser-mann, 1995). In anni più recenti, Stefano Beccastrini,medico e pedagogista di Arezzo, ci raccontò e com-mentò molti altri film sul tema di malati e medici. Que-ste filmiche storie intendevano usare il cinema comemezzo di formazione degli operatori sanitari, vero“specchio della vita”, forse la più vera definizione delcinema stesso, capace di rappresentare più o meno fe-delmente i dolori e le gioie, le speranze e le delusioni(Professione & Clinical Governance, 2008-2011). Di-verso sarebbe il discorso se volessimo considerare iltema sanitario nelle fiction televisive (dal celebre E.R.- Medici in prima linea, serie televisiva statunitense pro-dotta dal 1994 al 2009 e creata dallo scrittore Mi-chael Crichton, passando per la “filosofia” del DottorHouse, e tanti altri possibili esempi).Da vero estimatore del cinema, più volte il presidentedell’Ordine dei Medici Chirurghi e Odontoiatri di Mi-lano, Roberto Carlo Rossi, usa efficacemente in occa-sioni di formazione continua episodi di film digrandissima utilità sull’argomento in discussione. Nel giugno 2017 si è tenuto, presso l’Ospedale SS.Giovanni e Paolo in Venezia, nella splendida sala SanDomenico, il convegno “Medicina tra umanesimo etecnologia” organizzato dall’Ordine dei Medici Chi-rurghi e degli Odontoiatri della provincia di Veneziasotto la guida del Dott. Giovanni Leoni e con lui l’interogruppo dirigente veneziano, che da tempo va realiz-zando eventi destinati a contribuire significativamenteall’affermarsi di un Nuovo Medico. Tanto, in collabo-razione con Fondazione Ars Medica, con UniversitàCa’ Foscari e Libera Associazione d’Idee.Ultimo di una serie inaugurata cinque anni fa, anchequest’anno l’originale convegno, non ha tradito le at-tese per modalità e contenuti. Nonostante i propositidi indagine critica intorno alla tecnica, in relazionealle sue implicazioni con l’umano, fossero tutt’altro chesemplici “Medicina tra umanesimo e tecnologia” hapermesso di rianimare qualche pensiero stantio e ha

nella sua sintesi prodotto un metodo che potrà ingene-rare una conversione nell’approccio alla tecnologia incampo medico, e non solo.Il linguaggio cinematografico, come primoapproccio. La prima sessione è stata infatti dedicataalla visione di spezzoni di film che nel tempo hannosaputo ispirare e successivamente tornare ad ispirarsialle scoperte e alle pratiche della medicina. Sono an-dati in scena film come “Metropolis”, “2001 Odisseanello spazio”, “Frankestein di Mary Shelley”, e altrinon meno suggestivi e decisivi.Perché aprire un convegno con il cinema? Cosa pos-sono ancora rivelarci film come “Matrix” o “Elysium”?Alzare lo sguardo dal quotidiano per allargare la com-prensione dei linguaggi artistici può nutrire le idee eportare alla formulazione di nuove domande; premevainoltre agli organizzatori utilizzare canali comunicativinon convenzionali in medicina (anche se di imagingsi nutre e si struttura l’intera diagnostica moderna, op-pure, per contro, proprio per questo) per offrire qual-che chiave interpretativa in più. E’ importanteevidenziare la valenza gnoseologica della metafora,sia essa cinematografica, letteraria, o mitica, e nel suopotenziale evocativo e rivelativo.La collaborazione tra Medicina e Filosofia, avviata perrealizzare reciproca cura, apre scenari che mostranonuove contaminazioni tali da incontrare la comples-sità dell’umano sia esso medico o paziente, come ilmoderno filone di studi sulle Medical humanities sem-pre più sta evidenziando.“Ci si può affidare a un medico senz’anima?”. Questadomanda con cui la Dott.ssa Ornella Mancin haaperto i lavori, porta immediatamente al cuore pul-sante di uno dei temi caldi del convegno: è realmentepossibile che a prendersi cura dell’essere umano siaun essere privo di anima? Raccogliendo la provoca-zione della presidente di Ars Medica, si è dunque por-tata la domanda sul nostro terreno, riformulandola: èdavvero possibile che esista un “medico senz’anima”?E se sì, questo, potrebbe ancora a rigore, ovvero se-condo i precetti e i valori di fondo della professione,essere definito medico?Sono stati il Dottor Roberto Merenda, direttore del di-partimento chirurgico e UOC Chirurgia Generale

Medico, arte e cinema

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Ospedale SS. Giovanni e Paolo di Venezia e laDott.ssa Patrizia Marti responsabile del Fab Lab del-l’Università di Siena a rispondere in modo chiaro edevidente alla prima domanda delle filosofe Bruna Mar-chetti e Tiziana Mattiazzi: la risposta è sì, nell’ambitodel Sistema Sanitario Nazionale, nei luoghi di primaaccoglienza, nelle sale operatorie e nelle case di ri-poso per anziani, in modi diversi - per il momento an-cora sotto la guida o la supervisione degli umani -sono già operativi dei robot. Scopriamo con meravi-glia, non scevra da una certa inquietudine, che la ro-botica ha fatto passi da gigante e che molte dellesituazioni ipotizzate negli spezzoni di film proposti ilgiorno prima seppure in diverso modo, sono già inatto nella nostra epoca. Viviamo un tempo che solopochi anni fa pensavamo fantascientifico.In alcune strutture sanitarie italiane vengono utilizzatidei robot nella facilitazione del rapporto medico-pa-ziente, a Venezia-Mestre è a disposizione la punta didiamante della robotica applicata alla chirurgia, i robotDa Vinci vengono utilizzati per effettuare interventi chi-rurgici in cui il medico opera a distanza. A Bologna ilrobot Marino, un umanoide con prestazioni altissime,avrà il compito di stimolare i bambini con patologie on-cologiche e/o croniche gravi ad esprimere emozionicome rabbia, paura, tristezza; a Siena si sta lavorandocon Paro, una piccola foca robot che avrà il compito disostituire gli animali viventi nel trattamento di pet the-rapy con pazienti anziani affetti da demenza senile.Questi gli scenari, per certi versi entusiasmanti dellatecnologia applicata alla medicina ad oggi. Non ci sipuò esimere, en passant, dal rilevare che pur svol-gendo un ruolo anche positivo essi danno origine anuove e ineludibili questioni bioetiche, di certo affron-tate in fase di progettazione e sperimentazione, ma si-curamente non definitivamente risolte.La seconda domanda, se il medico senz’anima - l’au-tomata - possa a rigore definirsi medico tentano unaprima risposta i medici specialisti e i filosofi presential convegno veneziano: Il Dottor Merenda afferma cheè l’umano (il medico) a governare la tecnica, guidareil robot e a gestirne le azioni in vista del percorso dicura da lui individuato. E ci si chiede: stanno veramente così le cose? E’ vera-mente “umano” - munito di anima, se stiamo alla defi-nizione iniziale - lo sguardo che costruisce il percorsoche va dalla diagnosi alla prognosi nella cura del pa-ziente? Oppure la logica scientista e organicista che

ancora informa le basi epistemologiche, decidendo amonte le mosse del medico, risponde al principio car-tesiano che separando il corpo del paziente (res ex-tensa) dall’anima (res cogitans) rende “meccanico” losguardo del medico e trasforma il paziente in un og-getto? Il Professor Umberto Galimberti avverte che èquesto rovesciamento, trasformando la soggettività inoggettività, a collocare lo sguardo del medico nellaprospettiva meccanica, ad avvezzarlo alla modalitàoperativa della tecnica, privando il medico dei talentispecificamente umani e la tecnica della sua reale effi-cacia di strumento originariamente destinato al ben-es-sere dell’umanità.Il problema è dunque mal posto: non è in questione seil medico debba avere o non avere un’anima (unumano senz’anima di fatto non esiste, essendo corpo eanima realtà indivisibili dal punto di vista dell’esistenza),ma se egli sia in grado di divenire consapevole del fattoche sta praticando la propria arte a partire da premesseche inficiano a monte la sua chiarezza di giudizio conil rischio di trasformarlo in quello che il Professor IvanCavicchi definisce “Trivial Machine”.In definitiva, uno dei messaggi emersi con forza dagliinterventi delle filosofe durante il seminario del venerdì,dalle riflessioni offerteci dai Professori Luigi Vero Tarcae Ivan Cavicchi emerge con limpidezza che il NuovoMedico debba recuperare la sua arte, quella che hadeposto per occuparsi o pre-occuparsi della macchina,per utilizzarla con e per l’umano, attivando modalitàpositive, non-oppositive, a-duali, accoglienti, compas-sionevoli, culturalmente femminili, ma che possono es-sere adottate indifferentemente dal proprio genere.Il Nuovo Medico arriverà ad avere in mano il propriodestino quando in piena scienza e coscienza disobbe-dirà all’apparato tecnico-tecnicistico che lo riduce arobot, quando, come suggeriva un giovanissimo me-dico, Jacopo Favaro, nel suo intervento, utilizzerà ilproprio libero arbitrio per dire no.In conclusione una ineccepibile occasione di culturada e per i medici guidata dal Presidente di OMCeO-Venezia, il Dottor Giovanni Leoni, e con lui l’interogruppo dirigente veneziano, sotto la cui presidenza,ora riconfermata, si stanno realizzando eventi destinatia contribuire significativamente all’affermarsi delNuovo Medico.

[Contributi da Bruna Marchetti e Tiziana Mattiazzi diLibera Associazione di Idee, Venezia]

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Il 7 ottobre scorso si è tenuto in Avezzano il VI conve-gno della sezione regionale della SIAPAV Abruzzo-Mo-lise con tema ”Primum non nocere. La nobile arte dinon fare in patologia vascolare”.Le scelte del medico contemporaneo sono rese semprepiù ardue dal tumultuoso sviluppo che la scienza me-dica ha conosciuto negli ultimi decenni, ma anche dalprogressivo inaridirsi delle radici umanistiche da cuiuna virtuosa pratica medica non può in ogni caso pre-scindere. A scuola ci spiegavano che i conflitti belliciscaturiscono da cause remote e profonde, ma poi di-vampano per un’occasione che le innesca.Anche questo congresso, pur racchiuso nei limiti geo-grafici e culturali della conca del Fucino, ha ricalcatonel suo piccolo queste orme. La riflessione su temi alungo incubati ha subito un’accelerazione e una moti-vazione forte dopo la lettura di tre libri: “Primo nonnuocere. Storie di vita, morte e neurochirurgia”, diHenry Marh. “Troppa medicina. Un uso eccesivo puònuocere alla salute” di Marco Bobbio. “Comunicarein camice bianco. Breve viaggio nella relazione me-dico-paziente”, di Marco Rossi.I tre autori hanno in comune una profonda cultura uma-nistica ed hanno posto al centro delle proprie operel’uomo che soffre. La figura del medico ne esce ingi-gantita proprio perché si confronta con i propri limitie con i limiti della stessa scienza medica moderna. Ilmedico non deve rappresentare il sacerdote di unascienza-religione, ma piuttosto deve saper fare un usoetico, equilibrato e critico delle proprie competenzescientifiche e mettersi al servizio dell’uomo che gli siaffida con adeguato senso di responsabilità.Il congresso si è articolato in tre sessioni. La prima aveva un orizzonte che spaziava ben oltregli interessi degli specialisti che si occupano di pato-logia vascolare. Nella lettura introduttiva Marco Bob-bio, segretario nazionale di Slow medicine, haspiegato tutti i condizionamenti che inducono il medico

ad eccessi se non addirittura ad abusi terapeutici; con-dizionamenti che ha analizzato nel suo libro e checoinvolgono la stessa formazione del medico. Ha so-stenuto l’elevato valore della deprescrizione e della ri-nuncia, intesa non come una resa, bensì come unscelta di elevato valore scientifico ed etico se fondatasu un ragionamento clinico coerente. I fatti, come di-rebbe il Dickens di “Tempi difficili” non sempre sonoutili e virtuosi, soprattutto se orfani dell’inventiva, dellamorale e del sentimento. Un armistizio ragionato ne-cessita di conoscenze profonde e di un intelletto liberoda preconcetti, ma può essere più vantaggioso di unaguerra sconsiderata e sanguinosa.Ha proseguito Marco Rossi, trascinato fuori dal semi-nato del suo recente libro, spiegando quanto offensivapossa essere la medicina difensiva e come una comu-nicazione efficace sia utile anche nell’ottica di ridurrei contenziosi legali: conoscendolo nessuno si è stupitodelle sue impeccabili ed espressive citazioni di Mo-lière. La Dottoressa Emanuela Paris, neuropsichiatra in-fantile, ha concluso questa prima parte sviscerando iltema del valore delle parole nella comunicazione me-dico-paziente. Ella ha commosso la platea mentrespiegava con esempi concreti l’emozione che le paroletrasmettono a chi le ascolta ed anche a chi le pronun-cia. Ha dimostrato come le parole che ci vengonodette nel momento del dolore e della malattia ci cam-biano, bene o male, per sempre.La seconda sessione ha focalizzato il tema dell’arte dinon fare in patologia venosa. Claude Franceschi haanalizzato i vantaggi, documentati dalle evidenze,della terapia conservativa emodinamica dell’insuffi-cienza venosa. Vantaggi rappresentati non solo da unminor tasso di recidive a 10 anni in confronto con lostripping safenico, ma anche dalla disponibilità di uncapitale venoso utile per futuri by-pass. Egli ha affron-tato anche i temi delle terapie endovascolari nelle pa-tologie venose ostruttive e nel varicocele pelvico

Primum non nocere. La nobile arte di non fare in patologia vascolareMauro Pinelli Angiologo, Avezzano

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ponendo l’accento sulla necessità di avvalersi di questitrattamenti solo dopo un’attenta valutazione clinica ediagnostica. Ha affermato infine che spesso il pro-gresso tecnologico, se abusato, si traduce paradossal-mente in un regresso scientifico. Massimo Cappelli haesposto il ruolo centrale della safena come via di dre-naggio preferenziale del circolo sopra-fasciale, ne haprecisato i caratteri anatomo-funzionali ed ha svisce-rato le basi fisiologiche e fisiopatologiche che sono afondamento della terapia conservativa ed emodina-mica. Angelo Graffigna ha sottolineato l’importanzanon ancillare che la safena conserva in cardiochirur-gia a dispetto di coloro che ne sminuiscono l’utilità allaluce dei trattamenti endovascolari e della pur indiscu-tibile prima scelta rappresentata dalle arterie mamma-rie. Gualtiero Palareti ha concluso la sessionespiegando quanto sia cruciale valutare con attenzionel’opportunità di proseguire sine die la terapia anticoa-gulante nei pazienti affetti da TVP prossimale idiopa-tica. I DOAC ci offrono opportunità terapeuticheforiere di vantaggi, ma non bisogna esimersi dal ricer-care con rigore scientifico quella popolazione di pa-zienti che può beneficiare della sospensione dellaterapia.La terza e ultima sessione ha sviluppato argomenti dipatologia arteriosa. Gianni Passalacqua, ha eviden-ziato da radiologo interventista come e quando evi-tare di sottoporre il paziente ad angio-TC;sottolineando i potenziali danni derivanti da esposi-zione alle radiazioni e soprattutto dalla somministra-zione dei mezzi di contrasto. L’angio-TC non puòcostituire il refugium peccatorum di chi non è in gradodi effettuare un’adeguata valutazione ecodoppler e cli-nica. Domenico Palombo ha riproposto la vexataquaestio delle indicazioni alla TEA/stenting carotidea

nei pazienti asintomatici. Un’indicazione che ha vistoda sempre prevalere il riflesso oculo-stenotico rispettoalle evidenze che suggeriscono nella maggior partedei casi un’ottimale terapia medica, riservando il bi-sturi a casi selezionati.Analoga impostazione ha impresso Giuseppe MariaAndreozzi nell’affrontare l’argomento affidatogli, cioèle indicazioni alla rivascolarizzazione negli arteriopa-tici affetti da claudicatio intermittens. Anche in questipazienti i trattamenti endovascolari dilagano a di-spetto di indicazioni estremamente selettive; si trascuraperaltro di indurre il paziente a seguire un adeguatostile di vita e di verificare che assuma una ottimale te-rapia medica; in mancanza di ciò la mortalità daeventi cardiovascolari maggiori costituirà la prima epiù severa ipoteca sulla vita del paziente. AndreaStella ha esposto le indicazioni al trattamento deglianeurismi aorto-iliaci che beneficiano oggi del pro-gresso tecnologico consentito dalle endoprotesi e pos-sono pertanto avvalersi di trattamenti che la chirurgiatradizionale avrebbe precluso. Infine, GiovambattistaDesideri ha affrontato il tema del grande vecchio inmedicina. Quali sono oggi le colonne d’Ercole oltre lequali le nostre azioni terapeutiche non dovrebberospingersi? Non vi è una risposta univoca anche perchél’età anagrafica e quella biologica spesso divergonoe pertanto il medico dovrà personalizzare l’indica-zione terapeutica sul singolo paziente.I lavori congressuali hanno visto una intensa parteci-pazione soprattutto giovanile, attenta forse perché li-bera da condizionamenti di ogni tipo. Oggi il medicopuò fare tante cose e quindi le sue scelte sono moltopiù ardue che non 50 anni orsono. Tutto sembra spin-gerlo verso il fare, ma spesso, come concludevaMarco Bobbio “il troppo stroppia”.

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