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Page 1: 4-Va pensiero Montcl - Montclair State University · Quando finimmo il Va’, pensiero, l’urlo del pubblico fu una delle cose indimenticabili della mia vita. Il Nabucco non era

L’OPERA E L’OCCUPAZIONE STRANIERA IN ITALIA (1842)

CONTESTO STORICO: Nel secolo XIX, il Nord Italia era in gran parte occupato dall’Austria (il regno

Lombardo-Veneto). Il governo autriaco promulgava leggi e manteneva l’ordine con l’esercito di

occupazione. I raduni pubblici erano vietati dalla polizia austriaca. Quindi i teatri divennero luoghi dove

si poteva cantare in modo velato le speranze degli italiani, l’unità della nazione, la libertà dallo straniero e

gli inviti alla ribellione. Spesso gli austriaci si accorgevano di questi doppi sensi nascosti nelle opera e le

opere venivano censurate. In molti casi, nascevano disordini in teatro.

Guardate questa scena dal film Senso di Luchino Visconti (1954) dove i veneziani si ribellano ai soldati

austriaci durante l’occupazione di Venezia, all’interno del teatro la Fenice (un fatto storico).

https://www.youtube.com/watch?v=vn07l1MQG64

LA NOSTRA CANZONE:

Nabucco è la terza opera di Giuseppe Verdi, composta su libretto di Temistocle Solera. Fu

rappresentata per la prima volta alla Scala il 9 marzo del 1842. Il titolo originale era

“Nabucodonosor” (il nome del re assiro-babilonese), sintetizzato e italianizzato in Nabucco.

La trama è basata sulla conquista di Gerusalemme da parte di Nabucodonosor (587 a.C.) e sulla

deportazione degli Ebrei a Babilonia.

Questo coro è famoso soprattutto per il suo inizio “Va’ pensiero” ed è quello che cantano i

prigionieri, incatenati, mentre rimpiangono la patria perduta. Gli italiani vedevano se stessi negli

ebrei e, anche se non esiliati, si lamentano di non avere la libertà.

Versione consigliata: https://www.youtube.com/watch?v=GS6L_9xUT5E

“Va’ pensiero” Va, pensiero, sull'ali ………….., va, ti posa sui clivi, sui colli, ove olezzano tepide e molli l'aure dolci del suolo natal! Del Giordano le rive ….…, di Sionne le torri atterrate. O mia Patria sì bella e perduta, o membranza sì cara e fatal!

“Fly, my Thought” (Nabucco, act III) Go, our longing thought, on golden wings Go and rest on the hills and valleys, Where, warm and soft, the sweet Air of our birth place perfumes! Greet the banks of the Jordan And the broken towers of Sion O my fatherland so beautiful and lost O memory so dear and fatal!

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Arpa d'or dei fatidici vati perchè muta dai salici pendi? le memorie nel petto riaccendi, ci favella del tempo che fu! O simile di Solima ai fati traggi un suono di cupo lamento oh t'ispiri il Signore, un concento che ne infonda al patire virtù, che ne infonda al patire virtù, al patire virtù!

Golden harp of the prophets Why do you hang, silent, from the willows branches? Light up our memories in our chests, tell us about a time that is gone! O make a sound of dark lamentation Similar to the destiny of Soliman Oh the Lord may inspire you with a haermony that infuse virtue to our suffering, that infuse virtue to our suffering, virtue to our suffering!

Guardate questa immagine, quale strofa potrebbe illustrare? Perchè?

Quale colore domina? Ti ricorda qualcosa nella canzone?

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Va’ pensiero alla scala nel passato…

Da Pierluigi Ridolfi (a c. di), Canti e poesie per un’Italia unita. Roma: Associazione Amici dell’Accademia dei Lincei, 2011. 27-28.

[Nel 1842]

Alla Scala il successo del coro fu enorme e il pubblico chiese insistentemente il bis. La

sottomissione degli Ebrei e il loro canto nostalgico furono interpretati come simbolo della

condizione degli italiani soggetti al dominio austriaco. Il coro del Nabucco divenne da allora uno

degli inni dei moti risorgimentali, causando a Verdi qualche problema con la censura austriaca.

Ancora oggi il coro continua ad avere successo e a riscuotere il favore popolare. Esso è stato più

volte proposto addirittura come Inno nazionale, ma su questo argomento è stato autorevolmente

fatto osservare che Va’ pensiero è un canto dei perdenti: un episodio carico di dramma in cui gli

Ebrei piangono la loro sconfitta senza alcuna visione di un futuro migliore. A questo

atteggiamento di rassegnazione Verdi fa reagire il gran sacerdote Zaccaria che subito dopo il

coro canta: Sorgete, sorgete e non piangete come femmine imbelli.

È molto probabile che Verdi con il suo Coro non pensò a fomentare lo spirito rivoluzionario che

serpeggiava nel nord Italia contro gli austriaci. E se infiammò i cuori patriottici fu perché in quel

canto accorato di un popolo esule, schiavo e perdente essi si rispecchiavano.

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Spirito del Risorgimento e Musica, testimonianza del XIX secolo

Da Eugenio Cecchi, “La pleiade musicale,” La vita italiana nel risorgimento (1815-1831). Vol. 3. Firenze: Bemporad, 1899. pp. 40-73.

Egli è che, a quei tempi, non si scriveva musica per scriver musica, e con le sette note di Guido Monaco non s’intendeva di risolvere nè un problema d’algebra, nè un teorema di meccanica celeste: si voleva soltanto destare la commozione, il grande e il solo sentimento che possa chiamare le folle in teatro. (69)

Le piu fortunate e popolari opera del Verdi si trasformarono in segnacoli di riscossa, I suoi canti ispirati furono gl’inni della nazione, e Gerusalemme diventò Milano con le sue cinque giornate. La musica è cosí fatta, che mirabilmente si piega ad esprimere il concetto dominante negli spiriti: e se un caldo soffio di poesia la ravvivi, ella diventa preghiera e imprecazione, espressione d’infinito rammarico e di giubilante letizia, augurio, speranza, vaticinio. I poeti d’Italia cantavano in strofe roventi la rivoluzione prossima a trionfare; ma non bastava il ritmo poetico, ci voleva una risonanza più armoniosa e più vasta; e il popolo fremente e commosso ripeteva sulle pubbliche piazza il “Va pensiero, sull’ali dorate” del Nabucco e l’“Oh Signore dal tetto natio” dei Lombardi. (72)

…e nel presente

Il famoso maestro d’orchestra Riccardo Muti, ricorda la sua prima esibizione al teatro alla Scala di Milano come direttore, nel 1995.

Da Riccardo Muti, Verdi, l'italiano: Ovvero, in musica, le nostre radici. Milano: BUR, 2014. e-book.

Quella del Nabucco fu per me una serata memorabile e il giorno dopo era su tutti i giornali. . . . Era la mia prima opera come direttore musicale appena eletto del teatro La Scala, era il 7 dicembre e la rappresentazione stava andando avanti con un normale successo. Quando arrivammo al momento del Va’, pensiero, mi ricordo che si creò in sala una tensione particolarissima, unica. Ebbi la chiara sensazione che Milano ritrovasse se stessa,

Il Nabucco, infatti, è l’opera di Milano, è rimasta l’opera di Milano del Risorgimento che ha portato all’Unità d’Italia, e un’opera che appartiente profondamente agli italiani. (…)

Già nelle prove avevo avverito che il coro che attacca il Va’, pensiero alla Scala ha un significato, un colore, un’atmosfera particolare impossibile da trovare in qualsiasi altro teatro, anche italiano. Sembra davvero che quella musica appartenga a quel palcoscenico. Non so come spiegarlo, ma eseguirla lí è più “giusto”.

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Quando finimmo il Va’, pensiero, l’urlo del pubblico fu una delle cose indimenticabili della mia vita. Il Nabucco non era più eseguito da diversi anni, e capii benissimo che il pubblico mi voleva dire: “Grazie! Ci avete riportato cio che è nostro, ciò che è la nostra identitià, ciò in cui ci identifichiamo!”

Gli applausi non si fermavano ma, dovendo pensare anche all’arcata drammatica dell’opera, a un certo momento cercai di alzare la bacchetta. “No! Bis! Bis! Bis! Bis!”

In quel momento mi trovai in un dilemma spaventoso. Era la mia prima opera come direttore musicale quindi fare il bis poteva in qualche modo sancire il mio successo, ma sapevo benissimo che, dai tempi di Toscanini, i bis erano banditi, giustamente, perchè sono un’interruzione dell’opera. (…)

Io non sapevo cosa fare. I coristi erano rimasti immobili nella posizione volute dal regista, ed erano prioprio davanti a me. Lanciai loro uno sguardo interrogativo ed essi, con gesto lento e solenne, annuirono: “Si, possiamo. Lo faccia.” Ottenuto il consenso del coro, allora, girai le pagine tornando indietro e, quando, soprattutto dal loggione, il pubblico capí, si scatenò un altro boato, ancora più forte, di approvazione.