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INTERGRUPPO ITALIANO LINFOMI L I I Cosa sono Come vengono trattati Fondazione Intergruppo Italiano Linfomi - ONLUS I LINFOMI

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INTERGRUPPO

ITALIANO LINFOMI

LI

I

Cosa sonoCome vengono trattati

Fondazione Intergruppo Italiano Linfomi - ONLUS

I LINFOMI

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Hanno collaboratoalla realizzazione del presente opuscolo:

Alberto Bosi

Maura Brugiatelli

Barbara Fadda

Lorella Gambarini

Sonia Grandi

Alessandro Levis

Sarah Jayne Liptrott

Maurizio Martelli

Giovanni Martinelli

Stefania Montesoro

Barbara Ottaviani

Antonella Pertino

Anna Rita Pesce

Umberto Vitolo

Materiale educativo di cui è vietata la vendita al pubblico

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INTRODUZIONE 05

INTERGRUPPO ITALIANO LINFOMI (I.I.L.) 06

SANGUE E MIDOLLO OSSEO 07

COSA SONO I LINFOMI 09Le causeI sintomiI differenti tipi di linfoma

LA DIAGNOSI 11

LA STADIAZIONE 12

LE PROCEDURE TERAPEUTICHE NEI LINFOMI 16La chemioterapiaLa terapia con anticorpiLa radioterapia

IL CATETERE VENOSO CENTRALE 21

PROBLEMI CONNESSI ALLE TERAPIE 22

IL TRAPIANTO DI 27CELLULE STAMINALI EMOPOIETICHE

LA PARTECIPAZIONE AGLI STUDI CLINICI 28

VIVERE CON LA MALATTIA 29

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Gentile Signora/e,

questo opuscolo è stato redatto appositamente per fornire, in modo semplice ma esaustivo, tutte quelle

informazioni che ci auguriamo la aiutino a conoscere meglio la sua malattia per affrontare attivamente il

percorso di cura. Sicuramente le informazioni in esso contenute andranno approfondite parlando con i suoi

medici e con gli infermieri, in colloqui continui allo scopo di decidere insieme i modi di procedere.

La diagnosi di “linfoma” avrà rappresentato una preoccupazione per lei e per i suoi familiari, ma oggi un

linfoma può essere sempre curato e nella maggior parte dei casi è anche guaribile, quindi dopo l’iniziale

smarrimento è importante accettare ed affrontare la situazione sviluppando speranza e volontà di vivere.

Saranno necessari molti esami e si dovranno prendere decisioni sulla terapia. Essere informati è il primo

passo per superare la paura e per capire perché il medico le propone un determinato trattamento.

La prima parte dell’opuscolo è costituita da informazioni mediche per meglio conoscere il sistema ematico

e la malattia. Seguono capitoli sul trattamento dei linfomi e i relativi effetti collaterali, che generalmente

spaventano ma che possono certamente essere affrontati e controllati.

Un capitolo è dedicato appositamente al trapianto di cellule staminali, trattandosi di un’arma importante

nella lotta al linfoma.

Ci è sembrato utile raccogliere in un unico capitolo indicazioni sui

diritti garantiti ai pazienti dal nostro Servizio Sanitario Nazionale e su

quelli garantiti in ambiente lavorativo dalla legislazione italiana,

nonché informazioni su come condurre la propria vita affettiva,

lavorativa e di relazione in genere.

Crediamo infine che possa essere utile un breve capitolo in cui sono

suggeriti indirizzi utili per una sua eventuale ulteriore consultazione.

Il coinvolgimento e la condivisione con le persone di sua fiducia, possono iniziare già con la lettura di

questo libretto, che può essere consultato secondo i suoi desideri di affrontare un argomento in particolare.

Per questo motivo può consultare l’indice e trovare ciò che pensa le possa essere più utile.

Fondazione Intergruppo Italiano Linfomi - ONLUS

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INTERGRUPPO ITALIANO LINFOMI

L’Integruppo Italiano Linfomi (IIL) è nato nel 1993 come gruppo di cooperazione spontanea tra clinici e

ricercatori interessati in Italia allo studio e alla terapia dei linfomi. La sua esistenza e attività sono poi

state ufficializzate nel luglio 2004 con un atto notarile che ha determinato la nascita di una Fondazione

dotata di personalità giuridica ed iscritta al registro delle ONLUS. L’IIL è nato con l’intento di far dialogare

tra loro i gruppi cooperativi che al momento della sua istituzione conducevano in Italia la maggior parte

degli studi sui linfomi. Negli ultimi anni alcuni gruppi si sono fusi tra loro e l’IIL si sta proponendo come

punto di coordinamento e aggregazione della maggior parte delle nuove iniziative volte a migliorare

l’assistenza e a promuovere la ricerca sui linfomi.

Sono in particolare perseguiti i seguenti obiettivi:

Sviluppare iniziative di tipo divulgativo sui linfomi, volte a farconoscere il problema e ad aiutare pazienti e parenti a ricercare i propripunti di riferimento. Ne sono un esempio il presente opuscolo e la partepubblica del sito web.

Coordinare gli sforzi dei ricercatori per arrivare alla costituzione di un unico grande gruppo cooperativo italiano impegnato nella lotta contro i linfomi.

Costituire la base scientifica, organizzativa e legale per laconduzione della maggior parte degli studi clinici sui linfomi e creare unabase comune e condivisa dei programmi di terapia in tutti i centri italiani.

Proporsi come interlocutore per la collaborazione con altri gruppieuropei per la conduzione di studi internazionali sui linfomi.

Maggiori informazioni sulla sua struttura, gli obiettivi, i centri partecipanti, gli studi, le pubblicazioni e le

altre iniziative possono essere ricavati dalla parte pubblica del sito web: www.iilinf.it

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SANGUE E MIDOLLO OSSEO

SANGUEIl sangue provvede a trasportare a tutti i tessuti dell’organismo i materiali di cui essi hanno bisogno per

la loro attività, crescita e riproduzione; provvede inoltre allo smaltimento delle sostanze di rifiuto prodotte

dagli stessi tessuti. Le cellule che circolano nel sangue servono inoltre a trasportare l’ossigeno (globuli

rossi), a difendere contro le infezioni (globuli bianchi) e a proteggere dalle emorragie (piastrine).

Il sangue è costituito da una componente fluida detta plasma e da elementi figurati.

Le cellule del sangue sono prodotte dal midollo osseo e circolano nel sangue svolgendo le loro funzioni.

Eritrociti o globuli rossi: sono cellule senza nucleo che, nell’uomo sano,raggiungono il numero di 4-5 milioni per mm3 di sangue. All’interno dei globulirossi è contenuta una proteina chiamata emoglobina che ha la funzione ditrasportare l’ossigeno a tutti i tessuti. Si definisce anemia la riduzionedell’emoglobina.

Leucociti o globuli bianchi: sono cellule nucleate; in 1 mm3 di sangue vi sonoda 6.000 a 8.000 globuli bianchi. Vi sono vari tipi di leucociti: granulociti (50-75%), linfociti (20-45%) e monociti (2-10%). I granulociti sono cellule deputate adifenderci dalle infezioni. I linfociti sono cellule dedicate alla protezionedell’organismo (immunità) con vari meccanismi.

Trombociti o piastrine: sono in numero da 200 a 300 mila per mm3 di sangue.Hanno la funzione di scatenare le fasi iniziali del processo di coagulazione delsangue.

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MIDOLLO OSSEOIl midollo osseo è contenuto nelle cavità scavate all’interno delle ossa. È giallo in alcune regioni ossee e

rosso in altre.

Il midollo giallo deve il suo colore alla presenza di cellule infarcite di grasso e non svolge ruolo attivo

nella produzione del sangue.

Il midollo rosso deve il suo colore alla presenza di capillari sanguigni e costituisce l’ambiente in cui

vivono le cellule ematopoietiche: si tratta di cellule destinate a moltiplicarsi e differenziarsi e dare origine

a globuli rossi, globuli bianchi e piastrine.

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COSA SONO I LINFOMI

Il linfoma è un tumore che prende origine dalle cellule (linfociti) delle ghiandole linfatiche (linfonodi)

presenti in tutto il corpo. Dai linfonodi la malattia può diffondersi attraverso il sangue e/o i vasi linfatici

ad altri linfonodi od organi, sia linfatici (midollo, milza, ecc.), sia extralinfatici (cute, polmoni, sistema

nervoso centrale, stomaco, fegato ecc.). I linfociti, infatti, anche se si formano e maturano negli organi

linfatici, hanno il compito fisiologico di circolare nel sangue ed in tutti gli altri organi del corpo alla

ricerca d’antigeni estranei da eliminare. I linfociti tumorali non perdono questa capacità di circolare nel

corpo, per cui i linfomi sono in genere malattie diffuse fin dall’inizio in tutto l’organismo anche a distanza

del luogo d’origine.

Le cause Le cause dei linfomi non sono conosciute nella maggioranza dei casi. Come in tutte le neoplasie il DNA

delle cellule linfomatose è modificato ad opera di sostanze chimiche, virus, radiazioni e le cellule perdono

la proprietà di crescere, dividersi e morire in modo ordinato, e si accumulano nell’organismo, dando

origine al tumore.

I s intomi Il sintomo che più frequentemente spinge il paziente a rivolgersi al medico è l’ingrossamento di uno o più

linfonodi superficiali nella regione del collo, delle ascelle o dell’inguine. I linfonodi ingrossati sono in

genere non dolenti e di consistenza aumentata. Ci può essere l’ingrossamento contemporaneo di più

regioni linfonodali. A volte ci può essere febbre o febbricola, stanchezza, sudorazione notturna, prurito,

diminuzione del peso corporeo non altrimenti spiegabile.

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Questi sintomi non sono tuttavia specifici dei linfomi e la biopsia del linfonodo serve ad escludere altre

malattie e a stabilire la diagnosi (cfr capitolo sulle indagini diagnostiche).

I di fferenti t ipi di l infomaI linfomi sono suddivisi in due grandi categorie: linfoma di Hodgkin (LH) e linfomi non Hodgkin (LNH).

LINFOMA DI HODGKIN

Il Linfoma di Hodgkin è caratterizzato dalla presenza di cellule (chiamate di Reed-Sternberg) assenti nei

linfomi non Hodgkin e prende il nome dal medico che nel 1832, per primo, descrisse i primi casi della

malattia. Può presentarsi in soggetti di tutte le età, ma è più frequente nel giovane adulto. Una volta si

dava molta importanza alla sua sottoclassificazione in vari tipi istologici, ma oggi si sa che ai fini

Altri sintomi che possono manifestarsi sono:

Tosse, diminuzione del respiro, dolori toracici, rigonfiamento del collo per lapresenza di linfonodi ingrossati nel torace e/o infiltrazione dei polmoni;

Mancanza di appetito, sensazione di precoce sazietà, dolori addominali, diarrea,per l’interessamento dello stomaco e/o dell’intestino o la presenza di grosse masseaddominali (milza, linfonodi)

Confusione mentale, alterazioni della personalità, disturbi della parola, perditadella forza in uno o più arti, come segno di infiltrazione del sistema nervoso.

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prognostici e terapeutici questa suddivisione è poco rilevante e in termini pratici è veramente utile tenere

separata solo la forma a predominanza linfocitaria nodulare da tutte le altre forme di linfoma di Hodgkin

classico.

LINFOMI NON HODGKIN

I linfomi non Hodgkin sono convenzionalmente raggruppati in due gruppi principali: linfomi di grado

basso di malignità o a crescita lenta (indolenti) e linfomi di alto grado di malignità o a crescita rapida

(aggressivi). Un’ulteriore classificazione tiene conto del tipo cellulare, per cui si distinguono linfomi non

Hodgkin a cellule B o a cellule T, sulla base del tipo di linfocita da cui originano le cellule tumorali.

Mentre i primi rappresentano la forma più comune, i linfomi a cellule T sono più rari. Oltre alle sedi

classiche linfonodali i LNH possono interessare nel 15-20% dei casi tessuto linfoide di altri sedi, quali il

tratto gastrointestinale, genitourinario, sistema nervoso centrale, mammella, ghiandole lacrimali, tiroide e

cute. Sulla base dell’aggressività e delle cellule di origine si classificano molti tipi di linfomi non Hodgkin,

ognuno dei quali ha un’evoluzione, una prognosi e degli approcci terapeutici peculiari. È quindi

estremamente importante sapere con molta precisione il tipo di LNH di fronte a cui ci si trova per poter

scegliere la terapia più adeguata.

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Il momento della diagnosi è quindi caratterizzato abitualmentedalle 2 seguenti procedure:

Anamnesi ed esame fisico. Consiste nella raccolta della storia clinica e deisintomi soggettivi. Il medico valuterà tutte le stazioni linfonodali del collo, ascelle,inguine e controllerà l’ingrandimento della milza e del fegato.

Biopsia linfonodale. La biopsia linfonodale consiste nell’intervento diasportazione parziale o totale di un linfonodo allo scopo di analizzare il tessuto almicroscopio e determinare la presenza e il tipo delle eventuali cellule linfomatose.È un intervento semplice che viene per lo più effettuato dal chirurgo in anestesialocale e in genere non richiede un pernottamento in ospedale. Se la biopsiastabilisce la presenza di un linfoma, saranno poi necessari altri esami, per avereinformazioni sulla estensione del linfoma all’interno dell’organismo (procedure distadiazione).

LA DIAGNOSI

La malattia viene diagnosticata dal medico specialista ematologo, oncologo o chirurgo, dopo un’attenta

anamnesi ed esame fisico, un eventuale esame del sangue ed esami radiologici, sulla base della biopsia

di un linfonodo ingrossato che viene esaminato al microscopio. La biopsia è quasi sempre indispensabile

sia per la diagnosi di linfoma che soprattutto per stabilire con esattezza di quale tipo di linfoma si tratta.

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LA STADIAZIONE

Con il termine stadiazione (staging) si intende l’esecuzione di una serie di esami utili a capire quanto il

linfoma è diffuso e quale terapia scegliere. Gli esami più importanti per lo staging:

Esame del sangue. È un semplice prelievo di sangue venoso per eseguire una seriedi esami di laboratorio necessari a stabilire un quadro ematologico completo(funzionalità dei reni, del fegato, marcatori di attività del linfoma ecc.)

RX Torace. È una semplice radiografia per avere una valutazione basale del torace.

TAC (tomografia assiale computerizzato). È un esame radiologico che permette diesaminare gli organi interni in modo più preciso delle radiografie normali. Pervisualizzare meglio le strutture dell’organismo si somministra in genere un mezzo dicontrasto per iniezione endovenosa (in una vena del braccio). Il contrasto può talvoltafar sentire un gusto strano in bocca che svanisce presto e come molti farmaci può

indurre allergie in soggetti predisposti, per cui è importante che il malato diainformazioni su precedenti esperienze di allergia. Durante l’esame il paziente deve starefermo sul lettino per un tempo di circa 10 minuti per evitare che le immagini della TACsiano confuse.

PET (Positron Emission Tomography). L’esame PET consiste nellasomministrazione endovenosa di una piccola quantità di uno zucchero radioattivo chesi accumula dove c’è il tessuto linfomatoso. Dopo circa 1 ora dall’iniezione vengono

acquisite una serie di immagini, della durata complessiva di circa 30 minuti, usandoun’apparecchiatura chiamata “tomografo PET-TC” che rileva le radiazioni emesse dal

corpo ed evidenzia gli accumuli nelle zone in cui il linfoma è presente. Non tutti i tipi dilinfomi sono evidenziati altrettanto bene dalla PET e l’esame è indicato per situazioni bendefinite. È necessario il digiuno da almeno 6 ore prima di effettuare l’esame. In caso di setesi può bere solo acqua senza zucchero. Il radiofarmaco utilizzato non provoca allergia néaltri effetti collaterali.

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L’aspirato midollare e la biopsia osteomidollare. L’esame del midollo permette divalutare se è presente un’infiltrazione linfomatosa del midollo. Lo studio del midollopuò essere fatto mediante 2 tipi di prelievo lievemente differenti, che vengonoeffettuati in corrispondenza della parte posteriore dell’osso del bacino. Questi prelievi

sono eseguiti contemporaneamente in ambulatorio o reparto con una semplice anestesialocale e con un tempo di esecuzione non superiore a 15-20 minuti. Non è necessario

essere a digiuno. Per la procedura, viene chiesto di rimanere con la biancheria intima eabbassare i pantaloni o la gonna per esporre il bacino. Il malato è coricato sul lettino inposizione prona. Nell’area individuata per la puntura viene iniettato prima un anesteticolocale.

Aspirato midollare: il medico introduce un ago che penetra nell’osso e attraversouna siringa aspira 5-10 cc di sangue midollare. Al termine della procedura vieneapplicato un cerotto e se necessario un impacco di ghiaccio per circa 15 minuti. I campioni prelevati sono inviati in laboratorio per le analisi.Il malato può avvertire un leggero fastidio/dolore durante l’esecuzione dellamanovra, particolarmente nella breve fase di aspirazione del sangue midollare. È possibile tornare alle abituali occupazioni nel corso della stessa giornata.

Biopsia osteomidollare: La procedura è sostanzialmente identica allaprecedente, solo che viene introdotto un ago leggermente più grosso che serve aestrarre una piccola porzione d’osso di forma cilindrica (il cosiddetto frustolo),inviata per l’analisi agli anatomo-patologi.

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Risonanza Magnetica Nucleare (RMN). La RMN è una tecnica diagnosticaradiologica che usa campi magnetici ed onde elettromagnetiche a radiofrequenza ed èpiù adatta della TAC soprattutto per la valutazione di cervello e colonna vertebrale. Ilmalato deve stare su un lettino, all’interno di un tunnel metallico, che contiene un

grande magnete. Durante l’esecuzione dell’esame si sente un rumore ritmico abbastanzaintenso provocato dal normale funzionamento dell’apparecchiatura. Normalmente la

procedura dura circa 30-50 minuti e non è dolorosa. In genere non si devono seguirepreparazioni né diete particolari. Qualche volta, a discrezione del medico e in relazione altipo di patologia da studiare, può essere somministrato un mezzo di contrasto per viaendovenosa.

Basandosi sui risultati degli esami elencati, lo stadio della malattia può essere definitosecondo il sistema di staging di Ann Arbor in 4 stadi: dallo stadio I, localizzato, agli stadiII, III e IV via via più disseminati. Accanto alla definizione degli stadi è prevista l’indicazione della presenza di segnisistemici (febbre e/o sudorazione notturna e/o calo di peso) indicando con ‘B’ i casi in cuisono presenti e con ‘A’ quelli in cui sono assenti. Allo stesso modo si indica con una ‘X’ lapresenza di una massa linfatica particolarmente grande definita ‘bulky’. Oltre a questosistema classico di stadiazione, per molti tipi di linfoma esistono altri strumenti divalutazione della prognosi basati su esami e dati clinici. Questi sistemi (es “IPI” nei linfominon Hodgkin a grandi cellule B e “FLIPI” nei linfomi non Hodgkin follicolari) costruisconodei punteggi di rischio utili a capire se la malattia è più o meno aggressiva e va quindicurata in modo più o meno intenso.

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LE PROCEDURE TERAPEUTICHE NEI LINFOMI

LA CHEMIOTERAPIA Il termine chemioterapia sta ad indicare una terapia con farmaci. Questi farmaci vengono utilizzati per

controllare la rapida crescita delle cellule tumorali e ne impediscono la replicazione. Abitualmente

vengono somministrati più farmaci al fine di ottenere il migliore risultato possibile. Il loro impiego avviene

di solito in più riprese (cicli) con un intervallo variabile di tempo tra un ciclo e l’altro.

Generalmente la chemioterapia è somministrata attraverso

un’infusione venosa, oppure meno frequentemente per via orale e,

in alcune forme di linfoma, anche per via intratecale (nel liquor

cefalo-rachidiano mediante puntura lombare). In caso di ripetute

somministrazioni endovenose sarà preferita una via venosa centrale

(catetere venoso centrale o CVC) che resterà in sede talora per mesi

(cfr capitolo “il catetere venoso centrale”).

I farmaci chemioterapici non sono però sufficientemente selettivi contro le cellule tumorali e distruggono

anche alcune cellule sane ed in particolare gli elementi del midollo osseo dal quale si sviluppano i globuli

rossi, i globuli bianchi e le piastrine. Tra gli effetti collaterali più importanti vi è quindi la possibilità che

si induca anemia o calo dei globuli bianchi con conseguente maggiore facilità di infezioni o ancora calo

delle piastrine con possibile tendenza al sanguinamento. Anche le cellule delle mucose (bocca, stomaco,

organi genitali) e le cellule del sistema pilifero possono essere compromesse nella loro replica (per gli

effetti collaterali dei citostatici cfr capitolo “problemi connessi alle terapie”).

Negli ultimi anni si sono ottenuti miglioramenti nei risultati sui linfomi grazie all’associazione di anticorpi

monoclonali ai cicli di chemioterapia citostatica.

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LA TERAPIA CON ANTICORPIGli anticorpi monoclonali sono anticorpi prodotti in laboratorio che si legano in modo selettivo alle cellule

linfomatose, danneggiandole in modo diretto o facendo sì che siano più facilmente distrutte dal proprio

sistema immunitario.

Gli anticorpi, prodotti dal sistema immunitario, riconoscono in modo specifico alcune proteine presenti

sulla superficie delle cellule estranee all’organismo. L’incontro

anticorpo-cellula estranea stimola il sistema immunitario a

reagire contro la cellula stessa, con l’obiettivo di distruggerla.

Gli anticorpi monoclonali usati nella terapia contro i linfomi

riconoscono sostanze presenti sulla superficie delle cellule

linfomatose. Essi possono essere somministrati da soli o in

associazione ad un trattamento chemioterapico, secondo il tipo di linfoma.

La somministrazione avviene per via endovenosa. Sono solitamente ben tollerati e possono essere

somministrati in regime sia ambulatoriale sia di ricovero. La durata dell’infusione è fatta con tempi

variabili e può prolungarsi in caso di effetti collaterali. L’infusione del farmaco viene preceduta da una

premedicazione composta da paracetamolo, antistaminici e cortisone per prevenire eventuali reazioni

simili a quelle allergiche. I segni di queste reazioni possono includere rash cutaneo, prurito (localizzato o

generalizzato), brividi, rossore al viso, vertigini, tosse, febbre, difficoltà respiratoria e agitazione. Qualche

volta alcune persone presentono gonfiore alla lingua e alla gola e irritazione della mucosa nasale. In caso

si presentino queste reazioni allergiche l’infusione del farmaco verrà sospesa sino alla regressione

completa dei disturbi presentati e successivamente ripresa ad una velocità inferiore.

L’eventuale sonnolenza che lei potrà avvertire durante la terapia è un effetto collaterale conosciuto degli

antistaminici. Altri potenziali effetti collaterali più rari durante la somministrazione potrebbero essere

sintomi simil-influenzali, pressione arteriosa bassa (con un senso di vertigini o di nausea), nausea e

raramente vomito o alterazioni del battito cardiaco.

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Esiste inoltre un anticorpo monoclonale che viene combinato con un radioisotopo capace di produrre una

quantità di radiazioni sufficienti a distruggere, in maniera selettiva, le cellule malate. La somministrazione

di questo farmaco è meno frequente e avviene nel reparto di Medicina Nucleare. La durata dell’infusione

è di circa 30 minuti e si prolunga nel caso in cui si manifestassero dei problemi. In questo caso la terapia

è in grado di interferire con la normale funzionalità del midollo osseo. Gli effetti possono manifestarsi a

partire da 4-6 settimane dopo la somministrazione del farmaco. L’effetto è temporaneo ed il recupero

avviene in poche settimane. Dopo la terapia sono necessari alcuni esami del sangue, per verificare che i

valori ematici siano nella norma.

LA RADIOTERAPIALa radioterapia è una delle tipologie di cura, che si serve di radiazioni dette “ionizzanti”, a cui si può

essere sottoposti, sia per il Linfoma di Hodgkin che per il Linfoma non Hodgkin, in associazione o meno

con le altre terapie; è un trattamento indolore localizzato, che coinvolge zone ben delimitate del corpo dove

in genere sono presenti all’esordio le adenopatie di maggiori dimensioni.

Le radiazioni possono essere definite come raggi dotati di una particolare forma di energia e sono generati

da apparecchiature molto sofisticate chiamate acceleratori lineari.

Le radiazioni colpiscono le cellule malate a livello del distretto corporeo interessato dal trattamento,

danneggiandole o uccidendole.

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Le fasi della radioterapia sono:

la visita radioterapica. Nella prima visita radioterapica il paziente viene visitatodal radioterapista che in genere ha già discusso il suo caso con i medici che laseguono. È comunque importante che il paziente sia munito della documentazioneinerente la sua malattia e la terapia già eseguita in modo che il radioterapista possaprendere le decisioni relative al suo piano di cura.

la centratura TAC radiologica. Dopo che è stato definito il programmaterapeutico è necessaria una TAC con lo scopo di localizzare esattamente il“bersaglio” da irradiare, in rapporto alla superficie esterna e agli organi interni delcorpo.

la simulazione. È una procedura tecnica, fatta con apparecchiature adeguate chepermette di definire la sede e le dimensioni della regione corporea da irradiare.

il piano di cura. È studiato e preparato dal fisico sanitario in collaborazione conil radioterapista. Vengono valutati il volume da irradiare, la dose di radiazioni e iltempo di ogni seduta di irradiazione in modo da colpire al massimo l’organobersaglio e ledere al minimo gli organi vicini.

il trattamento. Dopo le quattro fasi precedenti ha inizio il trattamento vero eproprio, che solitamente viene effettuato in regime ambulatoriale. Ogni trattamentoè personalizzato, perciò la durata, in numero di giorni, è variabile. Viene effettuatadi solito una seduta al giorno per cinque giorni alla settimana, da lunedì a venerdì.Il paziente viene fatto stendere su di un apposito lettino e accuratamenteposizionato e deve rimanere immobile per alcuni minuti durante il periodo in cuidall’acceleratore fuoriescono le radiazioni. Al termine di ogni seduta di trattamentosi possono riprendere le proprie attività senza particolari precauzioni. Laradioterapia non rende radioattivi e, quindi, è possibile stare tranquillamente acontatto con altre persone.

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La T.B.I. (total body irradiation): irradiazione corporea totale. Si tratta di una particolare tecnica

radioterapica che, in associazione a chemioterapie ad alte dosi, viene utilizzata talvolta prima di un

trapianto di cellule staminali. Viene irradiato il volume corporeo nella sua interezza.

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Il CATETEREVENOSO CENTRALE (CVC)

Il Catetere Venoso Centrale è un tubicino lungo, flessibile e vuoto all’interno, che viene inserito dal

medico al di sotto della cute all’altezza del torace in una vena profonda che conduce direttamente al cuore

(vena cava superiore). La scelta di usare un CVC deriva dal desiderio di evitare il disagio al malato di

ripetute e fastidiose punture in una vena nel braccio, per somministrare la terapia infusionale.

Esistono diversi tipi di CVC; questi dispositivi si differenziano infatti per il tempo di posizionamento (fino

a 4 settimane, fino a 3 mesi, oltre i 3 mesi), per le indicazioni (terapie lunghe, intermittenti e/o continue),

per il materiale (poliuretano, silicone).

Da quando è inserito, fino alla sua rimozione, il CVC richiede una gestione attenta da parte del personale

di assistenza, ma anche dallo stesso malato al quale vengono date tutte le indicazioni in proposito.

Quando, al termine del programma terapeutico, il CVC non è più necessario, esso viene rimosso, in

ospedale, in modo semplice e indolore.

Talvolta è necessario usare altri tipi di CVC per brevissimo tempo solo per la raccolta delle cellule

staminali da trapiantare (cfr capitolo il trapianto di cellule staminali). Quando gli accessi venosi delle

braccia non sono utilizzabili può essere necessario posizionare nella vena femorale, sempre sottocute ma

all’inguine, un catetere venoso che rimane in sito mediamente due giorni per il tempo necessario ad

effettuare la procedura di raccolta.

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PROBLEMI CONNESSI ALLE TERAPIE

Il tipo di effetto collaterale provocato dai trattamenti e la sua severità varia da persona a persona in

relazione al tipo di terapia ed alla risposta individuale ad essa. Non vi è alcun dubbio che gli effetti

collaterali possono essere spiacevoli, ma è bene ricordare che per lo più sono temporanei e reversibili. È

importante riferire al medico qualsiasi disturbo perché la maggior parte di questi potranno essere trattati

con successo riducendo il disagio.

La chemioterapia, nello specifico, riduce temporaneamente la

capacità del midollo di produrre le cellule, per cui si potrà avere la

diminuzione dei globuli bianchi con comparsa del rischio di

infezione, la diminuzione delle piastrine con aumento del rischio di

emorragia e la riduzione dell’emoglobina con comparsa di anemia e

di conseguenza affaticamento.

Sovente, al fine di ripristinare un numero sufficiente di globuli bianchi, può essere somministrato, con

iniezioni sottocutanee, un fattore di crescita che stimola la produzione dei globuli bianchi. Anche nel caso

di anemia potrà essere somministrato per via sottocutanea un fattore di crescita dei globuli rossi

(eritropoietina o darbopoietina) e se indispensabile potranno anche essere fatte trasfusioni di globuli rossi.

Nel caso di carenza di piastrine non sono al momento ancora disponibili fattori di crescita specifici, ma

se è indispensabile potranno essere fatte trasfusioni di piastrine.

Altri effetti collaterali abbastanza comuni possono essere la nausea, con o senza vomito, la diarrea o la

stipsi, la perdita dei capelli, la febbre, l’affaticamento, la mucosite

con alterazioni del gusto.

Anche la radioterapia si può associare ad effetti collaterali, che

tendono abitualmente a comparire dopo la prima metà del ciclo di

trattamento, per poi attenuarsi gradualmente dopo il termine della

terapia. La loro comparsa e intensità variano in base alla sede e al

volume di tessuto irradiato, alle eventuali terapie concomitanti,

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all’età e alle condizioni generali del paziente.

Uno dei problemi più frequenti è l’irritazione cutanea che ne deriva, molto simile all’esperienza di una

scottatura da esposizione al sole. È opportuno attenersi alla cura della cute irradiata seguendo le

indicazioni specifiche che verranno fornite in radioterapia.

Elenco di alcuni degli effetti indesiderati più fastidiosi

Nausea. Grazie alla ricerca oggi sono stati sviluppati nuovi farmaci che riducono

la nausea ma sono comunque utili piccoli accorgimenti quali evitare pasti

abbondanti, preferendo pasti piccoli e frequenti, mangiando e bevendo lentamente.

Stitichezza - diarrea. Alcuni farmaci chemioterapici possono rallentare

l’attività intestinale e determinare stitichezza. Se dovessero insorgere tali

problemi si suggerisce di aumentare il contenuto di fibre della dieta,

alimentandosi comunque in maniera equilibrata e bere molto.

Se necessario si può fare uso di un leggero

lassativo (le mucillagini non sono indicate), dopo

essersi consultati con il proprio medico. Altri

chemioterapici possono invece essere causa di

diarrea per un temporaneo danneggiamento della

mucosa intestinale. In questi casi è consigliabile

bere molto, in piccole quantità. È consigliato il brodo vegetale o il the con

dolcificante e deve essere evitata l’assunzione di latte, latticini e verdure.

In ogni caso informare il medico che potrà suggerire una eventuale

terapia per il controllo della diarrea.

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Mucosite. La mucosite o infiammazione del cavo orale è un effetto

collaterale abbastanza comune e fastidioso. Può essere migliorata con una

buona igiene orale. Spesso è sufficiente spazzolare i denti dopo ogni pasto

con uno spazzolino a setole morbide che deve

essere sostituito ogni quattro settimane,

ricordandosi di risciacquare la bocca con acqua

e bicarbonato di sodio, oppure con un collutorio

privo di alcool. Ricordarsi di attenersi con

attenzione alle prescrizioni fornite dal medico

per quanto riguarda l’esecuzione di sciacqui con farmaci antimicotici.

Le protesi dentarie vanno lavate e mantenute in soluzione antisettica

durante la notte. Occorre evitare cibi piccanti e bevande alcoliche che

possono aumentare l’irritazione. Possono essere utili i ghiaccioli od i gelati.

Sono da evitare cibi troppo caldi, difficili da masticare ed il fumo. Consigliabile

il burro di cacao sulle labbra per evitare screpolature e fissurazioni.

Caduta dei capelli. Molti chemioterapici causano la perdita dei capelli (alopecia)

anche se l’effetto è temporaneo e non con tutte le chemioterapie. I primi

sintomi si manifestano due o tre settimane dopo l’inizio del primo o del

secondo ciclo di terapia e tendono a regredire da tre a sei mesi dopo la

sospensione del trattamento. Può essere utile evitare il calore del phon,

i medicamenti o le lozioni ed utilizzare, nel periodo di caduta

dei capelli, shampoo delicati e spazzole morbide.

Si consiglia di tagliare i capelli corti o utilizzare

cappelli, foulards o parucche, di cui in commercio

esistono molti modelli gradevoli.

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Disturbi della sfera sessuale. Le terapie non rendono impotenti ed

eventuali problemi che dovessero emergere sono sovente più da imputare

a problemi pscicologici, e come tali da affrontare, che a disturbi ormonali.

Nelle donne possono tuttavia emergere irregolarità o anche cessazioni

temporanee delle mestruazioni. Nelle donne più mature potrebbe

verificarsi una menopausa precoce. L’eventuale secchezza vaginale

derivante da una menopausa precoce può rendere difficoltoso il rapporto

sessuale e i lubrificanti idrosolubili possono

rappresentare un’ottima soluzione a questo

problema. Tutti questi aspetti saranno da discutere

con i medici, come pure l’opportunità di terapia

estropogestinica (pillola) o altre terapie ormonali

giudicate utili. Il concepimento potrebbe essere

possibile durante la terapia, ma è fortemente

sconsigliato dal punto di vista medico per il rischio di malformazioni

fetali. È necessario discutere di questo problema con il medico, con cui

definire l’impiego di mezzi anticoncezionali adeguati. Alcune

chemioterapie possono rendere infecondi sia maschi che femmine. Anche

questa possibilità andrà discussa con in medici per valutare assieme tutte

le possibili soluzioni, ivi compresa la criopreservazione dello sperma

negli uomini o il congelamento degli ovuli nelle donne, procedura

quest’ultima però più complessa.

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Fatigue (affaticamento). Durante il trattamento molti malati lamentano

una profonda stanchezza dovuta non solo alla terapia e all’anemia, ma

anche alla malattia ed ai disturbi che questa determina. Oltre alla

correzione dell’anemia ed altre terapie di supporto, questo effetto può

essere ridotto cercando di rilassarsi il più possibile con l’aiuto di familiari

ed amici e praticando attività che procurano distrazione. Non esistono

precise indicazioni, ma un minimo di attività fisica, in base alle proprie

condizioni fisiche, può essere utile.

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IL TRAPIANTO DI CELLULE STAMINALI EMOPOIETICHE

Il trapianto di cellule staminali emopoietiche è una procedura che può essere usata nella terapia dei

linfomi, soprattutto in caso di recidiva o mancata risposta alla terapia di prima linea. Il trapianto consiste

in una chemioterapia molto intensa (condizionamento) a cui segue la reinfusione per via endovenosa come

una semplice trasfusione di una sacca di cellule staminali emopoietiche, prelevate in precedenza dal

midollo (trapianto di midollo) o più frequentemente dal sangue periferico (trapianto di cellule staminali

periferiche). Si parla di trapianto autologo (autotrapianto) quando il donatore e il ricevente sono la stessa

persona e di trapianto allogenico (allotrapianto) quando il donatore è una persona diversa dal ricevente

(fratello o sorella o non consanguineo geneticamente compatibile). Nel caso dei linfomi è frequente

l’utilizzo del trapianto autologo mentre il trapianto allogenico è impiegato in casi selezionati ed

essenzialmente dopo fallimento del trapianto autologo. Le cellule staminali periferiche sono abitualmente

raccolte dal sangue periferico dopo la stimolazione con fattori di crescita granulocitari. Durante la

stimolazione si possono avvertire talvolta dolori ossei o febbricola, effetti normali che è però necessario

segnalare. La procedura di raccolta è chiamata aferesi, può essere fatta in regime di day hospital e

consiste in un prelievo effettuato dalle vene del braccio o da un catetere venoso. Il sangue è centrifugato

in un’apparecchiatura in grado di separare e raccogliere le sole cellule staminali che potranno essere

congelate e poi trasfuse al paziente al momento opportuno.

All’infusione delle cellule staminali segue un periodo variabile

(10-15 giorni), necessario perché le cellule staminali reinfuse

tornino nella loro sede naturale, proliferino e ricostituiscano il

midollo normale. In questo periodo, chiamato di aplasia, le difese

immunitarie sono ridotte e sono sovente necessarie trasfusioni

di globuli rossi o di piastrine. I trapianti richiedono abitualmente un periodo di ricovero in ambiente

protetto, con eventuale isolamento in camere protette per prevenire l’insorgere di infezioni. La durata del

ricovero è in genere di circa 20-30 giorni.

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LA PARTECIPAZIONEAGLI STUDI CLINICI

Gli studi clinici sono la sperimentazione di nuove forme di trattamento (farmaci nuovi o dosaggi e

combinazioni innovative di farmaci già regolarmente utilizzati) su ampi numeri di pazienti. Sono in genere

promossi da aziende farmaceutiche o da gruppi cooperativi nazionali e internazionali no-profit, come l’IIL

che coordina numerosi studi sui linfomi. L’obiettivo finale di ogni

studio è individuare strategie terapeutiche sempre più efficaci e/o

sempre meno tossiche. Esistono studi in cui tutti i pazienti vengono

trattati con gli schemi giudicati innovativi e altri (randomizzati) in

cui metà dei pazienti sono trattati con la strategia innovativa e

l’altra metà con quella di confronto convenzionale per valutare se vi

è veramente una superiorità dello schema più moderno. Ogni studio ha un suo coordinatore che è il

responsabile scientifico e un responsabile legale, che nel caso degli studi proposti dall’IIL è lo stesso

presidente dell’IIL. Tutti questi studi coinvolgono numerose ematologie italiane e sono condotte secondo

i principi sanciti dalla legislazione italiana sulla ricerca clinica e approvati dai Comitati Etici.

I pazienti che partecipano a questi studi vengono indirizzati a programmi di cura ottimali ideati non da un

singolo specialista, ma da un gruppo di più specialisti, dedicati alla terapia dei linfomi. I pazienti inclusi

negli studi clinici possono talora avere il vantaggio di accedere a farmaci non ancora in commercio e

comunque beneficiano di controlli clinici e di laboratorio ancora più rigorosi e frequenti di quanto imposto

dal rispetto delle linee guida convenzionali. La partecipazione a uno studio viene proposta ai pazienti dai

medici e non è mai obbligatoria. La partecipazione di un paziente a un particolare protocollo clinico

avviene solo dopo che è stato accuratamente informato, ha compreso bene di cosa si tratta e ha rilasciato

il proprio consenso scritto al medico. È possibile comunque interrompere la partecipazione allo studio in

qualsiasi momento, anche se si è firmato il consenso.

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VIVERE CON LA MALATTIA

Non esiste un modo migliore ed unico per vivere con la malattia tumorale. Oggi quasi

il 50% delle persone ammalate di tumore guarisce e tra i linfomi ci sono molte forme

guaribili. Al momento della diagnosi ogni persona vive la paura della malattia,

l’insicurezza del futuro, la rabbia per essersi ammalata. Il disorientamento iniziale deve

però lasciare il posto alla speranza, al coraggio e alla volontà di vivere. Questo passaggio

non è né semplice, né immediato perché richiede lo sforzo di non rinchiudersi nel proprio

guscio, di coinvolgere i propri familiari e di informarsi sempre sul decorso della malattia.

Con l’insorgenza della malattia le relazioni tra le persone spesso si modificano perché la

qualità di vita del malato per un certo periodo può essere pregiudicata e i familiari possono

anche non essere preparati e capaci a supportarlo. Se il dialogo diventa aperto, se esiste

condivisione sulle decisioni da prendere, pur rimanendo il malato sempre e comunque

l’ultimo decisore, i rapporti interpersonali possono diventare perfino più intensi.

Spese sanitarie. La diagnosi di linfoma determina la copertura delle spese mediche

da parte del Sistema Sanitario Nazionale perché il malato di tumore ha diritto

all’esenzione totale dal pagamento del ticket per farmaci, visite ed esami

appropriati per la cura anche delle eventuali complicanze, per la riabilitazione e per la

prevenzione degli ulteriori aggravamenti (D.M. Sanità 329/1999). La domanda di esenzione

deve essere presentata alla propria Azienda Sanitaria Locale, esibendo i documenti che gli

operatori addetti indicheranno (generalmente tessera sanitaria, codice fiscale,

documentazione medica, specialistica ed ospedaliera che attesti la malattia)

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Attività lavorativa. Il linfoma generalmente permette di svolgere una normale

attività lavorativa, ad eccezione dei lavori molto pesanti o impegnativi dal punto di

vista fisico. Durante i periodi di trattamento, quando non è necessario il ricovero, in

base alle condizioni fisiche, al tipo di cura e ai risultati degli esami può comunque essere

giudicata utile o indispensabile un’astensione dal lavoro. Tuttavia, quando le forze lo

consentono e il medico curante è d’accordo, un’attività lavorativa non troppo pesante può

essere consentita ed aiutare ad evitare di isolarsi e concentrarsi solo sulla malattia. La

legislazione italiana prevede che il lavoratore con malattia tumorale e il familiare che lo

assiste, possano usufruire di permessi retribuiti. Per ottenere i congedi è sufficiente farne

richiesta al datore di lavoro (L. 104/1992 e alcuni CCNL nel settore del pubblico impiego).

Sempre in ambito lavorativo è inoltre prevista anche la possibilità di trasformare l’orario di

lavoro da tempo pieno a tempo parziale fino a quando le condizioni di salute non

consentono di lavorare l’intera giornata (D.Lg 61/2000, successivamente modificato dal D.

Lg 100/2001).

Diritto ad accedere alla propria documentazione clinica.

Durante tutto il percorso di diagnosi e cura, il malato ha diritto di prendere

visione della propria documentazione clinica.

In caso di ricovero si può richiedere copia della propria cartella.

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