-gnanzo'u’ storie di mare e di pescatori · (buio, si sente la preghiera che i tonnaroti...

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-GNANZO'U’ Storie di mare e di pescatori (All’ingresso degli spettatori in sala è già in scena il “muciariotu” che lavora in un contenitore di quello usato dai pescatoriil suo “pastuni” l’esca preparata con mollica di pane e sarde.Durante la preparazione il “muciariotu” si rivolge agli spettatori che entrano in sala come se fossero lavoranti della tonnara si alzerà, andrà tra loro, tutto come se fosse lavoro di preparazione prima di salpare). Muciariotu: Piano, piano cerchiamo di non camminare sopra le “cime” che sono già sistemate, dividiamoci venti a sinistra e venti a destra e cerchiamo di farlo in silenzio. Guardate che tra poco arriverà il “raisi”, cerchiamo di non fare baccano come vostro solito! Forza con le braccia ve lo ha dato l’uovo da succhiare, vostra moglie, stamattina? (gridando) Lisciannero, che succede, ti sei addormentato in braccio alla nonna? Dove sei disgraziato? Porta il remo del “raisi” gran pezzo di seppia di fango! Liscianneru: (entra con un organetto a tracolla correndo dalla platea) E no gridare che ci sento! Per chi mi hai preso per “Pitrinu sucalora” Muciarotu: (Facendo l’atto di volerlo colpire) Bada che te lo do uno sganassone! (alludendo all’organetto) Disgraziato, il remo del “raisi” te lo dimentichi ma questo non lo dimentichi mai! Ma quest’anno te lo do il mal piacere, per Poseidone! (rivolgendosi agli spettatori) Che c’è, non lo posso dire “per Poseidone”? se non lo dico io chi lo deve dire? Minchia poseidone che gran Dio che era! Quando il padre Cronos divise l’univero ai suoi figli a Zeus è toccata la terra e a Poseidone il mare! Minchia che gran Dio che era! E come gli piaceva (mimando l’atto sessuale con la mano) Ha fatto più di cento figli, ma non figli così alla buona, figli di quelli giusti. Ve lo ricordate quello che scagliò pezzi di montagna contro Ulisse? Quel gigante con un occhio solo, Polifemo? Quello era figlio di Poseidone. E poi briganti, Dei, ha fatto pure un cavallo! Un cavallo con le ali, si chiamava Pegaso, bello, bianco, e volava volava, con i suoi capelli d’oro e la coda pure d’oro. Vi sembra che racconto fesserie? Io queste cose le so perché me le dice il professore. Ogni volta che pesco al molo, lui viene a guardarmi e guardando guardando, mi racconta tutte queste cose.

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-GNANZO'U’

Storie di mare e di pescatori

(All’ingresso degli spettatori in sala è già in scena il “muciariotu” che lavora in un contenitore di quello usato dai pescatoriil suo “pastuni” l’esca preparata con mollica di pane e sarde.Durante la preparazione il “muciariotu” si rivolge agli spettatori che entrano in sala come se fossero lavoranti della tonnara si alzerà, andrà tra loro, tutto come se fosse lavoro di preparazione prima di salpare). Muciariotu: Piano, piano cerchiamo di non camminare sopra le “cime” che sono già sistemate, dividiamoci venti a sinistra e venti a destra e cerchiamo di farlo in silenzio. Guardate che tra poco arriverà il “raisi”, cerchiamo di non fare baccano come vostro solito! Forza con le braccia ve lo ha dato l’uovo da succhiare, vostra moglie, stamattina? (gridando) Lisciannero, che succede, ti sei addormentato in braccio alla nonna? Dove sei disgraziato? Porta il remo del “raisi” gran pezzo di seppia di fango! Liscianneru: (entra con un organetto a tracolla correndo dalla platea) E no gridare che ci sento! Per chi mi hai preso per “Pitrinu sucalora” Muciarotu: (Facendo l’atto di volerlo colpire) Bada che te lo do uno sganassone! (alludendo all’organetto) Disgraziato, il remo del “raisi” te lo dimentichi ma questo non lo dimentichi mai! Ma quest’anno te lo do il mal piacere, per Poseidone! (rivolgendosi agli spettatori) Che c’è, non lo posso dire “per Poseidone”? se non lo dico io chi lo deve dire? Minchia poseidone che gran Dio che era! Quando il padre Cronos divise l’univero ai suoi figli a Zeus è toccata la terra e a Poseidone il mare! Minchia che gran Dio che era! E come gli piaceva (mimando l’atto sessuale con la mano) Ha fatto più di cento figli, ma non figli così alla buona, figli di quelli giusti. Ve lo ricordate quello che scagliò pezzi di montagna contro Ulisse? Quel gigante con un occhio solo, Polifemo? Quello era figlio di Poseidone. E poi briganti, Dei, ha fatto pure un cavallo! Un cavallo con le ali, si chiamava Pegaso, bello, bianco, e volava volava, con i suoi capelli d’oro e la coda pure d’oro. Vi sembra che racconto fesserie? Io queste cose le so perché me le dice il professore. Ogni volta che pesco al molo, lui viene a guardarmi e guardando guardando, mi racconta tutte queste cose.

E me lo ha fatto vedere nel libro a Poseidone, era bello stampato con quella barba enorme che faceva spavento solo a guardarlo. Nella mano sinistra teneva l’arpione, e nella mano destra aveva il tonno appena pescato. Si! Perché lui è Dio, è figlio di Cronos, ma è anche tonnaroto. Come me. Non mi credete? No? E allora andate a guardarlo voi stessi, là al museo di Copenaghen! E Poseidone oggi ci deve aiutare, perché oggi è giorno di mattanza! Non ci deve far fare la fine di Calco, il pescatore che era nella barca di Enea. Minchia, Calco aveva solo un pensiero in testa: pescare! Si metteva accanto a Palinuro, quello teneva il timone della barca e lui pescava a traino. Poi sono arrivati qua vicino Trapani perché Enea è venuto a seppelire suo padre nella montagna di Erice. E quando arrivarono qua subito subito Calco se ne andò nella spiaggia della colombaia e là ha cominciato a pescare. Tre giorni e tre notti pescò, e ha acatastato una montagna di pesci: auli, sparagghiuni, runchi, sirrani, turdi, lappani, sarachi, savuri, avugghi, scurmi. Gettav la lenza in mezzo al mare e tirava, tirava. I suoi compagni lo chiamavono:Calco, Calcooo, oh Calcooo! Ma a lui da un orecchio entrava e dall’altro usciva. La sera del terzo giorno gettò la lenza e subito sentì la lenza tendersi, e allora comicia a tirare, tira che tira l’acqua cominciò a bollire come dentro una caldara. Il mare cominciò ad ingrossarsi a un certo punto, dal mare esce un tonno, che sembrava un drago, apre la bocca e aummm! S’inghiotte a Calco con tutta la merda! Però, (si cerca tra i pantaloni ed estrae una pietra) si dice che le pietre della colombaia portano fortuna ai pescatori. E io qua ce l’ho! (si avvicina ad uno spettatore) tieni, la vuoi? Sii che ora la do a te! Questa è pietra che deve portarmi fortuna perché oggi è giorno di mattanza! Oggi ci deve aiutare Poseidone, calco, il nostro “signuruzzu” con tutti i santi del paradiso. Ora arriva il Raisi e appena arriva lui noi saliamo sopra le barche e partiamo. Ecco, eccolo sta arrivando. (Buio, si sente la preghiera che i tonnaroti recitano quando salpano per raggiungere la tonnara)

Una salve regina alla madre di Dio di Trapani Una salve regina alla madre di Dio del Rosario Una salve regina alla madre di Dio del calvario

Una salve regina a Santa Teresa Una salve regina alla Madonna di Fatima Un padrenostro al patriarca san Giuseppe Un padrenostro a san Francesco Di Paola

Un padrenostro al Sacro Cuore di Gesù Un padrenostro a sant’Antonino

Un padrenostro a san Pietro che preghi il Signore per u abbondante pesca Dio lo faccia un requiemmaterna santo creatore ai nostri morti

Dio lo faccia requiemmaterna santo creatore ai nostri morti Dio lo faccia un requiemmaterna santo creatore ai nostri morti

Lentamente è andata in assolvenza la luce, si vedono due teste che rappresentano due tonnaroti in attesa dell'ordine del raisi, che parlano sopra la muciara, l'imbarcazione sulla quale sta il rais durante la mattanza posta al centro del quadrato). Muciarotu: Raisi, mi dica una cosa, ma San Pietro secondo Vossia ne ha tempo per pensare a noi? Quello prega il Signore per altre cose: la guerra, le tempeste, i terremoti, si figuri se va a pensare a noi. E poi ogni anno glielo diciamo, san Pietro prega il Signore per un’abbondante pesca, non c’è più bisogno che glielo ricordiamo! Raisi: C’è il bisogno, lio hai detto pure tu, ne ha tante cose a cui pensare, perciò ogni volta che ci mettiamo sulla barca e aspettiamo che passano i tonni, glielo dobbiamo ricordare. Muciarotu: Secondo me pensa ai disperati! Raisi: Perché noi che siamo? E poi lo hai dimenticato che lui era pescatore come noi, nostro collega era, e lo sa che cosa significa stare in mezzo al mare. E poi quando c’è tempesta, chè ogni volta tocchiamo la morte con gli occhi, e il mare pare che ci vuole mangiare, sembra che voglia far di noi tritato, e la schiuma ti sbatte nella faccia come se fossero tanti schiaffi che manda il cielo per farti espiare tutte le bestemmie che mandi quando stai sulla paranza, per farti espiare tutti i peccati. Lui lo sa che cosa significa quando si aprono le catarratte del cielo e noi diventiamo niente mischiati a nessuno, e il vento soffia e si porta la barca come se fosse una pagliuzza. E poi ogni volta che metti i piedi in terra alzi il pugno in cielo e gridi: non mi vedi più hai capito’ questa è l’ultima volta che mi ved! Hai capito! Lo sa, lui lo sa. Muciarotu: e invece siamo sempre qua sopra. Raisi: Già, e quando capita che non sto in mare per un paio di giorni, non lo so, ma è come se mi mancasse qualcosa, come se il giorno cominciasse senza l’alba, come se facesse buio senza il tramonto. Ma non è solo questo, io voglio mangiare il mare ne voglio sentire il sapore, devo calare la lenza per fargli capire che sono presente, che sono qua con lui. Tu devi pensare che quando son partito soldato per la guerra, ero imbarcato a bordo dell’incrociatore “Zara”, e quando sono partito, la testa ce l’avevo sempre alla

tonnara, e quando fummo bombardati, perché gli inglesi avevano i radar e noi ancora no, per questo ci hanno affondato, io son rimasto quindici ore in acqua e guardavo il cielo e mi spaventavo, guardavo il mare ed ero tranquillo, perché lo sapevo che non mi avrebbe tradito. E pensavo alla tonnara e sapevo che non poteva finire così, e pensavo che il mare, magari, si stava vendicando perché inganno i suoi figli, i tonni, facendogli trovare le trappole, quando entrano a branchi a Bonagia, la vucca di nassa, a bbastarda, u bastardeddu, l’udunaru, e alla fine la camera della morte. Ma io lo sapevo che non comunque non si sarebbe vendicato, perché lui lo sa che io gli ammazzo i figli, i tonni, perché devo campare la famiglia, e allora mi aggrappavo ad ogni cosa che trovavo, un pezzo di legno, unpezzo di incrociatore, ed ero tranquillo, solo che avevo una sete così forte che avrei dato barca e reti per trovarmi sotto le cannelle della fontana della piazza. Poi arrivarono gli inglesi e mi hanno fatto prigioniero. Mi hanno portato prima in Sudafrica e poi in Inghilterra. E per tutto il tempo che fui prigioniero io pensavo alla tonnara e a mio padre. Muciarotu: E poi, com’è andata a finire? Raisi: “Come è andata a finire” che cosa? Muciarotu: La prigionia. Non me lo avete finito di raccontare mai. Raisi: ma che ti devo contare, sono cose di tanti anni fa. Muciariotu: Però a Sgamirru Adragna lo avete raccontato! Raisi: E’ andata a finire che mi hanno portato in Inghilterra e lì sono rimasto per quattro anni, e io, il pensiero, per tutti quattro anni, ce lo avevo sempre alla mia terra. Poi ci hanno liberato, e subito ho fatto di tutto per arrivare in tempo per la mattanza, perché non ce la facevo più. Devi pensare che arrivati a Palermo da Napoli, nonostane fossi stanco morto, subito me ne sono andato alla stazione. C’era un littorina sola che faceva Palermo-Trapani. Vado per comprare il biglietto e mi dicono che non c’erano più posti e in piedi non potevamo stare. Non sapevo cosa fare, c’era un carabiniere di Paceco che come mi ha sentito parlare mi ha detto: “paisà, c’è cosa?” “ Ma veramente vorrei partire per Trapani con questa littorina e non mi vogliono fare salire. “non ti preoccupare ci penso io, ora tu ti metti accanto a me, e quando te lo dico io sali e vai nel corridoio e ti siedi sullo zaino, sta bene?” “sta Bene”.

Quando si sente il fischio del treno lui, che ne frattempo con il suo corpo mi aveva nascosto alla vista del capotreno mi dice “presto sali, sali, ci vediamo a Trapani.” Io salgo e littorina è partita. Faccio come mi aveva detto il carabiniere e vado a sedermi sullo zaino in corridoio. Passano cinque minuti e arriva il controllore: “lei qua non può stare” inutile che io gli dicevo “ mi lasci stare, è cinque hanni che sono prigioniero mi faccia restare” Niente, più duro della pelle di un mulo. Il suo collega gli diceva “ma lascialo stare, come non ti annoi” Ma lui niente, diceva “alla stazione Lolli deve scendere”. Allora mmi sono giocato l’ultimo pensiero, avevo una cassetta che miero fabbricato con tutte le latte del mangiare che mi davano durante la prigionia, questa cassa di lamiera era tutta piena di sigarette, qui in tempo di guerra se ne trovavano poche, allora apro la cassa prendo due pacchetti di sigarette e li offro al controllore “vuole fumare” dico, e quello “certo” Palermitano era e me lo comprai per due pacchetti di sigarette. E così sono arrivato a Trapani. L’indomani mattina presto ero già sulla barca di mio padre, che allora faceva il pescespadaro, e quella mattina pescai un pescespada di trecentoventi chili, e siccome la vintresca spettava a me, la sera sono andato a trovare quel carabiniere di Paceco che mi aveva aiutato gli porto la ventresca e gli dico “ecco, mangiatela con la tua famiglia, chè se non fosse stato per te questo pescespada sarebbe ancora in mezzo al mare” Muciarotu: Raisi. Raisi: Che c’è? Muciarotu: Ma vossia, se lo è mai chiesto che cos’è quel suono che fanno i tonni quando sono nella camera della morte? Raisi: Certo che me lo sono domandato, Il fatto è che non ci voglio pensare. A volte, quando ci penso, la notte non posso pigliare sonno. Quando siamo in mezzo alla mattanza noi non ci riflettiamo, ma tu pensa a questo pesce con la pelle d’argento, pensa a questa perfezione della carne fatta pesce, con quegli occhi (e io li ho visti tante volte in acqua) , con quegli occhi che hanno una luce che ti affascina, con quegli occhi che ti parlano. Vengono dal mare gigante, dall’oceano, quando incomincia la primavera, quando nell’aria si sente l’odore di zagara, e a loro, ai tonni, comincia a bollire il sangue, e loro se ne vengono qua nel nostro mare per trovare l’acqua più calde, per fare l’amore

per sentire le carezze delle femmine che nuotano accanto ai maschi, e fanno le riverenze, e si lisciano, e il sangue ancor di più bolle. Loro lasciano il mare grande e se ne vengono qua, da noi, per trovare le acque più calde, per trovare l’armonia, per trovare l’alcova tranquilla, il posto di poesia dove lasciare il “lattume” che si farà uovo, che dovrebbe farsi pesce, e so no felici, e nuotano e si lisciano gli amanti si accarezzano, e muovono le code carichi di amore e di felicità. Ed è in quel momento, quando il tonno si sente il re del mare, che noi abbiamo studiato per ingannarlo, lo prendiamo per il culo, gli facciamo credere che qui c’è il paradiso e invece l’inferno li aspetta, la camera della morte è preparata, la morte li aspetta. Per questo, quando noi gli piantiamo l’arpione sul corpo, e esce quel sangue pieno d’amore, il tonno prorompe in quel lamento che pare volesse dirci: perché? (Il Raisi s’inginocchia e canta con una voce straziante come se fosse tonno colpito dall’arpione mentre è nella camera della morte)

Perché perché perché il mare mi ha tradito

E tu femmina mia e tu p’amarmi Gettasti l’ultimo fiato. Perché perché perché

Il mare è arrosito Vedendo le mie carni ridotte in tale stato

Sentendo il dolore che mi ha dato Perché perché perché tu uomo pescatore

Con odio mi guardi e con forza m’ammazzi Io piango piangono gli abbissi

Io piango e tu ti fai grande Ti siedi come un papa e ti mangi le mie carni

Hai capito? L’amore ammazza i tonni, l’amore! E alle volte ammazza pure gli uomini. (Entra una donna che canta la leggenda della bella dello scoglio).

La bella sopra uno scoglio Sette anni lì è stata

Aspetta e ancora aspetta Il suo amante amato

Valente marinaio

Che navigasti in mare Hai incontrato un barca

Galante galantina?

Nessuno ho incontrato Solo cielo e mare

Con vento e con tempeste Bella che vuoi sperare?

La bella fa un lamento E guarda cielo e mare Pensa al suo interno

Piange lacrime amare.

Valente marinaio Che viaggi per il mare

Hai incontrato un cavaliere In una barchetta fina?

Nessuno ho incontrato

Solo una tempesta Barche e galere inghiotte

Anche i marinai

La bella fa un lamento L’occhi punta al mare Sembra una vera statua

Una statua di sale

Valente marinaio che viaggi per il mare hai visto una barchetta sfasciata nella rena?

Un cavaliere ho visto

Biondo e delicato Sopra un amaro scoglio

Il petto sfracellato

La bella fa un lamento E affonda dentro il mare

E l’onda ha fatto un mormorio Si è voluta lamentare

L’onda si è lamentata Che pena ha sentito Sotto nei profondi

La bella è scomparsa

Sette anni sopra uno scoglio

Fedele ella è stata Finita la sua speranza

La vita ha lasciato.

Muciariotu: Raisi Raisi: che c’è? Muciariotu: mi dica una cosa, senza offesa però! Ma vossia perché non si è mai sposato? Raisi: (ride) Pechè non mi sono mai sposat? Percè non mi ha voluto nessuno! Muciariotu: Ma se quando passate per la piazza tutte le donne vi mangiano con gli occhi. Raisi: Le donne, imparalo, sono come le fere del mare, che quando le vedi nuotare, spaccare l’acqua, tagliare gli abbissi, sembrano stelle del cielo discese a mare. Sono belle le donne, bellissime, e quando incontro i loro occhi la pelle ti suda coma la carne appesa alla macelleria in tempo d’estate. E quando loro ti guardano sembra che con quello sguardo vogliano succhiarti tutto il cervello. Sono belle le donne, bellissime. (Pausa) Ma terribili. Muciariotu: Ma raisi, mi scusassi, ma vossia comu fa? (intendendo e mimando con la mano l’atto sessuale) Raisi: Ma c’è la signora Sabetta! Muciariotu: Ma quella è una buttana! Raisi: (va verso il muciariotu arrabbiato e quasi lo colpisce con un malrovescio) Non lo dire più hai capito? Non lo devi dire più! Altrimenti sulla mia “muciara” non ci sali più hai capito? Non devi permetterti più, pwerchè altrimenti con uno schiaffo ti buco il cervello hai capito?

(pausa)

Tu lo sai che quando torno dal mare e tocco terra e sulle spalle ho manti di maestrale o di tramontana spinosa, e il freddo che mi porto dentro il petto mi assalta, voi ve ne tornate alle case dai bambini, dalla moglie, ve ne tornate alla famiglia, io resto solo al molo e mi guardo e mi faccio pena, mi piange il cuore. Allora me ne vado dalla signora Sabetta e lei mi riscalda.

(pausa)

Nella guerra del quindici-diciotto c’era fame, la gente quello che aveva xe lo teneva ben stretto. Gli uomini, quelli che restarono qui e non partirono per il fronte a mare non potevano andare. Miseria c’era, miseria. I tormenti si tagliavano con il coltello. C’era una criastiana, rispettosa di tutti, il suo cuore non era solo suo ma del mondo. Suo marito era partito per la guerra, lo avevano portato vicino Trieste. Avevano un figlioletto, piccolo ancora non aveva compiuto un anno. Era povera quanto una barca ubriaca, a quel tempo le malattie correvano come le tempeste, il suo bambino contrae la tubercolosi, si può salvare ma deve mangiare, allora la razione di pane era di cwento grammi al giorno, ma il bambino ha bisogno di latte, stava morendo. La signora allora incominciò, superando la vergogna, ad elemosinare, ma tutti appena la sentivano le sbattevano la porta in faccia, e quando la incontravano cambiavano strada. Il bambino oramai era arrivato, se non avesse bevuto un po’ di latte sarebbe morto subito. Un giorno la signora era a casa, piangeva, il bambino era nella culla, orami allo stremo. Sente bussare alla porta, si avvicina e sente una voce “Signora Rosa mi apra, altrimenti la gente vede me davanti alla sua porta”. La buttana del paese. La signora Rosa le apre, la buttana entra, si leva lo scialle, e sotto lo scialle ha una bottiglia con del latte, la buttana la porge alla signora Rosa dicendo “tenga signora Rosa, per il bambino, per il bambino” Poi va alla culla a guardare il bimbo si ferma a guardarlo per unpò, si avvolge di nuovo nello scialle e si avvia alla porta. Questo fatto continuò per un paio di mesi fin quando il bimbo non si è ripreso. Alla fine della guerra la signora Rosa se la passava bene, perché il marito al fronte aveva conosciuto gente importante, aveva salvato addirittura un conte da morte certa, e ora avevano quattro “palammiddare” e due “palangre” per la pesca del pescespada. Ora la signora Rosa era invitata nelle case dei notabili, però quando, pure in piazza, incontrava la buttana del paese, si ci fermava a parlare, se la metteva sottobraccio, e magari si facevano pure una passeggiata in piazza. La gente la choamava e le diceva “signora rosa ma che fa, passeggia con quella donna cattiva?” e allora la signora Rosa li guardava fisso negli occhi e diceva “guardatevi voi dntro la coscienza, e lasciatemi parlare con la gente vera, con la gente che sa cosa vuol dire stare al mondo.”

(pausa)

lo hai capito? Io sono vivo per una buttana.

Chi beddi capiddi teni a signurina Chi bedda facci teni a signurina

Chi beddi occhi chi teni a signurina

Coro: E Lina Lina Lina Lina

Cialomatore:

Chi beddi aricchi teni a signurina Chi bedda vucca teni a signurina Chi beddu coddu teni a signurina

Coro:

E Lina Lina Lina Lina

Cialomatore:

Chi beddu pettu teni a signurina Chi beddi minni teni a signurina Chi bedda panza teni a signurina

Coro:

E Lina Lina Lina Lina

Cialomatore:

Chi beddu biddicu teni a signurina Chi beddu culu teni a signurina Chi beddi cosci teni a signurina

Coro:

E Lina Lina Lina Lina

Cialomatore:

Chi beddu sticchiu teni a signurina E l'amu a maritari a signurina

Viremu a cu cci ramu a signurina

Coro:

E la ramu a lu Raisi a signurina E Raisi si la marita a signurina.

Muciariotu: (urlando) Sono arrivatiiii. Raisi: (dando i comandi) Presto, allora calate la prima porta. Quanti sono?...allora aspettiamo che arrivino gli altri…se sono arrivati questi allora vuol dire che quest’anno arrivano prima…fammi dare uno sguardo (prendendo la finestra a mare, una specie di grossa lente che come un tubo entra in acqua e consente guardando di vedere il fondo del mare,poi scrutando il cielo) il tempo non ci aiuta, se questi nembi portano acqua dobbiamo aspettare, se il vento se li porta oggi facciamo mattanza. Calo la lenza per sentire che dimensioni hanno…minchia belli grossi sono. Speriamo che non butti “matticciolo” (dando voce alla ciurma) aspettiamo, picciotti, aspettiamo. Dammi una tazza di caffè, (il muciariotu gli porge una tazzina col caffè) aah! Tutti a bere caffè. L’altra mattina ero seduto al bar e mi sono accorto che in mezz’ora sono entrati una cinquantina di persone a prendere il caffè, a mille lire l’uno fanno cinquantamilalire, in un giorno possono entrare trecento quattrocento persone? E fanno quattrocentomilalire al giorno. Mah! Se l’avessi inventato io il caffè, no sarebbe piaciuto a nessuno. (guardando il cielo) Ma speriamo che non si butti “matticciolu” altrimenti balliamo stamattina. Orecchi tese picciotti. Muciariotu: Raisi, non mi prenda per cacasotto, ma io quando c’è matticciolu e sono sopra la barca mi spavento. Non sono come vossia che non si spaventa di nulla. Raisi: E pezzo di minchione! Vero è, ne ho passate tante, ma son caduto sempre in piedi, ma sono stato fortunato. Ma lo sai quante ne ho visti morire a mare? Te lo sei dimenticato quando è affondato il vascello di levante e due padri di famiglia ci hanno perso la vita? E quando butta tempesta noi siamo morti che camminano sopra la barca, o quando tira la dragunara e la vedi scura scura che compare all’orizzonte e s’avvicina sempre più. E si cci deve tagliare la coda a questa strega di morte.

Iu ti tagghiu e ti cuntratagghiu c'un cutidduzzu di manicu nivuru.

Nun mi tagghiari , e cuntratagghiari chi mi nni vaiu n'abbanna lu mari.

vattinni unni nun c'è gaddi unni nun c'è gaddini unni nun c'è abbitazioni di cristiani.

Crialeisò

Cristaleisò Crialeisò

Cristaleisò sta cura tagghiata sia.

(ricordando) Mia nonna me lo diceva sempre “quando sei in mare e butta la dragunara devi fare lo scongiuro” Babbasuni! Io pure mi spavento, è che non ci penso, ma anch’io mi spavento, ch è che non si spaventa quando è in mare e c’è tempesta. Solo in un’occasione sono in mare e non mi spavento e sono tranquillo ed è quando c’è la processione della madonna a mare. (Si sente il canto che accompagna la processione a mare del protettore dei favignanesi dovrebbe entrare una barca anche piccola con un santo a bordo carica di lumini e di fiori.Alla fine del canto dovrebbero accendersi delle milleluci o dei piccoli botti.)

E Madunnuzza Mia faciti bon tempu cch'hai l'amanti miu n'menzu a lu mari Sta Madunnuzza mi l'havi a guardari Sanu e salvu mi l’havi a fari turnari

E quannu veni na littra ch’ahiu a dari Ch’haiu a mettiri duci paroli

Quant’haiu chianciutu senza di tia Sapennuti sulu n’menzu a lu mari

(Alla fine del canto comincia la processione e dopo il Raisi va a sedersi sullo scoglio) sto pensando a come i pesci a volte sono più amorosi delle persone e si rispettano. L’hanno scorso, te lo ricordi?, un delfino restò impigliato tra le reti e non riuscì più liberarsi. Tutti gli altri delfini del branco son rimasti ad aspettarlo, non se ne sono andati, e giravano tondo tondo, non lo hanno abbandonato. Noi lo abbiamo visto e abbiamo pensato: per stasera andiamo che fra poco si libera. Ma quando mai? La mattina dopo il delfino era ancora impigliato tra le reti, ma la cosa che mi ha fatto restare a bocca aperta fu che tutti i suoi compagni erano rimasti lì ad aspettarlo.

Aspettavano, pure la sua morte, ma aspettavano. Allora io vedendo questo ho dato ordine “Giovanni, vai a vedere quello che puoi fare” Allora Giovanni si è immerso e gli ha dato la libertà. Allora i suoi compagni gli si son messi intorno e gli hanno fatto festa. Lo hanno aspettato, lo capisci? Lo hanno aspetttato per due giorni.! Ora questa cosa mi fa pensare al vecchi raisi Mommo. L’altro giorno l’ho visto seduto al molo. E gli ho parlato: “raisi , che cosa fate?” “ma che devo fare? Mi avete accorciato la vita…sto con mio padre.” “vostro padre?” “mio padre il mare. Chi è che mi ha dato a mangiare per una vita intera, mio padre il mare. Ed io qua me ne vengo a fargli compagnia...i miei figli, vorrebbero che io indossassi la cravattina, la giacchettina e me ne andassi a sentire tutte le minchiate che sparano al circolo…no, io qua me ne sto con mio padre…mi avete accorciato la vita perché sulla barca non mi volete più…i miei figli mi dicono papà sei grandetto e ti stanchi…mi stanco? Ma se mi sento di caricarmi sulle spalle quattro barche di paranza…grandetto! Mi vezzeggiano hai capito…per fottermi… noo ma io non lo abbandono a mio padre il mare! Ogni giorno lo vengo a trovare. La matinna vengo qua a guardare le barche prendere il largo, e aspetto fino alla sera quando entrano mle barche con il pescato e io li aiuto a scaricare il pescato, tutti quei pesci che sembra che ballino, le sarde, le triglie e sembrano che ballino per me per il raisi, o i polpi si alzano sui tentacoli e sembra che facciano la rivernza a me al risi…ora non mi volete più sulle barche, ma io me lo ricordo, quando ero io il raisi, e comandavo tutta la ciurma , e il giorno di mattanza tutto il paese c’era al molo, tutto il paese per venire a salutare a me il raisi, ora quest cose non si usano più…ma ai miei tempi…il giorno di mattanza scendeva il sindaco e il prete, e quando arrivava il prete noi ci mettevamo in ginocchio e il prete passava e ci dava la benedizione…e dopo che i prete ci aveva dato la benedizione…io davo il comando “presto mettete le barche a mare”…e i ragazzi mettevano le barche in mare e cominciavamo a navigare…e quando arrivavamo alla n’tinna mettevamo tutti i fiori attorno alla palma, ci levavamo i berretti e io incominciavo a pregare e tutti i picciotto rispondevano in coro…un reca materna…unpadrenostro…un avemaria…e quando fnivamo tiravamo i berretti in alto e prima di riprenderli gridavamo buongiorno tonnara!...allora incominciavamo a preparare e io davo i comandi…levaaa…mollaaa…e i tonni entravano di porta in porta, e poi quando erano vicini alla camera della morte io me li studiavo…e quando era il momento gridavo levaaa…a nome di Dio levaaa…e tutti i picciotti diventavano tanti guerrieri del mare…presto mettiamo le barche a quadrato…e cominciavamo a tirare la rete…ajamola ajamola…e allora cominciava a muoversi il vascello…e quando il vascello di levante chiudeva il quadrato io davo l’altro comando…e comiciavano a tirare per far alzare il “coppu”…e tira..e tiraaa… e il mare cominciava a incresparsi e fino a diventare come un pentolone ce bolle e poi il primo argento…il primo tonno… e poi tutti i tonni erano a galla…e io me li studiavo…e cpivo chi fosse il

capobranco…e quando lo individuavo cominciavo a guardarlo in mezzo agli occhi…io gurdavomlui e lui guardava me…e i picciotti fermi erano e fermi restavano…e non si sentiva niente soltano il rumore dell’acqua smossa dai tonni…allora io prendevo l’arpione mi alzavo in piedi sulla muciara…alzavo l’arpione in alto e lo scagliavo sul dorso del capobranco…e il mare incominciava a tingersi di rosso del sangue di tonno e questo era il segnale perché i picciotti diventavani come animali assetati di sangue… gettavano quegli arpioni e uno e due…e prendevano quei tonni animali di trecento chili che con un colpo di coda potevano ammazzare tre cristiani e uno e due…e lo tiravano sul vascello di levante…e uno e due… e il sangue usciva e il mare cominciava ad imporporporarsi euno e due…e poi quando l’ultimo tonno era rimasto…tutti lo tiravano sul vascello di levante e si buttavano in mare nella camera della morte… che ormai era tutto sangue e venivano sotto la muciara mia e aspettavano…aspettavano…io allora prendevo un’ascia decollavo il capobranco e mettevo la testa sul mio arpione e lo alzavo…e cominciavamo a camminare…io davanti sulla mucoiara e tutte le altre barche dietro…e io tenevo in alto la testa del capobranco sull’arpione...e c’era tutto il paese ad aspettarci al molo…e quando ci vedevano spuntare cominciavano rtutti a gridare viva il raisi viva il raisi…ed io con la testa del capobranco sull’arpione…che sembravo dio in terra…e la gente gridava viva il raisi viva il raisi…e la banda suonava…no io qua sto con mio padre il mare…viva il raisi…suonava suonava…viva il raisi…e io con l’arpione in alto con piantata la testa del capobranco…viva il raisi…no non posso andare in piazza qua devo stare con mio padre…viva il raisi…e la banda suonava…viva il raisi viva il raisi.

(pausa)

Questo mi disse il raisi mommo, e a me nessuno me lo leva dalla testa che mi andrà a finire come lui. (ricominciando a dare i comandi ridestandosi dal momento di ricordo e dal tono sognante che ha avuto per tutto il racconto del raisi Mommu) occhi picciotti. Orecchie tese, a che punto siamo…sta bene controlliamo la vucca di nassa…turi vai a dire a Giovanni di andare a controllare laggiù…il tempo si è aggiustato…picciotti…che dice Giovanni? Quanti sono trecento?...allora tenetevi pronti che oggi si fa mattanza…appena entrano dovete essere svelti picciotti…avanti ora forza nelle braccia facciamo avvicinare il vascello mettiamo il vascello a quadrato…forza nelle braccia non deve scappare neanche un tonno. (comincia a cantare la cialoma)

Aja mola aja mola coro:aja mola aja mola (ripetuto ad ogni verso)

aja mola e jemuninni jesu cristu cu li santi

e lu santu sarvaturi criasti luna e suli

criasti tanta ggenti criasti i pisci a mmari

li tunni e li tunnari un prumettiri e nun mancari

e stu Diu n'avi aiutari e mannarini n'salvamentu

arbu ri mari e m'puppa di ventu nu gran portu n'sarvamentu

e putirinni ancurari stu Diu n'avi aiutari

nni scanzi d'ogni mali a gran santa parturienti virgini santa parturiu

fici un figghiu comu Diu pi nnomu jesù lu chiamau

tornami jesu na bbona furtuna una e l'autra pocu dura

una e l'autra pocu durata Riggina n'curunata

Riggina di stu munnu porta chiaru stu bon jornu

stu jornu comu avemu comu avemu ricivutu comu pasqua e natali sunnu festi principali

san giuseppi fustivu spusu fustivu spusu di maria e mmaria aiuta a nnui

chi semu figghi soi san giuseppi u vicchiareddu porta l'ascia e lu scarpeddu

n'ta na manu jesu beddu purtava jesu bbiatu

di li verri bbonu surdatu di li verri cummannaturi omini beddi vai c'amuri

sunni rosi cu li ciuri sunnim panni di culuri sunnu panni di suria e st'annata sarva sia

Sono entrati…e allora teniamoci pronti…portami la finestraamare…guarda come girano belli…e allora fai salire i picciotti sul vascello di levante appena siete tutti datemi voce che cominciamo…picciotti non si scherza più…orecchi tesi e occhi aperti…forza muciariotu…forza con questi remi…preparate gli arpioni…dobbiamo essere come un’ingranaggio perfetto…orecchi a me sempre…fate quello che vi dico…non fate come giufà…una volta giufà

Cuntu di giufà

(alla fine del cuntu)

Giufà giufà mi ride il cuore Se solo penso a te

I bambini stanno tranquilli Quando si racconta la tua poesia

Ah! La poesia, se ti racconto che me l’ha fatta conoscere la poesia. È stato uno dei giorni più belli della mia vita, uno di quei giorni che non comprendi subito, ma che aprono all’improvviso nella mente quando nemmeno te lo aspetti come sete che coprono dote di matrimonio. Uno di quei pochi giorni della vita che uno si conserva in testa nelle caverne del ricordo e che ripensi ogni volta che ti prende la malìa di non perdere le gemme della miniera della memoria. Io era piccolo, ero con mio padre sul “lontru”, un’intera mattinata sopra la barca a spiare il mare, mio padre ce l’aveva ogni tanto con questa storia che dovevamo studiare il mare, ammansire gorghi e correnti, mettere a mente conche e secche, grotte e scogli. Già il giorno incominciava ad addormentarsi, e il mare stava inghiottendo il sole a poco a poco, se lo godeva e si faceva baciare come il petto quando apre i sensi al vino. C’eravamo lasciati Marsala dietro e procedevamo verso Trapani, accanto spuntò l’isola di Mozia, immobile solitaria, con il suo carico di segreti, con il rispetto che ho cominciato a portarle da quando mi han detto che c’è il cimitero dei bambini, bambini antichi, e ogni volta che passo di là mi sembra di sentirli cantare e mi sto zitto zitto fino a quando l’isola non scompare alla vista. Verso terra erano spuntate le montagne di sale dello stagnone, incappucciate, la striscia bianca di sale che affiora lentamente, col suo tempo, e quella azzurra che aspetta per prosciugarsi, del mare del canalone. “le saline dello stagnone ci guardano come se fossero giganti di un altro mondo, guardele sembrano giganti addormentati, viriamo di poppa e andiamo a trovare all’amico mio Turi il salinaro poeta.” Smorzammo il “lontru” e ci avviammo. Lui ci aspettava al molo piccolino che serviva per le barche che caricavano il sale.

Apenna si videro, con mio padre, s’abbracciarono, e a me parse che in quel momento tutti i marinai di Sicilia, tutti i marinai del mondo discesero per dar forza a quelle quattro braccia che si stringevano. “questo è mio figlio, il piccolo”. Mi guardò, e io ho capito che mi stava studiando, poi mi posò la mano nella guancia, una mano secca secca, le vene si potevano raccogliere, una mano dove già strisciava il verme della morte, e quasi a leggere i miei pensieri, Turi il salinaro poeta proruppe in una tosse di quelle che bucano il petto. Sedemmo. Davanti a noi, mentre mangiavamo olive cacio e pomodori, il mare stava finendo di mangiarsi il sole. Ti è mai capitato di mangiare e mentre inghiotti ti perdi nei pensieri, e mentre ti perdi ingrassi, e mentre ingrassi capisci che stai invecchiando lentamente? Ecco, questo si prova nel vedere la luce che se ne va a dormire. Finimmo di mangiare e Turi, il salinaro poeta, davanti ad un bicchiere di malvasia cominciò a recitare la sua poesia: “mulinu abbannunatu”, “disiu D’amuri” “ogni focu addiventa cinniri”. Io lo gurdavo a bocca aperta mi sembravano musica quelle parole , e lui continuava con quella voce ingrossata dal sigaro, e ogni volta la sua voce prendeva forza, colore, fantasia. Io nemmeno mi asciugavo la saliva che mi scendeva dalla bocca, lo guardavo e mi sembrava, lui malatu, vecchio, gobbo, bruciato dal sole, mi sembrava un ciclope. Quando ci alzammo per andare, e lui e mio padre si salutarono, si avvicinò a me, anche se non mi aveva neanche guardato, mi disse “quando il destino non ti aiuta chiedi consiglio alla poesia” Per tutto il tempo che impiegammo per tornare a Favignana me ne stetti zitto zitto, ripetendomi intesta quelle parole. Poi con la luce non ci pensai più. Me lo scordai a Turi, il salinaro poeta, la testa ce l’avevo sempre alla tonnara, i tonni e la tonnara, i tonni e la tonnara, che strano il destino. Io ammazzo i tonni e loro hanno divorato lentamente la vita mia. Ma un giorno di luglio la vidi, avevamo la barca attraccata a Mazzara, dovevamo restare lì per una quindicina di giorni. Una di queste sere, mentre ero alla teverna, seduto a bere un fiato di vino, l’ho vista bella come il velo del mare all’aurora. I suoi sembravano due stelle accese in cielo quand’è mezzanotte, al suo sorriso meraviglioso non c’era notte che poteva resistere. Le onde del mare sbattono contro gli scogli, ma contro le onde dei suoi capelli poteva sbattere, cadere, e morire, l’umanità intera. Era bella, ancora in fiore, quella sera non potevo smettere di guardarla, ella se ne accorse e arrossì come un fuoco nella vampa. Quel fuoco mi fece ribbolllire il sangue nelle vene.

Ogni sera andavo a trovarla, e ogni sera si fermava il mondo e cominciavo a viaggire io, con la testa, con i pensieri, e ogni volta che la guardavo lei arrossiva e a me il sangue ribbolliva nelle vene. Una sera mi presi di coraggio e la invitai a fare una passeggiata, mi disse di si, dopo il lavoro alla taverna. Quella sera aspettai che finisse di lavorare e quando uscì dalla taverna mi sembrò che comparisse tutta la bellezza dell’universo, era bella come una madonna, si avvicinò ed io m’ubriacai del suo profumo. Andammo alla spiaggia, c’era la luna piena, davanti a noi l’Africa ci guardava e non parlava, mi ricordo stava davanti a me come ora tu con me, era bella quella sra, bella come non era stata mai, mi guardava con una luce negli occhi, una luce che non scorderò più finchè campo. Una crezza un velluto immenso e lucente di giovinezza. Io non trovavo le parole, non sapevo come dirle che quanto mi aveva fatto innamorare, quanto mi aveva rapito il cervello. E allora, in quel momento, mi vennero a mente le parole di Turi il salinaro poeta “quando il destino non t’aiuta domanda consiglio alla poesia” allora me ne calai sulla rena e scrissi con la mano tremante “guardo te nella luna chiara e i suoi raggi sembrano chiamarti” Allora lei si distese sulla rena accanto a me e mi regalò la freschezza delle sue carni.

(pausa)

che ditee..siamo tutti pronti…e allora picciotti forza con le braccia.. E allura, semu tutti pronti...picciotti forza n'tà sti vrazza...n'cuminciamu a affirrari la

rizza...muciaritu forza cu sti rimi...picciotti mi raccumannu amu a essiri chiù forti di la natura...tutti n'semmula amu a essiri tutta na cosa...facemunni la cruci e

ringraziamu lu signuruzzu pi la grazia chi nni runa...sistimamunni...sempri occhi a mia e aricchi tisi...semu tutti sistimati...passami la finestra a mmari...ci semu

picciotti...mi raccumannu a li punti...stamu attenti chi sunnu c'assutta...picciotti forza n'tà li vrazza...nuddu chi parra ora nu si babbia chiù...aricchitisiiii...cci

semuuuuu...sunnuccà suttaaaa....prontiiiii...prontiii...tutta na cosa picciottiiiiii...e allura a nnomu di Ddiuuuu levaaaaaaaaaaa!!!...levaaaaaa a nnomu di

Ddiuuuuuuu...traseruuuuu...forza n'cuminciamu a ghisariiiiiiii...forza mittemucci forzaaaaa...emu a paruuuuu...forza picciottiiiii...isamuuuu...aggrizzamu a manu mancaaaaaa...forza niscemu l'anghiiiiii...forzaaaaaa forzaaaaaa forzaaaaaa cu li

vrazzaaaaa...forzaaaaa...cazzamuuuuu...cazzamuuuuu...gnanzo'ù gnanzo'ù

(ripetuto ad ogni verso)

Diu nni scanzi di cursari e di chiddi turchi cani

turchi e mori saracini

livantini chi nu cririnu alla firi cristiana

corpu santu sarvaturi a livanti nesci u suli a punenti di l'arburi e la stidda mattutina o mia bedda catarina

di lu n'fernu fusti riggina di lu 'n'fernu autru mari

palermu e murriali palermu la to cala

varda recu e tramuntana a puglia terra chiana

santu virgu di la scala di levanzu a duana

a furmicula baggiana sfidau a faugnana

faugnana terra chiana di trapani a culummara

gnanzo'u la ciuri omini beddi vai cu amuri

est stanca sta ciurma tutta quanta

o canta canta san petru varba bianca

porta i chiavi da spiranza porta i chiavi du paradisu comu Diu ci l'ha prumisu

san petru piscaturi piscava ca so varca sta varca malfitana

com'è bedda la so varca arrispunni a cu ti chiama arrispunni cu è chiamatu

corpu santu luriatu e la ciurma nun si stanca

e assumma o coppu sa tunnara fussi mia

gran mircanti mi faria u patruni est gran signuri

lu rais cumannaturi capi vardia gran sbirruni

vardiani gran 'nfamuni muciara raisi mancia 'nghiumi muciara suari arrobba lattumi

vintureri gran 'mbriacuni rimorcheri scula bicchieri

e assumma, assumma, assumma e assumma , assumma, assumma...

...prestu muciariotu a centru a centru...avanti picciotti chi semu a quadratu...manu a li crocchi...stannu affacciannuuuu...muciariotu la cirata...affacciaruuuuuuuuuumanu a li crocchiiiiiii...stamu attenti picciotti occhi a miaaaaaaaaaaa....ccà sunnuuuuuuuuuu...e alluraaaaa...unu e dui e n'cumincia na granni e tirribbili battagghia.......

CUNTU DELLA MATTANZA Di come i tonnaroti si armano dell’arpione

Di come cominciano a conficcare gli arpioni sul dorso dei tonni Di come i tonni cadono dentro il vascello di levante

Trasformazione dei tonni in tonnina Di come il rraisi governa la mattanza

Di come il sangue dei tonni imporpora tutta la camera della morte Di come i tonnaroti continuano a mattare

Di come il rraisi incita i tonnaroti e li sprona a continuare senza pensare alla fatica Di come i tonnaroti mattano l’ultimo tonno

Di come i tonnaroti si tuffano dentro la camera della morte Di come al rraisi sembra sentire un pianto lontano.

Lu Rraisi:Finemu puru pi st'annu...senti, senti lu ciavuru di lu sangu? Ora si li portanu e li vannu a marturiari supra la chianca...di favignanaaaa ancora lu sangu cavuru ch'avi sta tunnina si l'accattassi signura n'cà stasira si fa li mulinciani ammuttunatiiii tunnina tunnina frisca di favignana stamatina mi la purtaru (esce mentre "abbannia" alla maniera dei venditori di pesce del mercato di ballarò) tunnina tunnina frisca stamatina mi la purtaruuu..... (mentre esce il Rraisi entra la bedda di lu scogghiu) La bedda di lu scogghiu:

Dissi lu tunnu "chi sugnu infatatu ca tutti stati spiranza di mia? E si li surri ci aviti pigghiatu li paghiriti cu la pliggirìa."

"Zittuti tunnu cani scilliratu ca tutti stamu spiranza di tia

e si li surri ci avemu pigghiatu

li pagheremu cu salari a tia.

(BUIO LENTAMENTE IN DISSOLVENZA).