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CULTURA EGEMONICA E CULTURE SUBALTERNE – ALBERTO CIRESE CAPITOLO Q Q1: Il concetto di cultura. L’etnocentrismo e l’esclusivismo culturale. La pluralità e la relatività delle culture. Cultura osservante e cultura osservata Il termine “cultura” indica il complesso delle attività e dei prodotti intellettuali e manuali dell’uomo in società. Il concetto ci cultura viene formulato per la prima volta da Tylor nel 1871 in Primitive Culture. Il concetto etno-antropologico di cultura è il risultato del superamento di un atteggiamento mentale che viene definito etnocentrismo; questo atteggiamento consiste nel credere che la propria cultura sia la migliore e viene, così, usata come metro di misura e valutazione delle forme, dei contenuti e dei valori delle culture altre. Di conseguenza vengono giudicati positivamente tutti i fatti che rientrano nei propri quadri mentali e negativamente tutte quelli che rispondono ad altre concezioni e visioni del mondo. Una forma particolare di etnocentrismo è l’esclusivismo culturale, in questo caso, gli strati subalterni vengono rigettati fuori dalla cultura dominante perché non hanno la stessa visione del mondo. Questi atteggiamenti, essendo dotati di pregiudizio, precludono la conoscenza di altre culture. Lo studio dei gruppi sociali, può essere affrontato solo se si accetta l’idea che nel mondo ci sono una pluralità di culture. In questo caso, l’atteggiamento di rifiuto dell’etnocentrismo e di accettazione della pluralità delle culture va spesso sotto il nome generale di relativismo culturale. Q2: I dislivelli interni di cultura, gli studi demologici e la rappresentatività socio-culturale dei fatti folklorici Possiamo definire “dislivelli” le distanze culturali che ci separano dalla nostra. Ci sono i dislivelli esterni alla nostra società quando ci riferiamo alle società etnologiche o primitive e dislivelli interni quando ci riferiamo ai comportamenti e alle concezioni degli strati subalterni e periferici della nostra stessa società. I dislivelli interni di cultura si sono formati a causa delle difficoltà materiali delle comunicazioni che provocano forti isolamenti delle zone periferiche rispetto a quelle centrali capaci di più decise ed espansive innovazioni, a causa della discriminazione culturale dei ceti egemonici nei confronti dei gruppi, che vengono esclusi dalla produzione e dal godimento di questi beni di cultura, e a causa della resistenza dei ceti periferici e subalterni alle imposizioni civilizzatrici dei ceti egemonici che volevano convincere le classi più povere a credere alla loro stessa religione e alle loro stesse idee. Gli studi

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CULTURA EGEMONICA E CULTURE SUBALTERNE – ALBERTO CIRESE

CAPITOLO QQ1: Il concetto di cultura. L’etnocentrismo e l’esclusivismo culturale. La pluralità e la relatività delle culture. Cultura osservante e cultura osservataIl termine “cultura” indica il complesso delle attività e dei prodotti intellettuali e manuali dell’uomo in società. Il concetto ci cultura viene formulato per la prima volta da Tylor nel 1871 in Primitive Culture. Il concetto etno-antropologico di cultura è il risultato del superamento di un atteggiamento mentale che viene definito etnocentrismo; questo atteggiamento consiste nel credere che la propria cultura sia la migliore e viene, così, usata come metro di misura e valutazione delle forme, dei contenuti e dei valori delle culture altre. Di conseguenza vengono giudicati positivamente tutti i fatti che rientrano nei propri quadri mentali e negativamente tutte quelli che rispondono ad altre concezioni e visioni del mondo. Una forma particolare di etnocentrismo è l’esclusivismo culturale, in questo caso, gli strati subalterni vengono rigettati fuori dalla cultura dominante perché non hanno la stessa visione del mondo. Questi atteggiamenti, essendo dotati di pregiudizio, precludono la conoscenza di altre culture. Lo studio dei gruppi sociali, può essere affrontato solo se si accetta l’idea che nel mondo ci sono una pluralità di culture. In questo caso, l’atteggiamento di rifiuto dell’etnocentrismo e di accettazione della pluralità delle culture va spesso sotto il nome generale di relativismo culturale.

Q2: I dislivelli interni di cultura, gli studi demologici e la rappresentatività socio-culturale dei fatti folkloriciPossiamo definire “dislivelli” le distanze culturali che ci separano dalla nostra. Ci sono i dislivelli esterni alla nostra società quando ci riferiamo alle società etnologiche o primitive e dislivelli interni quando ci riferiamo ai comportamenti e alle concezioni degli strati subalterni e periferici della nostra stessa società. I dislivelli interni di cultura si sono formati a causa delle difficoltà materiali delle comunicazioni che provocano forti isolamenti delle zone periferiche rispetto a quelle centrali capaci di più decise ed espansive innovazioni, a causa della discriminazione culturale dei ceti egemonici nei confronti dei gruppi, che vengono esclusi dalla produzione e dal godimento di questi beni di cultura, e a causa della resistenza dei ceti periferici e subalterni alle imposizioni civilizzatrici dei ceti egemonici che volevano convincere le classi più povere a credere alla loro stessa religione e alle loro stesse idee. Gli studi demologici si occupano della diversità culturale che si accompagna o corrisponde alla diversità sociale: tra tutti i comportamenti e le concezioni culturali essi isolano e studiano quelli che hanno uno specifico legame di “solidarietà” con il popolo.

Q3: Popolarità e popolo. Popolare e popolareggiante. Circolazione sociale dei fatti culturali, ascesa e discesa, folklorizzazioneLa popolarità di un fatto culturale è la relazione storica di differenza rispetto ad altri fatti culturali compresenti all’interno dello stesso organismo sociale. La popolarità si definisce per differenze, assumendo, così, un carattere relazione e contrapposto che può essere verticale quando tutta la nazione senza distinzione di classi e categorie sociali, viene contrapposta a ciò che alla nazione è estraneo e orizzontale quando abbiamo la presenza di quei modi di concepire il popolo che distinguono categorie diverse all’interno di una stessa società. Tra la zona dei fatti popolari e quella dei fatti culti possiamo riconoscerne un’altra che ci viene data dalla poesia popolareggiante, ovvero composizioni fatte per il popolo senza che in esse intervenga l’elaborazione popolare che invece si ritrovano nella poesia popolare. Lo strato popolare e quello culto sono legati tra loro da una fitta rete di scambi, prestiti e condizionamenti. Questa affermazione segnalerà che i fatti culturali oltre alla trasmissione nel tempo e alla diffusione subiscono anche uno spostamento nella dimensione sociale i cui spostamenti sono detti circolazione culturale e circolazione sociale dei tatti culturali che può avvenire tra ceti di livello gerarchico equivalente. Molto importanti sono anche gli spostamenti che avvengono fra strati sociali di livello gerarchico diverso, che hanno un prestigio sociale e culturale: ceti dominanti da un lato e ceti dominanti dall’altro. Si parla di “processo di ascesa” quando si ha la situazione inversa. I fenomeni di circolazione culturale possono essere espressi in termini di acculturazione. Altre correnti di pensiero ammisero una tesi inversa, ma ciò

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che più interessa agli studi demologici è lo studio della rappresentatività socio-culturale di certe formazioni e il loro modo di vivere nel mondo subalterno. Per folklorizzazione intendiamo quel complesso di innovazioni con cui, a livello popolare, si interviene su un culto adattandolo alle proprie esigenze. È, insomma, un processo popolarmente connotativo così come popolarmente connotati sono i suoi prodotti.

Q4: Prospettive generali delle indagini demologiche: orientamento storico e orientamento sociologico; storicismo e naturalismo; taglio diacronico e taglio sincronico; punto di vista pancronico; livello simbolico o segnico e livello materiale o effettualeMa, in che modo vanno studiati i fatti popolarmente connotati? I fatti che costituiscono l’oggetto delle indagini demologiche presentano due facce: quella di avere un’origine remota, quindi “temporale” e quella di essere vivi nell’uso presente, quindi “cronologica”. Essi possono assumere il 1) valore di traccia o prodotto di vicende culturali di un tempo già trascorso, in questo caso verranno studiati come documenti del passato, 2) il valore di componenti di un modo di essere che è ancora in atto in un dato momento del tempo e, in questo caso, vengono studiati esclusivamente come documenti di una condizione culturale attuale e 3) quello di tentar di superare la separazione tra i due aspetti, in questo caso, occorrerà trovare un punto di vista unitario che riesca a collegare i due aspetti in quanto esaminandone uno si esamina anche l’altro. Nel secondo ventennio del nostro sec. Gennep e Marinus contrappongono al folklore storico il folklore sociologico. Questa opposizione si rispecchia nella contrapposizione tra ricostruzione del passato e conoscenza del presente. La contrapposizione tra storia e sociologia assume una rilevanza teorica nel funzionalismo inglese e praghese. Nel funzionalismo inglese l’opposizione tra etnologia e antropologia sociale viene ad assumere il valore assegnato alla distinzione tra analisi storica e analisi teorica, ovvero tra ricerche idiografiche, che ha lo scopo di stabilire come accettabili alcune proposizioni particolari e tra ricerca nomotetica, che ha lo scopo di enunciare proposizioni generali e vengono identificate come scienze al contrario delle ricerche idiografiche. Abbiamo anche l’opposizione tra indagini diacroniche e sincroniche formulate dal linguista Saussure, secondo cui, gli oggetti della ricerca linguistica si collocano su due assi chiamati: asse della simultaneità e asse delle successioni. L’asse della simultaneità, che è orizzontale, riguarda il rapporto tra cose coesistenti nello stesso momento nel tempo mente l’asse verticale, che è quello delle successioni, riguarda le vicende subite attraverso il tempo da ciascuno degli elementi che si trovano sull’asse. Possiamo definire sincronica la relazione temporale tra le cose viste sull’asse della simultaneità e diacronica, quelle viste sull’asse delle successioni. Diremo, quindi, “sincronico” ogni studio che considera i fenomeni nella loro compresenza e “diacronico” ogni studio che considera i fenomeni nel loro passaggio attraverso il tempo.

Q5: Sguardo cronologico ai principali indirizzi di studioCiò che caratterizza gli interessi antiquati è che si collocano anche gli usi popolari. Dal canto suo, nel popolarismo romantico l’origine dei fatti demologici si pone nell’epoca “aurorale” della vita delle nazioni. Il filone antiquario e quello del popolarismo romantico hanno interessi diacronici, nel senso che si occupano di antecedenti cronologici e entrambi impiegano la tecnica della comparazione. Nella metà dell’800 Muller elabora una teoria chiamata mitologia comparata che concepisce le fiabe come resti di un’antichissima mitologia aria o indo-germanica dove l’interesse fondamentale continua ad essere quello diacronico. Ben presto, però, la mitologia comparata si trova di fronte ad un prestigioso avversario teorico, ovvero, l’evoluzionismo. I massimi rappresentanti dell’evoluzionismo, nato nell’ultimo trentennio dell’800, erano Tylor, Frazer e Morgan. Il punto fondamentale di questa corrente è l’idea che le società si sviluppano lungo una successione di fasi identiche e obbligatorie per tutte. Viene quindi portata avanti la tesi di sviluppo unilineare delle culture. L’evoluzionismo della scuola antropologica formula la teoria della sopravvivenza secondo la quale i fatti folcloristici sono i resti di precedenti stadi culturali, resti che persistono anche in stadi culturali successivi. Alla fine dell’800 alle teorie dell’evoluzionismo si oppongono gli indirizzi diffusionistici. Gli orientamenti diffusionistici hanno in comune il rifiuto della teoria degli stadi evolutivi obbligatori, inoltre, mentre l’evoluzionismo si basava sulla teoria poligenetica, il diffusionismo appoggiava la teoria della monogenesi e cioè, della nascita di ogni

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fatto culturale in luoghi e tempi determinati e del suo successivo diffondersi in altri luoghi a partire dal suo punto di origine. Entrambi i pensieri hanno in comune, però, la prospettiva diacronica, ovvero per entrambi la successione nel tempo e la spiegazione dei fenomeni viene a coincidere con l’identificazione di questa vicenda temporale. Nel periodo che sta tra le due guerre mondiali si assiste allo sviluppo di indirizzi di tipo funzionalistico che si contrappongono sia all’evoluzionismo sia ai diffusionismi. Il punto che accomuna questi nuovi indirizzi è l’abbandono della considerazione diacronica per accettare quella sincronica: le società vengono concepite come sistemi collegati tra loro. Questi sistemi possono essere concepiti in due modi diversi:1. biologicamente in cui si ritiene che la società sia assimilabile ad un organismo2. simbolicamente , in questo caso si ritiene che il sistema sociale non sia spiegabile in base ad

analogie biologiche ma come una rete di rapporti di scambi costituita dal linguaggio e, più in generale, da ogni forma di comunicazione per mezzo di simboli o segni.

Nel funzionalismo inglese, sviluppatosi negli anni 1920-1940, la ricerca diacronica si separa dalla ricerca sincronica portando alla distinzione di due discipline: l’etnologia che ha come compito l’indagine diacronica e quindi lo studio della storie delle popolazioni primitive e delle loro produzioni culturali e l’antropologia sociale che, invece, ha come compito l’indagine sui sistemi sociali, per cui la comprensione degli antecedenti cronologici è del tutto irrilevante. Il funzionalismo folklorico praghese si manifesta attorno al 1930 e tanto Van Gennep quanto il neofolklorismo di Marinus privilegiano una prospettiva sincronica ovvero si occupano principalmente del significato e del valore che i fatti folklorici hanno nella vita popolare di oggi. Dopo la seconda guerra mondiale e poi più precisamente a partire dalla metà degli anni ’50 si sviluppa lo strutturalismo. Gli indirizzi di questo tipo si distinguono dal funzionalismo inglese e annessi e si avvicinano al funzionalismo folklorico praghese perché concepiscono i sistemi sociali come sistemi segnici o simbolici al di fuori di ogni analogia con gli organismi biologici.

Q6: Le denominazioni: folklore, tradizioni popolari, demologia, etnografia o etnologia europee, demopsicologiaIl termine folklore (o folclore) viene usato per la prima volta in Inghilterra nel 1846 per designare il complesso di quelle che in precedenza si chiamavano popular antiquities. Questo temine venne presto assumendo la denominazione di fatti culturali appartenenti agli stadi evolutivi più remoti e più specialmente dei fatti detti “spirituali”, veicolati dalle tradizioni orali, in contrapposizione a quelli appartenenti alla cosiddetta “cultura materiale”. Nasce, così, l’esigenza di distinguere la tradizioni orali e materiali dei popoli europei da quelle dei popoli non europei e lo stesso vale per le tradizioni dette “materiali”; la distinzione viene fatta di solito con riferimenti geografici e perciò si parla di folklore europeo e di etnografia europea per designare i fatti popolari del nostro continente. Folklore diviene quindi l’equivalente di tradizioni popolari che, a sua volta, è l’espressione con cui si designa il complesso dei fatti culturali che appaiono “popolarmente connotati” e cioè propri dei volghi o degli strati subalterni dei popoli civili senza più distinguere tra fatti “materiali” e fatti “spirituali” ed oralmente veicolati. In Italia la denominazione ufficiale dell’insegnamento universitario è quella di “Storia delle tradizioni popolari”.

Q7: Indicazioni interdisciplinariLe indagini demologiche presentano una somiglianza con alcune discipline quali la sociologia e scienze sociali. La sociologia può avere un significato più ristretto ed uno più ampio. In senso ristretto vale come denominazione delle ricerche empiriche relative a certi aspetti delle società industrializzate e della loro organizzazione politico-economica. In senso più ampio si parla di ricerche generali che mirano ad una conoscenza completa. I rapporti tra sociologia e demologia, nel primo caso, sono caratterizzati dallo scambio di informazioni e di termini di confronto mente, nel secondo caso, i rapporti sono più generali. Abitualmente la p sicologia vene distinta dalla sociologia per il suo prevalente o esclusivo riferirsi a fenomeni di carattere individuale. Le indagini demologiche sono interessate a quei rami della psicologia che si occupano delle variazioni psicologiche correlative alle variazioni socio-culturali. Tentativi di spiegazione dei fatti folklorici in termini psicologici si sono avuti dal quadro evoluzionistico in poi. Per etnologia si intende lo studio delle società “primitive” e l’aspetto più propriamente descrittivo di questi studi viene detto

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etnografia. Affianco all’etnologia abbiamo l’antropologia sociale che, pur occupandosi degli stessi popoli cui si dedica l’etnologia, li considera con altri scopi e altri metodi. Secondo questa distinzione possiamo dire che l’etnologia studia i popoli e gli eventi, mentre, l’antropologia sociale studia le istituzioni e i sistemi. Più recente è invece quella disciplina che viene denominata a ntropologia culturale ; ovviamente è stata fatta una distinzione tra l’antropologia sociale e antropologia culturale di cui la prima si occupa del sociale mentre la seconda della cultura intesa come il valore di designazione dei contenuti e di forme della comunicazione simbolica. Per antropologia applicata, che si è sviluppata negli USA nel 1920-1940, si intende l’applicazione pratica delle teorie e dei ritrovati etno-antropologici nell’amministrazione e nel governo coloniale, nelle aree di sottosviluppo e nelle situazioni di cambiamento culturale. Numerosi sono stati i contatti tra gli studi etnologici e le indagini sulla preistoria alle quali si dà il nome di paleontologia. Abbiamo, inoltre, l’antropogeografia, questa disciplina ha per oggetto le religioni dei popoli primitivi. Nasce grazie a Vidal De La Brache che la concepiva come un insieme di attività grazie alle quali un gruppo umano ricava da un ambiente fisico i mezzi della sua sopravvivenza. I rapporti con la linguistica sono stati essenziali nel più ampio campo dell’etnologia e dell’antropologia dove è nato il problema dei rapporti tra lingua e cultura. Gli studi linguistici sono di tipo diacronico e sincronico. I gerghi sono molto importanti perché fanno parte sia della linguistica che delle indagini demologiche. Tra i settori speciali della linguistica troviamo la semantica che è la scienza del significato generale e la semiologia che è lo studio dei fatti socio-culturali.

Q8: La dinamica culturale e i suoi processiOgni formazione culturale nasce in qualche luogo e momento ma soprattutto per opera di qualcuno, dura più o meno a lungo nel tempo e si propaga da un luogo all’altro e dall’uno all’altro strato sociale, infine, cessa di esistere nell’uso e di agire negli individui e nei gruppi. Questa vicenda viene chiamata dinamica culturale, vengono poi chiamati “processi” i momenti o movimenti che la costituiscono. I diversi processi della dinamica si basano su quattro momenti o movimenti:1. la nascita: è l’inizio di una trasmissione del tempo a partire da un certo luogo e da un certo strato

sociale. Ci si è chiesti se la nascita dei fatti demologici si debba ai singoli individui o alla collettività. Non è sempre chiaro se, parlando di nascita, ci si voglia riferire agli antecedenti extra-folklorici culti o semi-culti, sui quali si è poi esercitata l’opera di folklorizzazione o se invece ci si riferisce alla nascita nel folklore e, cioè, al momento ed al processo in cui o per cui un fatto compare come popolarmente connotato, con o senza antecedenti extra-folklorici.

2. la trasmissione nel tempo: una volta nate, le concezioni, i comportamenti gli istituti e i prodotti culturali possono avere varia durata nel tempo, anche se alcuni hanno vita molto breve poiché cadono fuori gli usi e fuori dalle abitudini di un gruppo e, questo, è il caso delle “mode”. Se la trasmissione del tempo avviene all’interno di uno o più gruppi omogenei, il processo attraverso il quale i fatti culturali si tramandano o passano da una generazione all’altra viene detto tradizione mentre, l’operazione con la quale gli individui delle nuove generazioni vengono integrati nella cultura del gruppo viene chiamata inculturazione. Se, invece, la trasmissione nel tempo avviene tra gruppi diversi si ha il fenomeno dello spostamento nella dimensione sociale e si parla di acculturazione. Alla trasmissione nel tempo, specialmente se spontanea e orale, si accompagnano spesso modificazioni più o meno profonde della materia trasmessa.

3. la propagazione nello spazio: l’attenzione per la propagazione nello spazio nasce quando alla teoria monogenetica dei diffusionisti si è contrapposta la teoria poligenetica degli evoluzionisti. Per poligenesi si intende la nascita plurima e indipendente dello stesso elemento culturale in luoghi e tempi diversi mentre, con monogenesi, si intende significare che i gruppi di elementi culturali identici hanno un unico luogo e centro di origine. Questa propagazione investe anche i gruppi culturalmente diversi.

4. lo spostamento nella dimensione sociale: lo spostamento assume un’impostazione centrale negli studi demologici che si applicano ai rapporti e agli incontri-scontri di diversi livelli di cultura.

I termini “tradizione” e “innovazione” vengono usati per indicare i processi e i prodotti ma, questo duplice valore dei termini conduce in confusione. La tradizione non è altro che la trasmissione nel tempo di certe forme, di certi contenuti, di certe tecniche, di certi valori ed è un processo che non si verifica solo a livello popolare o solo in certi particolari campi di attività. Il processo della

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trasmissione è sicuramente molto complesso ma, nella sua generalità, presenta essenzialmente due facce: da un lato c’è la pressione che il gruppo esercita sulle nuove leve, tanto a livello di puro e semplice condizionamento inconsapevole quanto a livello di procedimenti educativi consapevoli e, dall’altro lato, ci sono i diversi tipi di relazione che le nuove generazioni hanno nei confronti della pressione condizionatrice e dell’azione educativa. In materia di “innovazione” possiamo distinguere tra innovazione e invenzione, la prima è una trasformazione parziale di dati preesistenti e, la seconda, è l’introduzione di elementi completamente nuovi. Strettamente legato con le nozioni di tradizione, innovazione e varianti è il concetto di “elaborazione popolare” utilizzato per lo più nella poesia popolare. Alla base di questo processo ci sono due fatti: il carattere orale della trasmissione dei testi e l’atteggiamento di libera appropriazione. In campo demologico il problema della individualità o della collettività si è posto in relazione ai fenomeni di tradizione e innovazione rinnovandolo con dei concetti linguistici formulati da Saussure ovvero langue e parole. Per Saussure la langue è l’insieme delle convenzioni e delle regole linguistiche che permettono ai membri di un dato gruppo di comunicare. Questo insieme di regole è un fatto sociale in quanto è comune a tutti gli individui appartenenti ad una stessa comunità linguistica. La langue è anche un codice interindividuale senza il quale non potremmo codificare i nostri messaggi e non potremmo decodificare i messaggi altrui. La parole è invece un atto individuale con il quale il soggetto parlante utilizza il codice della langue per esprimere il proprio pensiero. Naturalmente non esiste langue senza parole come non esiste parole senza langue. Con il termine inculturazione si indica il fascio di processi attraverso i quali i nuovi nati di un gruppo socio-culturale vengono integrati nella cultura del gruppo stesso. Con il termine acculturazione, invece si intendono i processi di scambio che si verificano per il contatto tra culture diverse tra loro. Possiamo distinguere l’acculturazione in: meccanica dove i prodotti culturali di un ceto sociale passano ad altri ceti di livello gerarchico uguale o diversi per la sola spinta del prestigio rispettivo dei ceti stessi o di ceti loro particolari modi e prodotti di cultura e intenzionale e coatta nel caso di imposizioni civilizzatrici dei ceti egemoni su quelli subalterni. Si parla invece di s incretismi quando in un qualsiasi elemento culturale coesistono componenti culturali che inizialmente erano tra loro contrastanti o inconciliabili.

Q9: Qualche informazione ulterioreSi parla di datazione assoluta quando siamo in grado di determinare la data di un evento o di un gruppo di eventi, mentre, si parla di cronologia relativa quando si stabilisce la relazione di anteriorità, contemporaneità o posteriorità tra due eventi, nessuno dei queli è databile secondo una scala del tempo. Tra la datazione assoluta e la cronologia relativa abbiamo le determinazioni temporali che si limitano ad indicare il termine iniziale o finale, dopo o prima del quale si colloca il momento i cui si è verificato un evento. Nell’uso più generale e corrente il termine “segno” viene impiegato per dire che qualcosa sta al posto di qualche altra cosa e la rappresenta; nell’uso della linguistica saussuriana e post-saussuriana, invece, si parla di segno e spesso anche di simbolo, ogni volta che ci sia un significante legato ad un significato. Quando si parla di codici, invece, si è soliti parlare anche di messaggi. Il codice, dunque, è il complesso delle regole per emettere messaggi corretti, tant’è che “codificare” è il termine usato per indicare le operazioni con cui si trasforma un’idea in un segno e cioè la si manifesta emettendo esattamente quella serie di significati fonici e/o grafici che, in base al codice, veicolano quell’idea come loro significato. Si parla anche di “decodificazione” per indicare le operazioni che consentono di capire e interpretare un messaggio e, cioè, trasformare i segni in idee associando ad ogni significante i significati o idee che gli corrispondono secondo le regole del codice.

CAPITOLO AA1: Interessi antiquari e popolarismo romantico nel primo RisorgimentoIn Italia la nascita degli studi demologici si lega agli interessi al di fuori e al popolarismo romantico. Per interessi antiquari si vuole indicare genericamente l’atteggiamento che assunsero Aubrey, Bourne, Brand e Carmeli che vollero ricercare i resti dell’antichità conservati nella tradizione popolare. Questi autori si preoccupano di considerare gli errori popolari come documenti, testimonianze e resti del passato, essi passano dalla polemica all’erudizione e dalla condanna alla

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constatazione. Nell’atteggiamento antiquario i fenomeni vengono osservati e non giudicati. Alla rottura dell’esclusitivismo culturale ha portato un deciso contributo a quello che viene chiamato popolarismo romantico. Il popolarismo romantico indica la scoperta e l’esaltazione della poesia popolare vista come la sola e vera poesia. Il limite del popolarismo sta nel fatto che concepì un popolo-nazione ma non giunse mai a concepire un popolo-classi sociale come lo svolgimento storico veniva imponendo. Il filone antiquato e quello popolaristico non furono in contrasto ma, anzi, l’atteggiamento antiquato viene a confluire con i forti interessi storici che si accompagnarono al romanticismo. L’indirizzo antiquario pose la propria attenzione su usi, costui e abiti ma non diede importanza ai canti popolari di cui se ne occupò, però, il popolarismo romantico. I primi canti popolari si hanno in Inghilterra nel 1711, in Germania grazie a Herder negli ultimi anni del ‘700 mentre in Italia si hanno nel 1830 grazie a Niccolò Tommaseo, che pubblicò la sua opera di maggior successo, i suoi 4 volumi de “Canti popolari toscani”. Nello stesso anno nascono i primi interessi italiani per la musica popolare.

A2: Il predominio della poesia popolare negli anni dell’unificazioneIl trentennio che seguì il fallimento della guerra d’indipendenza del 1848, vide la nascita del Regno d’Italia (1861) e la conquista di Roma (1870). Rimane, ancora, l’attenzione al popolarismo risorgimentale e alla poesia popolare. C’è chi segue le orme di Tommaseo, chi, invece, rinvigorisce le istanze più valide della fase romantica e chi affronta i canti popolari con criteri storico-filologici più rigorosi e moderni. Inoltre, la poesia popolare viene vista in termini di rapporti sociali. I cantimatori idillici di Tommaseo sono molteplici, basti pensare a Giuseppe Tigri che pubblica una raccolta di canti popolari toscani, tenendo presente la purezza etica dei canti popolari, a Marcaaldi che nel 1855 pubblica i canti popolari inediti umbri, liguri, piceni, piemontesi, latini che pur avendo un’impronta tommaseiana questa si distingue dalle altre perché assume carattere sociale. Leonardo Vigo scrisse i canti popolari siciliani in cui mescola io regionalismo siciliano e la ripetizione addirittura letterale di Tommaseo. Ci sono anche coloro che, distaccandosi da Tommaseo, si occupano di canti e proverbi, tra questi abbiamo Carlo Tenca che scrive canti popolari toscani; in questi canti egli si oppone a Tigri, in quanto sottolinea la durezza della vita popolare. Egli esamina le qualità poetiche dei canti toscani e dice che il canto popolare amoroso è un bagliore di fantasia, e solo quando il dolore affiena la fantasia, allora si hanno versi dolcissimi. Vincenzo Padula analizza la condizione quotidiana dei braccianti e dei pastori, analizzando da vicino i problemi relativi al mezzogiorno. Dalla produzione idilliaca si distacca la storia della poesia popolare italiana ideata da Rubieri nel 1857 che studia la poesia popolare sotto tre aspetti: ritmico, psicologico, morale; questi aspetti sono legati tra loro. Rubieri rimane legato alle concezioni romantiche che affrontano il problema della poesia popolare per intero e anticipa due concetti della poesia popolare vista come elaborazione, ossia una collettività opera sui testi, ripetendoli e trasmettendoli, e come convenzione, ossia usa una determinata formula per un sentimento. Negli stessi anni di Rubieri venne alla luce la poesia popolare italiana d’Ancona che abbandona gli intendimenti psicologici estetici del romanticismo, dando sempre importanza ai stornelli strambotti che hanno come patria d’origine la Sicilia e, come forma d’origine, il tretastico. In Sicilia, infatti, ci sono documenti che attestano molti componimenti lirici tradizionali, questa è la tesi della monogesi siciliana che ha sollevato obiezioni perché i contenuti di questi stornelli, potevano essere nati anche in altre regioni. Nigra, invece, si occupa di fare una distinzione tra l’Italia superiore e l’Italia inferiore, la prima canta canzoni a carattere narrativo, la seconda può vantarsi del predominio della poesia lirico amoroso che ha due forme: lo stornello e lo strambotto. Egli spiega queste differenza in base alla teoria del sostrato etnico che deriva da Carlo Cattaneo ma che venne applicata da Graziadu Pisol. In questa teoria, si dice che per ricostruire la storia dei canti ci si deve applicare non allo studio dei sentimenti e delle passioni ma allo studio della loro espressione. Affianco al predominio della poesia popolare c’è spazio anche per gli usi e costumi a cui vengono dati il nome di ricerche etnologiche. Di grande importanza è anche la musica popolare tanto che molti studiosi si pongono anche il problema della trascrizione della musica popolare.

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A3: Fiabe e costumanze dell’ultimo ‘800 alla Prima Guerra MondialeCon le opere di Ruberi, D’Ancone e Nigra, può considerarsi finita la grande stagione ottocentesca degli studi italiani. L’epoca che sta per giungere è caratterizzata, invece, da usi e costumanze da un lato e fiabe dall’altro. Nel 1856 Grimm aveva formulato la tesi che le narrazioni favolistiche della tradizione orale non fossero altro che frammenti decaduti di un’antichissima mitologia. Questo era il nucleo della “mitologia comparata” di Max Muller . A questa teoria indoeuropea della fiaba si accosta anche Mannhardt che colloca l’origine dei miti nel culto dei boschi e di campi e ricerca i resti di quegli antichi culti nei cerimoniali agrari del mondo contadino europeo del suo tempo. Su Mannhardt aveva influito, però, quello che era il nuovo indirizzo antropologico inglese di Tylor che nel 1871 scrisse Primitive culture. Questo indirizzo poggia su tre pilastri: l’evoluzionismo, la poligenesi e il comparativismo: sosteneva infatti che anche le società o culture fossero passate e dovessero passare attraverso una successione fissa e unilaterale di studi di sviluppo, ritiene inoltre che le forme culturali simili fossero nate per convergenza. Le fiabe apparivano come le sopravvivenze dei miti che i popoli europei avevano prodotto anch’essi, al pari di altri, nella loro infanzia animistica. Ed è questa la “tesi antropologica” sull’origine delle fiabe formulata da Andrei Lang. Nel 1859 Theodor Benfey formulò la teoria che viene detta orientalista o indianista, la quale sostiene che i racconti della tradizione europea non sono né frammento né sopravvivenza di una qualsiasi mitologia naturistica o animistica ma sono semplicemente il risultato della diffusione del nostro mondo di racconti nati come tali in epoca storica e in una terra ben determinata. Nella metà del ‘900 due studiosi occupano un posto di rilievo negli studi etnomusicologici, questi studiosi sono Fara e Favara. Il lavoro più importante di Favara fu corpus di musiche popolari siciliane pubblicato nel 1957 (dopo la sua morte). Egli è apparso come un iniziatore e come un sicuro punto di riferimento tecnico metodologico. Favara è quindi un rilevatore sistematico di dati documentari.Fara, invece, scrisse molto tra le due guerre mondiali e i suoi scritti, al contrario di Favara, sono ritenuti vecchi e costituiscono un impaccio anziché uno stimolo. Fara, ha voluto tentare una sistemazione dei concetti e dei problemi della musica popolare; l’aspetto chiaramente positivo del tentativo di Fara sta nel fatto di aver introdotto anche nel campo musicologico quella distinzione tra prodotti popolari e popolareggianti che già da tempo era stata operata in campo della letteratura. Si veniva così riconoscendo che anche nella musica esiste di fatto una pluralità di strati o livelli culturali. Ma la distinzione di livelli delineata da Fara, pur se giusta in grandi linee, appare decisamente insoddisfacente per il tipo di concetti cui s’appoggia.

A4: Crocianesimo e filologia tra le due guerre (e oltre)Nel periodo che si trova tra le due guerre, nascono nuovi orientamenti che sono in contrasto con le concezioni evoluzionistiche. La scuola storico-culturale, che ha i suoi esponenti maggiori in Graebner e nel padre Schmidt, oppone alla tesi poligenetica degli evoluzionisti la tesi monogenetica. Il compito dell’etnologia diventa quella di individuare i punti di origine di singoli fenomeni, stabilirne le vie di propagazione nello spazio determinandone l’area di diffusione giungendo, così, a ricostruire la successione storica delle diverse culture. La scuola finnica negò che le fiabe fossero la sopravvivenza di antichi stadi evolutivi comuni a tutta l’umanità e quindi fossero prodotti indipendenti di ciascun popolo, ma sostenne, invece, la tesi della loro diffusione da uno o più punti d’origine e la loro nascita da singoli autori. Figura di spicco è sicuramente quella di Benedetto Croce il quale crede che la sola vera scienza è la storia individuante e cioè quella che coglie i fenomeni nella loro individuale irripetibilità, mentre, le ricerche generalizzanti e comparative possono essere al massimo pseudo-scienze. Come è evidente, la posizione crociata comporta la condanna di tutti gli orientamenti folklorici nati nell’800 ma questa condanna è si è fatta esplicita e diretta nel campo della favolistica e in quello della poesia popolare. Per Croce la questione dell’origine delle fiabe è da trasformare nella storia di ciascuna fiaba e, sostanzialmente, la sua posizione è analoga anche in materia di poesia popolare. La “poesia” non sopporta aggettivazioni, afferma Croce: o c’è o non c’è. Perciò risulta falsa la contrapposizione romantica tra poesia popolare e quella d’arte. Per Croce la distinzione tra poesia popolare e poesia d’arte è solo una differenza di quantità e, più precisamente, di tono psicologico: la prima è semplice ed elementare mentre la seconda è complessa e muove vaste masse di sentimenti e di pensieri. La conclusione evidente è che la poesia di tono popolare non ha niente a che vedere con il cosiddetto

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“popolo” in quanto essa può nascere anche d’autori culti ogni volta che un poeta si trovi nello stato psicologico della semplicità e della elementarità. Per Croce, quindi, ogni studio storico-filologico, morfologico e socio-culturale di canti popolari o fiabe diventa irrilevante.Vista schematicamente, la vicenda degli studi etnomusicologici tra le due guerre sembra svolgersi tra due estremi: da un lato c’è un evidente e pesante ritardo teorico rispetto agli avanzamenti ormai verificatisi in altri settori demologici e più specialmente in quello degli studi di poesia popolare, all’estremo opposto, però, c’è il fatto che nel campo etnomusicologico si viene avviando e preparano una scolta in metodo che più tardi investirà tutte intere le indagini demologiche italiane ovvero la ricerca sul campo. Vediamo così coesistere due orientamento culturali di età e valore ben diversi. Mentre gli studi letterari vengono concependo la “popolarità” dei testi come un fatto storico, gli studi di musica folklorica la concepiscono come un dato astorico. Parallelamente, mentre gli studi di poesia popolare si impegnano in una consapevole presa di contatto con l’idealismo crociano, gli studi etnomusicologici tra le due guerra appaiono come chiusi in se stessi.

A5: Indagini tradizionali e contatti con la realtà sociale nell’ultimo 25ennioLa prosecuzione delle indagini “classiche” si trova a essere affiancata e scossa dall’insorgere di tematiche e prospettive radicalmente nuove, che si legano con più diretta immediatezza ai problemi socio-culturali entro cui la demologia italiana si trova ad operare. Ma i due settori, quello “classico” e quello “nuovo”, non restano reciprocamente isolati ed anzi si collegano in una serie di incontri o scontri che si complicano ulteriormente da un lato per l’introduzione di nuove prospettive tecniche e teoriche di ricerca e dall’altro per rinnovare accensioni socio-culturali.La tesi di fondo di Toschi è che tutte le forme drammatiche, popolari e culte, profane e sacre, traggono origine dalle grandi feste annuali e stagionali di rinnovamento e di propiziazione. Ne deriva che l’opera è tutta impegnata in una vasta impresa di ricerca delle affinità e dei nessi tra le forme propriamente teatrali e degli elementi di azione drammatica presenti nelle cerimonie e nei riti tradizionali. Assai più tumultuoso è il quadro delle nuove tematiche che letteralmente esplodono nel primissimo dopoguerra e che poi si vengono consolidando o disperdendo lungo gli anni successivi. Il momento teorico determinante è rappresentato dalla pubblicazione, nel 1950, delle Osservazioni sul folclore che Antonio Gramsci aveva scritto 20 anni prima del carcere. In quelle osservazioni il folklore viene configurato nella sua generalità come una concezione del mondo che è propria di certi strati della società e che si contrappone alle concezioni del mondo “ufficiali” e, cioè, delle classi egemoniche. Ma la seconda metà degli anni ’50 vede soprattutto l sviluppo dell’attività di Ernesto De Martino nella ricerca concreta sul campo e nella elaborazione concettuale dei risultati, oltre che nel dibattito teorico e di metodo. De Martino affronta tre temi specifici d’indagine: la lamentazione funeraria, le concezioni e le pratiche magiche e il fenomeno del tarantolismo. In questo quadro concettuale il punto metodologico essenziale resta quello dell’“individuazione”: compito della vera scienza sarebbe quello di riconoscere l’irriducibile peculiarità dei fenomeni in quanto irripetibili. Anche per De Martino ogni generalizzazione, ogni ricerca di sistemi e di invarianti cadrebbe necessariamente nell’errore positivistico del naturalismo: le invarianza sarebbero irrilevanti o illusorie.

CAPITOLO BB1: Tecniche d’indagine e concezioni generaliNella ricerca demologia si possono distinguere due fasi o momenti essenziali: quello della raccolta o collezione dei dati e quello del loro trattamento. Con il termine collezione intendiamo indicare l’insieme delle procedure mediante le quali si reperiscono, si reagiscono, e insomma si riuniscono i dati documentari su cui svolgere le operazioni successive, mentre, con il termine trattamento indichiamo il complesso delle operazioni di elaborazione cui vengono sottoposti i dati raccolti. Tanto la collezione quanto il trattamento ammettono ciascuno un’ulteriore distinzione:1) la collezione in base alle fonti che possono distinguersi in:

- rilevamento che ricava i dati osservando direttamente i fatti così come si manifestano nell’effettiva realtà socio-culturale e

- lo spoglio che reperisce i dati in archivi, biblioteche, musei e simili

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2) le operazioni di trattamento in base agli scopi che si intendono raggiungere. Si distinguono in due categorie:

- le procedure di documentazione che si limitano a presentare i dati in quanto tali, solo orinandoli secondo criteri più o meno affinati di raggruppamenti per categorie, di localizzazione geografica, di successione cronologica, etc.

- le procedure di analisi, invece, sottopongono i dati a scomposizioni e ricomposizioni operate secondo certe speciali tecniche euristiche e secondo certe prospettive concettuali che consentono di ricavare informazioni che vanno al di là della pura e semplice constatazione dell'esistenza di questo o quel fatto in questo ho quel luogo.

Ovviamente, tutto complesso delle operazioni si lega alla cultura di ciascun studioso. In sostanza, anche il momento più elementare e apparentemente neutro della pura e semplice collezione di dati è sempre condizionato, guidato, determinato dalle concezioni generali di cui il raccoglitore è portatore e dalle finalità specifiche che in funzione di quelle concezioni egli, di volta in volta, assegna ai propri lavori. E in verità, dato che non è possibile raccogliere tutto, anche il più rozzo e spontaneo collettore di dati è costretto a compiere un'operazione di scelta: registra certi fatti o fenomeni che giudica rilevanti e ne tralascia certi altri che considera irrilevanti. Ogni raccoglitore dunque opera in base ad un qualche criterio più o meno affinato e rigoroso, ma comunque sempre presente. Il criterio che agisce viene ovviamente a dipendere dalla cultura di ciascuno.Isolare le fasi tecniche dalle finalità della ricerca e considerare queste finalità avulse dalle concezione più generali in cui si inquadrano e su cui reagiscono, costituisce un’astrazione, ma le attrazioni sono indispensabili in ogni ricerca seria. Quali che siano i legami tra fasi, finalità e concezioni più generali, resta pur sempre il fatto che il momento della collezione non è il momento del trattamento e che la finalità documentaria è ben diversa da quella analitica e, insomma, che ognuna ha le sue esigenze tecnico-concettuali differenziate. Considerare globalmente tutto, senza differenziazioni e articolazioni, significa confondere e non unificare; per unificare bisogna distinguere e per distinguere bisogna isolare. Se dunque l'isolamento astratto delle fasi e delle finalità non è una condizione sufficiente per condurre un buon lavoro, esso è però una condizione necessaria.

B2: La collezione dei dati: spoglio e rilevamentoLa differenza fondamentale tra i rilevamenti o e lo spoglio sta nel fatto che il primo produce documenti a partire dalla realtà e il secondo, invece, rintraccia documenti già prodotti. Il rilevamento stabilisce un contatto immediato con la realtà, le persone e fenomeni folklorici, mentre lo spoglio, stabilisce un contatto mediato dal documento già in precedenza prodotto. Il rilevamento si svolge in vivo e in loco o anche, come si dice, sul campo e lo spoglio, invece, si svolge a tavolino o in studio. Si intende allora facilmente che mentre lo spoglio è procedura di collezione comune anche alle discipline di tipo più tradizionale il rilevamento costituisce una caratteristica specifica delle discipline di tipo etno-antropologico o sociologico. Il rilevamento e lo spoglio possono essere impiegati sia separatamente sia congiuntamente; naturalmente la scelta tra le diverse possibilità dipende dal tipo di ricerca che si intraprende.Il rilevamento o inchiesta consiste nella presa di conoscenza dei fattori o fenomeni effettuata in vivo e in loco. L’inchiesta richiede sempre una chiara determinazione preliminare dell’oggetto su cui si vuole indagare. In modo molto schematico si può dire che l’oggetto può essere costituito: da uno o più gruppi umani di cui si ricercano, al limite, tutte le manifestazioni demologiche da uno o più fatti demologici di cui si indagano morfologia, diffusione e quant’altro in uno o più

gruppi e su aree geografiche più o meno esteteLe coordinate di riferimento essenziali in ogni inchiesta – e quindi lo spazio geografico, il gruppo umano, lo strato sociale e il fenomeno indagato – possono intersecarsi in modi molto vari ed il loro incrociarsi dipende dagli obiettivi che il ricercatore si propone e, dunque, sarà valido solo nella misura in cui quegli obiettivi sono validi ed il taglio prescelto è adeguato a raggiungerli. Regola fondamentale dell’inchiesta è, ovviamente, quella della massima fedeltà documentaria. L’inchiesta deve poter fornire documenti non solo fedeli ma anche precisi fin nei particolari. Il raggiungimento di questo scopo è naturalmente più facile per le inchieste indirizzate verso aree, gruppi o fenomeni non troppo ampi. I fatti da documentare vanno considerati sotto alcuni aspetti:

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morfologia : ogni fatto va descritto analiticamente e registrato con estrema cura dei particolari età : per ogni fatto vanno ricercate notizie che servono a stabilire la maggiore o minore antichità localizzazione vitalità : occorre sempre precisare se il fatto di cui ci si occupa impegna gruppi più o meno vasti ambito sociale : occorre accertare se l’uso, il comportamento, la credenza e altro appartengono a

tutti gli strati sociali o soltanto ad alcuni e a quali valutazione : ovvero il significato che si attribuisce al fatto o quale spiegazione se ne dà

E qui opportuno osservare che mentre i dati relativi alla morfologia, alla localizzazione, alla vitalità e all’ambito sociale sono, per così dire, oggettivi e cioè sono osservabili direttamente nelle cose, i dati relativi all’età dei fenomeni e soprattutto quelli relativi alle valutazioni sono da considerare documenti di natura più complessa e problematica: le risposte o le informazioni fornite dagli informatori, infatti, non ci dicono quale sia veramente l'età o la motivazione del fenomeno ci dicono, invece, qual è l'età, la motivazione, il valore che essi attribuiscono al fenomeno.I questionari sono elenchi di domande alle quali si cerca una risposta: in essi dunque si tracciano le linee portanti dell'inchiesta perchè la lista delle domande non è altro che l'articolazione analitica delle questioni relative ai fenomeni su cui si intende indagare. I questionari giovano solo nella misura in cui sono adeguatamente calibrati rispetto agli obiettivi che si vogliono raggiungere; perciò occorre studiare in modo molto preciso l'articolazione dei questionari in rapporto al problema reale che ci si pone. In ogni caso, è indispensabile tener presente che il questionario è uno strumento necessario ma non sufficiente per una buona riuscita dell'inchiesta. Esso pone domande preordinate su argomenti specifici e circoscritti: in ciò sta la sua utilità ma in ciò sta anche il suo limite, giàcché esso può precludere la via ad informazioni che la sua organizzazione non sollecita. È opportuno, quindi, non ridurre ma il colloquio alla pura e semplice serie delle domande incluse nel questionario, lasciando invece sempre un margine ampio alla libertà del discorso.

B3: Il trattamento dei dati: documentazione e analisiQuando non si tratta di oggetti materiali o di testi linguistici il principale modo di esporre i dati documentari è quello della descrizione verbale: le cerimonie, le usanze e le credenze vengono esposte con parole che ne indicano e ne illustrano in modo più o meno analitico le forme, le modalità, le circostanze e la localizzazione. Alla descrizione verbale possono accompagnarsi altri modi di esposizione dei dati: quella per immagini, quella cartografica e quella tabellare. L'espressione per mezzo di immagini fotografiche o grafiche è spesso di essenziale importanza: è

tuttavia difficile che l'esposizione per mezzo di immagini possa fare a meno di ogni indicazione verbale, non fosse altro che nella misura di una didascalia.

Più frequente è l'esposizione cartografica: invece di elencare verbalmente le località in cui un fenomeno appare attestato, si disegna una carta geografica della zona che interessa e si dicano con segni convenzionali i punti o le zone in cui fenomeno è o è stato presente, eventualmente usando simboli o tratteggi diversi per segnalare variazioni morfologiche da un punto all'altro. Se poi si uniscono in un qualche modo graficamente evidente tutti i punti della carta in cui risulta attestato lo stesso fenomeno, si ottengono zone geografiche che costituiscono l'aria di diffusione del fenomeno in esame.

Un ulteriore modo espositivo è quello tabellare che, nella sua forma più semplice, consiste in una tabella elementare dove nella prima colonna di sinistra e nella prima riga in alto si indicano i fenomeni o gli aspetti che interessano e, nel punto d’incrocio tra colonne e righe si segnano le indicazioni documentarie relative a ciascuna coppia di fenomeni o aspetti.

L'esposizione dei documenti collezionati deve necessariamente avvenire secondo un qualche ordine che sarà diverso a seconda del tipo di dati e delle finalità che si perseguono. Ad ogni modo si possono distinguere due modalità: i raggruppamenti e le repertorializzazioni. I raggruppamenti consistono sostanzialmente in una distribuzione della materia secondo gruppi

corrispondenti a certe catalogazioni distinguendo, così, catalogazioni generali e catalogazioni specifiche. Il punto di maggiore debolezza dei raggruppamenti sta nel fatto che i dati vengono riuniti in base a criteri diversi.

Le repertorializzazioni si distinguono dai raggruppamenti per il fatto che non mirano tanto a catalogare la materia quanto invece ad agevolare al massimo il reperimento di ogni singola

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notizia o informazione. Naturalmente la costruzione di repertori è molto più difficile e onerosa dei semplici raggruppamenti. La repertorializzazione richiede un qualche intervento sui documenti ed è per questo motivo che si trova a mezza strada tra l’ordinamento per raggruppamenti e le elaborazioni a carattere analitico. Le operazioni repertoriali risultano più facili quando si tratta di testi poetici, qui infatti è possibile disporre di unità ben configurate e si può quindi procedere a varie elencazioni alfabetiche.

Le principali tecniche di analisi finora impiegati negli studi demologici italiani sono quelle che poggiano sulla comparazione e che mirano a ricavare indicazioni cronologiche dei dati della distribuzione geografica dei fatti documentari. La comparazione è il confronto tra fenomeni di tempi o luoghi diversi. Per assumere il valore di sperimentazione indiretta le comparazioni devono essere condotte in base a ipotesi da verificare. Abbiamo vari tipi di comparazione: Istituzionale : gli elementi in causa sono oggetti, comportamenti o istituti presi “in se stessi”; Funzionale : gli elementi in causa sono i posti che oggetti, comportamenti e istituzioni occupano

nel quadro complessivo della vita di un gruppo; Prossima : gli elementi confrontanti presentano un forte grado di affinità o somiglianza e sono

collocati in contesti storici e socio-culturali notevolmente prossimi e simili; A distanza : gli elementi confrontanti sono notevolmente diversi sia in sé sia per i contesti in cui

sono inseriti.Come è evidente, Le comparazioni prossime cercano le differenze tra elementi simili, mentre le comparazioni a distanza cercano le somiglianze tra elementi diversi. Un’altra distinzione è stata proposta da Hultkrantz che distingueva la comparazione storica dalla comparazione tipologica: la prima viene impiegata per lo studio della distribuzione dei tratti o elementi di cultura e per la ricostruzione della storia culturale, mentre, la seconda, opera con il confronto, la classificazione e la generalizzazione e mira a stabilire leggi generali e regolarità. La distinzione tra comparazione storica e comparazione tipologica corrisponde alla differenza di concezioni e scopi che separa i diffusionismi dai funzionalismi e, più in genere, gli indirizzi che si dicono "storici" da quelli "sociologici". Il pericolo della comparazione non sta, come credono gli indirizzi idealistici, nell’astrazione o nell’impoverimento della realtà ma sta invece nell’ignorare che si sta astraendo e, soprattutto, nell’ignorare quale tipo d astrazione si stia di volta in volta compiendo.Le tecniche storico-grafiche si sono configurate nel periodo tra le guerre, in opposizione agli indirizzi evoluzionisti ed in connessione con la geografia linguistica. Esse impiegano la comparazione soltanto entro zone storico-geografiche ben definite e mirano a ricavare indicazioni cotonologiche dalla distribuzione geografica delle attestazioni. Una volta fissata la zona storico-geografica entro la quale si vuole agire, per trasformare le localizzazioni in cronologie si passa dalle esposizioni verbali a quelle cartografiche ed all’identificazione delle aree di diffusione, a ciò segue il confronto tra le posizioni relative dei singoli fenomeni e delle diverse aree di diffusione. Così dalla pura e semplice documentazione si passa all’analisi, e dalla esposizione cartografica alla geografia folklorica, che consiste in un complesso di norme e di procedimenti che dalla distribuzione relativa nello spazio traggono indicazioni sulla successione nel tempo, e cioè ricavano un certo ordinamento cronologico da un certo ordinamento spaziale. Ciò che si ottiene, però, non è una datazione assoluta ma una cronologia relativa.Compito della scuola finnica (promossa da J. Krohn, A. Arne, K. Krohn) è quello di ricostruire le lezioni originali dei testi di tradizione orale o mista. Nella fase iniziale dell’indagine:1. si ricercano e si riuniscono tutte le diverse versioni o "varianti" del testo che interessa;2. le varianti così raccolte vengono ordinate sia cronologicamente sia geograficamente;3. si procede quindi al confronto (o comparazione) tra le varianti così ordinate, rilevando identità e

differenze e ponendole in rapporto con la loro distribuzione geografica e con la loro cronologia.Gli studiosi della scuola finnica hanno formulato due regole o principi: 1) un canto viene ripetuto dal popolo di una stessa regione quasi sempre nella medesima forma e 2) le forme tra le varianti di un canto vanno mutando gradualmente, via via, nella sua emigrazione da un luogo all’altro. Ogni gruppo omogeneo di varianti ha una sua area, e cioè determina una regione folklorica.La formulazione rigorosa di norme per ricavare indicazioni di cronologia relativa in base ai dati della distribuzione geografica dei fenomeni è avvenuta sul terreno della linguistica ad opera di Matteo Bartoli. Quest’ultimo si pone essenzialmente una domanda e cioè: se ci troviamo di fronte a

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due fasi linguistiche ritenute un tempo conviventi in una stessa area e poi sopravvissute in zone diverse dell’area stessa, quali delle due è la fase più antica e quale costituisce l’innovazione? Si cerca dunque di stabilire la cronologia relativa, ossia il rapporto cronologico tra due fasi o fenomeni. Gli indizi disponibili per risolvere la questione sono essenzialmente due secondo Bartoli: il rapporto cronologico fra i documenti in cui quelle fasi sono estratte e il rapporto geografico tra le aree dove quelle fasi si trovano. Nel primo caso non occorrono norme speciali: la fase attestata nel documento più antico è di solito la più antica. Il secondo caso, invece, è l’oggetto delle quattro norme areali di Bartoli:1. norma dell’area meno esposta alle comunicazioni 2. norma delle aree laterali 3. norma dell’area maggiore 4. norma dell’area seriore

Le quattro norme costituiscono un complesso gerarchizzato, in quanto, ciascuna si interseca con le atre e può modificarla. Le prime tre norme sono rigorosamente areali o spaziali, la quarta invece introduce un criterio cronologico: essa, infatti non poggia sulla collocazione o sull’ampiezza delle aree ma sulla loro rispettiva anteriorità o seriosità nel tempo.Mentre le concezioni diacroniche del diffusionismo superavano definitivamente l’evoluzionismo e mettevano a punto le tecniche storico-geografiche di trattamento dei dati documentari, negli anni della scuola finnica, della geografia folklorica e delle norme areali, si venivano manifestando concezioni fortemente diverse: quelle della linguistica di Saussure, quelle dell’antropologia sociale e del funzionalismo britannici, quelle di Van Gennep e Marinus. Tra questi indirizzi c’è una sostanziale convergenza: la spiegazione dei fenomeni non viene più ricercata nella vicenda spazio-temporale, e cioè negli antecedenti diacronici, ma nelle relazioni che i fenomeni stessi hanno tra loro e con il complesso della situazione in cui sono inseriti.Il sistema è il complesso degli elementi compresenti e delle relazioni che li collegano. Alla nozione di sistema si accompagna spesso quella di struttura che talvolta si fonde o si confonde con la prima. La distinzione è in genere operata dal corrente uso linguistico, il quale ammette che si dica che un "sistema ha una struttura" ma non ammette che si dica che "una struttura ha un sistema". Per Radcliffe-Brown una struttura è una sistemazione ordinata di parti o di componenti. Fanno parte della struttura sociale tutti i rapporti sociali che esistono tra una persona ed un’altra ed anche la differenziazione tra gli individui o tra le classi, in base al loro ruolo sociale. Lévi-Strauss rimprovera a Radcliffe-Brown un’eccessiva aderenza alla realtà direttamente osservabile, sia l’analogia tra società ed organismi biologici. Il concetto di struttura sociale non si riferisce alla realtà empirica, ma ai modelli costruiti in base ad essa. Il modello, dunque, viene costruito a partire dai dati empirici ma non si identifica con la materia impiegata e ha una struttura che rivela la struttura dell’oggetto su cui è stato costruito. Ai concetti di sistema e di struttura si lega quasi sempre quello di funzione. Esistono due significati di funzione:1. nel primo gruppo si considerano le finalità implicite o esplicite, manifeste o latenti, degli

elementi e della loro attività e si considera il contributo che ciascuna parte di un organismo dà al processo vitale complessivo dell’organismo stesso

2. nel secondo gruppo, invece, si assume che gli elementi di un sistema siano conoscibili soltanto se considerati gli uni in funzione degli altri.

Ricapitolando, le nozioni di sistema, struttura, modello, funzione si contrappongono alle concezioni che guardano ai fatti socio-culturali come elementi quasi atomistici che si raggruppano in aggregati più o meno casuali. Queste nozioni, inoltre, oppongono allo studio diacronico di ogni singolo elemento, lo studio sincronico delle loro relazioni.

La scuola finnica studia le fiabe in base al loro raggruppamento in tipi (ogni narrazione capace di mantenere una sua esistenza indipendente nella tradizione) e motivi (elementi minimi ritenuti non riducibili ossia dettagli con cui vengono composte le narrazioni compiute - matrigna crudele, bacio che richiama alla vita). Propp si oppone fortemente a questi criteri in quanto ha come suo concetto principale quello di funzione narrativa: sono le grandezze che restano costanti pur nel variare delle azioni, dei personaggi, dei motivi e del loro mutevole combinarsi in tempi diversi. Due atti identici possono avere significato diverso e due atti diversi possono avere significato identico. Ma come si

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determinerà il significato degli atti? La risposta di Propp è che le funzioni e cioè i significati o valori degli atti compiuti dai personaggi sono determinabili in base al posto che occupano e al ruolo che svolgono nello sviluppo dell’intera vicenda narrativa. Propp è giunto ad isolare 31 funzioni che contraddistingue con simboli e denominazioni convenzionali. Le 31 funzioni si susseguono sostanzialmente nel medesimo ordine, per cui, lo schema generale di tutte le fiabe risulta essere identico: il loro andamento generalissimo può rappresentarsi come un itinerario che da un turbamento dell’equilibrio iniziale porta ad un nuovo e più alto equilibrio finale. In tal modo, come alla nozione di motivo si sostituisce quella di funzione, alla nozione di tipo si sostituisce quella di movimento.