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LA TERAPIA ENDOVENOSA NEL PAZIENTE PEDIATRICO. VIE DI ACCESSO, DISPOSITIVI E INDICAZIONIPROF. UGO GRAZIANO

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Università Telematica Pegaso La terapia endovenosa nel paziente pediatrico.

Vie di accesso, dispositivi e indicazioni

Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente

vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore

(L. 22.04.1941/n. 633)

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Indice

1 INTRODUZIONE -------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 3

2 ANATOMIA --------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 5

3 INDICAZIONI ----------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 10

4 VIE DI ACCESSO VENOSO PERIFERICO ---------------------------------------------------------------------------- 13

5 VIE DI ACCESSO VENOSO PERIFERICO-CENTRALE ---------------------------------------------------------- 16

6 VIE DI ACCESSO VENOSO CENTRALE ------------------------------------------------------------------------------ 17

7 DISPOSITIVI ------------------------------------------------------------------------------------------------------------------ 18

BIBLIOGRAFIA --------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 31

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1 Introduzione

L’accesso vascolare è l’impianto di un presidio infusionale capace di determinare una

connessione esterna con il sistema circolatorio mediante la quale divenga possibile effettuare

monitoraggio ematochimico ed emodinamico, somministrare farmaci, fluidi ed emoderivati.

La metodica generalmente viene realizzata creando una connessione al sistema venoso superficiale

o profondo, ma può effettuarsi anche mediante accesso al sistema arterioso, ai vasi ombelicali o ai

vasi midollari.

Nelle situazioni di emergenza è fondamentale disporre di un accesso venoso stabile, sicuro ed

adeguato ad infondere rapidamente grandi volumi di liquidi, emoderivati, plasma-expanders e tutti i

farmaci necessari a ripristinare le funzioni vitali.

Nell’età pediatrica un trauma, una insufficienza respiratoria, uno scompenso idroelettrolitico

possono rapidamente peggiorare e determinare una condizione critica. Il bambino è particolarmente

vulnerabile alle perdite idroelettrolitiche, in quanto il suo fabbisogno di liquidi è sensibilmente

superiore a quello dell’adulto.

La scelta delle vie preferenziali per la somministrazione di liquidi e farmaci sarà determinata dalle

peculiarità anatomiche e fisiologiche proprie del neonato, del lattante e del bambino, dalle

dimensioni somatiche, dalla gravità del quadro clinico e dal programma terapeutico. In condizioni

critiche con bassa gittata cardiaca l’assorbimento di farmaci somministrati per via intramuscolare o

sottocutanea è compromesso; le vie preferenziali risultano essere l’accesso venoso periferico o, se

necessario, l’accesso venoso centrale; in condizioni di particolare emergenza e nell’impossibilità di

realizzare un accesso venoso, si può ricorrere temporaneamente alla via di somministrazione

intraossea.

Una non corretta gestione del patrimonio vascolare in età neonatale e pediatrica può determinare un

tale rimaneggiamento del sistema venoso da rendere estremamente difficile la ricerca di un accesso

vascolare valido, ritardando i tempi d’intervento ed influendo negativamente anche sulle manovre

di rianimazione cardio-polmonare; diventa, quindi, imperativo il ricorso a tecniche più invasive e

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più rischiose ed inoltre tale rimaneggiamento può determinare la perdita della naturale riserva di

materiale autologo importantissimo per interventi di rivascolarizzazione nella vita futura.

Generalmente l’accesso venoso iniziale viene realizzato con la tecnica classica di cateterismo

venoso periferico, esso viene utilizzato per prelevare sangue da inviare al laboratorio e per iniziare

le prime cure; se necessario, il secondo accesso vascolare viene scelto in base ad una successiva e

più accurata elaborazione del piano diagnostico terapeutico. Le cure successive possono essere

erogate mediante ulteriori accessi venosi periferici o prevedere razionalmente impianti di altri

dispositivi intravascolari quali cateteri Midline, PICC, cateteri venosi centrali, dispositivi totalmente

impiantabili; tali opzioni sono determinate dalle caratteristiche fisico-chimiche dei farmaci e delle

soluzioni da iniettare, dalla taglia corporea e dalla durata delle cure da erogare (breve, medio e

lungo termine).

Obiettivo di questa lezione è fornire una informazione globale sulle indicazioni e le tecniche di

accesso vascolare in area assistenziale pediatrica, settore cui afferisce un elevato numero di bambini

affetti da svariate patologie e da una molteplicità di quadri clinici che spesso richiedono rapida

decisionalità e pronta impostazione delle cure, in relazione ai diversi percorsi diagnostico-

terapeutici. Con particolare accuratezza saranno trattate le indicazioni, le vie di accesso per le

connessioni al sistema venoso e i dispositivi da impiantare per realizzarle; si proporranno modalità

di approccio procedurale corrette e razionali, atte a garantire una maggiore tutela del patrimonio

vascolare ed una corretta disponibilità di accessi vascolari durante il periodo di cura, ed a ridurre il

rischio che una cattiva gestione delle procedure possa determinare danni al sistema vascolare che

possano influenzare negativamente l'estetica somatica o la possibilità di cure in avvenire.

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2 Anatomia Il sistema venoso può essere suddiviso in due grandi distretti: il distretto cavale superiore

che drena il sangue proveniente dalle regioni cranio-cefalica, toraco-mediastinica, dai cingoli

scapolari e dagli arti superiori (fig.1); il distretto cavale inferiore mediante il quale viene raccolto il

sangue proveniente dalle regioni sotto-diaframmatiche, dal cingolo pelvico e dagli arti inferiori

(fig.2).

Fig. 1 – Distretto cavale superiore.

Fig. 2 – Distretto cavale inferiore.

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Le vene superficiali del dorso della mano vengono scelte molto frequentemente, esse, sottili

ed appiattite sul piano metacarpale, sono tributarie della larga branca dorsale della vena cefalica

distale anch’essa ben utilizzabile per l’accesso (fig.3)

Fig.3 – Vene superficiali arti superiori: regione antibrachiale dorsale.

Le tributarie della vena mediana localizzate sulla superficie ventrale del polso sono

accessibili, ma piccole e con acute angolazioni, a volte anche la progressione di un catetere molto

piccolo può essere estremamente difficoltosa. Esse possono essere utilizzate durante un intervento

chirurgico, ma non affidabili al risveglio dalla narcosi.

Nella fossa antecubitale sono accessibili la vena cefalica, la vena basilica,la vena mediana ed

i loro segmenti anastomotici denominati vena cefalica mediana e vena basilica mediana;

l’avanzamento della cannula può essere reso difficile dalla loro angolazione nel tratto in cui

incrociano la piega del gomito (fig.4).

Le vene dello scalpo, in particolare le vene temporali superficiali, possono essere

agevolmente incannulate nel neonato e nel lattante adoperando particolari dispositivi tipo

“butterfly” denominati aghi epicranici; la fissazione del presidio intravascolare è disagevole, spesso

prevede ampie tricotomie, la stabilità non è ottimale ed espone a vasti infiltrati sottocutanei di

farmaci nel cuoio capelluto.

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Fig.4 - Vene superficiali arti superiori: regione antibrachiale ventrale.

La vena giugulare esterna si origina dalla confluenza della vena auricolare posteriore con

rami della vena faciale e si dirige in senso centripeto,contenuta in uno sdoppiamento

dell’aponeurosi cervicale superficiale, dalla regione parotidea alla regione sopraclaveare dove

perfora l’aponeurosi in corrispondenza del margine laterale del terzo inferiore del muscolo SCM

per inoscularsi nella vena succlavia (fig.5-6).

Fig.5 - Vene superficiali distretto cranio-cervicale: vena giugulare esterna.

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Fig.6 - Vene superficiali distretto cranio-cervicale: vena giugulare esterna.

Anche se facilmente identificabili le vene giugulari esterne sono difficili da incannulare , il

catetere introdotto può angolarsi con le variazioni posturali del collo e determinare discontinuità

dell’infusione, la sua fissazione è difficile e si disloca facilmente.

Nelle estremità inferiori sono utilizzabili le tributarie dell’arcata venosa dorsale localizzate

sul versante dorsale del piede.

Molto affidabile la vena safena interna (fig.7), localizzabile di preferenza appena

anteriormente e lateralmente al malleolo mediale ma, se necessario, lungo tutto il suo decorso

intrafasciale; essa si origina dalle vene dell’arcata dorsale del piede in prossimità del malleolo

mediale e decorre in direzione craniale lungo la faccia mediale della gamba e della coscia, fino alla

sua crosse (fig.8), situata alla base del triangolo di Scarpa ,con la quale perfora la fascia e si

inoscula nella vena femorale; vena dotata di una consistente tunica muscolare, a volte visibile,

spesso palpabile, può ricevere un catetere di discreto calibro.

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Fig.7 - Vene superficiali arti inferiori: versante antero-mediale.

Fig. 8 - Vene superficiali arti inferiori: crosse vena safena.

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3 Indicazioni L’accesso venoso periferico costituisce il primo approccio al sistema vascolare nell'ambito

dell'assistenza terapeutica pediatrica in elezione ed in emergenza/urgenza (tab. 1).

Esso viene generalmente utilizzato per il monitoraggio ematochimico e come via

preferenziale per la farmacoterapia e fluidoterapia intravenosa, per la somministrazione di sangue

ed emoderivati; infine risulta essere indispensabile durante la gestione della narcosi.

Tab.1 – Accesso venoso periferico: indicazioni.

L'accesso vascolare iniziale, anche in emergenza/urgenza, viene realizzato con la tecnica

classica del cateterismo venoso periferico,mediante impianto di un’agocannula; esso viene

utilizzato per prelevare sangue da inviare al laboratorio e per iniziare le prime cure; se necessario, il

secondo accesso vascolare viene scelto in base ad una successiva e più accurata elaborazione del

piano diagnostico terapeutico. Nei casi critici in cui non sia rapidamente realizzabile un accesso

venoso periferico, si procede senza alcun indugio ad un accesso vascolare intraosseo, accesso da

convertire nell’immediato futuro, ma solo ad avvenuta stabilizzazione. Le cure successive possono

essere erogate mediante ulteriori accessi venosi periferici, adottando la tecnica della rotazione, o

prevedere razionalmente impianti di altri dispositivi intravascolari quali cateteri Midline, PICC,

cateteri venosi centrali, dispositivi totalmente impiantabili; tali opzioni sono determinate dalle

caratteristiche fisico-chimiche dei farmaci e delle soluzioni da iniettare, dalla durata delle cure da

erogare (breve, medio e lungo termine) e dalla necessità di un accesso venoso centrale. In

Farmacoterapia

Fluidoterapia

Emotrasfusioni

Monitoraggio ematochimico

Anestesia

Urgenze

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condizioni critiche, in pazienti trasferiti da altro ente assistenziale, se al ricovero è presente un

presidio infusionale correttamente impiantato ed adeguato al piano terapeutico, si può utilizzare

inizialmente tale presidio dopo averne testato la pervietà, ma bisogna sempre sostituirlo entro le

prime 24h con un nuovo presidio di cui conosciamo bene le caratteristiche infusionali e siamo

garanti della procedura d'impianto adottata.

L'approccio ‘tradizionale’ nella programmazione di terapia endovenosa compatibile con

vena periferica è attuato mediante l’impianto di un’ agocannula, adottando la tecnica della rotazione

del presidio ogni 72/96 h. In caso di esaurimento del patrimonio venoso periferico, il successivo

step è l’mpianto di un catetere venoso centrale.

L’approccio ‘nuovo’, che prepotentemente si fa strada anche in ambito pediatrico, consiste,

in alternativa ad un accesso venoso centrale o ad un uso improprio di ripetuti accessi vascolari

periferici, nella scelta precoce di un catetere Midline o, se richiesto, di un PICC, presidi che

possano supportare con un solo impianto tutto l’iter diagnostico-terapeutico ed essere rimossi solo a

fine cura o per l’insorgenza di complicanze.

Il cateterismo venoso centrale diretto o realizzato mediante accesso da una vena periferica

(PICC) costituisce la tecnica di prima scelta quando il programma terapeutico preveda

somministrazione rapida di grandi volumi di fluidi, farmaci endotelio-lesivi, soluzioni iperosmolari,

lunghi periodi di cura anche se intervallati da periodi di stand-by.

La cateterizzazione venosa centrale ha contribuito a migliorare la gestione di diversi

problemi pediatrici; questo accesso, ripetibile nel tempo sulla stessa vena, permette un accurato

monitoraggio emodinamico nel bambino critico e consente di svolgere in modo sicuro ed efficace il

piano terapeutico e le determinazioni ematochimiche.

Bambini con problemi seri come sindrome da intestino corto, pseudoostruzione intestinale,

gastroschisi, possono essere tenuti in vita con NPT.

La sopravvivenza di prematuri estremi è notevolmente migliorata con la possibilità di

adeguata copertura del fabbisogno calorico mediante somministrazione bilanciata di proteine, lipidi

e glucidi. L’oncologia pediatrica richiede accessi venosi centrali non solo per una più sicura

somministrazione della polichemioterapia, ma anche per la necessità di un adeguato supporto

nutrizionale e per il monitoraggio ematochimico.

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Inoltre il cateterismo venoso centrale viene utilizzato per il trattamento di alcuni gravi

disordini metabolici, per plasma-aferesi, per emodialisi a breve o lungo termine.

La scelta ragionata e non casuale del presidio da utilizzare al momento del ricovero e la

successiva programmazione della tecnica di cateterismo venoso periferico e dei devices da

utilizzare in base al piano diagnostico-terapeutico, rendono sicuramente più snello ed agevole il

percorso assistenziale. La validazione di un idoneo protocollo aziendale migliora l’efficienza e la

sicurezza delle procedure; la riduzione delle percentuali di errore e dell’incidenza di complicanze

migliorano la qualità dell’assistenza ed, in termini di economia aziendale, ottimizzano il rapporto

costo-efficacia. La partecipazione attiva ed il training aumentano la motivazione degli operatori

sanitari i quali possono svolgere in modo sereno il proprio lavoro, seguendo delle procedure

standardizzate e validate che li tutelano sia da problemi etici che da controversie legali, nel rispetto

del patrimonio vascolare del malato e della sua compliance, e nel tentativo ulteriore di rendere

meno traumatico l’adattamento del bambino e del suo nucleo parentale all’ospedalizzazione.

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4 Vie di accesso venoso periferico

L’accesso venoso periferico si realizza mediante incannulamento per puntura transcutanea o

preparazione chirurgica di vene superficiali, sopra-aponeurotiche,visibili e/o palpabili,

generalmente localizzate in segmenti corporei facilmente accessibili: vene antibrachiali, vene distali

della gamba e del piede, vene del distretto cranio-cervicale. Nel bambino non esistono significative

differenze rispetto all’adulto, eccetto il minor calibro e la minore evidenza della rete venosa

sottocutanea; l’esiguo spessore della parete venosa la rende più fragile nonostante la maggiore

elasticità. Nel neonato e nel lattante le ancor più ridotte dimensioni, l’estrema sottigliezza della

parete vasale e la notevole salienza del pannicolo adiposo, rendono la pratica meno accessibile. A

volte il patrimonio venoso utilizzabile è molto ridotto e di difficile gestione, spesso tale problema

viene amplificato da precedenti cicli di terapia parenterale o da reiterati ed impropri tentativi di

venipuntura. Una buona conoscenza dell’anatomia è indispensabile per un corretto approccio a

questa procedura nella cui esecuzione è indispensabile rispettare rigidi criteri nell’ordine

sequenziale di ricerca della vena da incannulare, nella scelta di materiali idonei, nella tecnica di

incannulamento e nella gestione del catetere venoso. Evidente è l’influenza del programma

terapeutico e della sua durata sulla scelta dell’ accesso venoso e sulla sua gestione.

Per ottimizzare l’approccio al sistema venoso periferico bisogna seguire dei rigidi criteri

nella ricerca della vena da incannulare, nella tecnica e nella gestione dell’impianto.

Risulta fondamentale scegliere la vena da incannulare in base alla taglia ed alla compliance

del bambino, alle richieste del programma terapeutico ed alla disponibilità di vene superficiali

accessibili ed utilizzabili.

Nella scelta del segmento venoso da incannulare è fondamentale ricercare vene superficiali,

palpabili, non ipotrofiche, rettilinee e pervie; che non presentino segni di precedenti traumatismi

e/o postumi di pregresse venipunture (dolorabilità, impervietà, presenza di ematomi o di sclerosi).

La scelta del lato deve escludere in prima istanza l’arto dominante; bisogna evitare segmenti

corporei edematosi, ipotrofici o affetti da patologie cutanee; gli arti inferiori possono essere

utilizzati esclusivamente nel neonato/lattante o nella primissima infanzia. Compatibilmente alla

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disponibilità di vene accessibili, possiamo proporre il seguente algoritmo (tab.2), considerando che

è sempre preferibile iniziare la procedura su segmenti corporei distali, procedendo successivamente

in senso centripeto in caso di insuccesso, e che bisogna sempre utilizzare agocannule adeguate al

calibro ed alla lunghezza del segmento venoso scelto.

Vene dorsali della mano e dell'avambraccio

Vene antecubitali

Tributarie della vena mediana al polso

(esclusivamente in narcosi per difficile stabilizzazione)

Vene dorsali del piede

(età < 2 anni)

Vene safene interne in regione malleolare mediale

(età < 2 anni)

Vene giugulari esterne

(difficile stabilizzazione, flusso influenzabile dalle variazioni posturali del collo)

Vene dello scalpo

(età neonatale)

Tab.2 – Algoritmo di ricerca delle vene.

In alternativa, specie in condizioni d’emergenza in cui vi sia stato insuccesso della tecnica

percutanea, si può ricorrere all’accesso chirurgico per la preparazione di una vena periferica. In

passato tale tecnica (cut-down) è stata di notevole aiuto negli accessi venosi difficili, attualmente le

sue indicazioni sono state ridimensionate, ma rimane indispensabile in emergenza quando non siano

disponibili rapidamente valide alternative, il tempo medio della procedura richiede solo pochi

minuti. In genere si pratica l’isolamento della vena safena interna, vena accessibile lungo tutto il

suo decorso anche se di preferenza la procedura viene effettuata anteriormente al malleolo mediale;

possono essere agevolmente isolate anche le vene giugulari esterne o le vene superficiali degli arti

superiori.

La programmazione di terapia i.v. compatibile con la somministrazione in vena periferica

prevede, per terapie non estemporanee, la rotazione dell’accesso venoso ogni 72/96 h; in alternativa

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all’approccio tradizionale attualmente suscita notevole interesse, per terapie protratte (> 7gg.), una

nuova metodologia: l’impianto di cateteri Midline, in grado di coprire con un solo impianto tutto il

periodo di cura, che possono essere impiantati con differenti procedure:

tecnica blind su vene superficiali, visibili e palpabili, come la v. basilica. la v.

cefalica e le vv. mediane in fossa antecubitale;

tecnica ecoguidata su vene profonde, non visibili ne palpabili, come la v. basilica, la

v. cefalica. le vv. omerali al terzo medio, o la v. ascellare al terzo prossimale sempre

in regione brachiale.

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5 Vie di accesso venoso periferico-centrale

tecnica blind su vene superficiali, visibili e palpabili, come, in ordine di preferenza,

la v. basilica. la v. cefalica e le vv. mediane in fossa antecubitale;

tecnica ecoguidata su vene profonde, non visibili ne palpabili, come, in ordine di

preferenza, la v. basilica, le vv. omerali, la v. cefalica al terzo medio, o la v.

ascellare al terzo prossimale sempre in regione brachiale.

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6 Vie di accesso venoso centrale

In età pediatrica le vene di prima scelta da incannulare sono quelle del distretto cavale

superiore, in particolare la vena giugulare interna il cui cateterismo risulta essere più semplice e

sicuro; tale pratica in condizioni di emergenza non ostacola le manovre di rianimazione cardio-

polmonare.

E’ preferibile cateterizzare la vena giugulare interna a destra perché è generalmente di

calibro maggiore, la cupola pleurica è più bassa rispetto alla controlaterale, essa è in asse con la

vena cava superiore e non vi è rischio di puntura accidentale del dotto toracico.

Sono utilizzabili inoltre le i tronchi anonimi e le vene succlavie, anche se quest'ultime

sembrano essere sempre meno utilizzate a causa delle maggiori difficoltà di cateterismo e del

maggior numero di complicanze correlate all'impianto.

Al distretto cavale inferiore si può accedere mediante il cateterismo alla vena femorale a

livello del triangolo di Scarpa.

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Vie di accesso, dispositivi e indicazioni

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7 Dispositivi I dispositivi intravascolari vengono classificati in base a due parametri principali: il diametro

e la lunghezza (tab.3). La misura del diametro esterno viene espressa in Fr (French): 1 Fr = 3 mm.;

la misura del diametro interno viene espressa in G (Gauge) e rappresenta il numero di aghi o

cateteri compresi in 1 cm2; la lunghezza del catetere è espressa in centimetri.

Tab.3 – Devices intravascolari: unità di misura.

Gli aghi metallici tradizionali ed i butterfly, presenti in commercio in varie misure

identificabili mediante diversi codici-colore che vanno da 14 G a 26 G, non vanno assolutamente

utilizzati per infusioni prolungate a causa della ridotta possibilità di stabilizzazione dei presidi e

della rigidità del metallo che determina facilmente lesioni da decubito endoteliale o danni maggiori

alla parete vasale con stravaso dei farmaci infusi ed infiltrazione perivascolare; il loro impiego

dovrebbe essere esclusivamente circoscritto a prelievi ematochimici ed emogasanalisi o a terapie

estemporanee in caso di scarsa accessibilità al sistema venoso periferico.

Le più validate ed attuali linee guida (tab.4) identificano universalmente le agocannule come

presidio di prima scelta per l’accesso vascolare periferico. Esse sono costituite da un catetere a

punta aperta di materiale plastico biocompatibile, montato su un mandrino metallico provvisto di

camera trasparente per la visualizzazione del deflusso di sangue. I materiali costitutivi dei cateteri

più frequentemente utilizzati sono il teflon, il poliuretano ed il silicone; in particolare i devices

realizzati in poliuretano (PUR), materiale dotato di ottima tollerabilità e buona biostabilità in

considerazione al ridotto periodo di utilizzo (72/96 h), possono essere considerati i presidi di prima

scelta per l’ottimo rapporto qualità/costo.

Ø esterno - French (1 Fr = 3 mm.) Fr

Ø interno – Gauge (n° pr. / 1 cm2) G

Lunghezza – centimetri cm

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Gli aghi metallici e butterfly

non vanno utilizzati per infusioni prolungate

Utilizzare agocannule in Teflon o PUR o silicone

Rimuovere agocannula ogni 72-96 ore

Tab.4 – Devices intravascolari: linee guida (CDC Atlanta).

In area critica pediatrica le agocannule costituiscono i devices di riferimento, in particolare

quelle realizzato in poliuretani di ultima generazione (® Vialon); il poliuretano è un materiale

caratterizzato da discreta biostabilità, ma di ottima biotollerabilità poiché dotato di un certo grado di

termoplasticità che, alle temperature corporee, determina una maggiore malleabilità del presidio

consentendogli una fluttuazione endovasale che riduce il decubito endoteliale e migliora la

tolleranza dell’impianto. Altri materiali biocompatibili quali Teflon, polietilene e PVC (rilascio di

plastificanti) sono stati impiegati in passato, ma risultati più rigidi, non termoplastici e

maggiormente favorenti la colonizzazione batterica e la trombogenesi endoluminale.

Le caratteristiche costitutive dell’agocannula o catetere venoso periferico rendono il

presidio indispensabile per la realizzazione di accesi venosi periferici facilmente instaurabili, stabili

e sicuri, ma la durata dell’impianto è limitata (sostituzione o rotazione ogni 96 h anche in assenza di

complicanze), esso è attuabile solo se le vene superficiali sono visibili e/o palpabili e non è

consigliabile per terapia extraospedaliera; i cateteri venosi periferici sono disponibili in commercio

in varie misure (da 14 G a 26 G) identificabili mediante diversi codici-colore (tab.5) (fig.9-10-11-

12-13-14).

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Ø flusso codice-colore

14 G (2.1 mm) 330 ml/’ arancio

16 G (1.7 mm) 215 ml/’ grigio

18 G (1.3 mm) 105 ml/’ grigio

20 G (1.1 mm) 55 ml/’ rosa

22 G (0.9 mm) 36 ml/’ azzurro

24 G (0.7 mm) 24 ml/’ giallo

26 G (0.6 mm) 13 ml/’ violetto

Tab.5 – Agocannule – Codice-colore.

Fig.9 – Agocannule.

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Fig.10 – Agocannule.

Fig.11 – Agocannule.

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Fig.12– Agocannule.

Fig.1 – Agocannule – Presidi di nuova generazione.

Fig.14 – Agocannule – Presidi di nuova generazione.

Nella pratica clinica l’impiego delle agocannule presenta certamente importanti vantaggi

quali bassi costi d’inserzione e mantenimento, e minimo rischio di complicanze batteriemiche.

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Il limite all’utilizzo di tali presidi è costituito dalla possibilità di somministrare

esclusivamente soluzioni o farmaci non endotelio-lesivi per le vene periferiche, solo in malati con

vene periferiche agibili, per periodi limitati di tempo, possibilmente in ambito ospedaliero; il

cateterismo venoso periferico è inoltre gravato da un alto tasso di complicanze locali in caso di

terapie non estemporanee o addirittura protratte si può avere un notevole incremento della spesa di

gestione per il rilevante costo del tempo infermieristico connesso al posizionamento ripetuto ed al

controllo pluriquotidiano delle agocannule.

In alternativa, specie in condizioni d’emergenza in cui vi sia stato insuccesso della tecnica

percutanea, si può ricorrere all’accesso chirurgico per la preparazione di una vena periferica. In

passato tale tecnica (cut-down) è stata di notevole aiuto negli accessi venosi difficili, attualmente le

sue indicazioni sono state ridimensionate, ma rimane indispensabile in emergenza quando non siano

disponibili rapidamente valide alternative, il tempo medio della procedura richiede solo pochi

minuti. In genere si pratica l’isolamento della vena safena interna, vena accessibile lungo tutto il

suo decorso anche se di preferenza la procedura viene effettuata anteriormente al malleolo mediale;

possono essere agevolmente isolate anche le vene giugulari esterne o le vene superficiali degli arti

superiori.

La programmazione di terapia i.v. compatibile con la somministrazione in vena periferica

prevede, per terapie non estemporanee, la rotazione dell’accesso venoso ogni 72/96 h; in alternativa

all’approccio tradizionale attualmente suscita notevole interesse, per terapie protratte (> 7gg.), una

nuova metodologia: l’impianto di cateteri Midline, in grado di coprire con un solo impianto tutto il

periodo di cura.

I cateteri Midline (fig.15) sono cateteri in poliuretano di terza generazione o in silicone, a

punta aperta o a punta chiusa valvolata, della lunghezza da 8 a 30 cm., presenti in commercio nelle

misure da 2 a 6 Fr., utilizzabili per accessi venosi periferici di durata prolungata (possono essere

lasciati in sede fino a fine uso o all’insorgere di complicanze), da posizionare preferibilmente per

via ecografica (quindi anche in assenza di vene visibili/palpabili), adatti anche a terapie

extraospedaliere; il loro impianto richiede training del personale infermieristico; il costo iniziale è

elevato, ma il loro impiego è caratterizzato da massimo confort per l’ammalato e da una notevole

riduzione di tutti gli altri costi di gestione.

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Fig.15 – Cateteri Midline.

Questi cateteri sono derivati e del tutto sovrapponibili ai PICC (cateteri centrali ad

inserzione periferica), in quanto l’unica differenza durante l’impianto è il posizionamento

dell’estremo distale del catetere nel sistema vascolare (fig.17-18-20-21):

in vena ascellare o in vena succlavia (linea emiclaveare), per i Midlline;

alla giunzione cavo-atriale (come per i cateteri venosi centrali classici), per i

PICC.

Nella pratica clinica i cateteri Midline conservano tutte le indicazioni relative all’accesso

venoso periferico, con la prerogativa di mantenerlo efficiente per un periodo protratto; i PICC sono

da considerarsi invece degli accessi venosi centrali a tutti gli effetti, anche se realizzati mediante il

cateterismo di una vena periferica, e quindi utilizzabili per NPT, polichemioterapia, etc.

Fig.16 – Peripheral Inserted Central Catheter - PICC

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I PICC (fig.16) vengono prodotti negli stessi diametri dei Midline (da 2 a 6 Fr.), la

lunghezza massima dei presidi è intuitivamente maggiore per consentire la localizzazione della

punta in vena cava superiore (50 – 70 cm.). Attualmente sono disponibli cateteri power-picc

progettati per resistere ad alte pressioni infusionali e, quindi , da poter essere tranquillamente

utilizzati per esami angiografici.

L’impianto dei Midline e dei PICC si attua mediante procedure percutanee che prevedono

generalmente l’inserimento attraverso le vene degli arti superiori (vv. basilica, cefalica e mediana) e

la progressione dell’estremo distale in corrispondenza del segmento venoso prossimale prescelto; in

casi particolari tali presidi possono richiedere la preparazione chirurgica della vena per essere

impiantati.

Le tecniche d’impianto sono sostanzialmente due: la tecnica blind e la tecnica ecoguidata.La

tecnica blind si effettua individuando la vena da cateterizzare come nel cateterismo venoso

periferico classico, quindi mediante ricerca visiva o palpatoria del segmento venoso e delle sue

caratteristiche di pervietà e recettività dell’impianto (tab.8) e può essere realizzata bed-side; la

tecnica ecoguidata prevede l’utilizzo di apparecchiatura ecografica/eco-color-doppler per la ricerca

mirata e la cateterizzazione di segmenti venosi pervi, non visibili e non palpabili; prevede inoltre il

controllo radiografico, radioscopico o elettrocardiografico del corretto posizionamento della punta

del catetere (tab.9), anch'essa può essere realizzata bed-side.

Questi presidi sono prodotti essenzialmente in poliuretani di ultima generazione ed in

silicone, materiali di riferimento per le loro caratteristiche strutturali che li rendono estremamente

affidabili per cateterismi venosi prolungati (tab.7).

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CateterismoCateterismo venoso centralevenoso centrale

materialimateriali

biostabilitbiostabilitàà

biocompatibilitbiocompatibilitàà

SiliconeSiliconePoliuretanoPoliuretano

Tab.7 – Midline – PICC – Caratteristiche biologiche dei materiali.

Attualmente sono disponibili numerosi tipi di cateteri per accesso venoso centrale, di diversi

materiali, di diverso calibro, a singolo o multiplo lume, a punta chiusa o aperta, provvisti o meno di

valvole, tunnellizabili e non, spesso forniti in kit pronti per l’ impianto e la tunnellizzazione. La

scelta del catetere da utilizzare è direttamente condizionata dalle necessità terapeutiche e dalla taglia

del bambino; la durata del programma terapeutico, la capacità di gestione dell’impianto e la

compliance del portatore sono importanti nel processo di selezione del presidio da impiantare. Il

materiale di riferimento è il silicone dotato di buona tollerabilità tissutale, bassa trombogenicità ed

alta biostabilità; il poliuretano è dotato di ottima tollerabilità tissutale, ma bassa biostabilità (diviene

estremamente malleabile alla temperatura corporea) per cui non è consigliabile negli impieghi a

lungo termine, ma costituisce una buona scelta in emergenza e nei presidi da utilizzare a breve e

medio termine, anche se i poliuretani di ultima generazione hanno notevolmente migliorato la

propria affidabilità tanto da colmare quasi integralmente il gap. Al momento dell’impianto, anche in

condizioni critiche, quando si preveda un utilizzo più prolungato del catetere in relazione a

patologia preesistente o alla durata del programma terapeutico, sono da preferire cateteri più adatti

all’impiego a medio e lungo termine, possibilmente tunnellizzabili.

Il catetere Hickman (Fig.17-18), in gomma di silicone radio-opaca, a punta aperta, dotato di

cuffia in Dacron sul segmento extravascolare e di clamp sul segmento extracorporeo,

tunnellizzabile, costituisce un’ottima scelta.

Il catetere Broviac, molto simile al precedente da cui si differenzia unicamente per il calibro

rastremato del segmento intravascolare, viene utilizzato nei bambini più piccoli. Entrambi questi

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cateteri necessitano di clampaggio ed eparinizzazione. Il gold standard sembra essere stato

raggiunto dal catetere Groshong (Fig.17) esso è realizzato in silicone trasparente centimetrato con

banda e punta radio-opache, ha un calibro interno maggiore, è dotato di punta chiusa con fessura

laterale capace di funzionare come valvola di pressione (minime pressioni esterne positive o

negative consentono rispettivamente il flusso ed il reflusso, in assenza di pressioni esterne la

valvola rimane inerte); questo catetere non necessita di clampaggio ed eparinizzazione poiché non

consente reflusso di sangue in stand-by: è sufficiente il lavaggio periodico con soluzione fisiologica

(saline-lock); anch’esso è dotato di cuffia in Dacron e disponibile in kit completo di tunnellizzatore

per impianto percutaneo o cutdown.

La tunnellizzazione del segmento extravascolare del catetere risulta estremamente

vantaggiosa quale che sia la tecnica d’impianto; essa si realizza creando un tragitto sottocutaneo che

distanzi sufficientemente il punto d’ingresso in vena da quello d’uscita cutaneo, sulla parete toracica

anteriore negli accessi al distretto cavale superiore o sulla parete addominale anteriore negli accessi

al distretto cavale inferiore; la presenza di cuffie in Dacron migliora la stabilità dell’impianto

aumentando l’adesione tissutale del segmento extravascolare.

Fig.17 – Catetere Hickman.

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Fig.18– Catetere Hickman.

Fig.19– Catetere Groshong – particolare della valvola.

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Fig.19– Catetere Groshong .

Gli accessi vascolari totalmente impiantabili sono costituiti da reservoirs sottocutanei

collegati ad un catetere venoso centrale a lungo termine, costituiti da una struttura in materiale

plastico (policarbonato) o metallico (titanio) provvista di un setto in silicone perforabile con

appositi aghi angolati no coring, gli aghi di Huber, il cui utilizzo non determina carotaggio e quindi

progressivo rimaneggiamento della membrana di accesso; i Port vengono alloggiati in una tasca

sottocutanea sub-claveare sormontante il muscolo grande pettorale, il loro utilizzo, ottimale soltanto

nei bambini più grandi, consente il rispetto dell'integrità somatica con notevoli vantaggi in termini

di compliance e minore esposizione a complicanze settiche (Fig.20).

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Fig.20– Dispositivi totalmente impiantabili (Port).

Il cateterismo venoso ombelicale viene discretamente utilizzato in emergenza neonatale

specie su prematuri di basso peso; questa via di accesso può essere tenuta solo per breve tempo

essendo connessa ad un alto rischio di trombosi portale con possibilità di conseguenze

drammatiche nei primi anni di vita (cavernoma portale, ipertensione portale, emorragie gastro-

esofagee, insufficienza epatica).

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(L. 22.04.1941/n. 633)

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