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1 Introduzione “Vita come sogno” si traduce come: Inno alla Vita. Con questo titolo intendo sottolineare l’importanza di vivere una vita bella, piena di emozioni vere e sentimenti sinceri, una vita che non appartiene soltanto a noi che la viviamo, ma che dev’essere un poco regalata. “Vita come Sogno” esprime il desiderio di vivere al meglio, senza accontentarsi della “normalità” e della “stabilità” che oggi ci vengono proposte come uniche scelte possibili, con la capacità di stravolgere i nostri piani e di non perdere il tempo che ci è stato regalato. Partendo da una canzone scritta da noi ragazzi dell’Oratorio del Duomo, i cui versi ci aiuteranno nella comprensione del concetto di “Vita come Sogno”, prenderò in esame le storie di due personaggi che per la loro sensibilità, i loro ideali e il loro approccio alla vita si fanno portatori della “Vita come Sogno” : Lev Tolstoj, scrittore russo della seconda metà del 1800, che visse con il desiderio fortissimo di dedicarsi ai più bisognosi e Chiara Corbella Petrillo, giovane ragazza romana che decise di portare avanti con amore infinito due gravidanze gravemente compromesse e che affrontò la sua malattia con una fiducia quasi incredibile. Nelle pagine seguenti illustrerò i passaggi fondamentali nelle esistenze di questi due personaggi che li hanno portati a testimoniare con la loro vita la bellezza di vivere un sogno grande, nonostante tutte le incertezze e mettendo da parte le paure. Nella speranza di un piacevole intrattenimento, vi auguro una buona lettura.

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Page 1: Introduzione · Voglio imparare ad Amare. Conta l’umanità, bella profondità Vera sapienza, sollievo nella sofferenza. Perdere il Mondo, vincere il bene che nella mia storia, un

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Introduzione

“Vita come sogno” … si traduce come: Inno alla Vita. Con questo titolo intendo sottolineare l’importanza di vivere una vita bella, piena

di emozioni vere e sentimenti sinceri, una vita che non appartiene soltanto a noi

che la viviamo, ma che dev’essere un poco regalata.

“Vita come Sogno” esprime il desiderio di vivere al meglio, senza accontentarsi

della “normalità” e della “stabilità” che oggi ci vengono proposte come uniche scelte

possibili, con la capacità di stravolgere i nostri piani e di non perdere il tempo che

ci è stato regalato.

Partendo da una canzone scritta da noi ragazzi dell’Oratorio del Duomo, i cui

versi ci aiuteranno nella comprensione del concetto di “Vita come Sogno”, prenderò

in esame le storie di due personaggi che per la loro sensibilità, i loro ideali e il loro

approccio alla vita si fanno portatori della “Vita come Sogno” : Lev Tolstoj, scrittore

russo della seconda metà del 1800, che visse con il desiderio fortissimo di dedicarsi

ai più bisognosi e Chiara Corbella Petrillo, giovane ragazza romana che decise di

portare avanti con amore infinito due gravidanze gravemente compromesse e che

affrontò la sua malattia con una fiducia quasi incredibile.

Nelle pagine seguenti illustrerò i passaggi fondamentali nelle esistenze di questi

due personaggi che li hanno portati a testimoniare con la loro vita la bellezza di

vivere un sogno grande, nonostante tutte le incertezze e mettendo da parte le

paure. Nella speranza di un piacevole intrattenimento, vi auguro una buona lettura.

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Vita come Sogno

Un sentimento nasce da dentro me

è vita fresca che vibra nel mio cuore.

Non soldi o cose ma gioia vera che

cresce tra mani si stanche ma contente.

Da questi monti nuovi orizzonti

dammi la mano lo sguardo va lontano.

Libero il cuore voglio donare,

questa mia vita una fiamma diverrà.

Vita come sogno, luce come segno che brilla negli occhi di chi davvero vive,

ci credo, lo sento voglio vivere contento. Limpido e naturale, libero di volare.

Voglio imparare ad Amare.

Conta l’umanità, bella profondità

Vera sapienza, sollievo nella sofferenza.

Perdere il Mondo, vincere il bene che

nella mia storia, un giorno si realizzerà.

Vita come sogno, luce come segno che brilla negli occhi di chi davvero vive

ci credo , lo sento voglio vivere contento. Limpido e naturale, libero di volare.

Voglio imparare ad Amare.

Canzone scritta da noi ragazzi dell’oratorio del Duomo.

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Lev Tolstoj nacque a Jasnaia Poliana nella

Russia Centrale nel 1828 da una famiglia di

antica nobiltà.

All’età di 16 anni si iscrisse alla facoltà di

filosofia per poi passare a quella di

giurisprudenza senza mai terminare gli

studi. Dopo aver partecipato alla guerra di

Crimea, si sposò nel 1862, conducendo per

molto tempo una vita famigliare tranquilla

di tipo patriarcale: in questo periodo si dedicò

alla scrittura dando forma alle sue opere più

conosciute: Guerra e pace (1863-1869)e

Anna Karénina (1873-1877).

Caratterizzato da una profonda inquietudine

esistenziale e da un sentimento di

inadeguatezza che lo spingeva ad una

continua ricerca, Tolstoj provò a cercare la

pace attraverso l’elaborazione di un

sincretismo religioso che si fondava

sull’amore evangelico ed il lavoro manuale.

In seguito a queste sue scelte di vita, Jasnaia

Poliana divenne meta di pellegrinaggi:

questo gli causò la scomunica dalla Chiesa

ortodossa, la censura zarista e, nell’ambito

famigliare, numerosi conflitti per le sue

scelte economiche rinunciatarie.

All’età di ottantadue anni compì l’atto che

aveva meditato per anni in un tentativo di

estrema coerenza con il suo Sogno: si

allontanò da casa, abbandonando la propria

famiglia e le proprietà.

Stanco e malato, pochi giorni dopo alla

stazione di Astapovo morì(era il 7 novembre

del 1910).

Vita come Sogno in.. Lev Tolstoj

La nascita del Sogno.

Tolstoj, nonostante il grande successo dovuto

alla sua grande capacità letteraria, non era un

uomo sereno: visse anzi in una perenne

inquietudine esistenziale e in continua ricerca.

Questo probabilmente fu dovuto alla presa di

coscienza della sua condizione di nobile ricco

inserito in una realtà fatta di una povertà quasi

rassegnata.

Ecco come prende forma la Vita come Sogno in

Tolstoj: egli timidamente, quasi vergognandosi

dei pensieri che nascono nella sua mente, si

domanda come sia possibile individuare in uno

stesso ambiente così tanta ricchezza e tanta

povertà, povertà che riconosce nei contadini che

lavorano per lui a Jasnaia. I suoi possedimenti

sono per lui causa di imbarazzo specialmente se

immagina quali pensieri possono avere i

contadini nei suoi confronti. Ecco come il

disagio, l’inquietudine si trasformano in

sogno: fare in modo che i ricchi donino parte dei

loro beni ai poveri in modo da eliminare quella

terribile e vergognosa piaga che è la povertà nella

Russia dell’epoca. Ma questo non basta. Il

Sogno si estende all’Umanità intera:

condurremo una vita felice, serena solo quando

saremo disposti a sacrificare il soddisfacimento

dei bisogni materiali in favore di quelli dello

spirito, smettendo così di farci la lotta,

imparando invece ad essere solidali, amandoci gli uni gli altri.

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Contadini russi lavorano nelle

campagne di Tolstoj

Il Sogno si concretizza nella

sua vita con il tentativo di

riscattare le misere sorti dei

contadini che lo commuovono,

con l’attività pedagogica rivolta

ai bambini di Jasnaia Poliana

che aveva intrapreso, con la

completa adesione ad un

sincretismo religioso da lui ideato e che trovava le sue radici

nei principi della non violenza (che di lì a poco avrebbero

influenzato un giovane Gandhi), sull’amore evangelico per

il prossimo, sul dovere di aiutare chi soffre ed è oppresso. Nel tentativo di vivere

coerentemente con questi principi e con il Sogno che lo animava egli rinunciò ai

suoi privilegi di aristocratico e diede i suoi ricchi diritti d’autore per aiutare i

perseguitati, si dedicò al lavoro manuale, ricercando una comunione con il popolo,

con quei contadini che tanto ammirava e che tanti interrogativi gli avevano fatto

sorgere.

Sogno e realtà.

Tolstoj tenterà di promuovere numerosi progetti a favore

dei miserabili ma se in un primo momento questi

venivano accolti con entusiasmo dai suoi amici e

conoscenti dell’alta società poi, nel concreto nessuno era

disposto ad investirci e così tutto svaniva e con

l’aumentare dei fallimenti anche lo spirito di Tolstoj

andava scoraggiandosi. Duro colpo fu per lui realizzare

che tutta la povertà che lo circondava in città, era ben più

complessa della semplice mancanza di denaro, si

trattava piuttosto di sofferenza dell’anima dovuta alla mancanza di prospettive,

certo erano bisognosi ma il denaro non era la soluzione per loro: in mano a questi

miserabili non avrebbe potuto che causare la loro definitiva rovina.

Tolstoj fu colpito dalla povertà umana intesa come corpo sottomesso ai vizi, come

degrado morale e civile e l’arrivare a comprendere che non era possibile trovare una

soluzione, lo fece riflettere profondamente sul ruolo dell’uomo nella società e sul

senso della vita.

Miseria nella Russia

dell’epoca

Lev Tolstoj nelle campagne

di sua proprietà

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Il Sogno ridimensionato. Nonostante il brusco scontro con la misera realtà della vita, che mise a dura prova

la sua fragile volontà, Tolstoj conservò sempre nell’animo suo il desiderio di vivere

il Sogno che certo aveva mutato in lui forma e dimensione: non più il grande

ideale di voler cambiare l’alta società di Russia ma un più pacato desiderio di

tranquillità, il vivere tranquillo in campagna, con poche cose semplici che possano

alimentare la bellezza dello spirito, il vivere una vita bella senza però dimenticarsi

dei più deboli che sempre saranno il perno attorno al quale tutto ruoterà insieme

alla volontà di amare con intensità chi gli sarà accanto e ciò che la vita gli

regalerà.

Si tratta di un sogno ridimensionato, quello

che Tolstoj sogna per sé e per l’umanità anche se

non riuscirà a realizzarlo in quanto una

perenne inquietudine dovuta all’incapacità di

placare i suoi sensi di colpa e il senso di

inadeguatezza, lo accompagnerà durante tutta

la sua esistenza.

Vita come Sogno ha significato per Tolstoj regalare un po’ di sé e parte dei propri

averi ai bisognosi, pur senza riuscire nell’intento di eliminare la piaga della

povertà e della sofferenza ma con la bontà di aver

regalato qualcosa di proprio pur riconoscendo che

questo non sarebbe stato sufficiente.

Vita come sogno in Tolstoj ha il sapore della vita

semplice che avrebbe desiderato vivere, in campagna, a

contatto con il prossimo pronto ad ascoltarlo ed

amarlo.

Proviamo ora ad analizzare alcuni brani di Tolstoj, andando a ricercare gli

elementi caratteristici del suo pensiero finora individuati. Ci serviremo di alcuni

brani tratti dal saggio “Amatevi gli uni gli altri”, che bene evidenziano il

desiderio di amare le persone che abbiamo accanto con sincerità e senza risparmio,

alcuni stralci dell’opera morale “Che fare?” dai quali emerge il senso di disagio

dell’autore nel momento in cui viene a contatto con la povertà ed alcune citazioni

tratte dal romanzo “La felicità domestica” dalle quali si evince la mutata visione

del Sogno.

Tolstoj insieme alla moglie, ad uno dei

figli ed il suo cane nella casa in

campagna.

Tolstoj insieme ai nipoti

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“..Conta l’umanità, bella profondità..” “..Voglio imparare ad Amare..” “.. Perdere il Mondo..” I versi della canzone “Vita come Sogno” che ho anteposto alla mia ricerca, per uno

strano caso (ma sarà solo un caso?) li possiamo ritrovare in varie pagine di Tolstoj.

Ad esempio vi propongo un brano tratto dal saggio “Amatevi gli uni gli altri”

(1907), in cui troverete riferimenti ai versi sopra citati.

“ Prima di dirvi addio (e alla mia età ogni incontro è un addio) vorrei dirvi in

breve come, secondo me, gli uomini dovrebbero organizzare la loro esistenza,

affinché essa cessi di essere miserabile e sventurata, come è oggi per i più, e

divenga invece quale dovrebbe essere, quale Dio la desidera e tutti noi la

desideriamo e cioè buona e lieta.

Tutto dipende da come uno concepisce la propria esistenza. Se uno pensa:

tutta la vita è nel mio corpo, cioè il corpo di Ivan, Pietro, Maria e lo scopo della

vita consiste nel procurare la maggior quantità di piaceri e soddisfazioni

possibili a questo mio io, cioè a lvan, Pietro, Maria, allora la vita sarà sempre e

per tutti infelice e amara.

Essa sarà infelice e amara, perché tutto quello che ciascuno vuole per sé, lo

vogliono anche tutti gli altri per loro. Se ciascuno vuole ogni genere di beni

materiali per sé e nella maggior quantità possibile, siccome questi beni sono

limitati essi non saranno mai sufficienti per tutti. E perciò, quando gli uomini

vivono, pensando ciascuno solo a se stesso, non possono fare a meno di portarsi

via l'un l'altro questi beni, di lottare ed essere nemici fra loro: per questo la loro

vita diviene infelice.

La vita ci è stata data perché sia per noi un bene e questo noi ci attendiamo da lei.

Ma perché sia così, dobbiamo capire che la vera vita non è nel corpo, ma in quello

spirito che abita dentro il nostro corpo, dobbiamo capire che il nostro bene non

consiste nei piaceri del corpo e nel fare ciò che chiede il corpo, ma nel fare ciò che

esige quell'unico spirito, che abita in tutti noi.

Questo spirito vuole il suo proprio bene, cioè il bene dello spirito, e poiché

questo spirito è il medesimo in tutti, esso vuole il bene di tutti gli uomini.

Desiderare il bene degli altri, significa amarli. E nulla può impedirci di amare e

più si ama, più la vita diviene libera e felice.

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Di conseguenza, gli uomini, per quanto facciano, non sono mai in grado di

soddisfare i loro desideri materiali, perché ciò che serve al corpo non sempre e

possibile procurarselo e per procurarselo bisogna lottare contro gli altri; al contrario

l'anima, che ha bisogno solo d'amore, può essere soddisfatta facilmente: per amare

non dobbiamo lottare contro nessuno, anzi più amiamo, più andiamo d'accordo

con gli altri. Nulla ostacola l'amore e più uno ama, più diventa felice e allegro,

non solo, ma rende felici e allegri anche gli altri.

Ecco, cari fratelli, quello che volevo dirvi prima di lasciar questa terra. Al giorno

d'oggi sì sente dire da ogni parte che la nostra vita è amara e infelice, perché mal

organizzata, dobbiamo trasformare le strutture sociali e la nostra vita diverrà

felice. Non credete assolutamente a ciò, cari fratelli! Non illudetevi che l'una o

l'altra struttura sociale migliorerà la nostra vita.

Intanto tutte queste persone, che si stanno impegnando per migliorare

l'organizzazione della società, non sono d'accordo fra loro. Gli uni propongono un

progetto come il più adatto, gli altri affermano che quello è pessimo e che solo il

loro va bene, i terzi bocciano anche questo ne propongono uno ancora migliore. Poi,

anche ammettendo che si trovasse l'organizzazione sociale ideale, come farla

accettare da tutti e come realizzarla, se la gente è piena di vizi?

Per costruire una vita migliore, devono divenire migliori i singoli individui.”

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“.. Non soldi o cose..” “.. Libero il cuore voglio donare..” Un analogo concetto si ritrova nell’opera “Che fare?” di cui seguono alcuni stralci.

Capitolo III

“[…]L’esistenza in città che fino allora m’era nuova e mi pareva bizzarra, mi

divenne allora così odiosa, che tutte le gioie della vita di lusso che, prima, mi

sembravano tali, si cambiarono per me in tormenti. Avevo un bel cercare nel mio

animo una ragione qualunque per scolpare la nostra vita- non potevo vedere senza

irritazione il mio salone o quello di altri, una tavola sontuosamente servita, una

vettura o un bel equipaggio, i negozi, i teatri o i circoli. Non potevo impedirmi di

vedere a lato di tutto ciò gli abitanti della casa Liapine, torturati dalla fame, dal

freddo e dall’umiliazione. Mi era impossibile liberarmi dell’idea che quelle due cose

si legavano e che l’una era la conseguenza dell’altra.[…]”

Capitolo X

“[…] Desideravo ardentemente realizzare il mio progetto- fare del bene agli

infelici.[…]”

Capitolo XII

“Quando abitavo in campagna ero continuamente in rapporto con i poveri del

villaggio. Siccome è necessario ch’io sia abbastanza franco, perché si possa

comprendere il corso dei miei pensieri e dei miei sentimenti, confesso che facevo

poco per gli infelici. Tuttavia, le loro esigenze eran così modeste che anche quel poco

era loro utile e creava attorno a me un’atmosfera di simpatia e di solidarietà coi

miei simili. Tranquillizzai così la mia coscienza che mi rimproverava l’illegalità

della mia vita.[…] Ciò che mi colpì e mi commosse soprattutto, fu il gran numero

di infelici che incontrai. Il sentimento che provai nel vederli mi fece comprendere

tutta l’infamia della mia esistenza. Malgrado ciò ero così debole da temere la

rivoluzione che quel sentimento doveva provocare nella mia coscienza.[…]”

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“.. E’ vita fresca che vibra nel mio cuore..” “.. Questa mia vita una fiamma diverrà..” Parole analoghe a quelle della canzone le troviamo nei pensieri della giovane

Maria, protagonista femminile del romanzo, a proposito di Serghièi Mikhàilovic,

suo innamorato, di molti più anni di lei che incarna il sogno rivisitato di Tolstoj:

Parla ora Serghièi Mikhàilovic, protagonista maschile, che in queste parole ricalca

in pieno il pensiero di Tolstoj:

“ […] Lui ancora mi insegnò a considerare la nostra gente- contadini,

famigli, domestiche- in modo affatto diverso di prima. È ridicolo dirlo, eppure

fino alla bellezza di diciassette anni io ho dimorato in mezzo a queste persone

più estranea loro che non a chiunque mai visto né conosciuto; una volta che è

una volta, non mi è passato per il capo che questa gente infine ama, brama e si

lagna tanto quanto me.[…]”

“ […] Non invano egli diceva che nella vita esiste solamente un’unica

indubitabile felicità, ossia: vivere per gli altri. Cosa che mi riusciva ostica

allora: non la capivo; ma pure questa convinzione, all’insaputa del pensiero,

già guadagnava il mio cuore.[…]”

“ […] Leggevo ora chiaro in lui quanto prima mi tornava strano. Riuscivo a

capir finalmente perché egli ponesse la felicità soltanto nel vivere per gli altri: e

adesso avevo la mia piena adesione.[…]”

“ […] Io ho vissuto molto, e mi pare di aver trovato quel che bisogna alla felicità.

Una vita pacifica, ritirata, nel nostro romitaggio campestre, con possibilità di

far del bene alla gente, che è così facile beneficare, giacché al bene non è

costumata; poi il lavoro, lavoro che, sembra, presenta dei vantaggi; poi il riposo,

la natura, un libro, la musica, l’amore verso il nostro prossimo- ecco la mia

felicità, oltre la quale io non sapevo spingere i miei sogni. Qui poi, per colpo di

fortuna, un’amica (e quale!) come voi, una famiglia forse, e tutto quanto è

concesso desiderare a un uomo.[…]”

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Vita come Sogno in… Chiara Corbella Petrillo Il Sogno è Amore.

Chiara nasce il 9 Gennaio 1984 a Roma, è la minore di

due sorelle, cresce in una famiglia cristiana che la

educa alla fede e alla preghiera. Conosce grazie alla

madre una comunità del Rinnovamento dello Spirito

che l’accompagnerà, insieme alla sorella, nella crescita

e le insegnerà a condividere il suo cammino di fede con

i fratelli che camminavano con lei.

All’età di 18 anni, durante

un pellegrinaggio a Medjugorje, Chiara incontra

Enrico e pochi mesi dopo i due di fidanzano.

Il fidanzamento, durato quasi 6 anni, è un periodo in

cui Chiara vede messi a dura prova quelli che erano i

valori in cui diceva di credere: dopo 4 anni, il

fidanzamento barcolla fino a che Chiara ed Enrico

decidono di lasciarsi. Questi sono per Chiara momenti

di sofferenza e di ribellione, soffre nel non capire, non

riesce ad accettare, è molto inquieta. Partecipa ad un Corso Vocazionale ad Assisi e

qui ritrova un po’ di pace e serenità; dopo poco Chiara ed Enrico ricominciano a

frequentarsi ma il fidanzamento non funziona

finché Chiara non comincia a fidarsi

completamente, non dimentica la paura di

apparire per quel che realmente è, buttando via

tutte le maschere che si era costruita, non si libera

di tutte le aspettative che si era creata. Superate

queste paure, i due cominciano a vivere più

serenamente e decidono di sposarsi poco dopo, è il

21 Settembre 2008.

Chiara a 20 anni, fotografata

nella casa di campagna.

Chiara ed Enrico pronti per la

Marcia francescana del 2007.

Chiara ed Enrico nel giorno del loro

matrimonio.

Un primo piano di Chiara

durante il viaggio di nozze.

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Il Sogno è Coraggio.

Poco dopo, i giovani sposi scoprono di essere in attesa.

Si tratta di una bambina, la gioia è immensa ma si fa sentire anche un certo

timore che gli fa chiedere se sia troppo presto.

Anche in questa occasione provano a fidarsi. Purtroppo però alla bimba , sin dalle

prime ecografie, è stata diagnosticata un’anencefalia [Appendice], una

malformazione non compatibile con la vita.

Chiara ed Enrico sono disorientati, dice Enrico: “avevo fatto i conti con

l’eventualità di accogliere un bambino non sano ma non con quella di

accompagnare un bimbo al Cielo.” La sorpresa per Chiara ed Enrico è scoprire

quanto siano sulla stessa lunghezza d’onda: sapevano cosa fare e questo li ha

uniti in modo indicibile. Decidono di tenere la loro bimba Maria Grazia Letizia,

non hanno dubbi su questo, nonostante le perplessità dei medici che non riescono a

comprendere questa ostinazione: la accompagneranno fin dove potranno. La

gravidanza procede senza particolari complicazioni

nonostante le particolari condizioni e Maria Grazia

Letizia nasce il 10 Giugno 2009, viene accolta con tutto

l’amore possibile dai genitori, dai famigliari, dagli amici

più stretti e dal padre spirituale della coppia che la

battezzerà a pochi minuti dalla nascita. Maria Grazia

Letizia nascerà al Cielo appena trenta minuti dopo la sua

nascita terrena.

Il suo funerale tenuto appena due giorni dopo la sua

nascita è una festa bellissima: il clima è sereno, si

percepisce un amore profondo, una grande fiducia, Chiara

ed Enrico sono seduti di lato accanto al coro, vestiti di

bianco, cantano e suonano, lui la chitarra e lei il violino, gioiscono fra le lacrime

insieme alle loro famiglie, è un momento di eternità, un’esperienza fortissima.

Qualche mese dopo Chiara scopre di essere nuovamente in attesa.

La prima ecografia va bene, Chiara ed Enrico aspettano ogni appuntamento con

un po’ di timore, ma con un affidamento incredibile. Anche la seconda ecografia

va bene, l’anencefalia non si è ripresentata, tutti sono felici e sollevati. Alla terza

ecografia ecco però la scoperta: il bimbo, un maschietto, Davide Giovanni, non

aveva sviluppato gli arti inferiori, uno mancava proprio, l’altro era un moncherino.

Il bimbo che Chiara portava in grembo sarebbe stato disabile, è un duro colpo per i

Petrillo che però si dimostrano coraggiosi e determinati nell’ accogliere questo

bimbo che gli è stato donato. Verso il settimo mese, alla quarta ecografia vengono

Enrico, Chiara e Maria

appena nata.

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evidenziate malformazioni viscerali multiple alle

pelvi(vescica e reni) con assenza di arti inferiori.

Anche lui come sua sorella non vivrà.

Chiara ed Enrico confusi e disorientati hanno uno

sguardo che dice: “non capisco, ma accolgo.”

Accettano il destino di Davide Giovanni con la

stessa fiducia con cui hanno accettato quello di

Maria Grazie Letizia. Il bimbo nasce il 24 giugno

2011 anche lui, come la sorella, vivrà il tempo

necessario per conoscere e farsi amare

completamente dai suoi genitori ed essere battezzato, poi salirà al Cielo.

Chiara ed Enrico sono sereni, è pura fiducia.

Il Sogno è Fiducia.

Pochi mesi dopo la nascita di Davide, Chiara scopre di aspettare il suo terzo bimbo.

In tanti hanno consigliato loro di aspettare un poco prima di provare ad avere un

altro figlio, addirittura di rinunciare all’idea di avere dei figli propri, ma con la

stessa bontà e delicatezza che li avevano caratterizzati fino a quel punto del loro

cammino, Chiara ed Enrico provano a staccarsi un poco da quello che è la loro

volontà per affidarsi completamente. Il piccolo, che Enrico

decide di chiamare Francesco, è sano, tutte le ecografie lo

confermano: è un’esplosione di gioia in amici e parenti.

Al quinto mese di gravidanza a Chiara è stata

diagnosticata una brutta lesione alla lingua e , fatto un

primo intervento, i medici dichiararono che si trattava di un

carcinoma. Nonostante questo Chiara ed Enrico hanno

voluto difendere questa vita, non hanno avuto dubbi e hanno

deciso di portare avanti la gravidanza mettendo a rischio la

vita della mamma. Chiara, infatti, solo dopo il parto si è

potuta sottoporre ad un intervento più radicale e ai successivi

cicli di chemio e radioterapia.

Il 4 Aprile 2012, Chiara viene definita

malata terminale, la sofferenza fisica è compensata da una

grande fiducia. Morirà il 13 Giugno 2012, nella sua stanza,

senza paura di morire, ha regalato tutto, è serena, ha amato

fino alla fine.

Chiara saluta Davide Giovanni al

momento della nascita.

Chiara con Francesco

appena nato.

Chiara ed Enrico lasciano abbracciati il Fatebenefratelli

subito dopo la sentenza di terminalità di Chiara.

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Ad una prima lettura quella di Chiara sembra essere la

storia drammatica di una mamma che muore di tumore

lasciando soli suo marito e suo figlio. Forse una storia

simile a tante. In questa però c’è qualcosa di speciale: tutto è

stato vissuto con gioia, ed è diventato vita per gli altri.

Chiara è morta in maniera incredibile, sorridendo in faccia

alla morte. Molto più che serena: felice.

L’esistenza di Chiara è Vita come sogno che prende forma

nella bellezza di un matrimonio vissuto a pieno con le sue

fatiche e i suoi doni; nella scelta di portare avanti la

gravidanza di Maria Grazia Letizia e Davide Giovanni grazie alla ferma

convinzione che “l’idea di una vita vale di per se’, a

prescindere dall’intelligenza, dalla capacità di

ragionare e della bellezza”, con una serenità ed un

sorriso sconvolgenti, riconoscendo che i figli non

sono una proprietà ma un dono che riceviamo; nella

mitezza di spirito di convivere con una malattia

che spaventa e che sembra non lasciare scampo,

accentando di non riuscire a comprendere ma

sapendo accogliere con fiducia.

Siamo nati e non moriremo mai più è ciò che Chiara dice con la sua vita, una vita

vissuta a pieno nonostante la morte prematura, una vita che fa sognare e che ci

spinge a non accontentarci delle poche sicurezze che possiamo avere per puntare a

qualcosa di più incerto ma sicuramente più grande.

Chiara con Francesco

durante il pellegrinaggio a

Medjugorje pochi mesi

prima della sua morte.

Il sorriso di Chiara è fiducioso ed è

luce calda per chi le sta accanto.

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Chiara ed il “paradosso della fede” di Kierkegaard.

Chiara di fronte ad una realtà estremamente dura, una

malattia aggressiva e crudele, che le impone di lasciare il

marito ed il figlio che ama profondamente, non reagisce

con rabbia e ribellione, come comprensibilmente ci si

potrebbe aspettare, ma risponde con profonda fiducia,

sentimento che potrebbe sembrarci irrazionale, ed è lei

stessa a riconoscerlo con il suo: “Non capisco, ma accolgo”.

Questo atteggiamento irrazionale, che caratterizza Chiara

nel periodo della malattia, può essere paragonato al

“paradosso della fede” proposto dal filosofo Sören

Kierkegaard.

Egli trattò la possibilità dell’uomo di scegliere di condurre la propria vita in un

modo, piuttosto che in un altro, attraverso tre stadi.

Il primo è lo stadio estetico, rappresentato dal Don Giovanni come modello dell’uomo in continua ricerca del piacere

materiale, dal quale rimane continuamente deluso perché

non ne trova appagamento se non in un fugace attimo, il

“Carpe Diem”. Svanito l’istante, egli cade nella noia e nella

disperazione, intesa come impossibilità di cambiare rotta, in

quanto si rende conto di scegliere e di non scegliere.

Nel secondo stadio, che Kierkegaard definisce

etico, si definisce la figura di Guglielmo , tipico

uomo borghese del XIX secolo: buon padre di

famiglia, impiegato diligente, ligio al dovere,

che imprigionato dalle leggi morali ed etiche del

tempo si trova assillato dall’angoscia di cadere nel peccato e nella

violazione delle regole. Si tratta di un uomo che non accetta di essere

attratto dal ”peccato” perché sopraffatto dal perbenismo caratteristico

borghese.

Ritratto di Sören Kierkegaard.

Il Don Giovanni di

Kierkegaard riprende

l’omonima figura

dell’opera di Mozart.

Guglielmo, espressione del

perbenismo borghese.

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Il terzo stadio mostra la scelta della vita

religiosa. Questa è rappresentata dalla

figura di Abramo che abbandonandosi

completamente a Dio , supera il proprio amore

paterno, la logica e la morale con quello che

viene definito “paradosso della fede”: egli è

disposto a sacrificare il suo unico figlio per

obbedienza, per fiducia, mostrandosi capace

di superare le barriere morali ed umane

fidandosi completamente della volontà di

Dio.

Ecco come la scelta della vita religiosa si traduce in un vero e

proprio salto nel vuoto, nel buio indefinito, è la vittoria

dell’irrazionalità nei confronti della razionalità che risulta

nulla.

La figura di Chiara è comprensibilmente paragonabile a quella

di Abramo: in entrambi è un’estrema fiducia a guidarli, fiducia

in qualcosa di più grande che risulta a noi incomprensibile ,

una volontà diversa dalla nostra. In Abramo così come in Chiara

si riconosce la grande capacità di “fare spazio” nella propria vita

a qualcosa di totalmente inaspettato, che sconvolge i piani , che pare non avere un

senso, che sembra domandare più di quanto umanamente si possa dare. Una prova

d’amore che trova risposta in un sereno e fiducioso: “Non capisco, ma accolgo.”

“.. Ho smesso di voler capire, altrimenti si impazzisce. E sto meglio. Ora sto in pace, ora prendo quello che viene. Lui sa quello che fa e fino ad ora non ci ha mai delusi. Poi capirò… Per ogni giorno c’è la grazia. Giorno per giorno. Devo solo fare spazio.. “.

Chiara all’amica Cristiana.

Abramo pronto a sacrificare il figlio Isacco.

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Appendice scientifica.

Storia clinica di Chiara Corbella Petrillo.

Parlando della vita di Chiara e del suo modo di affrontarla , è naturale pensare al

periodo della malattia, che ha interessato dapprima i suoi bimbi Maria Grazia

Letizia e Davide Giovanni e poi lei stessa.

Proviamo ora ad analizzare un poco più nello specifico la malattia che ha colpito la

piccola Maria Grazia Letizia ovvero l’anencefalia.

Anencefalia.

L’anencefalia rientra nei cosiddetti difetti di chiusura del tubo neurale (i DTN):

questi sono un gruppo di malformazioni congenite causate da anomalie dello

sviluppo embrionale che si verificano entro 28 giorni dal concepimento. Sono

dovuti a difetti di chiusura del sistema nervoso centrale e delle strutture ad esso

strettamente connesse (cute, osso, meningi).

I DTN sono classificati come “aperti” o “chiusi”, a seconda che la cute sovrastante la

lesione rimanga o meno integra.

I tre principali difetti della chiusura del tubo neurale sono: encefalocele,

mielomeningocele e anencefalia.

L’encefalocele è un difetto “chiuso” caratterizzato da uno

spostamento del cervello e/o delle meningi dalla normale

collocazione, conseguente a un’ incompleta saldatura delle

ossa del cranio.

Il mielomeningocele o spina bifida è un difetto “aperto”

caratterizzato dall’esposizione all'esterno del tessuto

nervoso del midollo spinale e delle meningi.

Bimbo affetto da

encefalocele

Sviluppo di

mielomeningocele

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L’anencefalia è un difetto “aperto” e consiste

nell’esposizione del tubo neurale al liquido

amniotico con conseguente degenerazione di

gran parte di proencefalo (cervello anteriore) e

tronco encefalico.

ORIGINI EMBRIONALI All’inizio della terza settimana di vita embrionale, si

crea una regione nell’ectoderma più spessa, la placca

neurale, che darà origine al sistema nervoso centrale.

Questa si ripiega dando origine alla doccia neurale

che, per fusione delle sue estremità dorsali, porta alla

formazione di un tubo cavo, il tubo neurale. Le due

estremità del tubo neurale (neuropori) rimangono

aperte ed in collegamento con il sacco amniotico, fino

alla chiusura del neuroporo anteriore o rostrale (25°

giorno) e del neuroporo posteriore o caudale (26°

giorno).

I difetti del tubo neurale (DTN) derivano dal

fallimento della chiusura dei due neuropori tra i 25 e i

27 giorni dopo il concepimento.

Nel caso specifico dell’anencefalia si ha la mancata

chiusura del neuroporo rostrale del tubo neurale e di

conseguenza il cervello, che resta esposto direttamente

al liquido amniotico, degenera. Si tratta di una

malformazione grave, non compatibile con la vita:

generalmente i neonati, vivi alla nascita, muoiono

dopo poche ore, raramente sopravvivono per alcuni

giorni.

Confronto tra sviluppo neurale

normale ed anencefalico.

Processo di formazione e

chiusura del tubo neurale in

situazione normale.

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CARATTERISTICHE CLINICHE In genere, nell’anencefalia sono coinvolti il

proencefalo e quantità variabili di tronco encefalico

(costituito da mesencefalo e romboencefalo).

L'esposizione in utero di questi componenti, che

vengono direttamente a contatto con il liquido

amniotico, causa il degenerare del tessuto neurale,

che appare emorragico, fibrotico e non funzionante.

A causa di ciò, grandi porzioni del sistema nervoso

centrale sono assenti o comunque malformate e

l'ipotalamo in genere manca. Vi è, inoltre, sottosviluppo dell'ipofisi e la calotta

cranica, così come larga parte del cranio, risulta essere assente. Si ha l'aspetto

caratteristico con occhi sporgenti e collo assente.

FUNZIONE NEUROLOGICA Nei neonati con anencefalia notiamo comportamenti completamente inconsci che

comunque provano la funzionalità del tronco encefalico: si ha, per esempio,

respirazione spontanea e capacità di succhiare. In ogni caso, senza terapia

intensiva, la maggior parte di essi muore entro due giorni dalla nascita, e nessuno

sopravvive più di due settimane.

PREVENZIONE Diversi studi suggeriscono un legame tra carenza di acido folico e sviluppo di DTN

tra cui l’anencefalia. Fattori di rischio per DTN comprendono sia carenza

alimentare di acido folico che polimorfismi genetici in geni che codificano gli

enzimi folato-dipendente.

Concorrono al rischio di DTN anche diabete mellito materno con scarso controllo

glicemico durante il primo trimestre, ipertermia, e alcune sindromi genetiche. Si

raccomanda assunzione di acido folico per tutte le donne durante la gravidanza,

dosi più elevate di integratori di acido folico sono di solito raccomandate per le

donne che stanno assumendo farmaci anticonvulsivanti o che hanno avuto una

precedente gravidanza con DTN.

È curiosa la vicenda clinica di Chiara: le patologie dei due bimbi sono

estremamente rare, per l’anencefalia si parla di un caso su duemila mentre per

Suddivisione embrionale dell’encefalo.

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quanto riguarda le malformazioni viscerali alle pelvi non esiste neppure un nome

che possa indicarla.

Si tratta di due patologie che paiono essere completamente slegate l’una dall’altra,

non sembra esserci alcun legame fra le due, e una prova di ciò è il fatto che Chiara

rimane incinta di un terzo bimbo che è in perfetta salute.

La stessa malattia che la colpirà, il carcinoma alla lingua, sembra essere la meno

indicata per lei: essa infatti, colpisce soprattutto gli uomini, fumatori,

ultracinquantenni mentre Chiara ha 27 anni e non ha mai fumato.

Tutto questo assume un significato quasi paradossale e la difficoltà nel

comprendere le ragioni che hanno portato al manifestarsi di queste patologie, così

diverse fra loro, ha proprio alimentato in Chiara il desiderio di fidarsi di quello che

il Signore aveva scelto per lei.

“.. Per ascoltare Dio bisogna: accettare di non capire, essere disposti a soffrire, rinunciare al male cioè scegliere il bene ..”

Dagli appunti di Chiara.

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Conclusione

Siamo giunti al termine di questo percorso volto a scoprire il significato di “Vita come Sogno” .

Nel leggere le esperienze di vita di questi due personaggi, Leone e Chiara, è

evidente come in Tolstoj vi sia forte il desiderio di REGALARE qualcosa di sé ,

quasi indipendentemente dal fatto che chi lo riceve ne abbia bisogno o meno.

In lui prevale infatti il desiderio di staccarsi

da ciò che è proprio per donarlo: non è

importante chi lo riceverà ma è il gesto di

donare a prevalere.

Questo desiderio che piano piano diviene

quasi un bisogno per lui si fonde con quello

di vivere UNA VITA SEMPLICE, in un luogo

appartato, magari in mezzo alla natura :

questa, grazie alla sua meravigliosa bellezza,

lo induce ancor più a ringraziare per ciò che ha: insomma, Tolstoj insegue una

vita nella quale il centro non è l’io ma il prossimo e dove è l’Amore a prevalere sulle

cose del mondo.

Grazie a Chiara riscopriamo invece quanto sia bello

fidarci ed affidarci a Dio, accettando di non poter

comprendere una volontà che è diversa dalla nostra.

Grazie alla sua testimonianza impariamo a

riconoscere che TUTTO E’ DONO e che l’Amore sincero,

quello che supera la morte, ripudia il possesso in favore

della comunione fraterna.

Chiara ci insegna ad essere miti, ci dice che lo scopo

della nostra vita è quello di amare, ogni giorno e senza risparmio, testimonia che

la morte non può farci paura se abbiamo vissuto a pieno ogni momento amando e

perdonando fino alla fine.

“Vita come Sogno” vuole essere l’insieme di questi elementi, una spinta energica

che non può essere ignorata, che ci sprona a “prendere in mano la nostra vita e

farne un capolavoro” come diceva Papa Giovanni Paolo II.

La vita è il regalo più prezioso che abbiamo ricevuto, dobbiamo saper ringraziare

Dio per questo, metterci in gioco con CORAGGIO, BONTA’ ed UMILTA’, con il

desiderio di vivere Sogni più grandi di quelli che siamo capaci di immaginare.

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“ Carissimo Francy,

oggi compi un anno e ci chiedevamo cosa poterti regalare che potesse aiutarti durante gli anni e così abbiamo deciso di scriverti una lettera. Sei stato un dono grande nella nostra vita perché ci hai aiutato a guardare oltre i nostri limiti umani . Quando i medici volevano metterci paura, la tua vita così fragile ci dava la forza di andare avanti. Per quel poco che ho capito in questi anni posso solo dirti che l’Amore è il centro della nostra vita, perché nasciamo da un atto d’amore, viviamo per amare e per essere amati, e moriamo per conoscere l’amore vero di Dio. Lo scopo della nostra vita è amare ed essere sempre pronti ad imparare ad amare gli altri come solo Dio può insegnarti. L’amore ti consuma ma è bello morire consumati proprio come una candela che si spegne solo quando ha raggiunto il suo scopo. Qualsiasi cosa farai avrà senso solo se la vedrai in funzione della vita eterna. Se starai amando veramente te ne accorgerai dal fatto che nulla ti appartiene veramente perché tutto è dono. Come dice san Francesco: il contrario dell’amore è il possesso! Noi abbiamo amati i tuoi fratelli Maria e Davide ed abbiamo amato te sapendo che non eravate nostri, che non eravate per noi e così deve essere tutto nella vita, tutto ciò che hai non ti appartiene mai perché è un dono che Dio ti fa perché tu possa farlo fruttare. Non scoraggiarti mai, figlio mio, Dio non ti toglie mai nulla, se toglie è solo perché vuole donarti tanto di più. Grazie a Maria e Davide noi ci siamo innamorati di più della vita eterna ed abbiamo smesso di avere paura della morte, dunque Dio ci ha tolto, ma per donarci un cuore più grande ed aperto ad accogliere l’eternità già in questa vita. Ad Assisi mi ero innamorata della gioia dei frati e delle suore che vivevano credendo nella Provvidenza e allora ho chiesto anche io al Signore la Grazia di credere a questa Provvidenza di cui mi parlavano, di credere a questo Padre che non ti fa mai mancare niente e fra Vito ci ha aiutato a camminare credendo a questa promessa: ci siamo sposati senza niente mettendo però Dio al primo posto e credendo all’amore che ci chiedeva questo grande passo. Non siamo mai rimasti delusi, abbiamo sempre avuto una casa e tanto di più di quello che ci occorreva! Tu ti chiami Francesco proprio perché san Francesco ci ha cambiato la vita e speriamo che possa essere un esempio anche per te… è bello avere degli esempi di vita che ti ricordano che si può pretendere il massimo della felicità già qui su questa terra, con Dio come guida. Sappiamo che sei speciale e che hai una missione grande, il Signore ti ha voluto da sempre e ti mostrerà la strada da seguire se gli aprirai il cuore… Fidati ne vale la pena!

Mamma Chiara e papà Enrico “

Lettera scritta da Chiara in occasione del primo compleanno di Francesco.

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Ode alla vita

Lentamente muore

chi diventa schiavo dell'abitudine,

ripetendo ogni giorno gli stessi percorsi,

chi non cambia la marcia,

chi non rischia e cambia colore dei vestiti,

chi non parla a chi non conosce.

Muore lentamente chi evita una passione,

chi preferisce il nero su bianco

e i puntini sulle "i"

piuttosto che un insieme di emozioni,

proprio quelle che fanno brillare gli occhi,

quelle che fanno di uno sbadiglio un sorriso,

quelle che fanno battere il cuore

davanti all'errore e ai sentimenti.

Lentamente muore

chi non capovolge il tavolo,

chi è infelice sul lavoro,

chi non rischia la certezza per l'incertezza per inseguire un sogno,

chi non si permette almeno una volta nella vita, di fuggire ai consigli sensati.

Lentamente muore chi non viaggia,

chi non legge,

chi non ascolta musica,

chi non trova grazia in se stesso.

Muore lentamente chi distrugge l'amor proprio,

chi non si lascia aiutare

chi passa i giorni a lamentarsi

della propria sfortuna o della pioggia incessante.

Lentamente muore

chi abbandona un progetto prima di iniziarlo,

chi non fa domande sugli argomenti che non conosce,

chi non risponde quando gli chiedono qualcosa che conosce.

Evitiamo la morte a piccole dosi,

ricordando sempre che essere vivo

richiede uno sforzo di gran lunga maggiore del semplice fatto di respirare.

Soltanto l'ardente pazienza

porterà al raggiungimento

di una splendida felicità. (Martha Medeiros.)

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Sitografia:

www.wikipedia.it

www.chiaracorbellapetrillo.it

www.treccani.it

www.telethon.it

www.gondrano.it

Bibliografia:

L. Tolstoj, La felicità domestica, Bompiani editore, Milano 1965.

L. Tolstoj, Che fare?, Libreria moderna, Genova 1901.

L. Tolstoj, Amatevi gli uni gli altri, in L. Tolstoj, Il bastoncino verde, Servitium Editore, Bergamo 1998.

S. Troisi, C. Paccini, Siamo nati e non moriremo mai più, Edizioni

Porziuncola, Assisi 2013.

G. Baldi, S. Giusso, M. Razetti, G. Zaccaria, la letteratura, Paravia editore,

Torino 2007.

M. Imbimbo, L. Parasporo, M. Salucci, Viaggio nella filosofia, Palumbo

Editore, Parlermo 2008.