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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PISA FACOLTA’ DI MEDICINA E CHIRURGIA Corso di laurea specialistica in Medicina e Chirurgia TESI DI LAUREA: USO DI SOSTANZE E COMORBIDITÀ PER DISTURBI D’ANSIA IN PAZIENTI CON SCHIZOFRENIA E DISTURBO BIPOLARE Candidato: Relatore: Roberto Canozzi Chiar.mo Prof. Mauro Mauri ANNO ACCADEMICO 2007-2008

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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PISA

FACOLTA’ DI MEDICINA E CHIRURGIA

Corso di laurea specialistica in Medicina e Chirurgia

TESI DI LAUREA:

USO DI SOSTANZE E COMORBIDITÀ PER DISTURBI D’ANSIA IN PAZIENTI CON SCHIZOFRENIA E

DISTURBO BIPOLARE

Candidato: Relatore: Roberto Canozzi Chiar.mo Prof. Mauro Mauri

ANNO ACCADEMICO 2007-2008

Ai miei genitori

1

INDICE

1 INTRODUZIONE ...........................................................................1

2 DOPPIA DIAGNOSI: IPOTESI PATOGENETICHE ............. ..4

3 EPIDEMIOLOGIA USO DI SOSTANZE..................................26

4 EPIDEMIOLOGIA DELLA DOPPIA DIAGNOSI ................ ..29

5 DISTURBI D’ANSIA E USO DI SOSTANZE ...........................34

6 DISTURBO BIPOLARE ED USO DI SOSTANZE ..................36 6.1 EPIDEMIOLOGIA .............................................................................................. 36 6.2 IMPATTO DELLA DOPPIA DIAGNOSI SUL DB ................................................... 39 6.3 DOPPIA DIAGNOSI E DB: IPOTESI ETIOPATOGENETICHE.................................. 43 6.4 PROBLEMATICHE DI DIAGNOSI DIFFERENZIALE FRA DISTURBI DELL’UMORE E

USO DI SOSTANZE. ........................................................................................... 51

7 COMORBIDITÀ ANSIOSA NEL DISTURBO BIPOLARE. 56

8 PSICOSI ED ABUSO DI SOSTANZE........................................61

9 COMORBIDITÀ ANSIOSA NELLA SCHIZOFRENIA .........65

9.1 PREVALENZA. ................................................................................................. 65 9.2 DISTURBO OSSESSIVO COMPULSIVO............................................................... 66 9.3 DISTURBO DI PANICO. ..................................................................................... 67 9.4 FOBIA SOCIALE. .............................................................................................. 68 9.5 DISTURBO POST-TRAUMATICO DA STRESS (PTSD). ........................................ 69 9.6 DISTURBO D’A NSIA GENERALIZZATA (GAD), AGORAFOBIA E FOBIE

SPECIFICHE. .................................................................................................... 70 9.7 RILEVANZA ..................................................................................................... 70

10 OBIETTIVI DELLO STUDIO ....................................................75

11 MATERIALI E METODI ............................................................76 11.1 SOGGETTI ....................................................................................................... 76 11.2 VALUTAZIONE DIAGNOSTICA .......................................................................... 78

12 ANALISI STATISTICHE ............................................................81

13 RISULTATI ...................................................................................82

13.1 CARATTERISTICHE DEMOGRAFICHE DEI GRUPPI.............................................. 82 13.2 CONFRONTO DEL PATTERN DI USO DI ALCOOL E SOSTANZE NEI PAZIENTI CON

DB E SCH CON DUS. ..................................................................................... 82 13.3 COMORBIDITÀ CON DISTURBI D’ANSIA NEI PAZIENTI AFFETTI DA DB E SCH CON

E SENZA DUS ASSOCIATO. .............................................................................. 83

14 DISCUSSIONE..............................................................................84

2

15 LIMITAZIONI ..............................................................................88

16 CONCLUSIONI ............................................................................89

17 TABELLE ......................................................................................90

BIBLIOGRAFIA...................................................................................92

1

1 INTRODUZIONE

I pazienti con Disturbo Bipolare (DB) e Schizofrenia (SCH)

presentano maggiori livelli di comorbidità con Disturbo da Uso

di Sostanze (DUS) e Disturbi d’Ansia rispetto alla popolazione

generale (Regier et al. 1990, Kessler et al. 1997)

Il 56% dei pazienti con DB ed il 47% di quelli con SCH,

presentano in associazione un DUS (Miller et al., 1989; Mueser

et al., 1990; Sonne et al., 1994; Warner et al., 1994; Wittchen et

al., 1996; Winokur et al., 1998; Talamo et al., 2006), mentre

almeno un Disturbo d’Ansia si ritrova in circa il 50% dei

pazienti con DB e nel 60% di quelli con SCH (Argyle, 1990;

Cassano et al., 1998; McElroy et al., 2001; Boylan et al., 2004;

Simon et al., 2004). Nella popolazione generale la prevalenza

del DUS è circa il 17% (Regier et al., 1990; Kessler et al., 1997),

e di circa il 20% per i Disturbi d’Ansia (Somers et al., 2006,

Schatzberg, 1991).

Vari studi hanno esaminato le relazioni esistenti tra Ansia e

DUS in pazienti con DB, con risultati contrastanti. Alcuni

Autori hanno rilevato un aumentata incidenza di Disturbi

d’Ansia in pazienti abusers raffrontati ai non abusers (Goodwin

2

et al., 2002a; Kolodziej et al., 2005; Keller M.B., 2006).

Disturbo Post Traumatico da Stress, Disturbo di Panico, Fobia

Sociale e Disturbo Ossessivo Compulsivo erano

significativamente associati all’abuso di sostanze nei pazienti

con DB presi in esame (Sonne et al., 1994; Goodwin et al.,

2002a; Kolodziej et al., 2005). D’altra parte Henry et al. (2003)

non hanno rilevato alcuna correlazione tra Disturbi d’ansia e

gravità del DB associato, in termini di numero di ricoveri,

gravità delle psicosi, abuso di alcool e sostanze, e tentativi di

suicidio. Bauer et al. (2005), analizzando un campione

composto da 328 pazienti con DB, hanno osservato in una parte

del campione l’ associazione con un Disturbo d’Ansia e DUS,

in un’altra parte la sola comorbidità con un Disturbo d’Ansia,

senza rilevanti differenze demografiche e cliniche (età di

esordio, numero di episodi depressivi, funzionamento psichico e

mentale e presenza di pensione di invalidità) nei due gruppi.

Pochi studi hanno indagato la relazione esistente tra DUS ed

Ansia in pazienti affetti da SCH. Goodwin et al. (2002b) hanno

osservato che i pazienti con SCH ed attacchi di panico

presentavano con maggior frequenza sintomi psicotici, tentativi

di suicidio, un disturbo mentale in comorbidità, ed un maggiore

3

utilizzo di servizi psichiatrici, rispetto a coloro che non avevano

attacchi di panico. In un altro studio, lo stesso autore (Goodwin

et al. 2003) ha rilevato un’associazione tra attacchi di panico ed

abuso di alcool e sostanze in un campione di pazienti affetti da

SCH.

Il presente studio è volto ad indagare la comorbidità con

Disturbi d’Ansia e DUS in pazienti con DB e SCH, attraverso

una valutazione della prevalenza lifetime dei Disturbi d’Ansia

nei pazienti con DB e SCH con e senza DUS associato.

Si ipotizza che la presenza di un Disturbo d’Ansia sia più

frequente in pazienti con DB o SCH in comorbidità con DUS

rispetto a quelli che non presentano questa associazione.

4

2 DOPPIA DIAGNOSI: IPOTESI PATOGENETICHE

L’elevata frequenza di associazione tra disturbi psichiatrici e uso di

sostanze pone complessi interrogativi di carattere etiopatogenetico,

psicobiologico, diagnostico e terapeutico.

Ricercatori e Clinici hanno proposto numerose teorie per spiegare l’alto

tasso di comorbidità fra uso di sostanze e malattie mentali, alcuni

(Khantzian, 1997; Sonne et al., 1994; Weiss et al., 1992; Weiss & Mirin,

1987) sottolineando il ruolo autoterapico delle prime, altri sostenendone

il ruolo patoplastico (Strakowski et al. 1996, 1998), altri ancora Maier e

Merikangas 1996; Morrison 1975) proponendo una comune suscettibilità

genetica per i due disturbi.

1- Self-medication.

L’ipotesi dell’automedicazione o “Self-Medication hypothesis”

(Khantzian, 1997; Sonne et al., 1994; Weiss et al., 1992; Weiss & Mirin,

1987), fornisce una possibile spiegazione su come le sostanze d’abuso

vengano utilizzate per alleviare, contrastare o accentuare sintomi

specifici di un disturbo mentale. Per Khantzian (1997), gli effetti di

specifiche sostanze sono in grado di alleviare o mutare un’ampia varietà

di stati affettivi sgradevoli. Ad esempio, nei soggetti affetti da Fobia

5

Sociale, l’alcool (sostanza dalle proprietà ansiolitico-sedative) viene

spesso utilizzato come “lubrificante sociale”, in situazioni prestazionali

ansiogeniche (cene di lavoro, presentazioni in pubblico ecc).

L’ipotesi della Self-medication prevede che:

- l’esordio del DUS sia successivo a quello di un altro disturbo,

- l’assunzione di specifiche sostanze sia dipendente dallo stato

psicopatologico (ad es. sedative e ansiolitiche in caso di mania,

psicostimolanti in caso di depressione).

Secondo alcuni (Phillips 1998, Khantzian 1985) l’abuso di sostanze si

determinerebbe per contrastare la sintomatologia psicotica. Negli studi

prodotti da Dixon et al. (1990), pazienti psicotici adducevano a motivo

dell’uso di sostanze la riduzione della depressione e dell’ansia. I

probandi riferivano inoltre di assumere sostanze per contrastare le

allucinazioni e la sospettosità, per alleviare i sintomi extrapiramidali e la

sintomatologia negativa. Secondo Serper et al. (1996) quest’ ultimo

rilievo renderebbe comprensibile la frequente ricerca di stimolanti

osservata nei pazienti. Questi risultati sono stati confermati da studi

successivi (Addington e Duchak 1997, Noordsy 1991, Smith 1994,

Baigent 1995). Complessivamente, per i pazienti con disturbi

primariamente psicotici, la motivazione all’uso di sostanze più

6

frequentemente riferita è legata al bisogno di alleviare i sintomi negativi

come l’anedonia e l’apatia.

Il modello della Self-Medication non sembra pienamente suffragato dai

dati di studi controllati. È comunque frequente, in ambito clinico, trovarsi

di fronte a pazienti che dichiarano di usare le sostanze per procurarsi

almeno un parziale sollievo dal loro “malessere psicologico” (Strakowski,

2000). Per questo motivo sono stati elaborati nuovi modelli, che

propongono un’automedicazione volta ad alleviare una varietà di sintomi

diversi, riconducibili però ad uno stesso spettro psicopatologico. Due di

questi modelli teorici più ampi sono quelli denominati “Attenuazione dei

sintomi depressivi” e “Modello dei fattori di rischio multipli”.

2- L’ipotesi dell’“attenuazione dei sintomi depressivi”.

I sostenitori di questa concezione ipotizzano che i pazienti con disturbi

mentali gravi, quali SCH e DB, tendano molto più facilmente di altri a

sperimentare tonalità depressive, e che questo li renda maggiormente

vulnerabili all’uso di sostanze. La denominazione “tonalità depressive”

include categorie estremamente eterogenee, come sindromi ansioso-

depressive, sindromi indotte da neurolettici, tedio e solitudine (Bartels &

Drake, 1988). Questi pazienti si accosterebbero alle sostanze sia per

ottenere sensazioni gradevoli, sia per alleviare stati d’animo sgradevoli;

7

in seguito l’uso di sostanze si manterrebbe (Leshner, 1998). A sostegno

di tale ipotesi si trovano molti studi che evidenziano la frequenza con cui

questi pazienti riferiscono un umore depresso/irritabile (Birchwood et al.,

1993; Drake & Cotton, 1986). Anche la letteratura, per quanto riguarda

le motivazioni soggettive e le aspettative riferite all’uso di sostanze,

sembra supportare l’idea che diversi tipi di flessione timica siano alla

base dell’inizio delle condotte di abuso (Addington & Duchak, 1997;

Baigent et al., 1995; Carey & Carey, 1995; Dixon et al., 1990; Noordsy

et al., 1991; Pristach & Smith, 1996; Warner et al., 1994).

3- Modello dei fattori di rischio multipli.

Questo modello comprende anche la predisposizione alle tonalità

depressive. I comuni fattori di rischio includerebbero isolamento sociale,

scarse abilità interpersonali, scarse capacità cognitive, insuccessi

professionali o scolastici, povertà, mancanza di responsabilità proprie del

ruolo adulto, assenza di attività giornalmente organizzate, associazione

con gruppi devianti, e infine, la facile reperibilità di droghe. (Anthony &

Helzer, 1991; Berman & Noble, 1993; Jones et al., 1994; Keith et al.,

1991). Molti fra questi fattori di rischio finiscono per considerare una

qualche forma di motivazione: ad esempio, individui con scarse capacità

8

sociali tendono a gravitare attorno a gruppi di altri giovani devianti che

fanno uso di sostanze (Dusenbury et al., 1989; Pandina et al., 1990).

Sebbene siano necessarie ulteriori ricerche, i primi dati sperimentali,

come le motivazioni riportate nei questionari di autovalutazione,

sembrerebbero supportare le basi teoriche del modello (Dixon et al.,

1990; Noordsy et al., 1991; Test et al., 1989).

4- Sostanze come fattore di rischio.

Viene teorizzata la possibilità che le sostanze stesse abbiano un ruolo

causale nello sviluppo delle Malattie Mentali, e che, oltre a mimarne i

sintomi, possano slatentizzarle in soggetti vulnerabili.

Perché questa teoria possa essere accettata, occorre che:

- il DUS preceda il disturbo affettivo;

- il Disturbo si risolva con l’eliminazione dell’uso di sostanze.

La modalità con cui diverse sostanze possono innescare un disturbo

psichiatrico può essere spiegata con il modello del Kindling. Questo,

altresì definito sensibilizzazione comportamentale, è un fenomeno,

dimostrato e riprodotto in modelli animali, in virtù del quale una ripetuta

ed intermittente esposizione ad un fattore di stimolo determina un

progressivo e duraturo cambiamento del comportamento, dovuto a

modificazioni permanenti del Sistema Nervoso Centrale. E’ da precisare

9

che negli animali la natura degli stimoli in grado di generare il Kindling

si è dimostrata molto eterogenea, spaziando da fattori farmacologici,

come le comuni droghe di abuso, a fattori stressanti nel senso più ampio

(ad esempio stimoli dolorosi). Ad esempio, in riferimento al DB, Post

(1992) ha ipotizzato che stress ripetuti possano costituire un fattore

sensibilizzante, in grado di slatentizzare oscillazioni dell’umore. L’uso di

sostanze potrebbe quindi scatenare il Disturbo in soggetti predisposti e,

una volta verificatasi la sensibilizzazione, gli episodi si ripresenterebbero

in forma autonoma rispetto alle condotte di abuso.

Il modello del "Kindling" non è stato tuttavia ancora sufficientemente

studiato nell'uomo per poterne trarre risultati attendibili, anche se alcuni

dati preliminari di Strakowski et al. (1996, 1998) sembrano sostenere

questa ipotesi.

Altri lavori (Pini et al., 1999) hanno fornito una conferma del ruolo

svolto dalle sostanze sulla slatentizzazione dei disturbi psichiatrici.

5- Disturbo da Deficit dell’Attenzione/Iperattività (ADHD) ed uso di

sostanze.

Fra i fattori considerati predisponenti l’ADHD è il disturbo più indagato.

Si delinea nell’infanzia, è caratterizzato da impulsività, mancanza di

controllo emotivo, persistente modalità di disattenzione e/o iperattività-

10

impulsività, incapacità ad apprendere, ed è spesso associato a

psicopatologia nella vita adulta. Molti soggetti possono manifestare

disordini di personalità e di condotta antisociale come residuo di un

disturbo da deficit di attenzione. Vari ricercatori hanno riscontrato una

più alta percentuale di disturbi di personalità antisociale, comportamento

insolente e oppositivo, abuso di sostanze e ansia tra persone con un

disturbo da deficit di attenzione rispetto a probandi senza ADHD. Tali

manifestazioni del disturbo devono essere viste prima dei sette anni ed

interferire nel funzionamento sociale-scolastico.

Goodman e Stevenson (1989) hanno riscontrato il disturbo nel 51% dei

casi di gemelli identici e nel 33% di gemelli fraterni, attribuendo a questo

tipo di disturbo una forte componente genetica.

Bettleheim per spiegare lo sviluppo del ADHD, suggerisce che certi

fattori critici interferiscano con lo sviluppo del bambino e lo

predispongano al disturbo (soprattutto in presenza di un background

genetico propizio). Egli individua tre aree che sembrano contribuire alla

vulnerabilità del soggetto:

- fattori specifici, (salute, temperamento, intelligenza, fattori

psicologici);

- caratteristiche della famiglia (stato emotivo-psicologico,

composizione socio-economica);

11

- ambiente sociale.

Sembra che, in un bambino predisposto, differenze di temperamento tra

genitori e figlio siano un possibile agente di stress che può promuovere

lo sviluppo del disturbo. Un bambino iperattivo può d’altra parte

suscitare reazioni da parte dei genitori e destabilizzare ulteriormente

l’ambiente familiare. Anche lo stato socio-economico è un fattore

predittivo: una posizione più alta permette vantaggi sociali,

scolastici…ecc. mentre uno stato inferiore dà una minore importanza al

bambino ed alla famiglia.

L’ambiente sociale, infine, può fornire o no un sistema di sostegno extra

familiare vantaggioso.

Alcuni studi (Carrol K.M. et. al. 1993) riportano che il 35% di persone in

trattamento per cocaina soddisfano i criteri per il disturbo da deficit di

attenzione. Milin R. et al. (1991) hanno rilevato che il 23% degli

abusatori presentano un disturbo da deficit di attenzione e che il 50% di

adolescenti con questo disturbo ricorrono all’utilizzo di cocaina.

Inoltre, pare che coloro che presentano tale disturbo e che utilizzano

cocaina siano:

- più giovani al momento del primo trattamento;

- che ne facciano un uso maggiore e più frequente;

- che il maggior numero sia costituito da maschi.

12

Beck L. et al. (1975) hanno rilevato che trattando gli adolescenti indicati

per un disturbo da deficit di attenzione, diminuisce per loro il pericolo di

uso di droghe e alcool.

Molti ricercatori (Weiss et al. 1987) hanno sollevato l’argomento della

causalità, mettendo in discussione il rapporto esistente tra ADHD, la

personalità, i DUS ed il comportamento antisociale.

Un concetto che è stato acquisito in modo definitivo solo negli ultimi

anni è che l’ADHD non costituisce un’entità morbosa di esclusivo

interesse pediatrico (Manuzza et al, 1991; Hechtman et al, 1984; Claude

et al, 1995). In effetti, studi longitudinali condotti in bambini affetti da

questo disturbo suggeriscono che oltre il 65% continui a manifestarne

almeno in parte i sintomi nell’età adulta (Weiss et al., 1993; Barkley et

al., 1990; Biederman et al., 1996).

Studi preliminari (Milin et al., 1991; DeMilio, 1989; Horton et al., 1987;

Alterman et al., 1985; Wood et al., 1983; Wilens et al., 1994)

indicherebbero inoltre una concomitanza di ADHD e DUS molto più

comune di quanto si pensasse fino a qualche tempo fa. In uno studio del

1998, condotto fra soggetti con abuso di cocaina, Levin et al. hanno

riscontrato una diagnosi di ADHD insorto nell’infanzia e proseguito in

età adulta pari al 10%, mentre un ulteriore 11% presentava sintomi

13

riferibili all’ADHD senza pregressa storia di manifestazioni in età

pediatrica.

Sebbene, come vedremo, l’uso di sostanze in pazienti affetti da ADHD

sia molto spesso mediato da un Disturbo della Condotta o da un Disturbo

di Personalità Antisociale concomitante (Weiss et al., 1993; Barkley et

al., 1990; Biederman et al.1996), in altri studi è stato dimostrato che

l’ADHD è un fattore di rischio indipendente (Milberger, 1997).

Sono state avanzate molte possibili ipotesi per spiegare la frequente

associazione fra DUS ed ADHD. In primo luogo, sembrano sussistere

profili comportamentali comuni ai due disturbi: ad esempio, i pazienti

con ADHD in relazione all’impulsività che caratterizza tale disturbo,

potrebbero essere più facilmente spinti all’uso di alcool e droghe. Anche

fattori genetici potrebbero giocare un certo ruolo: in particolare, recenti

studi (Alsobrook & Pauls, 1998; La Hoste et al., 1996; Swanson et al.,

1998) hanno riscontrato un’associazione fra polimorfismo dei recettori

D4 per la dopamina, ADHD, e profili comportamentali sensation seeking.

Cloninger et al., in una ricerca del 1987, volta a caratterizzare le

differenti tipologie di alcolisti, ne hanno identificato una, da loro definita

come TIPO II, che ha molte caratteristiche affini a quelle degli individui

con ADHD.

14

6- Sensation Seeking.

Sono sempre più numerosi i soggetti che nel periodo che va

dall’adolescenza all’età giovanile, manifestano comportamenti e

atteggiamenti orientati alla ricerca di novità e sensazioni forti. Se da un

lato questa ricerca è un bisogno ed una delle caratteristiche tipiche

dell’adolescenza normale, dall’altro un’elevata percentuale di

popolazione giovanile sembra essere polarizzata, in particolare durante il

tempo libero, verso esperienze estreme, rischiose, a scapito della

possibilità di fruizione del quotidiano e conseguenti gratificazioni.

Sentimenti negativi come la noia o la sensazione di vuoto, possono

spingere il soggetto a cercare stimoli nuovi in avventure pericolose, quali

relazioni sessuali a rischio ed esperienze ad elevato impatto emozionale o

in comportamenti trasgressivi: l’eccesso e lo stordimento sembrano poter

essere la soluzione più praticabile per soffocare questi sentimenti

(Maremmani I et al. 2002).

Mentre Zuckermann M. (1988) sostiene che la ricerca di sensazioni forti

è legata ad esperienze più diverse e che per certe persone questa attività

diventa un bisogno legato alla personalità, Cloninger (1991), tra le

possibili condizioni temperamentali, individua l’atteggiamento novelty-

seeking. Sempre secondo Zuckermann, il tratto di personalità sensation

seeking, in quanto desiderio ed esigenza individuale di esperienze nuove,

15

eccitanti e varie, è interpretabile nei termini dell’esistenza di differenze

individuali nel funzionamento del sistema di arousal, in particolare del

suo livello basale di attività e del suo livello di reattività. Esisterebbe,

cioè, un livello ottimale di arousal corrispondente ad un livello basale di

gratificazione “tonica”, sotto il quale nascerebbe il comportamento

sensation seeking quale risposta adattativa del soggetto alla perdita del

tono gratificante; una risposta funzionale alla riconquista di tale tono. Per

poterne dare una valutazione quantitativa, Zuckerman elaborò la

Sensation Seeking Scale (SSS), un questionario che indaga quattro aree:

- ricerca di esperienze (stile di vita anticonformista);

- ricerca di avventura e thrill (bisogno di attività eccitanti e rischiose

con pericolo per l’incolumità fisica);

- ricerca di disinibizione (ad es. partner sessuali multipli);

- suscettibilità alla noia (livello di tolleranza alla monotonia e allo

stile di vita ripetitivo).

La Sensation Seeking, secondo Arnett (1994), che ipotizza un diverso

legame con la tendenza all’uso di sostanze, prevede invece due aree

principali:

- intensità;

- novità delle possibili esperienze e sensazioni che un soggetto può

sperimentare.

16

In una rielaborazione della sua stessa teoria, Zuckermann (1988) precisa

che l’evento fondamentale della dinamica sensation seeking è l’intensità

dello stimolo ricercato: essa rappresenta il negativo della vera e propria

base del sensation seeking behaviour, cioè l’intensità della carenza di

gratificazione.

È stata rilevata un’associazione, non ancora del tutto confermata, tra

sensation-seeking-behaviour e il recettore D4 per la dopamina, il che

suggerisce, da una parte, il carattere costituzionale del tratto, dall’altra la

correlazione tra sensation seeking e sistema dopaminergico della

gratificazione (Benjamin et al., 1996).

La dimensione personologica novelity seeking di Cloninger, analoga al

sensation seeking behaviour, appare correlata sia con il livello di attività

del sistema dopaminergico in individui con tratti novelity seeking e

risposta secretiva del GH alla somministrazione di bromocriptina, sia con

un aumentata inibizione dopaminergica sulla secrezione di prolattina

(Guerra et al., 2000).

Nella genesi del comportamento sensation seeking, è stato proposto

anche un ruolo della carenza di oppioidi endogeni, un aumento di queste

sostanze contrasterebbe flessioni affettive in senso distimico (Extein et

al., 1982).

17

Il tratto sensation seeking è stato annoverato tra una serie di marker

personologici di rischio per l’abuso di sostanze. Valutando 2115 soggetti

con la Sensation Seeking Scale è stata evidenziata una correlazione tra

livello di sensation seeking behaviour, spettro bipolare e condotte

sociopatiche, tra le quali sono comprese le condotte d’abuso e l’addiction.

Non è emersa, invece, alcuna correlazione tra sensation-seeking,

globalità dei sintomi psicopatologici, depressione unipolare, SCH o

disturbi della sfera nevrotica (Zuckermann M, 1979).

Per un diverso campione esaminato con la Sensation Seeking Scale

(SSS), la Barratt Impulsivity Scale (BIS) e la Physical Anhedonia Scale

(PAS) è stata descritta l’associazione tra uso di sostanze ed elevato score

in SSS. In particolare l’uso di alcool correlava con le subscale

SSS ”experience seeking” e “dishinibition”; l’uso di cannabis con il

punteggio globale in SSS e sottoscala “non planning activity” della BIS

(Liraud F, Verdoux H, 2000).

Cloninger nel 1987 ha descritto un modello psicobiologico di personalità

basato su tre dimensioni, viste come fattori temperamentali ereditari:

- Novelty Seeking (ricerca di novità),

- Harm Avoidance (evitamento del rischio),

- Reward Dependance (dipendenza dalla gratificazione);

18

valutabili con un questionario in autosomministrazione chiamato

Tridimensional Personality Questionnaire (TPQ).

La dimensione “Novelty Seeking” esplorata con il Tridimensional

Personality Questionnaire (TPQ ), si connota per comportamenti volti

alla ricerca ed alla sperimentazione di esperienze nuove, per la tendenza

a prendere decisioni impulsive, per la facile perdita dell’autocontrollo e

per un evitamento attivo delle frustrazioni ed è risultata predittiva di uso

di sostanze, nonché in grado di discriminare gli abusatori dai non

abusatori e identificare soggetti con inizio precoce delle condotte di

abuso (Howard MO, et al. 1997).

Gli altri marker sono non–conformismo, scarso autocontrollo, scarso

punteggio in harm avoidace, maggiore autonomia, intolleranza alla

carenza di gratificazione (Block J. et al. 1988).

Al di fuori del suddetto quadro, il sensation seeking behaviour può essere

riconosciuto come aspetto dei temperamenti affettivi ipertimico e

ciclotimico, e quindi, compreso nello spettro bipolare. Numerosi studi

(Pedersen et al., 1989; Andrucci et al., 1989; Stacy et al., 1993; Galizio et

al., 1983; Satinder et al., 1984; Jaffe et al., 1987; Ratcliff et al., 1983;

Kaestner et al., 1977, Carrol et al., 1977; Sutker et al., 1978) hanno

infatti evidenziato un’associazione positiva tra il tratto “Sensation

Seeking” e l’uso di sostanze, sia nella popolazione generale, sia in

19

studenti, sia in popolazioni cliniche, mediante la somministrazione delle

suddette scale (SSS; TPQ).

Già nel 1979, Zuckerman e Neeb rilevarono come la Sensation Seeking

fosse un tratto temperamentale di frequente riscontro nei soggetti con

problemi legati all’uso di sostanze. Condussero infatti uno studio sulla

popolazione generale che mise in evidenza punteggi della Sensation

Seeking Scale particolarmente elevati negli individui con storia di

disturbi correlati allo spettro bipolare e sociopatico, in particolare

alcolismo e abuso di sostanze, mentre non correlavano con Depressione

Maggiore Ricorrente, SCH o Nevrosi.

Cloninger (1987) da parte sua ipotizzava una diversa suscettibilità

individuale a sviluppare l’alcolismo a seconda delle modalità di

associazione dei tre diversi fattori dimensionali, sottolineando

l’importanza di un’alta Novelty Seeking. Ohannessian & Hesselbrock

(1995), suddividendo gli alcolisti in base ai livelli di Sensation Seeking

ed Harm Avoidance, hanno suffragato il modello di Cloninger. Altri

studi (Merikangas, 1996) hanno identificato correlazioni positive fra

Sensation Seeking e poliabuso, condotte illecite (soprattutto arresti per

ebbrezza) ed uso di droghe illegali.

Alcuni autori si sono occupati di valutare le relazioni esistenti fra DUS,

Sensation Seeking e condizioni psicopatologiche legate all’ansia, per

20

valutarne il diverso impatto nello sviluppo di condotte d’abuso. Dallo

studio di Merikangas (1996) emerge come i punteggi della scala

“Sensation Seeking” risultino più elevati negli abusers puri e più bassi

nei soggetti con comorbidità ansiosa, tali da suggerire in questi ultimi

una maggior prevalenza di uso autoterapico, non spinto dalla ricerca di

sensazioni, tipica del “Sensation Seeker”.

7- Ipersensibilità alle sostanze.

Un altro modello che tenta di spiegare l’alto tasso di comorbidità di

disturbi da uso di sostanze nei pazienti con gravi malattie mentali (SCH,

DB) è il “Supersensitivity Model” (Mueser et al., 1992), basato su una

maggior sensibilità alle sostanze nei pazienti con Severe Mental Hillness

rispetto alla popolazione generale.

Il “ Supersensitivity Model” rappresenta un’elaborazione del modello di

“Vulnerabilità allo Stress” proposto per la SCH (Lieberman, 1987; Zubin,

1977). Secondo questo modello, la vulnerabilità psicobiologica,

determinata dalla combinazione di fattori genetici ed ambientali precoci

(ad es. perinatali), interagirebbe con lo stress ambientale sia nel

precipitare l’esordio che le ricadute del disturbo psichiatrico. I farmaci

psicotropi potrebbero ridurre questa vulnerabilità, mentre all’opposto le

sostanze di abuso sarebbero in grado di aumentarla.

21

Dal momento che la “vulnerabilità” è definita come una compromessa

sensibilità biologica allo stress, questo concetto potrebbe essere applicato

agli effetti di alcool e droghe, in modo che questi pazienti sarebbero più

portati a sperimentare conseguenze negative anche con piccole quantità

di sostanze.

In molti studi è stato osservato che pazienti con SCH tendono ad abusare

di dosi minori di sostanze rispetto a pazienti con Disturbi di Personalità

(Cohen & Klein, 1970; Crowley et al., 1974; Lehman et al., 1994), e che

in genere proprio per questa minor assunzione, i soggetti con disturbi

mentali severi tendano meno frequentemente a sviluppare dipendenza

fisica (Corse et al., 1995).

In test di stimolo farmacologico, pazienti con SCH hanno mostrato

un’alta sensibilità nei confronti di basse dosi di amfetamine, che

producevano minime risposte nei controlli sani (Janowsky & Davis, 1976;

Lieberman et al 1984; Lieberman et al., 1987). In maniera simile,

pazienti con gravi disturbi hanno riferito di subire effetti negativi, come

ricadute, a seguito dell’assunzione di piccole quantità di alcool o droghe

(Drake et al., 1989; Knudsen & Vilmar, 1984; Treffert, 1978).

Drake e Wallach, in uno studio del 1993, hanno esaminato il decorso del

potus in pazienti con disturbi mentali severi, riportando che solo un 5%

non aveva sviluppato sintomi, contro il 50% della popolazione generale.

22

Sebbene molte ricerche evidenzino che l’uso di sostanze in pazienti con

gravi disturbi mentali si associ a maggiori tassi di ricadute e

riospedalizzazioni (Haywood et al., 1995; Gupta et al., 1996), la gravità

dei sintomi, sia nelle ricadute che nella successiva remissione, non

appariva in relazione all’abuso.

Se molti studi si sono occupati della sensibilità alle sostanze nella SCH,

meno numerosi sono quelli relativi al DB: infatti le più forti evidenze a

favore della “Substance Sensitivity “ sono emerse dai test di stimolo

farmacologico condotti con le anfetamine in pazienti affetti da SCH.

Comunque, nonostante questi limiti, il Modello della Supersensibilità

potrebbe supportare il frequente riscontro circa l’uso di scarse quantità di

sostanze nei pazienti psichiatrici gravi, e l’aumentata prevalenza di DUS

in questa popolazione.

8- Fattori comuni.

Secondo il modello dei fattori comuni l’alta frequenza di comorbidità tra

DUS e Severe Mental Hillness sarebbe il risultato di fattori di rischio

condivisi da entrambi.

Da un punto di vista generale si rileva che la doppia diagnosi ha una

maggior prevalenza nel genere maschile, nelle aree urbane, nei gruppi di

popolazione con minore livello di istruzione e che in essa vi è un inizio

23

più precoce della malattia e una maggiore incidenza di problemi

interpersonali, soprattutto a livello familiare (Pancheri P., 2002).

9- Fattori genetici.

È ampiamente dimostrato, sia da studi familiari che su gemelli, che SCH,

DB e DUS presentano una componente ereditaria che ne favorisce lo

sviluppo.

Secondo il modello dei fattori comuni la vulnerabilità su base genetica

per un dato disturbo contribuirebbe ad aumentare il rischio di sviluppare

comorbidità.

Un’alta incidenza familiare dell’uso di sostanze in consanguinei di

soggetti con lo stesso disturbo, depone per una predisposizione genetica

(Pancheri, 2002; Merikangas, 1998).

Una predisposizione genetica per la dipendenza da alcool è stata

dimostrata in studi familiari, gemellari e di adozione (Devor e Cloninger,

1989; Merikangas, 1998) e numerose ricerche hanno evidenziato elevati

livelli di ereditarietà su base genetica anche per l’abuso e la dipendenza

da sostanze, (Tsuang, 1996). Considerando i soggetti con dipendenza da

eroina, studi sui gemelli hanno evidenziato una concordanza del 70% tra

i monozigoti separati dopo la nascita, e del 60% per i consumatori

pesanti di cannabis (per i consumatori saltuari scende al 25%). La

24

concordanza tra gemelli eterozigoti è inferiore al 30% (uguale a quella

osservata tra fratelli) (Tsuang, 1996).

Kendler et al. (2000), attraverso studi sui gemelli, hanno osservato come

il contesto familiare, inteso come ambiente di vita, possa giocare un

ruolo importante in alcune forme di abuso, e come la concordanza fra

gemelli per l’uso pesante, l’abuso e la dipendenza sia in gran parte

relazionabile a fattori di ereditarietà genetica.

Uno studio condotto da Ahmed (1999) ha evidenziato che i familiari di

primo grado degli eroinomani presentano percentuali più elevate di DUS

rispetto a pazienti psichiatrici in generale e controlli. Questi dati

sembrano confermati da altri studi sull’abuso di sostanze nelle famiglie

di soggetti con dipendenza da oppiacei (Luthar et al 1992, 1993).

Merikangas et al (1998) hanno osservato un rischio di DUS 8 volte

maggiore fra i familiari dei pazienti con DUS, dimostrando un alto tasso

di concordanza genetica specifica per la sostanza di abuso principale.

Molti studi indicano che il rischio genetico per la SCH e il DB non è

associato con un aumentato rischio di DUS nei familiari, e viceversa

(Bidaut-Russell et al, 1994; Maier et al 1995; Tsuang et al 1982).

C’è un’ampia evidenza, come dimostrato da studi di familiarità e sui

gemelli, che i fattori genetici contribuiscano allo sviluppo di DUS e di

disturbi psichiatrici (Tsuang, 1983).

25

La questione è se la vulnerabilità genetica per un disturbo incrementi il

rischio anche per il disturbo in comorbidità, in particolare per il DB.

10- Altri possibili fattori comuni.

Sussistono ulteriori fattori che possono aumentare la vulnerabilità allo

sviluppo di entrambi i disturbi (DUS e SMI), come ad esempio lo stato

socioeconomico, in particolare per la SCH (Anthony et al, 1991;

Hawkins et al, 1992) e il funzionamento intellettivo (Berman et al, 1993;

Jones et al, 1994). Pare inoltre ragionevole affermare che un basso livello

socio-economico ed un ridotto funzionamento intellettivo cooperino con

altri fattori per lo sviluppo in comorbidità di SCH e DUS.

26

3 EPIDEMIOLOGIA USO DI SOSTANZE

L’abuso di sostanze rappresenta un problema di ordine sociale e sanitario

diffuso in tutto il mondo. Secondo i dati ECA (Regier et al, 1988) negli

Stati Uniti l’abuso di alcool e sostanze illegali coinvolge rispettivamente

il 13,6% e il 6% della popolazione generale; il 23,5% e l’11,9% secondo

l’NCS (Kessler et al, 1994). Merikangas et al, (International Consortium

in Psychiatry Epidemiology, 1998) hanno indagato con uno studio

epidemiologico multicentrico l’uso di alcool e sostanze illegali nella

popolazione generale, valutandolo su una scala di gravità (dall’uso

occasionale fino alla dipendenza). L’indagine non si è quindi limitata al

DUS diagnosticato secondo i criteri DSM. L’uso d’alcool coinvolge

l’89,1% - 94,5% della popolazione, l’uso problematico d’alcool il 16,6%

- 29,0%, la Dipendenza alcolica il 5,5% - 14,3%. L’uso di sostanze (non

alcool) va dal 10,4% al 51,5%, mentre è problematico nel 1,5% - 15,5%,

il riscontro di dipendenza si attesta sul 0,7% - 7,5%.

Lo studio di replicazione NCS condotto negli Stati Uniti dal 2001 al

2003 ha confermato questi dati, identificando una prevalenza lifetime di

DUS del 24,8%, insorto mediamente all’età di 20 anni. Nello specifico, i

dati forniti dallo studio di replicazione NCS (Compton et, 2007) sull’uso

di sostanze illegali ha evidenziato una prevalenza lifetime di abuso del

27

7,7% e di dipendenza del 2,6%. La prevalenza ad un anno era più bassa

(1,4% e 0,6% rispettivamente). Si conferma la maggior prevalenza nei

giovani adulti maschi (18-44 anni), di basso livello socioeconomico, più

spesso single/separati/divorziati, che difficilmente si rivolgono ai Servizi

per il problema dell’uso di sostanze. Nell’ambito dello stesso studio

epidemiologico sono stati indagati abuso e dipendenza da alcool (Hasin

et al, 2007). La prevalenza dell’abuso lifetime e ad un anno è 17,8% e

4,7%; della dipendenza 12,5% e 3,8%. Anche in questo caso si tratta più

frequentemente di maschi giovani, single, con bassi livelli occupazionali.

Il trattamento coinvolge solo il 24,5% dei casi.

In Italia l’uso di alcool e sostanze rappresenta il secondo problema

sanitario per rilevanza. I dati epidemiologici indicano che circa il 15%

della popolazione manifesta problematiche in relazione all’uso di

sostanze.

L’utilizzo di sostanze illegali è andato incontro ad un importante

aumento nel corso degli ultimi anni. Si stima che, nel 2005, 3.800.000

Italiani abbiano fatto uso di cannabis (contro i 2.000.000 del 2001), fra

questi mezzo milione ha fra i 19 ed i 21 anni.. II consumatori di cocaina

sono raddoppiati, passando da 350.000 stimati nel 2001 a 700.000

stimati nel 2005, se l’utilizzo di eroina è diminuito, quello di

28

allucinogeni e stimolanti è triplicato. (Relazione Annuale al Parlamento,

2005).

In Europa, secondo i dati dell’Osservatorio Europeo delle droghe e

tossicodipendenze circa 50 milioni di persone hanno provato una droga

illecita in qualche momento della loro vita; di questi circa 10 milioni

sono consumatori al momento dell’intervista (Drug in focus, Maggio-

Giugno, 2002). Dai dati dell’Osservatorio del Welfare emerge che nel

2003, 14087 soggetti si sono rivolti ai servizi pubblici italiani per un

problema di abuso di sostanze, con un incremento dell’82% in quattro

anni.

L’impatto sociale, sanitario ed economico appare secondario in gran

parte alle conseguenze fisiche dell’uso di sostanze (malattie metaboliche,

infettive, traumatiche) che spesso sono le uniche ad essere individuate e

trattate, mentre il problema di abuso del paziente non sempre viene

diagnosticato e affrontato adeguatamente.

29

4 EPIDEMIOLOGIA DELLA DOPPIA DIAGNOSI

A partire dagli anni ’80 sono stati effettuati diversi studi sull’argomento

“Doppia Diagnosi”, e tra i più importanti ricordiamo l’Epidemiological

Catchment Area Survey (ECA), che ha apportato un primo grosso

contributo alla conoscenza dell’epidemiologia della Doppia Diagnosi.

Da questo studio è emerso che:

- il 38% dei pazienti con DUS presi in esame presentava in

comorbidità un altro disturbo psichiatrico, più comunemente

disturbi depressivi e dello spettro ansioso-fobico.

- Il 14,7% dei pazienti con malattia mentale presentavano un DUS

in comorbidità con un’altra malattia mentale.

- il 29% dei pazienti presentava un disturbo da uso di alcool in

comorbidità con un altro disturbo psichiatrico.

- il 47% dei pazienti schizofrenici presentava uso di sostanze.

- il 60% dei pazienti bipolari presentava un DUS.

Come confermato da studi successivi, i soggetti affetti da “severe mental

illness”, cioè da DB e SCH, sono quelli più a rischio di sviluppare un

DUS nel corso della vita. Infatti soggetti con DB hanno un rischio 10

volte maggiore di sviluppare un disturbo da uso di alcool e 8 volte

maggiore di sviluppare un disturbo da uso di sostanze rispetto alla

30

popolazione generale. I pazienti con SCH invece hanno un rischio di

sviluppare l’abuso 4,5 volte maggiore rispetto alla popolazione generale

(Regier et al, 1990).

Durante gli anni ’90 negli Stati Uniti Kessler e colleghi hanno condotto

lo studio noto come National Comorbidity Survey (NCS), che ha

confermato l’alta frequenza di comorbidità fra DUS e altri disturbi

psichiatrici. Infatti circa il 51% dei soggetti con DUS del campione preso

in esame presentava anche una diagnosi di un altro disturbo psichiatrico,

in particolare emergeva l’alta frequenza di associazione tra depressione

maggiore e abuso/dipendenza da alcool, cannabis e cocaina. Questa

relazione è stata indagata e confermata in seguito dallo studio NLAES

condotto nel 1992.

Lo studio epidemiologico internazionale multicentrico guidato da

Merikangas (International Consortium in Psychiatry Epidemiology, 1998)

ha evidenziato una forte associazione fra disturbi da uso d’alcool e

disturbi dell’umore, con associazione diretta fra il numero di disturbi in

comorbidità e severità del disturbo da uso di alcool. L’età d’esordio

dell’uso di alcool tende ad essere concomitante o precedente il disturbo

dell’umore. Nel caso dell’uso di sostanze illegali, l’associazione è ancora

più forte rispetto a quella con alcool, e anche in questo caso emerge una

relazione diretta fra comorbidità e severità del problema con le sostanze.

31

I dati forniti dallo studio di replicazione NCS (Compton et, 2007)

sull’uso di sostanze illegali negli Stati Uniti ha evidenziato, per quanto

concerne la comorbidità, una forte associazione con altri disturbi d’Asse

I e Asse II, in particolare con i Disturbi dell’Umore, d’Ansia e il disturbo

di personalità Antisociale e sottolineano la necessità di condurre studi

volti a chiarire i meccanismi eziopatogenetici di questa peculiare

comorbidità,

Nell’ambito dello stesso studio epidemiologico dei soggetti con abuso e

dipendenza da alcool. (Hasin et al, 2007) è stata indagata la comorbidità

con altri disturbi mentali.

Controllata per i fattori confondenti, la comorbidità con altri disturbi

d’Asse I (in particolare altri Disturbi da uso di sostanze,DB tipo I, DB

tipo II, fobia sociale) e disturbi d’asse II (in particolare Disturbo di

Personalità istrionico ed antisociale) rimane significativa, ma di entità

minore rispetto a quella evidenziata nell’abuso/dipendenza da sostanze

illegali. Secondo gli Autori in gran parte la comorbidità dei Disturbi da

Uso di alcool e altri disturbi mentali è imputabile a fattori a comune ai

due disturbi, più che ad un associazione specifica.

Gli studi presentati sono stati condotti nella popolazione generale, e in

questi decenni sono stati intrapresi progetti di ricerca focalizzati invece

su popolazioni cliniche.

32

Nel complesso, gli studi che indagano soggetti con una storia life-time di

DUS, identificano nel 41-65,5% dei casi la presenza life-time di un'altra

patologia mentale di Asse I.

Nel 1998 Brooner et al. riscontrarono che il 47% dei soggetti dipendenti

da oppioidi presi in esame presentava altri disturbi psichiatrici, in

particolare Disturbo di Personalità Antisociale (25,1%) e Depressione

Maggiore (15,8%), confermando che anche disturbi di asse II sono

fortemente correlati alle condotte di abuso (Regier et al., 1990).

Jerome et al., nel 1999, in uno studio condotto mettendo a confronto i

dati delle popolazioni carcerarie e di quella generale, hanno evidenziato

la presenza lifetime di DUS nel 92% degli individui affetti da SCH, nel

90% di quelli con Disturbo Antisociale di Personalità e nell’89% di

quelli con DB; fra i soggetti con altri disturbi mentali che necessitavano

di terapia psichiatrica, il 20% soddisfaceva i criteri per la diagnosi di

DUS. In uno studio retrospettivo finalizzato alla conoscenza dei rapporti

tra esordio schizofrenico e uso di sostanze si è visto che nel 27% dei casi

(il campione studiato era di 232 soggetti) la sostanza precedeva

l’insorgenza del disturbo psicotico, nel 37,9% dei casi la sostanza

seguiva l’insorgenza e, nel 35% dei casi, vi era uso di sostanze ed

esordio psicotico nello stesso mese (Hambrecht e Hafner, 2000).

Sostanze stimolanti possono aggravare la sintomatologia schizofrenica o

33

determinare un aumento dei disturbi della condotta con comportamenti

aggressivi, di più difficile risoluzione, in soggetti con disturbi psichiatrici.

Studi condotti nel 2001 hanno evidenziato tassi di comorbidità con

disturbo da uso di sostanze nel 27,5% per la SCH, nel 19,4% per i

disturbi affettivi e nel 42% per i disturbi di personalità (Manna, Ruggiero,

2001).

34

5 DISTURBI D’ANSIA E USO DI SOSTANZE

Soggetti con Disturbo di Panico possono assumere alcool e sedativi per

giovarsi di un momentaneo effetto ansiolitico, così come soggetti con

fobia sociale assumono alcolici, psicostimolanti o eroina per migliorare

la propria capacità di rapportarsi con gli altri (Page, 1989; Cox et al.,

1989). In letteratura sono descritti numerosi studi riguardanti

l’associazione tra Disturbi d’Ansia e uso di alcool. Nello studio ECA, i

Disturbi d’Ansia presentano una prevalenza lifetime del 14.6% e di

questi, il 23.7% presenta un disturbo da uso di una o più sostanze in

comorbidità (in particolare il 12.2% è dipendente da alcool, e l’11.9% da

una qualche altra sostanza fra cui il 27.5% da marijuana, il 33.3% da

cocaina, il 31.6% da oppioidi, il 42.9% da barbiturici, il 32.7% da

amfetamine, il 46.0% da allucinogeni). Mentre alcuni autori (Schuckit e

Hesselbrock, 1994; Allen, 1995) sostengono che la comorbidità rilevata

sia da attribuire a sintomi d’ansia indotti dalle sostanze, la gran parte

degli studi dimostra presenza di una relazione causale fra Disturbi

d’Ansia e uso di sostanze. Regier et al. (1990), hanno elaborato i dati

ottenuti dall’ECA trovando una prevalenza lifetime della comorbidità tra

il Disturbo di Panico e il DUS pari al 35.8%. In particolare è stato notato

che esiste una maggiore associazione fra Disturbo di Panico ed alcolismo,

35

soprattutto in quei pazienti che presentano comorbidità con Disturbo

Depressivo Maggiore. I soggetti affetti da Disturbi d’Ansia sembrano

presentare una particolare propensione al consumo di sostanze

psicoattive, al fine di lenire la fenomenica ansiosa; i pazienti con

Disturbo di Panico hanno spesso una peculiare sensibilità agli effetti

spiacevoli indotti dalle varie sostanze, risultando quindi parzialmente

protetti nei confronti di alcune di esse (ad es. cannabis). L’uso di cocaina,

al pari di altre sostanze quali il Lattato di Sodio, la caffeina (Charney et

al., 1985), l’anidride carbonica, la yohimbina e l’isoprotenerolo, si

ritiene possa essere in grado di precipitare un Disturbo di Panico

(Aronson, Craig , 1986). Nel 33.8% dei pazienti con Disturbo di Panico

si osserva il ricorso all’uso di farmaci (per lo più ansiolitici) senza

prescrizione medica o di alcool per prevenire o ridurre l’ansia

anticipatoria (Cox et al., 1989).

36

6 DISTURBO BIPOLARE ED USO DI SOSTANZE

6.1 Epidemiologia

L’alcool, la cocaina e la cannabis rappresentano sostanze di abuso molto

frequenti nei pazienti con DB, anche se le frequenze identificate nei vari

studi sono molto variabilli (dal 18% al 75%). (Freed, 1969; Dunner et al.,

1979; Hensel et al., 1979; Estroff et al., 1985; Bernardt and Murray,

1986;Miller et al., 1989;Weiss and Mirin, 1989; Regier et al., 1990;

Goldberg et al., 1999; Maremmani et al., 2000a,b)

Nel complesso, comunque, la probabilità è più elevata per il DB rispetto

alla depressione unipolare (Bernardt and Murray, 1986; Regier et al.,

1990). Il DB, dai dati emersi dagli studi epidemiologici condotti sulla

popolazione generale, è fra i Disturbi Mentali quello che più

frequentemente si associa ad un DUS. Il 61% dei soggetti affetti da DB

di tipo I e il 48% di quelli con DB tipo II presenta un DUS in

comorbidità lifetime, con un rischio 8 volte superiore rispetto alla

popolazione generale (Regier et al, 1990). Per i pazienti con DB di tipo I

il rischio relativo per uso di alcool è 6 volte maggiore rispetto alla

popolazione generale, quello per uso di droghe illegali 11 volte maggiore.

Circa il 58% dei questi pazienti presenta una storia life-time di uso di

37

alcool, e il 37% fa uso di altre sostanze; frequente sarebbe anche il

poliabuso che, per alcuni autori, è rilevabile fin nel 50% dei casi.

Gli studi condotti su popolazioni cliniche confermano l’elevata

associazione fra le due condizioni psichiatriche.

- Studi condotti su pazienti in trattamento per DB:

In soggetti ricoverati l’uso corrente di sostanze si riscontra nel 40%-55%

(D’Mello et al, 1995; McElroy et al, 1997), il poliabuso nel 29%

(Lambert et al, 1996). Nei pazienti ambulatoriali l’uso corrente si

evidenzia nel 5% (Winokur et al, 1998), l’uso lifetime nel 14-45%

(Feinman and Dunner, 1996 ; Winokur et al, 1998 ; Suppes et al, 2000).

È necessario tenere presente che gli studi condotti su pazienti ricoverati

sono gravati da un bias, in quanto vengono selezionati pazienti

verosimilmente affetti da un disturbo più grave, rischiando così di

sovrastimare il fenomeno dell’uso di sostanze nei pazienti con DB.

Viceversa, la reale portata dell’uso corrente di sostanze nei pazienti che

afferiscono alle strutture ambulatoriali non è ben conosciuta e

possibilmente sottostimata, vista la scarsità di studi specifici che

prevedano urine drug screen.

Nel complesso, le sostanze più frequentemente utilizzate, considerando

un lasso di tempo life-time, sono:

- marijuana: 30-64% lifetime

38

- poliuso: 6-44%

- amfetamine: 21-39%

- cocaina: 15-39%

- allucinogeni: 31%

- oppiacei: 6-25%

- PCP: 11%

Si può ipotizzare un pattern d’uso del soggetto con DB diverso rispetto a

quello della popolazione generale, con un utilizzo più frequente di

marijuana e stimolanti, minore di sedativi ed oppiacei (Brown et al,

2001).

- Studi condotti su pazienti in trattamento per uso di sostanze:

Gli studi che hanno esaminato la prevalenza di disturbi dell’umore in

soggetti affetti da DUS hanno evidenziato prevalenze di DB tipo I

piuttosto basse, ma comunque molto più elevate rispetto a quelle della

popolazione generale.

La prevalenza di DB è stata riportata nel 22-30% dei soggetti con abuso

di cocaina (Nunes et al, 1989; Mirin and Weiss, 1986); nel 2-9% dei

soggetti con abuso di alcool (Bowen et al, 1984; Weissman and Meyers,

1980). I soggetti con abuso d’alcool sembrano più abitualmente soffrire

di depressione unipolare. I disturbi dell’umore rappresentano i disturbi

più frequentemente in comorbidità con la dipendenza da oppiacei

39

(Rounsanville, 1991), in particolare la depressione (12-54% in atto), ma

anche il DB I, II e la ciclotimia (Maremmani et al, 2000). Nel complesso

è possibile identificare, più che il DB I in forma piena, altri disturbi dello

spettro bipolare, in particolare il DB II, la ciclotimia e il temperamento

ipertimico o ciclotimico (7% - 25%) (Gawin and Kebler, 1984; 1988;

Weiss et al, 1988; Nunes et al, 1989; Wilens et al, 1997, Maremmani et

al, 2003).

6.2 Impatto della Doppia Diagnosi sul DB

È ben documentato in letteratura che l’uso di alcool e sostanze illecite

peggiori il decorso e la prognosi del DB, portando ad un aumento dei

costi sia sociali che personali, in termini di peggior adattamento socio

lavorativo e di sofferenza individuale (Strakowskie col., 2000) L’uso di

alcool o altre sostanze si ritrova sia nel corso delle fasi maniacali che

depressive, ma soprattutto negli episodi a polarità mista tanto che, come

suggeriva Himmeloch nel 1976 “E’ buona norma considerare

tossicofilico qualsiasi paziente con stato misto fino a che non si dimostri

il contrario”. Tenendo presente che circa il 60% dei pazienti con DB fa

uso concomitante di alcool o sostanze, si può stimare che gran parte dei

40

costi derivanti dalla patologia bipolare siano ascrivibili alla comorbidità

per DUS.

Il concomitante uso di sostanze aggrava la patologia dell’umore

modificandone il decorso:

- esordio più precoce e brusco (Feinman & Dunner 1996; Dalton

2003);

- maggior numero di ricadute (Winokur 1994, 1995; Strakowski

1998);

- fasi intervallari più brevi (accorciamento del ciclo) (Winokur 1994,

1995);

- persistenza di sintomatologia residua (Goldberg 1999);

- maggiore rischio di rapida ciclicità (Goldberg 1999);

modificandone la presentazione sintomatologica:

- sintomatologia più intensa, stati misti e tonalità disforiche delle

fasi ed elevata prevalenza di sintomi psicotici, (Himmeloch 1976;

McElroy 1992; Sonne 1994; Brady 1995; Feinman e Dunner

1996);

modificandone gli indicatori di prognosi:

- alto tasso di ospedalizzazione e ricoveri prolungati, (Reich 1974;

Goldberg 1999; Cassidy 2001)

- maggior discontrollo degli impulsi;

41

- peggior outcome (Himmeloch, 1976; Sonne, 1994);

- compromissione socio-lavorativa (Tohen 1990, Feinman e Dunner

1996);

- maggior rischio di comportamenti violenti e criminali (Quanbeck,

2005);

- alto rischio di suicidalità (Simpson, 1999)

Nel complesso la prognosi del disturbo è negativa, con il frequente

instaurarsi di una condizione di cronicità caratterizzata da sintomi residui

invalidanti che compromettono la qualità di vita del paziente e il suo

adattamento socio-ambientale.

Fra i fattori chiamati in causa per spiegare l’azione negativa delle

sostanze sul DB si possono annoverare sia gli effetti diretti, propri

dell’attività farmacologia della sostanza, che quelli indiretti. I soggetti

con uso di sostanze tendono ad avere minor compliance al trattamento,

sia per quanto riguarda gli appuntamenti specialistici che l’aderenza alle

terapie prescritte; nonché elevati livelli di stress psicosociali, fattori che

contribuiscono in modo sostanziale ad una mancata remissione completa

e a ricadute frequenti. Da non trascurare il maggior rischio di malattie

infettive (epatite virale, AIDS) e di complicanze organiche (epatopatie,

cardiopatie, neuropatie) che contribuiscono ad aggravare il quadro

clinico generale (Glodberg et al, 1999, Brown et al, 2005; Strakowski et

42

al, 2000, Salloum and Thase, 2000). Gli effetti diretti delle sostanze (sia

in fase d’intossicazione che d’astinenza) complicano il quadro di

presentazione sintomatologica con sintomi persistenti d’ansia, irritabilità,

nonchè rottura dei ritmi circadiani e del pattern ipnico. Sul piano

neurobiologico si ipotizza che le sostanze modifichino l’espressione

fenomenica e il decorso del DB influenzandone la neurotrasmissione. In

linea con il modello dell’“instabilità dinamica” di Janzarik, per alcuni

autori (Perugi et al, 1997) gli stati misti sarebbero costituiti da un

“complesso dinamico” di componenti temperamentali, affettive e di altra

natura. In questo contesto quadri altrimenti depressivi o maniacali

assumerebbero le caratteristiche di stato misto a seguito di un’alterazione

dell’assetto neurochimico cerebrale indotto dalle sostanze, la cui azione

interferente sarebbe confermata dalla prognosi peggiore degli episodi

affettivi complicati dall’uso di alcool o droghe. Nei pazienti ciclotimici e

con DB tipo II lo stesso meccanismo faciliterebbe l’insorgenza di quadri

sindromici complessi, caratterizzati da rapide oscillazioni timiche,

insofferenza, irrequietezza e disforia, a configurare quelli che possono

essere definiti stati misti attenuati.

Particolarmente frequente risulta inoltre la comorbidità fra uso di

sostanze e DB con caratteristiche psicotiche. L’utilizzo di droghe spesso

accentua la produttività delirante-allucinatoria associata ad oscillazioni

43

timiche. I pazienti, sospinti dall’instabilità affettiva, possono a loro volta

amplificare il ricorso alle sostanze per attenuare queste manifestazioni,

che al contrario subiscono un rinforzo costante. Un improprio tentativo

autoterapico può quindi associarsi ad un progressivo aggravamento del

quadro clinico.

Per quanto attiene al trattamento, rispetto ai soggetti con DB non abusers,

si osserva una minore risposta ai sali di litio (Goldberg 1999), agli

stabilizzatori in generale e scarsa compliance alle terapie, con

peggioramento complessivo del decorso.

6.3 Doppia Diagnosi e DB: Ipotesi etiopatogenetiche.

Sono state formulate varie ipotesi per spiegare l’elevata prevalenza di

comorbidità fra disturbi dell’umore e DUS:

1- Comune suscettibilità genetica.

Numerosi studi testimoniano che il carico genetico influisce sullo

sviluppo di condotte di abuso di alcool e sostanze (Bierut et al. 1998;

Cadoret 1980; Cloninger et al. 1981; Merikangas et al. 1998, 1991;

Mirin et al. 1986; Pickens et al. 1991; Schuckit 1986; Tsuang et al. 1996,

1998). Allo stesso modo il DB ha una evidente componente genetica

44

(Faraone and Santangelo 1992; Strober 1992; Todd et al. 1996a, 1996b),

studi su gemelli dimostrano una concordanza tra il 60 e l’80%, inoltre

dal 30 al 40% dei soggetti con DB hanno un parente con lo stesso

Disturbo (Goodwin e Jamison 1990; Strober et al. 1988; Todd et al.

1996b). Fra tutti i disturbi di Asse I il DB presenta i più alti tassi di

comorbidità per disturbo da uso di sostanze, con tassi che variano dal 17

al 60% (Kessler et al., 1997 ; Winokur et al., 1995 ; Strakowski et al.,

1994, 1992 ; Mueser et al., 1992 ; Regier et al., 1990). Ad oggi gli studi

che hanno indagato, dal punto di vista genetico, la relazione fra DB e

DUS hanno portato a risultati discordanti. Alcuni studi hanno dimostrato

una associazione familiare tra DB e DUS (Dunner et al. 1979; Maier e

Merikangas 1996; Morrison 1975; Penick et al. 1978; Raskin and Miller

1993), sollevando il problema di stabilire se i due disturbi hanno dei

fattori genetici o di eziopatogenesi a comune. D’altro canto Winokur

(1993, 1995) ha riscontrato alti tassi di alcolismo nei pazienti con DB,

ma assenza di familiarità per abuso o dipendenza da alcool.

Evidenziando diversi pattern di utilizzo nei pazienti con DB alcolisti

rispetto ai pazienti con DB non alcolisti, concludeva che l’utilizzo di

alcool era probabilmente conseguenza del DB.

Risultati praticamente opposti sono emersi successivamente, con

riscontro di alti tassi di alcolismo in parenti di soggetti con DB (Todd et

45

al., 1996). Anche un recente studio (Wilens et al., 2007) ha rilevato un

maggior tasso di DUS, rispetto ai controlli, in parenti di pazienti con DB,

sia che presentassero o meno condotte di abuso. L’Autore, evidenziando

che la presenza di DUS nei familiari è associata alla presenza del DB,

propone che la suscettibilità per il disturbo affettivo e le condotte di

abuso co-segreghino dal punto di vista genetico. Risultati differenti sono

stati invece riscontrati in altri studi; ad esempio è stato evidenziato che la

familiarità per mania è associata allo sviluppo di condotte di abuso,

suggerendo una probabile comune diatesi genetica per DUS ed un

sottotipo di DB (Winokur et al., 1996, Biedermann et al., 2000).

Ancora diverse sono le osservazioni di altri Autori (Maier, 1995, Sbrana

2007), che hanno riscontrato che il carico genetico per DB e per DUS

sono sostanzialmente distinti e segregano in modo indipendente l’uno

dall’altro.

I dati su un possibile “linkage” a livello genetico dei due disturbi sono

dunque estremamente vari, spesso contradditori e in generale

scarsamente replicati.

46

2- Ipotesi secondo cui il disturbo dell’umore è innescato dall’ uso di

sostanze.

In circa la metà dei casi, il DB compare successivamente all’uso di

sostanze e da questo sembra essere scatenato. Si tratterebbe di individui

che presentano una familiarità meno pesante per disturbi dell’umore (Del

Bello et al., 2002), per i quali sembrerebbe necessaria la presenza di un

fattore di rischio addizionale, cioè l’uso di sostanze psicoattive, perché si

determini l’insorgenza della patologia. I risultati a sostegno di questa tesi

non sono comunque univoci.

In effetti alcuni studi hanno evidenziano come l’uso di sostanze preceda

gli episodi affettivi e come una parte dei soggetti con doppia diagnosi

(nella fattispecie quelli con alcolismo antecedente il Disturbo dell’Umore)

abbia un esordio affettivo significativamente più tardivo (Strakowski et

al., 1996; Strakowski et al., 1998). Solo uno studio tuttavia (Del Bello e

col., 2002) ha osservato che i pazienti con DB e DUS, nei quali la

diagnosi di DB era precedente all’utilizzo di sostanze, presentavano una

familiarità minore per disturbi affettivi; altri studi non confermano questo

risultato (Morrison, 1975; Dunner et al., 1979; Winokur et al., 1995,

Maier & Merikangas, 1996).

Tuttavia, anche nei soggetti in cui il DB pare scatenato dalle sostanze, è

frequente il riscontro di fattori predisponentti che precedono l’esordio

47

dell’uso di sostanze come i temperamenti affettivi ed è noto che l’uso di

sostanze attivanti può determinare, in pazienti con temperamento

ipertimico e ciclotimico, l’insorgenza di episodi (ipo)maniacali o stati

misti e un’accentuazione dell’instabilità dell’umore (Akiskal 1992,

Winokur 1998).

Una volta innescato, il disturbo dell’umore può presentare un decorso

autonomo e le recidive si possono ripresentare sebbene l’astenzione

dall’uso di sostanze.

3- Ipotesi Self-Medication.

Se nel 50% dei pazienti con DB l’uso di sostanze precede l’esordio del

disturbo timico, nel restante 50% l’uso di sostanze è successivo

all’insorgenza del DB. In questo caso il ricorso alle sostanze si

configurerebbe come un improprio tentativo autoterapico, volto ad

alleviare sintomi di angoscia, depressione o attenuare stati di agitazione e

di irritabilità propri delle forme miste. Alcuni Autori hanno riscontrato

che pazienti con DB ricorrono a sostanze psicotrope per migliorare stati

depressivi, placare l’irritabilità e ridurre l’accelerazione ideica (Sonne

1994; Weiss 2004; Sbrana et al., 2005). Al tempo stesso vi è, in gran

parte dei pazienti affetti da DB con doppia diagnosi, una finalità

autoterapeutica, correlata con il tentativo di rinforzare o mitigare le

48

manifestazioni sottosoglia più che le manifestazioni floride del DB stesso

(Brady 1998).

Inoltre i pazienti con DB, anche nel corso di fasi espansive, ricercano

sostanze ad effetto psicostimolante ed euforizzante per prolungare lo

stato di eccitazione, quasi fossero “dipendenti” dallo stato di (ipo)mania

come da una “cocaina endogena” (“Addiction to Euphoria”) e cercassero

con le sostanze psicotrope di mantenerlo e rinforzarlo. La scelta delle

sostanze avverrebbe in virtù del loro effetto farmacologico su definiti

stati emotivi che si vogliono, di volta in volta, provocare, mantenere,

modulare o risolvere (ipotesi della Self-Selection). Sono infatti descritti

pazienti che ricorrono all’alcool per combattere l’anedonia, alla cannabis

per controllare la rabbia e l’irritabilità, alle anfetamine per attenuare la

depressione o alla cocaina per potenziare le fasi espansive. I pazienti con

disturbo dell’umore e DUS mostrano spesso comorbidità con disturbi

d’ansia ed in questi casi è verosimile che le condotte potatorie abbiano

finalità ansiolitiche ed autoterapiche.

Secondo il modello della self-medication, l’uso di sostanze dovrebbe

ridursi o cessare nelle fasi di eutimia. In realtà alcune sostanze inducono

rapidamente dipendenza, inoltre una remissione sintomatologica non

completa con persistenza di oscillazioni dell’umore subcliniche, come

49

tratti temperamentali ipertimici, ciclotimici, irritabili-esplosivi, tendono a

prolungare l’uso di sostanze.

4- Sensibilità alle sostanze.

Numerosi studi documentano che i pazienti con disturbi mentali gravi

presentano una ipersensibilità alle sostanze (Cohen e Klein, 1970;

Lehman et al., 1994; Drake et al., 1989), in linea con il Supersensitivity

model di Mueser (1998). Soggetti con patologie dello spettro bipolare

tendono a sviluppare più spesso dipendenza da farmaci o da sostanze

d’abuso rispetto ai controlli o ai pazienti con altri disturbi mentali.

(Sbrana et al., 2005); Il fenomeno è stato attribuito sia ad una particolare

sensibilità alle sostanze, sia all’intensità degli effetti percepiti con

l’assunzione, sia alla gravità dei sintomi d’astinenza alla sospensione. La

sensibilità e la facilità d’abuso può riguardare anche sostanze legali,

come il caffè, che hanno un effetto destabilizzante sull’umore e

aumentano il rischio di recidive.

5- Impulsività e discontrollo.

L’impulsività e il discontrollo sono parte dei disturbi del DB, non

soltanto nelle fasi maniacali, ma anche nei periodi di remissione o negli

episodi depressivi (Peluso e col., 2006). L’impulsività è parte integrante

50

anche delle condotte di abuso, cosicché i DUS potrebbero anche essere

definiti, dal punto di vista psicopatologico, come forme croniche e gravi

di impulse control disorder. Questo tratto sembra quindi comune alle due

classi di disturbi e favorirebbe nel paziente con diatesi bipolare prima il

contatto e quindi l’evoluzione verso un uso maladattivo della sostanza.

(Maremmani et al., 2006)

6- Condizioni ambientali.

Alcuni fattori di rischio ambientali possono facilitare il contatto con

alcool o droghe da strada e di conseguenza l’uso. Fondamentale è il

ruolo dell’ambiente familiare (i figli di alcolisti sviluppano più

frequentemente abuso di alcool sia per fattori genetici che di

apprendimento comportamentale), la frequentazione di ambienti a

rischio (zone urbane o ad alto tasso di delinquenza, tossicodipendenza o

disponibilità di sostanze), bassi livelli di istruzione, disoccupazione o

condizioni socio-ambientali degradate. Anche uno stile di vita

burrascoso con frequenti cambiamenti di occupazione e progressiva

compromissione socio-lavorativa, caratteristico dei DB, può aumentare

le probabilità di contatto con sostanze e, quindi, l’abuso e la dipendenza.

51

7- Tratti sensation seeking.

Un altro elemento che può favorire il ricorso alle sostanze sono i tratti

temperamentali sensation seeking, che caratterizzano quelle personalità

alla continua ricerca di sensazioni forti e sempre nuove. Sembra che il

tratto sensation seekin sia una dimensione transnosografica, indipendente

cioè dalla patologia dell’umore, ma resta da precisare se sia riconducibile

o meno ad espressioni subcliniche dello spettro bipolare dato che la

dimensione novelty seeking di Cloninger, che ha numerose analogie con

il sensation seeking behavior, si riscontra nei soggetti con temperamento

ipertimico e ciclotimico (Maremmani e col., 2000).

8- ADHD.

Secondo alcuni studi (Milberger, 1997) i disturbi della condotta, ed in

particolare l’ADHD, nell’infanzia aumentano il rischio di sviluppare

DUS durante l’adolescenza o l’età adulta nei soggetti con DB

6.4 Problematiche di diagnosi differenziale fra disturbi dell’umore

e uso di sostanze.

Considerando l’alta frequenza di associazione fra DUS e DB, lo

specialista si trova sempre più spesso di fronte a quadri psicopatologici

52

di non immediata comprensione, con fenomenica cangiante e

rapidamente evolventesi. Il clinico che si trova di fronte a queste

manifestazioni deve porsi come primo obiettivo la comprensione

dell’origine dell’instabilità affettiva. È necessario infatti porre una

diagnosi differenziale tra sintomi dell’umore primari e sintomi derivanti

dall’uso di sostanze tenendo conto del possibile overlappig dovuto alla

presenza di quadri fenomenici comuni ad entrambi i disturbi. Ad

esempio sintomi maniacali quali euforia, accelerazione ideo-motoria e

paranoia si riscontrano sia nelle fasi espansive che nell’abuso di

stimolanti (cocaina, anfetamine) (Vollenweider et al, 1998) ma in questo

secondo caso il quadro regredisce alla cessazione dell’effetto acuto della

sostanza. D’altro canto, sintomi maniacali quali euforia e iperattività

possono essere temporaneamente mascherati dall’uso pesante di alcool o

altre sostanze ad attività sedativo-depressogena. Non è raro, infatti,

trovarsi di fronte a all’emergere di sintomi maniacali in pazienti

inizialmente ricoverati per un grave stato depressivo-disforico a rischio

suicidarlo, fenomenica legata ad un uso massiccio di alcool. Una volta

risoltasi l’intossicazione acuta, la fase maniacale può esprimersi con il

corteo sintomatologici caratteristico. Pazienti con dipendenza da alcool

in fase di astinenza spesso soffrono di sintomi depressivi, ma in molti

casi questi sono secondari all’uso di alcool e scompaiono nel giro di tre-

53

quattro settimane dalla sospensione. Particolari difficoltà diagnostiche si

possono presentare nei pazienti precedentemente abuser di eroina con

quadri depressivi o misti che possono essere primari o legati a fenomeni

di astinenza secondaria (o post-astinenziale) da oppioidi che perdurano

anche mesi dopo la cessazione della sostanza. Sarà utile porre attenzione

alla peculiarità del tono affettivo, caratterizzato da demoralizzazione,

visione negativa del futuro, noia pervasiva, scarsa progettualità, disforia,

insofferenza, intolleranza alla frustrazione e al dolore, unito a insonnia,

progressiva ripresa del craving per le sostanze, comparsa di pensieri,

fantasie e spesso sogni correlati con l’assunzione (quadri ipoforici da

astinenza secondaria). In questi casi il trattamento con antidepressivi,

stabilizzatori o neurolettici non risulta efficace e sarà necessario ricorrere

ad una terapia a base di agonisti totali o parziali. Infine, il pensiero

costante e continuo verso la sostanza che si accompagna al craving, sia

nell’astinenza primaria che secondaria, può essere erroneamente

attribuito ad una ideazione di tipo ossessivo ed indurre a porre in atto un

trattamento specifico, che si rivelerà inefficace. Una diagnosi

differenziale accurata ha importanti implicazioni trattamentali. Secondo

le ultime linee guida (Godwin an Jamison, 2007) il trattamento della

comorbidità fra DB e DUS prevede in primo luogo un’accurata

valutazione sull’origine dell’instabilità affettiva. Non sembra infatti

54

opportuna la prescrizione di farmaci antidepressivi o stabilizzatori

dell’umore se il quadro sintomatologico depressivo - ansioso o irritabile

risulta secondario all’astinenza da sostanze (ad es. eroina),

configurandosi come un quadro di “ipoforia” post-astinenziale. Come

ricordato in questo caso è più efficace la somministrazione di farmaci

agonisti oppioidi ad effetto anti-astinenziale (metadone, buprenorfina).

D’altro canto se si tratta di un disturbo primario, anche se in comorbidità

con l’abuso di sostanze, un trattamento rivolto unicamente all’astinenza

da sostanze rischia di non risolvere nessuna delle due condizioni.

Secondo il DSM IV-TR i disturbi dell’umore che compaiono solo in

concomitanza o immediatamente dopo l’utilizzo di sostanze psicotrope

devono essere classificati come disturbi dell’umore indotti da sostanze.

Con l’approccio categoriale vengono però trascurati aspetti predisponenti

al disturbo, in particolare alcuni elementi suggestivi di una patologia

dell’umore, come una familiarità positiva, tratti temperamentali

ipertimici, ciclotimici, depressivi ed irritabili, oppure una particolare

sensibilità alle sostanze. L’eccitamento, l’euforia o l’irritabilità

conseguenti all’assunzione di farmaci o di sostanze psicoattive (come ad

esempio farmaci antidepressivi), sono oggi visti come segnali di

predisposizione alla patologia bipolare e questo rende meno netta la

dicotomia fra “euforia” spontanea e indotta. Sembra quindi più corretto

55

considerare i farmaci o le sostanze psicotrope come fattori scatenanti un

disturbo dell’umore in individui predisposti, che non separare, dal punto

di vista diagnostico, i disturbi affettivi in base alla derivabilità o meno da

sostanze psicotrope (Camacho et al., 2005).

56

7 COMORBIDITÀ ANSIOSA NEL DISTURBO BIPOLARE.

La comorbidità psichiatrica è la coesistenza, in uno stesso soggetto, di

differenti disturbi psichiatrici con pari dignità in un determinato periodo

di tempo (Cassano e coll., 1998). L’associazione tra disturbi d’ansia e

disturbi dell’umore compare in letteratura fin dal secolo scorso; Freud, a

proposito della “nevrosi d’ansia”, scriveva che “nella maggior parte dei

casi i sintomi ansiosi sono presenti contemporaneamente a sintomi di

neurastenia, isteria, ossessioni e melanconia. La frequente associazione

di quadri sindromici diversi veniva, in passato, oscurata dall’impiego di

un approccio gerarchico, conforme all’assunto Jasperiano secondo il

quale un disturbo di livello superiore preclude la diagnosi di un disturbo

di livello inferiore: i sintomi di quest’ultimo erano, infatti, considerati

parte del disturbo di livello più elevato. In questo modo la diagnosi di

depressione precluderebbe quella dei disturbi d’ansia, così come la

diagnosi di Disturbo di Panico quella di Disturbo d’Ansia Generalizzata

e così via.

Gli studi riguardanti i rapporti tra disturbi d’ansia e dell’umore hanno

avuto un ruolo di primo piano nel superamento dell’approccio gerarchico

tradizionale ed hanno condotto all’introduzione in psichiatria del termine

57

di comorbidità, precedentemente utilizzato esclusivamente in medicina

interna. Utilizzando il modello della comorbidità è stato possibile

valutare con maggiore precisione la frequenza con cui vari disturbi

d’ansia si presentano associati con lo spettro dei disturbi dell’umore, fino

ad arrivare all’ipotesi che la comorbidità fra disturbi affettivi e ansiosi

costituisca la regola e non l’eccezione (Nemeroff, 2002).

La sovrapposizione tra DB e Disturbi d’Ansia potrebbe essere spiegata

con almeno tre modelli teorici. Secondo la prima ipotesi i due disturbi

sarebbero assolutamente indipendenti e si sovrapporrebbero

frequentemente essendo entrambi piuttosto comuni; ad ogni modo questa

teoria è confutata da dati epidemiologici che testimoniano che DB e

Disturbi d’Ansia si riscontrano più frequentemente in comorbidità di

quanto il caso lascerebbe supporre (Angst, 1998; Chen e Dilsaver, 1995

a,b). Nel secondo modello si ipotizza che il DB ed i Disturbi d’Ansia

siano entità cliniche separate, ma legati da un punto di vista

patogenetico, questo sarebbe comprovato da dati epidemiologici e da

studi riguardanti l’associazione genetica familiare (Angst, 1998; Chen e

Dilsaver,1995 a,b; Kessler e coll., 1997; Ravelli and Bijl, 1998;

Szadoczky e coll., 1998). Questa ipotesi sarebbe supportata anche dal

fatto che i due disturbi condividono, dal punto di vista biologico,

un’alterazione al livello del sistema noradrenergico e dopaminergico

58

(Azorin e coll., 1990; Yehuda e coll., 1992), inoltre è stato dimostrato un

linkage a livello del cromosoma 18 che determinerebbe l’associazione

fra Disturbo di Panico e DB (Rotondo e coll., 2002; Mac Kinnon e coll.,

2002).

Altri Autori (Chen e Dilsaver, 1995), ipotizzano che i Disturbi d’Ansia

ed i Disturbi dell’Umore siano manifestazioni di una anomalia del tono

dell’umore e pertanto abbiano lo stesso meccanismo patogenetico.

E’ stato rilevato che la frequenza di Disturbi d’Ansia in una popolazione

di pazienti con DB è significativamente maggiore rispetto al resto della

popolazione (Angst, 1998; Chen e Dilsaver, 1995 a,b; Kessler e coll.,

1997; Ravelli e Bijl, 1998; Szadocky e coll., 1998). Inoltre si riscontra

un’incidenza di Disturbi d’Ansia superiore nei pazienti con DB rispetto a

quelli con Depressione unipolare. Secondo uno studio condotto su un

campione di 288 pazienti con DB (McElroy e coll., 2000) la presenza di

almeno un Disturbo d’Ansia in comorbidità è presente nel 42% dei casi,

altri Autori riportano una prevalenza life-time fino al 93% (Kessler,

1999).

Il ruolo dei Disturbi d’Ansia è stato fin’ora approfondito nello studio

della Depressione unipolare, mentre esistono solo pochi dati riguardanti

il DB. I risultati suggeriscono che la presenza di Disturbi d’Ansia in

59

comorbidità determinino outcome peggiori; questi pazienti sembrano

essere resistenti ai trattamenti convenzionali a base di litio, necessitano

spesso di polifarmacoterapia, hanno tempi di guarigione più lunghi e

riportano un maggior numero di tentativi di suicidio ed abuso di alcolici

(Feske e coll., 2000; Young e coll., 1993). Secondo Cassano e coll.

(1999) la sintomatologia psicotica risulterebbe più frequente in presenza

di comorbidità ansiosa multipla. Altri studi hanno dimostrato un legame

fra stati misti e comorbidità ansiosa (Dilsaver e coll., 1997) mentre

Chantal e coll. (2003) hanno riscontrato una maggiore frequenza di

temperamento depressivo.

In particolare, nei pazienti con comorbidità tra DB e Disturbo Ossessivo

Compulsivo, si osserva un aumento dei tentativi di suicidio (Chen e

Dilsaver, 1995), una più alta incidenza di Disturbo di Panico (Chene

Dilsaver, 1995; Perugi e coll., 1997), un maggiore numero di episodi

depressivi (Perugi e coll.,1997) e si registra più frequentemente la

presenza di episodi maniacali con caratteristiche miste (MacElroy e coll.,

1995). Nel 1996 McElroy e coll. hanno postulato l’esistenza di una

connessione tra DB e Disturbo Ossessivo Compulsivo; successivamente

alcuni Autori (Perugi e coll. 1998; Strakowski e coll., 1998) hanno

60

formulato una teoria che propone l’ esistenza di un sottotipo episodico di

Disturbo Ossessivo Compulsivo strettamente correlato al DB.

Nei pazienti con comorbidità fra Disturbo di Panico e DB si riscontra un

esordio più precoce della malattia (Chantal e coll., 2003), una ridotta

risposta al trattamento con litio (Feske e coll., 2000; Chantal e coll.,

2003), un aumento delle condotte suicidiarie (Rudd, 1993),

l’associazione con decorso a rapida ciclicità (Coryell e coll., 1992) e una

maggiore frequenza di episodi di mania con caratteristiche miste rispetto

ad episodi di mania pura (Dilsaver e coll., 1997). Recentemente è stata

riscontrato un linkage genetico a livello del cromosoma 18q (MacKinnon

e coll., 1998), suggerendo che il quadro clinico del DB e Disturbo di

Panico in comorbidità possa rappresentare un sottotipo di DB. Studi sui

polimorfismi genetici di Compt e 5-HTT (Rotondo e coll., 2002) hanno

confermato questo dato.

61

8 PSICOSI ED ABUSO DI SOSTANZE.

E’ importante stabilire il rapporto cronologico esistente tra il DUS e

quello psicotico. Se l’abuso precede dovremmo supporre che il disturbo

psicotico possa essere indotto o slatentizzato dalla sostanza, d’altro canto

se la sintomatologia psicotica esordisce precedentemente potremmo

pensare che l’uso di sostanze si instauri come un improprio tentativo di

auto-medicazione.

A riguardo i dati in letteratura sono contraddittori. Secondo alcuni autori

l’abuso di sostanze tende a precedere il primo ricovero in ambito

specialistico (Silver 1994, Turner and Tsuang 1994) e sembra che

soggetti con abuso di sostanze presentino un esordio precoce della

patologia psicotica (Addington 1998, Rabinowiz 1998). Per ciò che

concerne il legame tra sintomi schizotipici e abuso di cannabinoidi i dati

presenti in letteratura forniscono risultati contrastanti: secondo Schiffman

e collaboratori (2005) i sintomi schizotipici precederebbero l’utilizzo di

cannabis.

Andreasson (1987) in uno studio di coorte su 45570 soggetti seguiti per

15 anni ha evidenziato che, rispetto ai non-users, il rischio relativo per lo

sviluppo di SCH è 2.4 nei soggetti che hanno usato cannabis almeno una

volta, salendo al 6.0 nei pesanti consumatori. Se si controllano i fattori

62

confondenti il rischio relativo scende al 2.9. Un ulteriore analisi

effettuata sullo stesso campione nei 27 anni successivi ha confermato

questi dati (Zammit e coll., 2002).

In uno studio di follow up durato tre anni condotto da Van Os (2002),è

emerso che i soggetti che usavano cannabis al baseline avevano un

rischio 3 volte superiore, rispetto ai non users, di manifestare

sintomatologia psicotica al follow-up e che dosi superiori si associavano

a rischio più elevato (Van Os, 2002).

Da uno studio di follow-up di 26 anni emerge che l’uso di cannabis

nell’adolescenza incrementa il rischio di presentare sintomatologia

schizofrenica nell’età adulta (Arseneault, 2002) e che più precoce è

l’onset dell’uso, più grande è il rischio. (Arsenault, 2004). In pazienti

cannabis user con SCH l’esordio è anticipato di 5 anni rispetto a pazienti

schizofrenici non users (Barnes, 2006).

La cannabis non sembra rappresentare un causa sufficiente o necessaria

per lo sviluppo di psicosi, bensì far parte di una “costellazione causale”.

Solo una minoranza degli individui sperimentano infatti effetti dannosi

conseguenti all’uso di cannabis.

Si stima che circa l’8% delle schizofrenie potrebbe essere prevenuto

dall’eliminazione dell’uso di cannabis nella popolazione e che sebbene

l’incidenza sia rimasta pressoché stabile nonostante l’aumento del

63

consumo di cannabis, si ritiene che gli effetti si osserveranno nei

prossimi 10 anni (Arsenault, 2004). Vi sono evidenze che l’incidenza di

SCH stia aumentando in alcune aree di Londra, soprattutto fra i giovani

(Boydell, 2003).

In uno studio condotto da Arendt nel 2005 su 535 pazienti con psicosi

acuta indotta da cannabis e anamnesi negativa è emerso che il 44.5% ha

sviluppato nei tre anni successivi un disturbo dello spettro schizofrenico.

Rispetto a pazienti psicotici senza storia di psicosi da cannabis, l’età d’

esordio era più precoce (circa 5 anni).

Gli studi precedenti davano risultati contrari (Cohen, 1988; Chaundry,

1990; Chopra, 1974), nessuno seguiva però i pazienti a lungo termine.

È stato stimato che il 10% degli abusers cronici di amfetamina

sviluppano un disturbo psicotico cronico che perdura per sei mesi dopo la

cessazione della sostanza (Flaum 1996) e che l’abuso di stimolanti possa

determinare quadri sintomatologicamente indistinguibili dalla SCH (Mc

Lellan 1979). Al momento non è però ancora possibile stabilire in che

misura le sostanze possano agevolare l’insorgenza di un disturbo

psicotico. È probabile che disturbi schizofrenici abbiano un’eziologia

multifattoriale e che le sostanze possano determinare il superamento

della soglia con comparsa del disturbo (Murray Fearon 1999).

64

È stato anche proposto che l’abuso di sostanze e i disturbi psicotici

possano condividere fattori neurobiologici comuni, tuttavia non vi sono

studi che confermano una comune base genetica (Mueser 1998).

Recentemente Caspi e collaboratori (2005) hanno rilevato una

correlazione tra la comorbidità SCH-abuso di sostanze e l’espressione del

gene per la COMT (O-methiltransferase). E’ inoltre noto che il sistema

dopaminergico svolga un ruolo centrale in entrambe le malattie, tuttavia

non sono ancora stati proposti dei convincenti modelli eziologici

esplicativi a proposito.

Per quanto riguarda la SCH l’abuso di sostanze sembra associato sia a

“peggiore compliance, suicidalità, criminalità e discinesie tardive”

(Mueser 1992, Smith 1994, Owen 1996, Bailey 1997 sia a maggior

rischio di ricaduta (Gupta 1996, Leduc 1994).

I pazienti affetti da SCH abusers sono più frequentemente di sesso

maschile, hanno familiarità per abuso di sostanze, necessitano di un

maggior numero di ospedalizzazioni, specialmente in TSO (Cantor-Grae,

Duke 1994, Tsuang 1998, Prestcott and Kendler 1999).

Sorbara (2003) ha riscontrato che l’uso di sostanze risulta essere un

fattore di rischio per ricadute psicotiche sia nei pazienti con DB, che in

quelli con SCH e disturbo schizoaffettivo, indipendentemente dalla

mancanza di compliance.

65

9 COMORBIDITÀ ANSIOSA NELLA SCHIZOFRENIA

9.1 Prevalenza.

Pochi sono i dati a disposizione riguardo la prevalenza dell’ansia in

campioni comunitari. In uno studio sull’argomento, Blande et al. (1987)

Intervistarono 2144 persone a Edmond (Alberta, Canada), usando la

Diagnostic Interview Schedule (DIS), rispondente ai criteri del DSM-III,

un’intervista strutturata somministrata da intervistatori addestrati. I

criteri di esclusione del DSM-III basati su rigide metodiche classificative

non furono presi in considerazione. Furono trovati 20 individui che

rispondevano ai criteri per la SCH (0,71%). Tra questi il 59,2% aveva

anche una diagnosi di Disturbo Ossessivo Compulsivo, il 63,4% di Fobia

Specifica e il 29,5% di Disturbo di Panico. La comorbidità con i Disturbi

d’Ansia presi in esame è notevolmente più alta rispetto alla prevalenza

nella popolazione generale dello stesso studio: 4% Disturbo Ossessivo

Compulsivo, 12% Fobia Semplice, 1,4% Disturbo di Panico.

Altri sessanta studi hanno tentato di valutare la comorbidità della

patologia ansiosa con quella schizofrenica. Caratteristiche intrinseche al

campione clinico ed il ristretto numero di pazienti inclusi in molti di

questi studi, hanno reso ragione della variabilità e della difficoltosa

aggregabilità dei risultati.

66

9.2 Disturbo Ossessivo Compulsivo.

La comorbidità fra SCH e Disturbo Ossessivo Compulsivo è, rispetto

agli altri Disturbi d’Ansia, la meglio documentata. In pazienti affetti da

SCH sono stati spesso ravvisati sintomi ossessivo-compulsivi. Poche

sono tuttavia le conclusioni tratte dagli studi, questo per la mancanza di

precisi criteri diagnostici. Nel 1986, Fenton e McGlashan valutarono dati

retrospettivi da 163 pazienti con diagnosi di SCH e riportarono che il

12,9% (N=21) presentavano sintomi Ossessivo-Compulsivi secondo i

criteri del DSM-III. I rigidi criteri categoriali non permisero però agli

autori di porre diagnosi full-blown di Disturbo Ossessivo Compulsivo.

Lo studio di Eisen et al. (1997) è stato il primo a valutare la presenza di

Disturbo Ossessivo Compulsivo diagnosticato secondo i criteri del

DSM-III-R in pazienti con SCH: 52 pazienti con SCH e 25 con disturbo

schizoaffettivo furono valutati usando l’intervista clinica strutturata

(SCID). Il risultato complessivo mostra che il 7,6% dei pazienti aveva un

DOC; ma tra i probandi con SCH la prevalenza era soltanto del 1,9%,

mentre saliva al 20% nel gruppo con disturbo schizoaffettivo.

Da allora, 12 studi (Bermanzohn et al. 2000, Cosoff et al. 1998,

Goodwin et al. 2003, Higuchi et al 1999, Kruger et al. 2000, Nechmad et

al. 2003, Poyurovsky et al. 1999, 2001, Tibbo et al. 2000, 2003, Ohta et

67

al 2003, Pallanti et al 2004) hanno indagato la prevalenza del Disturbo

Ossessivo Compulsivo in pazienti con SCH, ed i valori variano dallo 0%

al 35%. La ragione di questa grande variabilità è probabilmente correlata

alle differenze dei campioni (cronicità, metodi di reclutamento, etc.), ed

all’uso di diversi strumenti diagnostici.

9.3 Disturbo di panico.

La letteratura fornisce inoltre indicazioni circa la frequenza del Disturbo

di Panico nella SCH. Argyle (1990) fu il primo ad indicare la presenza

del Disturbo di Panico nella SCH. 20 individui furono valutati usando la

SCID per il DSM-III. Il 35% dei pazienti aveva attacchi di panico, ed il

20% rispondeva ai criteri per una piena diagnosi di Disturbo di Panico.

Oltre a questo, 7 studi cross-section (Bermanzohn et al. 2000, Cosoff et

al. 1998, Goodwin et al. 2003, Tibbo et al. 2003, Pallanti et al 2004,

Labbate et al 1999, Bayle et al. 2001) hanno provato a determinare la

frequenza del DP nella SCH, ottenendo risultati che vanno dal 3,3% al

43%. L’ampia variabilità è probabilmente dovuta al fatto che questi studi

utilizzano piccoli campioni, ed i pazienti valutati hanno diversi profili di

malattia, alcuni sono al primo episodio mentre altri sono pazienti cronici.

68

9.4 Fobia sociale.

I primi a ricercare sintomi del Disturbo d’Ansia Sociale nella SCH

furono Pilkonis et al. (1980), che notarono una prevalenza maggiore di

Ansia Sociale nei pazienti con SCH rispetto ai controlli. Anche Penne et

al. (1994) valutarono sintomi specifici di Ansia Sociale in 38 pazienti

con SCH e trovarono che i livelli di ansia sociale rientravano nel range

clinico dei pazienti con Fobia Sociale pretrattamento. La diagnosi piena

di Fobia Sociale fu considerata per la prima volta dallo studio di Argyle,

(1990) nel quale il disordine era presente nel 20% dei pazienti con SCH

valutati. Quattro studi seguenti hanno esaminato la comorbidità del

Disturbo d’Ansia Sociale in questa popolazione. Nello studio di Cosoff

et al. (1998), l’Ansia Sociale era presente nel 17% dei pazienti con SCH.

Tibbo et al. (2003) la trovarono nel 13,3%, Goodwin et al. (2003) nel

8,2%, e Pallanti et al. (2004) nel 36,3%.

In questi studi sono stati utilizzati strumenti diagnostici differenti e

hanno avuto risultati diversi; suggeriscono comunque come la Fobia

Sociale abbia una elevata prevalenza fra i pazienti affetti da SCH.

69

9.5 Disturbo post-traumatico da stress (PTSD).

Gli studi che ricercano la presenza del PTSD in pazienti con SCH

dimostrano la complessità della comorbidità ansiosa nella SCH e la

variabilità di risultati che deriva da differenti approcci analitici. Il DSM-

IV non considera i sintomi psicotici e le esperienze come stressors;

comunque gli studi che comprendevano la reazione postraumatica ad

allucinazioni o agli aspetti negativi del ricovero hanno stimato la

frequenza al 51% tra i pazienti affetti da SCH (Priebe et al. 1998). Per

esempio, Meyer et al. (1999) valutarono la frequenza del PTSD tra 46

pazienti psicotici e trovarono che il 50% presentavano sintomi del PTSD.

Tra i 152 sintomi del PTSD registrati, solo il 5% non erano correlati alle

psicosi ed al trattamento, e questi non vennero considerati. Uno studio

valutò la presenza del PTSD tra 54 donne con DUS, SCH e disturbo

schizoaffettivo (Gearon 2003), al 46% (n=25) del campione fu fatta

diagnosi di PTSD. La presenza di molte variabili non consente di

delineare un rapporto di causa effetto tra le due patologie.

Un altro studio recente (Resnick et al. 2003) ha ricercato la comorbidità

con il PTSD tra pazienti psicotici, trovandola nel 16,6% di essi. I risultati

dei pazienti affetti da SCH furono analizzati insieme a quelli dei pazienti

70

con disturbo schizoaffettivo, non permettendo una distinzione delle

comorbidità dei singoli disturbi.

Nello studio di Pallanti et al. (2004), l’ 1,3 % dei pazienti schizofrenici

esaminati, possedeva i criteri del DSM-IV per la diagnosi di PTSD.

9.6 Disturbo d’Ansia Generalizzata (GAD), Agorafobia e Fobie

Specifiche.

Il GAD e l’Agorafobia erano presenti rispettivamente nel 12% e nel 5%

dei pazienti con SCH dello studio di Cosoff et al. (1998), nel 16,7% e nel

16,7% nello studio di Tibbo et al. (2003), e nel 2,5% e 3,8% in quello di

Pallanti et al. (2004). Una Fobia Specifica risultava nel 13,6% dei

pazienti valutati nello studio di Goodwin et al. (2003), nel 5% in quello

di Cosoff et al. (1998) e nel 2,5% dei pazienti con SCH esaminati da

Pallanti et al. (2004).

9.7 Rilevanza.

Come regola generale, la presenza di una comorbidità può avere un

impatto negativo sul disordine principale. Dai pazienti che possiedono

una forma piena del disturbo, che risponde al numero richiesto di criteri

per la diagnosi di entrambe le patologie, si attende un peggiore out-come

71

rispetto a pazienti affetti da un singolo disturbo. Gli studi a disposizione

non consentono conclusioni definitive riguardo l’impatto della

comorbidità dei disturbi d’ansia sulla SCH.

Lo studio di Fenton et al. (1986) fu il primo ad indicare che la presenza

di sintomi Ossessivi-Compulsivi poteva essere predittiva di una prognosi

peggiore nei pazienti schizofrenici. In questo studio, i pazienti con

sintomi del Disturbo Ossessivo Compulsivo erano più frequentemente

disoccupati, ospedalizzati, ed avevano livelli di funzionamento peggiori

al follow up. Gran parte dei dati in letteratura avvalora questa tesi,

mostrando un grado maggiore di deterioramento nelle diverse aree del

funzionamento ed una prognosi peggiore nei pazienti con SCH con

sintomi Ossessivi Compulsivi (Poyurovsky et al. 2001, Berman et al.

1995, Samuels et al. 1993, Hwang et al. 2000). Comunque non tutti gli

autori sono d’accordo; Tibbo et al. (2000) esaminò 52 pazienti affetti da

SCH, dei quali il 25% aveva comorbidità con Disturbo Ossessivo

Compulsivo; ipotizzò quindi che, paragonati ai pazienti con solo il

disturbo schizofrenico, quelli con Disturbo Ossessivo Compulsivo

avevano un migliore livello di funzionamento ed una storia di malattia

più breve.

La relazione tra sintomi Ossessivi Compulsivi e sintomi negativi è meno

chiara; nonostante 4 dei 7 studi che hanno valutato questa correlazione

72

abbiano rivelato l’associazione fra sintomi OC ed un livello maggiore di

gravità di sintomi negativi nella SCH (Hwang et al. 2000, Lysaker et al.

2002, Lysaker et al. 2000), uno studio individuò un livello minore

(Tibbo et al. 2000), e 2 non trovarono differenze tra pazienti con

comorbidità per Disturbo Ossessivo Compulsivo rispetto agli altri

(Poyurovsky et al. 2001, Berman et al. 1998).

Esistono pochi studi che valutano l’impatto del Disturbo di Panico nella

SCH. In uno di questi (Chen et al. 2001) gli attacchi di panico sono stati

correlati ad una maggiore aggressività eterodiretta ed a una maggiore

frequenza di agitazione psicomotoria. Lavorando su campioni più ampi è

stato individuato come i sintomi di panico abbiano un effetto

peggiorativo nella prognosi di pazienti psicotici. Due studi su pazienti

con psicosi non affettiva indicavano che la presenza di Disturbo di

Panico o di attacchi di panico, era correlata con un’elevata comorbidità

per altre patologie psichiatriche, maggiore ideazione suicidaria,

maggiore familiarità per disturbi psichiatrici, peggior risposta alle

tecniche riabilitative ed una qualità di vita più bassa (Goodwin et al.

2001, 2002). Non sappiamo tuttavia quanto questi risultati possano

essere applicati a pazienti con SCH.

Pallanti et al. (2004) valutò 80 pazienti con SCH e confrontò il

sottogruppo di pazienti che presentavano anche Fobia Sociale con quello

73

senza questo disturbo; i probandi con Fobia Sociale aveva un maggior

numero di tentativi di suicidio, una maggiore propensione all’uso di

sostanze ed un peggior adattamento sociale; inoltre la presenza di

comorbidità per Fobia Sociale era un predittore significativo per una

peggiore qualità di vita in diversi domini, misurato con lo Short-Form

Health Survey.

Non vi sono dati sull’impatto delle altre comorbidità ansiose nella SCH,

ulteriori studi condotti su pazienti schizofrenici saranno necessari per

consolidare le ipotesi proposte.

Nonostante la presenza di sintomi ansiosi in pazienti con SCH sia stata

descritta da molti clinici, la correlazione tra loro non è ancora stata

chiarita. Il confine tra i veri e propri sintomi ansiosi in comorbidità, e la

sintomatologia simil-ansiosa dovuta al disturbo psicotico è piuttosto

difficile da delineare. Qualche autore suggerisce che la sintomatologia

associata alla SCH può essere meglio spiegata come parte del disturbo

piuttosto che una sindrome concomitante (Opler et al 1994).

E’ infine da considerare il gruppo di pazienti con SCH che migliorano

una volta trattati con farmaci ansiolitici ed altri che presentano un profilo

neuropsicologico diverso dagli schizofrenici “puri” perchè affetti da un

Disturbo d’Ansia (Hwang et al. 2000, Lysaker et al. 2002, 2000).

74

Entrambi possono appartenere ad un distinto cluster di pazienti affetti da

SCH.

75

10 OBIETTIVI DELLO STUDIO

Il presente studio si propone tre obiettivi:

- prendere in esame il pattern di uso di sostanze nei pazienti con DB

e SCH;

- comparare la prevalenza lifetime dei Disturbi d’Ansia nei pazienti

con DB e SCH con e senza DUS associato;

- esaminare se specifici Disturbi d’Ansia siano associati con il DUS

nei pazienti con DB e nei pazienti con SCH.

Si ipotizza che la comorbidità con Disturbi d’Ansia sia più frequente nei

pazienti con DB e SCH in comorbidità con un DUS rispetto a quelli che

non presentano questa associazione.

76

11 MATERIALI E METODI

11.1 Soggetti

I partecipanti sono stati reclutati nel contesto di due programmi di ricerca

coordinati dal Dipartimento di Psichiatria, Neurobiologia, Farmacologia

e Biotecnologie dell’Università di Pisa.

Uno di questi si è svolto tra il Settembre del 2003 e il Marzo del 2005

presso nove Dipartimenti di Salute Mentale toscani (Empoli, Grosseto,

Massa, Montecatini, Lucca, Pisa, Pistoia, Pontedera e Viareggio)

(Benedetti et al., submitted 2007).

Criteri di inclusione richiesti:

- età tra 18 e 65 anni

- pazienti in trattamento da non più di un anno

- capacità di sottoscrivere un consenso informato

- presenza di sintomi psicotici (cross-sectional o lifetime).

I criteri di esclusione erano rappresentati da:

- diagnosi di un disturbo psicotico dovuto a condizioni mediche

generali oppure a patologie mentali di natura organica

- dipendenza da sostanze presente da più di sei mesi.

Il secondo programma di ricerca includeva pazienti con DB o SCH

reclutati presso la Clinica Psichiatrica del Dipartimento di Psichiatria,

77

Neurobiologia, Farmacologia e Biotecnologie dell’Università di Pisa. Il

reclutamento è stato svolto tra l’Aprile del 2003 ed il Marzo del 2006

(Bizzarri et al., 2008 in press).

Criteri d’inclusione:

- pazienti con Disturbi d’Asse I con caratteristiche psicotiche (SCH,

Disturbo Schizoaffettivo, DB e Depressione con caratteristiche

psicotiche, Disturbo Delirante, Disturbo Psicotico indotto da

sostanze, Disturbo psicotico NAS) in comorbidità o meno con un

DUS

- età compresa fra i 18 e i 60 anni.

Criteri di esclusione:

- soggetti che presentavano una patologia organica cerebrale

(neoplasie, episodi cerebrovascolari e loro esiti, esiti di

traumatismi del SNC, epilessia);

- incapacità a cooperare dovuta alla severità del disturbo;

- rischio suicidiario.

La procedura di questo studio è stata approvata dal Comitato Etico

dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Pisa, in conformità al codice

etico della World Medical Association (dichiarazione di Helsinki).

Tutti i partecipanti hanno firmato un consenso informato.

78

11.2 Valutazione diagnostica

I partecipanti di entrambi gli studi sono stati intervistati da Psichiatri e da

Medici specializzandi in Psichiatria tramite l’intervista clinica strutturata

SCID-I. Lo strumento utilizza i criteri del DSM-IV per la diagnosi dei

disturbi di Asse I (First et al., 1997). Questa intervista è stata sviluppata

per la diagnosi dei disturbi mentali secondo i criteri del Manuale

Statistico e Diagnostico dei Disturbi Mentali (DSM IV TR). Il Manuale

Statistico e Diagnostico dei Disturbi Mentali è il sistema di

classificazione più accreditato a livello internazionale, utilizzato per la

diagnosi dei disturbi mentali in svariati ambiti sia di ricerca che clinici. Il

Manuale Statistico e Diagnostico dei Disturbi Mentali è stato pubblicato

per la prima volta nel 1952 dall’ American Psychiatric Association, ed è

andato incontro successivamente a varie revisioni ed aggiornamenti. Il

DSM-IV (Manuale Statistico e Diagnostico dei Disturbi Mentali, Quarta

Edizione), pubblicato nel 1994, è stata l’ultima importante revisione,

mentre una "Text Revision" of the DSM-IV, conosciuta come il DSM-

IV-TR, è stata pubblicata nel 2000.

Il DSM IV prevede una valutazione diagnostica multiassiale per i diversi

aspetti del disturbo o della disabilità. Per alcune diagnosi è prevista una

indicazione di gravità (ad es. forme lievi, moderate o gravi del disturbo).

79

Per ogni disturbo classificato nel DSM IV, vi sono sia criteri diagnostici

che indicano quali (e per quanto tempo) sintomi devono essere presenti

(criteri d’inclusione), sia criteri per quei sintomi che non devono essere

presenti (criteri d’esclusione) per poter fare diagnosi del disturbo in

questione.

L’Intervista Clinica Strutturata per la diagnosi dei Disturbi d’asse I del

DSM IV (SCID-I) è un’intervista semistrutturata elaborata per la

diagnosi della maggior parte dei disturbi psichiatrici d’Asse I. In

particolare permette di indagare la presenza in atto e lifetime di Disturbi

Psicotici, Disturbi dell'Umore (con e senza caratteristiche psicotiche),

Disturbi d'Ansia, DUS, Disturbi Somatoformi, Disturbi della Condotta

Alimentare e Disturbi del Controllo degli Impulsi. In genere per eseguire

una valutazione diagnostica con la SCID su un paziente psichiatrico sono

necessarie da 1 a 2 ore, in base alla complessità della anamnesi

psichiatrica e dalla capacità del soggetto di descrivere chiaramente

episodi e sintomi passati ed in atto. Una SCID condotta su un soggetto

non-psichiatrico è in genere più breve (30 min – 1h). Lo strumento è

stato elaborato per poter essere somministrato sia da un clinico che da un

professionista della salute mentale adeguatamente addestrato, ad es. uno

psicologo o un riabilitatore. Comunque, è necessario che l’intervistatore

abbia esperienza con interviste non strutturate, con domande aperte e sia

80

stato preparato con un training specifico all’utilizzo della SCID.

Numerosi studi hanno dimostrato la validità e Reliability della SCID per

il DSM-III-R.

Gli intervistatori di questo studio possedevano esperienza clinica nei

confronti di pazienti con disturbi psicotici ed avevano seguito un corso

intensivo sull’utilizzo dello SCID e degli altri strumenti. Tutti gli

intervistatori di questo studio erano stati precedentemente addestrati

(almeno 10 interviste eseguite da ognuno), e certificati all’utilizzo dello

SCID solo quando le loro diagnosi corrispondevano con quelle

dell’istruttore almeno nel 90% dei casi.

81

12 ANALISI STATISTICHE

I confronti tra i soggetti affetti da DB e SCH, con o senza DUS,

relativamente alle variabili qualitative, sono stati condotti utilizzando il

test del chi-quadrato, mentre il t-test è stato usato per confrontare l’età

media tra i gruppi.

Tutte le analisi sono state condotte con il programma Statistical Package

for Social Science (SPSS) versione15.0 (SPSS, Inc.,2006).

82

13 RISULTATI

13.1 Caratteristiche demografiche dei gruppi

Il campione include 145 soggetti affetti, secondo i criteri del DSM-IV

(American Psychiatric Association,1994) da DB e 175 da SCH.

43 pazienti con DB (42.2 %) e 42 pazienti con SCH (31.6 %) possiede i

criteri per una diagnosi life-time di disturbo da uso di alcool o sostanze. I

partecipanti sono stati divisi in due gruppi in base alla presenza/assenza

del DUS.

Le caratteristiche demografiche dei pazienti affetti da DB in comorbidità

(N=43) o no (N=102) con DUS, e dei pazienti affetti da SCH con DUS

(N=42) e senza DUS (N=133) sono riportate nella Tabella 1.

I pazienti con DUS sono risultati più frequentemente uomini e di età

minore in entrambi i gruppi rispetto ai non DUS .

13.2 Confronto del pattern di uso di alcool e sostanze nei pazienti

con DB e SCH con DUS.

I pazienti con DB e quelli con SCH non differiscono nell’uso di alcool. I

pazienti affetti da DB mostrano tuttavia una percentuale doppia rispetto

ai pazienti con SCH per quanto concerne l’uso di sostanze (cannabis,

sedativi, cocaina, anfetamine, oppiacei ed allucinogeni) (Tabella 2).

83

13.3 Comorbidità con disturbi d’ansia nei pazienti affetti da DB e

SCH con e senza DUS associato.

La prevalenza lifetime della comorbidità dei Disturbi d’Ansia nei

pazienti con e senza DUS è riportata nella Tabella 3.

Complessivamente circa il 45% dei pazienti con DB ha una storia di

Disturbo d’Ansia: Disturbo di Panico, Disturbo Ossessivo Compulsivo e

Fobia Sociale sono le associazioni più comuni. Nel gruppo di pazienti

con DB in comorbidità con un Disturbo d’Ansia non risultano differenze

significative tra la percentuale di quelli con DUS associato e quelli senza.

Nei pazienti con SCH, invece, la comorbidità con Disturbi d’Ansia

risulta significativamente maggiore nei pazienti con DUS (57% vs 27%)

(Tabella 3).

Nello specifico i pazienti con DUS possiedono una comorbidità

maggiore con Disturbo di Panico, Disturbo Ossessivo Compulsivo,

Fobia Sociale e Disturbo d’Ansia Generalizzata.

84

14 DISCUSSIONE

Questo studio conferma la maggiore prevalenza di DUS nei pazienti

maschi, giovani, affetti da DB e SCH riportata in letteratura (Mueser et

al., 1992; Sonne et al., 1994; Swartz, 2006;).

Circa il 60% dei pazienti con DB o SCH associati a DUS presentano i

criteri per la diagnosi di un disturbo da uso di alcool, in linea con la

letteratura (Buckley et al., 2006; McElroy et al., 1997; Lambert et al.,

1996; Winokur et al., 1998; Suppes et al., 2001; Feinman and Dunner

1996,Wittchen et al., 1996; Fioritti et al., 1997; Verdoux and Tournier

2004; Addington and Addington, 2007; D’Mello et al.,1995).

L’abuso di cocaina, cannabis e anfetamine risulta più frequente tra i

pazienti con DB rispetto a quelli con SCH. Tipicamente i pazienti con

SCH ricercano sostanze ad azione prevalentemente ansiolitica quali

alcool e cannabis (Margolese et al., 2004); inoltre quanto più è

compromesso il paziente con SCH, tanto più difficoltoso risulta

l’approvvigionamento di sostanze da abuso; questo può aver determinato

un minor uso di queste sostanze in percentuale nei pazienti con SCH

rispetto a quelli con DB. I risultati del presente studio sembrano deporre

per una differente associazione tra Disturbi d’Ansia e DUS nei pazienti

con DB rispetto ai pazienti con SCH.

85

Circa il 45% dei pazienti con DB ha una storia di Disturbo d’Ansia, ma

non risultano differenze significative nella prevalenza di questa

comorbidità nei pazienti affetti da DB con DUS rispetto a quelli senza.

I risultati degli studi presenti in letteratura sull’associazione tra DB, DUS

e Disturbi d’Ansia sono discordanti. In accordo con questo studio, Henry

e colleghi (2003) concludevano che, nei pazienti con DB, la comorbidità

con Disturbi d’Ansia non era correlata con l’abuso di alcool e droghe.

D’altra parte, Kolodziej et al. (2005) trovarono che i pazienti con DB e

PTSD, ma non affetti da altri Disturbi d’Ansia, iniziavano più

precocemente ad abusare di alcool e droghe ed inoltre avevano una

prevalenza lifetime maggiore di DUS, in particolare cocaina ed

anfetamina, rispetto ai pazienti senza questa comorbidità.

Altri autori hanno trovato associazioni significative tra diversi Disturbi

d’Ansia come Attacchi di Panico, Fobia Sociale, Fobie Specifiche

Disturbo Ossessivo Compulsivo, e DUS in pazienti con DB (Goodwin et

al., 2002a, Keller et al., 2006 ).

Per quanto attiene l’associazione tra DB, DUS e Disturbi d’Ansia,

appare tuttavia verosimile l’ipotesi di Simon et al. (2004) secondo la

quale, la prevalenza elevata di DUS tra i pazienti con Disturbi d’Ansia,

costituisce una variabile indipendente dal significato prognostico

negativo.

86

Alcuni aspetti propri del DB rappresentano importanti fattori di rischio

per lo sviluppo di un DUS: l’instabilità affettiva, il discontrollo, o il

tentativo di modulare o rinforzare sintomi affettivi (addiction to

euphoria), sembrano in grado di indurre una maggior spinta verso le

sostanze rispetto ai Disturbi d’Ansia, la cui azione in questo senso risulta

meno significativa.

Nel nostro campione di pazienti con SCH abbiamo trovato differenze

significative nella prevalenza (57% vs 27%) di Disturbi d’Ansia tra i

pazienti con un Disturbo da uso di sostanze associato e gli altri; nello

specifico, abbiamo osservato che i pazienti con SCH associata a DUS

possiedono maggiori percentuali di comorbidità con Disturbo di Panico,

Fobia Sociale, e Disturbo d’Ansia Generalizzata, rispetto ai pazienti con

SCH senza DUS. Questi risultati sono in linea con quelli di Goodwin et

al. (2003), che individuarono un’associazione tra Attacchi di Panico ed

una maggiore propensione all’abuso di sostanze in pazienti con SCH.

Il presente studio conferma nei pazienti con SCH una frequente

associazione tra DUS e sintomatologia ansiosa.

Dagli studi che hanno indagato la causa dell’uso di sostanze nei pazienti

con SCH è emerso che, frequentemente, essi sostengono di usare le

sostanze per far fronte a sintomi depressivi ed ansiosi oltre che per

rilassarsi ed incrementare le prestazioni e le abilità sociali (Dixon et al.,

87

1991; Warner et al., 1994; Addington and Duchak, 1997; Bradizza and

Stasiewicz, 2005; Schofield et al., 2006).

Se da un lato possiamo ipotizzare che in questi pazienti il Disturbo

d’Ansia peggiori l’adattamento sociale, e che essi ricorrano alle sostanze

non solamente per tentare di ridurre l’ansia ma anche per migliorare le

prestazioni sociali, dall’altro, in particolare nei pazienti con Disturbo di

Panico, l’uso di sostanze può slatentizzare l’insorgenza degli attacchi ed

aumentarne la frequenza, peggiorando il decorso di entrambi i disturbi.

I nostri risultati suggeriscono che, seppure la comorbidità tra Disturbi

d’Ansia e DUS siano comuni nei pazienti con DB e in quelli con SCH, in

questi ultimi esiste una differenza significativa tra i pazienti con uso di

sostanze e quelli senza. Possiamo ipotizzare che i pazienti affetti da SCH

in comorbidità con uno specifico disturbo d’ansia abbiano un rischio

maggiore per DUS.

Da ciò deriva l’importanza della precoce identificazione dei Disturbi

d’Ansia e DUS nei pazienti affetti da SCH, per le rilevanti implicazioni

che questo rilievo può rivestire ai fini del trattamento e della prognosi.

88

15 LIMITAZIONI

Lo studio è gravato da una limitazione:

le diagnosi di DUS e Disturbi d’Ansia sono lifetime, pertanto i pazienti

sono soggetti a recall bias: non è stato possibile determinare il rapporto

cronologico di insorgenza dei due disturbi.

89

16 CONCLUSIONI

Nei pazienti affetti da SCH esiste un’associazione significativa tra DUS

e sintomatologia ansiosa.

In questi pazienti l’uso di sostanze potrebbe essere messo in atto come

tentativo di mitigare i sintomi ansiosi e cercare di migliorare le

prestazioni sociali. Sia l’ansia, sia l’abuso di sostanze devono essere

monitorati e trattati, al fine di migliorare l’outcome dei pazienti.

Nei pazienti con DB la comorbidità con un Disturbo d’Ansia non mostra

una correlazione significativa con il DUS; probabilmente l’instabilità

affettiva e l’impulsività, propri del DB, sono di per sé i maggiori fattori

di rischio per lo sviluppo di un DUS, quindi un concomitante Disturbo

d’Ansia rappresenta un fattore di secondaria importanza nell’instaurarsi

di condotte tossicofiliche.

90

17 TABELLE

Tabella 1. Caratteristiche demografiche dei gruppi

Disturbo Bipolare Schizofrenia

Senza DUS (N=102)

Con DUS (N=43)

T-test o test del chi quadrato, p

Senza DUS (N=133)

Con DUS (N= 42)

Età media (SD)

38.7 (10.7)

32.3 (9.2)

<0.001 43.4

(11.3) 38.2 (9.9)

<0.01

n (%)

n (%)

n

(%) n

(%)

Sesso <0.05 <0.05

Maschio 57

(55.9) 33

(76.7)

83 (62.4)

34 (81.0)

Femmina 45

(44.1) 10

(23.3)

50 (37.6)

8 (19.0)

Stato civile Ns Ns

Single 66

(64.7) 30

(69.8) 90

(67.7) 30

(71.4)

Coniugato 34

(33.3) 13

(30.2)

41 (30.8)

12 (28.6)

Stato occupazionale* Ns Ns

Impiegato 69

(69.0) 27

(62.8)

85 (67.5)

28 (68.3)

Disoccupato 31

(31.0) 16

(37.2)

41 (32.5)

13 (31.7)

*10 valori mancanti

91

Tabella 2. Pattern dell’uso di alcool e sostanze ne i pazienti con Disturbo Bipolare (DB) o Schizofrenia (SCH) e Distu rbo da uso di sostanze (DUS).

DB e DUS (N = 43) SCH e DUS (N = 42)

Alcool 29 (67.4%) 27 (64.3%)

Cannabis 27 (62.8%) 15 (35.7%)

Sedativi 10 (23.2%) 6 (14.3%)

Cocaina 8 (18.6%) 4 (9.5%)

MDMA/anfetamine 6 (13.9%) 2 (4.8%)

Oppiacei 4 (9.3%) 2 (4.8%)

Allucinogeni 7 (16.3%) 3 (7.1%)

Tabella 3. Disturbi d’Ansia nei pazienti con Distur bo Bipolare e Schizofrenia con o senza Disturbo da Uso di Sostanz e (DUS) associato.

Senza DUS

Con DUS

Chi-quadrato, P

N % N %

Disturbo Bipolare 102 43

DP 21 20.6 13 30.2 1.6, p=0.21

AG 4 3.9 1 2.3 0.23, p=0.63

Fobia Sociale 14 13.7 4 9.3 0.54, p=0.46

DOC 16 15.7 8 18.6 0.19, p=0.67

PTSD 3 2.9 1 2.3 0.043, p=0.84

GAD 7 6.9 2 4.7 0.254, p=0.61

Fobia Specifica 5 4,9 2 4.7 0, p=0.95

Qualunque disturbo d’ansia 46 45.1 19 44.2 0.01, p=0.92

Schizofrenia 133 42

DP 18 13.5 14 33.3 8.3, p=0.004

AG 4 3.0 2 4.8 0.3, p=0.586

Fobia Sociale 7 5.3 9 21.4 10.0, p=0.002

DOC 10 7.5 6 14.3 1.8, p=0.185

GAD 0 0.0 2 4.8 0.057*

Fobia Specifica 6 4.5 3 7.1 0.45, p=0.50

Qualunque disturbo d’ansia 36 27.1 24 57.1 12.8, p<0.001 *Test esatto di Fisher

92

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RINGRAZIAMENTI In primo luogo vorrei ringraziare il Prof. Mauro Mauri ed il Dott. Alfredo Sbrana per la bella opportunità che mi hanno concesso, per la loro gentilezza e la loro grande professionalità. Un grazie al Dott. Massei ed al Dott. Piz per il tempo che mi hanno dedicato, in particolare a Jacopo anche per tutto l’aiuto “tecnico” ed i molti consigli che mi ha dato. Arrivato al termine di questo lungo percorso che va dalle elementari fino ad oggi, molte sono le persone che devo ringraziare, ognuna di essa è stata a suo modo importante per me, e mi ha permesso di arrivare fin qui con la serenità che oggi dimostro. I miei genitori Paolo e Oriana, veri artefici di questo risultato, per avermi dato la grande opportunità di arrivare dove sono oggi. Ma come avrei fatto senza di voi? Un sentito e dovuto ringraziamento va alla mia fidanzata Annalisa per questi anni meravigliosi che sembrano essere volati, per avermi sempre appoggiato in tutto quello che ho fatto, per il suo supporto morale (ultimamente, anche motorio!), per la sua comprensione e dolcezza, senza di lei non sarei arrivato fin qui, GRAZIE. Un grazie anche ai tanti amici e compagni di studio, che hanno allietato questi lunghi e faticosi anni. La classe del Liceo, alla quale sono ancora molto legato, in particolare a coloro che hanno scelto il mio stesso percorso di studi e di vita: il Magi (grazie anche per la gentilezza di questi ultimi giorni), la Claudia e la Silvia, oltre che per l’amicizia sempre dimostrata anche per le tonnellate di appunti che mi hanno sempre prestato, e il mitico Massi. Tutti i ragazzi e le ragazze miei compagni di corso all’ Università, per le belle mattinate passate insieme, in particolare il grande Fabio, mio compagno di studi degli ultimi e faticosi esami sostenuti. I vari coinquilini con i quali ho abitato in questi anni: mio fratello Francesco (a cui va un grazie particolare), il Massimo, il Claudio, il Magi (ancora), lo Stefani (a cui chiedo ancora scusa per aver mancato il suo matrimonio), il Cero (grazie anche per l’aiuto in questi giorni di

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disabilità) e il Sera, che mi hanno fatto perdere tanti pomeriggi di studio, ma quante risate... tra i coinquilini merita un posto anche l’Ale per le belle chiaccherate di questi anni. Tutti gli amici Garfagnini del Bar, troppi per elencarli, con i quali ho passato, e spero passerò anni splendidi, sempre pronti ad accogliermi tutte le volte che tornavo da Pisa con la loro allegria e simpatia, grazie per la vostra sincera amicizia. Un saluto ai miei compagni di squadra del grande River, purtroppo quest’anno dovrete vincere senza di me. Un saluto alla mia nonna Veronica che ci teneva tanto a vedermi laureato, ora per i nipotini non avere fretta! Un grazie anche ai vari Professori che in questi anni mi hanno dato molto in termini di conoscenza, in particolare ringrazio il Prof. Naccarato per avermi fatto comprendere il valore reale di questa laurea.

...HAPPINESS IS REAL ONLY WHEN SHARED...