tuttoqui&dintorni zero8
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magazine trimestrale di contaminazioni locali dell'associazione culturale Tuttoqui&dintorni. Il tema dello ZERO8 è "L'animale che è in te". 12 pagine di passione ed entusiasmo e amore per la comunicazione virale.TRANSCRIPT
21 marzo | 20 giugno 2014
per passione
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PERIODICO DI CONTAMINAZIONE LOCALE concept & impaginazione: Print Studio Grafico snc via Martiri di Belfiore, 19 . 46026 Quistello (MN)
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ZERO8
Virgom Store
Maestri dell’arrampicata e del mimetismo.
Cambiano l’immagine di sè per apparire uguali all’ambiente
circostante, eliminando i contorni e in qualche modo anche
l’identità. Ma nel frattempo osservano tutto, per sapere
tutto, per giudicare i pericoli e le opportunità, e muovono
inaspettatamente la lunga lingua, pronti a ritrarla in un secondo.
Niente da dire, c’è un notevole stato di evoluzione per uomini
e camaleonti, protagonisti di giungle diverse e parallele. Ma se
per i secondi l’adattamento è una questione di sopravvivenza
Credits: CONCEPT TuttoQui&dintorni . PHOTO Stefano BaggioART DIRECTION ED EVENTO Oui Darling StudioMAKEUP ARTIST Stella TagliazucchiSTYLING Oui Darling Studio e LaNicoDelleMeraviglieHAIR STYLING Fuori di Cresta
continua a pag.02
che sfrutta una magia genetica, per i primi la mimesi è tutta
un’altra storia, che sa un pò di opportunismo, di arrampicata
sociale (e non arboricola), di ipocrisia.
Però la genetica non è dalla nostra parte, e questo complica di
molto le cose.
Se gli animali vivono nell’inconsapevolezza delle mille
gradazioni di colore che li adattano al mondo, noi abbiamo,
da sempre, ampia possibilità di scelta circa la nostra identità.
via A. Pitentino, 24 • 46010 Curtatone (MN) Italy
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PH
Gia
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aria
Po
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And then there was St Kevin and the blackbird.
The saint is kneeling, arms stretched out, inside
His cell, but the cell is narrow, so
One turned-up palm is out the window, stiff
As a crossbeam, when a blackbird lands
and Lays in it and settles down to nest.
Kevin feels the warm eggs, the small breast, the tucked
Neat head and claws and, finding himself linked
Into the network of eternal life,
Is moved to pity: now he must hold his hand
Like a branch out in the sun and rain for weeks
Until the young are hatched and fledged and flown.
*
And since the whole thing’s imagined anyhow,
Imagine being Kevin. Which is he?
Self-forgetful or in agony all the time
From the neck on out down through his hurting forearms?
Are his fingers sleeping? Does he still feel his knees?
Or has the shut-eyed blank of underearth
Crept up through him? Is there distance in his head?
Alone and mirrored clear in Love’s deep river,
‘To labour and not to seek reward,’ he prays,
A prayer his body makes entirely
For he has forgotten self, forgotten bird
And on the riverbank forgotten the river’s name.
Seamus Heaney
The Spirit Level (1996)
ST. KEVIN AND THE BLACKBIRD...segue dalla copertina
PH
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ling
Stu
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E poi c’era San Kevin e il merlo.
Il Santo è in ginocchio dentro la sua cella
a braccia tese ma la cella è stretta
Così deve sporgere il palmo irrigidito
come una trave maestra fuori dalla finestra,
quando il merlo vi si posa
per deporre e preparare il nido.
Kevin avverte nel cavo della mano le uova tiepide,
il pettuccio, la testina dal piumaggio ravviato,
i piccoli artigli e, scoprendosi legato
alla rete della vita eterna,
è mosso a pietà: dovrà continuare a tenere la mano tesa
come un ramo fuori nella pioggia e nel sole per settimane
finché la nidiata non uscirà dal guscio per prendere il volo.
*
E siccome l’intera cosa è stata comunque immaginata,
immagina tu d’ essere Kevin. Come ti appare?
Dimentico di se stesso o in agonia perenne
dalla nuca fino agli avambracci doloranti?
Ha le dita indolenzite? Avverte ancora le ginocchia?
Oppure, il nulla ottenebrato dell’oltretomba
s’ è aperto un varco dentro di lui? Vaga lontano con la mente?
Solo e riflesso limpidamente nel profondo fiume dell’amore,
“Lavorare e non cercare ricompensa,” questa è la sua preghiera.
Una preghiera recita il suo corpo interamente
poiché ha dimenticato se stesso, dimenticato il merlo
e solo, sulla sponda, ha scordato il nome del fiume.
Traduzione di Erminia Passannanti. Dall’antologia Gli uomini sono una
beffa degli Angeli, Poesia britannica contemporanea (Ripostes, 1993),
a cura di Erminia Passannanti con una prefazione di Blake Morrison
SAN KEVIN E IL MERLO
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PH
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fan
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agg
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Insomma, là dove il bisogno di essere uguali a noi stessi supera
la necessità di omologarci al gruppo, il colore che assumiamo è
originale, autentico, anche coraggiosamente diverso. Quando
siamo animati dal timore, dall’insicurezza o da secondi fini,
diventare uguali agli altri ci rassicura, apparentemente ci
difende da cambiamenti che espongono la nostra natura al
giudizio degli altri o, peggio, ci mescola per lasciarci agire
indisturbati. Ma c’è un ma: sapersi modificare ha molto a che
fare con la capacità d’adattamento a qualunque condizione
o difficoltà, è una vera e propria strategia che tutti, in dosi più
o meno elevate, dovremmo (in alcuni casi vorremmo) avere
nel dna. C’è chi molla tutto e se ne va lontano, c’è chi perde
il lavoro e per andare avanti riesce a reinventare una parte
consistente di sè, c’è chi denuncia un sopruso, chi riesce
ad ignorare i giudizi cattivi, o chi si tiene strette le relazioni
umane positive e lascia andare quelle dannose. Ci sono molti
modi di essere camaleonte nel mondo, l’importante è avere
la consapevolezza che possiamo esserlo per vivere, e non
sopravvivere. Esistono ad esempio quei momenti in cui i colori
che cambiamo ci rendono fieri di noi stessi e delle strade che
stiamo percorrendo, con una punta di follia e di sano vitale
divertimento.
Noi di TuttoQui&dintorni, squadra che cresce e si consolida,
siamo diventati camaleonti per realizzare questo numero e lo
shooting fotografico che vedete qui stampato e troverete tra le
pagine del web.
Abbiamo per un giorno vestito nuove tonalità di noi, chi
improvvisandosi modella -divertentissimo e appagante,
parola mia- chi immaginando look,
stili, acconciature o trucco, chi usando
l’obiettivo della macchina fotografica
in modo nuovo, giocando. Insomma,
interpretando una parte siamo cambiati
un pò e abbiamo creato con le nostre
mani qualcosa di multicolore, tipico di chi
seguendo la propria passione si sporca con
coraggio, e questo ci rende felici.
Restiamo -con umiltà e fierezza- in attesa
dei vostri giudizi, sperando che i colori di
questo numero vi spingano un pò più ad osare e un pò meno
a nascondervi.
Valeria Dalcore
Tota
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di Guido Peroncini
POETA
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ALL’IMPROVVISOAll’ improvviso
la belva
esce
e ruggisce
fuori
dal cuore e
anche
quando
non si vuole
graffia
l’altrui viso.
«Non è per un vero ragionamento, ma per una folle superbia e ostinazione che ci mettiamo al di sopra degli altri animali».
Michel De Montaigne, Saggi.
Il regno animale per definizione comprende anche l’uomo, il
quale però se ne sente il re. A tale visione antropocentrica si
è arrivati per colpa della naturale presunzione dell’uomo. Non
potendo capire il linguaggio degli altri animali suoi fratelli e
consanguinei, ne ha decretato l’inferiorità intellettiva e morale
nei secoli dei secoli.
Ha comportamenti peggiori di qualsiasi animale,
ma se chiamato tale, si offende.
La connotazione negativa che è stata data nella storia
agli animali è sicuramente frutto di una visione distorta e
pregiudizievole verso chi è dissimile solo in parte dall’uomo.
Osservando infatti la vita di tutti gli animali, si nota che essi
non solo ci eguagliano nella costruzione della vita, di un nucleo
familiare e casa, ma spesso ci superano in arte e intelletto.
Il processo di indifferenza e di accettazione passiva dello
sfruttamento può essere interrotto attraverso la compassione
e la comprensione.
ANIMA-LIFermarsi a guardare un agnello ad esempio, osservarlo giocare
e notare che non c’è alcuna differenza con il cane o il bambino
a casa. Non è una catena naturale, è un cucciolo a cui sarà
strappata la vita per un inutile sfizio.
«C’è più differenza tra un uomo ed un altro uomo che tra un
uomo ed un animale».
L’obiettivo di ZOE è di far riaffiorare l’empatia nella sua più
spontanea fluessuosità. Scegliendo una quotidianità senza
crudeltà, ci adoperiamo per il rispetto della vita, senza alcuna
distinzione di “specie”.
info: Associazione Z O E [email protected]
IL LUPO PERDE IL PELOMA NON IL VIZIO
E noi della Fondazione Scuola di Musica Oltrepò Mantovano, che
il vizio della musica non lo perdiamo mai, abbiamo organizzato
la quarta edizione del concorso Giovani in Musica, le cui tre
finali si terranno il 2, 3 e 4 maggio 2014 al teatro Auditorium di
Poggio Rusco. Quest’anno si è deciso di non fare le formichine,
e da bravi cicaloni quali siamo, sempre pieni di grilli per la testa,
abbiamo stanziato un montepremi totale di ben 1.600 euro. Sarà
un’edizione diversa dalle precedenti, da pelle d’oca, con una
suddivisione delle categorie più specifica, sia per gli strumentisti
solisti sia per la danza, con l’introduzione dell’hip-hop, del country
e dei balli latini. Gli usignoli del canto avranno una sezione e un
premio a loro dedicati.
I concorrenti, sempre rigorosamente under 30, portando in gara i
propri cavalli di battaglia, potranno prendere due piccioni con una
fava: si potranno esibire su un palco professionale, e vincere un
bel gruzzoletto.
Avanti, non fate gli struzzi e sfoderate l’occhio della tigre!
Iscrivetevi al concorso entro il 31 marzo e vedrete che non rimarrete
con un pugno di mosche in mano.
In bocca al lupo a tutti!!!
INFO & contatti:
pro loco ostiglia | t. 0386 32151punto 035 | t. 345 8054994
www.accordiamoci.info | [email protected] | t. 331 110 061 3
Comune di Poggio Rusco
Comune di Quistello
Comune di Pieve di Coriano
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GUEST: MORIS PRADELLA ON VOICE
28 MARZO’14 h.21,00 |ostiglia
Via Comuna Santuario, 1 | 46035 Ostiglia (MN) | www.gheda.it
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APERTURA SERATA: ITALIAN STREET JAZZ | RENATO BELLADELLI - FRANCESCO BORGHI - DAVIDE MENANIFRANCESCA RAVANI - SERGIO ROSSONI - MARCO VEZZANI
Info e iscrizioni: [email protected]
letteraLMente
di Davide Longfils
I libri e le idee di Patrizio Guandalini
Dicembre 1917, carcere femminile di Breslavia, Rosa
Luxemburg, studiosa di origine polacca, condannata a due
anni di reclusione come capofila del movimento operaio
tedesco e della Lega di Spartaco, scrive una lettera alla
amatissima Sonja Liebknecht, moglie del leader spartachista
Karl Liebknecht, che due anni più tardi sarà assassinato con
la stessa Luxemburg dai soldati dei cosiddetti Freikorps, agli
ordini del governo del socialdemocratico Friedrich Ebert.
La lettera sarà salvata dal poeta Karl Kraus, che la pubblicherà
sulla rivista “Die Fackel” da lui diretta. Oggi è proposta ai
lettori italiani dalla casa editrice Adelphi in un volumetto
della Biblioteca minima intitolato “Un po’ di compassione”,
a cura Marco Rispoli.
Il testo ha il valore di una preziosa testimonianza e al tempo
stesso di una intensa riflessione morale. Rosa non chiede
consolazione, ma, al contrario, si preoccupa essa stessa di
confortare l’amica, rivelandole anzitutto un sentimento di
gioia interiore incomprensibile e sconosciuto, che a tratti la
invade mentre giace “tra nere lenzuola di oscurità, di noia
e di prigionia invernale”. Interrogandosi sul motivo segreto
di tanta gioia, Rosa confessa di immaginarlo racchiuso nella
vita stessa e nelle sue incantevoli manifestazioni: “[…] la
profonda oscurità della notte è bella e soffice come il velluto
e anche nello stridere della ghiaia umida sotto i passi lenti e
pesanti della guardia risuona un canto di vita piccolo e bello,
se solo ci si presta orecchio. […] Sonička, passerotto mio, vorrei
donarti un po’ della mia inesauribile letizia interiore, così da
poter essere serena riguardo a te, sapendo che attraversi la
vita avvolta da un mantello di stelle che ti protegge da tutto
ciò che è meschino, volgare e angosciante”.
Ma il cuore della lettera è costituito dalla breve narrazione di
un episodio accaduto pochi giorni prima nel cortile del carcere,
una scena che ha lasciato una piaga profonda nell’anima di
Rosa. Un carro enorme, trainato da bufali rumeni, animali
abituati alla libertà che i soldati hanno catturato e domato
e trasformato in bestie da soma; un carro pieno di sacchi,
accatastati a una altezza tale, che gli animali non riescono a
varcare la soglia della porta carraia. Uno dei conducenti, un
tipo brutale, inizia a percuotere selvaggiamente i bufali col
grosso manico della frusta.
La loro pelle, dura e resistente, si lacera e uno degli animali
comincia a sanguinare copiosamente. Durante le operazioni
di scarico, i bufali restano immobili, esausti; quello
sanguinante guarda fisso davanti a sé e nel muso nero,
negli occhi scuri e mansueti ha l’espressione di un bambino
che sia stato duramente punito senza capire il perché.
“Gli stavo davanti e l’animale mi guardava, mi scesero le
lacrime – erano le sue lacrime; per il fratello più amato non si
potrebbe tremare più dolorosamente di quanto non tremassi
io, inerme davanti a quella muta sofferenza. Mio povero,
amato fratello, ce ne stiamo qui entrambi, impotenti e torpidi,
e siamo una cosa sola nel dolore, nella stanchezza e nella
nostalgia della libertà”.
Nell’incontro fortuito, nell’immediatezza della relazione
empatica che lega la detenuta all’animale ferito leggiamo
non soltanto una vicolo profondo e naturale di solidarietà tra
le creature, ma anche una forma di resistenza, una risposta
alla violenza e alla barbarie degli umani.
Come in quegli anni lontani e terribili, anche per noi oggi non può esserci compito più nobile e urgente che immaginare un cammino di salvezza comune per uomini e animali e per tutta l’innumerevole famiglia dei viventi.
I BUFALI DI ROSA
Sono una formica. Ma non sono indaffarata a trasportare cibo alla
colonia, sono sola in un angolo buio. E mi trovo in un ambiente
chiuso ma enorme. Dall’alto filtra una sottile lama di luce, ma
non vedo colori. Sono sopra una sporgenza, in una di quelle
ambientazioni surreali di Guerre Stellari dove si aprono porte che
danno su precipizi assurdi. Un film in bianco e nero e sono una
principessa. Una principessa Leila, formica. E non c’è nessuno. E
quello che mi spaventa di più non è lo strapiombo di sotto, ma
l’altezza incredibile che mi sovrasta ed è come se tutta quest’aria
mi pesasse sulla testa, come se la forza di gravità fosse maggiore
di quella che è nella realtà, senza regole della fisica, senza un
senso concreto.
Ho impiegato molti anni e molto coraggio a rappresentare questa
angoscia che da piccola mi opprimeva e mi destava all’improvviso.
Ancora non sono sicura di riuscire a descriverla davvero.
Un frammento del passato resta confuso in quello spazio e non
riesce a prendere forma. Ora sono fuori e il mondo mi spaventa
sempre di più. Ho trovato la mia colonia? Il dubbio rimane, anche
se a fianco ho il mio Sky Walker, e riaffiora il ricordo della paura
nei momenti di sconforto. Continuo a camminare ora che sono
all’aperto. Ci vuole molto coraggio ad affrontare il cammino della
vita, ma la direzione giusta guarda sempre verso uno spazio
aperto, libero. Mi scopro intollerante verso ogni costrizione, verso
ogni forma di prigionia, struttura rigida o conformismo. Divento
impulsiva, irresponsabile, irriverente, ma in fondo sono una
formica, cosa potete aspettarvi da me? Molte briciole che tento di
trasportare mi cadono lungo la strada, il percorso è accidentato,
a volte mi sembra di non farcela proprio, a volte il viaggio è così
interessante che mi chiedo se poi è così importante arrivare... ed
a quel punto mi perdo. Non smetterò mai di pormi domande, non
ho certezze o convinzioni. Anche gli altri animali mi guardano
perplessi, specie quelli grossi che non possono uscire dalle
gabbie. Mi guarda anche il canarino e mi rattrista immensamente
il senso di impotenza e di inutilità che mi pervade nel non riuscire
a liberarlo. L’elefante nel circo che continua a dondolarsi sull’orlo
della pazzia per quella prigionia non meritata. La giraffa che non
ha mai conosciuto la savana per soddisfare la curiosità di altri
animali che si dicono più intelligenti. Anche loro hanno paura. Che
senso ha la paura se ci è preclusa ogni possibilità di fuga, mi chiedo.
E questo è un dolore grandissimo, una domanda senza risposta,
un’ombra che oscura ogni giornata, anche la più luminosa, quando
il sole ci regala la vita al massimo del suo splendore in una natura
che urla e reclama rispetto e devozione.
Sono una formica e pochi altri sono così vicini al cuore della terra;
ho bisogno di scavare per formare i cunicoli del mio formicaio.
Per gli altri è cosa da poco, per me, invece, è davvero un opera
grandiosa. Ci lavoro una vita per crearmi uno spazio, combatto
per guadagnarmi un briciolo di considerazione, anche se le mie
dimensioni sono microscopiche. Il mio cuore minuscolo ha un
ritmo che si unisce al ritmo immenso della vita in una melodia
universale, e mi fa gioire, mi strappa un sorriso, una lacrima di
speranza. Un ritmo musicale che unisce ed è un dono splendido
che sa alleviare la sofferenza di esistere.
Allora provo a sognare, dove le regole si infrangono senza rimorsi,
dove i confini si dilatano senza pericoli. Si sogna attraverso l’arte,
la letteratura, la poesia e si prova a stare in ascolto. Si osserva,
si annusa, si assapora, ci si abbandona al piacere dell’amore,
delle grandi passioni, delle piccole, di quelle minuscole che in
apparenza non hanno alcun peso, ma che in fondo, attraverso il
coraggio di aprirsi ad esse, scolpiscono la nostra anima.
SONO UNA FORMICA
L’ANIMALE CHE MI PORTO DENTRO
Una folata di vento quasi mi strappa il foulard
di dosso. Lo recupero infastidita alzando gli
occhi oltre i due metri di asfalto davanti a me.
Un uomo dal portamento elegante, vestito di
nero, incede con ampie falcate in direzione
opposta alla mia.
Indossa un soprabito aperto dal bavero rialzato. Gli orli svolazzano
disegnandogli un’aura d’ombre tutto attorno.
Registro veloce il suo aspetto mentre il mio sguardo è attirato
dall’animale che tiene al guinzaglio. Il mantello è nero e lucido.
È di grossa taglia. Se fosse un cane non si muoverebbe in quel
modo sinuoso. Se fosse un cane non farebbe ondeggiare le esse
della coda così in alto, dietro le proprie spalle. Gli occhi di un cane
non brillano al buio.
Mi stanno raggiungendo.
La sagoma dell’animale si fa via via più definita.
La visione ha dell’incredibile.
Alzo gli occhi e fisso il volto dell’uomo. All’inizio vedo solo l’ovale
chiaro della pelle, i punti scuri degli occhi, la linea sottile delle
labbra. Ma passo dopo passo mi è sempre più chiara l’espressione
severa, indispettita. I capelli sono scuri e trasandati, li ha lasciati
crescere troppo senza curarsene, li ha pettinati all’indietro forse
questa mattina, ora si sono liberati dal gel e si arricciano in onde
casuali scomposte dal vento. Il viso ha lineamenti puliti, ma il
velo di occhiaie sotto gli occhi castani dai contorni affilati lascia
immaginare che abbia già superato i quaranta. Il suo aspetto è
quello di un ragazzo ribelle, un po’ sciupato, un po’ invecchiato
forse, ma in fondo ancor più bello perché dannato.
Dalla manica del soprabito spunta una mano dalle lunghe dita
inanellate poggiate sul cappio di cuoio del guinzaglio, una breve
catena prosegue fino a un collare scintillante attorno al collo
possente dell’animale.
Mi domando come mai, dietro e davanti a me, gli altri pedoni sul
ponte non facciano caso a una coppia formata da un uomo e una
pantera. Ma così è: nessuno li sta notando.
Estratto da
Ogd, ovvero il lato B di ogni cosa
l’ultimo romanzo
di Anna Giraldo
NESSUNO NOTA LA PANTERA
di Anna Giraldo
di Elisa Sivieri
Qualche anno fa, quando ancora facevo l’archeologo,
mi capitò di trovare in uno scavo alcune sepolture
protostoriche che non avevo mai visto prima. Erano in
terracotta grezza e avevano una forma ellittica lunga e
stretta ma apparivano evidenti per tutta la lunghezza
anche delle scanalature. Una volta scavate e pulite
adeguatamente, divenne evidente che riproducevano un
bozzolo.
Lo stupore che ebbi allora, lo porto ancora dentro, insieme
a quel rispetto per il mondo naturale che l’uomo, fin da
tempi antichissimi, ha tentato di avere con ciò che lo
circondava.
Il bozzolo, infatti, rappresenta il primo stadio larvale
dell’evoluzione che il bruco svolge per diventare farfalla e
simboleggia il ciclo continuo di rinascita dopo la morte.
Questo ciclo continuo, questo senso di rinascita, questa
farfalla è quello che dobbiamo recuperare oggi, quell’unione
di opposti che significa equilibrio ed armonia senza
dimenticare, come scriveva il poeta RabindranathTagore
che “La farfalla non conta gli anni ma gli istanti: per questo
il suo breve tempo le basta”.
Deboli raggi di luce filtrano dalla finestra socchiusa. E’ quasi
l’alba e una nuova giornata sta per iniziare.
Ho ancora gli occhi socchiusi ma sono vigile e attento,
mentre mi “stiracchio” le membra penso a tutto quello che
mi troverò ad affrontare, mai e poi mai avrei pensato che la
mia vita sarebbe stata così monotona e priva di avventure.
Ricordo quando ero piccolo, ma non ricordo la mia mamma,
la vidi solo per pochi minuti, ci separarono troppo presto e
di lei non seppi più nulla... passarono così tanti giorni, tutti
uguali, sempre chiuso in quella grande casa, non ero certo da
solo e qualche volta ho anche giocato con i miei amici.
Ma l’erba, la terra ed il sole non sono mai stati il mio mondo...
li vedevo solo da quella finestra.
Ora non sono più piccolo, sono cresciuto ed ho una gran
forza ma continuo a stare qui, nel solito posto, passo le mie
giornate a mangiare e dormire. Basta. Non faccio altro.
Ecco, sento dei passi, è proprio lui, mi viene vicino e con il
lungo bastone mi tocca sul fianco, mi sposto di lato e un pò
impaurito inizio a correre, corro insieme ai miei amici verso
quel grande portone, mi arrampico su per quella salita e
dopo un attimo ci ritroviamo tutti stretti gli uni agli altri in
una prigione di ferro...
Si muove e un fragoroso rumore mi perfora la mente. Ho
paura.
Devo riuscire a scappare, sfondare quelle pareti di ferro e
vivere correndo sull’erba. Mi piace pensare che nonostante
tutto ci riuscirò.
Paolo Gavioli
NONOSTANTE TUTTO CI RIUSCIRÒ
Se navigate quotidianamente sul web, circa un mese fa vi sarete
imbattuti in una storia amara che ha rimbalzato nel mondo,
facendo trasalire le coscienze e insorgere numerose proteste: è
la storia di Marius, una giraffa di 18 mesi uccisa con un colpo di
pistola alla testa, nello zoo di Copenaghen per impedire al giovane
esemplare di riprodursi.
Si è letto in numerosi siti che la motivazione era il sovraffollamento
dello zoo, una motivazione vaga che ha prodotto sconcerto,
rabbia, numerosi dibattiti e poche risposte. Quando una notizia
fa così tanto rumore, è difficile ricostruire una versione obiettiva
della storia, anche perché internet, e soprattutto i social network,
ci bombardano ogni giorno di notizie flash, che per mancanza
di tempo ci facciamo bastare, ma queste spesso mirano più a
sconvolgere la massa che a offrire un’informazione fedele ed
esaustiva.
Ho letto numerosi articoli sull’argomento, non per cercare una
giustificazione a difesa dei direttori dello zoo, ma per scoprire
ciò che sta dietro al fatto in sè, che spesso è solo la punta
dell’iceberg, espressione di un problema molto più complesso
e difficile da svelare chiaramente e risolvere. È un sistema che
utilizza spesso la televisione, soprattutto quando si parla di
politica, per focalizzare l’attenzione del pubblico su un certo fatto,
creare molto rumore su di esso, in modo da distrarre da tutto ciò
che sta intorno, che spesso è molto più grave.
Insomma, ciò che mi sono chiesta è: se lo zoo di Copenaghen
avesse accettato di vendere Marius a un altro zoo, la storia sarebbe
stata a lieto fine e avremmo vissuto felici e contenti?
Marius era nato da due parenti stretti e se si fosse riprodotto con
altre giraffe avrebbe portato a una nuova generazione più debole.
E anche per questo motivo non era possibile affidare l’animale
a un altro zoo. I responsabili dello zoo hanno spiegato che non
usano sistemi contraccettivi perché essi comportano numerosi
effetti collaterali che peggiorano le condizioni di vita degli animali.
Il corpo è stato poi sezionato di fronte ai visitatori, anche bambini,
in una macabra lezione di anatomia. Alla fine dello “spettacolo”
i resti della giraffa sono stati utilizzati come cibo per leoni e altri
carnivori.
La mentalità di numerosi paesi nord europei, peraltro spesso
indicati come antesignani dei valori civili, è completamente
diversa da quella latina che ci appartiene.
La giraffa, che tutti i bambini possiedono nel loro corredo di
peluche, con quei grandi occhi dolci, quelle lunghe orecchie a
fiamma, quell’eleganza nell’incedere lento e meditativo su zoccoli
che sembrano intarsiati da un fine artigiano, quei cornetti che
spuntano su un collo che svetta nel cielo, è un animale intoccabile
per bambini e adulti. Hai voglia sostenere che un “brutto” facocero
o una “brutta” iena hanno la stessa valenza biologica di una
giraffa.
La realtà è che l’immagine di certi animali (l’orso, il panda, il lupo,
l’elefante, il delfino) è molto più attrattiva di altre specie che
meriterebbero eguale interesse ma risultano, ai nostri occhi molto
più brutte (il facocero, il pipistrello, la iena, il ratto, il cammello), per
stare sui mammiferi.
Francesca Battisti
http://www.ilpost.it/2014/02/10/giraffa-marius-uccisa-zoo-copenaghen/
L’AMARA STORIADELLA GIRAFFA MARIUS:
QUAL ÈLA VOSTRA OPINIONE?
QUALCOSA SU CUI RIFLETTERE
di Francesco Dugoni
05
piazza Sordello, 43 • MANTOVAinfo 0376 229 694
L’animale che è in te evoca qualcosa di primitivo...
Esiste un uomo primitivo dal punto di vista energetico?
A leggere il libro “La società no Oil” di F. Orecchini e V. Naso si
direbbe proprio di sì. Gli autori infatti sostengono che l’approccio
dell’uomo nei confronti dell’energia è ancora primitivo,
animalesco insomma. In che senso? Nel senso che l’uomo
primitivo, come gli animali, non conosceva l’arte di allevare e
coltivare.
Così mangiava e consumava per poi trovare nuovi territori da cui
trarre sostentamento. Ecco, anche l’homo “energetico” dei nostri
giorni ha il medesimo approccio: scava pozzi, estrae, combina
guai ambientali a gogo e poi via verso altri lidi, pardon pozzi...
Secondo i succitati autori quindi, seguendo
l’evoluzione dell’uomo primitivo, che
in seguito scoprirà l’arte del coltivare,
conservare i cibi (ovvero la fonte energetica)
e allevare, anche l’homo “energetico” dovrà
salire questa scala evolutiva imparando
sempre più a “coltivare” l’energia (vedi
ad esempio le biomasse) e a conservare
l’energia (es. ricorrendo all’idrogeno o alle
batterie più evolute o nel ricaricare i bacini
di impianti idroelettrici, ecc..).
Quando questa evoluzione? Certo non
siamo all’anno zero, ma c’è ancora molto da fare se pensiamo
alla forte sudditanza da fonti tradizionali (gas, petrolio e carbone)
alla quale siamo ancora soggetti e che si ripercuote su intere
popolazioni vittime di questo neo colonialismo energetico.
Anche la geopolitica, i rapporti di forza tra le nazioni, è fortemente
condizionata dalle risorse energetiche che in sostanza dividono il
mondo in due aree distinte: chi le possiede e chi no.
Non è solo un dettaglio geologico. Possedere questi beni primari
significa assegnare grandi poteri ai Putin della situazione, ai
quali possiamo solo belare qualche lamento (Ucraina, vi dice
qualcosa…?) per essere poi investiti dal loro ruggito: “Lo vuoi il
mio gas? Lo vuoi il mio petrolio?...”
E l’animale che c’è in noi diventa infine un pesce, silenzioso,
molto silenzioso…
HOMO “ENERGETICO”
Shoo
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PH. MATTEO ZANI
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LOCATION: “CORTE FURIA” SERRAMAZZONI (MO)
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PH. GIULIA GALEOTTI
Non mi dispiace di chi dice di trovarsi meglio con gli animali.
Non mi dispiace di chi dice che le vere bestie sono gli uomini
quando si aggravano delle azioni più crude e malvagie di
questo mondo.
Non mi dispiace di chi dice che quello degli animali, è un amore
vero, puro e incondizionato.
Ma io non posso esprimere i miei sentimenti ad un cane.
Non posso andare a letto con un pellicano, una trota o un
canguro.
Ho bisogno di una compagna femmina umana.
(Per tirare fuori l’animale che c’è in te, quando sei con lei, ecco!)
Quanti animali sei con Lei?
Quanti animali sei con Lui?
Che animali siamo, invece, quando siamo soli?
Berg.ART©2014
PER ORGANIZZARE EVENTI IN COLLABORAZIONE
Conservo con cura
l’animale che c’è in me.
Quello che sente il temporale arrivare,
che vive defilato e attacca solo se
azzannato.
Conservo con cura la sua forza,
nascosta dietro le sue esili forme.
Lui che non ha paura
della morte, lui che difende chi ama
a costo della vita.
Lui si stende con me al sole
per prendere la luce
quando arriva l’estate.
Annusa le nuvole e assaggia la pioggia.
Avviluppato al battito della Natura.
L’animale che c’è in me
è vecchio e saggio
è giovane e vitale
è leggero e possente
è fragile e fiero.
È migliore di me e per questo
lo custodisco nel profondo del mio cuore
e non lascio che il mondo di questi umani
lo possa toccare.
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La sala al piano superiore del Tatanka è ancora nella penombra ma
tutto d’un tratto si accendono le luci. È già partita la musica e sale
in un continuo crescendo, l’atmosfera si scalda... Che la festa abbia
inizio! Sono le 21,00 e gli amici continuano ad arrivare accolti da un
“punto nero gigante” che verifica i biglietti di ingresso, mentre lo
sguardo cade sul tavolo della magia dove il cartomante mascherato
”Tavolestrette” e la sua assistente si preparano a predirci il futuro
davanti alla bocca della verità. I tarocchi sono una vera attrazione di
successo. L’atmosfera è coinvolgente e intrigante...
Non hai una maschera? Non ha importanza, per te c’è Lisa, la deliziosa
truccatrice pronta a trasformarti nel personaggio che nascondi sotto
la pelle... mentre appaiono poco alla volta i costumi dei nostri invitati,
così simpatici e curiosi da far invidia a quelli del carnevale di Venezia.
Nel frattempo Marco Carpani e il suo gruppo “Marco Carpani Rock
Quartet” si esibiscono in acustico con brani musicali raffinati Rock-
Blues perfetti per la serata, riproponendo grandi classici di Eric
Clapton, Gary Moore, Santana, Sting, Jimy Hendrix e Beatles. (Marco
insegna chitarra elettrica e acustica alla Scuola di Musica dell’Oltrepò
Mantovano ed è presente su Facebook digitando “Marco Carpani
Rock Quartet”).
Ottimo padrone di casa Pich arriva sorridente con grandi vassoi
stracolmi di “stuzzichini”, il barman Spumeggiante è a completa
disposizione e inizia l’aperitivo. Le maschere sono il punto centrale
e nevralgico della festa e vengono votate sia da tutti gli invitati che
dalla giuria che decreterà i vincitori dei premi messi in palio.
L’ambiente è gioioso e festaiolo, non mancano coriandoli e stelle
filanti, il buffèt a base di primi piatti ricchi e gustosi è così servito.
Dopo l’esibizione dancing fitness offerta dal gruppo Jezzercise, la
sfilata con presentazione delle maschere e la premiazione in grande
stile con i premi offerti dai nostri sponsor, ci si scatena fino a tardi al
ritmo della selezione electro-disco di Dj Dambo.
Stupenda serata, fantastici amici e impagabili ospiti, cosa dire di
più? Grazie. Grazie di cuore a chi ha partecipato, senza tutti voi non
sarebbe stata la stessa cosa!
Arrivederci dunque al prossimo evento.
La redazione TuttoQui&dintorni
È QuI LA FESTA!
Timore. Tremore. Sudore. Freddo. Sudore freddo. Il freddo
atmosferico dell’aria sottile di montagna in realtà è piuttosto
sopportabile. Il freddo dovuto all’eccessiva sudorazione invece
si rivela alquanto fastidioso. Lentamente elimino dal mio corpo
quella sgradevolissima sensazione iniziando a spogliarmi per
vestirmi di nuovi indumenti. Sconosciuti, poco intimi. Diversi.
Altri. Lentamente la sensazione di freddo-bagnato si discioglie
come un colpo di spazzola, elimina nodi tra capelli indisciplinati.
E questi miei capelli così maltrattati e poco avvezzi a coccole e
carinerie chiedono davvero parecchi colpi di spazzola. Il latente
tremore, guardingo, si fa vincere dalle lusinghe di un morbido
e pastoso rossetto color rubino, facendosi così mollemente
accarezzare la pelle del viso da tocchi rapidi e sapienti. Eppure,
come la bestia selvatica che non abbandona mai il suo timore
e i sensi le rimangono costantemente allertati alla fuga, così il
suono dolce di quella parola così strana alle mie orecchie non
riesce a vincermi, a farmi sua.
“Come sei bella”.
Bella risuona di note sconosciute, di vibrazioni mai prima
incontrate. Provate. Eppure così sembra. Eppure l’animale libero
stenta a farsi lisciare il pelo, a farsi sfiorare con gentilezza anche
da mani amiche. Eppure, sebbene per un attimo si conceda,
l’istante che segue è già nascosto nella penombra della sua
tana, schermandosi da tanta luce che lo rende vulnerabile. Nel
suo giaciglio tenta di ripetere a se stesso quella bizzarra parola:
ne pronuncia lentamente le lettere, soffermandosi su quelle due
elle così molli. Così scivolose.
Bella, così sembro. Così mi dicono. Non riesco a convincermene,
e il riso non trova spazio scoppiando su un volto che con un
grande sforzo accenna a qualche minimo, lieve sorriso. Gli
angoli della bocca impercettibilmente si alzano, ma gli occhi
rimangono fermi, scuri e fissi. La bestia, nel nero della sua pupilla
espansa nasconde e protegge tutto il suo essere, la sua natura.
PH Stefano Baggio
“COME SEI BELLA”
&tavoleSTRETTE
IL CONIGLIO
STERILEFare festa come matti
senza badar a possibili misfatti
rende il maschio bricconcello
e la femmina rapace
di ogni ardita acrobazia
è capace...
&tavoleSTRETTE
LA COZZAHai provato con il trucco
pure con un bel parrucco
ma se un mago del mestiere
non vuoi incontrare
resti sempre una cozza
e ti devi rassegnare!
SPECIALE CARTA DI BELLEZZA
&tavoleSTRETTE
LA CIMICE “ARBALTADA”La tua immagine vacillaa nulla vale interrogare la Sibilla.Se la panza tua borbottae con peto vuoi sfiatarefai attenzione al movimentoo nei guai finirai in un momento.&ta
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ETTE
LA BESTIA
&tavoleSTRETTE
“GUGET NEGAR”
Per piacere, almeno per stasera
la tua vera natura non darla a vedere
anche se è carnevale un pò di decenza
nel gestire tutta questa esuberanza
devi avere un pò di pazienza.
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INVIATI MOLTO SPECIALI
“LE PERSONE STRAVAGANTI VENGONO INEVITABILMENTE CALAMITATE DA ESSERI ALTRETTANTO STRAVAGANTI”
(Gandhi)
Passeggiavo per il mio bellissimo
giardino, quello che d’inverno si macchia
di merli neri e pettirossi color del mattone,
e d’estate di azzurro per via dei martin
pescatore e delle ghiandaie... ma quel
giorno, là in fondo, sotto la chioma ancora
spoglia e appena verde dei noccioli c’era
un uccellaccio davvero inconsueto: una
pavona.
Stupore, timore, ammirazione, felicità.
La LIPU, al telefono, mi chiede di assicurarmi che stia bene:
nessuna ala storta, in effetti, nessuna piuma arruffata, nessun
sintomo di ferite. Ma quanta bellezza!
“La tenga lì fin che può, signora”, mi disse.
“La ammirerò qui da me fino a che potrò”, risposi, “lei che ha le
ali vada pure dove le pare”.
Da quel giorno ogni mattina, appena sveglia, buttavo l’occhio
per vedere se ancora avrei avuto il piacere di scorgerla, ed ogni
mattina era lì.
Per oltre dieci anni.
Col tempo mi spiegarono l’onore che avevo avuto: quella
pavona, animale da colonia profondamente legato al suo
territorio di nascita, aveva evidentemente voluto cambiare vita
e per farlo, fra tanti tetti, alberi e giardini aveva scelto il mio
tetto, i miei alberi ed il mio giardino.
Un giorno, tornando da quello che fu il mio vecchio mestiere,
la vidi appollaiata sul vecchio divano, quello che da sempre
faceva da cuccia ai cani: sembrava un’enorme gallinaccio
abbronzato dal sole e dal tempo, con una ridicola coroncina
posticcia a ricordare a chi sorrideva che si trattava di molto
più di una semplice gallina. E ho pensato: “Ma guardala lì, la
pavona, che dorme sul sofà!”
Da allora sono cambiate davvero tante cose. E anch’ io.
Anch’ io ho avuto la forza di lasciare la mia colonia d’origine,
il coraggio di staccarmi dal mio territorio di nascita, la voglia
di trovare nuove energie sotto un altro tetto, guardano nuovi
alberi e respirando un verde diverso.
E così come quella pavona aveva scelto me per cambiare la
sua vita, io, rendendole l’omaggio, ho scelto lei per reinventare
la mia.
Clara Zaniwww.lapavona.blogspot.it
10
In alcune culture vige la convinzione che mangiando o curandosi
con parti di determinati animali, si possano assumere le
caratteristiche di forza, furbizia o coraggio. Queste credenze
hanno contribuito alla caccia indiscriminata di alcuni animali,
inseguendo questi falsi miti. Noi preferiamo rievocare la forma
dell’animale, lasciando in pace specie a rischio e rivolgendoci a
ingredienti del territorio.
Ci siamo quindi divertiti a sagomare dei “maki” (rotolini di sushi)
in forma di tigre, drago e bruco. Questi maki sono quasi del tutto
assenti in Giappone e appartengono ai cosiddetti “western style”,
ossia “nascondono” l’alga al loro interno (uramaki o inside-
out). Il dragon roll in particolare è caratterizzato dalla presenza
dell’anguilla cotta alla piastra, e mi piace l’idea di far incontrare
ingredienti tipici della gastronomia mantovana come il riso e
l’anguilla, con la preparazione del sushi, un’arte orientale dalle
regole precise e rigorose: una bella contaminazione!
Certo, sappiamo che il riso utilizzato per il sushi non è esattamente
il vialone o il carnaroli, ma se amate il km zero potete comunque
rivolgervi verso l’acquisto di un riso “originario”.
Il gusto del sushi si deve in buona parte alla marinatura del riso;
la giusta proporzione di aceto di riso, zucchero e sale conferisce
un contrasto di sapori tipico della cucina asiatica, dove il dolce,
l’acidulo e il salato si incontrano per esaltare il gusto. Le verdure,
crude o appena scottate, e talvolta il pesce, completano il
bocconcino, rendendo il sushi un pasto tanto gustoso quanto
leggero.
Come i bambini amano quando si presenta loro il cibo sotto forma
di gioco (il pomodorino e la mozzarellina che formano il funghetto,
il topolino formato con la pera, le barchette di verdura), anche noi
“bambini grandi” ci divertiamo, soprattutto se la presentazione è
elegante e divertente.
In fondo mangiare un drago è un’esperienza unica.
PS. L’arte culinaria giapponese è tanto affascinante quanto
complessa; non ce ne vogliano i lettori se abbiamo lanciato
qualche riferimento qua e là, e se ci siamo azzardati a preparare
il sushi senza aver fatto il percorso didattico decennale che
affrontano i Shokunin (maestri di sushi). Ogni tanto ci piace
sbirciare nelle cucine degli altri, cercando di documentarci il più
possibile, anche per ampliare i nostri orizzonti (non solo culinari).
Le ricette per preparare questi roll animaleschi, le trovate su
www.acquaementa.com
SPORT
liBEROtempo
Vi presentiamo Guus e Justine.
Due persone che chiunque abbia avuto il piacere di incontrare non
può che apprezzare per la loro semplicità, la loro simpatia e la loro
spontaneità. Insieme gestiscono La Baizina, centro di equitazione a
Ponteventuno di Curtatone.
Lui Olandese, lei Inglese, si sono conosciuti in Italia dove la passione
per l’equitazione li ha portati. Una passione davvero grande che sanno
trasmettere agli allievi e con i quali condividono amore e rispetto per
il cavallo.
Qui infatti le attenzioni per il benessere animale non mancano
e magistralmente Guus e Justine sanno fondere regole di rigida
disciplina, fondamentale nel lavoro di preparazione di binomi sia nel
salto ostacoli che nel dressage, con momenti di meritata libertà per i
cavalli e di incontro e condivisione per cavalieri e amazzoni sia adulti
che bambini.
Cerchiamo di conoscerli meglio con qualche domanda:
TuttoQui: A che età sei salito in sella la prima volta?
Guus: A 12 anni, dopo tre cadute nella prima lezione non ho più
smesso (di andare a cavallo e... nemmeno con le cadute!) :-)
Justine: A 3 anni!
T.Qui: Come e quando è diventato un lavoro?
Guus: Mentre andavo a scuola (istituto agrario) ho fatto degli stage
in una azienda agricola che era anche un allevamento di cavalli con
maneggio. Dopo qualche mese ci sono tornato per lavorare.
Justine: A 21 anni quando sono arrivata in Italia e ho trovato lavoro
come groom.
TuttoQui: Sappiamo che quando si è una coppia nella vita non è
sempre facile andare d’accordo nella gestione di un’attività lavorativa.
Voi due come vi siete divisi i ruoli?
Guus: Da 23 anni viviamo e lavoriamo insieme: un lungo periodo
spiega già che delle grosse difficoltà non le abbiamo trovate. Justine
ha più in mano la gestione della scuderia e la cura dei cavalli e io
gestisco più il lavoro di allenamento sia dei cavalli che dei cavalieri.
L’importante è avere il rispetto per l’altro, lasciare la libertà di lavorare
e suddividersi le responsabilità!
Justine: Guus fa l’istruttore e insieme addestriamo i cavalli e li
prepariamo per le gare.
TuttoQui: Che cosa ami del tuo lavoro e che cosa non ti piace.
Guus: Lavoro sempre con piacere perché il mio lavoro è nato dalla mia
passione. Mi piace lavorare con i cavalli e con le persone. Quello che
piace meno è che sono reperibile h 24 e 7 giorni su 7!
Justine: Amo il mio lavoro perchè è la mia passione e sono sempre in
mezzo alla natura. Però, come dice Guus, bisogna lavorare sette giorni
alla settimana...
TuttoQui: Qual è o qual è stato il cavallo della tua vita?
Guus: I cavalli lasciano tutti un segno! Forse la più importante è stata
Jahne, una cavalla Italiana con cui ho vinto due campionati Italiani di
giovani cavalli e due partecipazione ai mondiali. Una cavalla che mi
ha trasmesso molte emozioni per il suo carattere e la sua volontà di
collaborare.
Justine: Ce ne sono stati due: Domicilli, un regalo da parte di mio
marito all’inizio degli anni 90, con cui facevo salto ostacoli (ho vinto
tanto con lei); il secondo è stato uno stallone spagnolo di 3 anni che
avevamo in addestramento. Con lui ho vinto molti trofei nel dressage.
ANIMAL SUSHI O... L’ANIMALE NEL PIATTO!
TuttoQui: L’equitazione è uno sport per tutti o sono necessarie delle
doti particolari?
Guus: L’equitazione è uno sport per tutti, l’importante è sapere cosa si
vuole fare con il cavallo e conoscere i propri limiti perchè l’agonismo
non è per tutti.
Justine: Le doti fondamentali per praticare equitazione sono la grande
passione e la capacità di saper comunicare con il cavallo.
Cavallo e cavaliere devono formare un binomio.
TuttoQui: Dai un consiglio ad un giovanissimo che si vuole avvicinare
al mondo dell’equitazione.
Guus: Imparare in un posto dove ti fanno soprattutto divertire con il
cavallo o il pony e dove l’agonismo non è un obbligo.
Justine: Per iniziare bisogna giocare molto e conoscere bene il proprio
animale in modo da instaurare un buon rapporto di confidenza.
TuttoQui: In una scala da uno a dieci dai un valore alla tecnica ed
uno alla sensibilità necessarie per montare a cavallo ed ottenere dei
risultati.
Guus: Sarebbe bello avere 10 per entrambi ma sappiamo che non è
possibile. Se devo proprio dare un valore direi 7/8 per la sensibilità
e 6 per la tecnica. Perché la tecnica si può imparare, la sensibilità ce
l’hai o no.
Justine: Per la tecnica 6/7 e 7/8 per la sensibilità. Come risultati
intendo il “feeling” che si ha con il cavallo, una volta conquistato
quello, i risultati in gara vengono da soli.
TuttoQui: A cavallo in cosa sono migliori le donne e in cosa gli uomini.
Guus: L’equitazione è, come sappiamo, uno sport dove uomo e donna
gareggiano a pari livello. Il grosso vantaggio della donna è di avere più
sensibilità. L’uomo forse è più determinato.
Justine: Dipende dalla persona stessa. Bisogna avere grinta, coraggio
e sensibilità... questione di “feeling”.
TuttoQui: Che differenze sostanziali noti tra il tuo paese di origine e
l’Italia nel modo di vivere l’equitazione.
Guus: Nel mio paese l’equitazione è quasi uno sport popolare e
il cavallo, anche quello sportivo, ha più possibilità di vivere come
cavallo, cioè più all’aria aperta, quasi come in natura.
D’altra parte il cavallo in Olanda è diventato anche un importante
soggetto (scusa la parola) di commercio.
Justine: La maggior parte dei cavalli nel mio paese vive la loro vita
in grandi prati con altri cavalli. Mentre parecchi maneggi qui in Italia
tengono i cavalli rinchiusi in box. :-(
TuttoQui: Giusto per restare in tema con questo numero di TuttoQui se
doveste trasformarvi in un animale cosa preferireste e perché...
Guus: Non vorrei trasformarmi in un animale perché non potrei più
decidere per me stesso. Se
proprio devo, scelgo il cane
visto che viene chiamato
il miglior amico dell’uomo.
Comunque dipende sempre
dal luogo dove la fortuna ti fa
nascere.
Justine: Se dovessi diventare
un animale vorrei essere un
gatto, che mangia e dorme
tutto il giorno!
CANE & GATTO... A CAVALLO!
Possiamo dire che il cibo sia il vero protagonista di questi anni: dai
programmi televisivi all’editoria, la cucina è entrata di prepotenza
nel quotidiano di tutti noi. A questo si è accompagnato un fiorire
di corsi, tutorial e guide che cercano di accontentare tutti: dagli
aspiranti chef a quelli che faticano a cucinarsi un uovo, ai cake-
designers.
La gastronomia però non è solo cucina, ma anche conoscenza
delle materie prime, dei materiali di pentole e utensili, dei modi di
cottura e preparazione.
Per aiutarci a formare la nostra cultura gastronomica, il Centro
Casalinghi dal Toscano di Virgilio (Mn) organizza ormai da
alcuni anni corsi di cucina gratuiti che affrontano ogni volta un
argomento diverso: strumenti, metodi di cottura, alimenti, ecc...
Lo scopo è quello di creare consapevolezza nei clienti del
negozio attraverso l’esperienza diretta di minicorsi di cucina (ma
non solo) che danno la possibilità di toccare con mano quanto
viene presentato. L’idea di base è che la conoscenza aiuta nella
scelta del prodotto più adatto ad ognuno di noi, aiutandoci a
valutare le diverse offerte disponibili sul mercato.
I corsi sono tenuti in genere da chef come Gianfranco Allari delle
Tamerici, Elisabetta Arcari di Peccati di Gola e, occasionalmente,
da cuochi noti come Claudio Menconi e Simone Rugiati.
I corsi coprono tutto l’anno e l’unico impegno richiesto ai
frequentatori è l’iscrizione gratuita sul sito www.daltoscano.com
e di segnalare l’eventuale rinuncia dopo l’iscrizione, allo scopo
di dare ad altri la possibilità di sostituirli, essendo i posti limitati.
Se volete saperne di più, visitate il sito www.daltoscano.com
oppure il blog Acqua&Menta (www.acquaementa.com/eventi)
dove potrete trovare i resoconti di tutti gli eventi passati.
CALENDARIO CORSI DAL TOSCANO PRIMO SEMESTRE 2014
Sabato 15/03 15:30 In cucina con Elisabetta
Domenica 16/03 15:30 San Martino: una buona storia
Sabato 22/03 15:30 Buono, sano e veloce
Sabato 29/03 15:30 Tescoma Deco Tour
Mercoledì 02/04 17:30 In cucina con Elisabetta
Sabato 05/04 15:30 KitchenAid
Giovedì 24/04 17:30 In cucina con Elisabetta
Sabato 10/05 15:30 Funny plates: piatti divertenti
Sabato 17/05 10:30 - 15:30 Lékué
Martedì 20/05 17:30 Salute e benessere con Ballarini
Sabato 24/05 15:30 La cucina efficace
Sabato 07/06 dalle 10.30 Sfida ai fornelli
Sabato 14/06 15:30 Festa brasiliana:
aspettando i mondiali
(Gli eventi potranno subire modifiche nella data o nei contenuti.)
CUCINANDO SI IMPARA
RINGRAZIAMO BATMAN PER LA SUA PERFORMANCE E ANDIAMO AVANTI
CON LO SPETTACOLO,ORA È IL MOMENTO DI WOLVERINE.
FORZA PUBBLICO FATEGLI UN GROSSO APPLAUSO.
WOW! SÌ!.TRA POCO LO SPEAKERDIRÀ IL MIO NOME.SONO EMOZIONATO,
NON STO PIÙ NELLA MASCHERA. DOPO QUESTA PROVA DI CORAGGIO
LA MIA POPOLARITÀ USCIRÀ DALL’ANONIMATO...
FORZA! FORZA!
OK! ABBIAMO ORA SUL PALCO...UN PERSONAGGIO NUOVO SI CHIAMAIL DISEGNATORE MASCHERATO...
PUBBLICO! LASCIO A VOI GIUDICARE!
SIETE CURIOSI DI SAPERE COME RIUSCIRÀ IL DISEGNATORE MASCHERATO A OTTENERE LA
POPOLARITÀ? E VOLETE SCOPRIRE TUTTI I COSPLAYER CHE HA CONOSCIUTO?
ALLORA VEDIAMOCI SU WWW.TAVOLESTRETTE.IT
THE G
AME D
OCTO
RING
A, L’A
SSIST
ENTE
DI
LINDA DAL PAN
A CURA DI
“The Night of the Rabbit” è una nuova
avventura grafica sviluppata della prolifica
Daedalic Entertainment, casa di produzione
tedesca nota al grande pubblico per titoli come
“A New Beginning” e che continua a regalarci
successi come la trilogia di “Deponia” rilasciata
poi il 13|11|2013 dalla Adventure Productions.
Il gioco è disponibile sia per Pc che
per Mac scaricabile da Stream e dall’AppStore
o acquistabile online. Il genere è quello
dell’avventura fantasy “punta e clicca” in terza
persona in lingua inglese ma con sottotitoli
disponibili in italiano. Il protagonista della storia
è Jerry Hazelnut che sogna di diventare un mago
e il suo sogno sembra diventare reale quando
incontra il Marchese de Hoto, un coniglio bianco
con un portamento molto regale che lo prenderà
come apprendista conducendolo nel mondo
di Boscoratto (Mousewood), abitato da curiosi
personaggi: animali del bosco, dalle sembianze
antropomorfe e abbigliati di tutto punto.
Jerry sembra essere predestinato a un grande compito; in cui scoprirà che la magia non è solo
fantasia, ma molto reale e dovrà affrontare le sue peggiori paure per salvare se stesso e tutti quelli che conosce da una forza malvagia che sta infettando il modo reale. La Daedalic Entertainment è famosa per attenersi allo stile classico delle avventure grafiche
riproponendolo con nuove storie e trame coinvolgenti.
La struttura è quella classica. L’avventura si sviluppa in enigmi che come al solito si possono risolvere
combinando oggetti nell’inventario o con determinate azioni.
L’interfaccia risulta funzionale e pratica; si parla del solito puntatore intelligente che mostra le azioni
possibili da fare sui diversi hotspot.
La forza di queste avventure si sa è nella grafica degli scenari e nella storia che deve coinvolgere, e in questo sicuramente il gioco non ha pecche o mancanze, con una grafica accattivante in cui i vari
oggetti sono perfettamente integrati.
Lo stile è il cartoon 2D che ricorda molto un libro di fiabe. La storia è coinvolgente, ricca di enigmi che
danno un bel da fare, ma che non sono per nulla forzati nè inseriti nel continuum. Un piccolo difetto
sono i filmati forse troppo semplici.
Nel gioco sono inoltre presenti diversi bonus ed extra che rendono l’avventura più interessante e
porteranno di certo a il giocatore a tornare e nel mondo di Jerry. In sintesi un’avventura basata su
solide basi classiche, ma che sicuramente si proietta in una nuova ottica.
Seguite il coniglio bianco attraverso il buco e lasciatevi guidare nell’avventura!
PH
: Dan
iele
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zzi
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f P
ho
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rap
hy
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: S
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& C
osp
lay
Qualcuno ha la più vaga idea di cosa significhi percorrere a
nuoto cento metri impiegandoci meno di un minuto, per l’esat-
tezza cinquantotto secondi e rotti? Significa addomesticare
l’acqua, farsela scivolare addosso inconsistente, penetrarla
come una lama tiepida il burro, barattare la fatica, masticare
il fiato, scandire le bracciate come un direttore d’orchestra il
tempo, significa confondere il tempo e renderlo inadeguato e
ridicolo. Questo fece Johnny Weissmuller il 9 luglio del 1922. E
fu il primo al mondo. In seguito si concesse quasi un centina-
io di altri record mondiali, medaglie olimpiche, titoli nazionali.
Niente male per uno nato a Timisoara, dove l’acqua quasi non
sapevano cosa fosse.
A fine carriera, ma ancora nel pieno delle sue brillanti funzioni
ormonali, mentre girava le Americhe firmando autografi, esi-
bendosi spavaldamente in assolate e gremite piscine, indos-
sando improbabili costumi da bagno, fu scoperto dalla Metro
Goldwin Mayer, prelevato, lasciato in mutande, attaccato a
due mani ad una liana e piazzato davanti ad una macchina
da presa. Era nato il più famoso Tarzan che la storia cinemato-
grafica ricordi.
Io Tarzan, tu Gein. Si legge Gein ma si scrive Jane ed è il “coup
de théâtre” di un romanzo favoloso, nato dalla penna im-
prevedibile di Edgar Rice Burroughs, nel lontano 1912. Colpo
di teatro, dicevo, perchè Tarzan delle scimmie, a quel punto
del libro, quando fa la comparsa la dolce Jane Porter, era in
una straordinaria condizione amniotica, a metà via tra l’idillio
e l’onnipotenza: capo di una banda di scimmioni inebetiti ed
obbedienti, dotati di una forza disarmante, re incontrastato di
una giungla sorniona e sleale, unico depositario dell’ambiguo
linguaggio dei primati, fine conoscitore di ogni più nascosto se-
greto del sottobosco, abile frequentatore delle più ardite altitu-
dini e capace utilizzatore delle infide liane, performanti mezzi di
trasporto dell’epoca, ma estremamente subdoli ed inaffidabili.
Orfano dalla più tenera età, aveva raggiunto quella maggiore
conquistandosi uno status pontificale unico al mondo: niente
vizi, niente tentazioni, niente distrazioni, niente abusi, pace e
serenità polari.
Sì, ogni tanto qualche animale feroce e vorace a rompere la
quotidianità con intromissioni extraterritoriali fuori orario ma
niente di che: un’urlatina, due o tre balzi da una fune all’altra,
un rotear di lame e la giungla tornava quella di prima. Finchè,
un bel giorno, nello stesso posto, (poi dicono il destino) pro-
prio nello stesso posto dove, ventun anni prima,
erano naufragati loro, i Greystoke, rinaufragano
uno scienziato sfigato, sua figlia Jane, per altro ed
ovviamente, ragazza più che piacente, la loro serva
che, manco a dirlo, si chiama Esmeralda e un ragaz-
zo che, ma tu guarda, è, a sua insaputa, il cugino di
Tarzan.
E quando vivi da ventun anni in mezzo a dei goril-
la che, quando e se va bene, hanno lo charme di
uno zerbino e arriva l’affascinante eroina di turno,
il fulmine inaspettato, l’angelica apparizione, beh,
mi sembra logico, ma anche un tantino naturale,
che tutti gli ormoni, nessuno escluso, danzino allo
sfinimento balli primitivi e beneauguranti e preten-
dano di essere indirizzati come palle di fucile verso
l’approdo sospirato. Ed è in questo momento che
l’animale si sveste, dismettendo la pelle come un
sommozzatore la muta umida e pesante, trasfor-
mandosi nell’essere più indifeso che la natura pos-
sa concepire. Nello splendido universo rovesciato
disegnato da Burroughs, fatto di mangrovie e tem-
pi biblici, piogge snervanti e rischiaramenti, l’uomo
scimmia, il vero disuguale in un mondo di pura per-
fezione, è costretto a mostrare la propria natura,
umile e tracotante ad un tempo: l’animale uomo. Il
primo istinto è fuorilegge, perverso e cinico, teso
ad eliminare chiunque si frapponga sulla strada del
soddisfacimento personale. Mors tua, vita mea, se
è pur vero che a tirare più di un carro di buoi è l’a-
gognato crine.
È così che Tarzan molla tutto, tutto il passato, tut-
to il sublime e cristallino, si straccia le vesti (poche,
per il vero) e, senza sentire ragione alcuna, per in-
seguire l’amata Jane, si catapulta addirittura negli
Stati Uniti d’America (e il salto boscaglia - Wall
Street è una capriola che avrebbe spezzato le reni
anche al più scafato dei Crocodile Dundee di tur-
no). E avrà anche il tempo, tra un invito a cena e
l’altro, di salvarle la vita una seconda volta (la pri-
ma era stata nella giungla dove uno scimmione dal
fare sbrigativo e determinato l’aveva impunemente
sequestrata), preservarla da un matrimonio di inte-
resse, concepito con un attempato uomo d’affari e
restituire a suo padre un tesoro, perduto anni prima
tra le pieghe dell’Africa nera.
Tutta questa dedizione e sfibrante attesa apre ad
un finale scontato? No. Jane non solo non paleserà
mai l’intenzione di allacciare analogie d’amorosi
sensi ma nemmeno di far intravedere - almeno -
quel cardine prezioso per cui gli astri, i pianeti e gli
infatuati tutti, muovono da sempre le loro orbite.
Anzi, in barba alla più sfacciata irriconoscenza, an-
drà in moglie, sfidando le più ferree leggi dell’happy
ending, al malcelato cugino Greystoke, naufrago
silente, avveduto stratega, corvo inopinato.
L’uomo, lupo per l’uomo.
Ma anche la donna, non scherza.
Grego Ricorso
TUTTOQUI&dintorni associazione di volontariato onlusringrazia tutti i sostenitori che vogliono credere
nella creatività e nell’impegno giovanile che con coraggio, libertà e immaginazione
utilizzano anche questo stumento di divulgazione per esprime le loro passioni.
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progettazione e allestimento di stand fieristici
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Arrivederci a sabato 21 giugno con il numero ZERO9... Il prossimo tema?! Sarà senza dubbio... folle! ;-)
Guardo Cezanne, Bacon, Giacometti, Rothko, De Dominicis, Richter e poi
guardo il mondo con le sue certezze e i suoi misteri; poi mi guardo allo
specchio.
Da una parte c’è l’uomo e dall’altra l’universo che lo forma e lo comprende. Successivamente guardo l’artista e la sua opera, chiedendomi a quale scopo e a quale preciso luogo è destinata la pittura in questo mondo; rispondo che occupa uno spazio come ogni altro corpo, ma solamente una cosa la differenzia: la costante meraviglia del dubbio. L’opera segna l’inizio di un costante percorso caotico ed unicamente intrapreso. L’artista onesto, già di per sé intraprende -una volta riconosciuto- il percorso che propone nell’opera e ad ogni tela rappresenterà l’ostacolo che gli ha impedito di proseguire; per questo al fruitore dell’opera è chiesto uno sforzo non indifferente: lui si trova sul ciglio di un dirupo e deve decidere se lanciarsi o più semplicemente voltarsi per andarsene. Rimanere fermi e articolare svariate sconclusionate associazioni, oggi è la pratica più diffusa.
Attraverso la pittura voglio creare un passaggio che lasci intravedere uno spazio fertile, un caos che cerco di scatenare avvalendomi delle strutture della pittura. Costantemente cerco di perdere per poi recuperare la figurazione mediante una vera e propria operazione di recupero all’interno della pittura. Il concetto di “figurazione ritrovata” che Deleuze teorizza guardando l’operare di Francis Bacon, credo sia il punto di partenza della mia operazione artistica. Localizzare spazi di caos vuol dire “rinchiudere” in un campo definito (uno spazio delle fasi infinite) una porzione di infinito; il “rinchiudere” visivo crea un appiglio, un punto fermo mediante il quale introdursi più facilmente nella pittura. La pittura deve essere una nuova immagine che aiuta a dimenticare, per poi proporre una costruzione.
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